Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis
R A S S E G N A S T A M P A
FEBBRAIO 2023
R A S S E G N A S T A M P A
FEBBRAIO 2023
Alto Adige | 8 Febbraio 2023
p. 34
Dolomiti, la geologia nel web: un portale per scoprire i monti
Dolomiti
La Fondazione Dolomiti Unesco annuncia l'approdo sul web del Dolomites World Heritage Geotrail, primo portale della divulgazione geologica delle Dolomiti Patrimonio Mondiale a cui si sta dedicando il gruppo di lavoro della Rete del Patrimonio Geologico della Fondazione. "Il portale - viene spiegato nel sito dolomitiunesco.info - presenterà due novità rispetto alle 4 guide cartacee realizzate negli anni scorsi. I contenuti sono infatti aumentati sensibilmente e la descrizione geologica del Patrimonio Mondiale è più ricca e completa. Sarà inoltre possibile scegliere se viaggiare nello spazio o nel tempo". "Abbiamo rielaborato i contenuti delle guide cartacee per consentire un viaggio nello spazio, strutturato secondo lo sviluppo del Geotrail - spiega Alfio Viganò, geologo del Servizio Geologico della Provincia di Trento, alla quale spetta il coordinamento della Rete - ma al viaggio nello spazio abbiamo intrecciato anche alcuni percorsi tematici, grazie alle foto sferiche realizzate da Matteo Visintainer e Marco Stucchi, e ai disegni di Davide Bonadonna. Vogliamo consentire agli utenti di toccare il Bene Dolomiti: ogni sua parte - continua Viganò - racconta un tassello unico, fondamentale per la comprensione delle Dolomiti nel loro complesso". "Con questo approccio - chiarisce la Fondazione - si allargherà di molto la platea dei possibili utenti, che non saranno più solo gli escursionisti intenzionati a percorrere una o più tappe del Dolomites World Heritage Geotrail, ma anche tutti coloro che vorranno conoscere e approfondire la geologia delle Dolomiti, a cominciare dagli insegnanti e dagli studenti".Per ogni foto sferica saranno disponibili interpretazioni geologiche, approfondimenti tematici su punti sensibili e il tracciato del Geotrail con i relativi geostop. Per la navigazione ci siamo avvalsi anche delle basi cartografiche fornite da Webmapp, oltre ai tematismi della nuova carta geologica dell'intera area dolomitica, a cui la Rete sta lavorando da tempo".Geologi altoatesini, veneti, friulani e trentini, in servizio nelle rispettive amministrazioni, nei musei o nelle università, hanno lavorato uniti, per un unico scopo: "È uno dei valori aggiunti di questo progetto, nel quale sono stati coinvolti gli enti che partecipano alla Rete del Patrimonio Geologico; visioni e competenze diverse - conclude Alfio Viganò costituiscono una grande ricchezza per lavorare in un'unica direzione: quella della divulgazione e della valorizzazione geologica delle Dolomiti Patrimonio Mondiale".
Alto Adige | 1 Febbraio 2023
p. 34
Carosello sciistico verso il Comelico, il «sì» di Venezia
alta pusteria
Soddisfazione a Sesto ed in tutta l'Alta Pusteria per il sì della Sovrintendenza Veneta al collegamento sciistico fra il Comelico bellunese e la Pusteria. Il 27 gennaio è pervenuto al Comune di Comelico superiore il parere favorevole, con prescrizioni, della Soprintendenza sul progetto "Staucco", per l'accessibilità al sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico. Il progetto prevede non solo un paio di impianti di risalita e un paio di nuove piste, ma si articola come «progetto costruito integrando ambiente, cultura, storia, sviluppo con una visione verso il futuro, inserendo anche elementi di studio riferibili alle peculiarità del sito Unesco e alla neutralizzazione delle emissioni di carbonio», ha detto il sindaco di Comelico superiore al Corriere delle Alpi. La richiesta di parere era stata trasmessa, insieme al progetto, a metà dicembre 2022, dopo oltre un anno di lavoro per la rielaborazione del progetto in base a quanto emerso durante gli incontri a Roma presso la Direzione Paesaggio del Ministero, durante la fase finale della procedura di Valutazione ambientale strategica - Vas e da ultimo in base agli intensi scambi e confronti con la struttura ministeriale di Venezia, il cui parere è stato positivo. Nei prossimi giorni verranno approfonditi tutti gli aspetti relativi alle prescrizioni citate, in attesa del parere anche sugli aspetti monumentali del progetto stesso, che va ad interessare anche le rilevanze storiche del confine tra Belluno e Alto Adige.All'interno del progetto si intendono sviluppare "in maniera integrata gli impianti di risalita in quota, le piste per la pratica dello sci alpino, la riqualificazione delle opere del vallo alpino, la messa in rete di tutti i luoghi di conservazione storico-culturale della Val Comelico, la razionalizzare degli accessi in quota, soprattutto nell'area Unesco ed altro ancora". Il sindaco del Comune bellunes di Comelico superiore Marco Staunovo Polacco ha aggiunto che adesso «parte la fase operativa del progetto, finalizzata a raggiungere
l'obiettivo della attivazione di tutte le sue misure in maniera coordinata». Il sindaco di Comelico, fra i vari ringraziamenti, ha aggiunto quello al presidente Arno Kompatscher "con il quale abbiamo condiviso anche un accordo scritto di collaborazione, insieme al Comune di Sesto Pusteria, comprendendo ovviamente il supporto di Franz Senfter e della Drei Zinnen in questi anni di gestione degli impianti di Padola nella indeterminatezza del futuro". E.D.
Corriere delle Alpi | 1 Febbraio 2023
p. 29
L'aggancio alla Pusteria porta l'entusiasmo a mille «Ora non si perda tempo»
COMELICO SUPERIORE
La notizia del via libera al collegamento sciistico fra il Comelico e la Pusteria ha suscitato l'entusiasmo tanto degli operatori turistici quanto della Regola, ora in prima linea dopo anni di attesa per sfruttare le opportunità in arrivo. «Dobbiamo ringraziare quanti in questi anni si sono spesi con passione, competenza e dedizione per raggiungere questo traguardo, in particolar modo il sindaco Staunovo che si è dato molto da fare con la Soprintendenza e con tutti gli enti coinvolti», spiega Davide Zandonella Necca, delegato Confcommercio da sempre molto vicino agli albergatori del comprensorio, «l'auspicio è che, dopo tanta anni di dubbi e incertezze, il collegamento ora possa essere finito nel più breve tempo possibile, dando così nuovo lustro anche agli impianti esistenti». «Con i primi impianti di risalita e le piste da sci ci siamo fortemente impegnati affinché non andassero a disperdersi gli sforzi fatti negli anni e abbiamo sostenuto l'allora società Alta Val Comelico, accompagnandola fino all'arrivo di Senfter», spiega un entusiasta presidente della Regola di Padola, Valentino Ribul Moro. Un impegno tanto finanziario quanto fondiario, quello della Regola, visto che i terreni su cui sorgono gli impianti sono di proprietà della sua comunione familiare e dati in concessione trentennale. «Se non avessimo mantenuto gli impianti, oggi forse non avremmo neppure potuto sperare in questo risultato», continua Ribul che non lesina i ringraziamenti anche nei confronti di 3 Zinnen e del Comune, «ora l'augurio è che si faccia presto. Bisogna correre per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie, coinvolgendo gli enti preposti e le altre Regole che sono proprietarie dei terreni su cui dovrebbe sorgere il collegamento e che ora devono fare la loro parte». Le prospettive per l'indotto turistico si annunciano interessanti: «Siamo convinti possa rappresentare un punto di svolta per tutta la valle», riflette il delegato Confcommercio, «crediamo in una ripartenza che, come spiegava il nostro sindaco, possa essere finalmente inclusiva e quindi riguardi tanto l'economia quanto l'aspetto sociale e demografico per la nostra comunità che pure in questi lunghi anni non ha mai perso le speranze, ribadendo con convinzione le proprie ragioni e il proprio attaccamento al territorio». Una realtà, quella di Padola ma anche di tutto il Comelico, che vede il proprio sviluppo legato a doppio filo a quello dell'indotto turistico invernale e che nelle prossime settimane tornerà ad ospitare la Ciasp Dolomitica, la più grande e attesa manifestazione con le ciaspole del Veneto. Un entusiasmo, quello per il collegamento, che segue di pochi giorni quello per l'annunciata partecipazione delle Dolomiti a Casa Sanremo attraverso la Dmo. «Un'ottima iniziativa che crea speranza per il futuro delle nostre genti e porta lustro alle nostre montagne», conclude Zandonella. «Il futuro del Comelico può e deve puntare molto sul turismo. Con il via libera al nuovo impianto sciistico sarà molto più facile. Ora dobbiamo ragionare sulla costruzione di un sistema del settore turistico che si basi anche sul mondo dell'artigianato». Così la presidente di Confartigianato Belluno, Claudia Scarzanella. «Bene che si sia guardato alla tutela del paesaggio in un'ottica di sviluppo delle comunità locali. Perché solo creare lavoro consente alle persone di rimanere a vivere in montagna. E, di conseguenza, a proteggere l'ambiente. È importante adesso che lo sviluppo si basi su un sistema solido, fatto di integrazione tra settori, tra imprese. In questo senso l'artigianato può essere uno dei motori, perché il turismo è portato avanti anche da piccole realtà artigiane. Spero che il caso del Comelico, dove abbiamo assistito al tentativo di imposizione di nuovi vincoli paesaggistici e ambientali, diventi emblematico di uno sviluppo sostenibile dei territori. Sviluppo possibile nelle terre alte, con comunità che hanno a cuore le sorti del loro ambiente, ma che non possono continuare a sopravvivere in montagna senza che siano dati loro gli strumenti per farlo». GIANLUCA SALMASO© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 2 Febbraio 2023
p. 11, segue dalla prima, edizione Belluno
Ok ai nuovi impianti, industriali e artigiani: «Fare sistema»
COMELICO SUPERIORE
Ad unirsi alla soddisfazione che in questi giorni si respira a Padola, e in tutti gli altri paesi del Comelico, ci sono anche le associazioni di categoria di artigiani e industriali, che hanno manifestato la propria volontà di partecipare a questa nuovo fase di sviluppo per il turismo e l'indotto che ne seguirà per il Comelico.
GLI ARTIGIANI
La presidente di Confartigianato Belluno Claudia Scarzanella, ha commentato: «Ora dobbiamo ragionare sulla costruzione di un sistema del settore turistico che si basi anche sul mondo dell'artigianato. Bene che si sia guardato alla tutela del paesaggio in un'ottica di sviluppo delle comunità locali. Perché solo creare lavoro consente alle persone di rimanere a vivere in montagna. E di conseguenza, a proteggere l'ambiente. È importante adesso che lo sviluppo si basi su un sistema solido, fatto di integrazione tra settori, tra imprese. In questo senso l'artigianato può essere uno dei motori, perché il turismo è portato avanti anche da piccole realtà artigiane».
Dall'associazione Confindustria di Belluno-Treviso, la presidente Lorraine Berton, che ha ascendenti comeliani per parte di madre, sottolinea come il parere favorevole della Soprintendenza al collegamento impiantistico tra Padola e Passo Monte Croce è arrivato dopo «una partita lunga, complicata, per certi versi estenuante, ma la forza di un territorio e la caparbietà di un uomo come Franz Senfter hanno vinto». In polemica con la lentezza burocratica che ha procrastinato per anni l'esame del progetto del collegamento, Berton afferma: «Spiace che si debba sempre aspettare così tanto, che la burocrazia, in tutta questa storia, abbia dato il peggio di sé, ma adesso bisogna guardare al futuro, agganciando questo grande progetto di valorizzazione agli stessi Giochi Olimpici che sono una opportunità per tutte le vallate della nostra provincia. Accanto al collegamento tra Comelico e Pusteria vanno portate avanti tutte quelle iniziative volte a consentire a giovani, famiglie, imprese di rimanere sul territorio: infrastrutture viarie in primis, ma anche misure specifiche per la residenzialità e l'insediamento di nuove imprese, come quelle contenute nel disegno di legge sulla montagna, di cui attendiamo la discussione in Parlamento». L'aria di fiducia che spira in tutta la vallata del Comelico per un futuro turistico sia invernale che estivo di maggiori numeri e soprattutto di migliore qualità, potrà essere di sprone alle giovani generazioni per investire sul territorio e, modificando lo slogan degli scorsi anni lasciateci restare, tradurre in pratica vogliamo restare. (LEC)
Gazzettino | 4 Febbraio 2023
p. 11, edizione Belluno
Nuovi impianti, Cai soddisfatto: «Ora sviluppo e redditto»
Il Cai spinge sul collegamento turistico tra il Comelico e l'Alta Pusteria. Tanto da sostenerlo come la salvezza del comprensorio. Gianluigi Topran d'Agata, presidente della locale sezione, che riunisce soci dei cinque comuni comeliani, esprime soddisfazione per il parere favorevole giunto dalla Soprintendenza, frutto di un approfondito studio durato oltre due anni. La revisione dell'intero progetto, recependo vari suggerimenti, da amministratori, progettisti, Cai ed altre associazioni, ha definito una progettualità più attenta e puntuale ai fini degli inserimenti sul terreno, salvaguardando le peculiarità della zona boscata e di pascolo, oltre a migliorare l'aspetto visivo nel contesto dell'attuale paesaggio creato dall'uomo nei secoli e, nel corso degli ultimi decenni, valorizzato dalle cure agricole e dalle Regole. «Sono soddisfatto per come sta procedendo il progetto denominato Stacco, cioè Strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico, ed integrato per lo sviluppo turistico, culturale e socioeconomico del comprensorio. Il collegamento turistico tra il Comelico e l'Alta Pusteria consentirà l'unione al sistema turistico ben funzionante alto atesino, che ha prodotto incremento della popolazione e non spopolamento, opportunità di lavoro, quindi di reddito, servizi e non disoccupazione». In un approfondito documento, inviato a tutti i livelli, Gianluigi Topran d'Agata ribadisce che il Cai è favorevole all'utilizzo mirato e ben gestito di boschi e pascoli per uno scopo turistico a beneficio collettivo e non speculativo, atto ad uno sviluppo equilibrato del territorio, come in questo caso purché sia attuato solo alle quote inferiori ai duemila metri, chiaramente già antropizzate.
Corriere delle Alpi | 5 Febbraio 2023
p. 29
Collegamento sciistico con la Pusteria
«Non solo impulsi allo sviluppo turistico»
L'intervista
Il presidente della sezione Val Comelico del CAI, Gianluigi Topran D'Agata, che rappresenta i soci dei cinque comuni (ossia oltre il 10% della popolazione residente) esprime soddisfazione per l'acquisito parere favorevole della Soprintendenza al collegamento con la Pusteria, frutto di un attento e approfondito studio durato oltre due anni.«La revisione dell'intero intervento», afferma Topran D'Agata, «recependo vari suggerimenti da amministratori e progettisti, ed anche dal Cai e da altre associazioni, ha definito una progettualità più attenta e puntuale ai fini degli inserimenti sul terreno, salvaguardando le peculiarità della zona boscata e pascoliva, oltre a migliorarne l'inserimento anche visivo nel contesto dell'attuale paesaggio creato dal lavoro dell'uomo nel corso dei secoli. In sostanza è il collegamento tra piste da sci già esistenti e con una morfologia favorevole, piste forestali, conche, vallette e ripiani, zone prative, salvaguardando anche aree di pregio, adattabili ad un paesaggio già antropizzato e che nel corso degli ultimi decenni è stato valorizzato dalle cure agricole e dalle Regole-Comunioni Familiari».Come giudica l'attuale situazione il Cai Val Comelico?«Siamo soddisfatti per come sta procedendo il progetto "Stacco", un eleborato integrato per lo sviluppo turistico, culturale e socio-economico
della Val Comelico. Il collegamento turistico tra le valli contermini consentirà l'aggancio da parte dell'intero Comelico al sistema turistico integrato e ben funzionante dell'Alta Pusteria, che ha prodotto incremento della popolazione e non spopolamento, opportunità di lavoro, quindi di reddito, servizi e non disoccupazione».E sotto il profilo ambientale?«Il Cai è favorevole all'utilizzo mirato e ben gestito di boschi e pascoli per uno scopo turistico a beneficio collettivo e non speculativo, atto ad uno sviluppo equilibrato del territorio, come in questo caso, purché sia attuato solo alle quote inferiori ai duemila metri, chiaramente già antropizzate. Infatti qui troviamo boschi, pascoli, malghe e casere, è il territorio lavorato dai montanari in passato e mantenuto anche oggi, spesso rimediando alle sciagure provocate dagli eventi naturali. Al di sopra dei duemila metri occorre invece evitare ogni infrastruttura, le crode lasciamole intatte come sono, lì la montagna deve restare montagna».Quindi sviluppo socio economico e tutela dell'ambiente possono convivere?«La Val Comelico è un territorio ricco di tradizioni e di cultura, chiese, musei. Molte iniziative atte a valorizzare siti storici, geografici, paesaggistici, naturalistici, anche sconosciuti, sono state ideate e spesso sono state attuate dal volontariato, ma non sono economia. La stessa millenaria storia delle Regole, le antiche Comunioni Familiari che hanno curato per secoli, in forma collettiva, boschi e pascoli che ancora oggi fanno parte dell'antico patrimonio collettivo agro-silvo-pastorale, ha consegnato alla generazione attuale e a quelle future un ambiente curato e lavorato, boschi non inselvatichiti e facilmente accessibili, pascoli equilibrati e razionali, strade forestali per accedervi, manutenzione di malghe e regimazione di corsi d'acqua. Il progetto "Stacco" è proprio integrato su molti di questi aspetti. Indubbiamente si basa sul turismo e ricomprende tutti gli aspetti socio-economici della valle, e si può fare ancora di più mirando ad aumentare le stagionalità». «Senza dimenticare», conclude la disamina di Gianluigi Topran D'Agata, «che il collegamento anche sciistico attraverso il passo Monte Croce, è indubbiamente il pilastro economico del progetto denominato "la valle dello star bene" che fa parte della strategia nazionale aree interne, che coinvolge le tematiche suddette oltreché la mobilità, l'istruzione e la sanità». Livio Olivotto© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 10 Febbraio 2023
p. 13, edizione Belluno
Un carosello guardando all'ambiente
Comelico Superiore Il progetto "Stacco" non significa soltanto collegamento sciistico interregionale con la Pusteria. È molto di più. Tanto che tra i suoi pilastri basilari figura, con finalità informative e didattiche, la costituzione dell'Ecomuseo Comelico Dolomiti, per mettere a sistema e gestire l'immenso e prezioso patrimonio naturale e culturale comeliano.
IL COLLEGAMENTO
Stacco, il quasi acronimo sillabico che sta per Strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico, è il risultato di un lunghissimo lavoro e attento approfondimento che ha portato ad elaborare un progetto basato su una serie di azioni integrate per lo sviluppo turistico, culturale e socioeconomico dell'intero comprensorio: si tratta di un insieme ampio ed articolato di iniziative finalizzate a rimodulare l'intera offerta turistica secondo principi di alta sostenibilità e rispetto ambientale, coerente con le strategie del sito Dolomiti Unesco, presente sul territorio, con il quale è stata intrapresa una prassi di attiva collaborazione.
Le azioni previste nel progetto, che di recente ha ottenuto l'importante parere favorevole della Sovrintendenza e da concretizzare con i Fondi di confine, verranno realizzate dal Comune di Comelico Superiore e da quelli contigui per essere poi affidati all'Ecomuseo per la successiva gestione coordinata dei siti individuati, recuperati ed interpretati come nodi di rete culturale-ambientale, da implementare successivamente con l'adesione progressiva delle associazioni e delle cellule museali esistenti nel comprensorio. Il Comelico conta infatti ben sei piccoli musei (della Cultura alpina di Padola, Algudnei di Dosoledo, La Stua di Casamazzagno, Regianini di Costalissoio, Casa Angiul Sai a Costalta, delle Torbiere di Danta), diversi spazi espositivi (la Stua di Padola, la Stua cultural di Costalta, il Teatruto di Costalissoio, la Segheria di Santo Stefano), numerosi percorsi artistici all'aperto (le Torbiere di Danta, i Trois di Comelico Superiore, il Trei dal Grillo, le Sculture di legno a Costalta) e infine due spazi museali: il neocentro informativo multimediale del Comelico Cico di Santo Stefano e il museo del Mulino di San Nicolò, in via di realizzazione. Questo significativo patrimonio, gestito dalle associazioni culturali, può trovare appoggio e valorizzazione in Stacco. L'Ecomuseo del Comelico si incaricherebbe, fra l'altro, di supportare, accompagnare e mettere in rete le loro attività e di attivare un osservatorio locale del paesaggio a scopo ricognitivo e consultivo. Per l'attivazione dell'Ecomuseo il progetto prevede anche la predisposizione della doppia candidatura dei prati del Comelico a paesaggio rurale di interesse storico e per il riconoscimento come ecomuseo regionale, con il supporto per l'assunzione di personale per tre anni dall'identificazione veneta. La struttura dell'Ecomuseo del Comelico si incaricherà di gestire i siti individuati (confine, aree umide e geologia), monitorando gli accessi e coordinando le attività educative e di divulgazione in collaborazione con le amministrazioni, le scuole e le associazioni di volontariato culturale, ambientale e sportive del territorio. Come ente gestore dell'Ecomuseo Comelico Dolomiti potrà essere individuata la Fondazione Comelico Dolomiti - Centro studi transfrontaliero, ente di diritto privato in controllo pubblico.
Yvonne ToscaniGazzettino | 14 Febbraio 2023
Carosello verso la Pusteria: la precedenza all'ambiente
C'è tanta attenzione per l'ambiente nel progetto Stacco, che non significa soltanto collegamento sciistico interregionale con la Pusteria, ma anche neutralità carbonica, con il raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l'assorbimento di carbonio. La progettualità, che deve il nome al quasi acronimo sillabico che sta per Strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico e che recentemente ha ottenuto il parere favorevole della Sovrintendenza, riserva uno spazio molto ampio a quest'aspetto, tanto che sarà avviato anche il progetto pilota sul calcolo dell'impronta sul carbonio per valutarne la neutralità.
Il Comelico è una realtà territoriale disciplinata da molteplici strumenti di pianificazione sovraordinata e di settore, oltre che da specifici provvedimenti ministeriali di tutela paesaggistica, così è stato ritenuto opportuno perseguire l'obiettivo della neutralità carbonica mediante la realizzazione delle opere con tecnologie e materiali a bassa intensità di carbonio; la gestione del collegamento dei demani sciabili e delle attività connesse (rifugi e servizi turistici, mobilità) con sistemi a basse emissioni; la compensazione delle emissioni "residuali" con crediti di carbonio certificati. Il calcolo dell'impronta di carbonio del progetto (carbon foot print) dovrà riferirsi all'analisi del ciclo di vita delle opere che si intendono realizzare, sia per le infrastrutture di collegamento che per le opere accessorie. Dovrà inoltre essere stimata l'impronta di carbonio annuale della gestione del collegamento e delle attività connesse. La compensazione delle emissioni residuali dovrebbe essere progettata, nel territorio del Comelico, attraverso la valorizzazione delle capacità di assorbimento del carbonio da parte delle foreste e delle zone umide. In questo contesto dovranno essere individuate e descritte in modo puntuale le modalità di generazione dei crediti di carbonio, in modo permanente, nelle aree forestali e in quelle umide esistenti, con il calcolo dei crediti generati.
LE ALTERNATIVE
La quantità di quest'ultimi potrà essere incrementata e/o sostituita con progetti forestali e la realizzazione di analoghe aree aggiuntive, che dovranno comunque garantire la compensazione delle emissioni residue. In questo caso i progetti dovranno essere inclusi nel programma di compensazione, con l'indicazione dei tempi di realizzazione. La generazione dei crediti di carbonio sarà il risultato di attività produttive e gestionali aggiuntive rispetto alla situazione di partenza, con miglioramenti rendicontabili della qualità dell'ambiente e della protezione della biodiversità.
Yvonne ToscaniAlto Adige | 19 Febbraio 2023
p. 33
Brunico
In Veneto la Soprintendenza autorizza il progetto di collegamento sciistico Sesto Pusteria-Comelico che prevede la costruzione di due nuovi impianti di risalita e l'aggiunta di due piste.«L'approvazione del collegamento - sottolinea in una nota il movimento Cinque Stelle - definito erroneamente come "progetto pilota", non considera minimamente il problema della frammentazione dei territori naturali e della caduta di biodiversità sulle Alpi, e ancor meno si preoccupa del riscaldamento globale in atto».La notizia è stata promulgata come una "grande novità" ma se la si valuta nel medio e lungo periodo è necessario dubitare della sua grandiosità.Sul tema è intervenuto Diego Nicolini, consigliere provinciale M5s : Non si può definire "progetto pilota" un progetto che prende d'assalto le aree alpine in questo modo. Da tempo ci siamo dimenticati del valore e dei fragili equilibri della montagna e dei suoi reali problemi. Di certo il fenomeno dello spopolamento non è prioritario e non giustifica la devastazione che apporterà questo ennesimo progetto. Si snatura il paesaggio e si tradisce l'autentica cultura di montagna, che è purezza e rispetto per la biodiversità, ma soprattutto conservazione per le generazioni future. Inoltre, l'area interessata dagli interventi rientra nella zona di protezione speciale, ciò vuol dire che in realtà la realizzazione andrebbe contro le norme stabilite. Il progetto è privo di veduta per il futuro e non mira all'interesse della popolazione locale poiché nella nostra ricca Pusteria si è preoccupati per la perdita di paesaggi naturali proprio a causa dell'invadenza dell'industria turistica che sta provocando enormi problemi dal punto di vista di gestione e di protezione dell'habitat. Adesso dobbiamo mobilitarci tutti affinché questo scempio non vada a realizzarsi».
Alto Adige | 22 Febbraio 2023
p. 34
«Pressioni politiche per lo sci verso Comelico»
La Soprintendenza di Venezia, il 27 gennaio scorso, ha dato il via libera alla realizzazione del collegamento sciistico dal Comelico, in provincia di Belluno, a Sesto Pusteria, un progetto dal costo che si aggira intorno ai 50 milioni di euro e di cui si parla da anni. Ma non mancano i pareri contrari che continuano ad arrivare dai portavoce e dai rappresentanti delle associazioni degli ambientalisti, come conferma la nota di Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness. "La Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Venezia - ha riepilogato Casanova all'inizio del suo intervento - dopo una lunga resistenza culturale e ideale, ha dato il via libera al collegamento sciistico da Sesto Pusteria verso il Comelico". "Il progetto - ha proseguito Casanova - viene definito progetto integrato per lo sviluppo turistico, culturale e socio-economico della Valle del Comelico. Perché? Perché in modo astuto si fa carico della gestione dei percorsi della Grande guerra, perché impegna la società proponente, la Drei Zinnen, a gestire dei sentieri in quota". "Il progetto - ha continuato il presidente onorario di Mountain Wilderness - era stato rielaborato con l'intento di superare le resistenze del mondo ambientalista, di Mountain Wilderness in particolare, e di vanificare un suo recente ricorso al Tar. Quanto prodotto ora fa seguito a una pressione politica indicibile: presso i ministeri di Roma, a Venezia, scomodando ministri e parlamentari, assessori regionali e i Presidenti del Veneto Luca Zaia e della Provincia di Bolzano Arno Kompatscher. Mai vista una simile azione per un progetto privo di veduta. ll frutto di un così intenso e diffuso impegno viene ora definito progetto pilota"."Se per progetto pilota - ha scritto Casanova nella sua nota - si intende un uso discutibile dei fondi di confine (80 milioni di euro l'anno che le Province autonome di Trento e Bolzano mettono a disposizione dei comuni confinanti per progetti di sviluppo), oltre 26 milioni di euro in questo caso, il successo è pieno (costo complessivo delle cabinovie e piste, innevamento artificiale, bacini di innevamento, 50 milioni di euro)". "Se per pilota si intende dimostrare come la Fondazione Dolomiti Unesco sia ridotta a un ruolo di agente di mercato turistico - ha scritto ancora Casanova - il processo lo si è consolidato - Se per pilota si è aperto con la Fondazione un presunto dialogo costruttivo teso a mantenere l'inchino verso i poteri forti ed evitando confronti con i portatori di interessi generali anche in questo caso il successo è pieno". La battaglia, questa è l'impressione che se ne trae, è insomma destinata a durare ancora a lungo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 27 Febbraio 2023
p. 17
Via libera al collegamento: la lunga storia di un investimento.Esattamente un mese fa, il 27 gennaio, la Soprintendenza Archelogica, Belle Arti e Paesaggio di Venezia ha fatto pervenire al Comune di Comelico Superiore il parere favorevole, con prescrizioni, sul progetto "Stacco", riguardante la strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico. Un progetto integrato per lo sviluppo turistico, culturale e socio-economico della Val Comelico. Un progetto ampio, dunque, che comprende due impianti di risalita e due piste da sci sul versante comeliano del comprensorio Tre Cime Dolomiti, definito integrando ambiente, cultura, storia, sviluppo con una visione verso il futuro, inserendo anche elementi di studio riferibili alle peculiarità del sito Dolomiti Unesco e alla neutralizzazione delle emissioni di carbonio.La richiesta di parere era stata trasmessa, insieme al progetto, a metà dicembre 2022, dopo oltre un anno di lavoro per la rielaborazione del progetto in base a quanto emerso nel corso degli incontri a Roma presso la Direzione Paesaggio del Ministero, durante la fase finale della procedura di Vas (valutazione ambientale strategica) e da ultimo in base alle intense interlocuzioni con la struttura ministeriale di Venezia, «che ha contribuito - ha spiegato il sindaco Marco Staunovo Polacco - a migliorare significativamente la proposta, facendolo diventare un progetto pilota». Adesso si tratta di approfondire tutti gli aspetti relativi alle prescrizioni citate e partire con il progetto esecutivo e poi con i lavori. Un progetto di sviluppo che il Comelico attende da oltre 15 anni.
Gazzettino | 19 Febbraio 2023
p. 2, edizione Belluno
«Serve un maxi carosello Civetta-Cortina-Arabba»
«I collegamenti sciistici tra le vallate vanno realizzati se si ha a cuore lo sviluppo economico dei paesi di montagna». Andy Varallo, presidente di Dolomiti Superski, non ha dubbi. Il rifermento esplicito è sia al maxi carosello che potrebbe unire lo Ski Civetta a Cortina
e ad Arabba, sia al progetto - ben più concreto dopo il recente parere favorevole espresso dalla Soprintendenza di Venezia - che sul comprensorio Tre Cime punta a connettere le piste di Padola con quelle di Sesto in Val Pusteria.
Riguardo allo Ski Civetta, Varallo dice: «Si tratta di un collegamento volto innanzitutto a dare una prospettiva di stabilità e solidità a realtà turistiche dove, oggi, il settore alberghiero fa molta più fatica rispetto ad altre zone. Si tratta di guardare concretamente al futuro, a dare agli operatori turistici e soprattutto ai giovani la motivazione a continuare a popolare i paesi, ad investire nelle loro zone stimolati da un'offerta più ampia e attraente per la clientela italiana e internazionale. Il vantaggi del nuovo collegamento tra Arabba, che è nel circuito della Sellaronda, Cortina e lo Ski Civetta è evidente. Il vero nodo da risolvere è dove realizzarlo: bisognerà valutare bene la morfologia dei territori e se sarà da puntare alla sola connessione con gli impianti o anche a tracciare alcune nuove piste».
Anche dal punto di vista ambientale, Varallo vede risvolti positivi: «Uno degli effetti che ha un collegamento sciistico tra due o più vallate è quello di ridurre il traffico sui passi e in genere sulle strade di montagna: si avvicinano le stazioni invernali ai centri cittadini. Lo Ski Civetta, ad esempio, è il comprensorio più prossimo alla pianura veneta. Con il nuovo collegamento si potrebbe partire da Alleghe o da Zoldo per sciare a Cortina, ad Arabba o nelle altri valli della Sellaronda. Ciò significa evitare un'ora, se non due, di auto. Inoltre, ricordo che gli impianti di risalita sono alimentati da energia elettrica e che il 70% delle nostre società acquista o produce energia completamente green certificata. E questo valore arriverà a livelli ancor più alti nei prossimi anni».
La valutazione del presidente di Dolomiti Superski sull'altro collegamento sciistico, quello tra il Comelico e la Val Pusteria, è altrettanto positivo. «Le considerazioni generali sulle opportunità per lo sviluppo turistico e sulla riduzione del traffico sono le stesse dice -. Nel caso specifico del comprensorio delle Tre Cime vedo con favore anche lo sviluppo verso la zona dello Sillian, in Austria dove, come partner, opera il miglior impiantista di quel paese in termini di solidità. Unire in un'unica area sciistica Comelico, Pusteria e Sillian è un progetto molto ambizioso che andrebbe a rendere di altissimo livello l'offerta per la clientela. Negli ultimi anni, sul comprensorio Tre Cime sono già stati spesi 100 milioni di euro e altrettanti verranno impiegati per i collegamenti con il Comelico e con l'Austria. Sarebbe il primo carosello transfrontaliero delle Dolomiti».
Intanto, in attesa dei collegamenti futuri, Varallo si gode i primi dati della stagione in corso che appaiono più che lusinghieri: «Le cose stanno andando meglio di quanto pensavamo in autunno, per i grossi timori legati ai costi energetici e per i dubbi sui risvolti della guerra in Ucraina e sul calo del potere di spesa dei consumatori. Devo dire che invece registriamo un'affluenza da record, sia in termini di fatturato sia di primi ingressi (sciatori che salgono sugli impianti, ndr) che risultano essere di un 13% in più rispetto all'anno scorso e in linea con l'inverno 2019/20 che, se non si fosse arrestato a marzo per lo scoppiare della pandemia, sarebbe stato il migliore di sempre. La stagione, quindi, sta proseguendo bene se pensiamo che a novembre abbiamo dovuto prendere in considerazione la possibile chiusura, all'interno dei comprensori, di alcuni impianti e di piste a macchia di leopardo, perché non avevamo nessuna idea di dove la guerra e la galoppata dei prezzi dell'energia ci avrebbero portati».
Andrea Ciprian
Corriere delle Alpi | 1 Febbraio 2023
p. 21
Da ottobre a gennaio più neve e pioggia rispetto all'anno scorso
Belluno
C'è stata tanta preoccupazione, almeno fino all'ingresso delle settimane bianche (quindi dopo l'Epifania), per la scarsità di neve. E, conseguentemente, per la scarsa disponibilità d'acqua nei bacini di montagna. Ma anche nelle stesse sorgenti, evocando una seconda stagione di siccità. Ecco, invece, la gradita sorpresa.Dal 1° ottobre al 31 gennaio, quindi nei primi 4 mesi dell'anno nivologico, le precipitazioni sono state più abbondanti di quelle dell'anno scorso. E con le ultime precipitazioni in provincia si sta recuperando quel 20 per cento di risorse nevali riscontrato nei primi 3 mesi. Di pochi centimetri, ma la differenza in positivo c'è, rispetto all'inverno passato. Purtroppo il Bellunese resta sempre, comunque, al di sotto della media degli ultimi 14 anni. A Malga Losch, 1735 metri di altezza, sono caduti 2 metri e 68 cm, contro i 193 del 2022. Tutti ricordano il 2021, con 5 metri alla stessa quota, ma si trattava quasi di un'eccezione. Al Col dei Baldi, all'ombra del Civetta e alle spalle del Pelmo, la sommatoria di nevicate dà 2 metri e 72 cm, 20 in più dell'anno precedente. Sui Monti alti di Ornella, a 2250 metri, la neve ha cumulato 236 cm, solo 25 in più dello stesso periodo del 2021. Dall'altra parte della provincia, a casera Coltrondo, 1960 metri, la differenza è minima, solo 9 cm: 212 contro 203. Torniamo nell'Agordino e confrontiamo i fondo valle. Arabba rivendica nevicate per 168 cm, 19 in più dell'anno precedentemente. Invece Falcade
gioisce letteralmente per il suo metro e 31 cm, ben 42 cm in più che nel 2021.Non può lamentarsi il Cansiglio con Cima Palatina, che ha ricevuto 186 cm contro 124. Il record di nevicate non ce l'hanno le Dolomiti, ma l'altopiano di Asiago, con i 3 metri di Campolon, quasi un metro e mezzo in più dell'anno passato. Possiamo accontentarci? Diciamo di si, sorridono, a denti stretti, all'Arpav di Arabba. La verità è che guardando ai dati degli ultimi 14 anni, sui 2000 metri come al Col dei Baldi, quest'inverno la precipitazione è stata inferiore di un metro rispetto alla media. A Malga Losch la differenza, rispetto alla media, è di pochi centimetri, mentre Arabba ha perso mezzo metro, Falcade solo due spanne di neve. Si avrà modo di recuperare almeno nei prossimi giorni? Qualcosina giovedì. Oggi, infatti, il tempo sarà stabile con cielo sereno al mattino. Al pomeriggio perdurare del tempo soleggiato ma con qualche velatura e addensamento. Domani, invece, cielo da irregolarmente nuvoloso a coperto sulle Dolomiti, con possibili deboli nevicate, più probabili sui settori settentrionali al confine con Austria e Alto Adige. Il limite della neve sarà attorno a 1100-1400 m e accumuli di 2-10 cm a 2000 metri. Venti ancora forti, comunque.Venerdì e, in parte, anche sabato, miglioramento del tempo con prevalenza di sole su gran parte della montagna veneta. fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alto Adige | 9 Febbraio 2023
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Ghiacciai, nevicate troppo scarse
Il Cai: «Sarà un'estate difficile»
Bolzano
Se il 2022 è stato l'anno peggiore di sempre, per lo meno da quando si sono avviate le rilevazioni scientifiche aeree e in quota, per i ghiacciai altoatesini il 2023 potrebbe rivelarsi ancora peggio.«Magari sembrerà strano parlare di ghiacciai nel pieno della stagione invernale, ma se lo si fa con gli occhi puntati sul loro stato di salute ci si rende conto di quanto sia importante seguirne l'evoluzione, dato che le previsioni per la prossima stagione estiva sono alquanto preoccupanti». Lo precisa il presidente del Servizio glaciologico del Cai Alto Adige, il generale Pietro Bruschi.Infatti, prosegue, «al di là del recente clamore mediatico sollevato in occasione delle vacanze invernali riguardo alle piste da sci in tutte le località del turismo invernale, ad una analisi attenta e mirata sulle condizioni invernali della montagna si vede come il manto nevoso non sia all'altezza della situazione».Da 30 anni il servizio glaciologico del Cai Alto Adige svolge un importante ruolo di osservazione e analisi della situazione in cui si vengono a trovare i principali ghiacciai della provincia. Tale servizio si basa sul lavoro degli operatori glaciologici, tutti volontari, che con dedizione e competenza si recano ad ogni fine stagione estiva alle fronti per compiere le necessarie misure di variazione, sia areale che volumetrica. Una attività possibile grazie anche al sostegno del direttore dell'ufficio idrologia e dighe della Provincia autonoma di Bolzano, l'ingegner Roberto Dinale.Ad illustrare in dettaglio lo status quo è il coordinatore scientifico del Servizio glaciologico del Cai, il geologo Franco Secchieri: «Poca è la neve caduta in questi mesi dell'autunno inverno 2022-2023, e sappiamo che, per quanto riguarda il bilancio glaciologico delle masse gelate, proprio questa neve è la migliore rispetto a quella primaverile, perché ha tempi e modi per subire una metamorfosi con l'aumento della densità che la renderà più resistente alla penetrazione dei raggi solari e del calore durante la stagione di ablazione, ovvero l'estate».La neve primaverile, invece, «non subisce questa trasformazione ed è soggetta di conseguenza ad un processo di fusione molto più accelerato».Secchieri prosegue dicendo che «non è il caso di rubare il mestiere a maghi e indovini, cercando di prevedere cosa succederà nei prossimi mesi, e se la stagione estiva sarà ancora una volta molto calda e siccitosa. Tuttavia l'analisi dello stato del manto nevoso depositatosi fino ad ora anche alle quote più elevate non lascia spazio all'ottimismo». La carenza di neve - soprattutto invernale - potrà portare a quello che i glaciologi chiamano un bilancio di massa negativo a causa dell'ablazione, che andrà ulteriormente ad intaccare gli strati del nevato e del ghiaccio delle precedenti annate, con una ulteriore grave perdita di massa dei ghiacciai.«Le conseguenze negative - così ancora Secchieri - saranno ancora una volta molte e non riguarderanno il solo aspetto paesaggistico, se pure importante». A tale proposito un emblematico esempio è costituito dal versante settentrionale della Marmolada, «un tempo famoso per il grande ghiacciaio che lo ricopriva e che sta ormai gradatamente frazionandosi verso una fatale scomparsa».Ma la situazione più grave, va oltre, «sarà la carenza delle risorsa idrica cui si accompagneranno le preoccupanti magre dei grandi fiumi come il Po e l'Adige, alle cui portate concorre anche l'acqua di fusione del ghiaccio e della neve».Riguardo alla scorsa stagione estiva, ricorda Secchieri, «è emerso il quadro desolante di un contesto glaciologico già ormai da tempo in grave crisi a causa della riduzione delle masse gelate, causata oltre che dall'andamento termico estivo anche dalla scarsità delle precipitazioni nevose». Una condizione, conclude, «che si va ripetendo sempre più frequentemente e innegabilmente legata al cambiamento climatico in atto ormai da tempo».Una situazione che interessa l'intero arco alpino, come è ben testimoniato dal lavoro di altri servizi glaciologici come quello lombardo e quello trentino, oltre che, naturalmente, dalle campagne degli operatori del Comitato glaciologico italiano.«Aspettiamo dunque l'evolversi della situazione meteo climatica lasciando alla speranza l'ultima possibilità di sopravvivenza dei ghiacciai». DA.PA
Alto Adige | 12 Febbraio 2023
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Clima e acqua, sfide impellenti
paolo campostrini
bolzano
Tempi duri per i troppo secchi. Ma le Alpi, non dovevano essere la nostra (e la loro) riserva idrica? «In realtà sono invece uno dei luoghi più sensibili del pianeta nei confronti dei cambiamenti climatici», dice Maurizio Righetti. Tanto che l'equazione che ci perseguiterà è questa: più clima anomalo meno pioggia, più riscaldamento del pianeta meno neve. E dunque quella che si scioglierà in primavera sarà sempre meno sufficiente a irrigare i campi, a consolidare le riserve idriche, a rifornire gli acquedotti. Era la nostra assicurazione per l'estate, la neve che cadeva negli inverni delle favole, che copriva i boschi per mesi e mesi, rendeva difficile l'accesso ai passi, istigava fotografi a immortalare muraglie bianche alte come palazzi. «Non voglio fare la cassandra e aumentare l'ansiaaggiunge Righetti, che è docente alla Lub, facoltà di Scienze e tecnologie, e guida master e corsi in rischi idrogeologici e gestione del rischio in ambienti montani - ma lo scenario critico che vediamo apparire è presente e realistico». E non tocca solo le piste. Incide su una vasta economia di scala di cui il turismo è una questione, ma le tariffe urbane e no, l'agricoltura, l'energia sono le molte altre. Ecco, l'energia: «Pochi pensano che questa crisi non significa solo necessità di preservare l'acqua, di consolidare le riserve e di considerarla bene preziosissimo ma ha costi energetici importanti». E così, quello che è avvenuto ieri al Noi, nella sala convegni del Techpark, è forse il primo snodo in cui queste criticità sono state sollecitate ad emergere sui molti piani in cui si dispiegano. Aveva per titolo "Siccità e crisi energetica: le sfide nella gestione dei sistemi acquedottistici" il convegno, e detto in modo semplice, ha provato per la prima volta a discutere dell'emergenza non soltanto tra esperti e studiosi ma convocando gli operatori sul campo, persone e imprese che gestiscono gli acquedotti, hanno a che fare con la rimodulazione dei rifornimenti e delle bollette da far pagare ai consumatori. In sostanza il cambiamento climatico e la crisi energetica hanno aperto nuovi rischi ma anche nuove sfide nella gestione delle reti acquedottistiche e si pone il tema di come rendere sostenibile un servizio così strategico per la vita quotidiana, tra tecniche o tecnologie da mettere in campo quanto prima possibile. E così Unibz assieme all'ateneo di Perugia e al centro studi sistemi idrici hanno individuato Bolzano come sede inedita per questo confronto. E Maurizio Righetti, che tra l'altro ha parlato proprio di passaggio dalla ricerca alla pratica, è stato lo snodo di questa connessione tra atenei e operatori sul terreno.Perché Bolzano?La ragione è che le Alpi non sono più quel mondo immacolato e immune da rischi di mancanza d'acqua.E come mai?Le Alpi nonostante le apparenze sono uno degli ecosistemi più sensibili. Quello che accade nel mondo, in termini di riscaldamento globale, inquinamento, squilibri ambientali, qui prende forma in situazioni molto visibili. Pensiamo ai ghiacciai.E l'acqua che beviamo?Ecco il punto. Si è pensato che dopo averne discusso teoricamente fosse giunto il momento di parlarne nel concreto.E il concreto cos'è?Ad esempio l'aumento delle tariffe. Tutti i nostri acquedotti, partendo proprio dai gestori del nostro territorio, hanno rivisto in alto i costi da scaricare sul consumatore. Si è trattato di un impatto severo. Avvenuto dopo decenni e decenni di costi marginali.Dunque anche il nord ci sta in mezzo a questa crisi?Ci sta molto. Il cambiamento climatico non fa sconti a nessuno. Neppure alle Alpi e alle Dolomiti. E la montagna ha una situazione ormai da primo impatto.E gli acquedotti?Soffrono. Ma lo fanno anche perché sono spesso un colabrodo.Addirittura?Secondo gli ultimi dati avvengono perdite d'acqua intorno al 40%. Questo in generale nel Paese. Qui la situazione è spesso migliore, ma anche qui ci sono impianti e gestori che ammettono perdite importanti. E in questa fase le perdite sono molto più pesanti in termini di conseguenze economiche e di ricaduta sul singolo cittadino che non in passato.Contromisure?La resilienza. Come con la pandemia: serve cambiare atteggiamenti e fare attenzione. L'acqua è preziosa e va gestita come un bene comune.Altrimenti?Per evitare che diventi anche terreno di scontro. In altre parti del mondo c'è chi fa la guerra per l'acqua, qui non dovrà diventare oggetto di contesa economica. O di scontro tra categorie.Pensa al turismo e all'agricoltura?Non solo. C'è tutta una questione energetica che sta emergendo e che ancora non è osservata con attenzione. In sostanza: l'acqua è energia. L'energia serve per produrla, per trasportarla, per distribuirla. Il combinato disposto della crisi energetica e di quella idrica sta moltiplicando gli impatti economici.Cioè, non scarseggia solo l'acqua ma i gestori devono affrontare anche l'aumento dei costi?È così. E le due questioni vanno tenute insieme altrimenti scappano.Ma le perdite nelle infrastrutture non si vedono?Tante volte no. Per questo va perfezionata la tecnologia e i controlli.L'agricoltura può entrare in questa nuova visione di stop agli sprechi ?È un settore strategico. E in effetti questa situazione, se prolungata, può portare ad una crisi. Ma so che gli uffici provinciali sono molto impegnati nei controlli dei consumi irrigui.Cosa si può fare, anche sul piano scientifico?Coordinare gli studi meteorologici con quelli idrogeologici. Nessuno può ormai andare avanti da solo.E la tecnologia?Sta procedendo. Ma procede anche il cambiamento climatico. E' una corsa contro il tempo ed è per questo importante non trascurare nessun scenario. Proprio partendo da quello energetico.Che ci dice cosa?Che oltre il 5% di tutta l'energia prodotta, ad esempio in Italia, è spesa per i servizi idrici. E se molta di questa viene dagli impianti idroelettrici, come è il caso dell'Alto Adige, ecco che si potrebbe presentare il corto circuito: meno acqua, meno energia, più costi per quella che resta.Che le dicono i meteorologi?Beh uno come Macalli è stato chiaro. Più caldo meno neve, più clima secco meno pioggia. Combinazione: meno risorse in prospettiva per molti settori economici. Per questo è importante coordinarsi, come è stato fatto qui al Noi, tra ricercatori e operatori ma anche tra politica e scienza. Senza fasciarsi subito la testa ma, anzi, tirandosi su le maniche...©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il Dolomiti | 12 Febbraio 2023
https://www.ildolomiti.it/cronaca/2023/piogge-scarse-e-poca-neve-e-gia-allarme-siccita-dal-lago-didro-agli-invasi-di%C2%A0boazzoe-bissina-riserve-ridotte-in-trentino%C2%A0tonina-sara-difficile-aiutare-le-altre-regioni
Piogge scarse e poca neve, è già allarme siccità.
Dal lago d'Idro agli invasi di Boazzo e Bissina, riserve ridotte in Trentino.
Tonina: ''Sarà difficile aiutare le altre regioni''
“Se la situazione non cambia, se non piove e non nevica avremo già delle criticità serie in primavera”. Ne è certo il vicepresidente della Provincia di Trento, Mario Tonina, e le sue parole fotografano la preoccupazione che già esiste in Trentino per la scarsità di acqua. Nei prossimi mesi l'irrigazione dei campi potrebbe diventare un vero e proprio problema nonostante i sistemi a goccia. “Non vogliamo essere disfattisti ma le condizioni in cui si trovano laghi, fiumi e bacini sono di certo peggiori rispetto lo scorso anno” dice sempre Tonina a il Dolomiti. I campanelli d'allarme ci sono da tempo in tutto il nord Italia dove la siccità dello scorso anno ha lasciato profondi segni. Lo dimostra quanto detto dall'Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po nella prima riunione di quest'anno che ha indicato con ''Arancione” il livello di severità idrica che si sta abbattendo nel nord. Si tratta di un indicatore di allarme medio che però mostra una forte preoccupazione anche per i prossimi mesi.
Gli indicatori idro-meteo-climatici e le analisi integrate presentate proiettano un quadro idrico complessivo, è stato spiegato, “di manifesta sofferenza”. I grandi laghi Alpini ai minimi storici e in diverse zone del nord sono già in azioni le autobotti.
I DATI
Purtroppo, ciò che è emerso dalle singole relazioni presentate dai relatori tecnici intervenuti al meeting dell'Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, evidenzia una situazione di conclamato deficit idrico in gran parte delle regioni del Nord, Piemonte e Lombardia in testa ma anche in Veneto e Trentino e un gap, meno marcato rispetto allo scorso anno, nell’area Emiliano Romagnola dove le ultime piogge, corredate da alcune nevicate, hanno contribuito a ricaricare i torrenti Appenninici e di conseguenza ad incrementare le portate del fiume Grande Fiume.
E se una delle principali criticità dello scorso anno fu proprio il perdurante e scarso riempimento dei grandi laghi alpini, anche quest’anno le avvisaglie monitorate dagli enti regolatori rappresentano già una soglia di risorsa invasata ad oggi estremamente scarsa per rappresentare una “scorta” in grado di rispondere, se non pioverà ancora abbondantemente, alle esigenze dei prossimi mesi in cui prenderà il via la stagione dell’irrigazione.
Il livello di invaso dei Grandi Laghi è generalmente stazionario, solo il Lago Maggiore registra un lieve e costante incremento. Rispetto al massimo valore d’invaso, le percentuali di riempimento sono: 46,3% per il Lago Maggiore, 19,6% per il Lago di Como, 17,7% complessivamente per il Lago d’Iseo e il Lago d’Idro, 24,7% per il Lago di Garda.
Una crisi che, come già scritto su il Dolomiti nei giorni scorsi, è stata fotografata anche dai dati raccolti da Arpa Lombardia che registrano come a livello regionale manchi il 44% dell’acqua che normalmente è disponibile in questo periodo.
Ma non solo, sempre parlando di dati, sono ancora più inquietanti quelli che arrivano dalla Commissione Glaciologica della Sat. ''Per il secondo inverno consecutivo - è stato spiegato - assistiamo ad un generalizzato deficit di neve sulle Alpi, ad oggi pari a circa il56% rispetto al decennio 2011-2021''.
IL TRENTINO
“Se la situazione non cambia vedo molto difficile garantire solidarietà alle altre regioni con le nostre riserve d'acqua” spiega il vicepresidente Tonina. “Anche se lo volessimo fare – spiega a il Dolomiti – ci verrebbe impedito dalle condizioni in cui ci troviamo”. Impossibile, quindi, pensare di riprendere gli aiuti che erano stati messi in campo l'estate scorsa verso la Lombardia e verso anche il Veneto.
Come già detto, la speranza è che nelle prossime settimane arrivi la pioggia. Se così non fosse, però, il Trentino, ovviamente, dovrà badare alle proprie esigenze e non certo pensare a quelle di altre regioni.
“Io mi auguro - spiega Tonina – che le importanti risorse che arriveranno con il Pnnr possano essere usate da queste regioni del nord per mettere in cantiere qualcosa di serio e che non è stato fatto negli anni. Ovviamente non serviranno a risolvere gli attuali problemi ma dobbiamo pensare che siamo davanti ad una situazione che si ripeterà in futuro visti i cambiamenti climatici che abbiamo. Da noi è bene ricordare che, per esempio, se non ci fossero i bacini di accumulo difficilmente potrebbero aprire le varie stazioni sciistiche”. In questo momento, spiega il vicepresidente, il lago di Santa Giustina, il lago di Garda, gli invasi di Boazzo e Bissina e il lago d'Idro sono a livelli di molto inferiori rispetto allo scorso anno a pari data. "Se non cambiano le condizioni come possiamo pensare di aiutare gli altri? Già in primavera per le irrigazioni avremo diverse criticità" conclude Tonina.
Gazzettino | 15 Febbraio 2023
p. 26, edizione Belluno
Riserve a secco: -16% di acqua
I dati raccolti da Arpav nel "Rapporto sulla risorsa idrica in Veneto", aggiornati al 31 gennaio 2023, sono impietosi e segnano una situazione grave, in particolare per il Bellunese che abbassa tutti i valori regionali. La zona del Veneto "in rosso" infatti è proprio la
parte alta, la nostra provincia: precipitazioni al di sotto della media storica, poca neve fanno prospettare una lunga estate di siccità. A meno che la situazione non cambi. Ma anche nei primi 15 giorni di febbraio non ha piovuto e il deficit per le risorse idriche non ha potuto che aggravarsi (gli ultimi dati al 15 febbraio si avranno solo nei prossimi giorni). Tutto dipende quindi, spiegano da Arpav, da quello che succederà nei prossimi mesi: se pioverà nella norma o, peggio, se non pioverà, potrebbe prospettarsi una situazione come quella dell'anno scorso.
PIOGGIA
A livello di bacino idrografico rispetto alla media 1994-2021, sono state riscontrate condizioni di surplus di pioggia in quasi tutti i corsi d'acqua eccetto che sul Piave dove Arpav ha registrato un leggero deficit pluviometrico: -16%. «Da notare - ricorda Arpav - che gli apporti (56 millimetri) sono comunque superiori alla mediana del trentennio (45 millimetri)». Le minime precipitazioni in Veneto sono state osservate nel Bellunese settentrionale dalle stazioni di: Cimacanale (Santo Stefano di Cadore) con 28 millimetri, Caprile con 30 millimetri e Santo Stefano di Cadore con 34 millimetri. Nella seconda metà di gennaio ci sono state piogge degne di qualche nota solo nei giorni 23 e 24 con valore massimo di 46 millimetri a San Martino d'Alpago. La siccità del Bellunese pesa molto nel bilancio dell'anno idrologico 2022-23: «Sono caduti sul Veneto - spiega Arpav -, nei quattro mesi tra ottobre e gennaio, mediamente 304 millimetri di precipitazioni; la media del periodo 1994-2021 è di 385 mm (mediana 356 mm). Gli apporti del periodo sono inferiori alla media (-21%) e sono stimati in circa 5604 milioni di m3 di acqua».
I SERBATOI
Secondo i dati di fine gennaio relativamente ai tre principali serbatoi del Piave è a Pieve di Cadore che si registra il secondo valore più basso della serie storica dopo il 2002: l'invaso è stazionario da novembre e non si è mosso di un millimetro, ha un volume invasato di 13,4 milioni di metri cubi rispetto al volume medio storico del doppio (26,3). Non bene anche il Mis, in forte calo (-9%) comunque nella media storica: è al 56% del volume massimo invasabile. Notizie positive solo da Santa Croce, in Alpago, in deciso incremento con un volume di invaso che ha superato il massimo storico (91% del volume massimo invasabile, +52% sulla media storica). Spostandosi nel Feltrino e nei bacini del fiume Brenta piange anche il serbatoio del Corlo, ad Arsiè, con volume in lieve calo da metà gennaio: al giorno 31 gennaio era pari a 22.3 milione di metri cubi mantenendosi su valori simili rispetto a fine dicembre (-1.9 milione di metri cubi). È pari ad un riempimento del 58% (poco sotto la media del periodo: -13%, -3.5 milioni di metri cubi), inferiore a 2020 e 2021, oltre che ad anni critici come 2007 e 2017.
NEVE
Nelle Dolomiti il cumulo di neve fresca dal 1 ottobre al 31 gennaio è nella norma per il periodo (dati 2005-2022), ma ha ancora un deficit del 14%: la norma è stata raggiunta solo grazie alle precipitazioni nevose di dicembre e gennaio. La risorsa idrica che proviene dalla neve è stimata per bacino sulla base della copertura nevosa ricavata da satellite, dell'altezza del manto nevoso al suolo e sulla base della densità media del manto nevoso. Calcolata per il 31 gennaio Arpav parla di «leggera diminuzione nell'ultima decade e pari circa a 180 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, 100 milioni di metri cubi nel bacino del Cordevole e di 150 milioni di metri cubi nel bacino del Brenta».
FIUMI
In calo la portata media dei corsi d'acqua con scarti rispetto ai valori medi mensili compresi tra il -16% (Boite a Cancia e Fiorentina a Sottorovei) e il -9% (Boite a Podestagno). Il giorno 31 gennaio portate inferiori alla media storica alla stessa data, con scarti compresi tra -14% (Saviner) e -4% (Padola a Santo Stefano). Sul bacino prealpino del Sonna a Feltre deflussi in leggero e temporaneo aumento a seguito degli eventi dell'8-9 e del 22-23 gennaio, ma con portata media del mese di gennaio pari al -41% rispetto al valore medio storico del mese.
Corriere del Trentino | 22 Febbraio 2023
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Siccità, Coldiretti in allerta
Gli impiantisti: «La soluzione? Puntare sui bacini in quota»
Le campionesse dello sci: «Serve una strategia per la sostenibilità»
Lorenzo Pastuglia
Trento
«La siccità è un problema da non sottovalutare, sia per il livello basso dei bacini idrografici, sia perché i ghiacciai in alta quota soffrono. Siamo preoccupati e speriamo che in primavera la pioggia sia abbondante». Il presidente di Coldiretti Trentino, Gianluca Barbacovi, non si nasconde. Il clima troppo mite degli ultimi mesi, simile a quello dell’inverno dello scorso anno, ha abbassato i livelli di fiumi e laghi come Garda, Santa Giustina, Idro e gli invasi di Boazza e Bissina portando così a rivedere alcuni usi sull’acqua. Un allarme sottolineato anche dal vicepresidente della Provincia, Mario Tonina, che ha parlato di una situazione «che non sarebbe così drammatica se ci fosse neve in montagna: se le condizioni non cambieranno nelle prossime settimane, ci attende un anno difficile».
«La stagione agricola partirà fra un mese con la coltivazione di ciliegie, meli e viti, ma si entrerà nel vivo del lavoro a metà aprile aggiunge Barbacovi, dello stesso pensiero di Tonina La speranza è che a marzo piova in abbondanza, che le precipitazioni siano superiori ai 50-60 millimetri e che possano durare più giorni. In tal caso la situazione migliorerà, ma oggi siamo preoccupati per gli
investimenti fatti sugli impianti di recupero e di irrigazione». E non solo, perché sono diversi «i progetti già finanziati con i fondi del Pnrr prosegue la tecnologia può essere una chiave per recuperare acqua, risparmiandola per affrontare così i periodi di grande siccità. Sarà fondamentale l’uso della sensoristica per conoscere l’umidità del terreno, dei satelliti per capire il momento giusto nell’irrigazione dei campi, ma servono anche studi specifici sul fabbisogno delle piante, localizzando sempre meglio le risorse idriche».
Il problema della siccità riguarda tutti e a un mese e mezzo dalla fine della stagione sciistica «la speranza è che la neve si sciolga il più tardi possibile commenta la presidente degli impiantisti italiani (Anef), Valeria Ghezzi Quando nel 2015 è stato costruito il bacino per l’innevamento sull’Alpe Tognola (con capacità di 50.000 metri cubi e costo di quattro milioni di euro, ndr ) in molti mi hanno accusato di danneggiare la montagna. Ho dovuto rivedere il progetto ben tre volte, l’iter per l’ottenimento dell’autorizzazione dalla Conferenza dei servizi è stato lungo e stancante. Oggi quasi tutti, compresi gli ambientalisti, mi danno ragione». I bacini in quota sono quindi una chiave «per non fare prelievi istantanei importanti aggiunge Ghezzi il nostro lo usiamo un paio di volte all’anno, per produrre con ritmi più equilibrati la neve artificiale, che quando poi si scioglierà in primavera aiuterà le falde dei terreni sottostanti, sebbene la quantità sarà troppo poca per risolvere il problema». Intanto, gli impiantisti vivono alla giornata, «nella speranza che la neve programmata, più compatta e duratura di quella naturale, ci faccia concludere la stagione come previsto».
Il problema della siccità, dovuta al crescente surriscaldamento globale, infine, preoccupa pure le sciatrici professioniste internazionali come Mikaela Shiffrin o Federica Brignone, che insieme alle colleghe, ai campioni dello snowboard e del fondo, hanno inviato una lettera, intitolata «Il nostro sport è in pericolo», direttamente alla Federazione internazionale sci (Fis). Una delle richieste è quella di presentare una strategia di sostenibilità per raggiungere la riduzione delle emissioni del 50% entro il 2030 come da impegni assunti nell’ambito dello Sport per il Clima delle Nazioni Unite e di presentarla al pubblico prima dell’inizio della stagione 2024. Ma anche l’istituzione di un dipartimento di sostenibilità, per rendere l’argomento un aspetto chiave di tutti i processi e le azioni di governance che devono essere controllati e certificati da un’organizzazione indipendente.
L’Adige | 23 Febbraio 2023
p. 13
Siccità, Tonina: «La situazione è critica»
MATTEO LUNELLI
«Siamo in una fase critica per tutti i bacini trentini. Sono problemi oggettivi destinati ad aggravarsi se non ci saranno abbastanza precipitazioni nei prossimi mesi. Le riserve idriche sono in difficoltà». L'assessore all'ambiente e vicepresidente della Provincia Mario Tonina non ci gira attorno. E inizia a muoversi per tempo: è in fase di elaborazione una lettera con una sorta di appello a tutta la comunità, dai cittadini alle imprese. L'anno scorso venne inviata a giugno, con indicazioni concrete, ovvero restrizioni, limitazioni e razionamento dell'acqua nei vari utilizzi, dall'irrigazione al lavaggio delle auto fino all'uso privato in abitazione. «Quest'anno vorrei anticipare l'appello - spiega Tonina -, perché questo è il primo atto che possiamo fare, tutti insieme. Se ognuno avrà la sensibilità di capire la difficoltà del momento e l'importanza dell'acqua ne trarremo tutti giovamento. Oggi, a fine febbraio, non siamo ancora in quella fase di preoccupazione che c'era lo scorso giugno, ma ritengo sia utile provare in ogni modo a non arrivare di nuovo a quel punto». Ancora Tonina: «A causa delle poche precipitazioni dei mesi scorsi e della scarsità di neve in quota, le riserve, che garantiscono i fabbisogni per l'agricoltura e la produzione idroelettrica, soffrono. Le soluzioni non sono facili: possiamo raccomandare, da subito, il risparmio». Nelle scorse ore Tonina si è recato in sopralluogo alla diga di Santa Giustina in val di Non. Insieme a Giuliana Cova (sindaca di Predaia), Laura Boschini (Aprie), Sandro Rigotti (Aprie) e Luigi Magnaguagno (Dolomiti Edison Energy), ha verificato con i propri occhi la situazione. La quota attuale del lago artificiale è inferiore di 30 metri rispetto ad un livello ottimale estivo. Al momento è presente un volume d'acqua di 39 milioni di metri cubi, che corrisponde al 30% della capacità utile operativa: il dato è di gran lunga inferiore rispetto a quello medio di 69 milioni di metri cubi registrato negli ultimi dieci anni in questo stesso periodo. A queste condizioni, dato che in montagna è presente metà della risorsa idrica nivale rispetto alle medie delle stagioni passate, sarà difficile raggiungere il livello di riempimento previsto dai vincoli della concessione. Un elemento, quello della risorsa idrica nivale, confermato nel sopralluogo sul ghiacciaio del Mandrone (Adamello) del direttore di Meteotrentino Mauro Gaddo. «La scarsità di neve è evidenteriferisce lo stesso Gaddo - e in quota si vedono le rocce. L'equivalente della neve in acqua, il parametro scientifico che si usa per dire quanta riserva di neve abbiamo, ci dice che siamo al 50% in meno rispetto alla media. All'orizzonte non vediamo un cambio di tendenza. Speriamo a marzo cambi tutto». Interessante anche l'analisi della dirigente Boschini: «Il livello a Santa Giustina è trenta metri più basso: questo comporta la necessità di accumulare acqua e quindi bisogna produrre meno perché il bacino deve riempirsi e non si può turbinare l'acqua per fini idroelettrici. Vanno rivisti i parametri di utilizzo dell'acqua, che devono tenere conto della riduzione di apporto naturale e soprattutto del calo della neve in montagna. Andrebbero anche riviste le culture e ripensata la pianificazione dell'utilizzo a fini irrigui. A fini potabili, infine, ci sono grossi investimenti da fare per la riduzione delle perdite e anche alla foce del fiume. Infine i dati di Aprie: il volume utile complessivo degli invasi artificiali delle 14 grandi dighe idroelettriche trentine (Santa Giustina, Careser, Pian Palù, Pra da Stua, Speccheri, San Colombano, Stramentizzo, Forte Buso, Val Noana, Schener, Costabrunella, Ponte Pià, Bissina, Boazzo) è di 348 milioni di metri cubi. Cifra che sale a 407 milioni di metri cubi contando anche i 59 milioni dei laghi naturali (Molveno, Toblino, Cavedine, Ledro) regolati artificialmente per mezzo delle derivazioni. Ad oggi, questi grandi bacini sono
riempiti di acqua per 141 milioni di metri cubi (102 di invasi artificiali e 39 di laghi naturali). Il riempimento complessivo medio è dunque pari al 34%. Mancano, quindi, 266 milioni di metri cubi d'acqua.
L’Adige | 26 Febbraio 2023
p. 11
«In estate non daremo acqua alla pianura»
chiara zomer
«Se continua così sarà davvero difficile dare acqua alla pianura quest'estate. Mi dispiace». Il vicepresidente e assessore all'ambiente Mario Tonina sul tema crisi idrica - perché ormai è già ora di chiamarla così - non si nasconde dietro ad un dito: gli scenari non sono buoni. Per niente. E quel che è accaduto l'anno scorso, con la pianura che bussava alla porta del Trentino per salvare l'agricoltura padana dal cuneo salino del Po' in secca, rischia di ripetersi quest'anno. Con una differenza: se va avanti così, nell'estate 2023 il Trentino non avrà acqua da dare proprio a nessuno.Il vicepresidente Tonina lo dice non solo davanti alla suggestione di qualche fotografia ad effetto, ma forte dei numeri. «C'è preoccupazione anche da parte del Trentino, e deriva da una piovosità scarsissimaspiega a margine della seduta di giunta del venerdì - Per capire la situazione, rispetto alla media di gennaio, siamo a meno 300 millimetri d'acqua. Ma quello che preoccupa di più è che gli invasi in Trentino sono scarsi. Sono 14 in tutto, ma quelli più rappresentativi sono 3: Giustina, Boazzo e Bissina. Dei 348 milioni di metri cubi che dovrebbero esserci in questa stagione a Santa Giustina, ora ce ne sono 141 milioni. Certo che c'è preoccupazione anche da parte nostra. Visto che non possiamo fare niente nell'immediato, quello che ci auguriamo è che nei prossimi mesi la piovosità sia regolare, altrimenti andremo in crisi anche noi, sia sull'idropotabile, dove per ora abbiamo solo piccolissimi segnali d'allarme, sia in agricoltura, sia nel settore idroelettrico». Quello, spiega Tonina, rischia di essere già compromesso, per lo meno sul fronte della produzione: «In questi mesi non hanno prodotto o hanno prodotto pochissimo, per cercare di mantenere un minimo di quantitativo d'acqua negli invasi. A santa Giustina siamo al livello di 487 , rispetto ai 517 che dovremmo avere in questa stagione e teniamo presente che d'estate dovremmo garantire il livello di 510. Vuol dire che d'ora in poi gli invasi dovranno accogliere quel che arriva dalla poca neve scesa e non turbinare, per permettere all'agricoltura di attingere. E la stessa cosa vale per Boazzo e Bissina».Se non si mette a piovere, insomma, l'emergenza è certa.Ma siamo al punto di ragionare di razionamento idrico? Non ancora, secondo Tonina: «Non siamo al razionamento, no. Ma attenzione a come usiamo l'acqua, sì. Risparmio idrico, sì. Perché se noi siamo messi così, figuriamoci come stanno in pianura».Ecco, la pianura. L'anno scorso ci sono stati anche momenti di tensione, con le regioni della pianura, che accusavano il Trentino di non garantire acqua, e di trattenerla per sé, per produrre energia. I contatti tra Trentino, Veneto e Lombardia già ci sono stati, ma è evidente che si va incontro ad una stagione davvero difficile, se il meteo non cambia in fretta: «Per capirlo basta vedere le immagini di Santa Giustina, che mi sembrano emblematiche. Se non abbiamo acqua noi - conclude Tonina - sarà difficile darlo alla pianura. Se non cambieranno le cose nei prossimi mesi, diventerà davvero difficile».
Il Nuovo Trentino | 2 Febbraio 2023
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MONTAGNA. Già due i morti da ottobre a oggi: ma il cambiamento climatico aumenta il pericolo di distacchi nevosi
ASTRID PANIZZA BERTOLINI TRENTO.
Le valanghe sono una realtà presente da sempre nel nostro territorio. Negli anni, però, gli interventi di soccorso per persone rimaste sotto slavine sono aumentati considerevolmente. In provincia di Trento, risultano censiti dal Catasto Valanghe circa 3200 siti valanghivi, che presentano quindi predisposizioni territoriali al loro accadimento, soprattutto in alcune aree della nostra zona. Informazioni dettagliate possono essere consultate sul sito Meteotrentino nella sezione "carta della valanghe" relativa al tema neve-ghiacci.I soccorsi delle stagioni passate Secondo lo European avalanche warning system (Eaws), che fornisce dati aggiornati sulle valanghe che hanno provocato vittime, nella stagione 2019/2020 le morti sotto valanghe in Italia sono state 13, delle quali nessuna in Trentino (gli interventi in provincia a causa di valanghe sono stati 6, che hanno soccorso 3 persone, tutte illese). L'anno successivo, nella stagione 2020/2021 le persone decedute sono state invece ben 25 in Italia, numero elevato probabilmente a causa delle numerose escursioni scialpinistiche durante la pandemia, quando gli impianti, quell'anno, non sono stati aperti. In provincia gli interventi di soccorso valanghe sono stati 19, che hanno coinvolto 11 persone, 5 delle quali illese, mentre 4 ferite e 2 che hanno perso la vita.Per
quanto riguarda i dati dell'anno scorso, dal 1 ottobre 2021, al 1 ottobre 2022, ci sono stati 8 morti a causa delle valanghe, di cui nessuna in Trentino. Gli interventi del soccorso alpino sono stati 3, che hanno coinvolto 5 persone, tutte illese.Il distacco del seracco in MarmoladaIl soccorso valanghe, però, il 3 luglio è stato attivato anche nel caso del crollo del seracco in Marmolada, alto 80 metri, largo 200 e profondo 60, che è stato inizialmente chiamato erroneamente "valanga". Si tratta in realtà del distacco di un ghiacciaio a forma di torre o pinnacolo che di solito deriva dall'apertura di crepacci. È da sottolineare il fatto che, al contrario della valanghe, questa tipologia di distacco è più difficile da prevedere. Perché di norma non dipende dalle condizioni meteorologiche del momento, ma dai meccanismi che regolano il movimento del ghiacciaio. Per questa ragione il numero delle persone che hanno perso la vita non è stato considerato dallo Eaws, ma il soccorso alpino, in quel caso, le ha inserite nel report di soccorso, in quanto è intervenuto nelle operazioni di recupero. In questo caso il numero di persone che hanno perso la vita ammonta ad 11.I numeri di questa stagione Dal 1° ottobre 2022 fino ad ora, invece, in Italia sono già morte 10 persone. Un numero alto, che ha già superato il numero delle persone che hanno perso la vita a causa di una valanga la stagione scorsa (8).In Trentino gli interventi da ottobre sono stati finora 4, che hanno coinvolto 11 persone, di cui 3 ferite (una di loro è deceduta successivamente in ospedale), e una deceduta durante l'ultima operazione di soccorso. Si tratta della trentenne Arianna Sittoni che ha perso la vita in Val Campelle il 24 gennaio. Quale futuro ci aspetta? Guardando i numeri, senza prendere in considerazione l'evento eccezionale avvenuto lo scorso luglio in Marmolada, si nota come questa stagione, che ha già visto due persone perdere la vita, sia iniziata "con il piede sbagliato", soprattutto considerando il fatto che tanti distacchi nevosi avvengono quando la temperatura si fa più mite, quindi potrebbero aumentare considerevolmente verso la fine dell'inverno e l'inizio della primavera.
Corriere delle Alpi | 4 Febbraio 2023
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Siti olimpici del '56: la valenza dei vincoli secondo Italia Nostra
CORTINA
Si è tenuto giovedì in sala delle Regole a Cortina l'incontro promosso da Italia Nostra Belluno dal titolo: "Gli impianti sportivi della VII Olimpiade invernale. Un'occasione di valorizzazione storico-identitaria della conca d'Ampezzo".L'incontro puntava ad illustrare la valenza del vincolo culturale che Italia Nostra ha chiesto per i tre impianti che sono stati costruiti in occasione dei Giochi del 1956: lo stadio del ghiaccio, il trampolino di salto e la pista da bob. La conferenza è iniziata con la proiezione di un video composto da un insieme di immagini suggestive fatte dal Coni, di proprietà di Sport e Salute Spa, che illustravano i lavori per gli impianti del 1956, che si sono svolti tra il'53 e il'55 (pista di bob a parte, che era già esistente ed ha avuto degli interventi di adeguamento del tracciato esistente dal 1923). Andrea Grigoletto (Heritage Analyst) ha spiegato come l'architettura di quegli impianti, diventati permanenti, abbia una valenza culturale particolarmente importante nell'ambito dell'architettura contemporanea, per le caratteristiche delle opere, legate ad un evento di importanza nazionale quale sono stati i Giochi del 1956, e del coinvolgimento di architetti quali Edoardo Gellner (stadio del ghiaccio, anche se il progettista era un Ghedina), e Pierluigi Nervi, collaudatore del trampolino Italia. «Italia Nostra ha preso contatti con la Soprintendenza per il riconoscimento culturale degli impianti olimpici, e il 27 giugno è stata avviato il riconoscimento culturale del trampolino Italia e della pista da bob "Eugenio Monti", mentre lo stadio del ghiaccio rimarrà probabilmente escluso in quanto è stato soggetto di una pesante ristrutturazione di copertura terminata nel 2004 che ne ha modificato le caratteristiche iniziali».Se per il trampolino c'è già uno stanziamento da parte della Regione di 10 milioni per un restauro, con prevista la piazza per le premiazioni delle medaglie, sulla pista da bob ancora non c'è molta chiarezza. Il commissario per le opere olimpiche Sant'Andrea ha cercato di andare incontro alla Sovrintendenza con l'istituzione di un «Memoriale diffuso che con le più avanzate tecnologie multimediali, narrerà i riti ed i miti di Cortina ripercorrendo 100 anni di memoria sportiva, culturale e sociale, unendo simbolicamente l'Olimpiade del 1956 con quelle di Milano Cortina 2026». In realtà, come ammesso dallo stesso Sant'Andrea durante la conferenza dei servizi dello scorso 18 gennaio, il Memoriale non rientra nel budget di costruzione della pista. La stessa Soprintendenza è in attesa di vedere il progetto definitivo della pista di bob per dare il suo assenso per la realizzazione del nuovo impianto. Sul recupero e la rigenerazione delle strutture in disuso è poi intervenuto l'architetto Gianluca D'Incà Levis, curatore di Dolomiti contemporanee, rilanciando la candidatura del villaggio Eni di Borca, costruito dall'architetto Gellner, a villaggio olimpico. «Il recupero dell'ex colonia del villaggio di Corte e di parti che sono tutt'ora inutilizzate potrebbe rientrare nel concetto che noi perseguiamo da quando siamo a Borca, dal 2014, ossia della rigenerazione di edifici dismessi e inutilizzati per metterli al servizio del territorio, al di là dei vincoli. Secondo il nostro modo di vedere, i siti devono essere usati e vissuti, e non essere simbolo di memoria e nostalgia del passato». D'Incà svela di aver già preso contatti con il presidente della Provincia, Padrin, che ha manifestato interesse per il recupero dell'ex colonia. «Siamo a soli 16 km da Cortina: sarebbe un'occasione di recupero da non perdere».A conclusione della serata è intervenuto Franco Mancuso (Università IUAVAIPAI), ricordando l'importanza della figura di Gellner nell'architettura contemporanea di montagna. Marina Menardi© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 7 Febbraio 2023
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Zaia: la pista di bob costerà 120 milioni ma ci porterà un miliardo di Pil
«La pista da bob di Cortina costerà anche 100-120 milioni, non so; tra l'altro soldi a carico dello Stato. Ma perché non considerare il Pil prodotto dai Giochi in Veneto che sarà almeno di un miliardo?». Il presidente della Regione, Luca Zaia, l'ha ripetuto anche ieri a Venezia: la pista è iconica per Cortina, quindi non vi può essere nessuna rinuncia. E quanto alle alternative - da Innsbruck a Cesana - le ha escluse l'analisi presentata dal commissario Luigi Valerio Sant'Andrea all'ultima cabina di regia di Milano, ha insistito Zaia. «Mancano tre anni esatti ad un evento che resterà nella storia del Veneto e dell'intero Paese. Ora è il momento di accelerare e mettere a terra i numerosi progetti, le infrastrutture, tutto quello che richiede l'appuntamento del 2026. Il Veneto è pronto e molte di queste opere resteranno in eredità per decenni a venire». I lavori per la realizzazione della pista di bob a Cortina inizieranno a fine inverno, ha assicurato ieri a Milano Andrea Varnier, ad della Fondazione Milano Cortina. «Noi stiamo molto attenti a cosa succede. Simico ci ha assicurato che i lavori inizieranno non appena finito l'inverno per essere tranquilli con i tempi. È un impianto molto importante in un luogo dove il bob già c'era. Non è un impianto ex novo, c'è una lunga tradizione ed era una pista di fatto abbandonata per cui l'idea è di dare un nuovo volto a Cortina. Un luogo dove svolgere attività non solo d'inverno ma anche d'estate per avvicinare i giovani a quello sport».Oggi partirà da Verona la staffetta di Libera che farà tappa a Belluno, Cortina, Anterselva, Cavalese e Bormio-Livigno per concludersi a Milano il 21 marzo.Tra gli impianti da progettare c'è l'oval del pattinaggio veloce conteso da Milano, dal Veneto e dal Piemonte. Giuseppe Sala, sindaco di Milano, ha lanciato l'ipotesi della fiera di Rho. «Non voglio avere un atteggiamento totalmente di chiusura verso Torino, però prima devono essere le città che c'erano all'inizio a dire se possono farlo o no», ha detto, «se poi non si potesse, un aiuto potrebbe anche essere utile».Sia Sala e sia il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, hanno di fatto ipotecato Milano, pur non escludendo il Veneto. Sulla medesima lunghezza d'onda l'ad Varnier. «Stiamo valutando tutte le opportunità sul territorio. I nostri stakeholder vogliono provare a restare sui territori già olimpici; ma ora è un po' e, quando avremo preso la decisione, dovremo confrontarci col Cio: l'ultima parola spetta a loro». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alto Adige | 9 Febbraio 2023
p. 22
«Chiediamo un immediato riorientamento ad una reale sostenibilità dei Giochi olimpici invernali del 2026. In particolare, insistiamo affinché il Cio garantisca che venga effettuata una valutazione di impatto ambientale rigorosa e completa prima che qualsiasi decisione sia considerata definitiva». Lo dichiarano Serena Arduino e Bianca Elzenbaumer, presidenti della Cipra International, la Commissione per la protezione delle Alpi. «Milano-Cortina 2026 - si legge in una nota - avrebbe dovuto essere la prima Olimpiade invernale realmente improntata alla sostenibilità. In effetti, la strategia di sostenibilità del Cio contiene molti validi approcci: l'utilizzo di impianti sportivi esistenti o rimovibili, l'organizzazione di gare anche al di fuori della città e del Paese ospitante e la salvaguardia delle aree protette. I preparativi per le Olimpiadi invernali del 2026 procedono tuttavia con modalità diverse».
Corriere delle Alpi | 9 Febbraio 2023
p. 27
Pressing ambientalista sui Giochi:no al bob e maggiore sostenibilità
CORTINA
Pressing ambientalista contro le Olimpiadi per come i principi di sostenibilità - condivisi - vengono tradotti nei cantieri. Tanto che la confederazione delle associazioni, Cipra, ha aderito e sostiene la "staffetta delle Alpi" «per le Olimpiadi invernali trasparenti, rispettose e responsabili» indetta da "Libera contro le mafie" che la prossima settimana sarà in provincia.«Chiediamo un immediato riorientamento ad una reale sostenibilità. In particolare, insistiamo affinché il Cio garantisca che venga effettuata una valutazione di impatto ambientale rigorosa e completa prima che qualsiasi decisione sia considerata definitiva. Chiediamo l'abbandono del progetto di una nuova pista da bob, il coinvolgimento effettivo della società civile e che il dossier di candidatura sia vincolante».Nemmeno a dirlo, la decisione più contestata è quella di costruire la nuova pista da bob a Cortina. «Decisione presa nonostante il Cio avesse assicurato alle ONG italiane che sarebbe stato predisposto un piano di utilizzo concreto e sostenibile. Questo piano non è ancora disponibile, mentre il costo della pista, inizialmente stimato in 60 milioni, è attualmente arrivato a 80 e potrebbe superare i 100.
L'alternativa decisamente più ragionevole ed economica, rappresentata dalla vicina pista di bob di Innsbruck-Igls/A, non è mai stata presa seriamente in considerazione».«La pista di Cortina, come quella dei Giochi di Torino 2006, sarà utilizzata solo per pochi giorni e poi abbandonata. Non si è imparato nulla dall'eredità negativa di Torino 2006», affermano Arduino ed Elzenbaumer.La Cipra critica anche la palese mancanza di informazioni e di trasparenza nella progettazione e nella costruzione delle infrastrutture. I progetti di costruzione previsti non rispettano né la Convenzione di Aahrus né la Convenzione delle Alpi e i suoi protocolli, il trattato internazionale vincolante che impegna gli Stati alpini alla protezione e allo sviluppo sostenibile delle Alpi. Cipra ricorda che Milano-Cortina 2026 avrebbe dovuto essere la prima Olimpiade invernale realmente improntata alla sostenibilità. In effetti, la strategia di sostenibilità del Cio contiene molti validi approcci: l'utilizzo di impianti sportivi esistenti o rimovibili, l'organizzazione di gare anche al di fuori della città e del Paese ospitante e la salvaguardia delle aree protette.«I preparativi procedono tuttavia con modalità diverse: la valutazione ambientale strategica (VAS) completa per tutte le opere connesse ai Giochi, prevista dalla candidatura e dalle direttive europee, ripetutamente richiesta dalle organizzazioni ambientaliste, non è stata ancora effettuata» . francesco dal mas© RIPRODUZIONE
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Corriere del Veneto | 9 Febbraio 2023
p. 10, edizione Treviso – Belluno
Olimpiadi attaccate dalla Cipra «Non sono green, ora si cambi»
Alice Manfroi cortina d’ampezzo
L’ira della Cipra International, la Commissione per la protezione delle Alpi, sulle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026: la sostenibilità ambientale prevista non basta, di chiede di più.
«Vogliamo un immediato riorientamento a una reale sostenibilità dei Giochi olimpici invernali. Insistiamo affinché il Cio (Comitato olimpico internazionale, Ndr ) garantisca che venga effettuata una Valutazione d’impatto ambientale rigorosa e completa prima che qualsiasi decisione sia considerata definitiva» attaccano Serena Arduino e Bianca Elzenbaumer, presidenti della Cipra.
«Milano-Cortina avrebbe dovuto essere la prima Olimpiade invernale realmente improntata alla sostenibilità continuano le due ambientaliste La strategia del Cio contiene molti validi approcci: l’utilizzo di impianti sportivi esistenti o rimovibili, l’organizzazione di gare anche al di fuori della città e del Paese ospitante e la salvaguardia delle aree protette. Ma i preparativi per le Olimpiadi invernali del 2026 procedono con modalità diverse».
Cipra contesta che la Valutazione ambientale strategica (Vas) completa per tutte le opere connesse ai Giochi non sia stata effettuata e che «con l’eccezione della rinuncia alla costruzione di un nuovo impianto per il pattinaggio di velocità, tutte le altre opportunità per dare ai Giochi una parvenza di sostenibilità sono sfumate».
A questo si aggiunge la decisione di costruire una nuova pista da bob a Cortina. «Come quella di Torino 2006, sarà utilizzata solo per pochi giorni e poi abbandonata. Non si è imparato nulla dall’eredità negativa di Torino» sostengono Arduino ed Elzenbaumer. Per questo Cipra chiede «l’abbandono del progetto di una nuova pista da bob, il coinvolgimento effettivo della società civile e che il dossier di candidatura sia vincolante».
Intanto Fondazione Milano Cortina 2026 ed Eni annunciano un accordo per supportare i Giochi Olimpici e Paralimpici. Eni vuole essere leader della transizione energetica e si è posta l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 le zero emissioni nette da processi industriali. Quelli di Milano Cortina 2026 saranno i Giochi Olimpici e Paralimpici che abbracceranno territori e culture diverse su un arco di 22 mila chilometri quadrati.
In ottica di sostenibilità utilizzeranno il 93% degli impianti già esistenti e sarà un’edizione vicina all’equilibrio di genere, con il record di eventi femminili.
«Le Olimpiadi Invernali 2026, a tre anni dall’avvio, hanno già parecchi primati» ha commentato Giuseppe Ricci, direttore generale «Energy Evolution» di Eni «e sono tutti in linea con i valori a cui ci ispiriamo. Dall’economia circolare, all’impiego dei nostri biocarburanti fino al nostro approccio alla diversità di genere e inclusione».
Corriere delle Alpi | 14 Febbraio 2023
p. 14
Staffetta delle Alpi: «Monitoreremo le spese olimpiche»
BELLUNO
La torcia della "Staffetta delle Alpi" di Libera è arrivata a Belluno in occasione della seconda tappa dell'evento che si prefigge di vigilare sull'organizzazione delle olimpiadi invernali di Cortina perché possano essere trasparenti, rispettose e responsabili. La torcia, realizzata con materiale recuperato dopo la tempesta Vaia, presenta una fiamma nera "di preoccupazione" ed è stata affidata da
Libera a Italia Nostra, per un simbolico proseguo delle intenzioni che ora andrà a Cortina e che dovrà arrivare fino alla grande manifestazione nazionale di Milano organizzata da Libera che si terrà il prossimo 21 marzo. «Siamo convinti che le risorse pubbliche, e ne arriveranno tante per questo evento, debbano essere gestite in maniera trasparente e coinvolgendo il più possibile le associazioni e la comunità. Cosa che fino ad ora non ci sembra sia stata fatta», è stato spiegato dal palco, «siamo preoccupati per la poca trasparenza verso queste spese, ma anche dal punto di vista ambientale, per un evento che rischia di minare profondamente il nostro territorio montano in un momento di particolare fragilità dovuto alla siccità, allo spopolamento e ai danni da cambiamento climatico».Libera, che organizza la staffetta con Cipra Italia, Italia Nostra, Legambiente, Mountain Wilderness e Wwf, invoca su questi temi l'istituzione di un ente indipendente e autorevole, che possa vigilare a nome dell'intera nazione sui beni comuni che verranno utilizzati per questo evento: «Su come verranno spesi i soldi delle Olimpiadi vogliamo un "monitoraggio civico", simile a quello che già è partito per l'utilizzo delle risorse del Pnrr», hanno aggiunto da Libera, «i dati raccolti durante le Olimpiadi di Torino del 2006 sono un campanello d'allarme importante e non vorremmo far fare agli impianti la stessa fine di quelli costruiti allora in Piemonte». L'importanza della trasparenza nell'azione della Pubblica Amministrazione e i processi corruttivi come porta d'accesso alle infiltrazioni mafiose è stato quindi al centro delle preoccupazioni espresse anche dai tanti presenti che hanno riempito la sala Bianchi. Preoccupazione cui si è associato, anche se sottolineando l'importanza delle contromisure in campo, l'assessore alla sicurezza, Raffaele Addamiano: «C'è giustamente preoccupazione, ma ci sono forze dell'ordine e grandi risorse messe a disposizione dallo Stato per contrastare il fenomeno», ha commentato l'assessore durante i suo saluti, «ricordo inoltre che non c'è corruttore se non c'è il corrotto, quindi è importante puntare anche sull'etica che sta dietro a un evento così grande per superare gli ostacoli». Esauriente e appassionata la spiegazione del sociologo Diego Cason su come verranno distribuiti gli enormi investimenti per le Olimpiadi di Cortina tra Bellunese, Venezia, Verona e soprattutto Lombardia: «Ci sono spese importanti e utili, come il villaggio olimpico di Milano che verrà riutilizzato dagli studenti universitari, o il collegamento ferroviario tra Mestre e il suo aeroporto, ma come si giustifica il finanziamento alla Pedemontana, che tra l'altro sarebbe dovuta essere pagata quasi completamente dai privati? ». Presente all'evento anche Alberto Vannucci, professore di Scienza politica all'università di Pisa, che si è concentrato sul tema delle infiltrazioni mafiose nei grandi eventi, e Luigi Casanova, autore del libro "Ombre sulla neve - Per il rispetto della montagna contro cemento, speculazioni e sprechi", che ha ribadito le preoccupazioni dei cortinesi verso le nuove opere previste. fabrizio ruffini© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 25 Febbraio 2023
p. 29
Comitato di Campo: si andrà alle vie legali contro la costruzione del villaggio olimpico
CORTINA
Il Comitato di Campo sceglie la linea dura. Si andrà per vie legali. Questo è quanto è emerso giovedì sera al termine dell'incontro organizzato per ribadire il "no" alla costruzione del villaggio olimpico sulla piana invece che a Fiames, come previsto inizialmente nel dossier olimpico. La sala cultura al Palazzo delle Poste era gremita di persone: proprietari terrieri, abitanti, proprietari di seconde case della frazione di Cortina, nonché semplici cittadini interessati all'argomento.Dopo la prima riunione informale in uno dei campeggi di Campo il 16 gennaio, questa volta è stata scelta la sala Cultura e sono stati mandati gli inviti ai proprietari terrieri della piana e ai soggetti interessati. La piana di Campo è un prato costituito da circa 150 particelle fondiarie, con circa 100 proprietari. Il villaggio dovrebbe sorgere sulla parte verso sud est rispetto alla strada che attraversa la zona, su una superficie di 18 mila metri quadri, con casette per ospitare 1. 200 persone.Claudio Michielli, Giovanni Michielli e Giorgio Bonomo hanno relazionato sull'incontro del 10 febbraio con il sindaco Lorenzi, l'assessore Monica De Mattia e il consigliere con delega all'ambiente e territorio Flavio Lancedelli.«Abbiamo chiesto chiarimenti sulla questione, ed esposto le nostre preoccupazioni, facendo altre proposte. Ci è stato detto che ancora non c'è niente di definitivo, che un progetto del villaggio a Campo non c'è, che questa è solo una opzione».Le altre opzioni sono Fiames, come previsto inizialmente dal dossier olimpico (area pubblica), Cimabanche, all'ex polveriera (area pubblica), Socol, l'ex villaggio Eni a Borca.«Il sindaco ha spiegato che a Fiames il villaggio non si può fare per problemi idrogeologici, Cimabanche non va bene perché non lo vuole il Coni, Socol è un'area troppo piccola, l'ex villaggio Eni non va bene perché le casette non sarebbero tutte uguali. Rimane quindi Campo. Il commissario Sant'Andrea ha chiesto i bilanci degli ultimi tre anni dei campeggi e in base a quelli ha fatto un'offerta di acquisto; ma i proprietari hanno detto di no. Allora Sant'Andrea ha cominciato a ragionare sui prati adiacenti ai campeggi», ha spiegato Giovanni Michielli, «il sindaco ci ha detto che è dalla nostra parte, ma finora non lo ha dimostrato. Ha detto che Campo è un'opzione, ma di fatto abbiamo capito che il villaggio lo vogliono fare proprio lì. Abbiamo chiesto di poter incontrare Sant'Andrea, ma ad oggi non abbiamo più sentito nessuno».Si sa invece che lunedì ci sarà a Venezia una cabina di regia sulle opere olimpiche dove Sant'Andrea porterà il progetto del villaggio a Campo.«È evidente che lo spazio di riflessione e comunicazione tra i cittadini e i propri rappresentanti è molto stretto; alle riunioni decisorie vanno Regione, Provincia, Governo, e il potere del Comune di incidere è molto basso». La riunione era stata convocata per capire come andare avanti con l'attività del comitato, ovvero se mantenere un atteggiamento morbido nei confronti di chi gestisce le opere olimpiche, oppure una linea dura affidando la causa ad un avvocato
amministrativo, che i portavoce hanno già individuato.Dopo un acceso dibattito tra i presenti, alcuni per la linea dura altri per un atteggiamento più morbido, si è deciso di fare una votazione per alzata di mano, e solamente sette su circa 80 presenti hanno optato per la linea morbida. Sono stati infine raccolti i moduli di adesione al comitato. Ora i promotori passeranno alla formalizzazione, con la richiesta di un contributo per poter poi andare avanti per vie legali. Marina Menardi© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 26 Febbraio 2023
p. 29
Simico: «Nessuno ci ha mai chiesto di confrontarci sul tema villaggio»
CORTINA
Villaggio olimpico a Campo: la Società infrastrutture Milano Cortina 2026 specifica che «nessuno del comitato ci ha contattati o chiesto di partecipare ad alcun consesso o incontro». La nota è in riferimento a quanto sostenuto dai portavoce del comitato di Campo durante la riunione di giovedì sera per decidere la linea da tenere nei confronti di chi gestisce le opere olimpiche. La stessa Simico e il Commissario Luigi Valerio Sant'Andrea dichiarano inoltre che «erano e restano disponibili a confronti tecnici, seri e costruttivi sul tema delle opere connesse ai Giochi Milano Cortina 2026».Durante la riunione, i portavoce del comitato avevano relazionato sull'ultimo incontro avuto con il sindaco, l'assessore Monica De Mattia e il consigliere con delega all'ambiente e territorio Flavio Lancedelli, nel quale Lorenzi aveva promesso che avrebbe fatto una relazione su ciò che si erano detti per inviarla a Sant'Andrea; a quel punto i membri del comitato avevano chiesto a Lorenzi di poter incontrare direttamente il commissario di Governo per discutere con lui la questione del villaggio olimpico. Cosa che, fino a giovedì, a distanza di due settimane, non è avvenuta. Da parte sua, Lorenzi si dice «dispiaciuto che il comitato abbia optato per una line dura. E spiace ancor di più apprendere che nel corso della riunione non si sia riportato quanto ho espresso nell'ultimo incontro con alcuni loro delegati pochi giorni fa: se si stabilirà che Campo è l'unico luogo dove potrebbe sorgere il villaggio olimpico, questo vi rimarrà solo per il periodo dei Giochi. Questo l'indirizzo dell'Amministrazione, chiaro e coerente fin da subito. Nel corso del nostro incontro», continua Lorenzi, «ho specificato ai delegati del Comitato che le loro preoccupazioni sono condivisibili e che, purtroppo, le alternative suggerite, già attentamente valutate, non hanno le caratteristiche adatte ad ospitare il villaggio. Nonostante questo, è ancora aperto - come su qualunque questione inerente al nostro territorio - il costante confronto con il Commissario di Governo per verificare ulteriormente quanto da loro proposto. Sul villaggio nulla è ancora scritto né si scriverà sulla pietra a stretto giro, contrariamente a quanto sostiene il Comitato. Il mio, dunque, è un invito a collaborare in modo costruttivo e a non strumentalizzare la situazione. Solo così potremo trovare una soluzione che soddisfi le esigenze di tutti. È fondamentale che ci siano serietà e rispetto reciproco. Spero che il Comitato comprenda l'importanza di lavorare insieme per garantire, al contempo, la riuscita degli eventi olimpici e la tutela dei diritti della comunità di Cortina». marina menardi© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 28 Febbraio 2023
p. 11
Prefabbricati a noleggio, niente espropri Indennizzi per i cento titolari dell'area
il focus
Alla fine dei Giochi non resterà nemmeno un prefabbricato del villaggio olimpico che varrà realizzato a Campo. È su questa certezza che viene incardinata la rassicurazione per Cortina: nessun esproprio, ma indennizzi agli oltre cento proprietari delle 150 particelle catastali in cui è frazionata l'area prescelta, a ridosso dei camping sulla destra orografica del Boite. Dalla cabina di regia riunita ieri a Venezia, è arrivata anche la conferma le bretelle d'ingresso a Cortina e a Longarone, ma si è in attesa della definizione dei fondi da parte del ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti (Mef). prefabbricatiPer il villaggio ci si affiderà ad un service, da selezionare attraverso gara, che monterà e subito dopo smonterà l'impianto prefabbricato. Il che potrebbe comportare un risparmio consistente rispetto ai 47-50 milioni previsti. Con questo schema, che garantisce i proprietari dei terreni, diventa però più difficile l'ipotesi di ricollocare i prefabbricati alla Fiera di Longarone, dopo le Olimpiadi, per l'auspicato ampliamento. Pista di Bob Al via, questa mattina, presenti il sindaco Gianluca Lorenzi ed il commissario Luigivalerio Sant'Andrea i primi lavori alla pista di bob. Si tratta del primo stralcio funzionale dell'intervento di riqualificazione e relativo allo strip-out del tracciato esistente: primo passaggio questo che, una volta concluso, porterà poi a successivi lavori finalizzati alla piena realizzazione del nuovo Sliding centre. Nella tarda primavera scatterà il secondo step. Ieri è stato confermato che la costruzione della nuova pista costa 61 milioni, fino a 85 con il lavoro. Più di 100, forse fino a 120, con tutte le sistemazioni aggiuntive, in parte chieste anche dalla Soprintendenza. Il commissario Sant'Andrea ha riferito che la pista sarà pronta per il mese di dicembre 2024, in modo da potervi svolgere i test preolimpici previsti nel mese di febbraio 2025, a un anno esatta dalla corsa olimpica. BRETELLEDal ministro dell'economia, Giancarlo Giorgetti, si è in attesa dei fondi supplementari
per i diversi progetti. Dai 30 ai 35 milioni in più, ad esempio, per la pista di bob, skeleton e slittino. Ma il sindaco di Cortina, Lorenzi, ha definito irrinunciabile la bretella d'ingresso alla città, fra l'Alemagna ed i Campi Apollonio. La Società Infrastrutture l'ha confermata, ma spetta a Giorgetti "bollinarla" con il relativo stanziamento. Confermata pure la bretella fra l'autostrada di Pian di Vedoia e la Fiera di Longarone; la realizzazione dipende dallo stanziamento di Giorgetti. Altro Nessun problema per il curling (interventi al palaghiaccio e centro comunale) e per la riqualificazione di Zuel. Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 6 Febbraio 2023
p. 17
«La Nuova Montagna» un grande incontro per ripensare il turismo nel rispetto del clima
L'evento
Il cambiamento climatico richiede un ripensamento delle strategie di marketing turistico delle aree montane. Volendo allargare il quadro, il ragionamento andrebbe esteso all'insieme delle attività legate alle Terre Alte, perché difficilmente si può sostenere che dinamiche come lo spopolamento o il grado di connessioni in fibra, ad esempio, facciano parte di ragionamenti "altri" rispetto al tema di fondo."La Nuova Montagna" è il titolo dell'evento organizzato dal Corriere delle Alpi insieme a Nordest Economia: si terrà giovedì 16 febbraio a Palazzo Bembo, Belluno.I temi trattati e la qualità dei relatori hanno tutti i crismi per potere considerare l'appuntamento alla stregua degli Stati generali della montagna bellunese e veneta.Recita il sottotitolo dell'appuntamento: "Il territorio, il turismo e le comunità: quali risposte davanti alle sfide del cambiamento climatico".Parleremo di multistagionalità del turismo montano e dei nuovi modelli possibili; del futuro delle stazioni sciistiche di media quota; dei costi, anche ambientali, legati all'innevamento artificiale; dell'evoluzione dei rifugi alpini; dei trend dell'accoglienza: dal wellness alla cultura, dall'enogastronoma ai percorsi esperienziali.C'è Cortina, che già guarda alle Olimpiadi invernali del 2026, ma ci sono anche le stazioni sciistiche di media quota (come il Nevegal, o l'altopiano di Asiago): quelle che più soffrono della carenza di precipitazioni. Quelle che il ministro Santanché vorrebbe aiutare, mentre c'è chi sostiene che sia ormai una sorta di "accanimento terapeutico". Il tema è complesso e richiede una visione non solo d'insieme, ma anche di medio lungo percorso.Dire "ma guarda quanta neve c'è" significa ignorare la climatologia, e anche la statistica. Snoccioleremo cifre per i negazionisti climatici, come base di partenza per una discussione libera e franca. Ci saranno l'assessore regionale al turismo Federico Caner, il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin, il presidente UNCEM Marco Bussone, la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela, il presidente del CAi Veneto Renato Frigo, la presidentessa ANEF Valeria Ghezzi, il presidente di Legambiente Veneto Luigi Lazzaro. Ciascuno porterà un contributo alla discussione, orientata soprattutto al "cosa fare". Massimo Feruzzi di JFC racconterà le tendenze del mercato. E' previsto anche un intervento del governatore Luca Zaia e il saluto della presidentessa di Confindustria Belluno Dolomiti, Lorraine Berton. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 17 Febbraio 2023
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Montagna Viva, gli Stati Generali vedono il futuro
Alessia Forzin
Belluno
Il cambiamento climatico deve essere affrontato e governato. Servono coraggio e determinazione per garantire un futuro alla montagna e al turismo, che fa vivere le valli e fa rimanere abitato il territorio. Servono servizi, perché li chiedono i cittadini e i turisti; è necessario differenziare l'offerta, puntando sulla destagionalizzazione che garantisca flussi tutto l'anno; lo sci rimane il core business, ma non può più essere l'unico asset sul quale puntare. Spunti di riflessione emersi ieri sera nel convegno "La nuova montagna", promosso dal Corriere delle Alpi e Nord Est Economia per affrontare la sfida epocale che tutti noi abbiamo davanti: quella del cambiamento climatico, appunto. Che costringe a ripensare modelli di sviluppo non solo per rimanere competitivi sul mercato, ma anche e soprattutto per far sì che le comunità restino a vivere in montagna. «Una montagna senza presenza umana non ha futuro», ha premesso il presidente della Regione, Luca Zaia, nel videomessaggio di saluto. E per tenere le persone a vivere nelle terre alte ci sono due cose da fare: «Investire in opere contro il dissesto idrogeologico e mantenere i servizi».COSA FARE«Che cosa vogliamo fare di questi territori a forte vocazione turistica di fronte al cambiamento climatico?». Eccola, la domanda delle domande, lanciata alla platea (un centinaio le persone presenti in sala a Palazzo Bembo) dal direttore dei quotidiani veneti di Gedi e di Nord Est Economia, Fabrizio Brancoli. «Come ci regoliamo, come ci possiamo adattare al clima che cambia?». Il tema, ha proseguito la presidente di Confindustria Belluno Dolomiti
Lorraine Berton, è fondamentale. «In un decennio il manto nevoso sulle Alpi si è ridotto del 5,6%. Il mondo è in trasformazione, cambiare è una scelta obbligata». Confindustria è già al lavoro con progetti di ricerca e, in maggio, un seminario su come i cambiamenti climatici impatteranno sulla distribuzione della popolazione in provincia. «Belluno ha tutte le carte in regola per diventare punto di riferimento sull'impatto che i cambiamenti climatici hanno e avranno sul territorio e le comunità che lo abitano».IL FUTURO DELLE IMPRESELa riflessione è quanto più necessaria perché sul territorio c'è chi fa impresa. E c'è chi viene ad investire anche da fuori: «Siamo fortunati che ci siano queste persone, sarebbe gravissimo che qualcuno si allontanasse dal territorio per alcune dichiarazioni insensate che ho letto in questi giorni, come "La testa è fuori dal territorio"», la stoccata di Berton legata alle uscite sulle crisi aziendali di stringente attualità. «Belluno è nel mondo per il suo turismo, ma anche grazie alla manifattura».PUNTARE SUI SERVIZIDopo i saluti dell'assessore del Comune di Belluno Paolo Luciani, il convegno è entrato nel vivo con il panel politico-amministrativo. «Viviamo già nel futuro. E queste terre non possono permettersi di rimanere indietro», il messaggio lanciato dal condirettore dei quotidiani veneti di Gedi, Paolo Cagnan, per introdurre gli ospiti.Guidati dal vicedirettore, Luca Traini, l'assessore regionale Francesco Calzavara, il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin e il presidente di Uncem Marco Bussone, hanno ragionato sul futuro della montagna. Fondamentale è «dare servizi», ha detto Calzavara, come la connessione internet. Lo è nel post pandemia, che ha aperto la strada allo smart working e, quindi, alla possibilità che alcune fasce di lavoratori decidano di spostarsi a vivere in contesti più piccoli, a contatto con la natura. In montagna, magari. A favorire il trasferimento, del resto, può essere proprio il cambiamento climatico, ha aggiunto Padrin: «Si fa sempre più fatica a vivere in pianura, per l'innalzamento delle temperature. Ma ovviamente a chi vive nelle terre alte dobbiamo garantire servizi, trovando le risorse necessarie». L'evento Olimpiadi va sfruttato anche in questo senso, secondo il presidente della provincia di Belluno: «Non dobbiamo pensarlo solo come a 15 giorni di gare», ha aggiunto Padrin. Ma come un evento che porterà infrastrutture. E che si può "sfruttare" anche per migliorare gli impianti di risalita, in tutta la provincia.
DIFFERENZIARE L'OFFERTAProprio gli impianti sono nel mirino di Marco Bussone, che nei giorni scorsi ha scatenato un certo dibattito nel porre una questione: definrie la quota sotto la quale non vale più la pena investire risorse pubbliche per far sciare gli appassionati. «Dire che in futuro dappertutto avremo la neve per sciare non è possibile», la sua premessa. «Scegliere oggi su dove investire o meno nell'innevamento artificiale significa guardare al futuro». Un futuro in cui, per Bussone, si deve puntare a migliorare il sistema dell'accoglienza turistica e a «differenziare l'offerta». Senza «dare mancette al territorio», ma con una politica che sappia affrontare i problemi e trovare le risposte che servono.LA NEVE FATTORE CHIAVE E TRAINANTE«Oggi dire "Non investiamo più sul sistema neve" sarebbe un suicidio». A vedere ancora tante opportunità nello sci e nell'indotto che garantisce è stata Valeria Ghezzi, presidente nazionale di Anef, che ha aperto il secondo panel, moderato dalla giornalista di Nord Est Economia Roberta Paolini.Come coniugare sviluppo e sostenibilità? Per Ghezzi si sbaglia approccio: «L'impianto di risalita è un mezzo di trasporto per raggiungere per terre alte. Ed è sostenibile, perché funziona a energia elettrica, nel 90% dei casi rinnovabile. Il tema della sostenibilità è più ideologico che reale». Fatta questa premessa, Ghezzi ha ricordato che «la montagna deve rimanere abitata, e per fare questo servono le infrastrutture. Il vero problema è costruire bene, con criteri che sono ben presenti nei nostri imprenditori». La neve «è ancora un fattore chiave e trainante del turismo e dell'economia dei nostri territori. Certo, non può essere l'unico», ha aggiunto.Ma è anche vero che «nessun privato investirebbe sull'impiantistica sciistica che avesse anche solo il minimo dubbio che nel 2050 non ci sarà più neve per sciare». Anche Ghezzi ritiene sia importante destagionalizzare e garantire servizi che vanno oltre lo sci, ma più che di «riconversione del prodotto turistico» preferisce il termine «evoluzione». È capitato, in passato, che non nevicasse. «1988, '89 e '90: due inverni senza neve e senza impianti di innevamento artificiale», ha ricordato. Allora gli impiantisti capirono che dovevano evolvere, e investirono sui cannoni prima, i laghi da cui pescare l'acqua poi. CAMBIARE APPROCCIO Diametralmente opposto il pensiero di Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente: «Prima si poteva pensare di risolvere la mancanza di neve usando quella artificiale. Oggi dagli studi scientifici emerge che investire su impianti a bassa quota non conviene». Lazzaro invoca un cambio di passo, un modello di sviluppo diverso con un'offerta diversificata».Uno sviluppo «che difenda i valori e l'integrità del territorio», quello proposto dalla Fondazione Dolomiti Unesco e dalla sua direttrice Mara Nemela. E che non faccia della montagna «un quartiere della pianura», ha concluso Renato Frigo, presidente del Cai Veneto. «La montagna è cambiata e il cambiamento va governato. Bisogna offrire servizi, saper usare gli spazi in modo corretto senza sovraccaricare alcune zone. Gli impianti di risalita? La montagna è sopravvissuta grazie ad essi, ma occorre individuare un limite oltre il quale non spingersi, perché la montagna non può essere urbanizzata come la pianura».
© RIPRODUZIONE RISERVATACorriere delle Alpi | 17 Febbraio 2023
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Platea consapevole
i commenti
Vivo interesse a capire come la montagna sta cambiando, per quanto tempo ancora si potrà sciare; se la siccità si ripeterà e se le temperature sempre più alte recheranno danno alle terre più alte o se, al contrario richiameranno genti dalle città strette dalla calura. Il parterre di autorevoli operatori ed amministratori ha registrato, a Palazzo Bembo, presenze ben oltre quelle prevista. Tale era l'attesa, E nessuno si è mosso dal proprio posto prima che si concludessero le due ore di puntuale confronto. Con commenti nient'affatto scontati, alla fine. Nessun negazionista rispetto ai cambiamenti; semmai l'esigenza di ulteriori riflessioni per maturare scelte che siano
davvero sagge. «Magari con ulteriori, auspicabili iniziative», suggerisce Ester Cason Angelini, dell'omonima Fondazione, «che aiutino i giovani a prendere ulteriore consapevolezza della posta in gioco. Perché il futuro della montagna bellunese li deve vedere protagonisti anche negli adattamenti ai cambiamenti climatici, visto che dovranno essere loro a ri-abitare le terre alte».Per Ennio Vigne, presidente regionale dell'Uncem e del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, non ci sono dubbi: «Non si è trattato del solito convegno, ma di un'opportunità che proprio ci voleva: per approfondire, discutere e programmare il futuro». I cambiamenti climatici sono, a suo avviso, sotto gli occhi di tutti. «Il 2030 è domani, se sbagliamo le scelte in questo momento compromettiamo il nostro futuro». Dopo la presa d'atto, però, bisogna individuare le risposte. «E non si dica - quasi ammonisce il presidente Vigne - che ci mancano le risorse economiche. La provincia di Belluno non ne ha mai viste tante. E abbiamo una vetrina che tra qualche anno ci metterà al centro del mondo. Non possiamo sbagliare. Dobbiamo abituarci a fare squadra di più, e sulla base degli spunti di questo convegno, che sono stati rilevanti».Alternative, si diceva. «Il futuro è sicuramente il Parco presente nel territorio, che diventa un volano economico. Un territorio tutelato diventa appetibile per il turista. Dovremo acquisire una mentalità turistica anche nelle zone non vocate».Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore, vive nel cuore del clima che cambia: ai piedi della Marmolada. «Il ghiacciaio della Marmolada l'ho visto ritirare nel corso degli anni, ci vivo sotto per molti mesi d'estate, è visibile ad occhio nudo che si sta ritirando», testimonia. E proprio lui, in Val Pettorina, ha vissuto in prima persona il disastroso evento di Vaia. «È un'altra dimostrazione dei cambiamenti climatici, così pure le semi-alluvioni che abbiamo avuto dopo Vaia, quindi bisogna prendere atto di tutto questo. Credo però», aggiunge il sindaco, «che la montagna vada vissuta; non possiamo partire tutti dalle quote più alte e venire in Valbelluna. Gli impianti di risalita e le attività collegate, per lo meno quelli esistenti, sono una delle cose essenziali per aiutarci a vivere lassù. Finchè sarà possibile. Quindi se fra 20-30 anni sarà dimostrato che non nevicherà più ne prenderemo atto, verranno rimesse in moto altre attività, ma al momento la zona di Rocca Pietore, che aveva assolutamente bisogno di lavorare, quest'inverno vive grazie allo sci».Ma in valle già si sta profilando una delle possibili alternative: i Serrai di Sottoguda. «Sono ricercati tantissimo per chi fa il giro della Grande Guerra. Ho tutta l'intenzione di riaprirli entro la fine del mio mandato. Conto che nel 2024 i Serrai siano pronti o in prossimità di esserlo».«Per fortuna che ci sono questi eventi; per capire», commenta Marco Grigoletto, presidente regionale dell'Anef. «Da questa sera ne sappiamo tutti un po' di più, al di là delle analisi frettolose. Dovremmo essere tutti più prudenti, in verità», continua, mentre lo affianca la sua presidente nazionale, Valeria Ghezzi, «nel valutare sia i cambiamenti climatici sia le trasformazioni nell'arco montano, perché c'è un cambiamento che porterà eventi estremi, come 4 metri di neve, ma anche 0. Quindi si tratta ancora di studiare. Ed è chiaro che la stagione invernale o lo sci non potranno, anzi non dovranno finire domani, perché sono l'unico anello economico che fa funzionare l'economia di tante valli».Secondo Grigoletto, ci dovranno essere valutazioni fatte in una prospettiva almeno ventennale per cercare soluzioni alternative.La sintesi la tira Bepi Casagrande, sindaco di Pieve di Cadore, che i temi delle alte quote li conosce, da alpinista, come le sue tasche. «L'incontro del Corriere delle Alpi è stato positivo, un'occasione per riflettere sul futuro della montagna. Avevamo tantissimo bisogno di questa riflessione. Credo che meriti il prendere in considerazione alcuni spunti per la programmazione futura. Mi si permetta di insistere sull'idea di prendere i giovani e domandare loro cosa vogliono per il futuro. È fondamentale. Sentiamoli. Teniamone conto delle soluzioni che prospettano». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 10 Febbraio 2023
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«Rifugio, ditemi se posso aprire»
luigi oss papot
CANAZEI
«Voglio risposte. Voglio chiarezza». Sono passati 7 mesi da quando la "regina delle Dolomiti", la Marmolada, ha mostrato a tutti la sua brutale potenza. Sono passati 7 mesi dalla tragedia, dalle convulse prime fasi di gestione dell'emergenza, dalle prime domande cui non si sapeva ancora dare risposta. Ma ora Luca Toldo, gestore del rifugio Capanna di ghiaccio a 2.700 metri su quella montagna dall'aura magica, non può più attendere risposte che non arrivano.«Sono mesi che chiedo un incontro in Provincia - racconta Toldoperché ho bisogno di risposte. A 7 mesi da quando è avvenuta la tragedia ancora non so se potrò riaprire o quando eventualmente potrò riaprire. Nessuno in Provincia, da Fugatti ad altri responsabili, ha tempo per incontrarmi. Nessuno risponde più alle mie mail, alle pec, alle telefonate. Ma io ho un'azienda in Marmolada, le banche non aspettano».La questione è diventata ormai urgente perché, come racconta Luca affiancato dalla sorella, è già tardi per progettare la stagione alle porte: «Posso mostrare - prosegue Toldoquante mail già mi arrivano per prenotare pernottamenti in Marmolada quest'estate, quante persone mi chiedono anche dall'estero se sarò aperto per raggiungere il rifugio. Ma io cosa posso rispondere? Devo ammettere che non lo so. Ma fare questo equivale a perdere clienti. E poi, se venisse presa la decisione di riaprire, in Provincia si chiedono come posso fare a trovare del personale più passa il tempo? Stiamo parlando di un rifugio in Marmolada, a 2.700 metri di quota. C'è difficoltà a trovare persone disponibili».Per questo Luca Toldo, nell'ottobre scorso, aveva anche lanciato una raccolta fondi sulla piattaforma online gofundme.com (che ad oggi ha
accumulato 8.800 euro) per cercare letteralmente "rifugio" e cercare un aiuto a fronte degli importanti investimenti fatti per aprire la Capanna di ghiaccio nell'inverno 2021-2022. Perché, nonostante la montagna sia praticamente off-limits dal 3 luglio dell'anno scorso, Toldo sta proseguendo a pagare l'affitto; Toldo ha ancora tutte le provviste su, al rifugio, probabilmente prossime alla scadenza, che devono essere portate a valle. «Ma come? Quando?» si chiede il gestore. «Nei prossimi giorni in Marmolada prevedono -23 gradi. Bisogna vedere se i viveri resisteranno o si avvieranno al deperimento».Toldo, in tutto questo, tiene però a sottolineare una cosa: «Non cerco di impietosire nessuno, non cerco la carità. Semplicemente voglio risposte. Voglio che si sappia che molte persone oggi sfuggono e pare mi evitino, quando invece nei giorni a ridosso della tragedia facevano la fila per mostrarsi alle telecamere. Ora che si sono spenti i riflettori non interessa più dare delle risposte?».Quando successe la tragedia Toldo, che era in servizio al rifugio (la stagione iniziò a metà giugno e praticamente è durata poche settimane, dopo mesi di sacrifici ed investimenti), fu tra i primi ad intervenire e cercare di prestare soccorso, mettendo poi a disposizione la Capanna di ghiaccio per i soccorritori ed i tecnici: «Si chiama rifugio per questo - sottolinea - perché deve dare rifugio, quello che ho fatto, l'ho fatto col cuore. Ma ora le risposte che non arrivano, le telefonate e mail senza risposta, sono troppe. Possibile che, a telecamere spente, nessuno abbia tempo mezzora per incontrarmi, per dirmi come stanno le cose, per darmi le risposte di cui ho bisogno?».
Corriere del Veneto – Treviso e Belluno | 15 Febbraio 2023
p.10
Il treno (fantasma) delle Dolomiti «L’ultimo incontro fu due anni fa»
Moreno Gioli
Belluno
C’era una volta il Treno delle Dolomiti. Lanciato in pompa magna nel 2017 dal governatore Luca Zaia in persona: innovativo, sostenibile, etico, sul modello del treno della Val Venosta, applaudito in maniera bipartisan da tutte le forze politiche, doveva essere il fiore all’occhiello infrastrutturale del Veneto che si preparava ad ospitare i Mondiali di sci alpino a Cortina. Ai Mondiali poi si sono aggiunte le olimpiadi invernali. E l’idea del treno che collega Venezia a Cortina ha preso ancora più vigore. Da allora di treno delle Dolomiti si è parlato molto e a lungo.
Per i costi (un miliardo di euro la spesa totale prevista) ma prima ancora per il tracciato. Oggetto di un’infinita querelle che ha messo a nudo l’incapacità di fare squadra del Bellunese. I sindaci del Cadore, sollecitati dalla Regione a scegliere tra le due opzioni messe sul piatto (il tragitto da Calalzo a Cortina lungo la Valboite o quello che passa per Auronzo e la Val d’Ansiei) alla fine non hanno saputo far di meglio che partorire un terzo tracciato, figlio illegittimo dei primi due. Per tacere della quarta proposta, avanzata dall’Agordino, che mirava a risalire la valle del Cordevole per poi raggiungere Cortina con una galleria di 12 km, da Caprile. La Regione, alla fine, ha deciso per tutti: il treno salirà lungo la Valboite. La strada più breve. Ma un braccio, sempre da Calalzo, arriverà fino ad Auronzo.Ma questa, ormai, è storia. Il presente dice che il Treno delle Dolomiti pare avviato ad un binario morto. E’ uscito piano piano dal dibattito pubblico. Non se ne parla più, se non a precisa domanda. L’ultimo esempio lunedì, al convegno organizzato da Confindustria Belluno
Dolomiti sulle infrastrutture in ottica olimpica. Si è parlato di tutto, dallo sbocco a nord (un evergreen) al necessario potenziamento dei collegamenti intervallivi, a come raggiungere più agevolmente la Pedemontana veneta.
Sul Treno delle Dolomiti nemmeno una parola. Neppure da parte dell’assessore regionale Elisa De Berti. Che a metà dicembre, intervistata sul tema, disse: «Stiamo andando avanti, ad inizio anno (2023, ndr) faremo il punto della situazione con la Provincia, Rfi e tutti i soggetti interessati». Ed invece, per adesso, niente. «Non ho nessuna notizia in merito – ammette il presidente della Provincia, Roberto Padrin – l’ultimo incontro, con tutti i sindaci, è quello che ci fu a Villa Patt di Sedico nel giugno del 2021». In quell’occasione venne fuori che per garantire la sostenibilità economica dell’opera sarebbe necessario spostare su rotaia il 30% dell’attuale traffico privato su gomma.
«Su incarico della Regione – prosegue Padrin – ci siamo incaricati portare avanti uno studio sulle abitudini degli studenti, in collaborazione con le Scuole in Rete, per capire come potrebbe cambiare lo scenario con il treno delle Dolomiti funzionante». I risultati, spiega Padrin, sono pronti: «Ma non sono di facile interpretazione. Vorremmo anche presentarli ufficialmente, proprio assieme all’assessore De Berti».
Corriere del Veneto | 16 Febbraio 2023
p. 10, edizione Treviso - Belluno
Treno delle Dolomiti De Berti: «Nessuno stallo il progetto è strategico»
Scintille con la Provincia: riunione a gennaio, Padrin si informi
Moreno Gioli BellunoIl Treno delle Dolomiti non è un convoglio fantasma. Anzi, il progetto va avanti. L’assessore regionale ai Trasporti Elisa De Berti rassicura sull’impegno per la ferrovia tra Calalzo a Cortina. E replica al presidente della Provincia Roberto Padrin, critico sulla mancanza di informazioni sullo stato dei lavori. «Leggo con sorpresa e preoccupazione l’affondo di De Berti soprattutto per i cittadini bellunesi le dichiarazioni del presidente Padrin che dice che non ha più notizie da due anni del progetto del Treno delle Dolomiti: lo informo che l’ultimo incontro, tenuto dal tavolo tecnico di coordinamento previsto dal protocollo d’intesa, risale a poco meno di un mese fa, all’11 gennaio. Al tavolo, dove i rappresentanti della Provincia erano presenti, la Provincia stessa partecipa proprio con il ruolo di portare la voce dei Comuni che rappresenta». Continua De Berti: «Preciso che al tavolo della Regione c’è anche un rappresentante tecnico della Provincia di Belluno: non sono certo io a dovermi fare carico di controllare che informi il suo presidente». Nessun passo indietro, quindi, gli incontri proseguono: il prossimo sarà a marzo. Resta il fatto che a oltre cinque anni e mezzo dalla presentazione del progetto (era il 17 luglio 2017 quando il presidente Zaia, nella sala conferenze del Genio civile di Belluno, promise che il Treno delle Dolomiti sarebbe stato pronto «in dieci anni») di concreto c’è ancora poco. «Il progetto, complesso ed ambizioso, è allo studio dei tecnici di Rfi, Regione e Provincia e, come è immaginabile, presenta importanti criticità non solo dal punto di vista di sostenibilità economica, ma anche ambientale e paesaggistica continua De Berti . Come Regione vogliamo che le risorse pubbliche siano spese con attenzione e non per progetti faraonici che si rivelano poi non realizzabili». Nel 2021, dopo che i sindaci bellunesi non si accordarono su un tracciato condiviso, la Regione diede il via libera a quello in Valboite con braccio d’allungamento ad Auronzo. A giugno la nascita del tavolo tecnico con alla Provincia il compito di portare avanti uno studio (con dati e numeri) sulla potenziale domanda di mobilità. I risultati, da quello che trapela, non sarebbero molto incoraggianti e anche dal punto tecnico il progetto presenterebbe problematiche di non facile risoluzione. In ogni caso, la partita non è chiusa. «Il Treno conclude De Berti e il miglioramento dell’accessibilità nel Bellunese, verso una mobilità sempre più integrata, efficiente e sostenibile non è una battaglia di parte, ma un gioco di squadra che deve consentire di giungere a un risultato in cui tutti siano vincitori».
Alto Adige | 21 Febbraio 2023
p. 23
Funivia Tires, c'è il ricorso degli ambientalisti
BOLZAnO.
Le associazioni ambientaliste e alpinistiche dell'Alto Adige contro la funivia cabrio di Tires. Mountain Wilderness, Cai, Avs, Dachverband, Heimatpflegeverband hanno avviato un'azione legale contro l'impianto. Ricordiamo che la cabina da 60 posti (portata 400 persone per ora per direzione, ndr) collega la Val di Tires con il Catinaccio. Dalla località di San Cipriano, in 7 minuti, si raggiunge Malga Frommer nell'area sciistica Carezza Dolomites e l'area escursionistica del Catinaccio. La cubatura sanata I ricorrenti ricordano che per permettere la costruzione della funivia Tires-malga Frommer, la società "Tierser Seilbahn" avrebbe dovuto richiedere e ottenere l'autorizzazione paesaggistica prima dell'inizio dei lavori. Al contrario, durante la fase di costruzione, la classica funivia si è trasformata in una funivia cabrio. Le stazioni di valle e di monte sono state modificate per permettere l'accesso al tetto della cabina, costruendo 973 metri cubi in più rispetto al progetto autorizzato, quindi con un maggior impatto paesaggistico. La legge provinciale territorio e paesaggio stabilisce - come nel resto d'Italia - che le autorizzazioni paesaggistiche non possono essere rilasciate retroattivamente. In assenza di autorizzazione paesaggistica, è necessario ripristinare lo stato originario dei luoghi. La Tierser Seilbahn, i Comuni e la Provincia si sono accordati su quella che gli ambientalisti definiscono "procedura bizzarra": alcune parti degli edifici sono state rese inaccessibili, per compensare la volumetria costruita in eccesso, "come se queste non impattassero sul paesaggio".Le associazioni ambientaliste e alpinistiche temono che questo modus operandi diventi la prassi, di qui il ricorso congiunto al Tar. «Se in futuro questa pratica venisse applicata in tutta la provincia, probabilmente si verificherebbe una edificazione selvaggia e, qualora l'abuso venisse scoperto, sarebbe sufficiente rendere inaccessibili alcuni volumi».Il piano mobilitàIl Comitato ambientale provinciale, originariamente, aveva prescritto - per autorizzare il progetto della funivia - che venisse presentato il piano per la mobilità di Passo Nigra. Obiettivo: sgravarlo dal traffico turistico e motorizzato individuale. Il progetto di mobilità però - sempre secondo i ricorrenti - non è ancora stato sviluppato, né tanto meno implementato; la funivia al contrario è già stata costruita, anche più grande di quanto inizialmente autorizzato. Sarà il Tar a stabilire se quanto è stato fatto è lecito o no.La societàIn una nota diffusa ieri, la società "Tierser Seilbahn" prende atto del ricorso delle associazioni ambientaliste e si dice tranquilla, in quanto "i fatti contestati sono già stati esaminati in dettaglio dagli uffici provinciali e dalla Procura della Repubblica". Secondo la società, anche in base alla giurisprudenza
consolidata, il progetto di sanatoria è ammissibile. Contrariamente a quanto sostenuto dalle associazioni, non si tratta di un "trucco", ma dell'applicazione della legge.©RIPRODUZIONE
Corriere dell’Alto Adige | 21 Febbraio 2023
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Tires, ricorso contro la nuova funivia «La sanatoria precedente pericoloso»
Chiara Currò Dossi BOLZANO
«La sanatoria della funivia di Tires non diventi un precedente». Con la speranza che diventi un principio da scolpire su pietra, gli ambientalisti di Mountain wilderness, Dachverband, Avs, Cai e Heimatpflegeverband hanno spostato la partita al Tar, impugnando l’atto col quale la Provincia ha sanato le irregolarità dell’infrastruttura. «Il sistema è semplice afferma Carlo Zanella, presidente del Cai : prima si costruisce come si vuole, poi arriva il condono. Se lo si applicasse anche al resto del territorio, assisteremmo a un’edificazione selvaggia. E di progetti in cantiere ce ne sono già diversi. Dal collegamento di monte Cavallo, a quello di monte Gitschberg».
L’epopea dell’impianto che collega San Cipriano a malga Frommer si trascina da oltre un anno. Realizzare ai piedi del Catinaccio la prima cabinovia «cabrio» d’Italia era costato, alla Funivia Tires Spa, 15,5 milioni di euro, per il 75% coperti da contributi pubblici (11,3 milioni). Dopo l’inaugurazione, il 10 febbraio dello scorso anno, il 18 marzo era arrivata l’ordinanza del sindaco di Tires, Gernot Psenner, che disponeva «l’immediata sospensione dell’esercizio» per la mancanza del certificato di agibilità della stazione a valle e del nullaosta necessario all’esercizio. E il 21 marzo l’impianto era stato fermato. Otto mesi e una «bandiera nera» di Legambiente dopo, il 23 novembre, era arrivato il verdetto della Conferenza dei servizi: la funivia poteva essere risanata «sigillando i vecchi volumi, senza demolire l’eccedente». E così avvenne: i volumi aggiuntivi vennero riempiti di terra, e i Comuni di Tires e Nova Levente avevano rilasciato le licenze. L’impianto era rientrato in funzione a dicembre . L’operazione, agli ambientalisti, non è mai andata giù. Tanto che da subito avevano dichiarato di voler chiedere l’accesso agli atti, «per prendere visione del protocollo sottoscritto tra Provincia e Procura della Repubblica, e del parere della Conferenza dei servizi», per poi decidere i passi successivi da compiere. Che si sono concretizzati ora in un ricorso al Tar. «In base alla legge provinciale Territorio e paesaggio scrivono in una nota congiunta , la Funivia Tires Spa avrebbe dovuto richiedere e ottenere l’autorizzazione paesaggistica prima dell’inizio dei lavori. Invece, durante la fase di costruzione, quella che all’inizio doveva essere una classica funivia si è trasformata in una funivia cabrio, e le stazioni di valle e di monte sono state modificate per permettere l’accesso al tetto della cabina, costruendo 973 metri cubi di volume in più». Con un impatto piu pesante sul paesaggio. «Come nel resto d’Italia continuano , la legge provinciale stabilisce che le autorizzazioni paesaggistiche non possano essere rilasciate retroattivamente. E in loro assenza, è necessario ripristinare lo stato originario dei luoghi. Invece qui, società, Comuni e Provincia si sono accordati su una procedura bizzarra: alcune parti degli edifici sono state rese inaccessibili, per compensare la volumetria costruita in eccesso, come se non impattasse sul paesaggio».
Dall’assessore provinciale all’Urbanistica, Maria Hochgruber Kuenzer, arriva però una rassicurazione: «Quel che è successo per la funivia di Tires è l’eccezione, non certo la regola assicura , perché è stata realizzata nel periodo di transizione tra la vecchia legge Urbanistica e l’entrata in vigore di quella nuova. E soprattutto, non è una sanatoria. In base alle vecchie regole, progetti realizzati in maniera diversa da quanto approvato dall’amministrazione potevano ottenere un condono in cambio del pagamento di una sanzione. Ora non potrà più succedere». Di fatto, sostiene Kuenzer, si è cercato un compromesso alla luce dei fatti. «L’impianto era già stato costruito afferma . Abbiamo chiesto ai nostri legali che cosa si potesse fare, e abbiamo agito di conseguenza». In causa è chiamata anche la Ripartizione mobilità. Da lì, infatti, arrivano gli 11,3 milioni di contributi (congelati, alla luce delle irregolarità, ma versati alla società a dicembre, una volta sanate), e da lì continua ad arrivare la difesa dell’assessore Daniel Alfreider della bontà del progetto. «In Alto Adige abbiamo 360 impianti di risalita dichiara , nati in territori come il nostro, dove il dislivello, rispetto alle altre zone d’Italia, è maggiore. Le funivie non sono solo infrastrutture per attività invernali o turistiche, ma sono parte integrante della mobilità generale della nostra provincia. Tanto più, che nel caso specifico abbiamo co-finanziato l’impianto in sé, non gli edifici, sulla cui regolarità non ci sono mai stati dubbi». Nel merito, le associazioni ambientaliste chiedono di «chiarire il tema relativo al progetto di mobilità sul passo Nigra, originariamente prescritto dal Comitato ambientale per l’autorizzazione del progetto, con l’obiettivo di sgravarlo dal traffico turistico e motorizzato individuale. Il progetto di mobilità però non è ancora stato sviluppato, mentre la funivia c’è».
Corriere dell’Alto Adige | 22 Febbraio 2023
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Passo Santner, doppio esposto sulla cessione dei terreni ai privati
Il dossier del team K a Procura e Corte dei conti: no alla vendita di aree demaniali
Aldo De Pellegrin
BOLZANO La vendita a privati di 900 metri quadri di terreno demaniale sotto il Catinaccio (il Team K la chiama però senza mezzi termini “svendita”) nella conca alpina più famosa dell’Alto Adige, utile per realizzare l’abnorme ampliamento del rifugio di Passo Santner continua a tenere banco ed ora, dopo la bocciatura di ieri in Terza Commissione consiliare provinciale del disegno di legge per evitare nuove vendite di terreni demaniali in aree protette, si trasferirà dalle aule del Consiglio provinciale a quelle del Tribunale. «Ciò che è accaduto non può restare impunito» afferma infatti il Team K, che dopo due interrogazioni alla giunta provinciale e un accesso agli atti presso i competenti uffici, ha deciso di depositare ben due esposti relativi alla vicenda dell’enorme ed abnorme ampliamento del rifugio Passo Santner con relativa vendita a privati di 900 metri di terreno demaniale. Un esposto alla Procura della Repubblica e l’altro alla Corte dei Conti.
I contenuti li illustrerà domani Paul Köllensperger in una conferenza stampa in Piazza del Tribunale. «La Svp, che predica la sostenibilità nei suoi costosissimi ‘convegni-vetrina’, ha deciso di regalare un angolo di paradiso sul Catinaccio sostiene indignato Köllensperger con la conseguenza che, a questo punto, chiunque potrebbe chiedere di acquistare pezzi di Dolomiti, dal momento che non vengono usate ‘a fini istituzionali. É incredibile prosegue il leader del Team K disporre in modo così disinvolto di beni comuni del nostro territorio, per di più di così alto valore paesaggistico, simbolico e anche economico. Casi simili non si possono e non si devono più ripetere!».
Per ripercorre l’accaduto, è successo che, a passo Santner, da un piccolo rifugio di montagna in legno, perfettamente inserito nel contesto, si sia passati a una nuova, enorme struttura dalla cubatura otto volte maggiore, visibile addirittura da Bolzano, che è andata a violare un vero e proprio santuario naturale. Come se questo non fosse sufficiente, in Provincia si è addirittura pensato di vendere il terreno sul quale si trova il nuovo rifugio a un privato. Il nome che circola è quello dell’Obmann della Svp di Siusi. Sempre per il Team K, l’argomento alla base della cessione “quest’area non viene usata a fini istituzionali”: «lascia davvero senza parole così come, e forse ancora di più, il prezzo di vendita di un terreno che dovrebbe essere di inestimabile valore e che invece è stato valutato appena 27.450 euro complessivi, circa 3 mila euro al metro». I fini istituzionali delle montagne non possono assolutamente venire meno ribadisce con decisione il Team K e se: «I rifugi privati presentano motivati progetti che prevedono l’utilizzo di terreno demaniale, quest’ultimo deve essere dato in concessione, ma assolutamente non venduto!». Come detto, per impedire, a quanto è oggi prevedibile ormai solo per il futuro, simili speculazioni ad alta quota, il Team K aveva presentato un apposito disegno di legge che però è stato respinto ieri dalla terza commissione legislativa. In ogni caso, gli esposti in Procura e alla Corte dei Conti su quanto accaduto faranno il loro iter giudiziario e pare lecito aspettarsi anche qualche esito significativo.
Il Nuovo Trentino | 24 Febbraio 2023
p. 10
Rifugio a passo Santner due esposti di Team K
Bolzano
Il Team K ha presentato i due esposti depositati alla Procura della Repubblica e alla Corte dei conti per l'ampliamento del rifugio Passo Santner. «La (s)vendita a privati di 900 m2 di terreno demaniale sotto il Catinaccio per realizzare il mega-ampliamento del rifugio non può restare impunita. Siamo convinti che ci siano tutti i presupposti per un intervento sia della magistratura ordinaria che di quella contabile - sostiene Paul Köllensperger del Team K. Il movimento vuole dare ancora più forza alla sua protesta "contro l'assalto alla montagna" attraverso una petizione online. «Invitiamo tutte e tutti a sottoscriverla» (si trova al link: https://www.change.org/ savethedolomites). Il Team K è intervenuto anche in Consiglio provinciale con un apposito disegno di legge per evitare nuove vendite di terreni demaniali in aree protette. Il disegno di legge è stato bocciato nella commissione legislativa.«A passo Santner, da un piccolo rifugio di montagna in legno, perfettamente inserito nel contesto, siamo passati a una nuova, enorme struttura dalla cubatura otto volte maggiore, visibile addirittura da Bolzano. Non solo, ma addirittura la Giunta ha deciso di vendere la proprietà del terreno al privato, per due spiccioli. L'area svenduta era patrimonio indisponibile, parco naturale, Natura 2000 e patrimonio Unesco ma soprattutto proprietà di tutti noi cittadini dell'Alto Adige. E tale doveva rimanere, per motivi talmente ovvi che è sbalorditivo che Agenzia del
Demanio, ufficio estimo e Giunta abbiano preso le decisioni. O è un motivo più che sufficiente il fatto che tra i nuovi proprietari ci sia un ex-consigliere comunale Svp?»
Alto Adige | 24 Febbraio 2023
p. 10
Santner, «terreno svenduto»
Il Team K presenta due esposti
Bolzano
Criticata demoricostruzione con ampliamento del rifugio passo Santner sul Catinaccio: «Novecento metri quadrati di sito Natura 2000, porzione del parco naturale Sciliar-Catinaccio nonché del patrimonio mondiale Unesco, prima indisponibili e poi svenduti dalla Provincia a un privato per soli 27.450 euro, la metà di quanto costi un garage a Bolzano». Per questo, ieri il Team K ha presentato due esposti, alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti. Nel frattempo, Paul Köllensperger ha annunciato di voler richiedere l'acquisto di altri 900 metri quadrati, accanto al rinnovato rifugio, «naturalmente al medesimo prezzo di favore». Ovviamente una provocazione, come quella avviata l'autunno scorso da Avs e Cai Alto Adige, che avevano formalmente richiesto alla Provincia di poter acquistare rispettivamente le cime dell'Ortles e del Gran Zebrù, sempre al prezzo di 30,50 euro al metro quadro. Come chiariscono ora i rispettivi presidenti, Carlo Alberto Zanella e Georg Simeoni, le due associazioni sono ancora in attesa di una risposta.«La (s)vendita a privati di 900 mq di terreno demaniale sotto il Catinaccio - nella conca alpina più famosa dell'Alto Adige - per realizzare il mega-ampliamento del rifugio passo Santner non può restare impunita. Siamo convinti che ci siano tutti i presupposti per un intervento sia della magistratura ordinaria che di quella contabile», sostiene Paul Köllensperger, che prosegue: «Vogliamo dare ancora più forza alla nostra protesta contro l'assalto alla montagna attraverso una petizione online che invitiamo tutte e tutti a sottoscrivere». Il Team K è intervenuto anche in consiglio provinciale con un apposito disegno di legge per evitare nuove vendite di terreni demaniali in aree protette, bocciato nella commissione legislativa competente.A passo Santner, ricorda il Team K, «da un piccolo rifugio di montagna in legno, perfettamente inserito nel contesto, siamo passati a una nuova, enorme struttura dalla cubatura otto volte maggiore, visibile addirittura da Bolzano, che è andata a violare un vero e proprio santuario naturale». Non solo, ma addirittura la giunta provinciale ha deciso di vendere la proprietà del terreno per due spiccioli. «Mi chiedo - così il consigliere Köllensperger - come sia stato possibile svendere a dei privati un terreno in una location letteralmente unica al mondo». L'area svenduta era patrimonio indisponibile, parco naturale, Natura 2000 e patrimonio Unesco, «ma soprattutto proprietà di tutti noi cittadini dell'Alto Adige. E tale doveva rimanere, per motivi talmente ovvi che è sbalorditivo che Agenzia del demanio, ufficio estimo e giunta provinciale abbiano preso le decisioni che sono sotto gli occhi di tutti». O è un motivo più che sufficiente, si chiede Köllensperger, «il fatto che tra i nuovi proprietari ci sia un ex consigliere comunale Svp?»La vendita di un pezzo di Dolomiti, prosegue, è semplicemente inaccettabile e per il Team K ci sono pure gli estremi per parlare di reato: «La motivazione per la vendita del terreno in questione era che le Dolomiti non hanno fine istituzionale. Se fosse così, chiunque potrebbe comprarsi un pezzo delle Dolomiti. Io sono convinto che la ratio della legge fosse ben altra, per cui voglio che sia la magistratura a chiarire la correttezza dell'atto di vendita, e la Corte dei Conti si esprima sul ridicolo prezzo applicato». Dopo che in consiglio la Svp ha bocciato il disegno di legge del Team K che avrebbe eliminato questa possibilità per il futuro, «restano solo le vie legali, possibilmente con il sostegno di quanti più cittadini possibile». Per dare un forte sostegno a questa azione e un chiaro segnale alla politica, il Team K ha quindi avviato una raccolta di firme online sulla piattaforma change.org. «Invitiamo tutti quanti a sottoscriverla, cliccando il link: https://www.change.org/savethedolomites». DA.PA
Corriere dell’Alto Adige | 24 Febbraio 2023
p. 4
Santner, doppio esposto del Team K
«30 euro al metro quadro non bastano per comprare garage, ma per un pezzo di Dolomiti sì». Paul Köllenspgerger (Team K) ha depositato due esposti sul caso del rifugio a passo Santner: uno alla Corte dei conti per valutare l’adeguatezza del prezzo di vendita («27 mila euro per 900 metri quadri, contro 460 sborsati per 200 dal proprietario del vecchio rifugio»), e uno in Procura per valutare quella della motivazione. «Se è legittimo svendere il patrimonio Unesco per fini non istituzionali, chiederemo alla Provincia di poter acquistare una superficie analoga accanto al Santner». (c. c. d. )© RIPRODUZIONE
Alto Adige | 15 Febbraio 2023
p. 17
Alto Adige | 17 Febbraio 2023
p. 20
Poca neve, non piove quasi mai per i rifugi grave rischio siccità
Bolzano
Scarsità d'acqua, il problema ha cominciato a porsi l'estate scorsa e nei prossimi anni sarà il tema dei temi, quanto meno per i rifugi in quota. Lo confermano Cai e Alpenverein.«I ghiacciai stanno esaurendosi, non nevica, non piove». Taglia corto così Sergio Massenz, responsabile dei rifugi del Cai Bolzano. «In alto l'acqua non penetra nel terreno, non arriva alle sorgenti. A valle, dove c'è un bacino di raccolta più ampio, basta che piova qui o lì e si riesce ad approvvigionarsi. Ma se il rifugio sta in cima o quasi, quando non piove resta a secco». È accaduto l'estate scorsa al rifugio Puez, in Gardena. In pratica un mese senza acqua. Non va tanto meglio al Corno del Renon, che sta in vetta, come il Bolzano al monte Pez, sullo Sciliar. Un po' meglio va al Franz Kostner al Vallon dove, per lungimiranza,
anni fa si era installato un tubo che permetteva di pescare acqua dal sistema di innevamento delle piste. La scorsa estate lo si è utilizzato, come conferma l'ingegner Claudio Sartori del Cai Alto Adige: «Salvati dagli impianti di pompaggio delle piste da sci».«Il peggio - prosegue Massenz - è che abbiamo addirittura ricevuto lettere e email di reclami: i turisti passano, pretendono che la fontanella sgorghi, per riempire la borraccia. Vorrebbero l'acqua corrente dappertutto, non si rendono minimamente conto». È un problema ampio, «già ora, a inizio anno, la Venosta è senz'acqua, e si tratta di una valle...» dice Massenz. E proprio ieri la Coldiretti ha lanciato l'allarme: in Pianura Padana quest'anno verranno coltivati a riso 8.000 ettari in meno, record negativo da trent'anni a questa parte.«Lo scorso fine settimana - prosegue Massenz - sono stato con i giovani del Cai Bolzano a Sarentino: per trovare neve abbiamo dovuto andare in una valletta dove non batte il sole e dal paese, a mille metri di quota, non si vedono cime innevate». Non va bene, si deve cercare di correre ai ripari. «Abbiamo avviato progetti per aumentare la capacità delle cisterne per la raccolta dell'acqua piovana e per il recupero delle acque grigie». La Provincia sta aiutando, ma c'è di mezzo la burocrazia. L'intervento al Puez è slittato all'anno prossimo proprio per poter accedere al finanziamento pubblico. Che per fortuna c'è.L'acqua è indispensabile, in un rifugio. «Per cucinare serve acqua potabile, le riserve delle cisterne non vanno sprecate nei servizi, da utilizzare il minimo indispensabile. Noi da tempo ogni anno stiamo mettendo a posto una sorgente, in modo che l'acqua non sia inquinata. Se ci sono pascoli nei dintorni il rischio c'è». L'acqua viene trattata con raggi Uv, «per ammazzare i germi». Poi si aggiungono le bollicine. «Due servizi in contemporanea, per non dover ricorrere al trasporto di bottiglie di vetro o plastica in quota. Costa e soprattutto si inquina». In questo modo, si tentava di risolvere. Ma adesso che non piove, tipo al Puez, che fare? Non sia mai che si debba ricorrere alle taniche trasportate dagli elicotteri, come inevitabilmente si dovrà fare in certi rifugi, tipo il nuovo Santner. O si pompa da valle, o elicottero. «Noi siamo contrari», conclude. «Costa e poi sono decenni che insegniamo ai ragazzi come comportarsi, come muoversi senza disturbare gli animali».Finora nei rifugi Avs non ci sono stati problemi insormontabili, come conferma il presidente Georg Simeoni. «Ma quello dell'acqua nei prossimi anni sarà il tema dei temi, imminente, per l'intero arco alpino. Me lo confermano i colleghi di Austria, Svizzera eccetera». Non solo un problema tecnico, ma anche culturale. «Si dovrebbe mettere a fuoco un discorso: in quota le persone dovrebbero usare meno acqua. Nei rifugi arriva gente che non pratica la montagna. Non c'è senso di responsabilità. Si lamentano che non ci sono le docce. Ma io dico: se siete in giro solo due o tre giorni, non occorre farsi la doccia tutte le sere». Ora si dovranno studiare nuovi sistemi: «Riciclare le acque cosiddette grige. L'acqua dei lavandini o delle cucine per far funzionare i wc». DA.PA
Gazzettino | 19 Febbraio 2023
p. 3, edizione Belluno
Galassi collegato al Cnr sentinella dell'ambiente
SAN VITO DI CADORE
Cambiamenti climatici in quota. Con i rifugi alpini che potrebbero pagarne le conseguenze. Tra ghiacciai che quasi spariscono ed inverni meno nevosi. Anche la rivista del Cai "Lo Scarpone" ha applaudito alla sperimentazione in atto al rifugio "Galassi", di proprietà del Cai di Mestre, che si trova ai piedi del monte Antelao. È diventato una sentinella dell'ambiente, in quanto dotato di centralina meteorologica. Questo lo scopo, come riportato dalla rivista: "anche i rifugi e i bivacchi se da un lato rischiano di cadere vittima dei cambiamenti climatici, dall'altro possono aiutare ad analizzarli".
NEL MIRINO
Sotto il riflettore l'impatto del riscaldamento globale nei rifugi d'alta quota. Con le varie conseguenze: frane, roccia che si sgretola. Perchè non stiamo assistendo solamente ad una progressiva fusione dei ghiacciai come è evidente in Marmolada ma anche alle conseguenze legate al permafrost che incide sulla compattezza del terreno. Intanto è stata montata la centralina al rifugio Galassi. Ma il programma, come sottolineato da Piero Carlesi, presidente del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano, ad essere monitorata sarà l'intera Penisola italiana: dalle Apuane al Gran Sasso, fino all'Etna. E risultano strategiche in provincia di Belluno, all'interno del progetto promosso da Cai, Cnr, Fondazione Dolomiti Unesco e Ufficio regionale Unesco, anche altre due strutture con osservatorio climatico: il rifugio Città di Carpi a Forcella Maraia, nel gruppo dei Cadini di Misurina, e il Col Margherita, in Comune di Falcade. Ad entrare nella questione del cambiamento climatico in atto sono stati i gestori del Galassi, insieme al presidente del Cai di Mestre, Alessandro Bonaldo: nei giorni scorsi avevano rilevato come la siccità non interessasse solo la pianura, visto che sono sparite quelle lingue di neve primaverile "che permeavano fino a metà luglio la tenda di ghiaccio sotto la cima dell'Antelao". Sempre la rivista "Lo Scarpone" riporta le parole dell'esperto Giacomelli che studia, in particolare, la situazione di Capanna Margherita, sul monte Rosa: «Molto dipende dalla posizione della struttura. Tanti rifugi che si trovano sui ghiacciai spesso sono installati su roccia o su sistemi di accumulo già consolidati. È scorretto portare avanti un allarme generale. Ci sono tuttavia altre strutture che presentano problemi, in particolare stiamo iniziando a controllare con attenzione i bivacchi perché hanno un sedime molto piccolo e spesso sono collocati in posizioni un po' più estreme". (d.d.d)
Il Nuovo Trentino | 23 Febbraio 2023 p. 5
Corriere del Veneto | 7 Febbraio 2023
p. 10, edizione Treviso – Belluno
«Stop allo scialpinismo? Già con l’allarme grado 2»
Barattin (Soccorso Alpino): ci si sente sicuri e si rischia di più
Alice D’Este
BELLUNO
«Ben prima del grado 4. Lo stop dovrebbe essere messo al grado di allerta 3, forse anche al 2. Col grado di pericolo valanghe 4 o 5 generalmente non esce nessuno, anche senza stop pure i più temerari si fermano. Il problema sono i gradi inferiori: le persone si
sentono al sicuro e partono per giri complicati pensando di non essere a rischio. Beh, non è così. Come Soccorso Alpino usciamo molto più spesso in zone con grado 2 o 3 di allerta».
A lanciare un appello dopo tutti i casi di scialpinisti ed escursionisti travolti dalle valanghe nelle scorse settimane è Alex Barattin, delegato del Soccorso alpino e speleologico per le Dolomiti Bellunesi. «Un’ordinanza di divieto come quelle fatte dai sindaci ha senso per i gradi di allerta elevati, 4 o 5, per dire un “no” chiaro spiega Il resto delle situazioni ha una tale variabilità che diventa complicato gestirle. Dovrebbe aumentare la cultura dell’andare in montagna. In alcune situazioni bisogna saper rinunciare».
I numeri della cronaca di queste settimane sono terribili: 11 morti in 12 giorni sulle montagne del Trentino Alto Adige, otto morti nella valanga che ha travolto alcuni sciatori sulle Alpi austriache e un altro morto venerdì pomeriggio nello smottamento nevoso che si è staccato sul Monte Cristallo a Cortina. Lo scialpinista francese, 35 anni, che con una comitiva di connazionali stava scendendo è stato travolto da due metri di neve, trascinato per mezzo chilometro e sepolto dal manto bianco. Ricoverato in condizioni disperate all’ospedale di Trento è spirato domenica, troppo gravi le conseguenze di ipotermia e carenza d’ossigeno.
«Numeri importanti dice Roberto Padrin, sindaco di Longarone e presidente della Provincia Le comunicazioni però ci sono, sul sito web dell’Arpav vengono chiarite le condizioni della neve e il rischio valanghe. Le condizioni meteo spesso sono proibitive. Secondo me soprattutto nelle giornate con temperature elevate bisognerebbe fermarsi. Facciamo appello a un maggior senso di responsabilità delle persone. Imporre le ordinanze? Difficile. A poterlo fare solo i sindaci. Ma anche in quei casi è complicato, le zone non sono omogenee».
L’ordinanza che in molti chiedono a gran voce bloccherebbe (almeno sulla carta) le uscite col grado di allerta superiore a 3. Per il resto tutto demandato alla scelta personale. «Non possiamo impedire alle persone di decidere per loro stesse dice Gianluca Lorenzi, sindaco di Cortina Documentarsi e conoscere i rischi è un dovere per sé stessi prima che per il rispetto di un’ordinanza. Non dovrebbe servire farla. C’è poi un problema di gestione. In alcuni versanti il rischio potrebbe essere diverso da altri, sempre nello stesso comune». Insomma, le ordinanze non arriveranno. Ma qualcosa potrebbe cambiare. «Potremmo, come Comune, pensare ad una comunicazione un po’ più “forte” dice Lorenzi ci penseremo a breve».
Conclude Barattin: «Conta anche la storia del singolo escursionista. Chi viene e magari ha solo una settimana di tempo tenta di dare il tutto e per tutto, a volte a scapito della sicurezza sua e dei soccorritori».
Corriere delle Alpi | 12 Febbraio 2023
p. 16
Cascate di ghiaccio sempre più fragili
L'alpinista: effetto del clima che cambia
IL CASO
E' in corso a Sappada, da ieri e al 19 febbraio, la quarta edizione di Dolomice, il festival di arrampicata su ghiaccio. Con la partecipazione di centinaia di appassionati dell'ice climbing. Siamo, manco a dirlo, nelle giornate più fredde della stagione e l'orrido dell'Acquatona, lungo il Piave, si trasforma nel santuario dell'ascensione delle spettacolari pareti di ghiaccio. Recentemente sono state riattrezzate anche le cascate dello "Specchio di Biancaneve" e prima dell'ingresso della Val Visdende. Ma, a parte il Festival di Sappada, la meta più frequentata, sarebbero i Serrai di Sottoguda, in Val Pettorina. Usiamo il condizionale perché dopo la tempesta Vaia il sito rimane inaccessibile, fino a che non sarà rigenerato in sicurezza. «Va detto, in ogni caso, che i cambiamenti climatici stanno influenzando questa attività sportiva più di altre», interviene Edoardo Fioretti, presidente della Commissione Veneto-Friulana Alpinismo . Anzitutto perché le stagioni invernali contrassegnate da alte temperature, o da temperature che oscillano, sono le meno indicate per uscite sulle cascate. E poi perché se non ci sono precipitazioni abbondanti, insomma se non c'è acqua che gela, l'arrampicatore resta a casa. Insomma, da una cascata si arguisce come, appunto, sta cambiando il clima. «Un tempo - ricorda Fioretti - si diceva che gli inverni più adatti per praticare il cascatismo erano quelli secchi e poveri di neve. Oggi non è più così. Non solo servono le precipitazioni. Quindi la siccità è il nemico più severo per i cascatisti. Ma è anche necessario che le temperature non siano troppo fredde». Il ghiaccio, quando è molto cristallino, vetroso, è fragile. Per salirlo in sicurezza dovrebbe essere plastico, ma non troppo, quindi con temperatura d'ambiente intorno ai 5 gradi, non ai 10 o ai 15. Ecco, dunque, che prima di avventurarsi su una parete, bisogna saggiarla. Tra l'altro, informa ancora Fioretti, non è vero che più acqua c'è, più interessante diventa la cascata. «I flussi troppo abbondanti si solidificano con maggiore difficoltà». E in ogni caso, secondo il dirigente del Cai, la prudenza consiglia di tenere in debito conto altri elementi ancora. Tanta neve, ad esempio, non significa tanto ghiaccio, ma piuttosto elevato pericolo di valanghe. «Non si dimentichi che numerose cascate si trovano spesso al fondo di veri e propri imbuti». La stagione in corso non si presenta, dunque, al meglio. «L'escursione termica durante il giorno, così notevole in tanti ambienti, va considerata puntualmente dagli arrampicatori, perché il ghiaccio, al limite, si trasforma di ora in ora. Gli sbalzi continui incidono sulla sicurezza. E, si badi, non è solo una questione di caldo, ma anche di improvvise ondate di freddo che rendono le strutture più rigide e quindi più esposte al rischio di crolli». Per ovviare alle difficoltà climatiche la pratica del ghiaccio, in molte zone delle Alpi è stata agevolata dalla nascita di numerose strutture semi artificiali che sfruttano salti di roccia naturali a cui viene portata l'acqua tramite tubi e captazioni. Una pratica sulle Dolomiti ancora non diffusa. «Quest'attività sportiva è in crescente diffusione - afferma Fioretti - perché di fatto è un prolungamento dell'arrampicata estiva, quella in falesia o in palestra, quindi a portata "popolare". Si arriva sul posto in auto ed è sufficiente percorrere qualche centinaio di metri per
essere alla base della cascata. Non occorre faticare attraverso lunghe ore di avvicinamento. Proprio per questo è raccomandata la prudenza». E' anche una pratica costosa. Un chiodo da ghiaccio costa tra i 60 e gli 80 euro. La piccozza è del tutto speciale, quindi ha anch'essa un costo importante. Da qui l'esigenza, come sottolinea l'esponente del Cai, di una preparazione specifica che matura soltanto grazie alla frequentazione di corsi. Come, appunto, quelli che vengono organizzati dallo stesso Cai. Francesco Dal Mas©
Gazzettino | 23 Febbraio 2023
p. 2, edizione Belluno
Elicottero-taxi: casi raddoppiati
Un aumento inarrestabile: dal 2016 al 2022 gli escursionisti illesi in vetta che chiedono aiuto al soccorso alpino sono saliti di quasi il 50%. I recuperi sono passati da 388 a 569: +46,65% per l'esattezza. È il dato che spicca nella fotografia fatta ieri mattina dal Soccorso alpino nella sede del Servizio regionale in Via dell'Artigianato a Belluno degli interventi e l'attività 2022. Anche le persone totali soccorse sono in crescita del 15% rispetto al 2021. Ma di pari passo, come si diceva, aumenta chi sale in vetta da sprovveduto e chiede aiuto all'elicottero, usandolo quasi come taxi: il 40% delle persone soccorse nel 2022. «E non ne facciamo una questione di soldi ha detto il delegato delle Dolomiti bellunesi, Alex Barattin -. Il problema è che capita che serva l'elicottero per situazioni emergenziali e magari Falco è in volo per recuperare una persona illesa». Dell'elevato numero di persone illese recuperate (569) «la maggior parte ha problemi in montagna a causa di imperizia, scarsa forma fisica, inadeguata attrezzatura e arsa preparazione», ha aggiunto Barattin.
LA PREMESSA
Continuano ad aumentare negli anni gli interventi di persone infortunate o in difficoltà sulle montagne del Veneto, 1.183 nel 2022 gli interventi, mentre sono 1.333 le persone soccorse. A fare il punto ieri il presidente del Soccorso alpino e speleologico Veneto Rodolfo Selenati, il delegato del Soccorso alpino Dolomiti Bellunesi Alex Barattin, il vicedelegato del Soccorso alpino Prealpi Venete Luca Nardi. In particolare è stato Selenati a a sottolineare sin dalle prime battute il numero importante delle persone illese che hanno comunque fatto muovere l'elicottero del Suem. Un dato confermato anche dal primario di Pieve di Cadore, Giulio Trillò, che ha riferito come «sono state emesse molte fatture rispetto ad anni precedenti, ma non tutti pagano. Di norma le persone che arrivano da paesi europei sì, anche perché quasi tutti hanno l'assicurazione. Lo stesso gli americani. Troviamo resistenza con i connazionali, per esempio n alcune regioni non si paga e quindi trovano strano doverlo fare da noi». Eppure muovere Falco costa circa 120 euro al minuto.
GLI EVENTI
Caduta e scivolamento sono sempre all'origine degli incidenti, mentre l'escursionismo è la disciplina maggiormente rappresentata. In aumento le emergenze sulle ferrate, i recuperi di vele e ciclisti su bici a pedalata assistita. Un abbraccio è stato dato, virtualmente, alle famiglie delle vittime della Marmolada e a quella dell'istruttore regionale Cnsas e guida alpina Paolo Dani. Il delegato Alex Barattin ha quindi sottolineato il ringraziamento a tutti i volontari delle 28 stazioni e alle loro famiglie, «senza dimenticare i datori di lavoro che ci permettono di intervenire». Sono state sottolineate le fondamentali collaborazioni con la Regione Veneto, assessorato alla sanità e Protezione civile, con i Suem provinciali, con il Soccorso alpino della Guardia di finanza, con Dolomiti Emergency e Arpav.
LA RETE
In collegamento il direttore del Suem di Padova Andrea Spagna e il direttore del Creu Paolo Rosi, che ha sottolineato come i volontari del Cnsas e tutta l'organizzazione sia «un partner indispensabile e voi fate parte a pieno titolo dell'emergenza sanitaria perché senza di voi non arriveremo a tutti i pazienti. Purtroppo gli interventi aumentano, è il segnale che sono tornati i flussi turistici che c'erano un tempo». «Sul soccorso siamo un punto riferimento a livello nazionale e internazionale ha precisato il dottor Rosi -. Per come garantiamo la sicurezza e il soccorso e questo è un asset importante. Il prossimo passo è puntare sempre più sulla prevenzione, che sia più propositiva e attiva. Spesso infatti, è stato detto, ci muoviamo per persone che avrebbero potuto tornare con le propri gambe a casa, credo siamo i migliori testimonial per promuovere la sicurezza. Grazie ai vostri volontari». Il primario del Suem di Padova, Andrea Spagna: «Col Corpo nazionale di Soccorso alpino collaboriamo da diversi anni, fino allo scorso anno solo per attività con mezzi terrestri, la scorsa estate si è aperta la sperimentazione in alcune giornate anche con l'elisoccorso, un'esperienza positiva». Oltre a Padova anche a Cortina d'Ampezzo si è aperta la sperimentazione con una base aggiuntiva: l'elicottero Dolomiti Emergency ha maturato ben 166 missioni in due mesi.
Federica Fant
Gazzettino | 23 Febbraio 2023
p. 3, edizione Belluno
«Montagna scambiata per palestra a cielo aperto: solo il 6% assicurato»
Dal Soccorso alpino si leva un'amara constatazione, nel raccontare il bilancio di un anno di attività. «Purtroppo la percentuale di persone non assicurate è molto alta: si parla del 94%», sono le parole del presidente regionale del Soccorso alpino, Rodolfo Selenati. Ci sono dati che rivestono «un rilievo statistico anche alla luce della legge regionale ed il fatto che la stessa imponga che tutti gli interventi di carattere non sanitario prosegue Selenati siano di tipo oneroso, sono rappresentati dallo stato assicurativo delle persone soccorse. Anche nel 2022 la percentuale riscontrata di questi escursionisti coperti da assicurazione si è rivelata estremamente bassa, circa il 94% delle persone soccorse non dispone di un'assicurazione propria che copra le spese di recupero, che testimonia, ancora una volta, come non venga percepita la necessità, ma soprattutto l'utilità, di una polizza che copra le spese in caso di incidente». Risulta pertanto necessario per il futuro, proseguono dal Soccorso alpino «incrementare ulteriormente l'attività di formazione e informazione degli utenti allo scopo di diminuire i rilevanti costi sociali che gli interventi di soccorso comportano».
NAZIONALITÀ
Un problema, quello dell'assicurazione, in particolare degli italiani: gli stranieri in linea di massima sono assicurati. E per quanto riguarda la nazionalità, gli italiani rappresentano circa l'80,9% degli interventi totali, dato in aumento rispetto al 2021 di circa il +7,04%, mentre il rimanente 19,10% del totale, dato in aumento rispetto al 2021 di circa +71,62% è suddiviso tra una ventina di nazionalità tra le quali, in ordine di graduatoria compaiono Germania, Stati Uniti, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Belgio, Regno Unito, Austria, Paesi Bassi Olanda, Romania e altre a seguire.
VOGLIA DI MONTAGNA
Il presidente Selenati ribadisce come il numero di 569 illesi tratti in salvo sia decisamente considerevole. Si tratta di persone in difficoltà per cause diverse o in imminente pericolo di vita. Il dato «rappresenta circa il 42.7% del numero complessivo delle persone soccorse nel 2022, percentuale consistente e che non denota nessuna diminuzione rispetto agli anni precedenti. Difficile a questo punto non concludere le parole di Rodolfo Selenati -che sia in aumento la tendenza ad affrontare la montagna con metodologia irresponsabile e senza un minimo di preparazione fisica, consapevoli forse di poter contare su un efficiente sistema di soccorso». Un aumento che probabilmente è anche derivato dalla crescente voglia di montagna, registrata dopo gli anni della pandemia. «L'aumento di fatto è in parte dovuto a un costante aumento degli appassionati frequentatori della montagna, in parte, purtroppo, dovuto alla superficialità delle persone che affrontano la montagna senza preparazione fisica né tantomeno tecnica e o con attrezzatura non adeguata, non dimenticando il fatto che la montagna è stata vista come area "non contaminata" e per questo presa letteralmente d'assalto dai vari utenti. Il fenomeno è legato anche all'idea di una montagna come palestra all'aperto dove mettere alla prova le proprie prestazioni e non piuttosto di un ambiente severo e ostile che non lascia margine all'errore».
L'ANALISI
Infatti per il 2022 il Soccorso alpini ha effettuato un'analisi: si constata che le case ascrivibili alla mancata preparazione fisica, la perdita dell'orientamento e l'incapacità a proseguire o i ritardi siano leggermente in calo rispetto al 2021, attestandosi al 28,40% dei soccorsi rispetto al 28,8% del 2021, come prima il malore che è da addebitarsi a diverse cause, quali la scarsa preparazione fisica. I malori si attestano all'11,50% con un amento del +2,20% rispetto al 2021. La "caduta" o la "scivolata" raggiungono complessivamente il 36,20%, anche se il trend dell'ultimo quinquennio è in leggera diminuzione, anche se mantiene un valore molto alto nel totale degli interventi. (Fe.Fa.)
L’Adige | 2 Febbraio 2023
p. 33
Parco alla ricerca del direttore
giuliano beltrami
STREMBO
E così Cristiano Trotter esce di scena: torna a casa, nel Primiero, da dove era partito nell'autunno del 2017 puntando il navigatore satellitare su Strembo, sede del Parco naturale Adamello Brenta. Aveva sospeso il suo incarico di direttore amministrativo del Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino, dove ora torna da direttore generale. E a Strembo cosa accade?Il cielo sulla testa del presidente del Parco, Walter Ferrazza, è quello di sempre: sereno, sgombro da nuvole. Quando chiedi cosa succederà ora, detta il cronoprogramma: «Lunedì 6 febbraio andiamo in giunta per emanare la manifestazione di interesse, in modo da capire chi è iscritto all'albo dei direttori della Provincia di Trento; resteremo una decina di giorni in attesa per capire chi dà la disponibilità a venire da noi. A quel punto la giunta sceglierà una rosa di persone con cui effettuare un colloquio, utile per scegliere la rosa di tre nomi con la quale andare davanti al comitato di gestione, cui spetta la scelta del nuovo direttore. Che dovremmo trovare entro il mese di marzo. L'entrata in carica è prevista a partire dal 2 maggio, giorno in cui Cristiano Trotter andrà a ricoprire il nuovo incarico».Ricordiamo che l'attuale direttore arrivò ai primi di ottobre del 2017 a conclusione di un periodo assai turbolento per l'Ente Parco iniziato poco più di un anno prima, quando era stato chiamato dai colli Euganei un forestale esperto di coaching, Silvio Bartolomei, rimasto negli uffici di Strembo
un mesetto, durante il quale ebbe il tempo di rassegnare per ben due volte le dimissioni. La prima volta l'allora presidente Joseph Masè lo convinse a ritirarle e a ridurre il proprio rapporto ad un part-time. La seconda volta Bartolomei se ne tornò definitivamente sui colli. La situazione sfuggì di mano agli amministratori: infatti subentrò un interregno caratterizzato da polemiche feroci, alcune delle quali innescate anche dal direttore uscente. Se ne andò pure la direttrice amministrativa, mentre il direttore facente funzioni, nominato in attesa di un titolare, gettò la spugna, ritirando le dimissioni su forti pressioni della presidenza. Insomma, quel che si dice un periodaccio.Concluso come detto ai primi di ottobre del 2017, quando il comitato di gestione si trovò per scegliere il nome nella rosa di tre proposti dalla giunta, che aveva selezionato fra otto candidati. Erano Alessandro Brugnoli (veronese trasferito in Toscana e poi in Trentino), Ferruccio Masetti (modenese) e Cristiano Trotter, proveniente dal Primiero.La scelta cadde su quest'ultimo, accolto all'unanimità, se si escludono i due rappresentanti dei protezionisti, i quali avrebbero voluto lo scrutinio segreto e accusarono (copyright Adriano Pellegrini) Trotter di essere "espressione dei poteri forti".Da quel momento la Sarca ha portato molta acqua al lago di Garda ed il cielo si è rasserenato. Al posto di Masè è arrivato Ferrazza. Con il 2021 è entrata pure in vigore la normativa voluta dall'assessore Mario Tonina che riduce il Comitato di gestione da 66 membri a meno di 30. Ora finisce l'accoppiata Ferrazza-Trotter, ed il presidente racconta di tracciare «due bilanci positivi: uno personale, perché ci siamo trovati in perfetta sintonia su molte materie, e l'altro professionale, testimoniato dal tanto lavoro fatto. Perché io sono vulcanico, ma lui ha camminato sempre accanto a me». Così dicendo, Ferrazza cita i piani realizzati: «Della comunicazione, della ricerca scientifica, per gli incentivi finanziari. E potrei continuare. Alla base del dinamismo c'è una condivisione di intenti». Che il presidente evidentemente auspica anche per il futuro.
Gazzettino | 2 Febbraio 2023
p. 8, edizione Belluno
Parco, modifiche al regolamento
FELTRE
Cai, Para&Delta club, gli amici della Pedavena-Croce dAune, due Unioni Montane del bellunese e diversi Comuni del territorio feltrino. Sono in tutto 14 le osservazioni che sono arrivate entro i termini previsti all'Ente Parco in merito alla possibilità di presentare delle proposte per rivedere alcune delle norme contenute del nuovo regolamento del Parco delle Dolomiti Bellunesi entrato in vigore poco più di un anno fa. Un regolamento che tanto ha fatto arrabbiare e che ha portato, tra le altre, all'annullamento dell'edizione 2022 della cronoscalata Pedavena-Croce d'Aune.
IL REGOLAMENTO
Il regolamento attuale è entrato in vigore nel 2021, ma la prima bozza risale al 2009. Allora furono organizzate diverse occasioni di incontro e confronto con la cittadinanza e i vari Enti. Quando però il documento è entrato in vigore sono emerse tutta una serie di criticità. La più nota è quella relativa alla corsa automobilistica Pedavena Croce d'Aune. All'interno del testo infatti vi sono degli articoli contrastanti che, dopo un duro braccio di ferro, hanno portato all'annullamento dell'edizione 2022. Ma poi vi sono anche altre criticità, tra cui quella legata alla sentieristica. Insomma, un documento che, essendo stato elaborato 12 anni fa, presenta oggi delle problematiche che vanno risolte. Il presidente del Parco Vigne, vista la situazione che si è creata, ha deciso di avviare un processo di revisione del regolamento così da dare l'opportunità a tutti coloro che lo ritenevano opportuno di presentare osservazioni e proposte.
LE OSSERVAZIONI
I termini per la presentazione delle osservazioni scadevano martedì 31 gennaio. Alla resa dei conti sono stati in 14, tra associazioni ed Enti, a presentare delle richieste di modifica al regolamento. Come spiega il presidente del Parco, «cinque osservazioni sono state presentate da associazioni del territorio quali il Cai, il Para&delta club di Feltre, gli amici della Pedavena-Croce d'Aune e due dal mondo del Canyoning. Ci sono poi due osservazioni presentate dalle Unioni Montane quali Valbelluna e Longaronese, e le altre dai comuni di Belluno, Santa Giustina, Feltre, Sedico, Sospirolo e due da Pedavena. Alcune osservazioni chiedono delle modifiche al regolamento, altre invece chiedono delle non modifiche al regolamento stesso».
IL PROCESSO
Fra quindici giorni l'Ente Parco si riunirà nel consiglio direttivo per vagliare le proposte che sono arrivate. «Nel frattempo illustra l'iter Vigne -, gli uffici faranno una prima valutazione in modo tale che non vi siano cose che vanno contro la normativa. E poi, con il direttivo, le analizzeremo e procederemo con quello che è l'iter previsto in questo caso».
LA POLEMICA
Con la rivolta e le alzate di scudi che ci sono state nei mesi scorsi tutti si aspettavano molte osservazioni. Il numero 14, obiettivamente, è molto basso. Ma soprattutto, come chiude Vigne con un velo di polemica, «chiederemo agli Enti che non si sono espressi come mai non lo hanno fatto. C'è qualche assenza, a nostro avviso, clamorosa». Il presidente Vigne chiaramente si ferma qui. Non entra nel dettaglio. Ma il primo riferimento appare chiaro. Ed è quello al sindaco Camillo De Pellegrin. Il primo cittadino, nell'agosto scorso, si è dimesso dal direttivo dell'Ente Parco dopo la decisione di dare il diniego alla Pedavena Croce d'Aune. Proprio in quell'occasione aveva sottolineato che bisognava dare avvio «alla procedura di modifica dell'articolo in questione per consentire un futuro svolgimento della competizione». Da quanto si apprende però nessuna proposta da lui è arrivata entro i termini. Lascia poi dubbiosi il fatto che nessuna associazione ambientalista abbia presentato osservazioni dato che, alcune perplessità in merito alla gara automobilistica l'hanno più
volte espressa. Vedremo l'evolversi della situazione ma quello che è certo è che la chiusura di questo capitolo è probabile che ne aprirà un altro e non certo senza polemiche.
Eleonora Scarton