Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Agosto 2023

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Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis

R A S S E G N A S T A M P A

AGOSTO 2023

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2 PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA
AGOSTO: MARMOLADA ..................................................................................................................................................... 3 GLI EFFETTI DELLA CRISI CLIMATICA NELLE DOLOMITI 11 IL FUTURO DELLO SCI: LE PROPOSTE DI ANEF .............................................................................................. 14 OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI.................................................................................................................... 15 OLIMPIADI: LA PISTA DA BOB A CORTINA D’AMPEZZO 16 SASSOLUNGO: LA RICHIESTA DI TUTELA 20 NUOVO COLLEGAMENTO ALL’ALPE DI SIUSI.................................................................................................. 25 TURISMO DI MASSA E GESTIONE DEI FLUSSI 26 LA FREQUENTAZIONE DELLA MONTAGNA E IL RUOLO DEGLI INFLUENCER 28 PRUDENZA IN MONTAGNA: IL PROGETTO ...................................................................................................... 29 ARCHIVIO PROCESSUALE DEL VAJONT MEMORIA DEL MONDO: IL RICONSOCIMENTO UNESCO 30 DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI 31 ELIPORTO A CORTINA D’AMPEZZO ................................................................................................................. 31 ELITURISMO: LA DENUNCIA 33 NOTIZIE DAI RIFUGI 34 NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E DEGLI ACCOMPAGNATORI DI MEDIA MONTAGNA................ 40 NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO ................................................................................................................... 41 NOTIZIE DAI CLUB ALPINI 43 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 44 OLTRE LE VETTE: LA RASSEGNA CULTURALE DI OTTOBRE.......................................................................... 47 IMPRONTE DI DINOSAURO SUL TAMER: LA SCOPERTA 46 PATRIMONI MONDIALI IN ITALIA E NEL MONDO .............................................................................................. 47 EDITORIALI E INTERVISTE ............................................................................................................................... 50
DI

MARMOLADA

Corriere del Veneto | 20 agosto 2023

p. 6, edizione Treviso - Belluno

Marmolada, tre gradi in più di quando crollò il ghiacciaio Si studiano teli «copri neve»

BELLUNO Il caldo africano di questi giorni non risparmia la montagna: le previsioni parlano di temperature record sui ghiacciai perfino superiori a quelle che il 3 luglio 2022 sulla Marmolada provocarono il distacco responsabile di undici morti e otto feriti. Il ghiacciaio è di nuovo a rischio: martedì lo zero termico dovrebbe arrivare a 5.200 metri, sulla vetta di Punta Penia, mentre a 3.343 metri d’altezza il termometro potrebbe avvicinarsi a +15 gradi. Un record, almeno da quando a Punta Penia esistono le webcam e gli strumenti meteo professionali della piattaforma «marmoladameteo.it» che registrano il tempo sul massiccio. Il giorno della tragedia, 13 mesi fa, la temperatura era di tre gradi più bassa (+12) rispetto ai +15 ipotizzati.

Flavio Tolin, gestore della stazione meteo, annuncia che una massa d’aria eccezionalmente calda in arrivo oggi dovrebbe portare allo zero termico domani a quota 5.000 metri, per arrivare ai 5.200 metri martedì. «Sono ipotizzabili valori assoluti prossimi ai +15 gradi sulla stazione meteorologica di Marmolada Punta Penia puntualizza Tolin . Situazione molto delicata per la salute del ghiacciaio, considerando che il 3 luglio 2022 si registrarono 12 gradi a 3.343 metri di altezza». Massima attenzione dunque fino a metà della prossima settimana, anche al Club alpino italiano. Umberto Biagiola, presidente del Servizio valanghe, conferma le previsioni di un innalzamento del rischio: «Tutti i modelli matematici ci informano di un aumento delle temperature nei prossimi giorni, che rende pericoloso avventurarsi in escursioni sul ghiacciaio, specialmente nelle ore più calde della giornata, dalle 10 alle 17».

Secondo Legambiente l’orizzonte di durata di vita del più grande ghiacciaio delle Dolomiti è di 15 anni. Più «ottimista» il professor Aldino Bondesan, glaciologo dell’Università di Padova e responsabile del Comitato glaciologico italiano (Cgi) per il coordinamento della campagna glaciologica annuale nelle Alpi orientali: «La Marmolada potrebbe arrivare al massimo al 2050, non oltre. La causa è il riscaldamento globale, che ha portato a una crescita della temperatura minima invernale di 1,5 gradi negli ultimi 35 anni»

Ma cosa si può fare per evitare il disastro? Ci sta pensando anche il Trentino e il telone termico pare la soluzione più immediata: accumulare la neve e coprirla resta l’unico modo per far sì che quella caduta, o sparata dai cannoni, d’inverno sopravviva all’estate. Si può, sopra e sotto il mantello bianco, intervenire sul telone di copertura migliorandone i materiali, le tecnologie. Lo «snowfarming», cioè l’immagazzinamento della neve durante la metà calda dell’anno finalizzato ad allungare la stagione sciistica anticipando i primi fiocchi, è un gioco di costi e benefici, un equilibrio difficile tra equipaggiamenti, manodopera, perdite e possibili guadagni. Uno spostamento anche minimo dell’equazione può rendere tutta l’operazione vana. Albert Ballardini, vicesindaco di Pinzolo che rispondendo all’ipotesi già ventilata proprio a Madonna di Campiglio metteva in fila tutti i possibili problemi, avverte: «Da una riunione tenuta il 2 agosto al ghiacciaio Presena con i servizi provinciali è emerso come la copertura con teli stia per essere abbandonata anche dove è da tempo in uso, perché costa 350 mila euro, spesa insostenibile. E poi in aree in cui normalmente non si trova la neve fuori stagione, è difficile occupare superfici per mantenervela tutto l’anno, perché verrebbe sottratto l’habitat sottostante, formato da specie pioniere che soccomberebbero per sempre, dopo aver impiegato secoli a colonizzare le rocce».

E c’è dell’altro: «Gli esperti del servizio Aree protette evidenziano il disturbo che tutto il viavai creerebbe alla pernice bianca e al gallo forcello. In primavera si riproducono alle quote interessate dall’operazione. Per tutto questo, vedo lo stoccaggio della neve quasi impensabile da noi». Perplessità difficili da superare anche scomodando i finlandesi, che però potrebbero aiutare a rendere quei 350 mila euro meno onerosi: a Livigno si accumulano cinquemila metri cubi di neve alla fine dell’inverno e dopo l’estate se ne riescono a recuperare circa tremila; le tecniche nordeuropee, invece, ridurrebbero la dispersione quasi a zero. La tecnologia «Finnfoam» prevede un isolante di 70 millimetri in polistirene estruso, ampiamente utilizzato per l’isolamento degli edifici in Finlandia come «fondo». La neve viene protetta da una coperta «snow secure», cioè in cima all’isolamento si aggiungono un geotessile bianco o un tessuto filtrante, per mantenerlo in posizione. Ma il «ghiacciaio artificiale» costa 1 milione di euro.

Corriere delle Alpi | 21 agosto 2023

p. 8

Allarme caldo sulla Marmolada con tredici gradi sul ghiacciaio

BELLUNO

Temperature bollenti in tutta Italia, e il grande caldo di questa seconda metà di agosto non risparmia ovviamente nemmeno le alte quote. Ai 3.343 metri di Punta Penia sulla Marmolada la colonnina di mercurio venerdì ha superato i 13 gradi: si tratta di mezzo grado in più rispetto alla temperatura massima registrata nella tragica domenica del 3 luglio del 2022 quando il crollo della calotta sommitale causato dalle elevate temperature provocò la valanga che travolse una ventina di persone uccidendone undici.

Anche ieri mattina oltre i 3.000 metri si registrava una temperatura di 10 gradi. Lo zero termico è previsto attorno ai 4.700 metri.

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«Tutti i ghiacciai alpini, a tutte le quote, sono sopra lo zero e la situazione è abbastanza critica». Così Claudio Tei, ricercatore e meteorologo del Cnr e del Consorzio Lamma, sull'ondata di caldo che sta investendo il Centro-nord Italia, a causa di un anticiclone sub tropicale, proveniente dall'Africa.

«I giorni più roventi che prevedono i modelli saranno domani, lunedì 21 e martedì 22 agosto con picchi di 38 gradi in alcune città e oltre 7 gradi sopra la media di questa stagione, anche 10 gradi oltre i valori stagionali sulle Alpi occidentali - spiega Tei - mentre lo zero termico in quota si prevede possa alzarsi fino ai 5mila metri».

L'ondata di calore dovrebbe persistere per tutta la settimana, almeno fino a venerdì compreso quando si potrebbe avere qualche segnale di cambiamento.

«Ma per la vera svolta - afferma l'esperto del Cnr - bisognerà attendere forse fino a domenica 27 o lunedì 28 agosto, quando per la settimana successiva i modelli indicano un deciso cambio di circolazione con temperature nella norma o leggermente inferiori»

Per questa terza settimana di agosto si prevedono temperature di 6-7 gradi sopra la media stagionale, con punte di 38-39 gradi rispetto a una temperatura attesa per il periodo di 31-32 gradi.

Corriere delle Alpi | 22 agosto 2023

p. 15

Marmolada osservata speciale per il caldo Monitoraggio sulla tenuta del ghiacciaio

Francesco Dal Mas / Belluno

Sempre più caldo sulla Marmolada e le più alte cime dolomitiche. Secondo i dati Arpav si sono toccati i 15 gradi ai 3.343 metri del ghiacciaio. Lo zero termico ha segnato un altro record: è salito a quota 5.328 metri. E sale la preoccupazione. Giovanni Bernard, sindaco di Canazei, è appeso al telefono con i competenti uffici della Provincia e della Protezione civile per capire se scattano i presupposti per firmare un'ordinanza che vieti l'accesso alla parte centrale del ghiacciaio. «Ad oggi», spiega, «la temperatura è sicuramente alta, ma non ancora a rischio. Vedremo nelle prossime ore. Noi siamo pronti. Ma so che a Trento la situazione viene considerata a livello complessivo: per tutti i ghiacciai».

Le foto scattate da scialpinisti ed escursionisti che sono saliti a Punta Penia dimostrano che si è aperta una grande quantità di crepacci, ogni giorno più larghi. E che nelle viscere del ghiacciaio l'effetto ruscellamento fa sentire la sua voce.

STRETTO MONITORAGGIO

La Protezione Civile di Trento ha portato in quota nuova strumentazione per tenere sotto controllo la situazione: misura la quantità d'acqua che viene a formarsi con lo scioglimento causato dalle alte temperature e se ci sono movimenti. Si tratta di una strumentazione sofisticata, allestita con il contributo di più università e che proprio sulla Marmolada viene sperimentata sul campo. È scrutata in particolare quella parte di ghiacciaio che, sulla sinistra del distacco del 3 luglio 2022, scende progressivamente sotto l'itinerario fuoripista Lydia. Già l'estate scorsa, il dorsale era stato attenzionato.

Siamo in territorio di Trento, anche se in quota vola la funivia veneta della famiglia Vascellari, con stazioni in comune di Rocca Pietore.

Da Punta Rocca si fionda, fino a Malga Ciapela, la discesa più lunga d'Europa, di 12 km.

TELONI SUL GHIACCIAIO

Quest'estate sono stati riposizionati, tra l'altro sulla neve fresca appena arrivata, i teloni geote ssili che da una decina d'anni vengono utilizzati per proteggere le piste. Sono lunghi 70 metri e larghi 5, con uno spessore di 3,8 millimetri, per un'area di 40 ettari. Vengono rimossi a settembre, prima che inizi a nevicare. Naturalmente c'è l'autorizzazione, da parte della Provincia di Trento.

Già lo scorso giugno il sindaco di Canazei aveva anticipato: «In Marmolada è nevicato nelle settimane scorse, ma non a sufficienza per poter stare tranquilli. Le precipitazioni non hanno compensato la carenza di neve dell'inverno scorso. Anzi, la situazione è peggiore rispetto ad un anno fa. Le temperature sono state al di sopra della media e dunque non escludo una nuova chiusura della montagna durante l'estate, proprio nel versante coinvolto dalla tragedia del luglio scorso ».

MASSIMA ATTENZIONE

Bernard sta dunque attendendo segnalazioni da Trento. Che per il momento sono queste: «Le alte temperature come noto comportano conseguenze anche sotto il profilo della stabilità di ghiacciai e versanti in quota. Per questo la Protezione civile del Trentino raccomanda agli escursionisti la massima attenzione, non avventurandosi per alcun motivo nelle zone interdette o in percorsi non segnalati».

Accanto a questo rischio inoltre – avverte la Protezione civile - rimane quello dei temporali e dei fulmini: le previsioni indicano la persistenza di un'area di alta pressione, tuttavia prima di mettersi in viaggio è consigliabile consultare il bollettino meteo».

SEMPRE PIù CALDO

Per oggi, intanto, l'Arpav di Arabba prevede oltre i 3 mila metri minime di 10 gradi e massime intorno ai 16. «In proporzione fa più caldo in montagna che al mare. La quota dello zero termico è oltre i 5.100 metri sull'arco alpino». Si tratta, ha spiegato ieri Massimiliano Fazzini della Società italiana di geologia ambientale, di «valori mai toccati negli ultimi 30 anni. L'anno passato quando si è verificato il crollo della Marmolada la quota era 5070 metri».

Lo studioso conferma, dati alla mano, che tutti i ghiacciai italiani in questo momento sono sottoposti a uno stress termico molto forte che ne provoca una rapidissima fusione. E ricorda che è impossibile prevedere il comportamento dei ghiacciai «semplicemente perché le temperature di questi giorni non si sono mai toccate». Inoltre, «non c'è solo la possibilità delle masse glaciali, ma anche di quelle

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rocciose che perdendo il collante determinato dal Permafrost sono più facilmente soggetto a crollo». Il consiglio è «cercare di visitare località come Marmolada, Cervino e Monte Bianco al primo mattino, non nelle ore centrali della giornata».

Gazzettino | 23 agosto 2023

p. 3, edizione Belluno

«Destino segnato: il ghiacciaio morirà»

I ghiacciai alpini sono destinati a sparire in alcuni decenni. E quello della Marmolada, che scende lungo il versante settentrionale della montagna più alta delle Dolomiti, non fa eccezione. Anche ieri le temperature censite sono state da record. Il futuro degli apparati glaciali è, quindi, ormai segnato ed esso si ripercuoterà inevitabilmente anche sulle riserve idriche, con effetti sull'acqua potabile e sulla disponibilità dell'importante risorsa per gli impianti idroelettrici. La conferma sul destino dei sistemi glaciali arriva da Carlo Barbante, direttore dell'Istituto di scienze polari del Cnr e professore ordinario dell'Università Ca' Foscari di Venezia. L'esperto di Feltre da anni si occupa di ricostruzioni climatiche e dello sviluppo di metodologie analitiche innovative in campo ambientale e biologico. Ha inoltre partecipato a numerose spedizioni e campagne di prelievo in aree polari e nelle Alpi ed è coordinatore di progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Portano la sua firma oltre 290 pubblicazioni su riviste scientifiche ad alto impatto. Il paleoclimatologo Carlo Barbante è anche autore di "Scritto nel ghiaccio. Viaggio nel clima che cambia", uscito nel 2022 per Il Mulino, in cui gli studiosi scrutano, nei minimi dettagli, carote di ghiaccio per ricostruire i cambiamenti climatici delle epoche passate e mettere nella giusta prospettiva la crisi climatica attuale. Professore, i ghiacciai delle Alpi, come quelli dell'Himalaya, sono considerati le sentinelle dei cambiamenti climatici.

Qual è il loro stato di salute?

«Sono estremamente vulnerabili e non stanno assolutamente bene. Pensiamo, per esempio, alla quota dello zero termico che si sta innalzando ed ha toccato gli oltre 5.300 metri. Questo si traduce con la fusione della neve».

La situazione di non ritorno è stata toccata nel 2022. Perché?

«Lo scorso anno i ghiacciai hanno perso il 6 per cento della loro massa, a fronte di una media annuale precedente, degli ultimi trent'anni, dell'1,5. Questo significa che in un anno abbiamo perso quattro volte tanto del consueto con un'accelerazione importante ed un trend ormai conclamato».

Quale bilancio ci aspetta sull'anno in corso?

«I conti potranno esser fatti a settembre, ma alcuni elementi sono già chiari e definiti. L'anno in corso è caratterizzato da temperature molto alte, le precipitazioni sono state confinate nel periodo tardo primaverile, è nevicato poco e, di conseguenza, abbiamo avuto un accumulo di neve limitato. Mi aspetto un anno molto negativo».

Qual è l'effetto immediato di ciò?

«I ghiacciai perdono più massa di quanto guadagnato durante la stagione invernale».

Il futuro dei ghiacciai sembra, quindi, segnato.

«Il trend ormai è consolidato e ci indica chiaramente che la fusione è inesorabile e molto veloce, quattro volte più veloce di quanto lo fosse prima».

Esemplifichiamo con due contesti: il ghiacciaio dell'Adamello, che si trova per la quasi totalità in Lombardia con una piccola parte in Trentino Alto Adige, e quello della Marmolada.

«Il primo, in tre anni, ha registrato una riduzione di diciotto metri di spessore e di 170 metri di fronte glaciale. La situazione del secondo presenta un ghiacciaio ormai morente, destinato a sparire nel giro di alcuni decenni».

Davanti a questa prospettiva, qual è il ruolo dell'uomo?

«Dobbiamo agire velocemente, incentivando e promuovendo la transizione energetica, riducendo al massimo il ricorso ai combustibili fossili e favorendo lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili».

Il processo di cambiamento verso un mix energetico a basse o a zero emissioni di carbonio sarà sufficiente per il domani del pianeta?

«Oltre alla transizione energetica, necessaria per ridurre le emissioni di CO2 prodotte dai combustibili fossili, dobbiamo adattarci e imparare a convivere con il cambiamento climatico».

Corriere del Trentino | 22 agosto 2023

p. 2

Marmolada sorvegliata speciale «Verifiche continue per il caldo»

De Col (Protezione civile): «Pronti a intervenire». Ferrari (Sat): «Prudenza sui ghiacciai»

TRENTO

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L’attenzione è alta. E viste le temperature di questi giorni non potrebbe essere altrimenti: ieri, alle due e mezza di pomeriggio, ai 3.343 metri di Punta Penia, in cima alla Marmolada, la colonnina di mercurio ha raggiunto i 14,1 gradi. Un dato impressionante registrato dalla piattaforma «Marmoladameteo.it» che oggi potrebbe ripetersi. E che desta preoccupazione. Per la tenuta della Regina delle Dolomiti vista la tragedia dello scorso anno ma anche per gli altri ghiacciai del Trentino. Tanto che in queste ore la Protezione civile ha «raccomandato prudenza» agli escursionisti diretti verso i versanti più in quota.

«Serve massima attenzione, evitando di avventurarsi nelle zone interdette o in percorso non segnalati» si legge nella nota della Protezione civile. Il cui impegno in questi giorni è massimo. Soprattutto sulla Regina delle Dolomiti.

«La situazione della Marmolada è costantemente monitorata» sottolinea il dirigente generale della Protezione civile Raffaele De Col. Sul ghiacciaio di fatto, aggiunge il dirigente, vengono effettuate delle verifiche «giornaliere». Per tenere sotto controllo l’evoluzione della situazione e intervenire nel caso si registrassero «condizioni anomale». Che, per ora, non sono state rilevate.

«Dopo quanto successo lo scorso anno a luglio prosegue De Col è doveroso tenere alta l’attenzione». Con un controllo costante. «Al momento ci tiene a sottolineare il capo della Protezione civile non ci sono divieti e non sono state rilevate delle situazioni tali da pensare a un intervento».

Ma l’ondata di calore che dallo scorso fine settimana sta facendo boccheggiare l’Italia non si esaurirà a breve. E in vista di una settimana bollente, con temperature che saranno molto al di sopra della media, le verifiche saranno puntualissime. «Nel caso in cui si riscontrassero situazioni anomale, si interverrà con dei provvedimenti» anticipa De Col. Che però non limita la riflessione alla sola Marmolada: «Da tener presente c’è anche il tema del permafrost». E del suo scioglimento. «Lo scorso anno ricorda De Col pochi giorni dopo la tragedia della Marmolada, si era verificato un crollo da cima Uomo». Una frana che aveva allarmato. «Si era trattato di un collasso del permafrost» aggiunge il dirigente. «Per questo avverte siamo impegnati nel monitorare non solo i possibili pericoli in Marmolada, ma anche le situazioni di gelo e disgelo che possono creare problemi». Cosa fare dunque per ridurre i rischi? «Partire presto e scegliere percorsi adeguati» conclude De Col.

E un invito alla prudenza soprattutto se ci si muove sui ghiacciai arriva anche dalla Sat. «Bisogna prestare grande attenzione» avverte Cristian Ferrari, presidente della Commissione glaciologica della Società degli alpinisti tridentini. Che proprio ieri è salito sul ghiacciaio di Lares per verificarne la situazione. Trovando un quadro difficile. «Usciamo da una stagione invernale spiega Ferrari durante la quale la neve scesa si è dimezzata». Con un piccolo punto a favore rispetto all’anno precedente: «Il fatto che si siano verificate delle piogge anche nel proseguo dell’anno, mantenendo le temperature un po’ più basse e garantendo qualche nevicata residua, è un elemento positivo». Ma non è bastato per fare la differenza: «La neve invernale è già sparita». E in questi giorni di caldo estremo «si registra una forte fusione in corso». Sul ghiacciaio di Lares, ma non solo. Con un andamento che, irrimediabilmente, va verso una riduzione della loro superficie. «I ghiacciai ricorda Ferrari in questi anni si sono frazionati, dividendosi in più parti». E in questo processo, sono emerse numerose zone di roccia «che durante il giorno si riscaldano spiega il presidente della Commissione glaciologica della Sat e che rilasciano il calore anche durante la notte». Con effetti evidenti e deleteri sui ghiacci che si trovano attorno.

In questo quadro tutt’altro che incoraggiante i consigli di Ferrari sono improntati naturalmente sulla linea della prudenza. Perché i pericoli sono molti. Ed è necessario saperli riconoscere e valutare. Fin nel momento in cui si decide di programmare una escursione che prevede il passaggio su un ghiacciaio. «Con queste temperature spiega il presidente della Commissione glaciologica la neve non è compatta, ma è ridotta a granita». Camminarci sopra, dunque, diventa davvero pericoloso. Anche con i ramponi: «Il rischio è che i ramponi non facciano presa. E che quindi si tenda a scivolare». Una situazione pericolosa, soprattutto se ci si trova su un versante ripido. A destare timore sono però anche i crepacci. «Ce ne sono tanti ancora coperti» nota Ferrari. «Il problema osserva è che il processo di fusione in atto nel sottosuolo può creare pericoli che non si vedono in superficie». Con l’acqua che erode il sottosuolo rischiando di provocare crolli al passaggio di una persona. «Per questo si deve stare molto attenti» conclude.

Corriere del Trentino | 23 agosto 2023

p. 3

Declino dei ghiacciai, il monito di Casarotto: «Scomparsa inevitabile, ma la colpa è nostra»

Tiziano Grottolo

TRENTO

Dagli oltre 14 gradi della Marmolada al record dello «Zero termico», registrato a 5.328 metri dalla stazione di radiosondaggio piemontese di Novara Cameri, in questi giorni le temperature elevate si fanno sentire anche in quota. In tal senso gli osservati speciali sono i ghiacciai alpini che da tempo sono in sofferenza e proprio per questo vengono monitorati dagli esperti come Christian Casarotto, glaciologo del Muse di Trento.

Ogni anno vengono segnati nuovi record, si tratta di una situazione eccezionale oppure dobbiamo abituarci?

«Purtroppo siamo di fronte a un trend consolidato che la comunità scientifica ha ampiamente dimostrato. Ormai ogni anno è più caldo del precedente e lo zero termico si sposta sempre più in alto, in un certo senso queste cose non dovrebbero più stupire. Infatti la vera domanda che dovremmo porci è un’altra».

Quale?

«Tendiamo a concentrarci sul fatto eclatante, cioè il rapido ritiro dei ghiacciai ma dovremmo chiederci perché li vediamo in queste condizioni. Ciò che osserviamo non è altro che il risultato delle nostre azioni. Di fronte agli scarsi impegni per la riduzione dei gas

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climalteranti è inevitabile che i ghiacciai alpini scompaiano. I numeri non mentono, tutti i modelli concordano sul fatto che nel giro di qualche decennio si saranno ritirati del tutto. Ormai il destino dei ghiacciai è sostanzialmente segnato, con ogni probabilità è troppo tardi per intervenire. Il punto è che la comunità scientifica aveva messo in guardia da tempo la politica e l’opinione pubblica: quanto sta avvenendo è una conseguenza delle nostre scelte, l’impronta antropica sui cambiamenti climatici è inequivocabile».

A quali scenari stiamo andiamo incontro?

«Entro la fine del secolo sotto i 3.500 metri di quota rimarrà ben poco, i ghiacciai trentini sono destinati a sparire, ma anche in questo caso dovremmo domandarci come mai il loro destino è segnato».

Ho l’impressione che lei abbia già la risposta...

«Lo ribadisco, i responsabili siamo noi e non stiamo facendo abbastanza per invertire questo trend. Se fossimo stati davvero preoccupati avremmo ridotto da decenni le emissioni. Dopo ogni Conferenza delle Parti sul clima (le cosiddette Cop ndr ), anziché diminuire, le concentrazioni di gas serra sono sempre più alte. Con queste premesse è inevitabile che ogni anno si battano i record legati alle temperature e che i ghiacciai si ritirino sempre di più. Chiaramente le azioni messe in campo finora non sono sufficienti, il problema è che servono politiche che siano in grado di coordinarsi a livello globale e qui viene la parte difficile, anche se il problema riguarda tutti. In altre parole non basta che il Trentino metta in atto delle forti politiche ambientali, serve uno sforzo corale». Ma quali potrebbero essere gli impatti di una montagna senza ghiacciai?

«Dobbiamo sicuramente abituarci all’idea che le nostre montagne non saranno più le stesse, con tutte le conseguenze del caso. I ghiacciai rappresentano da sempre una risorsa idrica che è una garanzia per l’agricoltura di montagna. A livello locale sono una risorsa durante l’intera stagione estiva pure per i rifugi che utilizzano l’acqua che deriva dalla fusione nivale per svolgere le normali attività». Oltre a quello ambientale dunque c’è anche un discorso economico?

«Certamente, le attività di montagna che sfruttano l’acqua che arriva dai ghiacciai avranno serie ripercussioni, inoltre c’è tutto il discorso legato al turismo alpino».

E a livello globale?

«I ghiacciai più grandi come l’Antartide o quelli che si trovano in Groenlandia fungono da regolatori per il clima. Per semplificare il concetto e renderlo più comprensibile si potrebbe dire che il loro funzionamento è simile a quello dei teli argentati che vengono utilizzati dalle persone per evitare che le auto diventino troppo calde. In pratica la superficie dei ghiacciai agisce più o meno nello stesso modo riflettendo il 90% delle radiazioni solari, con il loro ritiro però queste radiazioni vengono assorbite dal terreno favorendo il riscaldamento globale. Le temperature in aumento a loro volta accelerano lo scioglimento dei ghiacciai che si ritirano sempre più rapidamente». Sembra un circolo vizioso...

«Proprio così, senza neve e ghiaccio c’è un’amplificazione dell’effetto legato all’aumento delle temperature, ciò che spaventa è che nessuno sia intervenuto per tempo nonostante gli avvertimenti».

Corriere dell’Alto Adige | 23 agosto 2023

p. 3

Bruschi: «Ghiacciai, situazione drammatica Ormai sono come i pazienti terminali»

L’Alto Adige può intonare il requiem per i suoi ghiacciai. A decretare la «morte cerebrale» delle nostre riserve nevose montane sono le rilevazioni tecniche compiute dai volontari della sezione provinciale del Comitato glaciologico italiano. Piero Bruschi, il presidente, parla di una «situazione drammatica» e dipinge i ghiacciai altoatesini come «pazienti allo stadio terminale. I più piccoli e quelli esposti a sud non sopravvivranno più di due o tre anni».

Presidente Bruschi, com’è la situazione in quota?

«Molto grave. Noi operatori abbiamo iniziato adesso la campagna glaciologica con tutte le misurazioni sul campo e a breve avremo notizie più precise sullo stato di salute dei ghiacciai altoatesini».

Quali ghiacciai misurate?

«Tutti i più significativi della provincia, da Passo Resia fino alla Val Pusteria e alla Valle Aurina. Mediamente ne misuriamo 35 - 40 quando va tutto bene, perché alcuni non sono già più raggiungibili per la pericolosità nell’accesso al fronte. Oltre alla frammentazione delle placche glaciali che si possono staccare all’improvviso, anche la quota si alza sempre di più. Una volta il fronte arrivava a 2.400 - 2.500 metri, adesso dobbiamo spingerci almeno fino a 3.000 per trovarli».

In cosa consiste la campagna glaciologica?

«Facciamo misurazioni in loco con le nostre attrezzature. Ci sono segnali che lasciamo e utilizziamo ogni anno: le distanze misurano l’arretramento dei ghiacciai. Oltre a questo li valutiamo visivamente e facciamo fotografie. Quindi consideriamo il numero dei crepacci, l’aumento dei detriti dalle pareti circostanti, le finestre rocciose. Il nostro lavoro è piuttosto complicato e lo diventa ogni anno che passa, perché la pericolosità è sempre più evidente».

In quanti siete?

«Una ventina di volontari, tutti membri del Cai Alto Adige, suddivisi in zone: quelli di Appiano vanno in Val Martello e Val di Solda, quelli di Merano in Val Venosta, quelli di Brunico in Valle Aurina. Terminata la campagna e raccolti i dati e la documentazione, traiamo

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le conclusioni con il nostro coordinatore scientifico, Franco Sechieri, ed elaboriamo una relazione per l’ufficio idrologico della Provincia e il Comitato glaciologico italiano».

Cosa si evince quest’anno?

«La cosa più importante che viene osservata è l’arretramento del fronte di ogni ghiacciaio e la diminuzione del suo spessore. Tra gli strumenti di nuova generazione abbiamo i droni, molto utili perché forniscono una prospettiva dall’alto. E il confronto con gli anni passati è agghiacciante».

Quali sono i più pericolosi?

«Quello che crea maggiori problemi è il ghiacciaio della zona di Trafoi e la parte bassa dell’Ortles, così come sul Predoi, in Valle Aurina, e sopra Vipiteno, il Montarso e le Alpi Breonie. Fino a cinque anni fa ci si arrivava facilmente, ma ora le zone franose non sono oltrepassabili senza pericolo».

Quali i rischi?

«I distacchi di crepacci in seguito a un salto di roccia sottostante o un cambiamento di pendio, le frane dalle pareti circostanti o, cosa che capita negli ultimi anni, il deflusso di torrenti che all’improvviso possono diventare impetuosi». In che stato versano oggi i ghiacciai altoatesini?

«Veramente critico, più di ogni altro anno. Quest’anno si superano le peggiori previsioni e qualche piccolo ghiacciaio si sta esaurendo. Sono molti i pazienti allo stadio terminale. Qualche ghiacciaio si può salvare, soprattutto quelli dentro qualche vallone, protetti dal pieno sole o rivolti verso nord. Ma quelli esposti a sud sono più deboli e sono purtroppo spacciati: sono sicuramente destinati a scomparire».

Quali hanno le stagioni contate?

«Il Fontana Bianca in Val d’Ultimo, quello delle Frane in Val Senales e il Lazaun, che un tempo arrivava a fondo valle mentre adesso è rimasta solamente la parte più alta. Questi piccoli ghiacciai penso non vivranno più di due o tre anni. Abbiamo poi il fenomeno del cosiddetto “ghiacciaio nero”, come in alta Val di Solda: il ghiacciaio è sommerso di detriti che lo proteggono, però è un ghiacciaio morto».

Quale preoccupa di più in termini di spessore?

«L’Ortles: la calotta superiore fino a qualche anno fa era di 75 metri ma se quest’anno dovesse essere misurato penso lo troveremo drasticamente ridotto, almeno di una ventina di metri».

Si aspettava questo trend?

«Faccio questa attività da 22 anni ma quello che ho visto negli ultimi due anni non era neanche lontanamente prevedibile: è l’incubo dei glaciologi, i nostri ghiacciai sono condannati a morte. Per il Comitato glaciologico nazionale ogni anno organizziamo meeting con la comunità scientifica: la preoccupazione è unanime e l’andamento generale in tutte le Alpi è identico».

L’Adige | 24 agosto 2023

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Allerte anche in quota in Marmolada e sulla Presanella

L'allarme caldo non cessa. Il cambiamento climatico continua a farsi sentire e in attesa che un cambio di abitudini possa provarelentamente - a invertire la rotta non restano che le allerte e le soluzioni per evitare il più possibili rischi e pericoli. Dopo quello che invita alla prudenza in Marmolada (la Regina delle Dolomiti resta aperta, ma è stato da giorni raccomandato di salire in vetta evitando il ghiacciaio e prediligendo il sentiero che culmina con la ferrata della cresta nord), altri inviti a fare la massima attenzione riguardano la Presanella: la Protezione civile ha invitato a evitare di muoversi in prossimità del ghiacciaio, dato che in parete nord è presente da tempo un canale di scorrimento superficiale dell'acqua (tecnicamente 'bediere') e la formazione appare naturalmente in fusione a causa delle temperature elevate che potrebbero comprometterne la stabilità. Sempre la Provincia ha precisato come invece i sentieri che portano al rifugio Denza si trovino invece sul versante opposto rispetto al ghiacciaio e dunque gli amanti della montagna possano continuare a frequentarli in piena sicurezza.Sempre il dipartimento della Protezione civile della Provincia ha esteso alla mezzanotte di domani, venerdì 25 agosto, la validità dell'avviso di allerta ordinaria (gialla) che era stato emanato lo scorso 18 agosto ed era in vigore fino a ieri.L'alta pressione infatti continua ad interessare le Alpi determinando temperature ben sopra le medie a tutte le quote con valori massimi superiori a 35 gradi e minimi superiori a 20 gradi (notti tropicali) in molte località nei fondovalle più bassi.A seguito delle previsioni meteo ed in base alle valutazioni effettuate, si ritengono possibili criticità per la popolazione dovute principalmente a sintomi di "allarme" di disidratazione e di colpo di calore, quali: disorientamento e stato confusionale, nausea e vomito, sonnolenza anche profonda, intolleranza alla luce, abbassamento della pressione arteriosa, secchezza della pelle e della lingua.Il grande caldo, dopo giornate segnate dalla stabilità, potrebbe nelle prossime ore favorire lo sviluppo di temporali e rovesci Oggi, mercoledì 23 agosto 2023, e nei prossimi giorni, specie in serata e nella notte, saranno comunque possibili isolati rovesci e temporali.

Corriere delle Alpi | 27 agosto 2023

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Punta Rocca, uno scenario lunare «Ma dov'è finito il ghiaccio?»

ROCCA PIETORE

«Ma dov'è il ghiaccio?», si sono chiesti il vescovo, il prefetto, il sindaco e gli ospiti della cerimonia a Punta Rocca per ricordare la salita di Karol Wojtyla il 28 agosto 1979. Un paesaggio lunare, dove 44 anni fa imperava il ghiaccio e imperversava la bufera di neve. E dove ha tanto nevicato solo un mese fa.

«La situazione che viviamo ci mette molto in discussione, penso per tutto il vissuto a livello nazionale, sia nel nostro rapporto con l'ambiente e la natura sia nel nostro rapporto con Dio», ha commentato il vescovi Renato Marangoni , «ecco perché è necessario sapersi amati di intramontabile amore. Bisogna avere una carica di vita e di amore per sentirsi responsabilmente coinvolti». E questo, ha detto il vescovo, vale sia per la questione internazionale e sia per la pace. Anche il nostro rapporto con la natura nasce davvero se siamo capaci e se nutriamo un desiderio e una scelta di vita e di amore grandi».

Prima la messa ai 3300 metri di Punta Rocca, nella grotta della Madonna Regina della pace. Poi a Serauta la commemorazione dei Caduti, italiani e austriaci. Il tutto firmato da Funivie Marmolada, presente ieri con Valentino Vascellari. Commosso per la situazione il prefetto Mariano Savastano.

«La messa ha fatto molto bene al mio e al nostro spirito, rasserenandolo in momenti come quelli che stiamo vivendo di violenze e guerre, con scene drammatiche che siamo abituati a vedere tutti i giorni; mi riferisco all'emergenza migranti, sempre più urgente e drammatica. Ricordando Giovanni Paolo I, come il Papa del sorriso, mi piace pensare al sorriso di Dio oggi, in un luogo di straordinaria bellezza come questo, la vetta più alta delle Dolomiti, luogo segnato dal sangue e da un'enorme tragedia, la guerra. E nel ricordare tutti i Caduti, italiani e non, la nostra preghiera e speranza è che tragedie del genere non si debbano mai più ripetere».

Severa l'analisi di Alberto Curti, presidente dell'Associazione Museo Marmolada.

«Dalla guerra l'uomo ha imparato poco, anzi niente. Oggi nel mondo ci sono 56 guerre riconosciute dalle autorità. Secondo altre stime, di associazioni, sono 176. Altre stime ancora parlano 379. Come Museo della Marmolada vogliamo ricordare questi moniti». Sulla Marmolada è stata allestita una zona monumentale con camminamenti, gallerie ed il contributo di Cima Grappa, del Settimo Alpino e dei volontari, sempre coordinati da Attilio Bressan. Il dramma storico della Marmolada lo ha ricordato il sindaco Andrea De Bernardin, presente con l'eurodeputato Toni Da Re.

«Questo è un luogo che ha vissuto momenti tragici. Ma anche di grande lealtà. Qui le truppe italiane hanno fronteggiato faccia a faccia le truppe austriache in una guerra particolare, leale, in cui si sono credo anche stimati e ci sono stati momenti in cui hanno sospeso le battaglie, Natale e Pasqua».

Il colonello Riccardo Peretto delle Truppe Alpine ha detto che gli alpini «ci tengono e sono sempre vicini alle nostre belle montagne. Siamo presenti dove lo Stato richiede il nostro intervento. Controlliamo con regolarità tutto il territorio specialmente in questo periodo estivo. È un onore per noi essere qui in un momento di ricordo della storia che genera il presente».

f.d.m.

L’Adige | 31 agosto 2023

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“Marmolada futuro da studiare insieme”

Mountain Wilderness a 25 anni esatti dalla proposta tesa a costruire insieme il rilancio della Marmolada (ma rimasta sostanzialmente lettera morta) inviata ai presidenti di Trentino e Veneto e ai sindaci dei Comuni ai piedi della Regina delle Dolomiti, è tornata nei giorni scorsi a sostenre l'istituzione di un tavolo di lavoro interregionale che discuta del rilancio della Marmolada. A farlo, in concreto, è stato il gruppo dirigente di Mountain Wilderness Italia, accompagnato dai gruppi regionali del Trentino Alto Adige, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia riunitosi per questo scopo a Pian dei Fiacconi.Il documento che ne è scaturito propone alle istituzioni, a un poco più di un anno dalla tragedia del 3 luglio 2022 costata la vita a 11 persone, «di porre attenzione primaria ai valori della conservazione, del recupero paesaggistico, quindi alla demolizione di tutti i ruderi in cemento presenti, alla pulizia di quanto rimane del ghiacciaio, alla biodiversità naturalistica, identitaria, culturale presente in tutto il gruppo, alla riqualificazione degli edifici, alla ridefinizione delle aree di sosta semplificando l'attuale devastante disordine paesaggistico».Per Mountain Wilderness come sostenuto in più occasioni, fin dagli anni che alimentavano la candidatura di Dolomiti patrimonio naturale dell'Unesco, «la Marmolada potrebbe essere il primo obiettivo sul quale portare la Fondazione a proporre un disegno di sostenibilità reale, in coerenza con quanto scritto nell'accantonato piano di gestione 2017 e con quanto sostenuto da Unesco».Un'idea su cui si potrebbe lavorare per arrivare un'intesa, anche se alla stessa associazione ambientalista non sfugge un particolare che è forma ma sostanza allo stesso tempo. «Certo - si riconosce nel documento - buona parte del territorio sul quale investire esce dai confini del Patrimonio inscritto nelle inadeguate delimitazioni dell'area Dolomiti Unesco; ma a questo proposito, ne siamo tutti consapevoli, le azioni messe in atto nelle adiacenze dei territori tutelati hanno una ricaduta diretta anche sul valore (e sul successo) della conservazione dei patrimoni istituzionalmente definiti, nel bene e -per oranel male. Per questo motivo è necessario leggere e proporre il rilancio della Marmolada con una visione ampia che vada, come proposto da Mountain Wilderness fin dal 1998, a chiamare in causa i Comuni che sono stati trascurati, coinvolgendo l'associazionismo del volontariato e guardando anche al futuro lontano».Un richiamo, quindi, ad un senso di responsabilità diffuso, che per Mountain Wilderness non può più fermarsi a dichiarazioni di principio non seguite da atti concreti.«Non possiamo più perdere tempo senza dare risposte ai Comuni più penalizzati (il bellunese), al gruppo della Marmolada. L'urgenza dell'intervento ci è dettata dalla rapida intensità

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con la quale i cambiamenti climatici stanno modificando il territorio, quindi anche la sicurezza di chi lo abita, di chi ne è ospite: si deve agire subito, i cambiamenti climatici in atto e le relative crisi che li accompagnano sono strutturali e non permettono attese, come non permettono più visioni emergenziali».Per parte sua, il gruppo dirigente di Mountain Wilderness nel documento inviato a Provincia di Trento, Regione Veneto, Comuni geograficamente coinvolti, Fondazione Dolomiti Unesco e Muse, ha semplificato le sue proposte per favorire l'apertura dell'auspicato confronto. «A titoli - si legge nella parte propositiva dello scritto - avanziamo le seguenti proposte, riprendendo quanto scritto nel 1998: 1) conservazione del ghiacciaio ed attenzione specifica alla sua evoluzione; 2) riqualificazione ambientale della montagna; 3) costruzione dell'Alta via della Grande Guerra; 4) rivedere, da subito, su tutto il territorio la carta dei pericoli geologici, idrogeologici, valanghivi; 5) rivedere l'intera pianificazione urbanistica dei due ambiti, Regione Veneto e Provincia Autonoma di Trento, compresa la pianificazione forestale e la gestione dei pascoli in quota, con un obiettivo fermo e irrinunciabile: consumo di suolo libero azzerato».Cinque capisaldi teorici da introiettare e consolidare con atti concludenti, sui quali poi elaborare un nuovo approccio alla montagna, più rispettoso dei suoi equilibri ma non per questo teso ad escludere la presenza dell'uomo e delle sue attività, anzi. Ciò che Mountain Wilderness sogna è semplicemente un cambio di prospettiva sull' "uso" della Marmolada, peraltro terribilmente "suggerito" dalla stessa montagna un anno fa.«Quindi - si conclude il documento - potenziamento dei musei della guerra, istituzione di un museo letterario specifico, valorizzazione della sentieristica dell'intero gruppo, specifici studi sulla fauna selvatica, la flora alpina, i valori geologici, l'accessibilità e frequentazione anche ciclistica dell'intera fascia lago, apertura delle visite archeoindustriali legate all'idroelettrico, riqualificazione qualitativa ed energetica degli edifici, ridefinizione ed occultamento dei diffusi e disordinati parcheggi ai piedi della montagna, la questione ladina, la qualità del lavoro intellettuale, manuale e nei servizi turistici».

L’Adige | 31 agosto 2023

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Marmolada agli sgoccioli: il ghiacciaio sta sparendo

e ne rende conto chi frequenta la Regina, lo dicono ormai le commissioni glaciologiche, e adesso arriva anche l'ennesima conferma scientifica: la superficie e il volume del Ghiacciaio della Marmolada continuano a ridursi a ritmo accelerato. Le misurazioni annuali condotte da geografi e glaciologi dell'Università di Padova non lasciano scampo: i dati tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti. Grazie alla Campagna glaciologica partecipata organizzata dal Museo di Geografia dell'Università di Padova in collaborazione con il Comitato glaciologico italiano e Arpav, anche quest'anno una ventina di escursionisti esperti provenienti dal Veneto, l'Emilia-Romagna e la Lombardia hanno potuto seguire da vicino le misurazioni. «Il ghiacciaio è in una situazione drammatica oltre all'assottigliamento generalizzato delle fronti abbiamo registrato ritiri importanti, che nel punto di maggior regressione sfiorano i 90 metri su base annua, con una media di arretramento negli otto segnali frontali di circa 20 metri in un anno - afferma Mauro Varotto, responsabile delle misurazioni frontali del Ghiacciaio - Questo trend di fusione porterà presto la superficie totale del Ghiacciaio principale, calcolata in 112 ettari dal collega Francesco Ferrarese nel 2022, a scendere, nei prossimi anni, al di sotto del chilometro quadrato: una soglia statisticamente importante, la metà della superficie presente nel 2000 e meno di un quarto rispetto al 1900». «Quest'estate - aggiunge Mauro Valt, tecnico ricercatore Arpav - i ghiacciai lungo tutto l'arco alpino sono in forte fusione a causa del combinato disposto di deboli nevicate negli ultimi due periodi invernali e delle alte temperature estive. Nella seconda decade di agosto, in particolare, si è registrata in area dolomitica la temperatura media più alta dal 1990, coincidente con una dozzina di giorni in cui le temperature hanno superato il novantesimo percentile: la serie più lunga degli ultimi trentacinque anni».Non è solo un problema ambientale, ma anche economico, soprattutto per quelle zone delle Alpi dove la pratica dello sci è ormai un'industria. «Dalle nostre elaborazioni dei dati forniti da Arpav si evidenzia un innalzamento di 220 metri della quota sciabile per ogni grado di aumento della temperatura in quota - commenta Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza aziendale all'Università di Padova - e si disegna un quadro di insostenibilità dell'industria dello sci, già resa evidente dai bilanci di gestione degli impianti di risalita e dalle necessarie sovvenzioni pubbliche per gli investimenti in impianti a fune e bacini di accumulo dell'acqua. Ciò nonostante, in questi giorni si discute sull'opportunità di investire ulteriori risorse per praticare lo snow farming invece di iniziare ad investire su un'economia diversa e più sostenibile».«Il valore aggiunto di questa iniziativa giunta ormai alla V edizione - conclude Giovanni Donadelli, curatore del Museo di Geografia Unipd - è quello di avvicinare la cittadinanza alle pratiche di ricerca attraverso un'esperienza culturale a tutto tondo, in cui grazie alla guida di docenti ed esperti è possibile osservare, comprendere e problematizzare situazioni e processi complessi, attraverso un approccio multidisciplinare capace di far entrare in relazione profonda con il territorio. Il coinvolgimento diretto - riprende Donadelli - rappresenta una strategia vincente, capace di appassionare ed emozionare i partecipanti ed efficace nel promuovere conoscenza e consapevolezza dei cambiamenti climatici in atto nel contesto alpino».

Corriere delle Alpi | 31 agosto 2023

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Marmolada, ghiacciaio dimezzato Cinque ettari in meno ogni estate

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Il ghiacciaio della Marmolada ha un cappuccio di 10 centimetri di neve. Come lo aveva a fine luglio. Neve fresca ovviamente. Ma sono bastate poche giornate di temperature alte, che hanno fiondato lo zero termico a quota 5.800, per sciogliere ogni riserva. Ed intaccare lo stesso ghiacciaio. Che è infatti in stato comatoso. Così lo hanno trovato Mauro Varotto dell'Università di Padova e Mauro Val dell'Arpav, che insieme ad altri geografi e glaciologi sono saliti ai bordi dei crepacci lunari per misurare la consistenza di quanto rimane. Il bollettino medico di Varotto è quanto di peggio ci si potesse aspettare. «Il ghiacciaio è in una situazione drammatica oltre all'assottigliamento generalizzato delle fronti abbiamo registrato ritiri importanti, che nel punto di maggior regressione sfiorano i 90 metri su base annua, con una media di arretramento negli otto segnali frontali di circa 20 metri in un anno» fa sapere. Negli ultimi anni la ritirata è stata addirittura di 5 ettari ogni estate. Dalla fine degli anni '90, il ghiacciaio si è praticamente dimezzato e potrebbe rischiare di sparire entro 20 anni, al più tardi entro 30. Francesco Ferrarese, collega di Varotto, ha calcolato che il trend di fusione in corso porterà presto la superficie totale, calcolata nel 2022 in 112 ettari, a scendere, nei prossimi anni, al di sotto del chilometro quadrato: una soglia statisticamente «importante, la metà della superficie presente nel 2000 e meno di un quarto rispetto al 1900».

Chi vive 365 giorni l'anno ai piedi del ghiacciaio, quindi a passo Fedaia, come l'architetto Aurelio Soraruf, titolare del rifugio Castiglioni e di Capanna Punta Penia, ammette – affranto – che l'eutanasia sembra ormai inarrestabile. Si pensava che la neve caduta nel pieno dell'estate, anche in misura cospicua, potesse tenere. Nessuno, infatti, a luglio si aspettava giornate quasi tropicali come quelle di Ferragosto. Invece quella precipitazione non è servita a niente, neppure a riempire il lago Fedaia ancora mezzo vuoto.

«Quest'estate, d'altra parte, i ghiacciai lungo tutto l'arco alpino – spiega Mauro Valt, tecnico ricercatore Arpav – sono in forte fusione a causa del combinato disposto di deboli nevicate negli ultimi due periodi invernali e delle alte temperature estive. Nella seconda decade di agosto, in particolare, si è registrata in area dolomitica la temperatura media più alta dal 1990, coincidente con una dozzina di giorni in cui le temperature hanno superato il novantesimo percentile: la serie più lunga degli ultimi trentacinque anni». La ricognizione compiuta dagli studiosi fa parte dell'ultima campagna glaciologica organizzata dal Museo di Geografia dell'Università di Padova in collaborazione con il comitato glaciologico italiano e Arpav. Le misurazioni annuali condotte da geografi e glaciologi tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute di quello che è il più importante ghiacciaio delle Dolomiti. Sulle Dolomiti, peraltro, resistono (si fa per dire) altri microghiacciai, ma ogni anno più piccoli e quasi tutti sotterrati da ghiaia ed altri detriti. Il monte Antelao ne vantava due, ne è rimasto con uno, quello più in quota, ma di ristrette dimensioni. Il Sorapis ha coperto di colate ghiaiose il suo nevaio che si era trasformato in ghiacciaio in aderenza alla roccia. Una lingua di nevaio/ghiacciaio compare in un canalone della parete Nord della Marmolada. Per trovare altri rimasugli bisogna salire sulle Pale di San Martino.

La scorsa settimana Valt è salito sul Piz Boè, sopra Arabba, dove l'Arpav ha un impianto che misura il permafrost, cioè la roccia ghiacciata. Leggendo i dati si è allarmato e il suo capo, Gianni Marigo, direttore della Stazione Arpav di Arabba, conferma che «la situazione è davvero preoccupante». Per i possibili crolli, ovviamente.

GLI EFFETTI DELLA CRISI CLIMATICA NELLE DOLOMITI

Il Nuovo Trentino | 10 agosto 2023

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Diciamo addio ai ghiacciai alpini

La crisi climatica accelera la sua corsa con un aumento di incendi, siccità, ondate di calore, temperature record, che sono una minaccia sempre più grave per i ghiacciai alpini, via via più fragili, vulnerabili e instabili. Le Alpi hanno perso il 6% del loro volume residuo solo nel 2022, definito "annus horribilis", per le scarse nevicate durante l'inverno, la sabbia proveniente dal deserto del Sahara e le temperature estive anomale.I dati all'avvio della "Carovana dei Ghiacciai", la campagna giunta alla IV edizione e che quest'anno assume una dimensione internazionale, grazie alla collaborazione con Cipra con due delle sei tappe localizzate in Austria e Svizzera, allo scopo «di costruire nuove alleanze attraverso uno scambio con il mondo della ricerca europeo ma anche con i cittadini e le istituzioni locali».Il monitoraggio ha la partnership scientifica del Comitato glaciologico italiano (Cgi). Legambiente ricorda che secondo il Rapporto "European State of the Climate 2022" della World meteorological organization (Wmo), i ghiacciai in Europa hanno perso un volume di circa 880 chilometri cubi di ghiaccio dal 1997 al 2022. Le Alpi sono state le più colpite, con una riduzione media dello spessore del ghiaccio di 34 metri. Secondo il Glamos (Rete svizzera di monitoraggio dei ghiacciai) i ghiacciai alpini stanno registrando i più alti tassi di fusione da quando sono iniziate le registrazioni, circa un secolo fa. Il monitoraggio sarà dal 20 agosto al 10 settembre: partirà dall'Italia con il Ghiacciaio del Rutor (Valle D'Aosta), proseguendo con il Ghiacciaio del Belvedere (Piemonte), i Ghiacciai di Dosdè (Lombardia) e i Ghiacciai di Lares e Mandron sull'Adamello (Trentino). Il viaggio poi si sposterà in Austria e Svizzera.Sull'argomento, la settimana scorsa, ha destato polemiche l'intervento del Ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini, che in occasione di una festa della Lega ha dichiarato, poi smentito puntualmente da scienziati e climatologi che i ghiacciai, come quello sull'Adamello, «si ritirano anno dopo anno» non a causa delle emissioni delle attività umane, per esempio quelle generate dai trasporti, ma perché ci sono «cicli» storici. Basta studiare «un pochino di storia», ha detto Salvini.Sulla sua pagina Facebook il trentino Matteo Motter, alpinista e da anni impegnato nello studio dei ghiacciai, anche con la Commissione Glaciologica della Sat, ha pubblicato a commento una fotografia (quella che vedete qui sopra) molto eloquente dello stato della Presanella.«Non è più tempo di discutere, è ora di agire, dobbiamo farlo seguendo ciò che ci dice la scienza e non ciò che sparano certi "scettici politici. Torno sull' argomento

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ghiacciai perché mi sta a cuore da un sacco di anni. - L'amico e profondo conoscitore dei ghiacciai Andrea Toffaletti, al quale ho girato la foto, mi ha fatto notare la trim line (ovvero la linea che segna l'ultima estensione più alta del ghiacciaio). 50/60 metri circa la dividono dalla base del ghiacciaio Presena, un ghiacciaio che durante il primo conflitto mondiale (ci sono decine e decine di fotografie note) arrivava a passo dei Segni che è il punto più basso della cresta fotografata. La trim line espone una fascia più chiara, ben delineata che ci da perfettamente l'idea di quanto ghiaccio in poco più di 100 anni si sia perso. L'altro elemento da osservare è una montagna che senza ghiaccio soffre e si sgretola. Decine sono le frane che interessano tutto questo anfiteatro glaciale. Un ghiacciaio ormai prossimo alla morte. E a poche centinaia di metri più in là dei teli coprono, prolungandone solamente l'agonia, suo fratello anch'esso morente» dice Motter

Corriere del Trentino | 10 agosto 2023

p. 6, segue dalla prima

Ghiacciai, perso il 6% sulle Alpi

Legambiente: allarme e monitoraggio internazionale

Trento

La crisi climatica accelera con un aumento di incendi, siccità, ondate di calore, temperature record, che sono una minaccia sempre più grave per i ghiacciai, più fragili, vulnerabili, instabili. Le Alpi hanno perso il 6% del loro volume residuo solo nel 2022, definito «annus horribilis», per le scarse nevicate, la sabbia dal deserto del Sahara e le temperature estive anomale.

I dati sono ricordati da Legambiente all’avvio della «Carovana dei Ghiacciai», la campagna giunta alla quarta edizione e che quest’anno assume una dimensione internazionale, grazie alla collaborazione con Cipra (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi) e due delle sei tappe localizzate in Austria e Svizzera, allo scopo «di costruire nuove alleanze attraverso uno scambio con il mondo della ricerca europeo ma anche con i cittadini e le istituzioni locali». Il monitoraggio ha la partnership scientifica del Comitato glaciologico italiano (Cgi).

Secondo il rapporto «European State of the Climate 2022» della World meteorological organization (Wmo), i ghiacciai in Europa hanno perso un volume di circa 880 chilometri cubi di ghiaccio dal 1997 al 2022. Le Alpi sono state le più colpite, con una riduzione media di 34 metri.

Corriere del Veneto | 20 agosto 2023

p. 6, edizione Treviso - Belluno

Sul clima ognuno faccia la sua parte

Di Enrico Franco

«Quante storie! D’estate fa caldo, le stagioni anomale ci sono sempre state e le alluvioni pure». L’allarme è colpa dell’ «ideologia ecologista» che vuole frenare l’economia e il progresso. Per non parlare del sensazionalismo giornalistico: «gonfiano i titoli per aumentare gli ascolti e le vendite in edicola». Sentiamo spesso discorsi simili, anche se fortunatamente, pur con grave ritardo, la sensibilità ambientalista sta crescendo nell’intero mondo politico, non solo tra la sinistra storicamente più attenta alla questione. La cruda realtà dei dati bussa alla porta e, soprattutto, ci informa che in due-tre decenni il nostro sistema economico-sociale sarà fortemente modificato. Non si tratta più di pensare ai posteri, bensì ai nostri figli: quando avranno 40-50 anni, pagheranno il prezzo delle nostre scelte, inclusa la peggiore, ossia l’immobilismo. E allora, per iniziare, un po’ di chiarezza, evitando di confondere il clima con il meteo, come ha invitato a fare Massimo Sideri sul Corriere della Sera di martedì. Lasciamoci aiutare dall’enciclopedia Treccani online per la quale il clima è «il complesso delle condizioni meteorologiche (… temperatura atmosferica, venti, precipitazioni) che caratterizzano una località o una regione nel corso dell’anno, mediato su un lungo periodo. Si distingue dal tempo (in senso meteorologico), che è una combinazione solo momentanea degli elementi medesimi».

In altre parole, dobbiamo distinguere tra la nostra percezione immediata e le medie a lungo termine che vanno calcolate in un arco di almeno trent’anni. Ecco perché è prezioso il documento di aggiornamento del programma «Trentino Clima 2021-2023» che prende in considerazione tutte le Alpi. Ebbene, a quota 1.500 metri, tra il 2041 e il 2070, i giorni con neve naturale al suolo saranno 20-27 in meno rispetto al 2001-2020, mentre a duemila metri si arriverà addirittura a 31-48 giorni in meno.

L’innalzamento della temperatura, inoltre, renderà più difficile e comunque più costosa la produzione della neve artificiale. A ciò si somma l’allungamento dei periodi di siccità che accentuerà i conflitti sull’utilizzo dell’acqua (attualmente l’agricoltura ne assorbe il sessanta per cento del totale). Il ripensamento delle strategie turistiche, dei metodi di coltivazione della terra e dell’allevamento sono le conseguenze più evidenti, ma non le uniche. La rivoluzione dell’ecosistema, ad esempio, porta alla diffusione straordinaria delle zecche come del granchio blu, mentre le ondate di calore costituiscono ormai un rischio frequente per i soggetti fragili e costringono anche a ripensare le tempistiche del lavoro nei campi, nell’edilizia e nelle fabbriche. Intanto dovremo misurarci con l’esplosione del fabbisogno energetico. Guardare alle Alpi, tuttavia, non è sufficiente per capire quanto sia minacciato il nostro modello di vita. La Nato e la Marina militare stanno studiando le fusioni dei ghiacci che apre nuove rotte nell’Artico (nei giorni scorsi undici navi da guerra russe

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e cinesi sono state avvistate al largo dell’Alaska), mentre i mari riscaldati fanno proliferare le meduse che intasano i filtri delle imbarcazioni e impongono di revisionare sonar e sottomarini. Il lago Ciad nel 1963, grazie ai suoi 25.000 chilometri quadrati di acqua dolce, riforniva quattro Paesi all’estremità sud del Sahara, ma oggi la sua superficie è diminuita del novanta per cento. Da un lato abbiamo la siccità, dall’altro l’innalzamento dei mari che erode le coste dove vivono settecento milioni di persone. Gli esperti calcolano così che, se lasciamo tutto com’è, entro il 2045 un miliardo di donne e uomini sarà costretto a emigrare a causa del clima.

È lampante che il Veneto sia eccessivamente marginale per incidere sui fenomeni mondiali, ma di fronte a un problema enorme ci sono due vie possibili: ritenerlo troppo grande per noi, oppure essere consapevoli che ognuno è chiamato a fare la propria parte per comporre la soluzione globale. In ogni modo, volenti o nolenti dobbiamo attrezzarci per reggere l’urto che investirà l’economia e la società. Gli slogan non bastano più come dimostrano l’impennata di sbarchi sulle spiagge italiane (a Ferragosto abbiamo superato il tetto dei centomila profughi, più di quanti ne sono arrivati nell’intero anno scorso) e il lievitare delle criticità della sanità.

Corriere dell’Alto Adige | 20 agosto 2023

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I cambiamenti climatici e le reazioni degli umani

Quest’estate ha palesato in modo evidente i livelli di cambiamento climatico che il nostro pianeta sta vivendo, con conseguenze catastrofiche. Spesso dico ai miei amici che il tempo fa il matto perché impara dagli umani che sembrano voler estremizzare e drammatizzare le mutue relazioni. Alcuni esempi?

Di nuovo un’ondata di femminicidi ci addolora e ci indigna, a ricordarci che sono le persone più fragili quelle che patiscono in maniera drammatica l’altrui prepotenza ed anche un clima sociale e norme troppo indulgenti verso il pericolo rappresentato da persone già segnalatesi come violente. Lo stesso accadde con il maltempo, che non affonda gli yacht dei ricconi né devasta le nostre case in pietra ma invece rovescia i barconi dei disperati e distrugge le capanne della povera gente.

Abbiamo avuto mesi di siccità e poi un eccesso di precipitazioni, molte a carattere violento con esondazioni, ponti e strade travolti, terreni agricoli allagati e notevoli danni di lunga durata. Ma non siamo così anche noi? Spesso siamo parchi di parole quando ce ne sarebbe bisogno, tratteniamo pensieri e pareri e poi esplodiamo e rompiamo di colpo delicati equilibri, difficili da ristabilire. I ponti spazzati via e le strade ostruite anche nella nostra regione, ci fanno capire quanto sia importate tenere aperte vie di comunicazione tra di noi e non soltanto per i nostri veicoli. È proprio quando vengono a mancare le strutture di collegamento tra le persone e le nazioni, che ci si sente isolati, minacciati, su due rive diverse, fino ad arrivare a confliggere e fare guerra. Le bombe d’acqua e le supercelle temporalesche che abbiamo imparato a temere negli ultimi anni, ci rimandano a quei profluvi di parole violente che si scambiano politici e opinionisti in televisione e sui social. Non perseguono l’intento di cercare la verità, quanto di spazzare via le idee della controparte per affermare in maniera tassativa e non negoziabile la propria visione della situazione. Un dialogo costruttivo richiede invece parole che cadano come una pioggia benefica e feconda, non come nubifragi che tutto soffocano e coprono di fango. I fulmini che a migliaia squassano i nostri cieli in questi mesi estivi, non devono preoccupare tanto i bambini, quanto noi adulti che non sempre ci rendiamo conto delle cariche elettriche che accumuliamo nella nostra mente e nel nostro stomaco, per poi riversarle in maniera indistinta su chi ci capita a tiro. Ci manca un’educazione alla nonviolenza a livello di pensieri, di emozioni, di parole e di gesti.

I fulmini a volte causano incendi come d’altra parte anche le nostre parole inopportune, lanciate contro persone o istituzioni, provocando un effetto domino che poi non riusciamo più a controllare. Basta un cerino per distruggere boschi secolari, come una sola parola per devastare i rapporti tra le persone. E a proposito di boschi: il bostrico continua a fare strage e tutti locali e turisti siamo tristi per le chiazze grigio-marroni sempre più ampie che si allargano nelle nostre abetaie. Questo deve ricordarci che le cose belle e delicate, i sistemi armonici come il bosco, richiedono pazienza, cura, attenzione responsabile. Se non aiutiamo il nostro prossimo, i simbolici alberi e arbusti a noi vicini, a crescere con pazienza e sicurezza, non possiamo poi lamentarci di trovarci in un deserto poco appetibile e poco vivibile.

Corriere delle Alpi | 23 agosto 2023

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Otto gradi in più della media trentennale

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Il 31 agosto si conclude l'estate metereologica ma fino a quella data dovremo fare i conti, anche in montagna, con temperature torride. «Siamo di 6-8 gradi sopra la media degli ultimi 30 anni», fa sapere Gianni Marigo, Direttore dell'Arpav di Arabba. E da una decina di giorni la colonnina di mercurio si è alzata progressivamente.

«L'anomalia principale», spiega l'esperto, «è data dal fatto che ormai da sabato si registra questo tipo di temperature, che possono proseguire almeno fino a giovedì per poi forse cominciare leggermente a calare nella giornata di venerdì, più probabilmente sabato».

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Il clou dell'afflusso di aria calda in quota si è esaurito fra lunedì e ieri, quando lo zero termico ha superato abbondantemente i 5000 metri di quota. «Nei prossimi giorni», annota Marigo, «si assesterà su valori prossimi ai 4500, 4600 metri, quindi siamo su quote sempre molto elevate. Da sabato i diversi modelli vedono diversi scenari di rottura di questa situazione ma sono ancora tutti da decifrare».

È l'anticiclone africano Nerone che infiamma anche le cime dolomitiche più alte, oltre alle valli: +18°C sulla Marmolada, registrati ieri alla stazione di rilevamento meteo di Trento posta a 2.606 metri, +14,3 gradi a Punta Penia, a 3.434 metri d'altezza, registrati da "Marmolada meteo.it". Di neve ovviamente non ce n'è più, a quelle quote; solo qualche cumulo, l'ha dove l'ha portata il vento. Il nudo ghiacciaio è in fusione. «L'acqua scorre come un fiume in piena», testimonia Carlo Budel da Capanna Punta Penia. «È un rumore inquietante quello dell'acqua che mangia il ghiacciaio. Proprio come l'anno scorso quando ci fu la tragedia». Il 3 luglio 2022, il giorno della tragedia con 11 morti, il termometro era a +10 gradi.

Il Servizio prevenzione rischi della Provincia di Trento ha iniziato i sorvoli perlustrativi sul ghiacciaio e assicura che il monitoraggio «è costante. In caso di anomalie scatteranno provvedimenti immediati». Ciò che preoccupa non è solo la fusione dei ghiacciai ma anche la fusione del permafrost, cioè quella parte di terreno che dovrebbe essere perennemente ghiacciato e invece si scioglie e provoca scariche più frequenti di sassi. Soprattutto nel pomeriggio. «Noi lo monitoriamo con la stazione di Piz Boè», spiega Marigo. «Lo strato di permafrost lassù si è assottigliato di molto rispetto alla media; siamo in una situazione di sofferenza con un riscaldamento significativo del suolo per lo meno nelle parti più superficiali del suolo che dovrebbe essere congelato».

Ieri la Protezione Civile del Veneto, preso atto delle previsioni Arpav, ha comunicato la proroga dello stato di allarme climatico per disagio fisico fino a domani. Alle 15 la temperatura a Belluno era di 33,4°, di 35,5 a Santa Giustina, di 35,4 a Feltre. «C'è un'anomalia ulteriore», conclude Marigo. «Siamo all'ultima decade di agosto, che è l'ultimo mese dell'estate metereologica. Temperature di questo tipo, considerando che generalmente i massimi stagionali si verificano in altri periodi, statisticamente a luglio, e considerando anche che a fine agosto le giornate sono molto più corte di fine giugno e inizio luglio, registrare questo tipo di temperature è decisamente un'anomalia pesante».

IL FUTURO DELLO SCI: LE PROPOSTE DI ANEF

Corriere del Trentino | 18 agosto 2023

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«Meno neve? Pronti ad adattarci

Il nostro obiettivo è conservarla»

Ghezzi (Anef): «Nessuna riduzione dello sci». Battaiola (Albergatori): ci stiamo attrezzando

TRENTO

Valeria Ghezzi lo precisa subito: «Non sono spaventata di fronte agli effetti del cambiamento climatico. Sono attenta». All’indomani della presentazione dei primi dati sul clima in Trentino in vista dell’elaborazione della «Strategia provinciale di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici», la presidente di Anef (l’associazione degli esercenti funiviari) fa capire di non voler minimizzare la situazione. «Siamo nel mezzo di una crisi climatica senza precedenti» dice Ghezzi. Che allo stesso tempo allontana anche le letture più preoccupate sul destino del turismo. «Questa crisi climatica osserva non è iniziata ieri. E fino ad oggi gli impiantisti hanno saputo adattarsi in modo ottimale ai cambiamenti». Rispetto a qualche decennio fa in sostanza, prosegue la presidente, «riusciamo a innevare le piste in tempi brevissimi e a garantire l’intera stagione dello sci anche senza neve naturale». Oppure, come quest’anno, anche quando la neve si presenta solo in primavera, «come una beffa». Eppure i problemi ci sono: «Rispetto a dieci anni fa calcola la presidente i giorni di freddo di cui abbiamo bisogno per produrre neve si sono dimezzati». E in prospettiva, come emerso dai dati del documento illustrato da Appa, la neve al suolo rimarrà per molti meno giorni: a duemila metri, nel 2040, il manto bianco «resisterà» circa un mese in meno rispetto a oggi. Ghezzi non si scompone: «Vorrei approfondire prima queste previsioni. In ogni caso, la stagione invernale dello sci non subirà modifiche». Niente riduzione del periodo sciabile dunque? «Anche no» risponde secca la presidente. Decisa a sfruttare tutte le possibilità: «Nell’ultima finanziaria sono state stanziate delle risorse anche per lo snowfarming, una tecnica che permette di conservare la neve. Si tratta di una modalità sperimentale, che ho avuto modo di osservare in Finlandia. Ed è molto interessante».

Intanto, si guarda all’estensione dei mesi di attività degli impianti: «Possiamo pensare di lavorare per allungare la stagione estiva e quella autunnale». Mettendo dunque in funzione le funivie anche nei mesi oggi considerati poco interessanti. «Le stagioni estive riflette Ghezzi stanno crescendo tanto: la pandemia ha spinto le persone a cercare l’aria aperta e la montagna». E a parte «la batosta notevole» registrata quest’anno a inizio agosto a causa del maltempo, la tendenza è a investire molto sul trasporto in quota anche senza lo sci.

«Del resto incalza Giovanni Battaiola, presidente dell’Associazione albergatori e di Trentino Marketing ci sono stazioni, come Andalo, che ormai tengono aperti gli impianti tutto l’anno, tra sci, mountain bike e iniziative nei rifugi». Proprio la destagionalizzazione rimane la parola chiave per il futuro. «Il turismo trentino sottolinea Battaiola sta investendo molto sulle belle stagioni, sfruttando

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gli autunni più miti e le primavere anticipate». Un processo lungo, ammette il presidente degli albergatori, «che però non trova gli imprenditori trentini impreparati». «Non stiamo mettendo la testa sotto la sabbia, anzi» avverte Battaiola. Che ribadisce il concetto già espresso da Ghezzi: «Siamo attenti ai cambiamenti e siamo pronti a mettere in atto le iniziative conseguenti». Tenendo conto che la trasformazione è già iniziata: «Negli anni Ottanta nessuno pensava di affidarsi all’innevamento artificiale per garantire la stagione dello sci. Oggi l’utilizzo dei cannoni è un punto fermo per programmare l’apertura degli impianti e preparare le piste all’arrivo dei turisti». E in futuro la situazione potrebbe essere ancora diversa: «Magari ipotizza il presidente avremo delle stagioni invernali molto più corte di quelle estive per quanto riguarda l’afflusso turistico. In questo senso, è evidente che il settore turistico si dovrà adeguare alle nuove condizioni climatiche». E così dovranno fare gli impiantisti, «che dovranno mettere in agenda una riflessione sulla base dei cambiamenti in atto». «L’attenzione, nel consiglio di amministrazione di Trentino Marketing ma anche all’interno dell’associazione albergatori, è alta» ribadisce Battaiola.

Sotto la lente però, soprattutto nel pieno di una stagione estiva segnata da forti temporali e violente grandinate, ci sono pure gli eventi metereologici estremi. Che diventeranno una costante anche in Trentino. E che spaventano non solo il settore turistico. «Su questo fronte chiarisce la posizione il presidente degli albergatori dovrà lavorare soprattutto la politica e l’ente pubblico. Si tratta di mettere in sicurezza il territorio per tutti coloro che ci vivono. Residenti in primo luogo. E poi anche turisti». Ma altrettanto importante, secondo Battaiola, sarà il presidio del territorio. «Come imprenditori dovremo tornare a popolare le valli e l’intero territorio trentino. Perché lo spopolamento e l’abbandono delle valli può avere conseguenze anche sulla tenuta del territorio» conclude il presidente di Trentino Marketing.

Corriere delle Alpi | 31 agosto 2023

p. 8

«Sci, industria insostenibile Per ogni grado in più la quota si alza di 220 metri»

La prossima settimana il più grande hub al mondo di sci, il Consorzio Dolomiti Superski, annuncerà tutte le novità della stagione invernale, confermando fra l'altro 80 milioni di investimenti. Ad esempio per una nuova seggiovia in Val Zoldana. Federico Caner, assessore regionale al turismo, ha destinato oltre 3 milioni agli impianti di risalita per rinnovare gli strumenti di produzione della rete artificiale. Ma dall'Università di Padova arrivano segnali di insostenibilità per lo sci. «Dalle nostre elaborazioni dei dati forniti da Arpav si evidenzia un innalzamento di 220 metri della quota sciabile per ogni grado di aumento della temperatura in quota – commenta Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza Aziendale all'ateneo patavino – e si disegna un quadro di insostenibilità dell'industria dello sci, già resa evidente dai bilanci di gestione degli impianti di risalita e dalle necessarie sovvenzioni pubbliche per gli investimenti». Da qui l'impegno anche del Museo di Geografia di Unipd, come afferma Giovanni Donadelli, il curatore. Replica pacatamente il presidente degli impiantisti a fune del Veneto (Anef), Marco Grigoletto. «Non c'è neve? Nel 2021 quando eravamo chiusi per Covid la neve ha raggiunto i 4 metri a 1600 metri. Quest'anno invece abbiamo avuto un inverno più secco. Considerando queste situazioni anche il nostro settore si sta adeguando e lo sta facendo tutelando il territorio, aumentando l'utilizzo di tecnologie complesse per l'innevamento e mantenendo l'acqua in alta quota fino a primavera».

Grigoletto ricorda che la neve prodotta «con dei costi che ci carichiamo noi e in assenza totale di additivi» rimane sulle piste fino a primavera e quando si scioglie rientra nello stesso bacino imbrifero di partenza. «L'uso di acqua di tutta la montagna veneta per l'innevamento è di "soli" 3 milioni di metri cubi che ritornano appunto nello stesso bacino a primavera ma per avere un metro di misura reale bisogna considerare che l'industria veneta consuma almeno 150 milioni di metri cubi e questi invece "spariscono" nei prodotti che utilizziamo ogni giorno».

«Il turismo invernale sull'arco alpino e appenninico – conclude – produce un fatturato totale di circa 10 miliardi e da lavoro a circa 20mila persone solo nella stagione invernale. Da soli facciamo da moltiplicatore 10 sull'indotto che creiamo: se non esistessimo la montagna sarebbe abbandonata».

OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere delle Alpi | 1 agosto 2023

p. 15

Il consiglio provinciale: «L'ex colonia Eni di Borca deve ospitare il villaggio»

L'atto

La Provincia di Belluno chiede alla cabina di regia delle Olimpiadi Milano Cortina 2026 di rivalutare la scelta sul villaggio olimpico. E di individuare la sede nella vecchia colonia Eni di Borca.

Lo ha deliberato all'unanimità il consiglio provinciale, riunitosi oggi in modalità itinerante proprio a Borca di Cadore. L'atto dà mandato al presidente di attivarsi in tutte le sedi opportune affinché sia individuato nella rigenerazione del complesso edilizio fatto realizzare da

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Enrico Mattei ed Edoardo Gellner lo strumento ideale per l'ospitalità degli atleti olimpici. «La Provincia conferma quello che ha sempre sostenuto, proponendo ancora diversi anni fa la soluzione Borca, quale esempio concreto di sostenibilità e di Legacy dell'evento olimpico» ha sottolineato il consiglio.

RIGENERAZIONE DELLA EX COLONIA

L'atto approvato dal consiglio parte da un documento predisposto dagli uffici del Comune di Borca e giunto nei giorni scorsi in Provincia. Si tratta di un approfondimento tecnico sulla verifica della compatibilità amministrativa e tecnica a ospitare il villaggio olimpico nell'ex villaggio Eni. Il documento analizza non solo i criteri di sostenibilità, impatto ambientale e paesaggistico e rispondenza al quadro esigenziale del dossier olimpico, ma anche la compatibilità idrogeologica e la fattibilità tecnica del recupero del villaggio ex Eni, dimostrando come le indicazioni del Pai (Piano di assetto idrogeologico) e del Pgra (Piano di gestione del rischio idraulico) consentano di utilizzare fin da subito per lo scopo necessario la vecchia colonia. La delibera quindi chiede alla Regione di rivalutare alla luce di questa analisi la scelta di realizzare il villaggio olimpico a Fiames (come da Dgr 620 del 19 maggio scorso).

«Oggi rafforziamo la posizione sempre tenuta dall'amministrazione provinciale: eravamo partiti con la proposta nel 2020, poi ribadita nel 2021 nelle linee programmatiche» ha detto il presidente della Provincia, Roberto Padrin. «Una volta superato il dubbio della fattibilità tecnica e amministrativa, non vediamo altri ostacoli a realizzare qui il villaggio olimpico, attraverso un accordo pubblicoprivato».

MITIGATO IL RISCHIO IDROGEOLOGICO

Il documento preparato dal Comune di Borca sottolinea in particolare il superamento dei dubbi relativi ai vincoli di natura idrogeologica, dato che la ex colonia Eni si trova nella zona limitrofa al canalone di Cancia, noto per le colate detritiche dell'Antelao. «Gli interventi realizzati dalla Provincia sul canalone - con l'installazione della briglia Sabo Dam e la costruzione di un canale di dissipazione delle acque - hanno mitigato il pericolo di colate. E a breve partiranno ulteriori interventi a valle per ridurre ancora di più il rischio», ha detto il consigliere Mattia Gosetti, delegato alla Difesa del Suolo.

SOSTENIBILITÀ E LEGACY

Nei diversi interventi in sede di dibattito consiliare, tutti i consiglieri si sono espressi a favore della sostenibilità della rigenerazione e delle ricadute sociali che avrebbe per il territorio.

«Il dossier olimpico diceva che le Olimpiadi 2026 sarebbero state le più sostenibili e memorabili di sempre. E si poneva come obiettivo di mettere in atto politiche a favore dello sviluppo della montagna, utili al miglioramento dei servizi pubblici», hanno detto i consiglieri Paolo Perenzin e Simone Deola. «Crediamo che il recupero della vecchia colonia vada in questo senso, mentre il villaggio a Fiames no». «Siamo a fianco della Valboite per appoggiare la scelta di rigenerare la vecchia colonia » hanno aggiunto i consiglieri Bogana, De Toni e Scopel.

OLIMPIADI: LA PISTA DA BOB A CORTINA D’AMPEZZO

Il Nuovo Trentino | 1 agosto 2023

p. 4

Pista da bob olimpica, l'asta va deserta

CORTINA

È andata deserta l'asta per i lavori del primo step della pista da bob di Cortina. È un inciampo importante sulla strada della realizzazione della pista, forse è addirittura un punto di non ritorno, e potrebbe segnare la resa da parte degli organizzatori delle Olimpiadi MilanoCortina 2026, perché i tempi sono sempre più stretti. Mountain Wilderness ha buoni motivi per esultare, visto che contestava la realizzazione della pista nel contesto delle Dolomiti Unesco. E difatti una nota esordisce così: «A 27 mesi dall'evento olimpico invernale 2026 oggi (ieri ndr) 31 luglio non si è riusciti ad assegnare l'appalto per la costruzione del primo stralcio della pista di bob prevista a Cortina, inserita nel cuore di un parco giochi con contorno di uno storico lariceto, oltre 200 alberi di duecento anni ciascuno». Ma gli ambientalisti temono anche che questo sia il primo passo verso l'ipotesi di sostituzione con Saint Moritz, perché la società Infrastrutture Milano-Cortina 2020-2026 « pur di non dare ragione a noi ambientalisti si rifiuta di andare a Innsbruck». Innsbruck sarebbe una scelta felice per lanciare l'idea di Dolomiti-Euregio...

Corriere delle Alpi | 1 agosto 2023

p. 14

Va deserta la gara per la pista di bob: sarà una corsa contro il tempo

Francesco Dal Mas / CORTINA

La cordata di imprese bellunesi e venete intenzionate a partecipare alla gara d'appalto per lo Sliding Centre di Cortina ha fatto un passo a lato. Quindi ieri, consumate le ultime ore del bando, la Società Infrastrutture Milano Cortina ha tempestivamente comunicato

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che, non essendoci altri concorrenti, sarebbe andata a trattativa privata. Per riqualificare la gloriosa pista di bob "Eugenio Monti" sono necessari 807 giorni. Il cantiere, dunque, non può scattare oltre la fine di settembre, per cui è prevedibile che la "procedura negoziata" da parte del commissario Luigi Valerio Sant'Andrea venga esperita al più tardi entro i primi giorni del prossimo mese. La velocizzazione è consentita dal recente Codice degli appalti. Restano peraltro i termini del bando di gara precedente, quindi gli 80 milioni di euro di investimento, non uno in meno.

A Cortina e in provincia di Belluno è immaginabile la preoccupazione: salterà l'opera più iconica dei Giochi 2026? Lo sperano gli ambientalisti (e non solo). Ma se succedesse, non sarà Innsbruck a sostituire Cortina, tanto meno la piemontese Cesana, bensì la svizzera Saint Moritz. Innsbruck, si dice, costa troppo, 40 milioni, e probabilmente non ci sono i tempi per completare la rigenerazione in corso.

Retroscena

Non è dato sapere il motivo per cui la cordata di imprese del territorio si è ritirata dalla corsa. I loro tecnici avevano partecipato alla recente ricognizione sul campo, seguita a distanza dagli ambientalisti. C'era dunque la convinzione che entro il 31 luglio sarebbe maturata la loro adesione. Indiscrezioni riferiscono che il supporto chiesto a chi ha costruito la pista di Cesana non è arrivato: per la semplice ragione che, secondo i piemontesi, i tempi di consegna dell'opera sarebbe stato impossibile rispettarli. Quindi le imprese non se la sono sentita di affrontare le penali, da una parte, e la "vergogna" del ritardo, dall'altra. Contenuti del bando

Con un'ottimizzazione rispetto alle previsioni, l'importo complessivo del bando di gara era – e tale resta anche per la procedura negoziata - di 81.610.000 euro (Iva esclusa), di cui 79.112.000 euro per lavori soggetti a ribasso e 2.498.000 euro (Iva esclusa) di oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso. I tempi di esecuzione dei lavori? 807 giorni: l'opera dovrà essere messa in esercizio entro il termine del 15 novembre 2025. Il cronoprogramma del progetto esecutivo prevedeva, inoltre, che entro il mese di novembre 2024 vi sia un completamento intermedio delle opere, limitato al tracciato di gara, per lo svolgimento dei test-event olimpici funzionali all'omologazione dei requisiti tecnico-sportivi dell'impianto da parte delle Federazioni nazionali e internazionali. Sulla base del progetto esecutivo, i previsti lavori riguarderanno la costruzione della pista e delle opere connesse, dell'impianto di refrigerazione, degli edifici a servizio dell'utenza e del funzionamento dell'infrastruttura sportiva, dei tracciati stradali, delle aree di parcheggio e delle opere connesse, dei percorsi pedonali, delle aree di sosta, delle sistemazioni paesaggistiche e ambientali. La pista di bob, skeleton e slittino, provvista di tutti i servizi, anche quelli non strettamente sportivi, costerà circa 124 milioni.

Nulla cambia

Per evitare altre sorprese è immaginabile che la società "Simico" si rivolga ad alcune imprese nazionali strutturate di personale e impiantistica tali da non riservare sorprese. Ma ci saranno gruppi disponibili a farsi carico di lavori da 80 milioni di euro col rischio di finire fuori budget per la necessità di accelerare con l'impiego straordinario di personale? Ecco il punto. Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, non perde occasione di ammonire sul rispetto dei tempi. Vuoi vedere che si ricorrerà ai cinesi che hanno costruito in tempi strettissimi la pista di bob di Pechino? Staremo a vedere. Alla Simico ovviamente c'è fiducia, perché, nonostante le difficoltà, i tempi vengono rispettati. È della settimana scorsa il via al progetto di riqualificazione dello stadio del ghiaccio. Arriverà entro Ferragosto quello per la bretella dalla statale Alemagna ai campi di Tennis Apollonio. La complessità

Nulla cambia, dunque, ma resta la complessità dell'opera: le imprese che hanno rinunciato si sono interrogate sugli 80 milioni di lavoro e, contestualmente, sull'impegno importante dal punto di vista ingegneristico. C'è un progetto già definito da implementare, usando materiali sofisticati per garantire la sostenibilità ambientale. Quella di Cortina sarà una pista d'avanguardia, la prima col tetto verde, per buona parte interrata, con un sistema di refrigerazione a prova di sostenibilità. Si tratta quindi di lavori che richiedono grande specializzazione tecnica, materie prime non di terza o di quarta categoria. Ecco le difficoltà che potrebbero aver condizionato la partecipazione del territorio.

Corriere delle Alpi | 1 agosto 2023

p. 14

Il sindaco: «Ho fiducia in Simico» Casanova: «Serve trasparenza»

Le reazioni

«Non posso non essere fiducioso», anticipa ogni domanda il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi. «Mi dispiace, ovviamente, che sia venuta meno la partecipazione di imprese venete (o precisamente bellunesi). Ma sono sicuro che la Società amministrata dal commissario Sant'Andrea continuerà a dimostrare l'efficacia, l'efficienza e la tempestività che ha fino ad oggi testimoniato, accelerando e, se necessario, recuperando gli eventuali ritardi dei progetti in campo».

Non si sbilancia il presidente della Provincia, Roberto Padrin: «Prima di esprimere qualsiasi giudizio, aspettiamo l'esito della trattativa privata».

Di parere opposto gli ambientalisti. «Simico ha avviato una procedura negoziale comunque impegnativa se non impossibile», è la convinzione di Gigi Casanova, portavoce onorario del movimento Mountain Wilderness. «Questo significa perseguire un percorso di totale assenza di trasparenza», secondo l'ambientalista. «La procedura negoziata si svolge fra attori pubblici e affidatari dei lavori senza un controllo della cittadinanza, privo di un percorso basato sulla partecipazione e condivisione. Cosa accadrà non lo si può sapere, certo, l'imprevisto alimenta la già accentuata mancanza di credibilità verso l'intera operazione Olimpiadi invernali 2026».

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Casanova ricorda che nel novembre 2022 gli ambientalisti di comitati e associazioni avevano incontrato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Lo avevano invitato a prendere una iniziativa coraggiosa: abbandonare quello che allora era già chiaro, il sogno proibito, impossibile di Cortina e trattare con Innsbruck. In alternativa si aprono le porte affinché le gare si svolgano a Sant Moritz. «Non lo si dice: la pista di Sant Moritz è gestita con innevamento naturale. Due giorni di fhoen o temperature miti e le gare risultano impraticabili», puntualizza Casanova. «Al di là di cosa si deciderà in proposito (si ritiene che Innsbruck sia l'ipotesi più credibile, cittadina più vicina, anche culturalmente a Cortina, ad oggi nessuno della Fondazione è andato in Tirolo a trattare seriamente) quanto accaduto mette in rilievo l'improvvisazione della gestione dell'intera macchina che ci porterà alle Olimpiadi invernali del 2026. A oggi sono previsti complessivamente oltre 5 miliardi di euro di spese, ne erano stati programmati, senza spese per lo Stato, 1,3 miliardi». E i costi della pista? «Nel dossier di candidatura (2019) la pista di bob aveva un costo previsto di 47 milioni di euro. In pochi mesi erano lievitati dapprima a 61, poi passati a 85 e oggi a progetto definito 124 milioni di euro. Una cifra spaventosa che va a coprire una attività sportiva minimale, in Italia gli atleti praticanti fra skeleton e bob sono qualche decina. C'è chi parla con insistenza di un reale costo della pista, superiore ai 150 milioni. Comunque una indecenza, uno schiaffo alla comunità bellunese».

Gazzettino | 1 agosto 2023

p. 2, edizione Belluno

La pista da bob costerà di più

Nessuno ha presentato offerte al bando per costruire lo Sliding Centre dei Giochi olimpici invernali Milano Cortina 2026. La gara era stata pubblicata un mese fa, sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea; la procedura si è conclusa ieri, con la fine del mese di luglio, ma senza esito. Una decina di giorni fa c'era stato il sopralluogo di alcune imprese interessate, nel bosco di Ronco, dove dovrà sorgere la nuova pista Eugenio Monti, per accogliere le gare di bob, skeleton e slittino; quando però si è trattato di formalizzare l'offerta, nessuno si è fatto avanti Al termine della prima parte della procedura di gara non sono pervenute offerte.

E ADESSO?

Lo comunica la Società infrastrutture Milano Cortina 2026 che, nel contempo, spiega il passo successivo. «Come stabilito dalle norme, è già stata avviata, nella stessa giornata, la procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara. Lo prevede il recente decreto legislativo del 2023. La procedura ha tempi contingentati e potrà garantire il rispetto delle tempistiche indicate nel disciplinare di gara relativo alla realizzazione dello Sliding Centre di Cortina». Simico potrà andare quindi a una trattativa diretta, senza dover aprire un altro bando. Lo scopo è accelerare l'iter, ma quasi certamente comporterà un maggiore costo, per l'affidamento dei lavori relativi al secondo lotto della riqualificazione della pista Eugenio Monti. L'esigenza di fare in fretta sta diventando preminente. Questo impianto sportivo, fondamentale per la disputa dei Giochi olimpici invernali 2026, dovrà essere pronto per accogliere le prime discese fra sedici mesi, a novembre 2024. Per quella data dovrà essere pronta la pista di cemento, con l'impianto di refrigerazione artificiale e l'illuminazione. Poco dopo si dovranno infatti disputare le gare di prova, le discese per testare la pista, in tutte e tre le discipline, a un anno dai Giochi. I test saranno funzionali all'omologazione dei requisiti tecnico sportivi dell'impianto, da parte delle Federazioni nazionali e internazionali. Tutte le altre strutture dovranno essere consegnate finite un anno dopo, il 15 novembre 2025.

LE CIFRE

È quanto prevedeva il bando, andato deserto, che indicava un importo complessivo di 81 milioni 610mila euro. Di questi, 79.112.000 euro erano previsti per lavori soggetti a ribasso e 2.498.000 euro di oneri per la sicurezza, non soggetti a ribasso. Sarà da vedere se gli importi rimarranno inalterati o se, senza gara, lieviteranno. Il progetto complessivo dell'impianto sportivo prevede la riqualificazione della storica pista Eugenio Monti e di sette ettari circostanti, a Ronco, oltre a interventi connessi al nuovo impianto. Tra questi ci sarà anche un memoriale diffuso dello sport, per unire simbolicamente le VII Olimpiadi invernali Cortina 1956 con quelle di Milano Cortina 2026.

OLTRE IL TRACCIATO

Il progetto esecutivo prevede la costruzione della pista e opere connesse; impianto di refrigerazione, edifici a servizio dell'utenza e del funzionamento dell'infrastruttura sportiva; tracciati stradali, parcheggi e opere connesse, percorsi pedonali, aree di sosta, sistemazioni paesaggistiche e ambientali. Ci sono inoltre gestione informativa digitale dell'esecuzione delle opere; risoluzione delle interferenze con reti e infrastrutture esistenti; monitoraggio ambientale, mitigazione dell'impatto paesaggistico del cantiere e contenimento degli impatti ambientali in corso d'opera. Il tracciato ricalca la storica pista Eugenio Monti nelle curve Sento, Labirinti, Belvedere e Bandion. Accorcia il rettifilo Antelao, per realizzare poi una variante sostanziale, una nuova curva Cristallo e l'inserimento di un "Kreisel", una rotazione completa, che porterà al traguardo. La nuova pista rimarrà totalmente a monte della palestra per l'arrampicata sportiva Lino Lacedelli.

Corriere delle Alpi | 2 agosto 2023 p. 16

Abodi e Zaia sulla pista da bob: «Ce la faremo»

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CORTINA

Il bando è andato deserto, ma Luca Zaia, il presidente veneto che ha sempre considerato la pista di bob come l'icona delle Olimpiadi e paralimpiadi a Cortina, si dice comunque "fiducioso". «L'opera viene gestita dalla Società Infrastrutture Milano Cortina, che ora va a negoziazione diretta. Ci sapranno dire se riusciranno a trovare un'impresa oppure no». Risposta pragmatica, quella di Zaia, ma è evidente la sua preoccupazione, perché i tempi stringono.

Sulla medesima lunghezza d'onda si è sintonizzato ieri il sindaco Gianluca Lorenzi, rispondendo ai giornalisti che l'hanno cercato. «Certo», ha detto, «la gara d'appalto andata deserta non ci voleva. Ma ho fiducia nel lavori che sta portando avanti la struttura commissariale per le opere. Avevamo previsto l'aggiudicazione tra fine agosto e settembre. Andato deserto il bando, ora si potrà andare ad una assegnazione diretta». Lorenzi ricorda che è già successo recentemente che un bando per un'altra delle infrastrutture funzionali ai Giochi – il parcheggio multipiano in Largo Poste, in città – andasse deserto. «Ma lo abbiamo rimodulato, ed è stato assegnato».

La medesima fiducia di Zaia e Lorenzi è coltivata in ambito governativo. «Che una gara d'appalto vada deserta fa parte dei rischi di un mercato saturo, non è semplice in questo momento perché ci sono tante opere, tanti cantieri. La procedura negoziata che è stata attivata immediatamente di concerto col ministro delle Infrastrutture ci vede relativamente fiduciosi», ha affermato il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi. «Quando si organizza qualcosa di così complesso la preoccupazione ci accompagna giorno e notte, perché per senso di responsabilità bisogna tenere alto il livello delle sensibilità, ma siamo fiduciosi che anche questo tema verrà risolto tramite il rapporto con il mercato, che è regolato dalle norme, ma ci consente di essere più efficaci in via diretta con chi dovrà costruire la pista» , ha concluso.

L'ampezzana d'adozione, Daniela Santanché, ministro del turismo, assicura dal canto suo: «Sono fiduciosa che noi italiani ce la faremo, lo abbiamo visto in tante occasioni: mi ricordo che per l'Expo di Milano tutti dicevano che non ce l'avremmo fatta». fdm

Corriere delle Alpi | 11 agosto 2023

p. 27

Cipra, nuovo allarme sulla pista da bob «Se non ci fermiamo si divorerà i Giochi»

CORTINA

Nuovo allarme ambientalista. Questa volta da parte di Cipra, la confederazione delle diverse associazioni. «La pista da bob si divora i Giochi. I costi lievitano, il tempo a disposizione per realizzarla si accorcia. Si rischia concretamente di spendere milioni di euro e di non avere l'impianto a disposizione nei tempi utili. Prima che sia troppo tardi, la politica abbia il coraggio di ammettere i propri errori e cambi direzione», ammonisce il vertice dell'organizzazione.

«Con il bando di gara andato a vuoto (nessuna azienda ha infatti presentato offerte per la costruzione della pista, ndr ) ed i tempi ulteriormente ristretti si rischia di non arrivare in tempo. Sarebbe una figuraccia epocale che Cortina e l'Italia non meritano», dichiara Vanda Bonardo, presidente di Cipra Italia, «la politica, così come il Cio ed il Coni, non ha vigilato ed il bluff della pista esistente, da sistemare con pochi interventi, nel tempo è venuto a galla. Il dossier di candidatura che avrebbe portato all'assegnazione dei Giochi a Milano e Cortina parlava apertamente di località dotate di "una vasta gamma di strutture esistenti per ospitare i Giochi"; lo Sliding Centre Eugenio Monti, a Cortina, destinato ad ospitare le gare di bob, skeleton e slittino veniva definito "esistente con lavori permanenti necessari di ristrutturazione" che "trasformeranno l'attuale struttura in una pista all'avanguardia e performante". Anche in tempi recenti gli organizzatori hanno continuato a parlare impropriamente di "riqualificazione" anziché di ricostruzione integrale: in realtà della vecchia pista resta solo il nome».

Si andrà ora a trattativa privata, quasi come quando si affida un incarico da poche migliaia di euro. Procedure negoziata veloce senza pubblicazione di bando di gara e senza alcuna valutazione di impatto (non ci sarebbe il tempo).

«Ma senza appalto si dovrà procedere alle condizioni poste dalla ditta prescelta», affermano i vertici di Cipra, «facile immaginare che, in cambio dell'impegno a stare nei tempi (la pista dovrebbe essere disponibile per i test event dell'inverno 2024-2025, ndr ) saranno richiesti più soldi. Oltre a quelli di costruzione, come far fronte ai costi gestionali del dopo le olimpiadi?».

Un ripensamento, seppur tardivo, secondo Cipra Italia consentirebbe di dare una miglior destinazione a quelle risorse. In particolare «eviterebbe un buco nelle finanze della Regione Veneto, eviterebbe un ulteriore danno ambientale dovuto al consumo di suolo per un'area di progetto pari a novantamila metri quadri, all'eliminazione di circa cinque ettari di bosco, al consumo di acqua potabile da acquedotto per circa ventiduemila metri cubi, ad un consumo di una notevole quantità di energia elettrica per l'impianto di refrigerazione stimati in oltre un milione di Kwh con ulteriore rilevante impatto economico».

Infine un dietro front scongiurerebbe la realizzazione di una probabile cattedrale nel deserto lasciata in eredità al territorio bellunese e alpino. I soldi risparmiati? Meglio impiegarli – suggerisce Cipra – nel trasporto pubblico locale. francesco dal mas

Corriere del Veneto | 26 agosto 2023

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p. 2, edizione Treviso-Belluno

Giochi, Innsbruck si candida ad ospitare le gare di bob

La Fondazione: «Scorretti ma valuteremo attentamente»

Lettera del sindaco dopo l’asta deserta per Cortina

Venezia

Non bastasse il fronte interno, ci si mette anche Georg Willi, sindaco di Innsbruck, a ingarbugliare la tormentata vicenda della pista da bob per le Olimpiadi Milano-Cortina. Sollecitato dal fronte contrario alla realizzazione dell’impianto cortinese su cui Luca Zaia ipotizzava «finirà per costare 100-120 milioni», il primo cittadino austriaco spiega le ragioni per cui si potrebbe optare per una trasferta. «Innsbruck, in quanto città olimpica - scrive Willi - deve e vuole omologare la sua pista di bob e slittino per poter disputare competizioni internazionali di alto livello. I costi stimati per l’omologazione ammontano a circa 27,43 milioni di euro, che saranno ripartiti in parti uguali tra Austria, Tirolo e la Città di Innsbruck». Da qui la decisione di indirizzare una lettera ad Andrea Varnier, ad di Fondazione Milano-Cortina 2026.

«La mancata presentazione di offerte - aggiunge Willi - per la costruzione dello sliding center a Cortina d’Ampezzo distante soltanto 168 chilometri da Innsbruck, conferma il rischio denunciato dai Verdi di non riuscire a realizzarlo nei tempi richiesta dal Cio». Del possibile accordo italo-austriaco si era già parlato e sembrava anche fosse stata valutata l’ipotesi di un trasferimento oltre confine. Ora invece Felix von Wohlgemuth, co-portavoce dei Verdi Verdi Grüne Vërc, la senatrice Aurora Floridia e la consigliera regionale del Veneto Cristina Guarda (entrambe di Europa Verde), sostengono che l’incontro ravvicinato tra le parti non ci sia mai stato e sarebbe stato lo stesso sindaco, incontrato ieri a Bolzano, ad avere smentito l’esistenza di una qualsiasi forma di dialogo tra le parti. Se la mossa a sorpresa del sindaco di Innsbruck è stata prontamente abbracciata dal centrosinistra cortinese, non è piaciuta affatto alla Fondazione che risponde con una nota secca precisando che «ancora una volta i responsabili dell’impianto di Innsbruck scelgono una modalità di rapporto anomala e scorretta, veicolando una loro proposta attraverso i media e rendendola pubblica con una conferenza stampa. Tale proposta, che interviene peraltro su una decisione già presa – l’utilizzo dello Sliding Centre di Cortina, su cui è attualmente aperta una pubblica procedura d’appalto - va comunque valutata con attenzione». Un’apertura? Improbabile perché la Fondazione puntualizza in merito alla proposta: «A una prima lettura i dati messi a nostra disposizione riguardano solo costi operativi e gestionali di un eventuale utilizzo della pista durante i Giochi, mentre sembrano mancare ulteriori e rilevanti informazioni tecniche che erano state invece richieste formalmente in diverse comunicazioni risalenti al periodo tra marzo e maggio 2023».

Risposta piccata anche dal commissario Luigivalerio Sant’Andrea: «Il progetto, a seguito di una approfondita analisi comparativa con gli impianti sportivi esistenti, ha tenuto conto anche della possibilità di poter utilizzare impianti prossimi al confine italiano: con il supporto tecnico delle Federazioni è stato tuttavia riscontrato che gli impianti esaminati non fossero in possesso dei requisiti prestazionali per ospitare le Olimpiadi, compreso l’impianto di Innsbruck ».

SASSOLUNGO: LA RICHIESTA DI TUTELA

L’Adige | 4 agosto 2023

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“Basta con lo sviluppo senza limiti”

La misura è colma. Lo sviluppo turistico è completo. Occorre silenzio anziché frastuono e serve più rispetto per le montagne. Prendendo come esempio la situazione al passo Sella e nel gruppo del Sassolungo, ieri le associazioni alpinistiche e di tutela ambientale dell'Alto Adige e del Trentino (tra cui la Sat) hanno sottolineato l'estremo stato di vulnerabilità dell'ambiente, nelle Dolomiti ma anche nel resto della regione.Seguire la massima «sempre di più, sempre più lontano» porta a un eccessivo sfruttamento. Lo ha sostenuto il presidente dell'Avs Georg Simeoni nel corso di una affollata conferenza stampa cui, oltre alle associazioni protezionistiche altoatesine, hanno partecipato anche i presidenti nazionali dei club alpini italiano e germanico. «Ai piedi del Sassolungo non si possono ignorare gli interventi e le deturpazioni. E sono già previsti ulteriori collegamenti, espansioni, ingrandimenti. La pressione sull'ambiente alpino sta aumentando, il rispetto per la natura sta diminuendo», ha osservato Simeoni. Simeoni ha ricordato che le associazioni alpinistiche dell'Alto Adige e del Trentino chiedono dal 2005 la chiusura temporanea estiva dei passi dolomitici. Secondo il presidente dell'Avs «negli ultimi 18 anni non è successo praticamente nulla». Per Simeoni è ipotizzabile una chiusura delle strade dei passi come anche un sistema di contingentamento del traffico. «Tutti trarrebbero beneficio da una riduzione del traffico, sia gli arrampicatori che gli escursionisti, i ciclisti come anche chi è in cerca di tranquillità, di natura e di fauna selvatica.«La soluzione all'arrivo di sempre nuovi turisti - ha detto il presidente del Cai nazionale Antonio Montani non è certo quella di ampliare costantemente impianti di risalita, sentieri e rifugi. Nuove e più grandi infrastrutture portano nuovi problemi, i limiti di sopportazione sono stati raggiunti, sia per la natura che per la popolazione locale». Anche Roland Stierle, presidente del Dav, il più grande club alpinistico al mondo, ha chiesto più rispetto e lo stop all'ulteriore espansione edilizia per uso turistico/commerciale. Il Dav promuove con forza la responsabilità personale di ogni appassionato di montagna, in termini di protezione della natura e dell'ambiente, soprattutto per quanto riguarda la mobilità e l'uso di mezzi di trasporto sostenibili: «Stop alle auto private», ha detto.«Con l'enorme consumo di terreni, la distruzione del paesaggio, il

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consumo di risorse, con gli eccessi architettonici, l'aumento dei prezzi dei terreni e le troppe seconde case, ma anche con una mobilità sbagliata, si sta andando verso la distruzione», ha detto Claudia Plaikner, presidente dell'Heimatpftegeverband. Anche la Federazione Ambientalisti Alto Adige ha sottolineato che il punto critico è stato superato, i progetti edilizi e l'eccessivo turismo minacciano non solo l'ambiente ma anche la qualità della vita. «La nostra provincia sta per degenerare in una Disneyland», avverte Elisabeth Ladinser, vicepresidente del Dachverband. Heidi Stuffer del gruppo Nosc Cunfin ha parlato della situazione attuale a passo Sella e intorno al Sassolungo ricordando che i cittadini dei tre comuni della Gardena e di Castelrotto si sono uniti in un comitato chiedendo che l'area intorno al Sassolungo sia protetta. Anche da progetti come quello che punta alla sostituzione della datata cabinovia per forcella Sassolungo, che aumenterebbe ulteriormente la pressione sull'area con un impianto di portata più che raddoppiata rispetto all'attuale e una nuova stazione a monte molto più grande dell'attuale. E il Cai di Bolzano ha già detto no all'utilizzo di terreni di sua proprietà. Da.Pa.

Il Nuovo Trentino | 4 agosto 2023

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Sassolungo, nuova funivia: rivolta

L'antica e «romantica» ovovia che risale il ghiaione della Forcella Sassolungo, a passo Sella, ha le ore contate. Ma quello che si prospetta è un futuro che gli ambientalisti non digeriscono: sostituirla con una moderna funivia, che quadruplicherebbe la portata di turisti. E con una stazione di arrivo, di fianco al rifugio Demetz, gigantesca.Se le associazioni protezionistiche e alpinistiche hanno sempre contestato l'impianto, fin dalla sua realizzazione negli anni Sessanta, oggi la protesta assume toni più accesi. Ed internazionali. Ieri a passo Sella c'erano tutte le sigle dei club alpini: il presidente del Cai nazionale, quello del DAV tedesco (il più grande del mondo per numero di iscritti), l'Alpenverein dell'Austria; ma anche il Cai dell'Alto Adige, la Sat, il Collegio delle Guide Alpine del Trentino, i Catores, il Cipra (con i suoi rappresentanti di Italia, Austria e Germania), oltre a Mountain Wilderness, il comitato gardenese «Nosc Cunfin» che da 25 anni combatte per la difesa dell'area; e poi Dachverband fur Natur, Verein zum Schutz der Bergwelt, Heimatpflegeverband.I vari esponenti hanno presentato il problema: la vecchia ovovia è a fine corsa. O la si smantella del tutto, o la si rifà. E la domanda per sostituirla con una enorme funivia è già arrivata, da parte degli impiantisti, alla Provincia di Bolzano. «Non è il solo attacco: la realizzazione della nuova funivia porterebbe anche lo sviluppo di una nuova pista da sci dal Demetz ai Prati di Confine. Mentre già si è fatto scempio della magnifica "Città dei Sassi", deturpata per allargare lo skiweg di collegamento», è stato detto.Non solo: altri assalti alla zona sono all'orizzonte, con l'ipotesi di collegamento funiviario del Sassolungo con Siusi, ad esempio. Per le associazioni della montagna, la soluzione è una sola: «Venga decretata la nascita di un parco naturale del Sassolungo, un patrimonio di tutti, e non venga più concesso nemmeno un metro di terreno a nuovi impianti. Ne guadagnerebbe anche il turismo: oggi passo Sella è sommersa di traffico e gli impianti attirano sempre più gente, che viene qui solo per salire in quota, farsi un selfie e pubblicarlo su Facebook e sui social».La logica del «sempre di più, sempre di più» porta allo sviluppo eccessivo ha detto il presidente dell'Avs, Georg Simeoni. «Ai piedi del Sassolungo sono evidenti gli interventi e gli sviluppi indesiderabili. E sono già previsti ulteriori sviluppi, ampliamenti e ampliamenti. La pressione sull'ambiente alpino sta aumentando e il rispetto per la natura sta diminuendo», ha dichiarato fra gli applausi.«È nostro compito segnalare la vulnerabilità della natura e scuotere la politica e gli affari affinché la regione alpina possa finalmente trovare la pace» ha detto. Purtroppo la politica non c'era: nessun esponente della giunta provinciale, nessuno dei sindaci locali. Unico presente (ma come esponente del Cai) il senatore Luigi Spagnolli.La conferenza stampa era intitolata «Silenzio invece di frastuono». Simeoni ha ricordato che i club alpini dell'Alto Adige e del Trentino chiedono dal 2005 la chiusura temporanea delle strade di valico, in particolare dei passi dolomitici. Ma dopo il tentativo dell'allora assessore Gilmozzi (con il check delle auto a pian Schiavaneis), la nuova giunta Fugatti ha immediatamente abbandonato ogni ipotesi (d'altronde, ha mietuto voti a Canazei con questa promessa). E siamo ancora in attesa di «studi e sondaggi» promessi dal Tonina.Secondo il presidente dell'AVS, negli ultimi 18 anni non è successo nulla. Ci vorrebbe invece un blocco delle strade di valico oltre che una contingentazione al traffico. «È importante riportare la pace nella zona . Tutti ne avrebbero sollievo, scalatori ma anche escursionisti, ciclisti e coloro che cercano relax e soprattutto natura».Joseph Klenner, del Club alpino tedesco (DAV) è stato molto duro: «L'industria automobilistica ha creato il turismo motorizzato, e questo ha spinto a creare delle Disneyland alpine, piene di impianti. Tutto questo deve finire».Denunciato anche il fallimento del riconoscimento Unesco: «È stato usato solo come elemento di merchandising e commercio». «Ma adesso è ora che sul destino della montagna anche la gente possa dire la sua. E anche quei cittadini che non hanno interessi economici nella montagna» è stata la dura protesta di Heidi Stuffer, del gruppo Nosc Cunfin.Quella che doveva essere una protesta contro l'impianto, è diventata una generale e forte rivendicazione: la montagna va salvata, occorre invertire la rotta, e il cambiamento climatico è una parte del problema: in ladino, tedesco ed italiano, alternativamente, diversi gruppi e movimenti hanno detto la stessa cosa: «Adesso basta sfruttamento». Quindi: no a nuovi impianti, basta piste da sci, stop ai rifugi-albergo con sauna e ristorante gourmet. E i proprietari del rifugio? Giovanni Demetz, della famiglia che lo ha costruito e gestito dal 1952, è stato chiaro: «Mio nonno lo ha voluto come base per il soccorso alpino e le cordate. Mio padre mi ha insegnato: accogli tutti, e guardali negli occhi. Se un domani arrivasse su il quadruplo della gente, come potremmo guardarli in faccia?».E la cabinovia? «Se vogliamo mantenere un piccolo impianto come quello vecchio, per motivi di romanticismo, si può fare. Ma se l'impianto venisse demolito del tutto, a noi non dispiacerebbe».

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Alto Adige | 4 agosto 2023

Corriere dell’Alto Adige | 4 agosto 2023

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Stop a nuovi impianti in quota «Serve una svolta politica, se si aspetta sarà troppo tardi»

L’allarme degli ambientalisti di Italia e Germania. «Si riporti la pace in montagna»

BOLZANO

Basta a nuovi impianti di risalita, a «rifugi dei selfie», all’assalto alle solite, poche località, alla ricerca del profitto a tutti i costi. «La montagna ha bisogno del turismo per vivere, ma l’eccesso porta a danni irreparabili. E alla politica manca la consapevolezza che, se non si fa qualcosa subito, potrebbe essere troppo tardi». Il grido è quello dei club alpini di Italia e Germania, dal Cai locale e nazionale, all’Alpenverein altoatesino (Avs) e tedesco (Dav), al Dachverband, all’Heimatpflegeverband, a Mountain wilderness e Nosc Cunfin, che si sono dati appuntamento ieri mattina a passo Sella, alla base di partenza della cabinovia, per esprimere la loro contrarietà al progetto «faraonico» di ampliamento che vorrebbe raddoppiarne la portata e quadruplicare la superficie della stazione a monte. «Piuttosto è la provocazione , meglio demolirlo».

L’obiettivo, come sottolinea Carlo Zanella, presidente del Cai Alto Adige, non è quello di demonizzare gli impianti: «Noi stessi, oggi, siamo arrivati qui in funivia. Ma quelli che ci sono, sono più che sufficienti. Rinnoviamoli, sistemiamoli, ma non costruiamone di nuovi». A partire, appunto, dalla storica bidonvia di passo Sella. «Non c’è alcun bisogno di ampliarlo sottolinea . Il sospetto è che la proposta dei proprietari, alla quale ci siamo opposti, perché toccava terreni di proprietà del Cai, sia solo un primo passo per realizzare un collegamento, oltre la forcella, con i Piani di confine e con l’Alpe di Siusi».

E oltre la forcella c’è pure un altro progetto che, realizzato, si è guadagnato un esposto in Procura degli ambientalisti. Quello che sarebbe dovuto essere un complesso di «piccoli lavori di miglioria sul sentiero sciistico» che attraversa la «Città dei sassi» (monumento naturale ai piedi del Sassolungo), approvato dalla Provincia, si è concretizzato in un intervento di impatto decisamente maggiore: sia per la lunghezza del tratto interessato, (255 metri anziché 48), sia per l’allargamento (6 metri anziché mezzo) che per il fatto di aver comportato la rimozione di alcuni massi, parte del monumento. «L’ultima, ampia area di “riposo” tra i Piani di confine e il monte Pana denuncia Heidi Stuffer, presidente di Nosc Cunfin è stata danneggiata. Per proteggerla, è necessario inserirla, insieme al Sassolungo, in un parco naturale».

Il problema, secondo Antonio Montani, presidente del Cai nazionale, è che «alla politica manca consapevolezza. Lo dimostrano, per esempio, azioni di “sostituzione edilizia” che qui in Alto Adige lasciano perplessi. I rifugi che non sono più tali, ma rincorrono le esigenze del turismo di massa. Nel piano del Ministero del turismo c’è la manutenzione degli impianti esistenti: sarebbe un risultato se almeno uno di quelli dismessi, ai quali, quando va bene, vengono tolte le funi, venissero effettivamente rimossi». Un cambio di paradigma difficile da adottare, riconosce. «In un momento in cui c’è grande attenzione alla montagna dice , e quindi anche un grande successo turistico, non è facile inaugurare una nuova fase politica, ma è necessario farlo adesso». Certo, anticipa l’obiezione Claudia Plaikner, presidente dell’Heimatpflegeverband, «la Provincia ha introdotto il divieto di realizzare nuovi posti letto turistici (al netto di numerose deroghe, ndr ), ma è solo un piccolo passo. Da solo non basta: servono certificazioni-clima per le strutture, e interventi sulla mobilità». E questo perché, ricorda Elisabeth Ladinser, vicepresidente del Dachverband, «è il traffico, il principale “killer” del clima. Perché non investire i soldi dei contribuenti nella mobilità pubblica, anziché in nuovi impianti di risalita?». Tra i problemi emergenti, quello dei voli turistici in elicottero in quota. «Abbiamo cinque piazzole di atterraggio al di sopra dei 600 metri aggiunge , che

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vanno tenute libere per essere usate dai mezzi di soccorso, in caso di bisogno. Se non si fanno controlli, è inevitabile che vengano sfruttate anche a scopi turistici».

Eloquente la fotografia, in bianco e nero, esibita da Roland Stierle, presidente dell’Alpenverein in Germania (Dav), del passo Sella nel 1923. Nessun parcheggio, nessun impianto: «Oggi, profitto e industria del divertimento sono l’immagine della montagna». Quello che si dovrebbe fare, secondo Georg Simeoni, presidente dell’Avs, è chiudere i passi dolomitici al traffico, a fasce orarie. Come avvenne proprio su passo Sella nel 2018 (un esperimento che poi la Provincia non replicò più), e come avviene tuttora al lago di Braies (che per tutta l’estate, è raggiungibile in auto solo su prenotazione, e solo fino al raggiungimento di un tetto massimo). «Sarebbe un modo per andare incontro alle esigenze di tutti sostiene Simeoni , e per riportare il silenzio e la pace in montagna» .

Corriere dell’Alto Adige | 4 agosto 2023

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Demetz: «La nuova cabinovia? Se si fa, demolisco il rifugio»

Prinoth: «Alfreider ha perso l’occasione di fare la differenza»

«Se l’impianto di risalita verrà ampliato, siamo pronti a demolire il nostro rifugio». Non usa giri di parole Enrico Demetz, titolare del rifugio intitolato al fratello, Toni Demetz, sulla forcella del Sassolungo. «Un posto magnifico afferma , un anfiteatro molto sensibile ai rumori e dalla visuale limitata a un piccolo spicchio tra le rocce. Il progetto di ampliamento farebbe “esplodere” la stazione a monte, e a chi ci arriva non resterebbe da vedere che mezzo panorama e un gran bel pilone».

Il rifugio Demetz è «appollaiato» sulla forcella del Sassolungo dal 1954. «Mio fratello morì proprio sul Sassolungo nel 1952 spiega Demetz . Mio padre, soccorritore, non riuscì a salvarlo. Lo chiamarono da Roma, per conferirgli un’onoreficenza, e in quell’occasione espresse il desiderio di avere un pezzo di terreno per costruire un bivacco». È questa, secondo il gestore, «l’anima dei rifugi». Poi arrivarono un paio di tavoli, qualche chinotto agli escursionisti che passavano di lì, e infine qualche stanza «per chi scendeva tardi dalle rocce». Negli anni Settanta arrivò la cabinovia che da allora accompagna la storia del rifugio. Negli stessi anni ci fu il passaggio di gestione a Enrico Demetz. «Mio padre racconta ancora mi raccomandò di mandarlo avanti tenendo a mente due cose: trattare bene i soccorritori, e guardare sempre negli occhi la gente che si ferma al rifugio. Come pensate possa continuare a farlo, se l’impianto di risalita sarà ampliato, raddoppiando gli arrivi?».

La storia dei Demetz si incrocia con quella del Cai, «vicino di casa» con il rifugio Vicenza, appena oltre la forcella. Che si trova ad affrontare il problema della mancanza di acqua, che si acuisce di anno in anno, all’aumentare delle temperature a causa dei cambiamenti climatici. «Al Vicenza non ne arriva più fa sapere Othmar Prinoth, presidente dell’associazione delle guide alpine altoatesine , e in più abbiamo il problema delle acque nere. Mancando un impianto di fognatura vero e proprio, si infiltrano nel ghiaione, arrivando a intaccare la falda acquifera. Problema che aumenta, con le piogge». Il risultato è che l’acqua di falda, per tornare potabile, deve essere trattata chimicamente. «E se aumenterà il numero di arrivi, con l’ampliamento dell’impianto di risalita prevede , il problema peggiorerà. Salvare l’acqua dei Piani di confine, significa salvare la salute delle persone». Infine, l’affondo all’assessore provinciale alla Mobilità, Daniel Alfreider, invitato al presidio di ieri, ma assente. «Non deve aspettare le elezioni per mettere l’area sotto tutela sostiene Prinoth . Avrebbe potuto essere ricordato come un grande assessore, e non come il solito politico che cura l’interesse di pochi».

Il Nuovo Trentino | 8 agosto 2023

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Protesta al Sassolungo; la replica degli impiantisti

La clamorosa protesta internazionale contro una ipotizzata nuova funivia alla forcella del Sassolungo, a Passo Sella, giovedì scorso, ha avuto una vasta eco: la discesa in campo delle maggiori organizzazioni alpinistiche d'Europa (la DAV tedesca, il Cai nazionale italiano e l'Alpenverein dell'Austria) contro il progetto fa molto discutere. Anche perché la manifestazione contro il nuovo impianto, si è conclusa con un duro attacco alla «Disneyland della montagna», con la richiesta di uno stop assoluto a nuovi impianti di risalita sulle Alpi. Con una ulteriore problematica: «Qui i nuovi impianti sono pagati con i soldi pubblici, con contributi che arrivano all'80-90 per cento dei costi, mentre in Austria e Germania esiste un limite che varia dal 3 al 5% dei costi, per l'intervento pubblico».Nell'attuale conseguente discussione sugli impianti di risalita, l'Associazione esercenti funiviari dell'Alto Adige ha diramato una nota nella quale intende «chiarire alcuni punti fondamentali» e si dichiara «con nettezza contro una condanna generalizzata del settore».«Per quanto riguarda i contributi pubblici, desidero chiarire che non tutti i gestori di impianti di risalita li ricevono. Essi sono destinati soprattutto alle aree meno sviluppate dal punto di vista turistico. In questo caso hanno senso, perché altrimenti queste strutture, che hanno un ruolo centrale per le rispettive valli e la loro economia e occupazione, rischierebbero di scomparire» chiarisce Helmut Sartori, che è il Presidente dell'Associazione esercenti funiviari. Sartori valuta negativamente la richiesta di uno stop di tutti i progetti relativi agli impianti di risalita fino a dopo le elezioni provinciali come proposto - dopo la manifestazione - dal consigliere provinciale del Team K,

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Paul Köllensperger.«Lasciare semplicemente che le cose rimangano immobili non può essere la soluzione. Piuttosto, nel caso di progetti controversi, è importante sedersi insieme e cercare il modo migliore di procedere».Partendo da questi presupposti, afferma la categoria degli impiantisti, occorre che si affrontino anche i progetti per la mobilità per il futuro. «Parlando di sostenibilità, i collegamenti funiviari sono sicuramente preferibili al sostegno della mobilità individuale. Ci sono in tutto il mondo esempi di impianti moderni che hanno contribuito in modo sostanziale alla diminuzione del traffico. Proprio per questa ragione un nuovo collegamento funiviario da Merano a Scena può aiutare a contenere il problema del traffico, così come già da anni avviene tramite la funivia sull'Alpe di Siusi. Prima della costruzione - spiega Sartori - dell'impianto di risalita da Siusi a Compaccio, sull'Alpe di Siusi si recavano fino a 2.900 auto al giorno. Grazie a impianti di risalita di questo genere, si possono fare importanti passi e raggiungere notevoli successi nel campo della sostenibilità», afferma Sartori. Sul tema però i comitati locali della Val Gardena, insieme alle associazioni protezionistiche come Mountain Wilderness e Cipra, lamentano il silenzio dell'assessore provinciale competente, Daniel Alfreider, ladino e responsabile delle competenze sulla mobilità e anche sui collegamenti impiantistici. g. z.

Alto Adige | 8 agosto 2023

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«Impianti risalita, stop accuse al settore»

BOLZANO

Nella discussione sugli impianti di risalita l'Associazione esercenti funiviari intende chiarire alcuni punti fondamentali e si dichiara con nettezza contro una condanna generalizzata del settore. Così Helmut Sartori, presidente dell'Associazione esercenti funiviari: «Per quanto riguarda i contributi pubblici, desidero chiarire che non tutti i gestori di impianti di risalita li ricevono. Essi sono destinati soprattutto alle aree meno sviluppate. In questo caso hanno senso, perché altrimenti queste strutture, che hanno un ruolo centrale per le rispettive valli e la loro economia e occupazione, rischierebbero di scomparire». Sartori valuta negativamente lo stop di tutti i progetti relativi agli impianti di risalita fino a dopo le elezioni provinciali come proposto dal consigliere provinciale del Team K, Paul Köllensperger: «Lasciare semplicemente che le cose rimangano immobili non può essere la soluzione. Piuttosto, nel caso di progetti controversi, è importante sedersi insieme e cercare il modo migliore di procedere». Partendo da questi presupposti, occorre che si affrontino anche i progetti per la mobilità per il futuro. «Parlando di sostenibilità, i collegamenti funiviari sono sicuramente preferibili al sostegno della mobilità individuale. Ci sono in tutto il mondo esempi di impianti moderni che hanno contribuito in modo sostanziale alla diminuzione del traffico. Proprio per questa ragione un collegamento funiviario da Merano a Scena può aiutare a contenere il problema del traffico, così come già da anni avviene tramite la funivia sull'Alpe di Siusi. Prima della costruzione dell'impianto di risalita da Siusi a Compaccio, sull'Alpe di Siusi si recavano fino a 2.900 auto al giorno. Grazie a impianti di risalita di questo genere, si possono fare importanti passi e raggiungere notevoli successi nel campo della sostenibilità».Sartori sottolinea come il suo settore contribuisca in maniera essenziale al Pil, all'occupazione e al benessere dell'Alto Adige: «Molte sfide ci attendono. Possiamo affrontarle e vincerle solamente uniti, per questo motivo le accuse generalizzate non aiutano di certo a raggiungere tale obbiettivo».

Corriere dell’Alto Adige | 8 agosto 2023

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Funivie, Anef boccia la moratoria «Sono più sostenibili delle auto»

Matteo Macuglia BOLZANO

«Non si può fermare ogni progetto per gli impianti in montagna, seggiovie e cabinovie sono anzi un modo per ridurre il traffico in quelle zone». Dopo qualche giorno di silenzio, gli esercenti funiviari hanno deciso di rispondere alle polemiche di questi giorni sollevate dal Cai, che insieme ad altre associazioni (Dachverband, Heimatpflegeverband, Mountain wilderness, Nosc Cunfin, Alpenverein altoatesino e germanico) giovedì scorso aveva organizzato un presidio per dire basta ai nuovi impianti in quota, partendo dall’ultimo progetto definito “faraonico” con cui si vorrebbe ammodernare ed espandere la cabinovia di Passo Sella. Le associazioni che si occupano delle montagne bollando come «eccessivo» questo ennesimo ampliamento non solo della portata dell’impianto (che verrebbe raddoppiata), ma anche della struttura a monte, che vedrebbe quadruplicare la sua estensione.

Dopo giorni di silenzio è arrivata la risposta pubblica dell’Associazione esercenti funiviari, tramite il suo presidente, Helmut Sartori: «Per quanto riguarda i contributi pubblici, desidero chiarire che non tutti i gestori di impianti di risalita li ricevono. Sono destinati soprattutto alle aree meno sviluppate dal punto di vista turistico. In questo caso hanno senso, perché altrimenti queste strutture, che hanno un ruolo centrale per le rispettive valli e la loro economia e occupazione, rischierebbero di scomparire».

I membri dell’associazione di categoria, si dicono anche contrari a uno stop indiscriminato di tutti i progetti relativi agli impianti di risalita fino a dopo le elezioni provinciali, come proposto dal consigliere del Team K, Paul Köllensperger. «Lasciare semplicemente che le cose rimangano immobili non può essere la soluzione. Piuttosto, nel caso di progetti controversi, è importante sedersi insieme e cercare il modo migliore di procedere» prosegue Sartori.

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L’Anef commenta anche il rilancio, giovedì scorso da parte dei gruppi che si occupano delle montagne, della chiusura a fasce orarie per i passi dolomitici in modo da contingentare il traffico e riportare tra queste valli il silenzio che le contraddistingue da sempre. «Parlando di sostenibilità, gli impianti di risalita sono sicuramente preferibili al sostegno della mobilità individuale. Ci sono in tutto il mondo esempi di strutture moderne che hanno contribuito in modo sostanziale alla diminuzione del traffico. Proprio per questa ragione nota Sartori rilanciando un’altro progetto parecchio controverso il collegamento funiviario da Merano a Scena può aiutare a contenere il problema del traffico, così come già da anni avviene tramite la funivia sull’Alpe di Siusi. Prima della costruzione dell’impianto di risalita da Siusi a Compaccio, sull’Alpe di Siusi si recavano fino a 2.900 auto al giorno. Grazie a impianti di risalita di questo genere, si possono fare passi importanti e raggiungere successi notevoli nel campo della sostenibilità», conclude Sartori, che ricorda «come il suo settore contribuisca in maniera essenziale al Pil, all’occupazione e al benessere dell’Alto Adige».

Alto Adige | 22 agosto 2023

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«Tutela del Sassolungo: facciamo il referendum»

Ortisei. Il gruppo di maggioranza del sindaco Tobia Moroder, la Lista Unica, scende in campo per la tutela del gruppo del Sassolungo e dei prati del Plan de Cunfin, una battaglia che da tempo le associazioni ambientaliste portano avanti chiedendo l'istituzione di un parco naturale. "Il parere dei cittadini della Val Gardena - dicono igli esponenti della Lista Unica - dovrebbe essere tenuto in considerazione in questa decisione".L'area in discussione, come noto, è tra il massiccio del Sella e l'Alpe di Siusi e si distingue come zona incontaminata nel mezzo di un'area fortemente sviluppata dal punto di vista turistico. "La necessità di proteggere queste aree è una logica conseguenza del Piano per il clima 2040 dell'Alto Adige, che sottolinea l'importanza di proteggere le aree incontaminate per il raggiungimento degli obiettivi climatici. Inoltre, in questa zona si trova la sorgente dell'acqua potabile del comune di Ortisei e di parte delle frazioni ladine del comune di Castelrotto, il che significa che l'intera area ha un valore molto particolare per i nostri cittadini", spiega il sindaco Tobia Moroder.Il paesaggio variegato di questo territorio presenta una ricca biodiversità e funge rifugio ecologico per la flora e la fauna. Numerose specie di uccelli, alcune delle quali altamente minacciate, trovano qui i loro habitat, mentre le foreste circostanti fungono da spazi di riposo per la natura e per l'uomo.Il gruppo d'iniziativa "Nosc Cunfin" persegue l'obiettivo di far decidere ai cittadini, attraverso un referendum, lo status di parco naturale protetto del gruppo del Sassolungo e dei prati del Plan de Cunfin. La Lista Unica condivide questa volontà e il sindaco di Ortisei precisa: "È di estrema importanza che la popolazione abbia la possibilità di decidere se questa preziosa area debba essere dichiarata parco naturale. A nostro avviso, una tutela integrale rappresenterebbe senza dubbio un enorme valore aggiunto".Le amministrazioni comunali di Ortisei, S. Cristina e Selva Gardena avevano già espresso la volontà di salvaguardare il gruppo del Sassolungo con i suoli Cunfin con delibere di massima tra il 2010 e il 2013. Tuttavia, la mancanza di impegno da parte del Comune di Castelrotto aveva impedito ulteriori misure. La Lista Unica riconosce l'alto valore del gruppo del Sassolungo con i prati Cunfin e l'importanza di una tutela definitiva e desidera, pertanto, continuare a impegnarsi in tal senso.La consigliera comunale Sara Stuflesser e l'assessore all'ambiente, del comune di Ortisei, Claudia Insam, entrambi della Lista Unica ribadiscono: "È necessario intervenire con urgenza. Si discute di questo tema da 40 anni. È giunto il momento di agire nell'interesse delle generazioni future e per un avvenire sostenibile. Considerando che l'area interessata si trova tra i comuni di S. Cristina, Selva e Castelrotto e che le sorgenti d'acqua di Ortisei provengono da quella zona, siamo a favore che venga indetto un referendum popolare intercomunale". S.Z.

NUOVO COLLEGAMENTO ALL’ALPE DI SIUSI

Corriere dell’Alto Adige | 6 agosto 2023

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Nuovo collegamento con l’Alpe di Siusi

I giudici: via libera al progetto Marinzen

BOLZANO

Via libera dal Consiglio di Stato al progetto di un nuovo impianto di risalita per collegare Castelrotto con l’Alpe di Siusi: i giudici hanno infatti accolto il ricorso della società funiviaria «Marinzen srl».

La richiesta di realizzare l’impianto di risalita era stata respinta dal Tar nel febbraio 2020 quando, con due distinte sentenze, aveva accolto altrettanti ricorsi presentanti dalla società «Funivia Siusi Spa» e dalle associazioni Dachverband e Alpenverein contro il progetto, che prevede la realizzazione di un terzo collegamento funiviario all’Alpe di Siusi, con partenza dall’Alpe di Marinzen, sopra Castelrotto, e arrivo al monte Bullaccia all’Alpe di Siusi.

La nuova cabinovia andrebbe ad aggiungersi (facendo loro concorrenza) agli impianti già esistenti, che partono invece da Siusi e da Ortisei: lo scopo è quello di dotare anche il paese di Castelrotto di un accesso diretto alle piste da sci, essendone finora sprovvisto.

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Del progetto se ne parla da quasi dieci anni. Originariamente le prime due varianti del progetto, che prevedevano non solo un collegamento funiviario ma anche la realizzazione di una nuova pista da sci, erano state bocciate dalla stessa giunta provinciale, la quale aveva poi dato il via libera alla terza variante (progetto con la sola funivia e senza pista da sci).

Contro questo via libera vennero presentati dei ricorsi al Tar dalla società «Funivia Siusi» (diretta concorrente potenziale) e dalle associazioni ambientaliste: il Tar li accolse, sostenendo che ci fosse un difetto di istruttoria della Provincia in quanto essa non avrebbe giustificato a dovere la decisione di accogliere il progetto, visto che permaneva il parere contrario del comitato ambientale (organo consultivo della giunta stessa). In quel caso i giudici del Tar avevano quindi annullato la delibera con cui, l’anno prima, la giunta provinciale aveva autorizzato il collegamento.

I giudici del Tar avevano scritto che la giunta, «ha riapprovato la variante 2 della stazione sciistica Marinzen, disattendendo il parere contrario (non vincolante, ndr) del Comitato ambientale». Un analogo ricorso contro il collegamento, oltre a quello della società «Alpe di Siusi», era stato presentato anche dalle associazioni Dachverband ed Alpenverein ed era stato a sua volta accolto dal Tar, che aveva quindi bloccato il progetto.

La società Marinzen aveva però successivamente presentato ricorso contro quella sentenza, ricorso che è stato ora accolto in via definitiva dal Consiglio di Stato: i giudici di secondo grado hanno ora smentito le conclusioni del Tar ed accolto invece la tesi della società Marinzen, rappresentata dall’avvocato Alfred Mulser, secondo la quale «laddove i pareri tecnici non siano vincolanti, la giunta provinciale può sempre procedere ad una propria ed autonoma decisione sulla base del bilanciamento di tutti gli interessi e valori coinvolti, essendole tale potere espressamente attribuito dalla legge. Un tanto sarebbe stato fatto nel caso di specie, prendendo specificamente posizione su ogni singolo aspetto sollevato dal Comitato ambientale. Specifiche censure di natura ambientale non sarebbero state mosse nei confronti della seconda variante, ma esclusivamente nei confronti del progetto originario e della prima variante, ragione per cui la scelta della giunta provinciale di approvare la variante minima, senza pista da sci è del tutto lineare, logica e coerente».

Dopo questa sentenza definitiva, la società Marinzen srl potrà ora ripresentare e realizzare il progetto di collegamento tra Castelrotto e l’Alpe di Siusi.

Corriere dell’Alto Adige | 17 agosto 2023

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Alpe di Siusi, scontro sulla funivia da Castelrotto

Gli ambientalisti: «Per il progetto Marinzen i giochi restano aperti, ancora pendente il nostro ricorso»

BOLZANO

«Il Consiglio di Stato a Roma ha definitivamente respinto il ricorso della Società Cabinovia Alpe di Siusi contro la decisione della giunta provinciale di approvare lo studio di fattibilità per il progetto di funivia della società «Marinzen». Tuttavia, non è ancora detta l’ultima parola su questo progetto controverso». Lo affermano la Federazione ambientalisti Alto Adige e l’Alpenverein Südtirol, ricordando che presso il Tar di Bolzano è ancora pendente un loro ricorso al riguardo. «Tale ricorso, che era stato sospeso in attesa della sentenza del Consiglio di Stato, sarà ora ripreso» annunciano le due associazioni, secondo le quali «la decisione di approvare lo studio di fattibilità potrebbe essere annullata, dato che l’ultima sentenza del Consiglio di Stato non ha alcun effetto vincolante e contraddice in diversi punti altre sentenze pregresse dello stesso tribunale, anch’esse emesse in relazione al progetto di funivia in questione». Due settimane fa si era registrato il via libera dal Consiglio di Stato al progetto di un nuovo impianto di risalita per collegare Castelrotto con l’Alpe di Siusi: i giudici avevano infatti accolto il ricorso della società funiviaria «Marinzen». La richiesta di realizzare l’impianto di risalita, in precedenza, era stata respinta dal Tar nel febbraio 2020 quando aveva accolto un ricorso presentato dalla società «Funivia Siusi Spa» contro il progetto, che prevede la realizzazione di un terzo collegamento funiviario all’Alpe di Siusi, con partenza dall’Alpe di Marinzen, sopra Castelrotto, e arrivo al monte Bullaccia all’Alpe di Siusi. La nuova cabinovia andrebbe ad aggiungersi (facendo loro concorrenza) agli impianti già esistenti, che partono invece da Siusi e da Ortisei: lo scopo è quello di dotare anche il paese di Castelrotto di un accesso diretto alle piste da sci, essendone finora sprovvisto.Del progetto se ne parla da quasi dieci anni. Originariamente le prime due varianti del progetto, che prevedevano non solo un collegamento funiviario ma anche la realizzazione di una nuova pista da sci, erano state bocciate dalla giunta provinciale, la quale aveva poi dato il via libera alla terza variante (progetto con la sola funivia e senza pista da sci). Contro questo via libera vennero presentati due distinti ricorsi al Tar: non solo dalla società «Funivia Siusi» (diretta concorrente potenziale) ma, appunto, anche dalle due associazioni ambientaliste.

TURISMO DI MASSA E GESTIONE DEI FLUSSI

Corriere dell’Alto Adige | 6 agosto 2023 p. 2

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Alto Adige a prenotazione, esercenti e sindaci frenano

BOLZANO

L’Alto Adige si incammina verso un futuro a numero chiuso, e tra gli imprenditori di tutta la regione scoppia la polemica. «La prenotazione online è utile alla sostenibilità ma attenzione a non dare dell’Alto Adige un’immagine sbagliata. Ci sarebbero ricadute negative anche su commercio e ristorazione», esprime preoccupazione il direttore di Confesercenti Bolzano Mirco Benetello. Il mondo del turismo risponde con un secco «no» al modello Arnold Schuler, che l’assessore al Turismo altoatesino ha esposto durante la conferenza di fine mandato dello scorso 3 agosto: gli eventi estremi impongono dei limiti, il numero chiuso prenotabile online come al Lago di Braies va esteso ad altre località per fermare l’overtourism. Risponde Confesercenti, che lancia l’allarme per alberghi, commercio, ristorazione e servizi, parte essenziale dell’economia e del tessuto sociale della regione. «Non siamo contrari a prescindere ad un allargamento del sistema di Braies. Lo stesso presidente dell’Hgv Manfred Pinzger ha già spiegato come possa essere una soluzione accettabile spiega Benetello. Il rischio però di definire l’Alto Adige come una meta turistica a prenotazione alla lunga potrebbe incidere anche sulla sua immagine come destinazione».

Meno arrivi significano infatti meno potenziali clienti e meno opportunità di business e sviluppo. «Questo può essere accettabile in nome della sostenibilità, della vivibilità e dell’experience di chi arriva spiega Benetello. Ma il contingentamento è un’arma a doppio taglio». Fanno eco a queste preoccupazioni anche i colleghi trentini, che valutano l’impatto sul loro territorio nel caso in cui il modello Schuler venisse esteso a tutto l’Alto Adige. «Il successo al lago di Braies non significa che questo modello sia pronto per essere replicato ovunque spiega il presidente di Confesercenti Trentino Mauro Paissan. Per difendere la sostenibilità dobbiamo iniziare un processo per adeguare sistema turismo e mercato, non estremizzare strumenti deterrenti come prenotazioni e tornelli». In Trentino voci di skipass numerati e tornelli hanno già iniziato ad aleggiare. «Gli impiantisti di Madonna di Campiglio hanno proposto restrizioni su accessi e skipass spiega Paissan. In futuro saremo costretti a farlo a causa degli eventi climatici, ma per adesso invitiamo alla prudenza». Nessuno mette in dubbio che grandinate e nubifragi sempre più frequenti rappresentino un urlo alla salvaguardia dell’ambiente della regione. «Gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti spiega Paissan per questo chiediamo alle amministrazioni ancora più attenzione al turismo, che in questa stagione ne è rimasto influenzato».

La ricetta degli imprenditori trentini è investire per incentivare un modello turistico diverso. «Destagionalizzare per evitare i picchi di flussi spiega Paissan. Il nostro territorio ce lo consente, dobbiamo allargare i piccoli mercati partendo dalle infrastrutture. Le strutture di accoglienza non possono rimanere chiuse in bassa stagione, dobbiamo evitare i tornelli alle montagne».

Per evitare questo, sia da Trento che da Bolzano gli imprenditori chiedono un confronto più ampio e specifico possibile. «Il dialogo è costante, ma la politica ci includa di più spiega Paissan e prima di prendere le decisioni».

Intanto a Braies il nuovo sistema a prenotazione online sembra funzionare. Fino al 12 agosto i posti nel parcheggio a 500 metri dal lago sono andati completamente esauriti, segno che la novità è stata ormai accettata.

L’ipotesi di estendere questo modello a tutto l’Alto Adige non convince però il presidente del Consorzio dei Comuni altoatesini Andreas Schatzer, che propone invece di considerare le diverse località caso per caso. «Per ogni strada più frequentata del normale serve pensare separatamente quale misura adottare spiega Schatzer. Anche in autostrada c’è sempre più traffico, soprattutto durante il fine settimana. I comuni limitrofi ne soffrono e bisogna risolvere il problema. Evitiamo però di applicare il sistema di Braies a tutti i siti più frequentati da turisti. Esiste anche il nuovo regolamento del passaggio su passi e valichi, per ogni località dobbiamo trovare la misura giusta per risolvere situazioni dove si concentrano i flussi maggiori di persone»

Corriere dell’Alto Adige | 6 agosto 2023

p. 3

Passo Nigra, i ristoratori contro la chiusura alle auto «L’ambiente è una scusa»

Robatscher: ci guadagnano solo i gestori della funivia

BOLZANO

La possibile chiusura delle strada per passo Nigra mette in allarme gli esercenti della zona del passo di Costalunga. A farsi portavoce delle preoccupazioni dei ristoratori e degli albergatori è Renate Robatscher, titolare del Gasthof Jolanda di Nova Levante. Insieme a lei ci sono i titolari e gestori di diversi locali: Malga Costa, Baita Masarè, Ochsenhütte, malga Plafötsch, rifugio Nigra e del ristorante Obertierscher che stanno preparando una petizione con raccolta firme online.

«Quest’anno, senza alcuna comunicazione, si è deciso di chiudere la strada di passo Nigra per due giorni. In tutto questo sottolinea Robatscher noi non siamo mai stati coinvolti, semplicemente ci hanno avvertito a cose fatte. Il problema aggiunge è che si è trattato di un esperimento e sembra che dal prossimo anno il Comune voglia tenere la strada chiusa per due mesi. Per noi questa prospettiva è inaccettabile». Secondo gli esercenti della zona del passo di Costalunga il traffico non sarebbe un problema, almeno sulla strada che da Tires sale verso il passo Nigra. «Nei giorni di massimo afflusso ci saranno cinque o seicento auto massimo, nulla a che vedere con la strada del passo di Costalunga che è molto più frequentato. Non ha alcun senso prosegue la titolare dell’albergo Jolanda applicare qui il modello dell’Alpe di Siusi. Eppure è quello che vogliono fare».

Il sistema Siusi, antesignano del modello Braies, prevede che una volta riempito il parcheggio, l’Alpe sia raggiungibile solamente in funivia. Nel caso di Tires a beneficiarne sarebbe dunque la società che con 11 milioni di contributi pubblici ha costruito la funivia

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panoramica da San Cipriano a malga Frommer. «Si parla tanto di tutela dell’ambiente ma conclude Robatscher è solo un pretesto. La verità è che Comune e Provincia, chiudendo la strada, farebbero solo gli interessi della società che gestisce la funivia. Tanto che adesso si sta già parlando di un aumento di capitale e dell’ingresso della società dell’Alpe di Siusi». Intanto sotto il profilo giudiziario prosegue la querelle tra le associazioni ambientaliste da un lato e la società «Tierser Seilbahn Spa» dall’altro. Il Tar di Bolzano si è infatti occupato nei giorni scorsi del ricorso presentato da Mountain Wilderness, Heimatpflegeverband, Alpenverein, Dachverband e Cai Alto Adige contro i permessi di costruire in sanatoria rilasciati dai Comuni di Tires e Nova Levante alla società «Tierser Seilbahn Spa» per la funivia Tires Malga - Frommer. Gli ambientalisti hanno infatti impugnato le concessioni edilizie dei due Comuni e le autorizzazioni paesaggistiche postume emesse dalla Provincia «per i lavori eseguiti in difformità dai titoli edilizi e da quelli paesaggistici alle stazioni a valle e a monte dell’impianto».

«Prima si costruisce come si vuole, poi arriva il condono. Se lo si applicasse anche al resto del territorio, assisteremmo a un’edificazione selvaggia» aveva riassunto Carlo Zanella, presidente del Cai altoatesino, al momento della presentazione del ricorso. Va ricordato che poco dopo l’inaugurazione della funivia, il 18 marzo 2022 era arrivata l’ordinanza del sindaco di Tires, Gernot Psenner, che disponeva «l’immediata sospensione dell’esercizio» per la mancanza del certificato di agibilità della stazione a valle. Il nodo riguardava i quasi mille metri cubi di volume in più costruiti per le stazioni: erano stati poi riempiti di terra e chiusi (non demoliti), quindi era arrivata la sanatoria della Provincia. Un modo di operare contestato dalle associazioni ambientaliste, che temono che questa sanatoria diventi un precedente per altri impianti. I giudici del Tar hanno ora ordinato una perizia tecnica e fissato l’udienza di discussione del merito per l’8 maggio 2024

Corriere dell’Alto Adige | 8 agosto 2023

p. 3

Al lago di Carezza prenotazione obbligatoria dall’estate del 2024

Carmelo Salvo

Il prossimo anno applicheremo il numero chiuso, come è in vigore al lago di Braies, anche al lago di Carezza. A dare la tempistica di quanto annunciato dall’assessore provinciale al turismo, Arnold Schuler, è il direttore di Dipartimento, Klaus Unterweger. Seguiranno altri hotspot in altre località. Come le Tre cime di Lavaredo o l’Alpe di Siusi, caratterizzate ormai dall’iper affollamento di vacanzieri. Favorevole, seppur con un numero di siti limitati, l’associazione albergatori (Hgv), contraria la Confesercenti.

«Attualmente stiamo lavorando per introdurre il sistema di gestione degli hotspot al lago di Carezza per il 2024. Inoltre sono in corso colloqui e preparazioni per introdurre il sistema di accesso digitale all’Alpe di Siusi». Attraverso le parole del capo Dipartimento, Klaus Unterweger, si concretizzano le tempistiche dell’Alto Adige su prenotazione preannunciato dall’assessore provinciale al turismo, Arnold Schuler. Modello lago di Braies, dove i turisti da circa 15mila al giorno sono stati ridotti a 5mila, da esportare in altri luoghi dove ormai, soprattutto in certi periodi l’anno l’over turismo è quotidiano. «L’obiettivo aveva detto Schuler nella conferenza stampa di fine mandato è far sì che l’Alto Adige divenga un territorio nel quale tutti i residenti e gli ospiti si sentano ugualmente a proprio agio. E su questo c’è ancora molto da fare. Il turismo, in quanto settore economico trainante della provincia, si deve sviluppare in conformità con i bisogni della popolazione. Per questo è necessario che abbia dei limiti e un’offerta equilibrata».

Provincia e Idm (Innovators, Developers & Marketers) erano già a lavoro e, come ha detto ancora Unterweger «in collaborazione con i rispettivi Comuni e organizzazioni turistiche, il sistema è già stato sperimentato in Val di Funes presso il parcheggio Zans e sul Renon. Siamo intenzionati di collegare nei prossimi anni tutti gli hotspot ( si pensa anche alle Tre cime di Lavaredo) più grandi dell’Alto Adige al sistema che adesso vede presente il lago di Braies». In questo sito, da luglio a settembre, dalle ore 9:30 alle ore 16:00, l’accesso è possibile solo a piedi, in bici, con mezzi pubblici o, appunto, con l’auto propria attraverso una prenotazione di parcheggio. «Siamo favorevoli, purchè i siti siano limitati» aveva dichiarato Manfred Pinzger, presidente dell’associazione albergatori (Hgv). Contrario invece Mirco Benetello di Confesercenti. «Rischiamo – ha detto di rovinarci l’immagine».

LA FREQUENTAZIONE DELLA MONTAGNA E IL RUOLO DEI SOCIAL

Corriere delle Alpi | 11 agosto 2023 p. 18

«Non cenate in rifugio» Tutti contro l'influencer

BELLUNO

La polemica ad alta quota corre sui social. Protagonista un'influencer, Simona Scacheri in arte "fringeintravel", appassionata di montagna e di attività outdoor, che in uno dei suoi post a scopo pseudo didattico ha spiegato alle decine di migliaia di followers che: «In rifugio è possibile spendere poco, semplicemente opzionando la soluzione pernotto e colazione evitando la cena».

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A quel punto, la domanda è sorta però spontanea: dove si mangia a migliaia di metri di quota? Qui la sorpresa, amarissima per chi ha investito nella montagna trasformandola in duro lavoro. La risposta della Scacheri, per certi versi disarmante, è stata "fornelletto e carne in scatola" , quello di una nota marca alla quale, evidentemente, il post era dedicato (chiamasi in gergo tecnico sponsorizzata). Apriti cielo. Non sono mancate le contestazioni, in primis quella di Lucia Farenzena, che del turismo e dell'accoglienza tra le montagne del Bellunese ne ha fatto un lavoro. «Post di questo tipo sono uno schiaffo ai sacrifici sostenuti dai rifugisti», ha sentenziato la Farenzena, seguita a ruota da altri utenti, evidentemente indispettiti dalla lezione di montagna offerta (a pagamento) da fringeintravel. «Immagino la felicità dei rifugisti nel vedere un post del genere», ha commentato ironicamente Fabio Bristot Rufus che alla malcapitata Simona Scacheri non le ha mandate a dire.

PRUDENZA IN MONTAGNA: IL PROGETTO

Il Nuovo Trentino | 10 agosto 2023

p. 8

In montagna serve tanta prudenza

Giorni di meteo instabile, e a volte si parte per la montagna senza la reale consapevolezza del rischio né del percorso da affrontare: come pianificare un'escursione? Quando è il momento giusto per fermarsi e come comportarsi? Walter Cainelli, presidente del Soccorso alpino e speleologico trentino ricorda di dare uno sguardo in più al meteo: «Consigliamo a tutti di sfruttare sempre la possibilità che abbiamo oggi di previsioni metereologiche piuttosto affidabili: quando si pianifica un itinerario in montagna, il meteo è una delle cose importanti da valutare. Rimane poi sempre importante valutare bene tipo di itinerario di intraprendere, per capire se c'è la capacità fisica per sostenerlo, e se l'attrezzatura è adeguata». Più in generale, è importante promuovere una cultura della consapevolezza del rischio. Per questo in Trentino è stato istituito il "Tavolo della Prudenza", il cui nome rimanda alla prudenza e non alla sicurezza, proprio perché in montagna il rischio zero è oggettivamente impossibile. E quando si è in difficoltà, si può chiamare il 112. «Come Soccorso Alpino - prosegue Walter Cainelli - riceviamo chiamate anche semplicemente perché qualcuno perde l'orientamento. Piuttosto che proseguire per rischiare di bloccarsi, ha più senso fermarsi e chiamare soccorso anche solo per chiedere indicazioni e ritrovare il sentiero. È il modo corretto di comportarsi, anche come insegnamento per i bambini».- Ricordiamo infine il decalogo di consigli stilato dal Progetto Prudenza in montagna1. Studia il percorso prima della partenza. Se possibile, scarica il tracciato per consultarlo anche offline.2. Rispetta l'ambiente, scegli un percorso adatto. Valuta attentamente lunghezza, dislivello e difficoltà.3. Scegli equipaggiamento ed attrezzatura idonei, con anche una pila frontale e un kit di pronto soccorso.4. Consulta i bollettini metereologici, soprattutto quelli locali. Soprattutto se affronti una via ferrata, prima di partire assicurati che il tempo sia stabile.5. Meglio partire in compagnia. In montagna anche una semplice distorsione può diventare un problema se si è da soli.6. Lascia informazioni ad amici, familiari o ai gestori dei rifugi su quale itinerario intendi percorrere e l'orario. 7. Affidati ai professionisti della montagna. Guide alpine, rifugisti o accompagnatori di media montagna.8. Presta attenzione alla segnaletica lungo il percorso. Segui i cartelli con le indicazioni dei sentieri.9. Non esitare a tornare sui tuoi passi. 10. In caso di incidente chiama il numero 112.

L’Adige | 13 agosto 2023

p. 13

Prudenza, sempre

Il progetto Prudenza in montagna è un'iniziativa giunta quest'anno alla sua seconda edizione e promossa da Trentino Marketing, in collaborazione con il Soccorso Alpino e Speleologico Trentino, l'associazione Rifugi del Trentino, il Collegio delle Guide Alpine del Trentino, la S.A.T. (Società Alpinisti Tridentini) e la Fondazione Dolomiti Unesco. L'obiettivo dichiarato è quello di contribuire a creare un clima di crescente consapevolezza, fra chi ama e frequenta la montagna, in merito ai suoi pericoli. Una consapevolezza tesa a superare l'ottica della sicurezza garantita - situazione di fatto impossibile, come impossibile risulta azzerare i pericoli - per sostituirla ad una più equilibrata informazione su come minimizzare i rischi, partendo dalle scelte personali che ognuno può fare.«Il concetto di prudenza in montagna - spiega Mauro Mazzola, istruttore del Soccorso Alpino e fra i primi promotori del progetto - è legato al fatto che la montagna è di per sé un ambiente rischioso per chiunque. È sostanziale quindi veicolare un'idea di montagna sempre più legata alla prudenza con la quale è necessario viverne l'ambiente. Soprattutto ora che la sua frequentazione si fa ogni anno più marcata, così come l'incidenza di certi fenomeni meteorologici, con effetti difficili da prevedere per chi non ne conosce l'esito: i trenta gradi in quota possono avere conseguenze completamente diverse da quelli in città. Per questo bisogna essere pronti»Il progetto consta di numerose iniziative - fra le quali la settimana della prudenza in montagna, svoltasi a fine giugno con una serie di uscite formative sul territorio - e promuove, attraverso una campagna di comunicazione che sarà portata avanti per tutta l'estate, una cultura dell'attenzione, fondata su decaloghi e semplici regole che ciascuno può mettere in pratica durante lo svolgimento della propria attività in montagna. Mo.Ma

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ARCHIVIO PROCESSUALE DEL VAJONT MEMORIA DEL MONDO: IL RICONOSCIMENTO UNESCO

Corriere delle Alpi | 7 agosto 2023

p. 11

Padrin: «Tutti uniti per gli atti del Vajont Sono la nostra storia, devono restare qui»

Marcella Corrà / Belluno

«Ho seguito la vicenda delle carte del Vajont fin dal suo inizio, subito dopo il terremoto de L'Aquila». Roberto Padrin era già sindaco di Longarone quando venne posto il problema di come salvare l'archivio processuale del Vajont ospitato a L'Aquila. Il terremoto del 6 aprile 2009 aveva gravemente danneggiato il palazzo dove era ospitato l'Archivio di Stato e una delle archiviste che si occupava delle carte del Vajont era morta nella sua casa distrutta dalle scosse. Belluno si rese subito disponibile ad ospitare, in modo provvisorio, i documenti dell'indagine e dei successivi processi, ben 256 grossi faldoni.

«Non è stato un percorso facile», ricorda ora Padrin, diventato nel frattempo anche presidente della Provincia, «il semplice trasferimento a Belluno ebbe bisogno della scorta della polizia».

GRANDE LAVORO

«Negli anni successivi è stato avviato e concluso il grande lavoro per la digitalizzazione delle carte, per renderle accessibili a tutti via internet, oltre al restauro dei faldoni rovinati dall'acqua: la fondazione Vajont e altri enti sono intervenuti per sostenere tutte le spese», continua Padrin. «Inoltre sono partiti altri ragionamenti, ad esempio per creare un archivio diffuso che colleghi tra loro tutti gli archivi sparsi per l'Italia che parlano del Vajont e per rendere accessibili i documenti. Non è un percorso facile, ci vogliono spazio, tempo e finanziamenti. Qualcosa siamo riusciti a fare, ma è un impegno complesso».

Dal 2013, quando i principali lavori che riguardano l'archivio si sono conclusi, sono passati dieci anni e a più riprese sono arrivate sollecitazioni da parte de l'Aquila perché le carte processuali del Vajont tornino nella loro sede di origine, quella prevista per legge. Si è andati avanti di proroga in proroga e ora non ci sono più spazi di manovra: entro fine anno, dopo la mostra che sarà allestita nella ex chiesa di Santa Maria dei Battuti, i 256 faldoni dovrebbero tornare a L'Aquila. Cosa si può fare?

«SERVE UN DECRETO»

«Serve un decreto del ministero della Cultura», spiega Padrin, «a cui è passata la competenza che prima era del ministero della Giustizia. Per legge gli atti di un processo restano prima al tribunale poi all'Archivio di Stato della città dove il processo si è tenuto, e per questo erano a L'Aquila. Ma penso che i bellunesi abbiano dimostrato in questi dieci anni quanto siano importanti gli atti del Vajont per noi. Sono la nostra storia. A Belluno abbiamo lavorato intensamente per dare visibilità al materiale, oltre che per renderlo accessibile e per restaurarlo. Non ultimo il lavoro che è stato fatto, su iniziativa di Irma Visalli, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Vajont, perché la documentazione venisse inserita nel Registro internazionale della memoria del mondo Unesco». Senza dimenticare un ultimo passaggio, in corso di realizzazione: mettere a disposizione l'archivio del Vajont per tutti: cioè inserire 160mila pagine di documenti in un portale del ministero della Cultura, mentre attualmente occorre comunque recarsi all'Archivio di Stato di Belluno. Un processo complesso che solo un sito pubblico è in grado di supportare.

«VOGLIAMO UNA DEROGA PERENNE»

«Abbiamo ampiamente dimostrato con i fatti», è sicuro Padrin, «che le carte del Vajont sono importanti per noi e che dovrebbero restare a Belluno». Ma non è per niente facile raggiungere l'obiettivo e il sindaco di Longarone ne è consapevole «Il sessantesimo anniversario della tragedia potrebbe essere l'occasione giusta per chiudere il cerchio», afferma. «Prima di tutto dobbiamo mettere in campo una azione coordinata di tutti gli enti interessati e coinvolgere il ministero della Cultura che possa concedere una deroga perenne, senza bisogno di rinnovo».

L'OPERAZIONE

Passato il mese di agosto, l'operazione "teniamo l'archivio processuale del Vajont a Belluno" dovrebbe partire. «È un altro tassello della memoria a cui stiamo lavorando. Abbiamo organizzato una serie di eventi che hanno proprio questo scopo, chiudere il cerchio. Penso ai soccorritori del Vajont, a quelle persone che per tutta la loro vita hanno portato nel cuore quello che qui hanno visto e quello che hanno fatto. Ci sarà un viale dedicato a loro, quello che parte dall'area della Fiera e arriva al laghetto».

«Poi consegneremo un premio alla solidarietà: è stato istituito due anni fa, è il premio Murazzi alla memoria del dottor Gianfranco Trevisan, che vuole dare un riconoscimento a chi, arrivato da fuori Longarone, si è speso per il nostro paese. Due anni fa il premio è stato consegnato a Sandro Cinquetti e a Gianni Zoppas. Quest'anno abbiamo pensato di premiare enti o testate giornalistiche che hanno raccolto fondi da destinare alla nostra comunità, per aiutare Longarone a ripartire».

I PROGETTI

Inoltre, annuncia Padrin, c'è un progetto a livello comunale, con l'aiuto dello storico Maurizio Reberschak, per catalogare tutti i materiali degli archivi di Longarone e Castellavazzo e renderli disponibili, non solo quelli cartacei ma anche i video.

Infine i giovani: «Dobbiamo trasmettere loro la memoria di quegli eventi, lo abbiamo fatto anche con Corinfesta, portando i coristi sui luoghi del Vajont, e lo stiamo facendo ora insieme alla presidenza del Consiglio dei ministri per realizzare una sorta di manifesto della montagna, con i giovani che incontrano qui a Longarone le istituzioni della cultura e della scienza».

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DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI

Gazzettino | 9 agosto 2023

p. 8, edizione Belluno

«Diga sul Vanoi è un invaso che preoccupa»

SOVRAMONTE

«Ci sono problematiche collegate alla sicurezza idro-geologica, sismica e in termini di mutazioni climatiche delle comunità interessate dall'invaso». Lo ha detto chiaramente nell'ultimo Consiglio comunale il sindaco di Sovramonte, Federico Dalla Torre, che si oppone con il suo omologo di Lamon alla diga del Vanoi, nel Comune trentino di Canal San Bovo. Un progetto che dopo decenni di attesa potrebbe arrivare presto alla sua progettazione definitiva. «Non parliamo di una dighetta - aveva spiegato nei giorni scorsi il primo cittadino di Sovramonte, Federico Dalla Torre - ma di milioni di metri cubi di acqua sulle nostre teste».

IN AULA

Nel Consiglio Comunale ultimo di Sovramonte, dopo anni, si è tornato a parlare quindi della diga sul torrente Vanoi della val Cortella, che scende da Canal San Bovo. Un caso che tenne banco molti anni fa quando il consiglio comunale di Fonzaso votò contro, Arsié fu di orientamento favorevole avendo il Lago di Corlo da riempire. A fine luglio il sindaco di Sovramonte ha letto la sua comunicazione ai consiglieri comunali presenti. «L'iniziale volontà è quella di portare l'argomento per dare mandato al sindaco - ha detto Dalla Torreper consentire la trasmissione agli enti coinvolti in qualche modo sul problema. A seguito di dibattito con i sindaci del territorio indirettamente interessati voglio informare il consesso consigliare sulla diga nella valle del torrente Vanoi. A supporto della scelta, il fatto che i Comuni direttamente interessati dell'invaso, (Lamon, Cinte Tesino e Canal San Bovo) non si sono ancora mossi con punti formali nei rispettivi consigli comunali. Hanno trasmesso una nota a Regione province e prefetti evidenziando le criticità in merito all'ipotesi di costruzione di un lago artificiale nella Valle del Vanoi».

LA QUESTIONE

Va premesso che l'opera tende a soddisfare il fabbisogno della popolazione e l'accumulo di risorsa idrica a favore delle colture della pianura: la campagna sotto Bassano prende acqua dal lago di Corlo tramite il Consorzio della Brentella con sede a Cittadella. «Ricordo - ha rimarcato il sindaco - che il comune di Sovramonte ha già 2 dighe sul suo territorio: Pontet e Ponte Serra. La realizzazione di tali costruzioni ha assicurato per diversi anni lavoro per diversi residenti. Di contro, il ritorno economico per la comunità è stato invece limitato. Solo negli ultimi anni si assiste alla partecipazione anche del Comune nella distribuzione dei dividendi della società, (Primiero Energia di cui Sovramonte è socio con oltre il 6% delle azioni ndr.), che gestisce le centraline collegate alle dighe». E ha concluso: «Ho già cercato di contattare telefonicamente il Presidente del Consorzio di Bonifica Brenta e chiederò che lo stesso venga in loco per esplicitare le motivazioni dell'invaso e i rischi ad esso collegati».

IL DIBATTITO

Diverse osservazioni dei consiglieri comunali. Elsa Colomberotto ha evidenziato i rischi geologici e sismici, consegnando un documento, e si è dichiarata assolutamente contraria. Il consigliere Leonardo Reato ha ricordato che alcuni anni fa era stato chiesto lo sghiaiamento dei laghi Senaiga e Corlo che avrebbe ampliato i bacini e avrebbe avuto bacini più ampi e quindi maggiore quantità d'acqua per irrigare le terre sotto Bassano. Il sindaco ha infine fatto presente che nel 2010 era stato eseguito uno studio per il recupero del materiale della diga di Ponte Serra, essendo l'invaso di 2 comuni, Lamon e Sovramonte, la competenza è perciò della Provincia e si augura che questa lo faccia. Il consigliere Alessandro Pontin ha dichiarato di non avere sufficienti informazioni sul progetto del nuovo invaso: «Che si proceda con scrupolo progettuale e massima attenzione». Il sindaco Federico Dalla Torre ha concluso spiegando che si farà carico di comunicare tutte le dichiarazioni e le preoccupazioni emerse nelle sedi competenti.

Valerio Bertolio

ELIPORTO A CORTINA D’AMPEZZO

Gazzettino | 1 agosto 2023

p. 2, edizione Belluno

Via libera all'elisuperficie: sorgerà ancora a Fiames e costerà quasi 9 milioni

Sulla pista del vecchio aeroporto di Fiames, a nord di Cortina, si può progettare una nuova struttura, una elisuperficie, con un hangar, in grado di accogliere oggi gli elicotteri per il trasporto di persone e merci. Un domani potrà divenire un vertiporto all'avanguardia, per utilizzare i droni ad alimentazione elettrica. Il consiglio comunale ampezzano ha deliberato ieri la fattibilità della proposta, formulata dal partenariato pubblico privato, inoltrata dal raggruppamento temporaneo di imprese, fra la società Lajadira di Cortina e la Save, azienda che gestisce fra l'altro gli aeroporti di Venezia e Treviso. L'importo previsto dell'intervento è di 8 milioni 784mila euro. La

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prospettiva di rigenerazione e riqualificazione dell'area, mediante la concessione di una elisuperficie gestita, è stata approvata da dieci consiglieri, nove di maggioranza e Roberto Pompanin di Cortina nostra; si è astenuto Benedetto Gaffarini di Sistema Cortina; ha votato contro Roberta de Zanna di Cortina bene comune. «La procedura per realizzare questo impianto sarà molto complessa ha spiegato l'assessore esterno Stefano Ghezze e oggi ci limitiamo alla prima valutazione, sulla fattibilità della proposta, che intende rimediare una situazione fatiscente».

LA STORIA

Ha quindi ripercorso la storia degli ultimi anni. Nel 2010 il comune si accordò con Esperia, su un progetto analogo. I lavori si avviarono stentatamente, poi si bloccarono. Nel 2014 ci fu il crollo del vecchio hangar, schiantato dalla neve, quindi lo scioglimento di quel contratto, infine la rimozione del rudere, delle lamiere contorte. Oggi si prospetta un nuovo intervento, promosso dalla società Lajadira, capitale russo, proprietaria di alcuni alberghi a Cortina. La proposta prevede la costruzione della pista, con una piazzola per decollo e atterraggio e tre piazzole di sosta degli elicotteri, una delle quali per velivoli grandi, due per aeromobili di media dimensione. È prevista inoltre una struttura logistica, 700 metri quadrati di estensione, su due piani, con hangar riscaldato e attività di servizio per i piloti, gli equipaggi e i clienti, con un lounge bar e un ristorante. Saranno consentiti solamente voli diurni. La media dei voli dovrà essere inferiore a sei al giorno, altrimenti sarebbe richiesta l'attivazione di un eliporto.

LA GESTIONE

La sostenibilità finanziaria dell'intervento sarà garantita dai ricavi, che dovranno derivare dalla gestione dell'elisuperficie, ma anche da sponsor e ritorni pubblicitari, che potranno essere più cospicui, nella prospettiva dei prossimi Giochi invernali 2026. I promotori hanno garantito un eccellente inserimento nell'ambiente, senza l'utilizzo di altro suolo, perché si tratta di recuperare una situazione già esistente. La parte tecnica e operativa sarà affidata a Save. Oggi si usano gli elicotteri; un domani potranno essere multicopter elettrici, i droni, che già potranno essere impiegati per le Olimpiadi di Parigi 2024. Il consigliere Gaffarini, assessore al'urbanistica della passata amministrazione, ha sottolineato le numerose criticità di questa proposta: «In quest'area sono previsti parecchi avvenimenti, nei prossimi anni, tra il villaggio olimpico dei Giochi 2026 e il cantiere del passante Anas, la variante alla statale di Alemagna». La consigliera de Zanna ha sollevato altre obiezioni: «Qui si impiegano 8 milioni di euro, che un imprenditore russo investe per portare un certo tipo di clientela nei suoi alberghi. Per favorire una élite si scontentano i cittadini di Cortina e i turisti, che dovranno sopportare il rombo nel cielo, di un traffico aereo notevole. L'emergenza climatica dovrebbe indurre a scelte diverse, etiche». m.dib.

Corriere delle Alpi | 2 agosto 2023

p. 28

Fiames, subito l'elisuperficie Poi un vertiporto per i droni

CORTINA

«Di avio-superficie a Fiames si può non parlare mai più. Non ci sono i presupposti a causa della pericolosità della zona. Andiamo avanti con un progetto di elisuperficie dedicato ad elicotteri e a multicopter elettrici, i droni, che già potranno essere impiegati per le Olimpiadi di Parigi 2024».

Lo ha spiegato l'ingegner Corrado Fischer di Save in consiglio comunale. Consiglio che ha deliberato la fattibilità della proposta, formulata dal partenariato pubblico privato, inoltrata dal raggruppamento temporaneo di imprese fra la società Lajadira di Cortina (di Andrey Toporov imprenditore russo che ha amche alberghi nella Conca) e la Save, azienda che gestisce fra l'altro gli aeroporti di Venezia e Treviso.

L'importo previsto è di 8.784.000 euro. La sostenibilità finanziaria dell'intervento sarà garantita dai ricavi che dovranno derivare dalla gestione dell'elisuperficie, ma anche da sponsor e ritorni pubblicitari che potranno essere più cospicui nella prospettiva dei Giochi invernali 2026. I promotori hanno garantito un eccellente inserimento nell'ambiente, senza l'utilizzo di altro suolo, perché si tratta di recuperare una situazione già esistente.

La parte tecnica e operativa sarà affidata a Save. «Abbiamo previsto la sistemazione della parte dedicata all'aeronautica», sottolinea Fischer, «con la rigenerazione dell'elisuperficie, la costruzione della pista, con una piazzola per decollo e atterraggio e tre piazzole di sosta degli elicotteri, una delle quali per velivoli grandi, due per aeromobili di media dimensione. È prevista inoltre una struttura logistica, 700 metri quadrati di estensione, su due piani, con hangar riscaldato e attività di servizio per i piloti, gli equipaggi e i clienti, con un lounge bar e un ristorante. Saranno consentiti solamente voli diurni. La media dei voli dovrà essere inferiore a sei al giorno. In futuro prevediamo di far arrivare anche i multicopter e di fare diventare Fiames un vertiporto».

La superficie, che è comunale, sarà concessa per 40 anni e saranno attivati voli diretti tra Venezia e Cortina, molto richiesti già oggi Soddisfazione da parte dell'amministrazione. «Abbiamo avviato una procedura complessa», dichiara Stefano Ghezze, assessore esterno all'Urbanistica, «che porterà Cortina ad avere un'elisuperficie moderna, ben gestita, con tutti i comfort necessari e che andrà soprattutto a riqualificare un'area oggi francamente degradata senza utilizzo di nuovo suolo, in quanto l'hangar verrà realizzato dove c'era quello crollato nel 2014».

La prospettiva di rigenerazione e riqualificazione dell'area, mediante la concessione di una elisuperficie gestita, è stata approvata da dieci consiglieri, nove di maggioranza e Roberto Pompanin di "#Cortinanostra"; si è astenuto Benedetto Gaffarini di "Sistema Cortina" invitando a valutare al meglio l'utilizzo dell'area di Fiames dove nei prossimi anni ci saranno il villaggio olimpico e l'area destinata ad

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Anas per i lavori alla tangenziale. Ha votato contro Roberta de Zanna (" Cortina bene comune"), sottolineando che «per la tutela ambientale andrebbero fatte scelte diverse».

ELITURISMO: LA DENUNCIA

Corriere delle Alpi | 21 agosto 2023

p. 13

Eliturismo: il Cai guida la protesta «Decine di voli, ora un giro di vite»

BELLUNO

Le Dolomiti a volo d'uccello. Centotrenta euro a persona per un giro in elicottero da 15 minuti; se vuoi l'elicottero tutto per te, 650 euro. Sconto, ovviamente, se si raddoppia: 240 euro per 30 minuti, 1.200 euro per il mezzo in esclusiva. Voli da un'ora non ce ne sono, ma da 50 minuti sì: 360 euro a persona, 1.800 euro in esclusiva. E che cosa puoi vedere? Le Tre Cime di Lavaredo, ovviamente, il Cristallo, le Tofane, il Pelmo, il Civetta, il Sella, il Catinaccio, il Sassolungo. Ma le mete e i giri cambiano in base alle agenzie che organizzano, alle società elicotteristiche che garantiscono il volo.

Solo sabato, sul Pelmo, si è contata una dozzina di voli. Ripetiamo: voli turistici, non del Soccorso alpino, del Suem, degli organi di Polizia o di ditte al lavoro. E in cima al "Caregon del diaol" non c'è nessun rifugio da rifornire.

«Ferragosto è stata la fiera dolomitica dell'eliturismo, forse perché il maltempo ha frenato la corsa nei mesi precedenti. Ma adesso basta», protesta Renato Frigo, presidente regionale del Cai. «È mai possibile che Trento e Bolzano abbiano dei regolamenti severi, così pure il Friuli Venezia Giulia, ma che da queste regioni partano gli elicotteri per il divertimentificio in Veneto? È mai possibile che la Regione del Veneto non abbia una propria disciplina che salvi da questi voli i siti più sensibili?».

Non si può volare sulla "Zps" del Giau e sulla Torre Venezia del Civetta sì? Non si può decollare e atterrare nel parco delle Dolomiti Bellunesi ma sopra il Pelmo sì. «Abbiamo scoperto», riferisce con amarezza Frigo, «che gli elicotteri arrivano da queste parti, bivaccano per due o tre giorni in determinati siti e da qui spiccano le loro giostre volanti. È accaduto ai Piedi del Civetta, senza che alcuna abbia da che ridire».

Sono recenti le proteste per il volo con l'elicottero sulla Torre Venezia dell'influencer Giulia Calcaterra. Nulla però si è mosso. «Sapete qual è l'unico limite imposto a questi elicotteri? Che abbiano l'assistente di volo, l'accompagnatore che fa fare all'ospite il salto a terra». Quindi? «Quindi andremo negli uffici della Regione Veneto e chiederemo all'assessore Federico Caner al turismo, o a chi altro di competenza, finalmente il sospirato giro di vite. Noi del Cai vorremmo il divieto assoluto. Se ci devono essere deroghe, queste siano limitatissime», insiste il presidente Frigo.

I motivi della contrarietà? Il Cai li sta ripetendo dal 2014: disturbo agli alpinisti, agli escursionisti che vogliono camminare in tranquillità, ai villeggianti, e anche agli animali. «L'elicottero utilizzato in montagna è un mezzo arrogante, è il più inquinante e insostenibile in assoluto, tant'è che se ne fa largo uso nelle guerre. Rappresenta un oltraggio per chi ama la montagna», insiste il consigliere regionale del Partito Democratico Andrea Zanoni, che assicura la sua disponibilità a portare avanti la battaglia del Cai. «È un furto di tranquillità con le peggiori emissioni acustiche possibili che si amplificano rimbombando sulle valli e pareti rocciose».

L'esponente dem ricorda ch e la Direttiva Habitah e la Direttiva Uccelli vietano il disturbo della fauna selvatica negli ambienti naturali «perciò», specifica, « basterebbe la loro applicazione per vietare definitivamente l'uso irresponsabile di questi mezzi da tutte le nostre montagne, dubito però che serviranno perché certi amministratori locali potrebbero concedere deroghe comportandosi da zerbini nei confronti di certi personaggi facoltosi che dell'ambiente e del prossimo non hanno nessun rispetto, anzi se possono infieriscono pure».

Francesco Dal Mas

Corriere delle Alpi | 22 agosto 2023

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«Eliturismo sì, ma con moderazione» De Carlo sbandiera l'esempio di Calalzo

IL DIBATTITO

Un esempio virtuoso di eliturismo? Quello di Calalzo. Lo sostiene il sindaco Luca De Carlo, che a riguardo della protesta del Cai e degli ambientalisti, afferma: «Credo che sulla questione eliturismo, come in tutte le cose, serva il giusto equilibrio: bisogna trovare soluzioni che possano far convivere pratiche turistiche e tutela dell'ambiente. A Calalzo di Cadore questo lo facciamo d'inverno già da 10 anni per regolamentare la pratiche dell'eliski, e lo facciamo proprio grazie a un confronto anche con il Cai Veneto». De Carlo ricorda, infatti, che due giorni prima del Natale 2013 il Collegio Regionale Veneto Guide Alpine – Maestri di Alpinismo di Cortina d'Ampezzo, dopo averne discusso con il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e proprio con il Club Alpino Italiano del Veneto, ha dato parere

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favorevole con alcune prescrizioni alla proposta del Comune di Calalzo sull'eliski. Ad esempio, l'attività è esclusa nelle giornate del sabato, della domenica e durante le festività natalizie; è permessa solo per un massimo di tre giorni a settimana, l'orario di attività è comunque limitato dalle ore 7 alle 12, il numero massimo consentito è di 12 persone per non più di 3 rotazioni. «Questa è una buona pratica che ha visto trovare un accordo tra il mondo delle imprese legato al turismo, le pubbliche amministrazioni e le realtà che a vario titolo sono impegnate nella tutela dell'ambiente e nella sicurezza delle nostre montagne; grazie al dialogo, quindi, come Comune abbiamo potuto approvare già nel 2013 la delibera che regolamenta l'eliski nel nostro territorio». De Carlo, che è anche parlamentare di FdI, dice di non comprendere quindi perché vietare a priori qualcosa, «quando l'esperienza ci insegna che con il dialogo e il confronto si possono raggiungere accordi soddisfacenti per tutti». Renato Frigo, presidente regionale del Cai, dice di prendere atto con interesse dell'esperienza di Calalzo, ma che è sostanzialmente isolata, mentre oggi sarebbe necessaria una regolamentazione a livello almeno regionale, come – precisa – esiste nelle province autonome e nella vicina Regione Fvg. «È evidente che davanti ad una deriva come quella di oggi, l'unica reazione possibile è quella di dire stop, perché si sta letteralmente esagerando. Ma il Cai parla di fatto di una regolamentazione, magari sperimentando i vincoli oltre i quali non si può volare e soprattutto le aree naturalistiche da preservare».

Anche Roberto Padrin, presidente della Provincia, dice di auspicare una «severa organizzazione dell'eliturismo» per preservare la quiete dei villeggianti che, in certe valli «davvero si lamentano per il continuo viavai di elicotteri turistici». «Non si tratta di vietare questa pratica ma di ordinarla, soprattutto di coordinarla tra i vari soggetti interessati». Tanto meglio se la Regione dirà la sua.

Il Cai si augura che sia escluse dal volo le zone che ricadono nei confini dei parchi e di particolare vincoli di protezione, specie a livello europeo, comprese anche le cime dolomitiche che rientrano nell'area Unesco fdm

Corriere delle Alpi | 25 agosto 2023

p. 17

Eliturismo, il Cai non ha dubbi «Siamo fermamente contrari»

il dibattito

Il Club alpino italiano strizza l'occhio all'eliturismo? Assolutamente no, risponde il presidente nazionale del Cai Antonio Montani. Il problema è stato sollevato da Mountain Wilderness che aveva criticato le aperture di taluni ambienti del Cai verso l'uso turistico dell'elicottero, in specifiche aree di montagna non sottoposte a particolari vincoli. Montani, d'accordo anche col presidente veneto Renato Frigo, ribadisce un no rotondo. «La posizione ufficiale del Cai è fermamente contraria all'utilizzo ludico dei mezzi motorizzati in montagna, primo tra tutti l'elicottero che è sicuramente il più impattante. Non è questo il modello di sviluppo turistico che giova alla montagna. Per questo motivo invito fermamente tutte le Sezioni a rispettare le posizioni ufficiali del sodalizio astenendosi da iniziative inappropriate». Montani invita «gli amici di Mountain Wilderness a continuare le lodevoli battaglie ambientaliste che molto spesso ci vedono affiancati, cercando di distinguere con intelligenza chi sono i veri nemici. Il Cai, con i suoi oltre 340 mila soci, rappresenta una realtà che lavora quotidianamente, grazie all'impegno dei propri volontari, per l'educazione e la tutela ambientale e credo vada rispettata e non attaccata». Anche in questi giorni si osserva un viavai di elicotteri sorvolare le Dolomiti in escursione turistica. Il presidente del Cai ricorda che la tutela della montagna e lo sviluppo sostenibile dei suoi territori saranno proprio il tema del 101esimo Congresso nazionale dell'associazione, intitolato "La montagna nell'era del cambiamento climatico", che si tiene a Roma oggi e domani. L'obiettivo del congresso è individuare una linea guida che, partendo dall'attuale contesto, guardi al futuro e sottolinei l'importanza di promuovere un approccio sostenibile alla montagna. Questo evento e il suo percorso di costruzione intendono dunque rappresentare un'opportunità di ampio confronto, in cui il Cai rafforza il suo impegno civile per la tutela della montagna.

NOTIZIE DAI RIFUGI

L’Adige | 2 agosto 2023

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Rifugio Pedrotti, ristrutturazione

Ristrutturazione in vista per il Rifugio Tommaso Pedrotti alla Tosa, situato nelle Dolomiti di Brenta a 2.491 metri di altitudine e meta in estate di migliaia di alpinisti ed escursionisti.Dopo il parere favorevole da parte della giunta esecutiva del Parco naturale Adamello

Brenta è arrivato anche il nulla osta della giunta provinciale per realizzare i lavori in deroga alle norme d'attuazione del Piano del Parco. Dall'esame degli elaborati progettuali predisposti dall'architetto Stefano Pasquali ed altri è risultato infatti che i lavori sono in contrasto con le norme di attuazione del Piano del Parco.Il progetto non prevede aumento di ricettività rispetto alla situazione attuale (15 posti letto per rifugista e 120 posti letto per gli ospiti) né la modifica degli spazi per il bar e la sala da pranzo. I lavori proposti riguardano il rifacimento del volume sottotetto con un ampliamento in altezza, per rendere più fruibili gli spazi ed aumentare la superficie

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di illuminazione e aerazione; l'installazione di un impianto fotovoltaico in copertura; la modifica della distribuzione interna di ogni piano con realizzazione su ogni piano di nuovi servizi igienici e docce comuni; la realizzazione di una nuova scala di emergenza sul prospetto nord-est che collega i 5 piani del rifugio; la realizzazione di un collegamento coperto tra la nuova scala e l'ingresso attuale; il miglioramento della salubrità del manufatto risolvendo le problematiche di infiltrazione e di umidità; l'adeguamento dell'impiantistica con realizzazione di sistemi di accumulo delle acque piovane e grigie per sopperire ai problemi di siccità, con la realizzazione di una vasca di accumulo interrata. L'aumento volumetrico sarà pari a 570 metri cubi per un volume complessivo di 3734 mc.Non è la prima ristrutturazione che la struttura ha subito negli anni. Si ricorda ad esempio quella al termine della prima guerra mondiale, in occasione della quale il rifugio fu intitolato alla memoria di Tommaso Pedrotti, fratello di due presidenti della Sat. Il Tosa è stato il primo rifugio costruito dalla Sat nel 1881, come piccola capanna con un solo locale, a quota 2.439 metri alla base del Croz del rifugio. Ampliato successivamente più volte, è attualmente collegato al limitrofo rifugio Pedrotti, che venne costruito dall'Alpenverein di Brema (società alpinistica pangermanista) negli anni 1910-1911, in località "Sella del Rifugio", tra la Cima Brenta Bassa e il Croz del Rifugio. Questo fabbricato divenne proprietà della Sat al termine di una lunga controversia giudiziale (che coinvolse gli abitanti di San Lorenzo in Banale e la società tedesca), decisa nel 1914 dalla Corte Suprema di Vienna.Dopo la lunga gestione della Famiglia Donini, che ha mantenuto il rifugio per 50 anni, dal 2011 il rifugio è gestito dalla guida alpina Franco Nicolini, dalla moglie Sandra e dai loro figli, che prossimamente potranno contare su una struttura rinnovata.

Il Nuovo Trentino | 4 agosto 2023

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Il presidente del CAI: “Basta rifugio. E basta rifugi come hotel”

Non c'era, ieri, ai piedi del Sassolungo, la presidente della Sat Facchini (al suo posto la vicepresidente). Ma c'era il presidente nazionale del Cai, Antonio Montani. «Nessuno di noi è contro gli impianti a priori, tanto è vero che siamo saliti qui oggi usando gli impianti. Ma è ora di dire stop alla proliferazione incontrollata».Per il presidente «la prima cosa da fare è prendere consapevolezza, con una seria analisi di quello che ha portato al problema. Da quello che ho letto sui giornali in questi giorni, ho capito che certa politica non ha questa consapevolezza, e questo è molto grave. Già oggi, appena rientrato in sede, manderò al ministro delle Infrastrutture Salvini l'invito al nostro 101° congresso, che si terrà a novembre a Roma, dal titolo "La montagna nel cambiamento climatico". Perché i giovani vanno educati al valore della montagna, e Salvini è giovane».Poi «dovrei parlare soprattutto di rifugi e di sovraffollamento: il Cai, tra tutti i club alpini, è il più grandi in quanto a proprietà di rifugi. Ma oggi è giunto il momento di porsi delle domande in maniera seria: stiamo vedendo proprio qui in queste province "fortunate" dal punto di vista economico, delle azioni di sostituzione edilizia che lasciano perplessi. Le strutture che una volta erano i rifugi, ed oggi non si possono più definire tali, rincorrono quelle che sono le esigenze del turismo di massa» ha detto il presidente.«Noi come Cai crediamo che questa tendenza debba essere invertita. E che si debba fermare questo approccio alle strutture. Anche ai sentieri».E gli impianti? «Non li demonizziamo, ma vanno limitati. Non ne vanno costruiti di nuovi: come si vede in questa bellissima zona, ce n'è più che a sufficienza. Quindi manutenzione. Il Piano del Ministero del Turismo prevede interventi di manutenzione o di demolizione. Io - ha detto Montani - sarò contento se alla fine, con questo Piano, vedrò almeno un impianto, uno solo, dismesso e bonificato. Perché purtroppo quel che succede è che si dismette, ma restano funi, piloni e tralicci».

G. Z.

L’Adige | 13 agosto 2023

p. 12

Estate in rifugio

Meno gente e più pernottamenti

Calano gli italiani, su gli stranieri

Monica Malfatti

Meno persone che si muovono in giornata e più pernottamenti. Ma anche meno italiani e più stranieri, con l'eco dei rincari capace di farsi sentire anche fra le montagne più elevate. Sono queste le prime stime che emergono da un veloce sondaggio tra alcuni dei principali rifugi del Trentino.Si parte da Carlo Budel, il più social dei rifugisti, che dopo la tragedia dello scorso anno in Marmolada ha scelto di continuare ad animare la Regina delle Dolomiti con la propria presenza. Per lui si tratta della sesta stagione a Capanna Punta

Penia, arrivata a costare 10 euro in più rispetto al 2022. «Se l'anno scorso la mezza pensione si assestava sui 60 euro, quest'anno ne costa 70, comprensivi di cena, pernottamento e prima colazione».Ad incidere sul rialzo dei prezzi è ovviamente l'approvvigionamento, con i rifornimenti in elicottero che, al netto del caro gasolio, richiedono in media una spesa maggiore del 25%.Sempre in Marmolada, ma 600 metri più in basso, il Rifugio Capanna Ghiacciaio, per la stagione 2023, è rimasto invece chiuso. «Ho aspettato fino all'autunno scorso, ma i conti da pagare non aspettano» è stato il commento dell'ex gestore, Luca Toldo, che ha deciso di reinventarsi nella conduzione di un rifugio in una zona totalmente diversa. Dopo aver preso in gestione Le Maddalene, situato a circa 1.900 metri di quota nell'omonima catena e nel territorio del comune di Rumo (in Val di Non), Toldo valuta in maniera piuttosto negativa l'economia

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di questa stagione: «Le Maddalene hanno una clientela totalmente diversa a quella cui ero abituato in Marmolada, il cui nome bastava per attirare la qualunque. Quello che noto è un brusco calo generale del turismo in quota, con la gente che fatica a muoversi. Ma forse è la mia prima stagione qui e devo ancora prendere le misure».Chi invece le misure le ha prese ormai da anni è la famiglia di Franco Nicolini, gestore del Rifugio Pedrotti, a 2.400 metri circa, nelle vicine Dolomiti di Brenta. Meta indiscussa di alpinisti ed escursionisti affascinati dalle vette più alte del Gruppo, il rifugio si sta preparando alla ristrutturazione dei propri spazi, che avverrà il prossimo anno. «Nel frattempo non possiamo lamentarci - spiega Elena Nicolini -, siamo quasi sempre pieni, soprattutto per quanto riguarda i pernotti. E notiamo un bel giro di stranieri, con il ritorno degli americani dopo il covid».Se dalle vette del Brenta scendiamo poi verso quelle strutture poste lungo le sue vie d'accesso principali, rispettivamente nel versante orientale e in quello occidentale, il Rifugio Croz dell'Altissimo e il Rifugio Vallesinella sembrano accomunati da analoghe sorti: molte persone passano ma poche si fermano, con un calo generale della clientela che si assesta attorno al 20/30%.Chi invece non riesce a valutare bene l'entità dei propri passaggi, influenzati da lavori in corso negli spazi della terrazza esterna, è Sergio Rosi del Rifugio Passo Principe, posto a 2600 metri lungo le pendici del Catinaccio d'Antermoia, vetta più alta, appunto, del Catinaccio.«Sui pernottamenti abbiamo più prenotazioni dello scorso anno - commenta Rosi -, ma sui pasti e sui passaggi un certo calo persiste: non posso proprio dire se sia imputabile ai lavori o ad una situazione di generale crisi». Mariano Lott del Rifugio Rosetta, a 2.500 metri sulle Pale di San Martino, è invece piuttosto sicuro di una forte retromarcia nel turismo nostrano. «Solo il 4% di chi pernotta qui è italiano - afferma Lott -. A giugno e luglio siamo andati bene, in linea con gli altri anni. Ma dobbiamo ringraziare i turisti stranieri, provenienti soprattutto dal Nord Europa».A farla da padrone sono dunque Paesi Bassi, Belgio, Olanda, Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia, con un boom di statunitensi soprattutto nel primo periodo. «Per il mese di settembre invece - prosegue Lott - abbiamo molte prenotazioni di canadesi ed australiani».Ma più che il turismo in sé e per sé, a spaventare il gestore del Rosetta sono i problemi legati alla scarsità di risorse idriche. «Siamo quasi in allarme - conclude Lott -. Certo, ci siamo attrezzati con grandi vasche di approvvigionamento, però non può essere una soluzione duratura: la stagione riusciamo a finirla, ma già la prossima estate, su questo fronte, ci spaventa molto».

Il Nuovo Trentino | 11 agosto 2023

p. 6

Nei rifugi ci sono meno tedeschi, ma la stagione non è poi così male

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L’Adige | 13 agosto 2023

p. 12

Roberta Silva: «Le zone con l'orso hanno sofferto»

Se le risorse idriche restano una questione centrale per il futuro più prossimo, il bilancio parzialmente negativo - o perlomeno neutrorispetto allo scorso anno, per quanto riguarda la stagione estiva dei nostri rifugi, deve tener conto anche delle straordinarie condizioni meteorologiche fatte registrare nel 2022: un'annata decisamente anomala e capace di mettere in archivio giornate di caldo intenso in quota, con poche precipitazioni e un turismo che, partendo da queste premesse, ne usciva rinvigorito.Parole di Roberta Silva, che, oltre a gestire il rifugio Roda di Vael, è anche presidentessa dell'associazione Rifugi del Trentino: sodalizio che raccoglie oltre 100 rifugi sparsi per il territorio, costituendone di fatto l'organo di rappresentanza davanti alle istituzioni.«Tutto sommato, di gente che si muove sui sentieri ce n'è - commenta Silva -, al netto di un lieve calo dovuto a questioni economiche quali l'inflazione, che pesa su tutto il turismo, non soltanto su quello di montagna»Crede dunque che il meteo abbia causato il grosso dei problemi quest'anno?Per certi versi sì. L'incertezza dilagante e il calo delle temperature minime stagionali hanno deciso buona parte dei giochi. C'è da dire che lo scorso anno le giornate di brutto tempo si contavano sulle dita di una mano. Di fronte a previsioni più negative, gli escursionisti o i turisti attivi programmano in maniera diversa la loro permanenza in quota.Eppure, a sentire i rifugisti, si direbbe che i pernottamenti non siano in sofferenza.Questo ci dà grande fiducia: le persone che vogliono dormire in montagna ci sono e sono soprattutto quegli "stranieri di ritorno" che per anni abbiamo visto fermi o ridotti al lumicino a causa del covid. La ripresa del turismo estero fa ben sperare, nonostante il calo di italiani ci dispiaccia molto.A che cosa può essere imputato quest'ultimo dato negativo?Il nuovo carovita cui stiamo assistendo di certo non aiuta, ma il fatto che in generale si preferisca pernottare piuttosto che fermarsi sporadicamente, e questo anche nel caso dei pochi italiani, la dice lunga sulle tendenze e sulle scelte dei nostri turisti. Si preferisce magari una singola spesa, più grossa ma oculata, come potrebbe esserlo il pernotto, piuttosto che l'assiduo esborso di risparmi in soste e passaggi. Questo purtroppo va a scapito di quei rifugi che sul passaggio fondano la propria ragion d'essere: le strutture più a bassa quota, ad esempio. Un altro trend dell'ultimo anno è quello di concentrare le proprie vacanze, anche in valle, su pochi giorni: ponti, fine settimana. Questo si ripercuote anche nel turismo in quota, con visitatori che si muovono maggiormente nei weekend e situazioni più critiche durante i giorni feriali: ma, in quest'ultimo caso, la media finale dovrebbe equilibrarsi.A suscitare una certa sorpresa sono i visitatori nordici.Sì, ma fino ad un certo punto. Quella del turismo proveniente da Norvegia, Svezia e Danimarca è stata una scoperta graduale, che quest'anno sta probabilmente giungendo al suo apice. È vero che, se a tedeschi, austriaci ed olandesi eravamo già parecchio abituati, il risveglio di un mercato come quello nordico porta a tutti una ventata di novità. Penso però che anche questa sia una conseguenza del nuovo inizio post covid. E lo stesso posso dire per quanto riguarda gli americani, che negli ultimi anni, sulle montagne trentine, non erano mai stati così tanti.Rincari, meteo e turismo straniero. Oltre a questo, c'è qualcosa d'altro che caratterizza l'andamento generale della stagione?Buttando un occhio alla geografia del Trentino, sembra che le zone con la presenza dell'orso, almeno all'inizio dell'estate, abbiamo patito le fatiche più grandi. Parlo del Brenta, della Val di Sole e in generale del Trentino occidentale. Mo.Ma.

Corriere delle Alpi | 19 agosto 2023

p. 29

Casetta della turbina distrutta: il generatore tiene vivo il Berti

COMELICO SUPERIORE

«Quando sei nell'occhio del ciclone puoi solo pregare e sperare che tutto finisca presto». Lo scriveva, il 25 luglio, Bruno Martini, gestore del rifugio Berti, ai piedi del Popera, mentre osservata allarmato dalla finestra, insieme ai suoi collaboratori, il disastro che accadeva all'esterno: la tempesta scendere come neve, il ghiaione scivolare a valle, spazzando via ogni arbusto. Con la tenacia dell'alpinista, Martini tirava però un sospiro di sollievo quando, recandosi alla "casetta della turbina" (in sostanza, la cabina elettrica del rifugio), la trovava ancora in piedi, a pochi centimetri dai sassi appena strapiombati.

E veniamo ai giorni nostri.

«A chi insieme a noi ha sperato, purtroppo ora devo raccontare che la casetta della turbina non è riuscita a sopravvivere all'ultimo temporale ed è stata sommersa dall'enorme ghiaione».

Erano cinque giorni fa. Il rifugio senza corrente elettrica, è mai possibile? Ovviamente no. Il gestore ha provveduto all'installazione di un generatore che, di fatto, ha sostituito la turbina che lavora l'acqua che scende dal Popera e che chissà mai quando potrà essere sghiaiata. Sopra quell'impianto, infatti, ci sono metri e metri di sassi e di fango. Ieri sono saliti anche i dirigenti del Cai di Padova, dal quale dipende la struttura, per verificare la situazione e come si potrà intervenire. Ovviamente portare lassù una ruspa, magari con un elicottero, è difficile.

«Qualcuno mi ha scritto che è eroico lavorare qui, forse è vero», ha ammesso Martini, «ma quando ami qualcosa accetti anche la parte meno bella e più impegnativa. Questi fenomeni avvengono sempre più spesso ed hanno una violenza inaudita. Non possiamo esserne solo spettatori inermi, ed io ritengo la montagna sacra e, anche se a volte mi mette duramente alla prova, il mio amore per lei rimane immenso».

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Il rifugio Berti è a quota 1.950, domina dal Vallon Popera. Il sentiero più comodo per raggiungerlo è dal rifugio Lunelli, in circa 1 ora. Da qui si raggiunge il famoso passo della Sentinella. La struttura è circondata da ghiaioni, però è stata costruita su un promontorio che sicuramente non verrà raggiunto dagli smottamenti. La sicurezza, dunque, è massima. Unico il panorama su alcune tra le più belle cime dolomitiche; siamo ancora dentro il territorio Unesco.

«La nostra attenzione per la conservazione dei rifugi alpini, soprattutto quelli più storici, come il Berti, è massima», sottolinea Renato Frigo, presidente regionale del Cai, «pertanto abbiamo assicurato sia al gestore Martini e sia al Cai di Padova la massima assistenza e tutto il sostegno per ripristinare un servizio essenziale come l'autoproduzione dell'energia».

È evidente, secondo il presidente del Cai, che provvedimenti specifici per evitare il continuo movimento dei ghiaioni sono impossibili.

«Si tratta di fenomeni naturali che appartengono alla storia di queste montagne. Il fatto nuovo è che episodi come questi si ripetono sempre più frequentemente».

Frigo riporta come esempio la vecchia ferrata Roghel, che è stata investita dai cedimenti innumerevoli volte.

«E ppure», conferma, « l'abbiamo sempre portata in sicurezza. Così continueremo a fare anche in futuro».

Francesco Dal Mas

Corriere delle Alpi | 21 agosto 2023

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Rifugi, la stagione si può allungare «Ma le istituzioni devono aiutarci»

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Il rifugio Dolomites, sul monte Rite, è aperto tutto l'anno, nonostante sia raggiungibile da ottobre a maggio solo a piedi. La destagionalizzazione la applicano anche altri rifugi alpini ormai da anni, il Padova, in comune di Domegge, il Chiggiato (Calalzo di Cadore), seppur a singhiozzo, l'Aquileia, a Selva di Cadore e altri ancora. Quest'anno il "Città di Fiume", in faccia al Pelmo, chiuderà la prima domenica di ottobre, ma altri proseguiranno fino a metà dello stesso mese. Il Carducci, in comune di Auronzo, un vero nido d'aquila, ha anch'esso tempi destagionalizzati. E l'Auronzo, ai piedi delle Tre Cime, ha aperture molto dilatate, compreso in pieno inverno.

«In qualche misura, quindi, i rifugi alpini fanno già la loro parte per quanto riguarda l'allungamento della stagione. Ma potrebbero essere ancora più generosi», spiega Mario Fiorentini, coordinatore dell'associazione dei rifugisti del Veneto, «se altre istituzioni comprendessero la difficoltà di lavorare in alta montagna».

È stata Roberta Alverà, vice sindaco di Cortina, già presidente dell'Associazione albergatori della conca ampezzana, ad auspicare stagioni turistiche prolungate per tutto l'anno, salvo gli indispensabili periodi di riposo. Alverà, per la verità, ha sostenuto la necessità di una contestuale condivisione, da parte di tutti i soggetti interessati, delle problematiche relative alla destagionalizzazione. E da questo punto di vista, Fiorentini, che gestisce il "Città di Fiume", è puntuale nella descrizione delle contraddizioni. «Da parte delle associazioni per l'ambiente esistono, ad esempio, abbonamenti trimestrali o annuali per pagare la raccolta dei rifiuti. I rifugi possono usufruire dell'abbonamento trimestrale. Ma se decidono di tenere aperto tre mesi e un giorno, devono pagare per tutto l'anno. Il che può significare versare 1.200 euro anziché 300. È evidente, quindi, che un gestore, se non ha un interesse particolare, sospende l'attività entro i tre mesi».

Si prenda un altro tema, quello del trasporto pubblico. Le alte vie alpinistiche, la prima e la seconda in particolare, stanno registrando una frequentazione straordinaria, specie di stranieri. Se l'anno scorso l'escursionista che partiva dal lago di Braies e, incamminandosi lungo l'Alta Via n.1, decideva di fermarsi sul passo Staulanza anziché proseguire fino a Belluno, aveva la possibilità di salire sul pullman (due al giorno) che lo portava a Cortina. E da qui, in giornata, attraverso le corriere fino a Dobbiaco o al lago di Braies, raggiungeva la propria auto. Quest'estate il collegamento tra Selva di Cadore e Cortina è stato tolto per carenza di viaggiatori. Quest'estate, pertanto, lo stesso alpinista ha dovuto scendere con altro pullman fino a Longarone, da qui salire su una corriera diretta a Calalzo, da qui proseguire in pullman fino a Cortina, qui cambiare corriera e raggiungere Dobbiaco, dove finalmente poteva salire sull'ultima navetta per Braies.

«Mi si dica se possiamo lasciare i nostri visitatori in balia di loro stessi», fa pressing Fiorentini. «Ma, quanto al trasporto p ubblico locale, c'è di peggio. Le istituzioni ai vari livelli auspicano aperture prolungate della ricettività, ma all'inizio dell'anno scolastico cambiano gli orari estivi delle linee del Tpl. Fino a metà ottobre, restano solo le navette per le Tre Cime di Lavaredo. I passi dolomitici e altre località rimangono senza collegamento. Chiudono anche gli impianti di risalita. Come si può pretendere che gli escursionisti salgano in montagna, visitino i rifugi e che questi rifugi rimangano aperti?».

È veramente tutto da rifare. A cominciare, secondo i gestori dei rifugi, dalla detassazione di chi sperimenta appunto la destagionalizzazione. «Si prenda ad esempio», aggiunge Fiorentini, «il tema delle assunzioni. Se un rifugio, anziché chiudere alla fine del mese, considerato il bel tempo e l'arrivo di escursionisti, vuol proseguire per una settimana, è desistito dal farlo perché le tasse sul personale le deve pagare per tutto il mese successivo e non solo per quella settimana».

Per il presidente regionale dei gestori dei rifugi si pone quindi non solo l'opportunità, ma anche l'urgenza che la Provincia, la Dmo, la Regione o qualche altra istituzione promuovano un tavolo per riflettere su che cosa si può fare insieme in modo da accogliere il visitatore sulle Dolomiti, evitando che questi il prossimo anno cambi destinazione. Ma il tavolo, secondo Fiorentini, va convocato subito per dare risposte ai turisti e agli escursionisti che continueranno ad arrivare numerosi anche a stagione finita. «Si pensi che già tra

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fine maggio e inizio giugno si potevano contare a decine, ogni giorno, i camminatori dell'Alta Via n.1. E in quel periodo tanti rifugi ed altrettanti impianti non erano neppure aperti».

Messaggero Veneto | 29 agosto 2023

p. 33, edizione Pordenone

Mostra e musica per i sessant'anni del rifiugio Cai

MANIAGO

Grande festa per i sessant'anni del rifugio Maniago del Cai della città del coltello. Tante le persone che si sono recate in Val Zemola, nel cuore delle Dolomiti friulane patrimonio Unesco, per partecipare alla cerimonia. Il rifugio è punto di riferimento per escursionisti, amanti della montagna e per la comunità. La settimana di festeggiamenti è iniziata con l'allestimento di una mostra fotografica dedicata alla struttura nelle Vecchie scuderie di Palazzo d'Attimis a Maniago. Quindi escursioni, eventi musicali e momento conviviale. Era il 25 agosto 1963 quando la sezione maniaghese del club alpino naugurava la struttura, ai piedi del monte Duranno. L'idea era di offrire un'opportunità in più agli appassionati della montagna per apprezzare il piacere di sostare. Il presidente dei Cai era allora Giangabriele Mazzucco. Il progetto, però, non godeva del sostegno di tutti: c'era chi aveva parlato di impresa faraonica sia per l'ubicazione sia per l'onerosità. Si era pensato, infatti, di costruirlo senza finanziamenti pubblici. Ma il club non ha mollato. Quindi la donazione del terreno da parte del Comune di Erto e Casso, i lavori di sbancamento e le prime tappe di costruzione dell'immobile. In campo c'erano gli operai di un'impresa di Erto e Casso e i soci del Cai. A fornire aiuto sono stati anche gli alpini della brigata Cadore accompagnati dai muli. Tra le operazioni più complesse e faticose figurava il trasporto dei materiali, in particolare durante l'inverno. Gli aneddoti relativi alle tappe che hanno portato alla nascita del rifugio sono stati raccolti nel volume "Rifugio Maniago – una storia per immagini" curato da Anna Olivetto e Roberto Mazzoli Chiasais in occasione del cinquantesimo anniversario. Il rifugio è stato completato nell'estate 1963, quindi l'inaugurazione, con in testa l'allora sindaco Pompeo Cimatoribus. Negli anni successivi la struttura è stata sottoposta a interventi di miglioramento: il camino esterno, la scala, l'ampliamento dei locali e i rifacimenti del tetto.

G.S.

Corriere delle Alpi | 31 agosto 2023

p. 35

Smotta la ghiaia e manca la linea: protesta al Berti

COMELICO SUPERIORE

Un nuovo smottamento di ghiaia che ha sepolto parte del sentiero al passo della Sentinella ha costretto martedì il rifugista Bruno Martini a far intervenire l'elicottero per portare in sicurezza due escursionisti bloccati. Ma quel che è peggio – fa sapere la storica "sentinella" del Berti e del Popera – è che manca da due settimane anche la linea telefonica per chiamare l'intervento del Suem. «È una vergogna. Rischiamo per la sicurezza dei nostri ospiti, oltre che di noi stessi», afferma. All'inizio della stagione il rifugio Berti ha avuto problemi di ricezione sulla linea fissa. Altrettanto è accaduto da Ferragosto in avanti. Funziona il cellulare, ma a singhiozzo. «Nella nostra situazione si trovano altri rifugi. Ovviamente abbiamo interpellato la Telecom ma ci hanno detto che non dispongono di personale per intervenire in tempi rapidi. Devono farlo arrivare dal Friuli». È accaduto, quindi, che per sollecitare l'ultimo soccorso, quello relativo al passo Sentinella, si sono dovuti attendere ben 30 minuti, davvero "sospirati".

Il rifugio Berti è perfettamente raggiungibile, dal rifugio Lunelli e dal Col Colesei. Dal Lunelli si tratta quasi di una comoda passeggiata. La struttura è perfettamente in sicurezza. Una frana ha distrutto la centralina dell'energia autoprodotta che si trova, però, dall'altra parte della valle. Resta il problema del Sentinella.

«Un tempo c'era un piccolo ghiacciaio che teneva fermo il versante. Adesso», riferisce Martini, «ci sono solo ghiaioni che, spinti dalla pioggia, continuano a scivolare a valle, danneggiando i sentieri. Probabilmente il Cai, da una parte, e l'Unione montana, dall'altra, dovranno attrezzare altri percorsi». La vicina Strada degli Alpini è pulita, come lo sono le ferrate.

Nei giorni scorsi il Cai Comelico aveva informato che, dopo la sistemazione d'inizio luglio, «con l'apertura della strada degli Alpini il sentiero è ben evidente, ben tracciato e in sicurezza, perché ci si può anche tenere alle corde che sono un valido aiuto per salire o scendere».

Le ultime piogge, però, hanno di nuovo modificato la situazione. Da qui, appunto, la chiamata di soccorso di Martini. Secondo il presidente del Cai Veneto, Renato Frigo, al termine della stagione «bisognerà fare il punto della situazione per come è cambiata dopo le precipitazioni, individuando là dove in primavera bisognerà intervenire per nuovi interventi di messa in sicurezza». Si tratta di studiare un piano insieme alla Regione e specificatamente alle Unioni montane, perché ci sono delle situazioni rese precarie dagli effetti del maltempo. Quanto alla copertura della telefonia, fissa e mobile, anche in questo caso il Cai interverrà presso le compagnie più direttamente interessate.

Fdm

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NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E DEGLI ACCOMPAGNATORI DI MEDIA MONTAGNA

Corriere delle Alpi | 14 agosto 2023

p. 16, segue dalla prima

L'allarme delle Guide alpine « Masse di sprovveduti nell'estate delle Dolomiti»

Ferragosto da "tutto esaurito" per le guide alpine. Con una novità da parte degli stranieri: la "moda" delle ferrate. Un'esperienza unica per chi non sa neppure che cosa siano, non avendo montagne nel proprio paese. Enrico Geremia, guida alpina e presidente del Collegio regionale, da una parte è soddisfatto, dall'altra preoccupato: in montagna ci sono ancora troppi accompagnatori abusivi. Da dove arrivano questi accompagnatori fuori regola?

«Dalle città, dalla pianura. Non sono singoli privati, ma fanno capo ad associazioni improvvisate, di escursionismo o di alpinismo. Privi di una preparazione specifica, si permettono di portare i "clienti" magari in luoghi o in condizioni inadatte. Magari fino a non prevenire le situazioni di morte per chi accompagnano. E ultimamente è capitato questo anche a Cortina».

Sono anche tanti altri gli abusivi della montagna, per la verità...

«Certo, coloro, ad esempio, che continuano ad affrontare i sentieri, anche i più impervi, che non conoscono, con calzature da spiaggia». L'infradito?

«L'infradito o poco di più. Anche quest'estate ho avuto modo di constatare personalmente che c'è il massimo dell'imprudenza, dell'impreparazione, dell'improvvisazione. Abbiamo in alta montagna, mi duole dirlo, masse di sprovveduti. Che si espongono all'avventura, quindi al pericolo, ad ogni ora del giorno. Che nello zaino non hanno neppure un po' d'acqua, mezza giacca a vento». Questi sprovveduti capitano anche a voi guide o accompagnatori di media montagna?

«A volte sì. Però se chiedono il nostro accompagnamento vuol dire che hanno un minimo di consapevolezza delle loro capacità, dei limiti. E chiedono, appunto, di essere aiutati. Magari vorrebbero fare chissà quali "imprese", ferrate o arrampicate; noi li consigliamo a essere meno pretenziosi».

I tanti stranieri di questa estate dove chiedono di essere portati?

«Gli americani, i nordici, gli asiatici vanno pazzi per le ferrate, che non conoscono e che trovano affascinanti. Attenzione, non è di solito gente impreparata o improvvisata. Arriva sulle Dolomiti per compiere determinati percorsi. E hanno la preparazione necessaria». Vi capita di uscire a metà mattina, quando dovreste essere già arrivati a meta?

«Ci capita l'improvvisato che vorrebbe avere questa pretesa. Ma è evidente che noi lo scoraggiamo, e lo accompagniamo verso qualcosa di alternativo, di più compatibile».

Al più tardi quando bisognerebbe uscire dall'albergo per un'escursione?

«Subito dopo colazione, quindi verso le 8.30, se non è impegnativa. L'ora ideale sarebbe tra le 7 e le 8. Ma anche alle 6 se, come tanti chiedono, si sale alle Tre Cime di Lavaredo. Infatti, come si sa, la strada solitamente viene chiusa prima delle 8. E noi di ceto non accettiamo di aspettare in coda».

Le richieste per le arrampicate?

«Ci sono. L'altra mattina sono uscito con un cliente alle 4 per salire sul Sassolungo. Siamo rientrati verso le 18».

Il clima così cambiato sta rendendo più fragile le vie alpinistiche?

«Ci sono tante scariche dopo le precipitazioni, soprattutto quelle più violente. Il permafrost si sta congelando fino a provocare danni seri soprattutto sulle Alpi occidentali; da noi i danni sono ancora limitati, ma l'attenzione che si deve prestare dev'essere sempre massima».

Quante sono le guide iscritte all'albo regionale?

«Siamo in 130 e gli accompagnatori di mezza montagna una settantina. Come si diceva, la concorrenza è piuttosto rilevante, grave, da parte degli abusivi. Ci sono organizzazioni di accompagnatori che s'improvvisano e organizzano gite, escursioni, improvvisando il servizio. Ma abbiamo la certificazione che tanti di loro non conoscono neppure i percorsi dove accompagnano gli ospiti. Esattamente come non li conoscono tanti escursionisti che arrivano in quota solo inseguendo qualche social. Ecco, si sta confondendo la montagna con il mare».

Vale a dire?

«Perché in questi giorni trova le code all'ingresso degli impianti di risalita oppure lungo determinati sentieri che partono dall'arrivo in quota di questi impianti? Si prenda, ad esempio, le 5 Torri. È in queste situazioni – sono tante, per la verità – in cui trovi la gente con ai piedi l'infradito o le scarpette da tennis. Ti camminano addirittura a petto nudo, come fossero in riva al mare, senza zaino in spalla. Il che significa che, se cambia il tempo improvvisamente durante la passeggiata, questi sono capaci di chiamarti il Suem. Intanto, a mio parere, dovrebbero rendere obbligatoria l'assicurazione. E poi, in ogni caso, le agenzie di promozione dovrebbero smetterla di lanciare le mete più gettonate, ma anche l'altra montagna, quella altrettanto bella».

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NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO

Corriere delle Alpi | 6 agosto 2023

p. 13

Soccorsi agli illesi, conto da 400mila euro «Si va in montagna come a Gardaland»

«Ma la montagna non è una Gardaland» sbotta Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell'Usl1 Dolomiti, dando i numeri dei soccorsi: 37.254 chiamate al 118 nei primi sei mesi del 2023 (la media annuale è di 73-74 mila) con 7.812 missioni, di cui 58 con gli elicotteri. Che cosa infatti sta accadendo in alta quota? Che tra le 651 persone che chiedono aiuto, il 44% è rappresentato da escursionisti, cioè semplici camminatori. Tra questi, il 14,6% si mette nei guai "per incapacità", il 7,4% perché perde l'orientamento, il 2,8% perché si lascia sorprendere dal maltempo; che una percentuale analoga di persone chiede che le si vada incontro perché è in ritardo. Soccorsi, insomma, non strettamente sanitari. I volontari del Cnsas o gli elicotteri Falco 1 e Falco 2 ti vengono a prendere perché sei in difficoltà e il più delle volte ti portano all'auto o in albergo, anziché in ospedale. A questo punto è ovvio che l'escursionista paghi per la sua imperizia. E il conto è salato.

Le cifre le ha svelate ieri il direttore Dal Ben in presenza del direttore del Suem 118 Giulio Trillò, del direttore del Dipartimento Prevenzione Sandro Cinquetti e dei vertici del Soccorso alpino, il delegato interprovinciale Alex Barattin e il coordinatore regionale Rodolfo Selenati.

Va precisato, fra l'altro, che i cambiamenti climatici, con le bombe d'acqua, le raffiche di vento, le temperature sempre più alte che sciolgono il permafront congelante, perché lo zero termico si alza anche di 1500 metri sopra le vette della Marmolada, rende i percorsi pieni di spiacevoli sorprese: dagli alberi di traverso sul sentiero, ai ghiaioni ruscellati, ai crolli improvvisi. Anche se i volontari del Cai sono sempre pronti ad intervenire rimettendo in sicurezza gli itinerari.

Dal 2020 l'Azienda sanitaria ha emesso 1.036 fatture per un importo di ben 2 milioni e 22 mila euro, due su tre a carico di italiani. Solo nei primi sette mesi di quest'anno, nonostante che il maltempo abbia rallentato la frequentazione delle alte asperità, gli amministrativi di Dal Ben hanno staccato ben 164 fatture per un ammontare di 409.156 euro. Ma, attenzione: fino alla fine del mese scorso, gli stranieri hanno rappresentato la maggioranza, col 54%.

Il direttore generale ha ammesso che non è facile convincere i malcapitati a pagare il transfer; più convincibile è lo straniero. Il problema è – come ha fatto notare Selenati – che il 95% di coloro che scarpinano lungo i sentieri di montagna o si avventurano sulle sempre più ambite ferrate, oppure inforcano credendosi campioni la e-bike, «non sono nemmeno assicurati». E la botta, quando arriva, è sicuramente pesante.

Gli inglesi sono, quest'estate, in testa alla classifica dei soccorsi, seguono i polacchi, i ceki, gli americani dei paesi bassi, i francesi. Un volo per sfinimento (il 2% dei casi) può costare anche 4mila euro. Perché, dunque, tanta leggerezza nell'affrontare le terre alte?

Purtroppo – hanno ammesso Selenati e Barattin – ci si fionda in montagna anche senza preparazione, magari affrontando itinerari impegnativi, solo perché sosp inti dai social e dagli influencer. Giulia Calcaterra che si fa portare sulla Torre Venezia del Monte Civetta dall'elicottero (non certo quello del Suem) «è un brutto esempio assolutamente da non imitare».

Oltretutto – raccomanda il direttore del Suem, Trillò – si tenga conto che determinati interventi sono così difficili da mettere a repentaglio anche la vita dei professionisti e dei volontari.

Recentemente, pertanto, si è stati costretti – come riferisce lo stesso Trillò – a uscire con i due Falco contemporaneamente. Anzi, al riguardo Dal Ben ha precisato che il Suem è attrezzato per il volo notturno, ma per determinati soccorsi in parete, di una difficoltà unica, il personale specializzato è in formazione, per cui ci si affida necessariamente ad altri equipaggi.

Questione di mesi, comunque, e i due Falco potranno intervenire in qualsiasi salvataggio. Va detto, per la precisione, che il secondo elicottero sarà attivo – all'aeroporto di Belluno – nel pieno della stagione estiva e "probabilmente", anticipa Dal Ben – lo sarà anche in quella invernale. Quindi non è una presenza fissa.

Corriere delle Alpi | 6 agosto 2023

p. 13

Dalla nutrizione all'abbigliamento: ecco il Decalogo della sicurezza

I consigli

«Gli incidenti in montagna, quindi i soccorsi, non si possono eliminare, ma sicuramente mitigare e anche ridurre di numero». Ne sono convinti Rodolfo Selenati e Alex Barattin del Soccorso alpino. Ma in che modo? Rispettando il Decalogo sulla sicurezza in montagna presentato ieri a Belluno dal Direttore generale dell'Ulss 1, Giuseppe Dal Ben e dal Direttore della prevenzione, Sandro Cinquetti. Salire, ad esempio, oltre i 1600 metri con lattanti e bambini entro il primo anno di vita è pericoloso, se lo si fa in velocità; devono acclimatarsi. Ai bambini è dedicato il primo capitolo del Decalogo che mette in conto tutta una serie di norme a partire dall'abbigliamento corretto.

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I colpi di calore, l'esposizione al sole e quella al freddo costituiscono altre priorità a cui prestare la massima attenzione. Per chi ha patologie croniche è consigliabile una visita medica preventiva e, in ogni caso, è indispensabile l'acclimatamento anche sotto i 2500 metri, se si fa un'attività fisica.

La nutrizione e l'idratazione costituiscono altre priorità per chi va a camminare. L'Ulss consiglia di fare soste ad ogni ora circa, per mangiare snack salati, datteri, fichi secchi, albicocche disidratate, così come la frutta secca. Per il pranzo, è meglio scegliere cibi ad alto potere calorico. Bere ad intervalli di 30 minuti circa, ma non con acqua arricchita di limone e fruttosio, per non appesantire lo stomaco. Gli anziani sono consigliati di consultare un medico per conoscere se l'eventuale terapia assunta può condizionare l'escursione in montagna.

Oltre il 7% dei soccorsi avviene per scivolamento; indossare calzature idonee è la prima regola, mai abbandonare il sentiero segnalato è la seconda. Quanto ai pericoli ambientali, bisogna guardarsi anche dai fulmini, per cui è sconsigliato rifugiarsi in grotte e rimanere vicini a picozze, punte dei bastoncini, soprattutto vie ferrate.

Per quanto riguarda l'abbigliamento, gli scarponcini da trekking, i pantaloni lunghi, la giacca antivento, gli indumenti a cipolla, il cappello in pile, i guanti da lavoro, i bastoncini per camminare ed uno zaino capiente fanno parte di ciò che il Decalogo consiglia.

Un dirigente come il dottor Cinquetti non poteva che suggerire anche di essere in regola con le vaccinazioni, in particolare quelle antitetano-difterite-pertosse. «Ovviamente, ogni volta che si esce di casa per un'escursione è indispensabile consultare il bollettino meteo, magari già il giorno precedente e considerare la previsione del vento perché fa raffreddare in un attimo il corpo. Inoltre, se l'umidità è molto alta, nelle giornate più calde, si faccia attenzione al colpo di calore».

Infine, l'attenzione ai piccoli animali. Importante è la prevenzione contro le zecche, per cui è consigliabile l'utilizzo di un presidio repellente. Anche in questo caso bisogna essere in regola con le vaccinazioni, specie l'antirabbica.

Corriere delle Alpi | 11 agosto 2023

p. 18

In quota preparati «Evitiamo i rischi»

Cristina Contento / belluno

Un morto in montagna al giorno in questa settimana che precede Ferragosto, tra malori e cadute fatali. I numeri degli interventi di salvataggio in quota salgono e, parallelamente, si moltiplicano anche gli appelli alla prudenza da parte dei vertici del Cnsas provinciale. Un esercito di quasi 500 tecnici che non va in ferie in questi giorni, pronto nelle stazioni Cnsas a un weekend ferragostano che si profila caldo stando al trend di questa ultima settimana. Complice il bel tempo, su crode e sentieri ci si attende il pienone Alex Barattin, capo delegazione bellunese del Soccorso alpino, come sempre invita i turisti alla prudenza e ad affrontare ferrate, arrampicate e imprese senza strafare.

Il Cnsas si è organizzato con le reperibilità: nessuno è "precettato", c'è possibilità di fare turnazioni, ma sono almeno 470 e più (cioè tutti) i tecnici a disposizione nelle stazioni.

«Diciamo che come ogni giorno dell'anno abbiamo un assetto uguale soprattutto in questo periodo», spiega Barattin, «sappiamo che la casistica aumenta nella stagione estiva e sappiamo che giocoforza può capitare che aumentino anche gli incidenti. Quindi ci sono tre numeri di reperibilità per ogni stazione e per ogni area del territorio in cui è suddivisa la delegazione bellunese. In totale siamo 470, poi ogni zona va da 20 a 40 ragazzi per ogni stazione. Ogni area operativa sa che in questo periodo bisogna dare un po' più di disponibilità».

Ci sarà sicuramente qualche impegno in più al quale fare fronte: «Il meteo dovrebbe andare in miglioramento, il tempo nei prossimi giorni è buono e ci saranno temperature ottimali per andare in quota: noi quindi diamo i soliti consigli».

Quali? «Partire la mattina presto, un'abitudine da consolidare, poi il solito kit di acqua e cibo: ogni 20 minuti bere. Ma in particolare è bene fare gite alla portata delle proprie possibilità. Andare oltre i propri limiti se non si è allenati, è sbagliato ».

Un parametro di riferimento per Barattin può essere questo: «Ogni 300 metri di quota impieghiamo un'ora, un'ora e un quarto: una persona normale per 700/800 metri impiega dunque almeno tre ore. Se abbiamo i figli al seguito impieghiamo un po' più di tempo: quindi partiamo presto».

Figli o gli animali di compagnia, sì, c'è anche Fido: «Sui sentieri esposti potrebbe diventare un'arma a doppio taglio portare i cani: una questione di sicurezza, specialmente se sono di grossa taglia. Andare in ferrata col cane è meglio evitare».

Valutare le proprie forze, specie se si ha una certa età: anche ieri è stata soccorsa una persona stanca che «ha fatto un giro abbastanza lungo: ci sta, la montagna permette a tutti di fare gite. Ma l'importante è essere consapevoli delle proprie forze».

E anche i conti salati dell'elisoccorso. «Il costo dovrebbe essere un deterrente: il motivo è che il mezzo aereo è un mezzo salvavita e va impiegato per gli incidenti», meno per gli illesi affaticati. «Le risorse sono poche e andrebbero gestite in maniera oculata da tutti, anche perché in determinate occasioni le squadre si espongono a rischi severi. Ec co chiediamo di avere un po' di attenzione. E vorrei ringraziare», conclude, «non solo i rifugi, sentinelle delle quote, e i nostri ragazzi che quotidianamente vivono la montagna per allenamento o lavoro, ma anche le loro famiglie».

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NOTIZIE DAI CLUB ALPINI

Corriere delle Alpi | 1 agosto 2023

p. 25

Cai, turismo cafone nel mirino «Casere e bivacchi come hotel»

CANALE D'AGORDO

Rispetto per coloro che tengono pulito e in ordine il territorio e per chi dovesse trovarsi nel bisogno di utilizzare casere e bivacchi. È quello che chiedono da tempo i volontari dei sodalizi impegnati con costanza e senso civico nella manutenzione delle piccole strutture di montagna lungo itinerari escursionistici che spesso vengono prese d'assalto dai turisti che le scambiano per luoghi di accoglienza gratuita. La questione è stata riproposta sabato in occasione dell'annuale adunanza della sezione agordina del Cai svoltasi alla baita di Col Mont, in comune di Canale.

Un'ottantina di persone sono salite ai 1854 metri alle pendici delle Cime d'Auta.

«È stata una bella giornata», dice il presidente sezionale Dario Dell'Osbel, «è stata celebrata la messa da don Andrea Piccolin (in concomitanza don Roberto De Nardin faceva lo stesso sull'Auta, come da tradizione, ndr ). Sono poi state lette le relazioni, che si possono trovare sul libro edito per l'occasione, di Vittorio Fenti e della figlia Laura sia sulla geologia della zona e sia sulle storie di vita vissuta; di Claudio Antonio Luchetta, sulla storica lite di Col Mont; di Domenico Scardanzan sul gruppo Crodaioli dell'Auta e sulla Baita; di Luigi Cadorin sulla zona lacustre di Lagazzon e sulla vegetazione di Col Mont; di Giorgio De Donà sul Gruppo rocciatori Val Biois e sulle parti segative della zona; di Bepi Pellegrinon sulle storie alpinistiche dell'Auta. Abbiamo anche presentato la cartolina realizzata ad hoc con un disegno di Silvano Ganz. L'originale lo abbiamo donato ai Crodaioli dell'Auta».

Nei discorsi istituzionali è però emerso un richiamo anche al presente e al futuro relativo alle strutture come la baita di Col Mont, amorevolmente curata dai Crodaioli dell'Auta, che in passato è stata oggetto di atti vandalici e oggi, nonostante il regolamento comunale, continua ad essere utilizzata da alcuni come luogo di pernottamento senza emergenza.

«È stata scelta questa località per l'adunanza in Valle del Biois», dice Fabio Fenti, consigliere della sezione agordina del Cai, «anche per sostenere e valorizzare il lavoro dei Crodaioli dell'Auta che tengono puliti e in ordine la baita di Colmont e la Giovanni Paolo I e le relative pertinenze. Un impegno, il loro, che rischia di venir meno se non si riesce a mettere un freno all'uso indiscriminato di queste baite da parte dei turisti. Proprio sabato», continua Fenti, «mentre scendevamo dopo l'adunanza, abbiamo incontrato un gruppo di persone che salivano e che avrebbero pernottato nella baita. Una cosa che non è consentita, salvo in caso di emergenza, dal regolamento approvato dal Comune di Canale lo scorso autunno. Inoltre queste persone si recano alle casere, consumano la legna che è stata preparata e non si curano di ripristinare la situazione che hanno trovato. Prendono la montagna come un parco giochi. È un atteggiamento che non è rispettoso e alla lunga rischia di stufare chi fa la manutenzione del territorio. Perché devono tenere pulito perché altri poi spadroneggino?».

Simile è quello che accade ai bivacchi gestiti, non dai Comuni, ma dal Cai.

«Non si può programmare di salire al bivacco per dormirci dentro», dice Dario Dell'Osbel, «il bivacco serve solo per le emergenze e chi lo usa in maniera scorretta finisce per penalizzare proprio coloro che potrebbero avere necessità di riparo o di riposo nel corso di una via. È un problema che purtroppo la gente non capisce e che è difficile arginare dal momento che è impossibile compiere una sorveglianza costante».

Alto Adige | 6 agosto 2023

p. 23

L’intervista con il Presidente del CAI Alto Adige Carlo Alberto Zanella

antonella mattioli BOLZANO

«In montagna, nei posti più sperduti, ritrovo ogni volta Maxim, mio figlio. Io e mia moglie lo abbiamo portato fin da piccolo e se n'è innamorato. Proprio di recente abbiamo ricordato il giro del Civetta. L'idea era di farlo in due giorni, con tappa al rifugio, ma ci aveva costretti ad un tour de force di 14 ore, per rientrare già la sera al campeggio dove c'era una piccola festa». Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, ricorda così Maxim, 30 anni, quel figlio tanto atteso e amato, ucciso la notte del 27 luglio del 2021, nel suo appartamento di Brunico da Oskar Kozlowski, un giovane polacco. Oltre ai tanti ricordi, al dolore enorme per la perdita, cosa resta?Più che quello che resta, è quello che manca: il perché. L'assassino è morto. Non l'avrei perdonato, perché ciò che ha fatto per me è pazzesco, ma non ho neppure gioito quando ho saputo. Una tragedia nella tragedia. C'è un'unica cosa che mi consola in tutto questo. Cosa?Con la morte dell'assassino si è chiuso il cerchio. E questo ha risparmiato a me e mia moglie lo strazio di dover assistere, magari per anni, a processi infiniti. Sentendo solo la verità dell'omicida. Cambiamo argomento: lei è il presidente provinciale del Cai Alto Adige, come nasce la passione per la montagna?Parte da lontano. Avevo 7-8 anni e già andavo in montagna; un giorno poi, durante un giro in auto nella zona di passo Gardena, ho visto il Cir. Ne sono rimasto affascinato. Devo andare lassù, mi sono detto.

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Lei scalava?L'ho fatto solo per poco tempo. A 22 anni, mentre salivo lungo la via Steger sulla prima Torre del Sella, sono caduto. Sono stati due secondi di pendolo, sufficienti per farmi pensare a mia mamma e mio fratello. Da allora faccio escursioni, meglio se nei posti meno frequentati. Sono reduce da gite splendide nella zona di Sappada, ma niente più scalate. I giovani stanno tornando ad appassionarsi alla montagna?Dopo la pandemia, in cui c'era stata una flessione degli iscritti al Cai, quest'anno abbiamo registrato un più 400 a livello provinciale. In tutto i soci del Cai sono 6.600. Sa qual è il mio rammarico?Quale?Che tra gli italiani in particolare di Bolzano c'è uno scarso senso di appartenenza. Per cui in una città a maggioranza italiana gli iscritti al Cai sono 2.600; all'Alpenverein 8.000. Mentre in periferia - Merano, Brunico, Bressanone - ci sono ancora il piacere e la voglia di far parte del gruppo. Tra i soci ci sono anche giovani?Sì, ed è questo che mi dà le maggiori soddisfazioni. A cosa sono interessati in particolare?Stiamo pensando di preparare un programma di gite per i soci tra i 20 e i 40 anni. Loro comunque sono particolarmente sensibili alle tematiche ambientali. Quindi lei che tuona un giorno sì e l'altro anche contro il sovraffollamento turistico in Alto Adige, va come si dice a nozze. Guardi che il problema è reale. Per questo io assieme a Georg Simeoni, presidente dell'Avs con cui ho un ottimo rapporto, non smetterò di battermi contro nuovi impianti di risalita - mentre sono d'accordo sull'ammodernamento dell'esistente - per dar vita ad ulteriori caroselli sciistici; sono contrarissimo anche alla realizzazione di ferrate modello luna park; stessa cosa per quanto riguarda i rifugi trasformati in alberghi di lusso. Scusi, ma i turisti - dicono gli esperti del settore - sono sempre alla ricerca di novità: la montagna in quanto tale non basta più. Non adeguarsi potrebbe essere pericoloso per un'industria che dà lavoro e produce ricchezza. Nulla contro il turismo, che ha portato benessere anche in Alto Adige, ma direi che basta e avanza quello che c'è. Bisogna stare attenti a non produrre l'effetto contrario. Che sarebbe?Ho l'impressione che in Alto Adige si punti ad un turismo d'élite: sarebbe la fine. No, perché i ricchi ci sono sempre. È vero, ma il ricco in genere non è abitudinario. Va dove si spostano i vip. Mentre l'Alto Adige ha sempre lavorato su una clientela fatta in gran parte di habitué. Però l'impressione è che anche quest'estate ci sia il tutto esaurito.Io in montagna ci sono se non tutti i giorni, quasi. Ma ho un'impressione diversa: mi sembra che ci sia meno gente. Mentre a Sappada, nel Bellunese, ho trovato turisti che mi hanno raccontato che - fino a qualche anno fa - andavano in Val Badia e Val Gardena. Il Bellunese ha da sempre strutture alberghiere con uno standard generalmente più basso. Ma la montagna non deve essere sinonimo né di lusso né di luna park. La montagna è lentezza; è il piacere di fermarsi a guardare un fiore che cresce in mezzo a due sassi. Scusi, lei parla di luna park. Uno di questi è diventato il lago di Braies grazie alla serie ad "Un passo dal cielo". Sbaglio o anche lei ha una qualche "responsabilità" avendo partecipato come comparsa?È nato tutto per caso, accompagnando mio fratello ad un casting che si teneva a Pineta. Hanno visto anche me e mi hanno scritturato. Tutto qui. Da anni voi insistete perché, almeno a fasce orarie, si chiudano alle auto i passi intorno al massiccio del Sella. Richieste purtroppo cadute sempre nel vuoto finora. L'ideale sarebbe chiudere dalle 10 alle 16. Forse così anche i turisti dei selfie scoprirebbero il piacere di una camminata in mezzo alla bellezza rappresentata da una cima, da un prato, dal silenzio. Lei è stato critico anche nei confronti della Fondazione Unesco.Per un periodo hanno solo fatto marketing per pubblicizzare le Dolomiti in tutto il mondo. Risultato: sulle Alte vie oggi i rifugi sono pieni di coreani, cinesi, neozelandesi. Adesso finalmente, oltre al marketing, la Fondazione sta promuovendo un'attività di tipo divulgativo sulla natura, la montagna, i rifugi. È così che si proteggono le Dolomiti, patrimonio dell'Unesco. Se dovesse dare una definizione di se stesso?Rompiscatole. Una parola che sta imparando anche la mia nipotina di quattro anni. Una curiosità: all'anagrafe è Carlo Alberto, ma qualcuno la chiama solo Carlo e altri solo Alberto. Lei come preferisce?Questo doppio nome mi ha creato un sacco di complicazioni. Mio padre voleva chiamarmi Carlo, mia mamma Alberto, alla fine all'Anagrafe mi hanno registrato con entrambi. A casa e gli amici mi chiamano tutti Alberto. Su Fb sono Carlo Alberto; se mi chiamano con il doppio nome, penso si riferiscano a qualcun altro.

NOTIZIE DAI PARCHI

Alto Adige | 1 agosto 2023

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Alla scoperta del Bletterbach

Bolzano

La paleontologa Evelyn Kustatscher conduce ricerche nella gola del Bletterbach dal 2005 e si è fatta conoscere a livello internazionale con il suo lavoro presso il Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige. Domenica 6 agosto condurrà una visita guidata alla gola del Bletterbach. In lingua italiana. La scienziata 47enne non solo spiegherà cosa rende così speciale per la scienza la gola tra Aldino e Redagno, ma fornirà anche informazioni sul suo lavoro nelle Dolomiti Patrimonio dell'Umanità Unesco. Anche dopo 15 anni di ricerche nel Bletterbach, lo stupore è sempre grande di fronte ai tesori che il torrente rivela. «Di solito, quando si trova un sito e si lavora su di esso, si ha subito la sensazione di avere imparato quasi tutto. Ma questo non è vero per questa gola, perché i diversi strati raccontano storie, paesaggi, animali e piante così diversi», spiega Kustatscher, «Nella gola ho sempre la sensazione che il prossimo progetto stia già aspettando dietro la porta». Fino a qualche anno fa si credeva che non vi si sarebbe mai potuto trovare uno scheletro. «Cosa è successo? Uno studente entra e trova un osso negli strati della Formazione di Werfen», racconta. Negli ultimi anni, la paleontologa ha analizzato numerosi reperti del Bletterbach, tra cui una grande foglia di ginkgo e una lastra di pietra con resti dell'albero delle aghifoglie Ortiseia e Brinkia kerpiana, un genere e una specie completamente nuovi. Per la scienza, il Bletterbach è quindi «il simbolo dell'ecosistema terrestre sulla terraferma molti milioni di anni fa, quando l'area era ancora sull'equatore», sostiene Kustatscher, «Qualsiasi conferenza paleontologica nei pressi dell'Alto Adige o delle Dolomiti non può prescindere da un'escursione al Bletterbach,

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un sito assolutamente da vedere». Non c'è da stupirsi quindi che negli ultimi anni la paleontologa abbia viaggiato «con il Bletterbach in tasca», ad esempio in Germania e Olanda, in Cina e in Sudafrica, e che abbia sorpreso più volte colleghe e colleghi internazionali con il suo lavoro di ricerca. L'escursione di domenica inizierà alle ore 10 presso il Centro visitatori del Geoparc Bletterbach di Aldino e si svolgerà in lingua italiana. È necessaria la prenotazione, chiamando il numero 0471- 886946 o scrivendo a info@bletterbach.info.

Alto Adige | 31 agosto 2023

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Geoparc Bletterbach, a breve sarà ampliato il Centro visitatori

ALDINO

Il Centro visitatori del Geoparc Bletterbach di Aldino sarà presto rinnovato e ampliato. L'assessora provinciale Maria Hochgruber Kuenzer si è recata sul posto per un sopralluogo. Insieme al sindaco del Comune di Aldino, Christoph Matzneller, ai rappresentanti del Geoparc, e a progettisti e tecnici della Provincia, ed ha avuto modo di vedere da vicino il nuovo Centro visitatori in costruzione.«È importante creare luoghi che diano ai visitatori l'opportunità di conoscere i tesori della nostra terra in maniera dettagliata e approfondita. L'ampliamento del Centro visitatori di Aldino darà un importante contributo e valorizzerà l'area del Bletterbach e il Patrimonio Mondiale UNESCO delle Dolomiti», ha spiegato Maria Hochgruber Kuenzer. Peter Daldos, presidente del Geoparc-Bletterbach, ha sottolineato che «il centro ampliato diventerà un punto di riferimento per la popolazione locale, che verrà maggiormente coinvolta, in modo da poter rafforzare la propria identificazione con questo paesaggio unico».L'attuale Centro visitatori si trova all'ingresso della Gola del Bletterbach ed è stato inaugurato dal Comune di Aldino nel 2005. Per poter offrire maggiori informazioni agli oltre 50.000 visitatori annuali, in futuro verranno aggiunti 780 metri quadrati di nuovi spazi. Le misure di ampliamento comprendono la costruzione di un'area espositiva per mostre permanenti e itineranti, oltre ad aree di accoglienza per i visitatori. «L'ampliamento si aggiungerà al padiglione esistente, continuandolo e integrandolo nel paesaggio», ha spiegato il direttore dell'Ufficio provinciale Natura, Leo Hilpold. «La struttura e i colori dell'edificio vogliono richiamare quelli delle pareti della Gola del Bletterbach e far entrare i visitatori nello spirito di ciò che li attende nella Gola».Con i suoi 271 ettari, il Bletterbach è la più piccola delle nove sottozone del Patrimonio Mondiale Unesco delle Dolomiti. Il primo riconoscimento Unesco in Alto Adige è avvenuto con l'iscrizione delle Dolomiti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Unesco il 26 giugno 2009, per la loro bellezza paesaggistica e per la loro importanza scientifica nel campo della geologia e della geomorfologia.©RIPRODUZIONE RISERVATA

Dolomiten | 31 agosto 2023

p. 23

„Neues Besucherzentrum wird Bletterbach aufwerten“

Aldein (LPA)

Das Besucherzentrum des Geoparc Bletterbach in Aldein wird demnächst saniert und erweitert. Um den Stand des Projekts zu besprechen, war am Dienstag Landesrätin Maria Hochgruber Kuenzer zu einem Lokalaugenschein vor Ort. „Es ist von großer Wichtigkeit, Orte zu schaffen, die Besuchern die Möglichkeit geben, sich ausführlich und tiefgründig über die Schätze unseres Landes zu informieren“, sagte die Landesrätin.

Das heutige Besucherzentrum befindet sich am Eingang der Bletterbachschlucht und war im Jahr 2005 von der Gemeinde Aldein eröffnet worden. Um den mittlerweile über 50.000 jährlichen Besuchern mehr Information bieten zu können, werden künftig 780 Quadratmeter Fläche neu hinzukommen.

Zu den Erweiterungsmaßnahmen gehören der Bau einer Ausstellungsfläche für Dauer- und Wanderausstellungen, von Empfangsbereichen für die Besucherinnen und Besucher, Räumlichkeiten für Tagungen, sowie von Neben-, Depot- und Nassbereichen. „Der Zubau wird zum bestehenden Pavillon hinzugefügt, ihn fortsetzen und sich so in die Landschaft einfügen“, sagte Leo Hilpold, der Direktor des Landesamtes für Natur: „Struktur und Farben des Gebäudes sollen jene der Wände der Bletterbachschlucht in Erinnerung rufen und den Besucher auf das einstimmen, was ihn in der Schlucht erwartet.“

Neues Landesgesetz zu den Unesco-Anerkennungen

Im Zuge des Ortsaugenscheins erläuterte Landesrätin Hochgruber Kuenzer auch die wichtigsten Möglichkeiten, die das Landesgesetz zu den Unesco-Anerkennungen bietet: „Es schafft die rechtlichen Rahmenbedingungen, um eine effiziente und koordinierte Führung der Unesco-Anerkennungen in Südtirol zu gewährleisten und damit dieses Natur- und Kulturerbe von immensem lokalem und globalem Wert auch für zukünftige Generationen zu erhalten“, sagte Kuenzer zum Landesgesetz Nr. 13/2023, das am vergangenen 4. August in Kraft getreten ist. Zuvor hatte es der Landtag im Juli auf Antrag der zuständigen Landesrätin für Natur, Landschaft und Raumentwicklung einstimmig genehmigt.

Der Bletterbach ist mit seinen 271 Hektar das kleinste der 9 Teilgebiete des Dolomiten Unesco Welterbes. Die erste UnescoAnerkennung in Südtirol erfolgte mit der Eintragung der Dolomiten in die Welterbeliste der Unesco am 26. Juni 2009 wegen ihrer landschaftlichen Schönheit, sowie ihrer wissenschaftlichen Bedeutung im Bereich der Geologie und Geomorphologie.

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IMPRONTE DI DINOSAURO SUL TAMER: LA SCOPERTA

Corriere delle Alpi | 13 agosto 2023

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Impronte di dinosauri scoperte sul Tamer da due geologi agordini

Due nuove tracce della presenza dei dinosauri sulle Dolomiti agordine-zoldane? Se lo sono chiesto in questi giorni due geologi, che nel corso di un'escursione sul Monte Tamer (La Valle Agordina, catena del San Sebastiano), poco fuori dal sentiero che conduce in vetta (2550 metri) hanno individuato un masso di Dolomia Principale con due impronte, entrambe di circa 15-20 cm di lunghezza.

La prima, identificata da Danilo Giordano, era visibile anche da lontano perché in leggera ombra; la seconda è stata rinvenuta da Marco Mottes, quando si è avvicinato e ha proiettato la sua ombra sulla superficie del masso.

Come è noto, dopo l'importante scoperta delle impronte di dinosauro sul masso del Pelmetto da parte di Vittorino Cazzetta (19471997, il famoso scopritore dell'Uomo di Mondeval), i ritrovamenti si sono susseguiti in diverse zone delle Dolomiti (Tre Cime, Moiazza, Val Pegolèra, Mondeval…), ma come dicono Giordano e Mottes «è comunque sempre un'emozione ritrovare le tracce dei grandi rettili che hanno dominato il pianeta per un'intera Era Geologica, specialmente per i geologi».

Pur presi dall'entusiasmo, ma con rigore scientifico, i due hanno deciso di interpellare un vero esperto di tracce fossili, il professor Matteo Belvedere dell'Università di Firenze, specializzato proprio in impronte fossili, il quale, con gentile disponibilità, ha rielaborato le immagini fornite e ha potuto realizzare un modello in 3D.

«L'esame», precisano Giordano e Mottes, «ha permesso di concludere che l'impronta di sinistra, anche se più profonda e rotondeggiante, sembra comunque essere tridattila col terzo dito (quello centrale) chiuso dal collasso delle pareti, ma è solo una considerazione dettata dall'esperienza vista la qualità non buona dell'impronta. Anche l'altra, che si presenta decisamente meno profonda, è molto probabilmente tridattila. Le impronte tridattile sono tipiche dei teropodi, dinosauri carnivori bipedi».

«Poiché non è affatto facile collegare l'orma lasciata da un animale alla specie che l'ha prodotta», fanno osservare ancora i due scopritori del masso sul Tamer, «i paleontologi hanno preferito far riferimento a due diverse classificazioni, una riguardante i fossili, l'altra gli icnofossili (l'icnologia si occupa dello studio di tutti i tipi di tracce). Con il termine generico di trackmaker si indica l'animale che ha lasciato un'orma, mentre l'icnogenere è il nome specifico della traccia».

Pur convinti dell'importanza e dell'interesse del loro ritrovamento, è questa la conclusione dei due geologi: «Le due orme nella scala di valutazione della qualità delle impronte che va da 0 a 3 ed è stata proposta nel 2016 proprio dal professor Belvedere (assieme ad altri studiosi), hanno valori molto bassi (0-0,5) che non permettono assolutamente di identificare né l'icnogenere, né tantomeno l'animale che le ha lasciate. L'unica cosa che si può dire è che si tratta di orme indeterminabili, ad ogni modo molto probabilmente dinosauriane».

L'entusiasmo, la curiosità e la serietà di Danilo Giordano e di Marco Mottes, pur nel dubbio della reale datazione delle due impronte rinvenute sul Tamer, è tale da far pensare che le loro ricerche non si fermeranno qui. Gianni Santomaso

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OLTRE LE VETTE: LA RASSEGNA CULTURALE DI OTTOBRE

Gazzettino | 17 agosto 2023

p. 7, edizione Belluno

Torna la rassegna "Oltre le vette": preannunciate personalità di rilievo

MONTAGNA

BELLUNO Ritorna, nella prima metà di ottobre, la rassegna Oltre le vette Metafore, uomini, luoghi della montagna, la storica manifestazione culturale del Comune di Belluno entrata ormai a buon diritto tra gli eventi autunnali più attesi.

DAL 6 AL 15 OTTOBRE

Da venerdì 6 a domenica 15 ottobre 2023, la 27esima edizione del festival - uno dei più longevi d'Italia - tornerà a intrattenere il pubblico con un ricco calendario di eventi, pensato per offrire molteplici spunti di riflessione sul rapporto con la montagna spaziando dall'alpinismo all'arte, dalla letteratura alla geologia, dallo sport all'ambiente. Il programma, messo a punto dal comitato tecnico presieduto da Valeria Benni con il supporto organizzativo della Fondazione Teatri delle Dolomiti, porterà a Belluno numerose personalità di rilievo e verrà svelato nella seconda metà di settembre. Nel frattempo, però, sarà possibile carpire le prime anticipazioni seguendo le pagine social di Oltre le Vette, su Facebook e su Instagram. Un'importante novità di quest'anno riguarda la collaborazione e il contributo della Camera di Commercio Treviso-Belluno, un accordo stipulato per la prima volta e finalizzato ad incrementare le possibilità della manifestazione di espandersi anche al di fuori dalla provincia di Belluno, potenziando la sua attrattività con ricadute dirette e indirette sulle attività commerciali del capoluogo e non solo.

ENTE PARCO E VAJONT

L'edizione 2023 di Oltre le Vette sarà anche l'occasione di festeggiare il 30° compleanno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi e di approfondire insieme alla Fondazione Dolomiti Unesco l'eccezionale valore geologico delle Dolomiti, che è valso il loro riconoscimento come patrimonio mondiale dell'umanità.

Infatti, anche quest'anno si rafforzano le consolidate partnership con l'ente Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, la Fondazione Dolomiti Unesco, il Cai - Club alpino italiano sezione di Belluno, il Trento Film Festival, la Provincia di Belluno, la Fondazione Angelini - Centro Studi sulla Montagna ed altri enti ed associazioni del territorio. Prosegue inoltre il progetto di allargamento territoriale, che vedrà quest'anno il coinvolgimento già confermato dai Comuni di Longarone (nel 60° anniversario della tragedia del Vajont, che ricorre il 9 ottobre), Sedico e Cesiomaggiore, mentre altri contatti sono in corso.

«SINERGIA TRA ISTITUZIONI»

«La sinergia che si è creata con le tante istituzioni che collaborano alla realizzazione di Oltre le Vette è per noi motivo di grande orgoglio, e ci permette di far crescere la rassegna facendo rete con il territorio», commentano gli organizzatori.

PATRIMONI MONDIALI IN ITALIA E NEL MONDO

L’Adige | 1 agosto 2023

p. 17

Turismo di massa e clima, per l'Unesco Venezia è patrimonio a rischio

PARIGI

«Venezia tra i patrimoni dell'umanità a rischio»: il World Heritage Centre dell'Unesco raccomanda di inserire la città nella lista dei Patrimoni universali in pericolo. «Il continuo sviluppo, gli impatti dei cambiamenti climatici e del turismo di massa rischiano di provocare cambiamenti irreversibili all'eccezionale valore universale» di Venezia, avverte il ramo dell'Unesco, che invoca l'iscrizione della Serenissima nella black list dei beni a rischio. Questa raccomandazione, per essere attuata, dovrà essere votata a settembre dagli Stati membri dell'organismo Onu con sede a Parigi. «La radio e i giornalisti gridano sempre: Venezia muore!», cantava Francesco De Gregori in un brano del 1985. Quasi quarant'anni dopo, a lanciare un nuovo, appello per la salvaguardia della città lagunare sono gli esperti internazionali dell'Unesco. Per loro, le misure finora messe in campo dall'Italia per lottare contro il deteriorarsi della situazione sono «insufficienti». L'auspicio è che «l'iscrizione susciti un più forte impegno e una più vasta mobilitazione degli attori locali, nazionali ed internazionali».

Corriere del Veneto | 2 agosto 2023

p. 16, segue dalla prima, edizione Belluno

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Venezia, Zaia vuole la prenotazione

Richiamo Unesco, a settembre il numero programmato approda in Consiglio. Ieri città gremita

Zorzi

Dopo l’ultimatum dell’Unesco, che minaccia di inserire Venezia nella lista dei patrimoni dell’umanità a rischio, scende in campo il presidente della Regione. Da un alto difende gli sforzi fatti, in particolare con la nascita del Mose, dall’altro spinge la prenotazione obbligatoria contro il fenomeno dell’«overturism»: «Prenotiamo tutto, dal cinema al treno, perché non Venezia?». Anche il Comune lo vorrebbe, solo che ad oggi il percorso si è rivelato irto di trappole giuridiche e politiche. Paradossalmente il richiamo Unesco potrebbe rafforzare e accelerare la decisione. Premette che «questo compete al Comune», che peraltro ci sta già pensando. Ma nel «day after » dell’ennesimo ultimatum dell’Unesco sulla possibilità che Venezia venga esclusa dai siti Patrimonio dell’Umanità e messa nella blacklist , il governatore del Veneto Luca Zaia traccia la linea per frenare quel turismo che la stessa agenzia dell’Onu vede come il problema principale della città: «È fondamentale pensare un numero programmato che lo faciliti e che facilmente si gestirebbe –evidenzia Zaia – perché oggi le tecnologie ci consentono di prenotare il posto al cinema, in aereo, in treno e perché non a Venezia?». Proprio a settembre la giunta veneziana porterà in consiglio comunale il nuovo regolamento per sbloccare la prenotazione e applicarla dal 2024, intanto per una trentina giorni.

La bozza di decisione che verrà proposta alla 45esima sessione del World Heritage Committee, in programma a Riyad in Arabia Saudita dal 10 al 25 settembre, mette di nuovo Venezia a rischio: secondo i tecnici – ma servirà l’avvallo degli Stati membri – «le misure correttive sono insufficienti e necessitano di ulteriori sviluppi», soprattutto sul turismo di massa e il cambiamento climatico, nonostante l’entrata in funzione del Mose. Su questo però Zaia non le manda a dire: «A volte bisognerebbe riconoscere gli sforzi che abbiamo fatto investendo 9 miliardi di euro per l’acqua alta», afferma, ricordando che oltre ai 6 e mezzo per le dighe ce ne sono stati molti altri per la salvaguardia. E conclude con un appello: «Abbiamo bisogno dell’aiuto del mondo intero». Proprio quello che il Comune di Venezia, che sottolinea come i rapporti con l’Unesco spettino al governo, si vuole sentire dire. «Definiremo la strategia e una linea comune col governo – afferma Ca’ Farsetti – Comunque questa situazione può solo avvantaggiarci: da una parte rendendo piu facile andare avanti con la prenotazione e il regolamento degli affitti turistici, dall’altra responsabilizzando il governo per rifinanziare la legge speciale che è indispensabile».

Su quest’ultimo punto la posizione del sindaco Luigi Brugnaro è nota: dall’acqua granda del 2019 chiede 150 milioni di euro l’anno per un decennio per sistemare la città. Quanto ai due provvedimenti «anti-turismo», come le opposizioni hanno spesso sottolineato, avanzano un po’ «al rallentatore». La prenotazione, legata al contributo d’accesso per i soli pendolari (sui pernottanti grava già la tassa di soggiorno), doveva entrare in vigore addirittura l’1 luglio 2020, ma poi ci fu il Covid; era stata annunciata per lo scorso 16 gennaio, ora è slittata al 2024, ma solo per una trentina di giorni da «bollino nero», come 25 aprile, Primo maggio, martedì grasso, Redentore, i ponti, i weekend estivi. Un avvio sperimentale, per capire se funziona. Zaia è riuscito a ottenere da Brugnaro l’esenzione dei veneti e alla fine dovrebbero pagare non più di 10 mila persone al giorno. «Ci sarà una prenotazione e chi avrà il diritto di entrare gratis, alla fine vedremo se il sistema funzionerà», ha detto Brugnaro. Il regolamento sugli affitti turistici è invece in fase di redazione: l’ex deputato pd Nicola Pellicani era riuscito a far introdurre una norma che consentiva al Comune di Venezia di limitare i giorni a 120 all’anno, proprio per rendere più competitiva la residenzialità. Ma all’ipotesi che la discriminante fosse la partita Iva, per stanare chi «arrotonda» da chi lo fa per professione, ora si è passati a un decalogo di buone maniere: potrà affittare di più chi adotterà orari precisi di check-in e check-out , sacchetti dell’immondizia «tracciabili», misure di sicurezza e così via, per rendere minore l’impatto sui residenti. «Ma così non si regola nulla», è stato il coro di protesta di opposizioni e comitati cittadini. «Invito tutti ad aspettare il testo definitivo, poi ci confronteremo su quello e sarà aperto ai contributi di tutti», assicura l’assessore al Turismo Simone Venturini. Però la preoccupazione per la scelta dell’Unesco resta. «Serve un’azione politica per limitare i danni», attacca la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera Luana Zanella. «L’overtourism è un fenomeno che va gestito e servono politiche per la residenzialità pubblica», incalza la Cgil di Venezia. Anche l’associazione albergatori Ava, con il direttore Claudio Scarpa, invita a non trascurare l’appello dell’Unesco, ma sottolinea i passi avanti: «Sul turismo si regge l’economia cittadina, non può essere considerato un problema – osserva – Serve un progetto complessivo di contenimento dei flussi che separi la massa dei pendolari da chi dorme in città, ma il Comune ci sta lavorando».

Intanto ieri mattina, come ogni volta che le nuvole si stagliano in cielo, Venezia è tornata a riempirsi di turisti, perlopiù provenienti dalle spiagge, con code sul Ponte della Libertà e parcheggi pieni.

Corriere delle Alpi | 1 agosto 2023

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Turismo di massa, torri e ancora il Mose L'Unesco: «Venezia entri nella black list»

Vera Mantengoli / venezia

Turismo di massa, moto ondoso, infrastrutture troppo invadenti come i nuovi terminal acquei della terraferma, la torre di viale San Marco, il Mose. E la mancanza di un piano per i cambiamenti climatici. Dopo due anni dalla minaccia di spostare Venezia nella black list, l'Unesco torna alla carica e avverte la città che quel pericolo è sempre più vicino.

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L'ipotesi che il titolo di Patrimonio dell'Umanità venga sospeso ha scatenato diverse reazioni, tra chi all'Unesco ci crede ancora e chi è disilluso. Ieri la notizia è arrivata proprio nel giorno in cui il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano era in visita a Venezia e a Mestre. Alla domanda su cosa ne pensasse, il ministro non ha rilasciato nessun commento. Eppure, nella relazione in questione lo Stato viene bacchettato proprio per non aver collaborato e aver inviato soltanto una breve relazione lo scorso febbraio considerata insufficiente. Insomma, materiale che riguarda Comune e Governo. Il cuore delle critiche mossa a chi avrebbe dovuto garantire un sistema di salvaguardia efficace è una mancanza di strategia per il futuro che davvero garantisca che Venezia possa mantenere quell'equilibrio tra uomo e natura che la caratterizza da secoli. La bozza che verrà presentata nella 45° commissione del World Heritage Convention in programma a Riad, in Arabia Saudita, dal 10 al 25 settembre, consiste in dieci pagine di spiegazione dei fattori che sono stati analizzati e che hanno portato alla decisione finale di inserire Venezia nella black list, ovvero tra quelle località che rischiano di perdere il titolo di Patrimonio dell'Umanità perché chi le governa non ha dimostrato di saperle davvero tutelare. Ovviamente tutto si deciderà in quei giorni, come avvenne nel 2021 quando all'ultimo si salvò in corner. Quest'anno nero su bianco, al punto 8, come una scure, si legge la conclusione del bilancio di come è stata tratta la città e la proposta che verrà presentata: «Si decide, ai sensi dei commi 177 e 179 delle Linee operative, di iscrivere Venezia e la sua Laguna nella Lista del Patrimonio Mondiale in Pericolo». Segue un invito allo Stato per garantire «la massima dedizione e gli sforzi congiunti delle parti interessate (…) per affrontare questi problemi». In poche parole: collaborate tutti una volta per tutte a risolvere quelle questioni mai analizzate alla radice, vedi il turismo di massa che invade calli e campi senza tregua, il problema dello spopolamento e il moto ondoso, solo per citare argomenti che si conoscono da anni, ma che sono ancora lì, sempre uguali.

La sentenza finale potrebbe essere cambiata all'ultimo, come avvenuto nel 2021, ma questa volta l'elenco si è allungato e si è aggiunta pure Mestre con «la nuova linea ferroviaria per l'aeroporto di Venezia, un nuovo terminal intermodale terra-acqua per navi veloci che colleghino le isole di Burano-Mazzorbo-Torcello alla terraferma, due nuovi terminal di arrivo a San Giuliano e Pili, un progetto di grattacielo a Mestre».

I campanellini d'allarme suonano per questi campi: strumenti di pianificazione inadeguati; i mpatto del turismo; proposte di grandi progetti infrastrutturali (porto offshore, per esempio); moto ondoso; collaborazione tra istituzioni e cambiamenti climatici. Il dossier dei commissari, venuti in visita più volte in città, contiene anche dei voti positivi (per esempio sul blocco delle navi in Bacino, sul consolidamento delle spiagge, sulla manutenzione), ma lamenta di non aver ricevuto dallo Stato materiale richiesto, né di aver visto una documentazione più approfondita per esempio sull'impatto del Mose o su come si vuole affrontare i cambiamenti irreversibili collegati al clima. «La risoluzione di questi problemi di lunga data, ma urgenti è ulteriormente ostacolata dalla mancanza di una visione strategica comune complessiva e dalla scarsa efficacia della gestione coordinata integrata a tutti i livelli delle parti interessate».

Un giudizio pesantissimo di fronte al quale si dà la possibilità allo Stato di recuperare inviando - anche nel caso dovesse essere inserita nella balck list - entro il primo febbraio 2024 «un insieme adeguato di misure correttive».

Sarebbe la seconda volta che Venezia si salverebbe all'ultimo, ma tutto dipenderà da quello che succederà a Riad.

Corriere delle Alpi | 1 agosto 2023

p. 7

Due anni fa la città si salvò grazie al voto dell'Etiopia

VENEZIA

Due anni fa ci salvò l'Etiopia, stavolta chi arriverà? Venezia e con essa il Governo italiano hanno già rischiato seriamente due anni fa l'imbarazzante inserimento tra i siti Unesco patrimonio dell'umanità in pericolo, in occasione in occasione della sessione plenario del Comitato patrimonio mondiale che allora si svolse in Cina. Anche allora il rapporto riguardo alla situazione della città e della sua laguna era tutt'altro che rassicurante. E fu appunto l'intervento del delegato dell'Etiopia, antica colonia, che ha ancora tutt'oggi la più grande concentrazione di scuole e istituti culturali italiani in Africa, a votare contro l'inserimento nella lista nera, con la nostra diplomazia messa all'opera per evitare il disastro che ora si profila nuovamente. Allora a evitarlo fu appunto l'aiutino determinante del delegato etiope Henok Teferra. Il suo emendamento per evitare il declassamento – dopo gli allora recenti provvedimenti sull'estromissione delle Grandi Navi dalla laguna – era passato infatti senza colpo ferire, salvo una debole opposizione della Norvegia. Teferra, ambasciatore d'Etiopia a Parigi, rappresentava allora uno dei 21 paesi del Comitato che doveva esprimersi sul caso Venezia, ma era allora stato l'unico a intervenire illustrando l'emendamento che allora ha salvato Venezia dal declassamento. Facendo slittare all'1 dicembre 2022 il termine per presentare un piano di interventi che affrontino i punti critici denunciati dall'Unesco e rinviando l'esame del caso Venezia alla 46esima sessione, (nel 2023). Quella appunto in arrivo in terra d'Arabia dove Venezia si presenta nuovamente a rischio di inserimento nella black list. Ma Teferra nell'occasione "stoppò" anche altri diversi casi di declassamento, da quello della città indiana di Lahore per la sua nuova metropolitana, a quello delle chiese rupestri del suo Paese, minacciate dalle nuove tettoie che si vorrebbero realizzare. «L'Unesco», tuonò allora Lidia Fersuoch, già presidente della sezione veneziana di Italia Nostra, «ha preso una decisione politica. Non ha nemmeno preso in considerazione le valutazioni negative dei suoi organismi tecnici, Icomos e Wht. Ha rimandato la discussione nel merito al 2023, accogliendo un emendamento dell'Etiopia. Una cosa scandalosa». Per il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini il salvataggio, allora, dell'Unesco nei confronti di Venezia, era stato determinato dal provvedimento del passaggio delle Grandi Navi dal Bacino di San Marco, appena varato dal Governo Draghi. Ma senza il buon Teferra a farci da scudo, la bocciatura sarebbe arrivata comunque. Ora tocca al neoministro della Cultura Gennaro Sangiuliano scendere in campo per evitare il declassamento.

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Corriere della Sera | 1 agosto 2023

p. 18

L’’Unesco: «Venezia rischia di finire tra i siti in pericolo»

Per il World Heritage Center urgono interventi su turismo, clima e sviluppo Cacciari: parole a vanvera

VENEZIA

Turismo di massa, cambiamento climatico (che a Venezia ha il suo emblema nell’«acqua alta») e alcuni progetti di sviluppo, soprattutto edifici in altezza con un «impatto visivo negativo». È soprattutto per questi tre motivi che Venezia rischia di nuovo come accade ormai dal 2017 di essere «espulsa» dai siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco e di entrare nella blacklist. «Le misure correttive sono insufficienti e necessitano di ulteriori sviluppi», è scritto nella bozza di decisione che verrà proposta alla 45esima sessione del World Heritage Committee, in programma a Riyad, negli Emirati Arabi Uniti, dal 10 al 25 settembre: se gli Stati membri dovessero dare l’ok alla bozza, l’Italia dovrà predisporre un nuovo report aggiornato entro l’1 febbraio 2024, che poi sarà vagliato nella 46esima sessione, prevista per l’anno prossimo.

È dal 2017 che Venezia è a rischio, ma l’Unesco l’aveva poi sempre salvata. L’ultima decisione del 2021 aveva apprezzato l’estromissione delle grandi navi da crociera dal bacino di San Marco firmata dal governo Draghi, così come l’attivazione del Mose per la difesa dalle acque alte. Ma non basta, sottolinea il World Heritage Center, cui spetta il monitoraggio dei siti, che chiede di conoscere meglio i progetti di «impermeabilizzazione» della piazza, ma anche di definire la gestione e manutenzione di lungo periodo delle dighe mobili per l’acqua alta. Ma è soprattutto sul turismo che arrivano le critiche maggiori: «Ridotti o sconosciuti progressi nella riduzione dell’eccezionale numero di visitatori».

La risoluzione di questioni di lunga data ma urgenti «è ostacolata dalla mancanza di una visione strategica complessiva per la preservazione di lungo termine del sito», è la stoccata finale della bozza, che si conclude dicendo che ci sono «pericoli e minacce che insieme hanno effetti deleteri sulle caratteristiche innate del sito». «Leggeremo con attenzione la proposta di decisione e ci confronteremo con il governo, con cui l’Unesco si relaziona», è la stringata dichiarazione del Comune. Un assist arriva però dall’ex sindaco Massimo Cacciari, che è sulla sponda politica opposta dell’attuale primo cittadino, Luigi Brugnaro: «L’Unesco è uno degli enti inutili più costosi sulla faccia della Terra afferma non parli a vanvera e tiri fuori i soldi per le opere che servono».

EDITORIALI E INTERVISTE

Corriere del Trentino | 20 agosto 2023

p. 9

«L’alpinismo da turisti è diventato un pericolo» Messner

Sono passati quarantacinque anni esatti da quando Reinhold Messner e Peter Habeler raggiunsero la vetta dell’Everest senza ossigeno. Quarantatré da quel 20 agosto 1980 in cui l’alpinista di Funes ripeté l’impresa, fino ad allora ritenuta impossibile, in solitaria. Oggi – dopo aver scalato le quattordici cime più alte della terra – si prepara a completare il circuito museale sulla tensione culturale tra natura umana e montana da lui ideato in Sud Tirolo per poi partire con la moglie Diane per un giro del mondo dedicato alla promozione dell’alpinismo tradizionale.

Messner, le mancano gli ottomila metri? Ne ha mai nostalgia?

«No, perché per ogni fase della vita ho trovato una nuova sfida a cui dedicarmi. Ho iniziato da rocciatore. Poi sono stato alpinista d’alta quota, avventuriero in spedizioni polari, cineasta e ora mi dedico alla preservazione della cultura montana. Ogni tappa è stata affascinante, ma non ce n’è una che ho amato più delle altre o a cui vorrei tornare, forse perché ho avuto la fortuna di ricevere sempre gli stimoli giusti al momento giusto».

Non le piacerebbe, quindi, ritentare la scalata di una vetta da ottomila?

«No. Viaggio ancora molto e continuo a occuparmi di alpinismo, ma da una diversa prospettiva. Adesso, per esempio, sto ultimando la realizzazione del settimo museo della montagna sul monte Elmo a Sesto Pusteria, che andrà a integrarsi nel circuito dei Messner Mountain Museum, diretti da mia figlia Magdalena e pensati per raccontare attraverso arte, reliquie, attrezzi di alpinisti famosi e testi le Dolomiti come zona di montagna. In questi mesi, poi, ho accompagnato la nascita, in Nepal a quattromila metri, dello Sherpa Himal, un museo tributo agli sherpa. Ora, alla soglia degli ottant’anni, assieme a mia moglie sono diventato startupper e, con la Messner Mountain Heritage, ci stiamo preparando per girare il mondo e raccontare l’alpinismo tradizionale, purtroppo in via di estinzione». In che senso?

«Nel senso che ormai l’arrampicata su roccia viene vissuta come sport più che come esperienza. Si pratica indoor o in falesia e, anche laddove viene fatta in parete, per esempio sul Cervino o sul Monte Bianco, a prevalere sono la componente turistica o quella della performance».

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A tal proposito, come giudica l’affollamento di turisti sulle montagne?

«L’alpinismo vissuto come “turismo in quota” è pericoloso e costoso. Mi ricorda i viaggi dei super ricchi nello spazio o sul fondo degli oceani. Al giorno d’oggi, persino per andare sul K2 le salite si comprano con un pacchetto in agenzia. Ci sono corde fisse, depositi, cuochi. Le grandi montagne sono sempre più ferrate. Ma così si perdono il senso di autoresponsabilità e di avventura che devono sempre accompagnare le esperienze in montagna».

E così, ogni estate, anche da noi, qualcuno si improvvisa scalatore in infradito…

«Già. Una volta, quando il cellulare non c’era, gli escursionisti sapevano che, dalla soglia di casa in poi, rispondevano delle loro azioni. Adesso, purtroppo, c’è chi sale in quota coi sandali o seguendo percorsi per cui non è preparato, convinto che tanto in caso di emergenza potrà telefonare e trovare aiuto. Ed è vero. Ma gli interventi restano comunque rischiosi, anche per i soccorritori. E adottare un atteggiamento così superficiale è sbagliato».

Alcuni alpinisti ritengono che questi pacchetti possano avere anche dei risvolti positivi, perché aiutano le economie locali…

«Sì. Finché i super ricchi fanno trekking in Paesi come il Nepal o il nord del Pakistan, sicuramente possono favorire l’economia del posto, ma penso sia necessario trovare un compromesso. Ovvero che i turisti vadano fin dove le infrastrutture – intese come sentieri, alberghi o tende – lo consentono. Per esempio, sull’Everest fino a 5.500 metri. Oltre quella quota dovrebbe proseguire solo chi è in grado, altrimenti l’unica cosa che si fa è inquinare ulteriormente la vetta e mettere i soldi in tasca ad agenzie che non hanno certo come mandato quello di reinvestirli per migliorare la vita delle popolazioni locali».

All’epoca dei suoi record, non esisteva tutta la tecnologia di oggi.

«L’alpinismo in sé è una attività inutile, che per me acquisisce significato attraverso la rinuncia, intesa come la capacità di fare con poco, circondati da cose semplici. Nella mia prima spedizione sul Nanga Parbat, ad esempio, avevamo nove tonnellate di materiali. Otto anni dopo, nel 1978, ho compiuto la stessa impresa con appena sessanta chili di materiali. Scalare senza chiodi di espansione né bombola a ossigeno, forse, è un retaggio della mia infanzia in una famiglia contadina di nove fratelli. È una filosofia della scalata, ma anche di vita. Papà amava andare in montagna e ha trasmesso questa passione a tutti noi figli. Da piccoli, andavamo a scalare dietro casa, oppure arrivavamo in bici fino in Val Gardena e poi su. Ricordo ancora quando ho dovuto dire ai miei genitori che mio fratello Gunther era scomparso sul Nanga Parbat. All’inizio, non volevano che io tornassi in quota. Avevano paura. Ma poi capirono che l’alpinismo, in particolare l’alpinismo della rinuncia, non era per me un passatempo, una passione o una professione, bensì un modo di vivere. Il mio timore è che oggi «a forza di usare trucchi» si mandi a morire l’alpinismo inteso come la somma di attività e narrazione, in favore della ricerca spasmodica di ausili che permettano di segnare nuovi record, fine a sé stessi».

Corriere delle Alpi | 24 agosto 2023

p. 11

Rinaldo: «Il clima cambia dobbiamo farlo anche noi»

Il Nobel dell'acqua

STOCCOLMA

Un grande onore per il mondo della scienza italiano. Il professor Andrea Rinaldo, veneziano, ordinario all'Università di Padova, ha ricevuto ieri il prestigioso riconoscimento Stockholm Water Prize, noto come "il Nobel per le ricerche sull'acqua". La consegna del premio è avvenuta per mano di re Carlo XVI Gustavo di Svezia. Il riconoscimento viene assegnato annualmente dallo Stockholm International Water Institute in collaborazione con l'Accademia reale svedese a persone e organizzazioni che raggiungono risultati straordinari legati alle ricerche sull'acqua.

«Sono sopraffatto dagli eventi di questa sera – ha esordito nel suo discorso Andrea Rinaldo –. È un miracolo che non sia inciampato arrivando sul podio, tanto sono orgoglioso di ricevere questo premio seguendo i passi dei miei veri eroi. E sono grato di questo privilegio di cui farò tesoro: avere incontrato il Re e la famiglia reale».

il discorso

«Spero vivamente che questo primo Premio dell'Acqua di Stoccolma attribuito a uno scienziato italiano inietterà entusiasmo nella comunità attiva e creativa di studiosi dell'acqua in Italia – ha detto Rinaldo –. Wystan Hugh Auden ha catturato l'essenza del ruolo vitale dell'acqua come solo i poeti sanno fare: "Migliaia di persone hanno vissuto senza amore. Non uno senz'acqua". La mia opinione è forse insignificante, ma sentita: il clima sta cambiando, rapidamente – molto rapidamente in realtà – e così dovremmo fare anche noi. Nessun privilegio, come l'approvvigionamento idrico che supera il fabbisogno attuale, è garantito per sempre. Nemmeno in Svezia ci si può permettere di ignorare ciò che comporta la scarsità d'acqua o l'acqua pulita negli ecosistemi perché i capricci della natura sono erratici ed eterogenei nel tempo e nello spazio. Questo ci viene continuamente ricordato dai letti dei fiumi asciutti un tempo brulicanti di vita ben visibili dalle vedute aeree in una area del Sahel dove da 30 anni non cade una goccia di pioggia». «Quindi cosa possiamo fare – ha posto la domanda il professore – per opporci alle spietate forze dell'evoluzione spontanea di fronte al riscaldamento globale e le sue conseguenze sui depositi di acqua e sui flussi idrici? La mitigazione, risolvendo le cause alla radice, è necessariamente dall'alto verso il basso e irta di questioni incerte ed etiche (è difficile dire a quelli che cominciano a vivere meglio di sacrificare ciò che si sono conquistati duramente – ed è difficile per il nord del mondo pontificare sul tardivo sperpero delle risorse naturali dopo quanto ha fatto in passato al proprio "capitale naturale" e a quello degli altri). L'adattamento è invece un processo dal basso verso l'alto, che abbisogna di un nuovo livello di consapevolezza su quanto sia rapido il cambiamento climatico in questo momento. È necessario un nuovo livello di educazione civica e di previsione di controllo dell'acqua sulle comunità. Credo che i tempi

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siano maturi per ripensare a una giustizia sulla distribuzione delle risorse idriche e alla gestione delle stesse come strumento per ridurre le disuguaglianze su scala globale. Oggi, quando viaggio nel sud del mondo, vedo che l'accesso alle reti di distribuzione dell'acqua sicura è per pochi privilegiati, mentre tutti possiedono un telefono cellulare. Non possiamo voltare la testa dall'altra parte fingendo di non vedere. Le disuguaglianze su larga scala sono il motore delle migrazioni e dei disordini sociali e l'acqua si pone saldamente al suo centro. È ora di agire, promuovendo ampia consapevolezza e interesse».

Andrea Rinaldo, classe 1954, è considerato un leader di pensiero nella scienza idrologica e i suoi modelli concettuali e quantitativi hanno mostrato, come recita la motivazione del premio, per la prima volta connessioni chiave tra le reti fluviali e la diffusione di soluti, specie acquatiche e malattie. «L'acqua per me è casa: Venezia, dove sono nato e cresciuto. E l'acqua è famiglia: mio nonno aveva un'impresa di costruzioni marittime, mio padre, un fratello, mio suocero e mio cognato sono ingegneri idraulici come me, uno dei miei figli ha un dottorato in Ingegneria costiera. Il mio sogno era (ed è) aiutare a salvare Venezia, la città che di acqua vive ma di acqua rischia di morire», ha dichiarato Rinaldo dopo aver ricevuto l'onoreficienza.

Ieri sera, proprio come per i Nobel, si è tenuto un banchetto reale in onore del professor Rinaldo.

Al professore sono arrivate le congratulazioni del presidente della Regione Veneto Luca Zaia: «Riconoscimento che ci rende tutti orgogliosi».

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