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L'album di famiglia

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Ricordi

Ricordi

di Laura Colosi

Mi piace pensare il passato come un grande album di famiglia ricolmo di foto, che maneggi (a cadenza alterna, benintesi) con religiosa cura, ossia sbattendolo con foga sopra un tavolo cosicché le foto tremino a tal punto da talvolta fuoriuscirne. Al momento dell’apertura lo stupore è d’obbligo, straordinario come ogni singola pagina sfogliata corrisponda a un ricordo affiorato alla memoria in quel preciso istante. Il libro della memoria è dinanzi i tuoi occhi. Detto questo, ho dunque deciso di dar via alle danze del passato partendo da un’opera che trattasse di un album fotografico e mi è stata suggerita, dalla meravigliosa Greta, una poesia che si intitola proprio Album appartenente alla raccolta Uno spasso di Wisława Szymborska, poetessa polacca che nel 1996 ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Più che una coincidenza ho subito inteso la cosa come un evidente segno di comunanza di idee per un tema che di continuo nella storia della letteratura viene trattato. In questa poesia, con l’elegante semplicità che la contraddistingue, tra una rima baciata ed una alternata, la Szymborska ci racconta la storia di un album di famiglia di gente tutt’altro che eroica, infatti «nulla di quel passato potrebbe farsi mito», come si legge al secondo verso, e «nessuno in famiglia è morto per amore», come si tiene a precisare al primo. Il passato che la fotografia dell’album documenta non è né auratico, né mitico, non ci sono duelli all’ultimo sangue, struggenti storie di amori ostacolati, donne che si percuotono i petti per la follia amorosa che le tormenta, insomma, parliamo di banalissime morti causate dall’influenza. Storie di gente comune, che però diversamente da quelle di gente “mitica”, sono state testimoniate dalla fotografia divenendo così parte di un passato condiviso. Tutto ciò fa riflettere, storie che non vale neanche la pena raccontare attraverso la fotografia trovano il modo per essere tramandate mentre delle storie mitiche nulla è certo, proprio perché sono mitiche. Capiamo allora che protagonista di questa poesia è la differenza sostanziale tra il passato e il mito. Due versi pregnanti di significato e che ammiccando al lettore ci suggeriscono che questa ipotesi sia corretta sono i seguenti: «prima della fotografia, forse qualcuno [visse quelle straordinarie storie d’amore], ma di quelli dell’album, a quanto ne so, nessuno». Concentriamoci su queste parole, «prima della fotografia» e «forse». «Prima della fotografia» non era facile documentare il passato e spesso questo finiva così per cadere nel mito. Una delle prerogative del mezzo fotografico è infatti il suo valore di certificazione e il mito per essere tale non può essere certificato, “esiste” ma in una accezione diversa, narrabile ma non documentabile. Quel «forse» ancor di più ci fa mettere in dubbio il mito, che si siano realmente verificate quelle audaci storie? Non possiamo saperlo, nulla lo certifica con sicurezza, nemmeno una foto. La Szymborska parla del passato in una chiave non auratica anche in un’altra poesia intitolata il 16 maggio 1973, che l’autrice afferma essere «una delle tante date che non mi dicono più nulla» in quanto «dove sono andata e cosa ho fatto non lo so». La giornata, passata senza che l’autrice ci facesse caso, diventa quindi emblema di un passato qualunque e per questo non memorabile, nel significato più proprio del termine. Eppure «lo specchio rifletteva la mia immagine», ci rivela. Ritorna il tema della documentazione, così come la fotografia anche lo specchio è un mezzo di certificazione del reale, e non a caso Wendell Holmes definisce la fotografia «uno specchio dotato di memoria». Quel giorno è innegabile che Wisława l’abbia trascorso, era viva in quel passato, «colma di emozioni e impressioni», non era un fantasma, ci sono le prove: lo specchio, la gente che l’ha vista, l’aver mangiato, l’aver lasciato le proprie impronte sulle maniglie… tuttavia la donna non riesce a trovare tra i rami della memoria nemmeno un intero secondo del 16 maggio 1973 che figura «come dei puntini tra parentesi». Cosa vuol dire tutto ciò? Cosa vuol dire non ricordarsi un giorno della propria vita? O forse sarebbe meglio interrogarsi su cosa voglia dire stupirsi di questo. È perfettamente normale non ricordarsi tutti i giorni trascorsi in un anno, figuriamoci in una vita intera, questo vuol forse dire perdere di vista se stessi? Ogni quanto ci perdiamo di vista allora, a cadenza mensile o saltuariamente? Vorrei focalizzarmi inoltre su questi versi: «Forse quel giorno trovai una cosa andata perduta. Forse ne persi una trovata poi». Il perdere e il ritrovare sono due concetti strettamente legati al passato e che spesso ricorrono insieme nelle poesie della Szymborska, soprattutto in quelle che compongono la raccolta La fine e l’inizio da cui Il 16 maggio 1973 è tratta. Del resto stiamo parlando di un giorno perduto tra i meandri della memoria. È possibile ritrovarlo? A quanto pare no. Ma cos’è il tempo perduto? Proust ne è andato alla ricerca, e molti altri hanno seguito il suo esempio, tra questi un celebre fotografo della Narrative Art degli anni ’70, Christian Boltanski. Protagonista delle foto di Boltanski è infatti il tempo che sta in mezzo, che intercorre, il cosiddetto tempo perduto di cui la foto è strumento evocativo. Per essere più chiari, facciamo un esempio di un’opera del fotografo, un dittico composto da due foto, una in cui nel 1946 un Boltanski bambino gioca con delle costruzioni e un’altra del 1969 che raffigura quelle stesse costruzioni ritrovate a 23 anni di distanza. Protagonista di questo dittico è il tempo che intercorre tra quelle due foto, un passato dunque non documentato quanto evocato.

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Arrivati a questo punto sorge spontaneo chiedersi che incidenza abbia la memoria nei confronti del passato. Un giorno dimenticato, come lo fu il 16 maggio per la poetessa Wisława Szymborska, in che misura fa parte del nostro passato? Cos’è il passato? Interrogativi a cui non è facile dare una risposta e che mi riportano alla mente la storia clinica -e non solo- di un marinaio perduto che il neurologo Oliver Sacks racconta ne L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Jimmie, così si chiamava il marinaio perduto, arriva alla clinica in cui Sacks lavora nel ’75, affetto dalla sindrome di Korsakov (malattia consistente nella degenerazione da alcolismo dei corpi mammillari) che gli causa un’amnesia retrograda che si acuisce col passare degli anni a partire ’65, anno del congedo dalla marina militare e anno in cui aumenta l’abuso di alcol da parte di questi. La memoria dell’uomo viene così intaccata, tutti gli eventi fino al 1945 circa vengono cancellati e tutto ciò che veniva prima o dopo destinato all’oblio. Jimmie si trova in uno stato inizialmente confusionale, privato di una parte del proprio passato e apparentemente dell’occasione di vivere il presente, «egli è, per così dire, isolato in un singolo momento dell’esistenza», riporta Sacks nei suoi appunti. Sta di fatto che se inizialmente il neurologo si interroga su che valore abbia la vita di un uomo «radicato in un passato lontano» arrivando addirittura a dubitare che sia stato de-animato dalla malattia e ora non possegga più un’anima, è costretto a ricredersi quando osserva «la profondità di assorbimento» che l’uomo dimostra avere a messa, mentre ascolta della musica o assiste a uno spettacolo teatrale. Nonostante tutto rimane dunque intatta una possibilità di reintegrazione attraverso l’arte, la comunione, il contatto con lo spirito umano. Come se l’arte e la comunione religiosa diventassero una sorta di passato e presente alternativi in cui ogni momento si riferisce ad altri momenti e li contiene, li condivide, funzionando un po’ alla maniera di un album di famiglia. A proposito di album di famiglia… È arrivato il momento di chiudere il nostro, per quanto mi riguarda è stato emozionante sfogliarne le pagine assieme, condividere questi ricordi e riflettere sul valore che il passato ha nelle nostre vite. Vi saluto sperando di avervi lasciato qualcosa, immagino interrogativi più che risposte, e lo ripongo nel suo scaffale, proprio accanto al mio libro di mitologia che raccoglie tutti i miti più affascinanti della storia di questo mondo, magari uno di questi giorni gli daremo uno sguardo insieme.

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