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Intervista a don Rigoldi
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Giovanni Colombo, 3D Francesco Vaccaro, 4aa Giacomo Longoni, 4bb
Intervista a don Gino Rigoldi
Lo scorso mercoledì 22 gennaio a margine della conferenza da lui tenuta abbiamo avuto l’occasione di intervistare don Gino Rigoldi, prete ambrosiano da oltre quarant’anni cappellano al carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano. Molti lo definiscono un “prete di strada” e a dir la verità non sembra esserci sintesi migliore per raccontare la sua vita al servizio degli altri, degli ultimi.
Don, come vive il rapporto con i giovani? È prevalentemente basato sull’ascolto con lo scopo di comprendere le motivazioni delle loro scelte. L’esperienza mi ha insegnato ad instaurare con loro un rapporto amichevole, diretto, “senza cerimonie”, assolutamente non regolato da alcuna forma di pregiudizio nei loro confronti. La mia missione è quella di essere per loro un compagno di strada. Perché viene nelle scuole a parlarne? Ritengo sia giusto parlarne ai giovani nelle scuole per costruire una cittadinanza attiva e consapevole, che non si fermi ad un cinico giudizio negativo per il comportamento dei detenuti, ma che consideri il carcere come luogo di rinascita. Diciamo che vengo per far conoscere questa realtà ai ragazzi e per trovare in loro degli alleati!
In che modo il carcere deve essere vissuto e pensato? Prima di tutto il carcere deve essere un luogo accogliente e al suo interno il detenuto deve trovare gli strumenti adeguati per poter cambiare e rinascere. È inutile usare belle parole se poi il ragazzo, una volta uscito, non trova i mezzi necessari per vivere perché ritornerebbe a delinquere. La condizione fondamentale perché questo accada è proporre attività lavorative già durante la detenzione
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così da ridurre il rischio di recidiva. I dati lo dimostrano.
Lei durante il suo lungo ministero ha visto il susseguirsi di diverse generazioni di ragazzi. Cos’è cambiato in questi quarant’anni? Le problematiche restano sempre le stesse; quello che cambia sono i ragazzi: quelli di oggi rispetto ai loro coetanei di ieri sono molto più confusi e non riescono a guardare oltre cercando di stabilire obiettivi a lungo termine. Questo è dettato dalla mancanza di solidi punti di riferimento, a partire dagli stessi genitori. La solitudine li porta maggiormente a delinquere e a condurre brutte imprese.
Qual è il ricordo più bello e significativo della sua esperienza? Sicuramente (sorride ndr) quando lo scorso anno mi è venuto a trovare un ragazzo che per tre volte è stato al Beccaria, un ragazzo “difficile”. È stata una gioia grandissima poterlo riabbracciare con moglie e figli.
Come considera il comportamento della sua Chiesa? Sbagliato per alcuni aspetti. Come Papa Francesco sostiene, la chiesa è afflitta da due grossi limiti: l’individualismo e un eccesso di clericalismo. Nonostante i miei numerosi incontri all’interno della nostra diocesi di Milano, posso dire di aver incontrato sempre e soltanto dei gruppi di lavoro, talvolta anche molto efficienti nei loro servizi, ma non di certo comunità. Questo è ciò di cui la Chiesa ha bisogno. La Chiesa necessita di comandanti, persone di carisma che sappiano guidarla attraverso una continua ricerca di interpretazione del presente perché si adatti alle nuove sfide del mondo di oggi. In questo senso la Curia milanese si pone come obiettivo la prosecuzione e il miglioramento dei progetti in corso d’opera, questo, pur essendo necessario e opportuno, non basta!