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Orange Man Bad! Maybe
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Luca Saracho, 2F
Orange Man Bad! Or maybe not...
Precisamente tre anni fa, il 20 gennaio 2017, sul lato ovest della Casa Bianca, Donald J. Trump prestò il proprio giu ramento davanti al popolo statuniten se, con la mano posata solennemente sulla medesima Bibbia utilizzata seco li addietro, nel 1862, dal leggendario Abraham Lincoln. E durante questi tre anni in carica, il 45° Presidente degli USA ha dovuto sostenere una continua battaglia, un furioso bombardamento condotto da quell’opposizione che in tutto questo tempo non è mai riusci ta ad accettare l’esito delle democrati che elezioni tenutesi nel novembre del 2016. Da quella stessa opposizione, nota col titolo di “Democratici”, che più volte lo ha denigrato aggressiva mente, accusandolo di razzismo, ses sismo, maschilismo, e ancora omofo bia, transfobia, et cetera… Senza però, ovviamente, poter menzionare una singola frase pronunciata dall’attuale presidente che supporti le loro affer mazioni. Ma sarà veramente questa la verità? Potrà mai essere che un intero popolo abbia eletto un personaggio così - a loro detta – vile e deplorevole a ricoprire la carica più prestigiosa del
paese (e del mondo)? La risposta a questi quesiti può essere fornita innanzitutto analizzando l’ope rato del presidente, in questi ultimi tre anni appunto, a partire proprio dall’e conomia. Non è infatti un segreto che l’economia americana in questo pre ciso momento storico stia vedendo il proprio apogeo. Il PIL USA infatti è cre sciuto del 25%; sin dall’inaugurazione, l’amministrazione Trump ha creato 7 milioni nuovi posti di lavoro (di cui mez zo milione nel settore manufatturiero) e in seguito alla decisione della Fed di tagliare i tassi del 1,75-2% si è registra ta un’incredibile euforia dei mercati, tanto che, l’11 luglio del 2019, Dow Jones, uno dei principali indici aziona ri della borsa di New York, ha toccato il massimo storico, arrivando a quota 26.9843,45 punti. La stessa borsa sta vivendo proprio in questo periodo un momento di estremo benessere: si sti ma addirittura che se il suo titolo do vesse scendere addirittura di un 20% in un solo giorno, esso si manterrebbe sempre al di sopra degli standard a cui si era abituata durante l’epoca di Ba rack Obama. La U.S. Bureau of Labor
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Statistics ha inoltre calcolato che il tasso di disoccupazione della popolazione americana è ai minimi rispetto agli ultimi cinquant’anni, un incredibile 3,5% mai visto sotto i mandati dei suoi predecessori, in primis dello stesso Obama, durante la cui presidenza la percentuale non era mai scesa oltre il 4,7%. E a far tremare ulteriormente la credibilità dell’opposizione sono altri dati, ben più sconvolgenti per i Democratici , che vanno ad assediare una precisa fascia della popolazione di cui questi ultimi si proclamano i paladini, ovvero le minoranze e le donne. Sotto la presidenza Trump, infatti, si sono raggiunti traguardi da record, a partire proprio dalla disoccupazione: si è scesi fino agli storici 5.4% di disoccupati nell’intera comunità afroamericana (4.4% per le sole donne e 5.8% per i soli uomini), 3,9% nella comunità sud-americana e 3.2% considerando la complessiva popolazione femminile. Quest’ultima inoltre, lo scorso dicembre, si è rivelata la forza trainante dell’intera economia, rappresentando il 50,04% della forza lavoro americana, sorpassando il sesso opposto di 109 000 lavoratori. A questo si devono aggiungere le percentuali in crescita della
popolarità del Presidente in tutte le fasce della società: secondo l’istituto di statistica Rasmussen Reports il consenso sull’operato del Presidente avrebbe raggiunto il traguardo di 34,5% nella comunità afroamericana, 38,2% in quella latina e 53,6% in quella bianca; la stessa statistica mostra che il 48,3% degli intervistati approverebbe il suo operato, sorpassando il 46,5% che invece lo boccerebbe. Queste percentuali tuttavia sono contrastate da altre statistiche che stimano la popolarità di Trump nella comunità nera al 10%: tuttavia queste cifre sono fornite dagli stessi istituti di ricerca che, fino alla chiusura dei seggi il 9 Novembre 2016, avevano attestato le possibilità di Donald di raggiungere la Casa Biana ad uno 0%, un dato esilarante ai giorni nostri considerando come le cose siano veramente andate. E per chi invece avesse avuto dubbi sulle interferenze russe nella campagna elettorale repubblicana vi sono (o meglio, non più) gli 8 milioni di dollari riscossi dalle famiglie americane, sprecati nell’inutile indagine condotta da Robert Muller, che non è riuscita a fornire sufficienti prove affinché il Presidente potesse essere messo sotto impeachment con l’ac-
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cusa di alto tradimento e rimosso dal proprio incarico. Tuttavia l’ostinata “caccia alle streghe”, come la ama definire @realDonaldTrump, condotta dalle élites democratiche non si è fermata lì, ed ha portato, il 22 Dicembre scorso, all’approvazione da parte del Congresso (dal 2018 a maggioranza democratica) di due articoli d’impeachment contro lo stesso Presidente, non votati tuttavia dall’ex-Democrat Van Drew, la cui decisione di cambiare schieramento politico è nata proprio dall’infondatezza di tali accuse, e dalla feroce avversione dei suoi ex-colleghi nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca. Oltre a questo è sicuramente da tenere in considerazione l’ipocrisia di certi politici, tra i quali gli storici Jerrold Nadler e Nancy Pelosi, così preoccupati nel 98’ delle conseguenze che l’impeachment di Bill Clinton avrebbe potuto avere sull’intera popolazione statunitense, definendo l’accusa “irresponsabile” (cit. Nancy Pelosy) e atta solamente a “disfare un’elezione nazionale” (cit. Jerry Nadler), ma subito pronti a replicare ciò che denunciavano 20 anni fa, ovviamente essendo loro passati all’opposizione. Altri invece avevano l’obbiettivo di far destituire il Presidente sin dalla loro elezione al Congresso, come la giovane Rashida Tlaib, la quale aveva pronunciato platealmente una celebre frase che, a mio avviso, condensa in poche parole l’anima e l’eloquenza dell’odierna sinistra: “We’re gonna impeach the motherf***er”. E mentre tutta questa farsa ha luogo negli alti palazzi di Washington DC, città storicamente liberali soffrono delle conseguenze delle amministrazioni da loro elette. Chiaro esempio sono sicuramente le metropoli dell’estremo (in tutti i sensi) Occidente, prima tra le quali San Francisco, città natale della già menzionata Nancy Pelosi, il cui numero di senza-tetto ha assistito ad un drammatico incremento (da 6.857 nel 2018 a 8.011 clochard nel 2019) e le cui strade sono letteralmente invase da feci umane (stimati 28 084 casi nel 2018), problema che ha portato le autorità cittadine all’impiego di “poop patrols” per il mantenimento dell’igiene pubblica e della pulizia sui marciapiedi; oppure Baltimore, la cui invasione di ratti pochi mesi fa aveva sollevato un caso di scandalo nazionale. È dunque chiaro che queste comunità di cittadini si trovano
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davanti a dei politici più interessati a combattere inutili ed insensate battaglie che a migliorare le condizioni di vita dei propri elettori. Dunque la domanda è da porre al lettore, proprio a te che sei arrivato fino alla fine di questo articolo: Trump è veramente questa grande minaccia, come ce lo vogliono presentare, nei confronti della popolazione statunitense e addirittura di quella mondiale? O semplicemente è stato, ed è tuttora, vittima di un vero e proprio linciaggio mediatico perpetrato con cieca ostinazione da coloro che paradossalmente vorrebbero eliminare il cosiddetto “hate speech”, da coloro che non hanno il coraggio di ammettere un semplice fatto: Donald Trump has actually made America Great Again!
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Il Presidente USA, Donald Trump Redazione etCetera