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Ciechi negli occhi e nei sentimenti
Attualità
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Giulia Burigiotto, 4bb
Ciechi negli occhi
e ciechi nei sentimenti
“Non si perda, non consenta di perder si” Così scriveva José Saramago nel suo ro manzo più famoso, Cecità. Nonostante siano ormai passati venticinque anni dalla sua pubblicazione, nessun libro può essere considerato più attuale di questo. La situazione che stiamo vi vendo sembra corrispondere alla piena realizzazione di quanto predetto dalla mente dello scrittore. L’imprevedibili tà e allo stesso tempo la prevedibilità dell’uomo, immutabile nella sua natu ra, permettono di stabilire quasi con assoluta certezza l’atteggiamento di un individuo di fronte a un pericolo, alla paura, alla crisi e al cambiamento. In questi mesi abbiamo potuto scorgere l’indole più egoista, meschina e mise ra della nostra società, dal cittadino comune all’influencer, dal politico al vescovo, dall’amico allo sconosciuto. Privato del suo ritmo frenetico, privato delle sue relazioni sociali, privato delle sue distrazioni quotidiane, l’Italiano si è ritrovato solo con sé stesso, circondato da un pericoloso nemico e costretto a rimanere tra le quattro mura abitative. Va da sé che ognuno perda piano piano quel sentimento di Civiltà, fondamen to di una comunità sociale, mancando il contatto con il mondo reale, e ogni giorno sia chiamato a resistere e a con servare la propria umanità. “La paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi.” L’insicurezza, il vacillare della speran za, la mancanza di un futuro certo, le numerose morti annunciate dai gior nali e dalla tv hanno reso gli animi dei cittadini appesantiti e tremendamente impauriti e, come ci insegna la storia, la paura crea ignoranza, crea cattiveria e crea dissidio. L’esempio più lampan te è forse l’accanimento nei confronti di Silvia Romano, volontaria rapita due anni fa da un gruppo terrorista e tor nata in Italia qualche giorno fa. Non vi è stato nemmeno il tempo di esultare per il ritorno di una nostra concittadi na che si è iniziato subito a discutere della quantità di denaro “spesa” per il suo riscatto. La crisi economica che sta colpendo la nostra nazione è sicu ramente una questione importante dal momento che una grossa fetta di po polazione non riceve uno stipendio da marzo e sembra non essere in alcun modo aiutata dallo Stato, tuttavia sca ricare la propria frustrazione su una ra -
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gazza che è tornata in Italia dopo due anni di rapimento, e ripeto, rapimento, è da menti davvero perverse. Perversa è anche la polemica che si è venuta a creare intorno alla sua conversione all’Islam, come se fosse la religione a caratterizzare la nazionalità di un individuo. Fortunatamente il nostro è un paese laico che permette la completa libertà di culto e piuttosto che criticare la fede altrui, forse è il caso di interrogarsi sulla veridicità della propria. E di fronte a un’Italia sempre più povera sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista morale, la politica non riesce a creare un fronte comune ma si concentra unicamente nel difendere il proprio partito e nel tramutare la situazione tragica in cui ci troviamo in mera propaganda politica. Il razzismo, già presente da molto tempo, si inasprisce sempre più, riversandosi nel suo flusso incessante non solo sul famoso “uomo nero”, l’immigrato, ma anche sulla comunità cinese, ritenuta colpevole della diffusione del virus. E’ chiaro che il sentimento razzista dell’Italiano non sia legato alla convinzione di superiorità che si riscontra nella storia del secolo passato, ma sia più legato al timore e alla cattiva abitudine degli Italiani a cercare sempre un ca
pro espiatorio per le loro mancanze. Questo si può facilmente capire dalla forte benevolenza e gratitudine con cui sono stati accolti i medici cinesi o dalla forte opposizione da parte di alcuni riguardo alla regolarizzazione degli “stranieri”. La polemica prima verteva sulla loro clandestinità, e perché ora invece si è così contrari? Perché, se ciò avvenisse, mancherebbe qualcuno da incolpare. L’unico faro in questa notte nebulosa sembra essere il Papa, unico che continua a predicare un rinnovamento spirituale e ricordarsi della situazione degli ultimi, i detenuti, di cui anche Dio sembrava essersi dimenticato. Curioso, direi preoccupante, come l’opinione pubblica non si esprima mai riguardo alle condizioni di vita dentro le carceri ma rimanga subito indignata dalla proposta di scarcerare particolari categorie di detenuti in vista dell’emergenza Covid. Negli ultimi giorni la scarcerazione dei mafiosi è divenuta, giustamente, questione molto sentita da tutti e che ha lasciato perplessa anche me. Ritirare ai domiciliari personaggi del genere è un gesto molto pericoloso, in quanto, lo sappiamo bene, alle spalle di uno stato debole stanno sempre delle cosche mafiose e quelle non si fermano mai.
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Inoltre, è poco convincente addurre come motivazione la prevenzione del contagio per persone che di norma si trovano in isolamento. Bisogna tenere conto tuttavia che le misure vengono adottate per detenuti di età maggiore ai 70/75 anni e che si trovano in condizioni di “grave infermità fisica”. Esempi sono Francesco Bronura, influente boss palermitano con problemi cardiorespiratori e alle spalle un cancro al colon con vari cicli di chemioterapia, e Vincenzino Iannazzo, scarcerato per “deficit immunitario da terapia cronica antirigetto per trapianto e per la presenza di altre patologie”. Il sistema carcerario è totalmente incapace di gestire la situazione: condizioni igieniche e sanitarie pessime, mancanza di materiali quali guanti e mascherine, impossibilità di adottare la misura del distanziamento sociale a causa del forte sovraffollamento di cui soffrono le carceri italiane ormai da tempo. A questo si aggiunge il divieto per i detenuti di contattare sia fisicamente sia telefonicamente i propri cari condannati alla preoccupazione costante. Dostoevskij nei “Fratelli Karamàzov” scrive: “non vi può essere sulla Terra nessuno che giudichi un criminale se prima non abbia riconosciuto di essere egli stesso un
criminale come chi gli sta dinanzi, e di essere forse il maggior colpevole del delitto da questi commesso.” Il comportamento del popolo italiano è proprio questo: un giudice che condanna ma non perdona. Sono fermamente convinta che la crescita dello spaccio, dei furti, degli assassinii, della violenza, degli atteggiamenti mafiosi, dipenda fortemente dalla società in cui si inserisce, dall’educazione che viene impartita fin da piccoli, dalla presenza o meno dello Stato in certe realtà. Questo non è certamente una giustificazione alle terribili azioni commesse, questa è un’accusa a me stessa e a tutti i miei vicini e fratelli (scusate il termine socialista) che ogni giorno alimentano la fiamma della violenza, dell’odio razziale e religioso, coloro che non rispettano il loro paese e contribuiscono ogni giorno a umiliarlo, coloro che potrebbero essere ogni giorno la parte migliore di loro stessi e decidono invece di mostrare il loro lato peggiore. Perché dopotutto, citando sempre Saramago: “secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono.”