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Arte, donne e guerra in Afghanistan

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La luce che non fu

La luce che non fu

SOFIA MARCANTONI, 3H; GIORGIA TIRALONGO, 3bb

LA TOMBA DEGLI IMPERI

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Spesso si usa riferirsi all’Afghanistan con il termine “Tomba degli Imperi”, indicando l’incapacità di alcun popolo di sottomettere completamente il paese, a partire da Alessandro Magno e dall’impero britannico, dal quale ottenne l’indipendenza nel 1919, fino ai nostri giorni. Negli anni Sessanta l’ultimo re Zahir Shah istituisce una forma di monarchia costituzionale, fornita di governo democratico e basata sulla convivenza fra potere politico e religione. L’Afghanistan diventa meta prediletta dei turisti e rende accessibile per tutti la cultura, perfino per le donne, a cui viene concesso il diritto all’istruzione. A partire dal luglio del 1973, l’Afghanistan non conoscerà mai più tale apertura: il 17 dello stesso mese il principe Mohammad Daud rovescia la monarchia, inaugurando un periodo di instabilità e lotte fra le diverse fazioni etnico-politiche del paese. Nel 1978, con l’intervento e l’invasione dell’URSS, viene fondato un nuovo governo filosovietico, la Repubblica Democratica dell’Afghanistan, fortemente osteggiato dalla forza politica dei mujaheddin, che ne causeranno la caduta nel 1992, anno a partire dal quale inizierà il loro dominio sul paese. Nonostante il loro proposito di liberare il paese, in questi anni la popolazione afghana è soggetta a ripetute violenze e indottrinamento fondamentalista, motivo per cui i mujaheddin, alla fine dei conti, non sono poi così diversi dai talebani. In ogni caso, a partire dal 1996, saranno proprio loro a far cadere nell’oblio più totale la nazione intera: inizierà un periodo di decadenza estrema per l’Afghanistan, durante il quale il fondamentalismo dominerà incontrastato. Per garantirsi ricchezze e potere, i talebani chiuderanno le porte ai turisti, distruggeranno le statue di Buddha e Bamiyan in quanto idolatre, negheranno ogni tipo di istruzione alle donne, costringendole a nascondersi dietro un velo e facendo piombare nell’ignoranza l’intera popolazione. L’islam viene così usato

come strumento di potere e i suoi reali precetti sconvolti e dimenticati. I talebani mettono a disposizione il territorio come base di AlQaida, scatenando l’immediata reazione degli americani che, in seguito all’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, invadono l’Afghanistan e rovesciano il regime talebano con l’aiuto dei mujaheddin tra il 7 e il 13 ottobre dello stesso anno. Il 5 dicembre, l’ONU e le fazioni rivali afghane si riuniscono a Bonn, istituendo un governo provvisorio di trenta membri capeggiato da Hamid Karzai che viene rieletto nel 2004 come presidente alle prime elezioni dirette della storia afghana. È un ritorno all’epoca dei mujaheddin, il cui potere viene così legittimato dall’Occidente: quello che però gli occidentali non sanno è che, come la definisce Farhad Bitani nel suo libro “L’ultimo lenzuolo bianco”, si tratta “dell’inganno della democrazia afghana”, basata su meccanismi di propaganda che convincono il popolo della bontà delle istituzioni, quando chi ha davvero la possibilità di aiutare utilizza i fondi prestabiliti a scopo personale. Il 15 agosto del 2021, in seguito al ritiro delle truppe americane e NATO, i talebani riprendono il controllo del paese.

LA CONDIZONE DELLA DONNA IN AFGHANISTAN

Al giorno d’oggi l’Afghanistan è considerato uno dei paesi peggiori in cui essere donna, anche a causa del fortissimo dislivello sociale fra le zone rurali e quelle urbanizzate: nel 2021 i diritti delle donne sono ancora limitati e poco riconosciuti. Ciò che può realmente stupire però, è scoprire che durante il corso della storia, l’Afghanistan non sempre riversava in una situazione di degrado come quella moderna: durante il periodo monarchico, immediatamente dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’impero britannico, il paese risorse in tutto il suo splendore con Amanullah Khan e sua moglie, Soraya Tarzi, che è attualmente considerata una delle prime femministe al mondo. La regina Soraya fondò un’organizzazione per difendere i diritti delle donne nel paese e ricoprì un ruolo fondamentale e di tutto rispetto nella politica Afghana degli anni Venti, influenzando fortemente le scelte politiche del marito Amanullah, facendo varare leggi che vietavano la celebrazione di matrimoni fra minori, rendevano l’istruzione obbligatoria per tutti e imponevano tasse per cercare di scoraggiare la poligamia. Ulteriori passi avanti vennero effettuati quarant’anni dopo, nel 1964, con la promulgazione di una nuova costituzione che trasformò il paese in una democrazia moderna, con libere elezioni, un parlamento e molti diritti civili che fino ad allora non erano mai stati riconosciuti: le donne ottennero il diritto di voto e la modernizzazione, per quanto lenta, stava incominciando a prender forma. Nel 1992, con l’avvento dei Mujaheddin, al contrario, si torna indietro parecchio: alcuni diritti delle donne fino ad allora riconosciuti vennero completamente rimossi, il velo divenne obbligatorio e l’adulterio punibile con esecuzione.

Nonostante ciò, durante questo periodo era ancora molto usuale vedere donne indossare abiti sfarzosi o hijab all’iraniana; fu con l’arrivo dei talebani che la situazione divenne drammatica. I talebani invasero l’Afghanistan e salirono al potere nel 1996, dopo aver vinto la guerra civile afghana scoppiata tra gruppi di Mujaheddin. Erano ossessionati dall’idea di censurare la figura femminile, e proprio per questo motivo negli anni seguenti imposero alcuni obblighi assurdi e impensabili per tutti noi: le donne vennero costrette a trascorrere tutto il tempo nella propria abitazione e venne loro permesso di uscire solo se accompagnate da un tutore maschio; il burqa divenne obbligatorio e venne proibito loro di indossare gioielli e cosmetici. Non potevano ridere, lavorare, andare a scuola e nemmeno praticare sport. Perfino il rumore dei tacchi divenne tabù e i bagni pubblici femminili chiusi. Le donne che in precedenza lavoravano in radio o in televisione svanirono nel nulla. Non potevano guardare negli occhi un uomo e molte donne vennero giustiziate per adulterio. Di fronte alla miriade di obblighi e divieti che negavano i diritti basilari di una persona, il numero di donne suicida incrementò notevolmente: molte di loro si lasciavano andare, rinchiuse nella loro abitazione con i vetri oscurati per impedire ai passati di scorgere le loro figure. Nel 2001 cadde il regime talebano, e l’Afghanistan risorse dopo un incubo che non sembrava aver fine. Nell’ottobre dello stesso anno molte persone scesero in piazza lottando per l’emancipazione femminile. Le donne riottennero il diritto di voto e durante il mese di novembre fu permesso alle ragazze di ritornare a scuola; la condizione femminile stava man mano migliorando e dopo anni di repressione si scorgeva una luce di speranza.

SHAMSIA HASSANI

Shamsia nasce nel 1988, in Iran, da genitori afghani immigrati per scappare alla guerra. Appassionata di arte fin da bambina, ebbe la possibilità di studiarla solo una volta tornata nel suo paese natio, a Kabul, dove frequentò la facoltà di arte all’Università della città, diventando professoressa di scultura. A partire dal 2010 inizia a dedicarsi all’arte urbana, riempendo la città di Kabul di graffiti in omaggio alle donne del suo paese. Il suo scopo è quello di mostrare che anche le donne hanno dei sogni e di spingerle a crederci e a fare di tutto perché possano realizzarsi. Raffigurate nel loro chador tradizionale,

in pose aggraziate e intente a dedicarsi ad attività diverse, queste figure femminili rappresentano il coraggio e la bellezza di una lotta quotidiana che sembra non concludersi mai, proprio come la guerra che attanaglia il paese da quasi un secolo. “Voglio colorare i brutti ricordi della guerra, e se coloro questi brutti ricordi, allora cancello la guerra dalla mente delle persone. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la sua guerra”, dice a questo proposito Shamsia.

Quest’opera, una delle più recenti, rappresenta una donna ai piedi del conquistatore (un talebano) che prega perché la sua libertà (il fiore ai suoi piedi) non venga compromessa.

IL RITORNO DEI TALEBANI

Il 15 Agosto 2021, dopo vent’anni di pace e rinascita all’interno del paese, i talebani hanno ripreso in mano Kabul. Se però, con il passare del tempo, la condizione femminile in Afghanistan era migliorata, anche il pensiero dei talebani a riguardo è cambiato: in alcune interviste rilasciate nel 2011 i talebani affermano di non opporsi più all’istruzione femminile e l’attuale capo dei talebani, una volta riconquistata Kabul, sostiene di voler costruire un paese civile e democratico e che nel suo governo saranno presenti delle donne che potranno studiare e lavorare liberamente senza essere ostacolate. Molte donne rimangono comunque non convinte e giustamente scettiche rispetto alla veridicità di queste affermazioni: nonostante le promesse fatte dai talebani, infatti, alcuni di loro hanno continuato a molestare donne per strada e a vietare loro accesso ad alcune istituzioni. Durante i mesi di agosto e settembre 2021, diverse donne sono scese in piazza a Kabul e Herat per manifestare per i loro diritti e il loro numero è tuttora in vertiginoso aumento, scatenando una durissima repressione da parte dei talebani. L’8 settembre i talebani hanno imposto l’obbligo di uscire velate e il divieto di praticare sport in pubblico; per quanto riguarda l’istruzione, le donne potranno continuare ad andare a scuola, ma separate dagli uomini. L’11 settembre, incredibilmente, 300 donne hanno marciato in piazza a sostegno dei talebani. Sono orgogliose di indossare

il niqab, criticando le donne senza velo, e affermano che le donne devono studiare divise dagli uomini e pensare prima di tutto alla maternità. D’altra parte, non dappertutto nel paese la ripresa di potere dei talebani è sinonimo di sconfitta: le donne che abitano nei luoghi più marginali e rurali non hanno assistito ai cambiamenti che si sono verificati nel corso degli anni nelle grandi città, come Kabul e Herat, e anzi, soprattutto nel periodo americano e sovietico, hanno subito più violenze che in quello talebano. Alcune di loro non hanno apprezzato l’imposizione di una cultura occidentalizzante, ma molte vorrebbero solo vivere in pace nei loro villaggi e non provare paura al più piccolo rumore.

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