Dicembre 2017

EtCetera n° 4 | Dicembre 2017

il giornalino degli studenti

L’editoriale del Caporedattore

Il paradosso di Fermi: dove sono gli alieni?

Social e informazione, il pericolo delle fake news Lo scenario politico italiano è dominato dal dibattito sulle fake news. Matteo Renzi accusa gli avversari politici del M5s e della Lega di divulgare notizie false online. Anche nel resto del mondo il problema delle fake news sui mezzi d’informazione è d’attualità. In particolare si sospettano ingerenze della Russia nelle elezioni presidenziali degli USA, nel referendum sulla Brexit e in quello sull’indipendenza della Catalogna. La Rete e i social hanno rivoluzionato la libertà di espressione: ciascuno è libero di comunicare con gli utenti di tutto il mondo. Così c’è il rischio di non riuscire ad analizzare con sufficiente autocritica tutte le notizie, o presunte tali, che ogni giorno riceviamo. Un argine alle fake news e all’uso della Rete “illegale” (discriminazioni, insulti, cyberbullismo) sarebbe un maggiore controllo sia da parte delle autorità, sia dei grandi operatori di Internet. La propaganda sul web (Facebook, Twitter…) è efficace, ma non è funzionale per un sano dibattito democratico. Un motivo in più per rivalutare gli strumenti che stimolano la riflessione individuale: giornali, riviste, libri e soprattutto… EtCetera.

La robotica e il mercato

di Filippo Vergani, 4c

Articolo di Tommaso Pirola a pagina 3

American indie

“In questi ultimi anni l’aggettivo “indipendente”, spesso abbreviato in “indie”, ha paradossalmente raggiunto un utilizzo ed una popolarità incredibili...”

La macchina del tempo #2 Il secondo articolo della rubrica di Dario Arcolin

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Indice

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La robotica e il mercato....3 Un macigno...............................5 American Indie........................8 Il paradosso di Fermi.........15 Alex Turner.............................18 La macchina del tempo...20

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Teconologia 3

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Tommaso Pirola, 5I

La robotica e il mercato In un Mondo che abbraccia sempre più le auto che si guidano da sole e i magazzini che si gestiscono in modo autonomo, è chiaro che ci troviamo in un periodo di grande transizione che avrà come punto cardine la robotica e l’intelligenza artificiale.

L’impiego massiccio della robotica è sicuramente positivo, almeno dal punto di vista consumatore e dell’azienda che ne fa impiego, in quanto fornisce manodopera ad un costo inferiore, non ha turni lavorativi, non si ammala e soprattutto non chiede di esser pagato, con conseguente beneficio sul costo finale del prodotto.

Dalla parte del lavoratore però, la questione si fa più complicata: secondo un report pubblicato dalla società McKinsey & Co. infatti, entro il 2030 verranno tagliati oltre 800 milioni di posti di lavoro, pari ad 1/5 della forza lavoro attuale.

I settori che più saranno interessati da questo cambia-

mento sono quelli legati a processi automatizzabili come catene di montaggio, gestione magazzini, inserimento dati, autotrasporti e taxi.

Amazon ad esempio sta già effettuando una transizione parziale alla robotica in alcuni dei suoi magazzini, lasciando gestire tutta la logistica ai computer, e dimostrando quanto sia più efficiente ed economico il nuovo sistema.

Anche Uber, nota società di taxi sta sperimentando la guida autonoma sui propri veicoli e pianifica una nuova flotta di taxi guidati autonomamente nel medio-breve termine.

Il passaggio alla robotica però, non significa necessariamente perdita di lavoro: se da una parte è innegabile che molti lavori attualmente presenti scompariranno, è anche vero che, almeno per ora, i robot non si costruiscono da soli.

La Silicon Valley è uno dei centri più importanti dove si fa ricerca e sviluppo in questo set-

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Tecnologia

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tore e la richiesta di ingegneri e tecnici specializzati continua ad aumentare, tanto da lasciare circa 25 mila posti ancora da colmare ogni anno.

Dire quindi che i robot ci soppianteranno è un’affermazione che non rispecchia la realtà. È vero che alcuni lavori come li conosciamo adesso scompariranno, ma è anche vero che ne appariranno altrettanti.

Siamo sicuramente in un periodo di cambiamento, ma non è la prima volta che accade: 15 anni fa, la figura dello sviluppatore di app non esisteva neanche, come ora non esistono più gli operatori telex, professione presente solo 30 anni fa.

Durante la seconda rivoluzione industriale, sono state soppiantate tutte le catene produttive della prima, assicurando produzioni più economiche e inferiori capitali per avviare un’azienda.

Il boom di internet invece ha portato con se società che hanno ampiamente rimpiazzato i lavori che sono

stati persi con la loro comparsa come giornali, radio e agenzie di viaggio.

Da queste rivoluzioni la società ne è uscita in modo positivo, con più lavoratori, pagati meglio e con migliori condizioni lavorative.

La possibilità di continuare a lavorare starà alla capacità di capire la domanda del mercato e adattarsi alle nuove professioni.

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Riflessioni 5

Un macigno SPOILER: questo articolo è stato realizzato da una persona che, al momento della stesura, soffriva di quell’insidiosa sindrome tanto snervante quanto improvvisa nota come “il blocco dello scrittore”.

Le idee, i concetti, le singole parole si sovrappongono, creando un’ostruzione in quello che mi piace chiamare “il canale delle idee”. È come se molte persone, a centinaia, a migliaia, gridassero la loro opinione, nella speranza di essere ascoltate e prendersi il merito per averti dato il giusto spunto per scrivere il mitico articolo. Tuttavia, nessuna di queste persone riesce ad attirare la tua attenzione, senti solo un fastidioso brusio, sempre più forte, che ti impedisce di scrivere. In realtà, nessuno in quella moltitudine di persone sta cercando di aiutarti: tutti urlano perché sentono la fretta, la paura di non riuscire a consegnare l’articolo entro il tempo stabilito.

Pretendono qualcosa da te, e

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Clara Cassandro, 2a

non cesseranno di gridare fino a quando non avrai premuto “invia”, mandando l’email.

Dopo ore e ore di confusione, di freno e di vuoto, eccola. Un’idea. Non sai se potrà funzionare, né se sarai in grado di renderle giustizia scrivendola nero su bianco, ma devi tentare.

La folla ammutolisce, in attesa che tu illustri loro la brillante idea, ma non hai abbastanza tempo per indire la conferenza e pianificare il discorso, così voli verso il computer e fai scorrere le tue dita sulla tastiera come non hai mai fatto prima, sopraffatto dalla paura che quell’ondata di ispirazione svanisca in una nube di fumo.

Nella ressa della tua mente, alcuni, infastiditi dalla mancata spiegazione della tua idea, se ne vanno, sgomberando lentamente il canale delle idee e lasciando spazio al flusso di parole. Sei un fiume in piena. Il blocco che avevi fino a qualche ora prima è ormai un vago ricordo, presto sostituito

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Riflessioni

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dalla foga della scrittura, che pare essere l’unico mezzo per dare uno scopo a tutte quelle persone nella tua mente.

Ad un tratto però la scure della bassa autostima si abbatte su di te: infatti, rileggendo ciò che hai scritto, noti immediatamente che il testo non comunica assolutamente nulla, è arido, scritto grossolanamente e senza un filo logico. Il mondo sembra crollarti addosso.

La tua unica ancora di salvezza ti ha appena tradito, dimostrandosi un vero fallimento.

Riluttante, premi backspace, ridipingendo il foglio di bianco.

Eccoti lì, alla situazione di partenza. Le persone che se ne erano andate ritornano, urlando sempre più forte in segno di rimprovero per non averle ascoltate. Disperato, cerchi di dare retta a tutti, esaminando con calma ogni possibile traccia per l’articolo che ti viene proposta, ma nessuna di queste ti colpisce, nessuna di queste sembra essere un’idea originale. L’ostruzione nel canale delle idee si fa sempre più imponente, impedendo

anche ai più timidi pensieri di sbocciare ed essere d’ispirazione. Ti sforzi di non pensare al blocco e di ragionare come sempre, ma così facendo non fai altro che continuare a pensarci, perciò, snervato, decidi di fare una lunga pausa, nel tentativo di distrarti una volta per tutte. Ascolti un paio di canzoni, credendo scioccamente che la musica laverà via il blocco, ma il tempo scorre inesorabile, tant’è che dall’inizio della pausa invece di essere trascorsi dieci minuti come credevi, ne sono trascorsi trenta. L’affanno torna a farti compagnia, sussurrandoti che oltre ad avere il cervello privo di inventiva sei anche pigro. Torni al lavoro, questa volta fresco e determinato a portare a termine il tuo compito.

La folla attacca nuovamente con le urla, incrementate a causa dell’ansia costante, ma questa volta non ti lasci intimorire e le zittisci. Il tempo passa, e tu sei sempre più tentato di comunicare a chi di dovere che questa volta non riuscirai a scrivere l’articolo, quan-

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Riflessioni

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do all’improvviso la lampadina si accende. Quelle maledette e stramaledette voci ti hanno aiutato. Eccome se ti hanno aiutato.

Accendi il computer, che stanco di aspettarti era andato in standby, apri un nuovo documento word e senza nemmeno badare al carattere o alla dimensione del testo inizi a digitare. Le parole sembrano scriversi da sole, quasi come se tu non fossi nient’altro che un operaio al loro servizio. Ansioso di rileggere quello che hai scritto, torni in cima al foglio e inizi a leggere ad alta voce. Lo leggi una seconda volta, poi una terza. La folla applaude, alcuni si commuovono perché lusingati. L’articolo è dedicato a loro, alle persone che ogni volta che devi scrivere ti bloccano, parlano l’uno sopra l’altro mandandoti in confusione e facendoti continuamente credere di essere un incapace. Molto spesso non ci accorgiamo nemmeno di ciò che la nostra mente è in grado di fare: siamo in grado di autoimporci un blocco mentale e, nonostante la consapevolezza di non essere in Total Recall, pensiamo che non ci sia alcun modo di superare questo ostacolo e tendiamo dunque

ad arrenderci. La verità è che non serve scandagliare interamente Google per raccattare qualche notizia dell’ultim’ora sul dollaro americano, o cercare con foga l’ultima stronzata detta da Malgioglio: in fondo, tutti sentiamo il bisogno di leggere qualcosa in cui poterci rispecchiarci. Dopotutto, i film mentali sono i migliori da recensire.

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Cinema 8

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Alessandro De Marchi , 4a

American Indie,

10 film indipendenti che arrivano dritti al cuore In questi ultimi anni l’aggettivo “indipendente”, spesso abbreviato in “indie”, ha paradossalmente raggiunto un utilizzo ed una popolarità incredibili. In ambito musicale il termine “indie” è infatti associato ad un artista o ad un gruppo che non fa parte della cultura “mainstream” o che produce musica al di fuori della cultura stessa, spesso indipendentemente dalle grandi case discografiche.

Solitamente lo stile musicale di questi artisti varia molto, ed in esso è riscontrabile quell’atteggiamento “fai-da-te” che accomuna un po’ tutto il loro sound. La musica indipendente, che sia l’americano “indie rock” o l’indie nostrano, riscontra un grandissimo successo grazie ad una musicalità ricercata e che sperimenta molto

ed a testi spesso impegnati o fuori dai soliti schemi. E chi scrive è uno che solitamente ascolta Calcutta, Gazzelle e gli Imagine Dragons durante la stesura dei suoi articoli.

In ambito cinematografico l’aggettivo “indipendente” è utilizzato per indicare film prodotti senza l’intervento di una grande casa di produzione. Le major di Hollywood, infatti, tendono ad evitare film sperimentali per concentrarsi su progetti più sicuri e di facile guadagno. I film indie sono dunque caratterizzati da un sostanziale basso costo di produzione, da una grande libertà espressiva lasciata al regista e da un soggetto impersonato che cerca di staccarsi dagli stereotipi dei vari generi cinematografici. Non per questo però, questi film

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Cinema 9

sono connotati dalla mancanza di grandi attori che, al contrario, interessati dalle tematiche affrontate, decidono di partecipare volentieri a questo tipo di pellicole.

In questo articolo ho deciso di analizzare brevementele 10 pellicole indipendenti, prodotte negli Stati Uniti dal 2010 al 2015 che, a mio parere, rappresentano una delle vette più alte raggiunte dal cinema indie statunitense. E non ho attuato questa scelta perché l’Europa o l’Asia non abbiano mai prodotto film indipendenti di notevole spessore e valore artistico, o perché nel periodo precedente o successivo non vi siano state pellicole ugualmente profonde e toccanti (film meravigliosi come Sing Street, Paterson, American History X e Little Miss Sunshine, ad esempio, non rientrano in questo lasso di tempo), ma perché il lustro che ho deciso di prendere in esame delinea, a mio parere, una sorta di età dell’oro del cinema indie americano, colmo di pellicole che, condensate in pochis-

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nome cognome classe

simi anni, toccano un certo tipo di tematiche e rappresentano il raggiungimento di un altissimo livello dal punto di vista della profondità e delle emozioni in grado di suscitare.

1. Beginners è un film del 2010, diretto e sceneggiato da Mike Millis, che nello scrivere ha preso spunto da una vicenda autobiografica. In questa toccante commedia Ewan McGregor interpreta il ruolo di Oliver Fields, un artista tormentato che, in un momento di profonda crisi personale, rievoca attraverso una catena di flashback l’ultima fase del suo rapporto con il padre Hal (Cristopher Plummer). Quest’ultimo, poco dopo essere rimasto vedovo, aveva rivelato al figlio di essere omossessuale, per intraprendere successivamente una relazione con il giovane Andy (Goran Visnjic). Fra viaggi nel passato, confronti generazionali e l’idillio sentimentale con una graziosa attrice francese, interpretata dalla meravigliosa Mélanie Laurent,

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Cinema

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Beginners si fa apprezzare per il suo tocco delicato e la sua atmosfera malinconica. Per questo film il veterano Plummer ha ricevuto l’Oscar ed il Golden Globe come miglior attore non protagonista. Per la regia dello stesso Mills è inoltre uscito quest’anno un altro ottimo film, 20th Centurywomen.

2. Vincitore del Gran premio della giuria al Sundance Film Festival del 2011, ma arrivato in Italia, come spesso accade per i film indie, senza passare dal cinema, Like Crazy è uno dei più toccanti tra i film romantici che il cinema indipendente americano ci abbia consegnato negli ultimi anni.

Scritta e diretta da Drake Doremus, la pellicola racconta la relazione fa Anna Gardner (Felicity Jones), una studentessa britannica che sta frequentando il college a Los Angeles, e un suo compagno di scuola, Jacob Helm (Anton Yelchin). Il loro rapporto dovrà però affrontare le difficoltà della distanza, di una separazione traumatica, quando Anna è costretta a fare ritorno in Euro-

pa, e dell’infatuazione di Jacob per la collega Samantha (Jennifer Lawrence). Una perla di romanticismo, mai banale o smielata, ma connotata invece da una grande attenzione per le sfumature dei sentimenti e dall’indagine dell’intima fragilità dei personaggi.

3. 50 e 50 è un film del 2011, diretto da Jonathan Levine e sceneggiato da Will Reiser. Il protagonista del film, Adam Lerner, interpretato da un bravissimo Joseph Gordon-Levitt, è un giornalista radiofonico di ventisette anni di Seattle, che scopre di essere affetto da un tumore alla colonna vertebrale e di doversi sottoporre alla chemioterapia. Una vicenda estremamente drammatica, con Adam costretto di colpo a fronteggiare la prospettiva di un’esistenza a rischio, è sviluppata però dagli autori con un ammirevole equilibrio fra il realismo e un sottofondo di leggerezza che risulta spesso liberatorio. Lo spunto della malattia al nucleo di 50 e 50 diventa dunque soprattutto il veicolo per illustrare le rela-

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zioni di Adam con le persone che gli sono più vicine: il suo migliore amico Kyle Harons (Seth Rogen), la sua fidanzata Rachael (Bryce Dallas Howard), la premurosa madre Diane (Anjelica Huston) e Katherine McKay (Anna Kendrick), la giovane psicoterapeuta di cui Adam si innamora.

4. Proiettato in concorso come film d’apertura al Festival di Cannes 2012, Moonrise Kingdom è, a detta di chi scrive, la migliore pellicola realizzata finora da uno dei maestri del cinema indipendente americano, il regista e sceneggiatore Wes Anderson, tanto invischiato nell’indie da essere diventato il titolo di una canzone de i Cani e autore, tra gli altri, di Grand Budapest Hotel e Fantastic Mr. Fox . Il film è una malinconica ed ironica fiaba romantica ambientata in pieni anni Sessanta in un’isola del New England, messa in scena con soffusi toni pastello e accompagnata dalle dolci melodie dei dischi di Françoise Hardy. La tenerissima fuga del dodicenne Sam Shakusky (Ja-

red Gilman), un ragazzo orfano membro di un gruppo di boy scout, e di Suzy Bishop (Kara Hayward), figlia di Walt (Bill Murray) e Laura (Frances McDormand), è il motore di un irresistibile meccanismo narrativo che permette ad Anderson di passare in rassegna una variopinta galleria di indimenticabili personaggi secondari, a cui prestano il volto attori del calibro di Tilda Swinton, Edward Norton, Harvey Keitel e Bruce Willis, fino ad arrivare a una climax finale caratterizzata da un autentico ciclone.

Un gioiellino assolutamente imperdibile per cinefili e non.

5. E’ il potere della scrittura il cuore di uno dei film più deliziosi (e in parte sottovalutati) degli scorsi anni: Ruby Sparks, diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris, la coppia di registi già artefici del cult Little Miss Sunshine. Protagonista di questa commedia a sfondo surreale è il talentuosissimo Paul Dano nel ruolo di Calvin WeirFields, enfant prodige della scena letteraria americana, che dopo un folgorante ro-

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manzo d’esordio è in preda a una terribile crisi creativa, legata anche ad una difficile situazione personale. Quando però Calvin decide di scrivere a proposito di Ruby Sparks (Zoe Kazan), un’ideale “ragazza dei suoi sogni”, la sua vena letteraria torna a pulsare; ma ancora più sorprendente è il fatto che, all’improvviso, Ruby si materializza letteralmente davanti agli occhi di Calvin, in una bizzarra compenetrazione tra fantasia e realtà.

6. È in assoluto uno dei racconti di formazione più coinvolgenti del cinema americano di questo decennio: una storia di sentimenti, di amicizia e di sofferenza, narrata dal punto di vista di Charlie Kelmeckis (Logan Lerman), un quindicenne di Pittsburgh alle prese con il primo anno di liceo e reduce da un tentato suicidio in seguito a un grave trauma personale. La cronaca di questo primo anno di scuola è appunto Noi Siamo Infinito, trasposizione cinematografica che il regista esordiente Stephen Chbosky

ha realizzato a partire da un suo stesso romanzo epistolare.

Charlie, ragazzo timido ed insicuro, stringerà amicizia con il compagno di classe Patrick (Ezra Miller), un vivace ragazzo omosessuale, e si innamorerà della sorellastra di Patrick, Sam (Emma Watson), instaurando con entrambi un legame complesso ma di straordinaria intensità. Un film avviato a diventare un cult generazionale e con almeno due sequenze da antologia: il ballo scolastico sul ritmo trascinante di Come On Eileen dei Dexys Midnight Runners e il tragitto notturno in automobile accompagnati da Heroes di David Bowie.

7. Dopo Wes Anderson, ecco un altro mostro sacro del cinema indipendente americano: Alexander Payne, autore di titoli apprezzatissimi dalla critica, l’ultimo dei quali, in ordine di tempo, è Nebraska, sceneggiato da Bob Nelson e girato in un bianco e nero di incredibile suggestione. Il veterano Bruce Dern, che per la sua interpretazione ha ricevuto il premio come

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miglior attore al Festival di Cannes 2013 e la nomination all’Oscar, impersona Woody Grant, un anziano pensionato del Montana, con i primi segni di demenza senile, che crede di aver vinto un milione di dollari ad una fantomatica lotteria e che intende recarsi a Lincoln, in Montana, per incassare l’assegno. Ad accompagnarlo in questo malinconico e insensato viaggio fra i sentieri di un’America rurale saranno la moglie Kate (June Squibb) e loro figlio David (Will Forte). Candidato a sei premi Oscar, tra cui miglior film, Nebraska è una magnifica commedia agrodolce perfettamente gestita a livello di costruzione narrativa, di messa in scena e direzione degli attori.

8. Il racconto di formazione “definitivo” del cinema americano dei nostri tempi: un sorprendente film “in divenire”, realizzato dal regista e sceneggiatore Richard Linklater nell’arco di dodici anni per seguire la crescita reale del suo protagonista, Mason Evans Jr, impersonato da El-

lar Coltrane, da bambino fino all’età adulta. Boyhood è la storia dell’infanzia e dell’adolescenza di questo ragazzo del Texas accanto alla sorella Samantha (LoreleiLinklater, figlia del regista), fra una madre, Olivia (Patricia Arquette), alle prese con varie traversie sentimentali ed un padre, Mason (Ethan Hawke), che si sforza di mantenere a distanza il proprio ruolo genitoriale.

Ricompensato con il premio per la miglior regia al Festival di Berlino 2014, vincitore di tre Golden Globe e dell’Oscar per la miglior attrice supporter (Patricia Arquette) su sei nomination, Boyhood, nonostante alcune lievissime incongruenze legate probabilmente alla lunghissima distanza temporale che intercorreva tra una ripresa e l’altra, è un’esperienza cinematografica unica e vibrante, capace di produrre una stupefacente mimesi fra arte e vita vissuta 9. Se nei film citati in precedenza il fulcro della trama era costituito da rapporti amorosi, rapporti d’amicizia e rap-

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porti fra genitori e figli, in Uniti Per Sempre di Craig Johnson (uscito in Italia soltanto in DVD), titolo originale The Skeleton Twins, i due protagonisti sono invece una coppia di fratelli, che di colpo si trovano riuniti sotto lo stesso tetto. Milo (Bill Hader) vive a Los Angeles, dove tenta invano di fare carriera come attore, è appena stato lasciato dal suo compagno ed è affetto da depressione, fino a tentare il suicidio.

Maggie (Kristen Wiig) abita invece a New York insieme all’affettuoso marito Lance (Luke Wilson), ma anche lei avverte un inconfessabile senso di frustrazione e di malessere.

Due storie di ordinaria infelicità intrecciate in un racconto che si distingue per il sottile humor e per momenti di grande partecipazione emotiva.

10. Arriviamo dunque al 2015, l’anno forse più interessante per il cinema indie americano, e a un altro nome imprescindibile del filone indipendente, Noah Baumbach. Un autore che durante quest’anno, oltre all’apprezzato Giovani Si Di-

venta, ha diretto anche un’altra pellicola a mio avviso di gran lunga superiore: Mistress America, presentato al Festival di Roma. Mistress America è il secondo frutto della collaborazione fra Baumbach e la sua partner e co-sceneggiatrice Greta Gerwig, qui nel ruolo di Brooke Cardines, frizzante e carismatica trentenne newyorkese che, con il suo fascino metropolitano, ammalia la giovane Tracy Fishko (Lola Kirke), appena approdata nella Grande Mela per frequentare il college. Un ritratto ironico ma partecipe delle incertezze e delle speranze di quei “giovani adulti” alle prese con sogni, progetti e delusioni di un’esistenza ancora in via di definizione, Mistress America è una fra le migliori commedie degli ultimi anni, nonché l’ennesimo esempio della vitalità e della ricchezza di un cinema indie che, per fortuna, non smette di sorprenderci e di emozionarci.

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Giuseppe Merante , 4I

Il paradosso di Fermi: Dove sono gli alieni?

L’uomo non fa altro che parlare di alieni, ma come si spiega che ancora non ne sia stata rinvenuta alcuna traccia? Ormai è abbastanza noto che solo nella nostra galassia siano presenti miliardi di pianeti e corpi celesti e di conseguenza non è da escludere l’ipotesi che ci siano altre forme di vita là fuori… addirittura più vicine di quanto pensiamo. Questo è il famoso paradosso di Enrico Fermi, noto fisico italiano, che fa sorgere la seguente domanda: se ci sono altre forme di vita lontane dalla Terra e molto probabilmente anche più evolute di noi, perché non ne abbiamo ancora ricevuto le prove? Esempi potrebbero essere le trasmissioni radio o sonde spaziali. Questo è uno dei più grandi misteri di sempre.

Mentre lavorava nei centri di studio di Los Alamos nel 1950, negli Stati Uniti, nella mensa del

laboratorio, Enrico Fermi prese parte a un dibattito con alcuni colleghi. L’argomento verteva su un recente avvistamento UFO riportato dalla stampa, preso in giro da una vignetta satirica. La conversazione si protrasse su varie vicende correlate, finché improvvisamente Enrico esclamò: «Fermi… Dove sono tutti quanti?»

Tralasciando la battuta, la soluzione più semplice è che la probabilità che la vita si evolva spontaneamente nell’Universo e si sviluppi fino a produrre una civiltà avanzata sia estremamente bassa. Molti sono gli elementi contemporaneamente necessari perché la vita come la intendiamo noi possa evolversi su un pianeta. Fattori astronomici, come la posizione all’interno della galassia, l’orbita percorsa dal corpo celeste intorno alla sua stella centrale e la tipologia di quest’ultima, la sua ellitti-

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Scienze e attualità 16

cità e l’inclinazione dell’orbita stessa, nonché la presenza di satelliti naturali con caratteristiche simili a quelle della Luna, sono tutti fattori determinanti alla predisposizione alla vita. Per questo motivo devono verificarsi una catena di coincidenze. Gli studi sul Sistema Solare sembrano confermare l’eccezionalità della vita sul nostro pianeta (ipotesi della rarità della Terra).

Secondo il fisico italiano ci sono tre possibili ragioni per cui gli alieni non ci hanno ancora detto nulla. Uno dei primi motivi è il nostro basso livello di tecnologia. Sembra strano questo: noi essere umani ci crediamo molto intelligenti per aver creato macchine, computer, aerei, navicelle spaziali che possono raggiungere la Luna e satelliti che possono viaggiare per milioni di kilometri. Riflettendoci, l’umanità esiste “solamente” da duecentomila anni che equivale allo 0,00008% del tempo di sviluppo della vita sul nostro pianeta. Perciò non è da escludere

che qualche civiltà aliena là fuori abbia avuto abbastanza tempo per evolversi molto più a lungo, addirittura migliaia se non milioni di anni in più. La loro tecnologia sarebbe molto più efficace della nostra.

Attualmente le trasmissioni radio sarebbero il metodo migliore di comunicazione con gli extraterrestri, anche se non è da escludere che gli eventuali alieni non usino più questo strumento e che lo abbiano scartato completamente.

Il secondo motivo per cui gli alieni non hanno ancora comunicato è… semplicemente non sono interessati a noi.

Questa è la più triste tra le ipotesi: come noi ci sentiamo superiori rispetto ad altri animali i quali hanno un’intelligenza inferiore e comunicano con un linguaggio molto diverso, forse anche loro possiedono una propria forma di comunicazione.

Infine, la terza ragione è quella più interessante: è probabile che gli alieni siano già tra

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Scienze e attualità 17

noi e starebbero cercando di comunicare. Mi spiego meglio. Le trasmissioni radio non viaggiano nello spazio a una velocità infinita, quindi se una civiltà extraterrestre avesse “ricevuto” un nostro messaggio e avesse già risposto, quella risposta ci impiegherebbe diversi anni per raggiungerci. Supponiamo che questo mondo si trovi a quattro anni luce di distanza: il loro messaggio arriverebbe a destinazione dopo ben quattro anni.

Questa ipotesi è la più ottimistica tra tutte e forse la più interessante. Un giorno potremo ricevere dagli alieni messaggi ricchi di informazioni su argomenti del tutto ignoti.

Attualmente in alcuni laboratori vi sono in funzione dei rivelatori di neutrini e di onde gravitazionali in grado di misurare tali ipotetici segnali solo se particolarmente intensi. Tuttavia, Fermi si domandava fino a che punto una civiltà potesse espandersi prima di creare addirittura i presupposti dell’autodistruzione, perché il punto

principale di tutto il paradosso è proprio questo sfasamento spazio-temporale. Le comunicazioni ora sono talmente lente su scala universale (pensate che la luce, per arrivare da un punto all’altro della galassia impiega 100 mila anni, e perciò è estremamente lenta se vista in quest’ottica) che è quasi impossibile che due civiltà in grado di interagire riescano a farlo contemporaneamente senza che una delle due nel frattempo si sia estinta (per cause proprie o naturali).

Dopotutto anche nel 2017 questo argomento, per potersi concretizzare, ha bisogno di uscire dal terreno insicuro della scienza in quello più rassicurante della fantascienza.

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Musica 18

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Giulia Burigotto e Francesca Secchi , 2b

Who the f*** is Alex Turner?

Soprattutto grazie alle canzoni “Do I wanna Know?” e “ R U Mine” Alex Turner, con la sua band Arctic Monkeys, ha raggiunto ormai fama mondiale.

In realtà, nonostante la sua carriera sia cominciata con questo gruppo, suona anche con i The Last Shadow Puppets e ha lavorato come solista.

La sua prima band, gli Arctic Monkeys, nasce nel 2002 a Sheffield e pubblica i suoi primi album tra il 2005 e il 2006, intitolati “Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not” e “ Who The F*** Are Arctic Monkeys”, di cui si ricordano canzoni come “No Buses” e “ The View from the Afternoon”. Gli AM riescono a racchiudere in tredici tracce le correnti musicali più importanti degli ultimi cinque anni, anche se prevale il rock. Nel maggio 2006 si esibiscono nel loro primo concerto in Italia, seguito poi da

quello tenuto per l’uscita di “The Favourite Worst Nightmare”, uno dei nostri album preferiti che contine i brani “ Fluorescent Adolescent”, “Teddy Picker” e “Old Yellow Bricks”. È un disco più studiato e meno istintivo che però non si differenzia molto dal precedente.

Diversamente accade con “Humbug”, caratterizzato dalla totale assenza di canzoni che si riducono a frammenti sonori, cantabili a stento e non ballabili assolutamente. Si può dire che questo sia un momento di transizione tra un passato che ormai non appartiene più al gruppo e un futuro ancora incerto. In “Suck It and See”, si ha una bozza di un sound che andrà poi ad affinarsi in “AM”, loro ultimo album, in cui mischiano generi come l’R&B, mantenendosi però sul filone del pop-rock. Gli Arctic Monkeys sono dunque un gruppo

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Musica

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che sperimenta e che si spera proponga qualcosa di innovativo con il prossimo album, che dovrebbe uscire l’anno prossimo, salvo imprevisti, come ha detto il cantante.

A differenziarsi dal genere indie rock presente negli album sopra citati ci sono i The Last Shadow Puppets che nascono come progetto parallelo agli AM, in collaborazione con Miles Kane, migliore amico di Alex. Pubblicano il loro primo disco, “The Age of the Understatement”, nel 2008. Tutte le sue tracce vengono composte con l’impiego di un’orchestra (la London Metropolitan Orchestra) e si caratterizzano per la corta durata, come succede ad esempio in“ The Chamber”. Nel secondo album invece, “Everything You’ve Come to Expect”, le suite orchestrali vanno ad unirsi alle chitarre, come in “Aviation” e la struttura dei pezzi è più studiata. Con questo gruppo Alex cerca di elevarsi da “popstar” per ragazzini ad artista compiuto e maturo.

Infine, come già accennato

nell’introduzione, ha anche lavorato come solista, componendo le cinque canzoni usate come colonna sonora nel film Submarine. Queste dipingono un quadro malinconico e trasognato, sottofondo perfetto per una trama con tematica l’amore adolescenziale.

Per concludere,quindi, grazie al suo talento, alla sperimentazione di nuovi generi e alla voglia di emergere, Alex Turner ha raggiunto un grandissima fama che gli ha permesso di iniziare una carriera che non sembra destinata a tramontare presto (a meno che non muoia come Manzoni cadendo dalle scale).

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Storia 20

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Dario Arcolin , 4D

La macchina del tempo #2 Cari majorani, eccomi nuovamente a voi con la mia rubrica, anche oggi pronto a parlarvi di un altro Grande nella nostra specie, Einstein.

Dopo aver iniziato a scrivere di Tesla, ad essere sincero, non avrei dovuto introdurre Einstein così presto, se avessi proseguito con la mia scaletta, ma avrei parlato di Galileo Galilei.

Il mio intento iniziale era di parlare di personaggi già molto noti e famosi inquadrandoli in un contesto, esaminando se possibile aspetti meno noti della loro storia, e indagandoli a trecentosessanta gradi, ma mi sono accorto grazie ad un fortuito e piacevole incontro che la mia visione era limitata…

Certo, noi siamo figli di Galileo, Keplero, Newton e ancor prima di Pitagora e di Archimede come di tanti altri ma sono personaggi che si studiano sui banchi di scuola e che per certi versi non ci appartengono. Sono “vecchi” , distanti nel tempo e nello spazio da noi,

non che io non possa raggiungerli con la mia macchina del tempo, ma a che scopo? La loro eredità ci viene insegnata e trasmessa da docenti altamente preparati e competenti durante le lezioni di filosofia, fisica e letteratura ma chi ci parla invece di Fermi, Majorana, Bose, Schrodinger, Plank?

Personaggi estremamente interessanti e complessi, sensazionali, di cui penso sia lecito e doveroso parlare; dopotutto chi di voi ha mai sentito parlare, anche solo per caso, del condensato di Bose-Einstein?

Non voglio togliere nulla ai Grandi del lontano passato ma per loro sfortuna ho scoperto parecchi tizi incamiciati di bianco ben più interessanti: infatti chi se non un folle genio costruirebbe una pila atomica in una palestra liceale?

Per illustrare quindi questi nostri straordinari predecessori dai nomi a volte strani e pronunciabili sono nelle aule universitarie devo priva dedicar-

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mi ad Einstein, che intervisterò personalmente tra poco, devo solo settare le coordinate spazio temporali giuste.

Ma intanto parliamo un poco di Albert Einstein, che nacque a Ulma il 14 marzo del 1879 e si spense a Princeton il 18 aprile del 1955.

Dire Einstein è come dire tutto, infatti fu principalmente un fisico ma disse la sua anche in altri ambiti, dalla filosofia alla politica.

Ragazzo prodigio sin dalla giovane età ebbe problemi a scuola, non perché incapace ma in quanto osteggiato dagli stessi professori con i quali entrava in conflitto periodicamente. Addirittura, quando lui rimase in Svizzera per finire gli studi mentre la famiglia si era trasferita a Milano, si finse malato per poterla raggiungere.

Gli venne anche rifiutata l’iscrizione al Politecnico di Zurigo nel 1895 in quanto aveva tentato l’esame di ammissione senza aver raggiunto l’età minima richiesta e nonostante gli eccellenti risultati nei test inerenti alle materie scientifiche aveva totalizzato un bas-

sissimo punteggio in quelli di carattere umanistico. Nonostante tutto ottenne nel 1896 il diploma e ritentato l’esame fu finalmente ammesso.

Lo stesso anno tra una lezione e l’altra, passeggiando per i corridoi del politecnico conobbe Mileva, donna geniale, talmente tanto brillante da essere l’unica donna ammessa al Politecnico in quegli anni e fu amore a prima vista.

Conclusi nel 1900 gli studi, non gli venne ancora una volta riconosciuto il giusto merito: infatti, pur essendosi graduato con un punteggio eccellente, non gli venne offerto il posto di assistente.

Incurante di ciò fondò un gruppo di ricerca con alcuni suoi ex compagni di corso e amici, ovviamente anche con la partecipazione di Mileva, diventata intanto sua moglie.

Il 1905 fu un anno glorioso per Einstein tanto da essere ricordato come “annus mirabilis”: pubblicò quattro articoli a contenuto fortemente innovativo riguardanti tre aree differenti della fisica, dove con un articolo dimostrò la validità del

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concetto di “quanto” proposta da Planck nell’ambito della spiegazione dell’effetto fotoelettrico dei metalli (e questo sì, si fa a scuola), nel secondo parlò del moto Browniano, un particolare tipo di moto dove le particelle convolte (di dimensioni piccolissime) si muovono di moto perpetuo disordinato ed irregolare a causa degli urti con le altre molecole. Per ultimo espose in due articoli la teoria della relatività ristretta, che precedette di circa un decennio quella della relatività generale.

Nel ’21 ricevette il premio Nobel e con il passare degli anni gli furono conferiti altri riconoscimenti a testimonianza della sua fervida e spettacolare mente, al punto che il suo nome divenne ben presto sinonimo di grande intelligenza e genio.

Nel 1927 Einstein venne invitato dal governo italiano a partecipare al Congresso internazionale dei Fisici, che si svolgeva quell’anno a Como in occasione del centenario dalla morte di Alessandro Volta. Egli fu il solo, tra i tanti luminari invitati, a declinare l’invito per la sua opposizione al regime di Mussolini.

Nel gennaio del 1933, quando Adolf Hitler salì al potere, Einstein si trovava momentaneamente all’università di Princeton come professore ospite.

Il 7 aprile dello stesso anno in Germania venne promulgata la “Legge della Restaurazione del Servizio Civile”, a causa della quale tutti i professori universitari di origine ebraica furono licenziati. Nell’ottobre del 1933, con l’intensificarsi delle persecuzioni anti-semitiche, decise di trasferirsi negli Stati Uniti.

Come oggi tristemente sappiamo la sorte negli anni seguenti si accanì ferocemente in Europa contro i figli delle tribù di Giuda e se Einstein non avesse deciso di lasciare la Germania nel ’33 probabilmente la storia contemporanea sarebbe molto diversa.

La leggera e calda brezza di Princeton mi risveglia dai miei pensieri soffiandomi davanti agli occhi alcune foglie secche. Mi accorgo di essere in mezzo alla strada solo quando un’elegante Lincoln nera suona il clacson intimandomi di spostarmi.

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Con la sicurezza di essere nel periodo giusto cerco solo una conferma che mi dica di essere anche nel posto esatto e la trovo dietro alle mie spalle, girandomi in fatti ammiro la casa di Einstein.

Avanzando la osservo e la trovo molto graziosa, modesta e bianca, talmente tanto da riflettere i raggi del sole abbagliandomi.

Ormai alla soglia cerco il campanello, ma non lo trovo e accingendomi a bussare sento al polso il peso del mio Samsun Gear che prontamente infilo in tasca.

Spento il telefono per evitare qualsiasi genere di rumori sospetti busso.

Silenzio. Busso di nuovo. Aspetto e proprio quando sto per bussare nuovamente sento le chiavi girare nella toppa.

La porta si apre senza rumore alcuno e con mia grande quanto attesa gioia vedo Einstein, in carne ed ossa, con i capelli brizzolati e mossi proprio come nelle fotografie, con indosso un paio di calzoni verde scuro ed una maglia gialla. Einstein, il grande genio, sorpreso in un attimo del-

la sua quotidianità mentre mi spalanca la porta di casa sua.

Ci fissiamo per un attimo, lunghissimo, fino a quando mi dice: -Cosa cerchi, ragazzo?

E io continuo guardarlo, pensando di essere uno stupido perché non mi sono preparato una storiella da raccontare per spiegare la mia intrusione nella sua routine e perché colto dall’emozione continuo a fissarlo, ma grazie al cielo è Einstein stesso a salvarmi.

-A giudicare dal taccuino penso tu voglia farmi delle domande, bene, aspettami qui in veranda. Arrivo tra un momento.

Detto ciò sparisce all’interno della casa e io ne approfitto per calmarmi. Ripreso pienamente il controllo di me vedo la porta aprirsi di nuovo e Einstein appare dalla soglia con in mano una pipa e una borsa con del tabacco.

-Mia moglie odia che io fumi in casa.- dice sorridendo.

-Innanzi tutto grazie di aver accettato di parlare con me, visto che mi sono anche presentato qui all’improvviso. Una persona come lei deve essere sicuramente molto impegnata.

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-Non ti preoccupare e inoltre non usare formalismi con me, dammi pure del tu. Ma visto che sono così famoso saprai già molte cose di me, dimmi chi sei tu invece?

Uno studente universitario?

-Non ancora, mi iscriverò l’anno prossimo.

-E di cosa vorresti parlare con me questo pomeriggio?- chiede dopo aver tirato una lunga boccata dalla sua pipa di radica.

-Vorrei giusto sapere qualcosa in più su di te, sulle tue affascinanti teorie, perché a leggerle dai libri si perde il gusto e si è disorientati da molte parole difficili, ma anche riguardo a cosa ne pensi della guerra in Europa, le possibili soluzioni per il dopoguerra, la tua visione politica…

-Detto tra noi sei strano come i vestiti che indossi- disse ridendo- Nessun altro studente era venuto da me con queste domande nella testa, erano tutti fissati solo con la fisica e desiderosi di ricevere un autografo.

Gongolando per quel complimento mi guardo e sì, dei pantaloni di jeans pieni di tasche e una maglia della Carlsberg sono sicuramente molto appa-

riscenti oltre che anacronistici.

-Sappi ragazzo che la guerra in Europa a mio punto di vista è un terribile sfregio ai valori del genere umano, al quale appartieni tu come lo faccio io e come anche un cinese ed un russo, un ricco imprenditore oppure un senzatetto. Io credo che esista una sola razza, quella umana!

-Sono pienamente d’accordo, ma allora perché non hai preso parte al progetto Manhattan?Devi ammettere che grazie al tuo contributo le ricerche potrebbero andare molto più velocemente e il risultato porterebbe molto probabilmente all’immediata fine della guerra.Errore madornale, il progetto Manhattan era top secret al tempo di Einstein, mi sono tradito da solo, ma ormai è troppo tardi per ritirare quanto detto.

Dopo aver sbuffato un cerchio di fumo mi guarda un istante e poi riprende come se niente fosse: -Devo darti torto caro amico, la mia filosofia si oppone alla violenza, avrai certamente sentito parlare di Gandhi.

Annui, incredulo di essermela cavata in questo modo.

-Amo dichiararmi pacifista e

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soprattutto umanista, nel senso non solo accademico ma soprattutto con l’eccezione di amante del genere umano.

Da qualche anno mi sono addirittura avvicinato al socialismo di cui ammiro l’ideale anche se penso che sia stato sviluppato da Lenin, personaggio che stimo molto, nel modo sbagliato.

Nel mondo in cui viviamo sembra impossibile l’esistenza di persone come Gandhi che a mio umile parere è stato il più grande genio politico del nostro tempo, ci ha indicato la strada da percorrere. Ci ha mostrato di quali sacrifici l’uomo sia capace una volta che abbia scoperto il cammino giusto. Sono fermamente convinto che dovremmo sforzarci di fare le cose allo stesso modo: non utilizzando la violenza per combattere per la nostra causa, ma non partecipando a qualcosa che crediamo sia sbagliato.

-Quindi per te è stato un errore per gli Stati Uniti entrare in guerra contro la Germania nazista?

-Sì, ma l’intervento statunitense è divenuto necessario perché la Germania si è fatta soggiogare da un uomo folle.

-Quindi la colpa della guerra è del popolo tedesco che ha eletto come suo capo Hitler invece di rifiutarlo e protestare?

-Devo ammettere che sei bravo a fare le domande, faresti carriera come giornalista. Comunque ci sono molte persone che hanno da portare una parte del peso della colpa, si è arrivati a questo punto a causa di tante piccole scelte fatte da tante persone.

Ciò che conta è come risolveremo questa guerra e i problemi che sorgeranno una volta finita.

Sappiamo entrambi bene a cosa punta il progetto Manhattan e quella non è la soluzione. Se ci dovesse essere una terza guerra mondiale non so con quali armi verrà combattuta, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre.

Ti dico questo perché è solo questione di tempo prima che il progetto Manhattan porti i suoi frutti, ci lavorano persone intelligenti come Oppenheimer e Fermi. È solo questione di tempo...

Sentendo nell’aria il clima pesante decido di cambiare tematica.

-Quindi vedi come sbaglia-

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to questo atteggiamento dell’uomo, tra l’altro autodistruttivo, solo in virtù dell’insegnamento di Gandhi oppure perché spinto da qualcosa di più grande della tua coscienza e del tuo ideale di “umanità”?

-Mi stai forse chiedendo se credo in Dio? Sappi che io non riesco a concepire un dio che abbia le nostre sembianze, un dio che al pari di noi uomini si adira e gioisce con le sue creature. E neppure riesco né voglio concepire un individuo che sopravviva alla propria morte fisica; lascio ai deboli di spirito, animati dal timore o da un assurdo egocentrismo, il conforto di simili pensieri.

-Ma allora credi in Qualcosa?

-L’universo è semplicemente divinamente perfetto, ammirando e indagando la natura riesco a vedere qualcosa di superiore. Prendi per esempio la mia teoria della relatività ristretta, è semplicemente una riformulazione ed estensione delle leggi della meccanica, infatti descrive eventi che avvengono ad alte energie e ad elevate velocità prossime a quella del-

la luce, riducendosi alla semplice meccanica classica negli altri casi. Pensa che si basa su due postulati quasi ovvi, il primo infatti dice che le leggi della fisica ed in particolare quelle della meccanica, dell’elettromagnetismo e dell’ottica valgono dovunque, o meglio ancora in sistemi di riferimento inerziali. Questo postulato non è altro che la ripresa del principio di relatività di Galileo!

Il secondo postulato afferma che la luce si propaga nel vuoto a velocità costante “c” indipendentemente dallo stato di moto della sorgente, per esempio una stella, o dell’osservatore.

Da queste due considerazioni ho potuto affermare che nell’universo le misurazioni di tempo e spazio effettuate da diversi osservatori inerziali, vale a dire che osservano la scena da una “posizione”, non corrispondono necessariamente fra loro! Ciò permette fenomeni come la dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze! La costanza della velocità della luce, per quanto detto prima, ha come conseguenza che anche un corpo

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fermo abbia un’energia, ciò ci porta all’aspetto forse più noto della mia teoria: l’equivalenza fra massa ed energia che in formula corrisponde ad E=mc².

Tutto chiaro?

-Diciamo che ho capito qualcosina in più rispetto a prima, ma allora cosa dice la relatività generale e perchè ci hai messo altri 10 anni di lavoro per concluderla?

-Ah, quella è stata una delle mie più grandi sfide ed è davvero molto importante, infatti descrive l’interazione gravitazionale non più come azione a distanza fra corpi dotati di una propria massa, come ad esempio il legame tra la Terra e la Luna della teoria newtoniana, ma come effetto di una legge fisica che lega la geometria (più specificamente la curvatura) dello spazio-tempo con la distribuzione e il flusso in esso di massa, energia e impulso.

-Se prima l’acqua non era cristallina adesso è addirittura torbida, ti vedo divertito della mia confusione Albert.

-Se mi hai seguito fino ad ora ti meriti i miei complimenti.

-In effetti digerire in un col-

po solo il ragionamento che ha occupato per 10 anni l’uomo più geniale del mondo non è cosa da poco.

-E pensa che ti ho risparmiato pure la parte dei calcoli anche se è proprio li che vedi la perfezione del cosmo, tutto combacia perfettamente e attende solo di essere scoperto.

-Ma in pratica cosa ne viene fuori? Quale è il risvolto pratico di tutto ciò?

- Caro giovane, sappi che tutto quello che vedi, anche in quest’immediato istante, è descritto dalla mia legge, solo che la nostra realtà è troppo lenta per apprezzare questi fenomeni. Noi rispetto alla luce siamo fermi talmente ci muoviamo lentamente, ma posso farti un esempio più concreto: prima ti ho detto che la velocità della luce è costante, da qualsiasi punto di vista la si osservi, e questa cosa è risultata assolutamente assurda, poiché va contro ad ogni concetto fisico comune nella nostra realtà a basse velocità.

Per fare un altro esempio, immagina di correre affiancando un fascio di luce. La luce viag-

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gia a 300.000 km al secondo e tu stai correndo a 200.000 km al secondo: se misurassi la velocità della luce mentre corri affianco a lei, la fisica classica suggerisce che la misurazione sarebbe di 300.000-200.000 = 100.000 km al secondo. Invece la velocità che tu misureresti sarebbe sempre di 300.000 km al secondo! Com’è possibile ti starai chiedendo? Ebbene due miei stimati colleghi, Lorentz e George Fitzgerald, ebbero un’idea: se la misurazione della velocità rimane costante, significa che varia qualche altro parametro, e questo è un concetto di base. Il parametro della velocità di qualsiasi corpo, si calcola dividendo lo spazio percorso per il tempo impiegato ( V = S/T velocità uguale a spazio fratto tempo).

Se V rimane costante significa che a cambiare sono S, quindi lo spazio, oppure T, il tempo!

Quindi a man mano che un oggetto accelera, si contrae il suo spazio (come se diminuisse di dimensione) ed il suo tempo rallenta! È come se due orologi, uno a bordo di una Ferrari lanciata a 300 km orari

e l’altro su di un macinino che viaggia a 50 km orari segnassero il tempo in modo diverso.

La Ferrari viaggerebbe nel futuro, o meglio il tempo nell’abitacolo della Ferrari scorrerebbe più lentamente, quindi il conducente della Ferrari vedrebbe gli altri all’esterno della macchina muoversi in modo accelerato ed innaturale.

Se per il guidatore del macinino passano 10 ore il guidatore della Ferrari ne passa solo 2. È sensazionale tutto ciò, ma come si può spiegare fisicamente? È contrario ad ogni legge o logica!

Capendo l’importanza di risolvere questo problema mi misi all’opera per cercare di trovare una soluzione soddisfacente.

Innanzi tutto immaginai un uomo all’interno di un ascensore e pensai che l’uomo in piedi percepisce una certa forza di gravità, ma ciò può significare due cose! O si trova sulla terra e la gravità della terra lo attira verso il basso, oppure si trova dentro un ascensore nello spazio, il quale viene accelerato da un potente razzo, così che l’accelerazione lo spinga verso

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il basso dandogli l’illusione di gravità. Ovviamente ipotizzai anche che l’uomo non fosse in grado di sapere quale delle due fosse la spiegazione corretta del fenomeno. Quindi la forza di gravità può essere simulata tramite una accelerazione!

C’è una certa equivalenza tra la gravità e l’accelerazione!

Sembrano la stessa forza e non possono essere distinte. Però mi trovai a questo punto d’avanti ad un problema, infatti questa idea funzionerebbe solo se la terra fosse piatta, ma visto che la terra è sferica com’è possibile che tutte le forze partano dal centro della terra puntando in direzioni sempre diverse in base a dove ci troviamo? L’accelerazione al polo nord è esattamente opposta all’accelerazione di gravità del polo sud!

Ti confesso ora che in quel punto mi bloccai a lungo fino a quando ebbi un’intuizione che poi si rivelò essere veritiera.

La massa della terra distorce lo spazio-tempo! Posta questa premessa è facile spiegare perché genera una accelerazione verso il centro di se stessa, ma dalla tua faccia vedo che

ti stai domandando cosa significhi distorcere lo spazio-tempo? Immagina di tendere una tovaglia dai suoi quattro angoli e posizionare una palla in centro: la palla incurva la tovaglia verso il basso e qualsiasi oggetto sulla tovaglia cadrebbe scivolando verso la palla.

Più grande è la massa della palla, maggiore è l’accelerazione con cui i pezzi le cadono contro, poiché la tovaglia si inclinerebbe maggiormente, formando un vero e proprio cono verso il basso. Chiamai questa teoria della “relatività” perché comprende oltre alla curvatura dello spazio tempo anche la gravità, al contrario della mia precedente relatività ristretta.

-Tanto di cappello, allora c’è un motivo se sei reputato il più grande fisico della storia, penso che questa illuminazione non sarebbe venuta a nessun altro!

Ma come hai fatto a dare prova delle tue teorie, soprattutto riguardo ad una così importante scoperta?

-Madre Natura diede la prova che la relatività generale fosse corretta: infatti mi diede ragione in modo eclatan-

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te nel 1919 quando, durante un eclissi di sole totale, i telescopi rilevarono che effettivamente la luce di una stella che giungeva a noi, passando nei pressi del Sole, veniva distorta dalla deformazione spazio-temporale causata dalla massa del nostro Sole stesso!

Quando seppi che la comunità scientifica avrebbe ufficialmente accettato la mia teoria provai dal profondo del cuore una gioia indescrivibile.

-Deve esserci stata proprio una grande festa a casa Einstein per celebrare l’occasione.

-Esatto, ma quello che mi soddisfò di più oltre alle lettere dei colleghi, le conferenze e i riconoscimenti fu il sentire dentro me stesso che ancora una volta avevo fatto la mia parte.

-Grazie del tempo che mi hai dedicato, è stato davvero molto piacevole parlare con te questo pomeriggio, ma si è fatto tardi e credo sia meglio che vada.

- Anche per me è stato piacevole, non lo vuoi un autografo?- mi domanda sorridendo.

-Magari la prossima volta, per ora mi limiterò ad una stretta di mano.

-Arrivederci quindi- dice scuotendomi energeticamente la mano.

Mi volto e scendendo gli scalini della veranda sento la porta di casa aprirsi quando Albert mi chiama: -Ragazzo, so che è strano, ma ora che ci penso non mi hai detto il tuo nome.

-Hai ragione, il mio nome è Dario.

-Bene Dario, quando tornerai la prossima volta non comparire in mezzo alla strada, è pericoloso.

Sorridendo chiude la porta e mi lascia più stupefatto di quanto non lo fossi all’inizio di quel pomeriggio a Princeton.

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Stefano Perdicchia, 4I

Vignette e meme

La redazione

Caporedattore: Filippo Vergani 4c Impaginatore: Davide Ferloni 5A A cura di: Beatrice Corti 4cc, Beatrice Seregni 5A, Cecilia Terraneo 5A Redattori: Tommaso Pirola 5I, Clara Cassandro 2a, Alessandro De Marchi 4a, Giuseppe Merante 4I, Giulia Burigotto 2b, Francesca Secchi 2b, Dario Arcolin 4D Giochi e vignette: Stefano Perdicchia 4I

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