Emmaus e Avvenire. Martedì 20 ottobre 2020

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Martedì, 20 ottobre 2020

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La prossima uscita sarà il 17 novembre 2020

incontri Testimoni della «Laudato si’» arte sabato 31 ottobre un breve ciclo di P incontri all’Abbadia di Fiastra sull’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, con

Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata

personalità che si propongano innanzi tutto come testimoni. Il primo a intervenire sarà don Maurizio Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo al Parco Verde di Caivano (diocesi di Aversa), nel cuore della “Terra dei fuochi”. Don Maurizio, editorialista del quotidiano Avvenire, è da sempre impegnato nella lotta per il riscatto del suo territorio e per la tutela della salute minacciata dal gravissimo inquinamento. Parlerà alle ore 16 nella chiesa abbaziale, nel rispetto delle regole di distanziamento.

Maceratasette

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Inserto di

Padre Matteo Ricci: un nuovo percorso in centro a Macerata

Antonio Barbaresi e Marco Petracci novelli sacerdoti

I 730 anni di Unimc celebrati assieme al capo dello Stato

Tavole imbandite nelle uggiose giornate autunnali

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enciclica. Nuovi il linguaggio, quello di tutti i giorni, e i destinatari, le persone di buona volontà

università

Accostarsi alla «Fratelli tutti»

«Futuro prossimo» il rettore Adornato su Unimc domani

Bisogna alimentare la consapevolezza del legame che unisce l’umanità perché la perdita della fraternità mette a rischio il mondo intero DI

NAZZARENO MARCONI *

L’

Presentazione dell’enciclica “Fratelli tutti”, Aula Nuova del Sinodo, Vaticano (foto SIR/Marco Calvarese)

Francesco di guardare alle fondamenta profonde che reggono la casa. Così fa il nuovo Francesco, rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà: li invita a riflettere sui fondamenti che rendono possibile e bello il vivere comu-

ne nel mondo. Dobbiamo riscoprire la forza e il valore della fraternità. Il cuore del messaggio è che tutti gli uomini sono fratelli. Papa Francesco rivolgendosi a dei cristiani avrebbe tante belle parole luminose tratte dal Van-

gelo per parlare della fraternità. Ma perché tutti gli uomini del mondo lo possano capire, anche i non cristiani, addirittura i non credenti, usa come filo rosso della sua enciclica il testo sulla fraternità umana firmato assie-

da sapere Il documento lle 15,54 di sabato 3 ottobre il Papa ha firA mato sulla tomba di San Francesco l’enciclica Fratelli tutti, terza del suo pontificato e prima dei tempi recenti a essere firmata fuori da Roma. Il documento era stato nnunciato dalla Sala stampa vaticana il 5 settembre 2020. Il testo, che sviluppa il tema della fraternità e dell’amicizia sociale è stato diffuso il giorno successivo, domenica 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi. Il titolo riprende un’espressione di Francesco d’Assisi, ed è in italiano anche nelle versioni in altre lingue. L’enciclica è suddivisa in 8 capitoli e 287 punti; il testo si conclude con due preghiere: una «al Creatore» e l’altra «cristiana ecumenica».

Le note dell’«Oratorio San Michele» animano l’abbazia di Fiastra musica sacra

enciclica Fratelli tutti si presenta come le precedenti, ma è invece assai diversa nel linguaggio e nei destinatari, come esplicitato dal Papa fin dalle prime pagine. Se non lo comprendiamo, potremmo restare delusi e spiazzati. E soprattutto perdere la ricchezza di questa che, come dice il Papa, è un’enciclica sociale, non un documento immediatamente teologico e catechetico. Il Papa ha scritto questa lettera per «tutti gli uomini di buona volontà»: non i cattolici, neppure i credenti, ma tutti gli uomini di buona volontà del mondo. Immaginiamolo in clergyman, in una borgata della periferia di Roma, mentre davanti alla gente che esce da un bar, inizia a parlare a chi ha la “buona volontà” di ascoltare. Non incontrerà così dei cristiani, forse neppure dei credenti, ma solo degli uomini di oggi, così come sono. E parlerà così anche a gente arrivata da ogni parte del mondo, come si incontra in tante periferie di oggi. Cosa dice loro? Innanzi tutto una cosa che ricorda il racconto della vocazione di san Francesco avvenuta a San Damiano: «Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando?». Non era la chiesa di san Damiano che crollava, come pensava all’inizio Francesco, ma era la casa di Gesù, cioè tutta la Chiesa. Però, il nuovo Francesco ascolta le parole del Crocifisso in maniera ancora più ampia e dice al mondo: «Non vedete che questa casa, la casa comune che è il mondo, sta crollando?». Sta crollando la casa di Dio che è il mondo. E nel mondo non crollano primariamente gli edifici, o l’economia, o l’ambiente, ma qualcosa di più radicale e fondamentale: la fraternità. Perché una famiglia e anche la famiglia dell’umanità, si regge sulle fondamenta della fraternità, e se crolla la fraternità crolla l’intera famiglia, crolla tutta la casa. Secondo il Papa la crisi mondiale non è solo questione di organizzazione o di economia, ma è molto più profonda. Come la parola del Crocefisso andava in profondità e chiedeva a san

na potente preghiera a Maria Santissima e a san Michele si è alzata nel pomeriggio di domenica 18, davanti a un U folto pubblico, nella chiesa abbaziale di Fiastra, intonata dai solisti Marta Fiorillo e Fabrizio Crisci, dal coro polifonico «Soli Deo Gloria» diretto da Benedetto Chianca, e dalla «Chamber Orchestra Richard Strauss» diretta dal maestro Maurizio Petrolo. L’«Oratorio San Michele» è stato composto da padre Armando Pierucci ofm, per molti anni organista del Santo Sepolcro a Gerusalemme, rientrato da qualche tempo nelle Marche.

me all’imam al–Tayyeb di al–Azhar, il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” del 4 febbraio 2019. Per questo parla di fraternità dicendo che tutti gli uomini condividono la stessa natura umana. Tutti – anche chi non crede, anche chi non ha una prospettiva che guarda oltre la morte – possono riconoscere il valore della fraternità fondato sul fatto che poggiamo i piedi sull’unica terra. Vestire la stessa pelle umana, con la bella varietà dei suoi colori, fonda una fraternità, ci dice Francesco, che siamo chiamati ad annunciare al mondo. La prima parte della lettera è un’analisi impietosa, ma realistica, del mondo di oggi, nel quale ci siamo dimenticati della fraternità, e ci dividiamo, ci offendiamo, ci sfruttiamo e facciamo guerra in tanti modi. La domanda è: potremo cambiare questo stato di cose? Il nostro vecchio mondo, soprattutto quello occidentale, che è ancora centro di propulsione dell’economia e del pensiero, ma è la parte più vecchia del mondo vecchio, potrà rinascere alla fraternità? Noi cristiani possiamo contare sul fatto che l’unico Padre celeste non è mai “in ferie”, che Gesù, «morto per riunire i figli di Dio che erano dispersi» in una rinnovata fraternità, con la sua resurrezione è vivo, presente e opera. Lo Spirito Santo che agisce nel cuore di ogni uomo, rinnova i cuori e li rende fraterni con la sua grazia. Per tutto questo noi cristiani siamo chiamati a essere lievito di fraternità, seme della pace che la fraternità rinnovata vuol costruire. Non a caso l’enciclica cita più volte i testi di papa Benedetto XVI sulla visione cristiana dell’Amore come la Deus Caritas est e la Caritas in Veritate. Questo impegna in prima persona noi cristiani a sostenere la speranza del mondo con la forza della fede e della grazia che il Signore ci comunica. Il Papa poi, per essere compreso da tutti, usa la parabola evangelica del buon samaritano, un testo che mostra anche a chi non crede che le barriere si possono infrangere, che la fraternità si può vivere se ci facciamo “prossimo” a chi è nel bisogno. La parabola dice che nella relazione tra uomo e uomo c’è sempre la scelta tra passare oltre, essere indifferenti alla sofferenza, adottare la logica dello scarto delle cose e delle persone, o farsi prossimo. Così si cambia il mondo dal basso, seminando la fraternità. «Fai un passo per farti prossimo», dice a tutti il Papa, «non aspettare che tutto giunga dall’alto»: inizia a costruire fraternità! Se sei credente, fallo nella forza della tua fede; se non sei credente, fallo nella speranza di evitare il crollo del mondo. Fallo per evitare che affondi la grande barca in cui stiamo tutti assieme. * vescovo

Willy e don Roberto, due esistenze d’oro Anche in questo tempo malato abbiamo bisogno di reti. E di gente capace di rischiare per una causa buona, per una società che si china su chi è caduto o sofferente DI

GIANCARLO CARTECHINI

A

ttorno alla metafora della “rete” si è sviluppato un sentire comune diffuso in molti aspetti della vita civile. Aziende, movimenti politici, realtà associative: tutti hanno attinto a piene mani a quella che sembrava essere una con-

quista irreversibile di partecipazione democratica. Struttura capillare e inestricabile di relazioni. Il trionfo della prossimità. Rivincita, a ben vedere, di una periferia disordinata e vitale, rispetto alla precisione geometrica delle gerarchie. Contaminazione di esperienze e di idee, si sarebbe potuto dire fino a qualche mese fa. Fino a quando, cioè, la comparsa della pandemia ha restituito al termine “contaminazione” il suo significato originario, e la rete con le sue innumerevoli connessioni ha finito per rappresentare un veicolo temibile di diffusione del contagio. Viviamo tempi difficili, in cui siamo chiamati a ricercare un equilibrio precario tra l’esigenza

di mantenere le distanze per tutelare la nostra salute, e la necessità di ribadire il valore delle relazioni umane senza cedere alla tentazione di erigere muri di diffidenza. Può essere utile, da questo punto di vista, rileggere le motivazioni con le quali, nei giorni scorsi, il presidente Mattarella ha conferito la medaglia d’oro al valore civile alla memoria di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo morto nel tentativo di proteggere un amico da un pestaggio, e la medaglia d’oro al merito civile a don Roberto Malgesini, sacerdote di Como accoltellato da uno dei poveri che aiutava. La medaglia al valore civile premia atti di eccezionale coraggio. Segnala cittadini che hanno ri-

schiato la vita per salvare persone esposte a un grave pericolo. Willy era un ragazzo di 21 anni, lavorava in una pizzeria e amava il calcio: «Dando prova di spiccata sensibilità e di attenzione ai bisogni del prossimo, interveniva in difesa di un amico in difficoltà, cercando di favorire la soluzione pacifica di un’accesa discussione». La medaglia al merito invece si dà per premiare le persone che si sono prodigate per soccorrere chi si trova in stato di bisogno. Come don Roberto, che ha sempre aiutato tutti, offrendo a tutti accoglienza e sostegno. Esempio di uno «straordinario messaggio di fratellanza e di un eccezionale impegno cristiano spinti fino all’e-

Il presidente della Repubblica ha conferito la medaglia d’oro al valor civile alla memoria di Willy Monteiro Duarte e la medaglia d’oro al merito civile, alla memoria di don Roberto Malgesini

stremo sacrificio». Nelle motivazioni non si accenna mai alla nazionalità di Willy e di Roberto e dei loro aggressori, né al colore della loro pelle. Il vescovo Nunzio Galantino, in un articolo pubblicato sul “Sole 24 Ore” a commento dell’enciclica Fratelli tutti ha scritto: «Il buon samaritano trasforma

la strada dell’aggressione e del delitto in cantiere per la costruzione di una società che sa includere, integrare e sollevare chi è caduto o è sofferente». Anche in questo nostro tempo malato, soprattutto adesso, abbiamo bisogno di reti. E di gente capace di rischiare per una causa buona.

DI

PIERO CHINELLATO

U

nimc ha potuto finalmente celebrare il 730° anniversario della sua fondazione alla presenza del Capo dello Stato. Dopo il rinvio causa lockdown della cerimonia prevista per il 9 marzo, si è temuto anche per l’appuntamento del 15 ottobre, ma per fortuna tutto è filato liscio. Al rettore Francesco Adornato, legittimamente soddisfatto chiediamo come Unimc arriva al traguardo dei 730 anni. Vi giunge con una forte voglia di fare. In questi anni ci ha sostenuto la fiducia di tanti giovani, proiettati a una cittadinanza globale, accompagnata da una mente multiculturale e interculturale. Vogliamo incrociare le etnie, i linguaggi, i volti, le esperienze, i saperi di chi arriva dall’Italia, dall’Europa, dal mondo. Il terremoto, però, continua a pesare... Sì, ma non ci siamo arresi; nonostante ci abbia lasciato 8.000 metri quadrati di spazi inagibili, tra i quali luoghi simbolo quali l’Aula magna, l’antica biblioteca, l’auditorium San Paolo, abbiamo reagito puntando sulle nostre risorse e sulle energie che ci vengono da un forte spirito di appartenenza a un ateneo e a una città che sono anche – me lo lasci dire – comunità. Ora i giovani sono tornati... È stata una scommessa e una preoccupazione, ma sono tornati davvero. Il segnale della volontà di archiviare il distanziamento fisico lo abbiamo colto a settembre quando abbiamo consegnato in piazza le pergamene a circa 1.000 studenti che si erano laureati a distanza. Una festa per loro ma anche per l’intera città... Francesco Adornato Sì. Quel gesto ha mostrato che c’era un’energia che voleva prorompere. E adesso le iscrizioni vanno oltre ogni nostra aspettativa. In questi anni abbiamo peraltro sempre superato i 10.000 studenti, di cui 600 internazionali, e coi corsi post–laurea e i dottorati sfioriamo i 12.000. Gli ultimi dati mostrano un +7,64% di iscrizioni rispetto alla pari data del 2019. Un risultato che convalida il motto della campagna per le iscrizioni: “Futuro prossimo” “Futuro prossimo” trasmette l’idea che i luoghi accademici, spesso considerati distanti, possano tornare punto di riferimento per la comunità civile e per i territori circostanti. L’idea di accoglienza che proponiamo viene percepita come risposta credibile al bisogno di vicinanza oggi tanto avvertito. Il 15 ottobre abbiamo avuto qui il presidente Mattarella... Ringrazio il presidente della Repubblica per la generosità dimostrata. Per noi è stata un’iniezione di fiducia. È il rappresentante più autorevole e coerente della coesione del Paese, custode rigoroso della nostra sovrana Costituzione, testimone di un’Italia etica, virtuosa, solidale, quell’umile Italia – uso un’espressione del presidente che viene da Dante – per cui vale la pena di impegnarsi e combattere. È di pochi giorni fa la sua nomina a segretario generale della Conferenza dei rettori delle università italiane nella quale è anche referente del Gruppo sulle Aree interne. Cosa rileva da questo osservatorio? Io penso che le università delle aree interne debbano credere in se stesse, nella possibilità di produrre idee, processi, innovazioni. Le quattro università delle Marche dovrebbero sviluppare processi di aggregazione se non addirittura federativi, ponendosi il problema di una sostenibilità complessiva del territorio che includa la sostenibilità universitaria. Cesare Pavese ne La luna e i falò scriveva: «un paese ci vuole», ma ci vuole un paese come segno di un’appartenenza e non come un residuo di borghi sempre più disabitati e isolati. Vanno recuperati i servizi intermedi; le Università servono a sviluppare pensiero, le imprese a intervenire, le istituzioni a guidare, il volontariato ad animare processi che attraverso la sussidiarietà mostrino che è possibile risorgere, ricostruire. Il nostro problema è in noi, innanzitutto.


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