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Martedì, 16 marzo 2021
CARITAS Etiopia: emergenza guerra Tigray
italiana collabora da anni con la sua omologa dell’Etiopia. Dopo lo scoppio del conflitto Cnelaritas Tigray la rete Caritas ha lanciato un program-
Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata
Telefono 0733.231567 E-mail: redazione@emmetv.it Facebook: : emmetvmacerata Twitter: emmetvmacerata
ma di aiuto che ha un duplice obiettivo: migliorare le condizioni di vita e il sostentamento delle comunità colpite dal conflitto minacciate da insicurezza fisica, alimentare e sanitaria attraverso la fornitura di assistenza umanitaria; promuovere la convivenza pacifica per garantire la fiducia e la tolleranza reciproca tra i diversi gruppi etnici attraverso iniziative integrate di costruzione della pace. Un totale di 353.000 persone potranno essere raggiunte se il programma sarà finanziato interamente. Le offerte possono essere consegnate in parrocchia o alla Caritas diocesana, IBAN IT 39 S 05387 13401 0000 4204 7019 - Causale: Emergenza Etiopia
Inserto di
La comunità che va in diretta per stare accanto alla gente
Dopo la chiusura nuove aperture che fanno sperare
Daniela Corsi, direttore AV3: la lotta al virus
S. Madre di Dio: il centro vaccini nell’oratorio
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La lettera pastorale del vescovo: un cammino per provocare, discernere, ricominciare
Per una Chiesa viva oggi DI NAZZARENO
Marconi propone un lavoro sinodale, simile a un metodo sperimentale. Si formula una teoria, si immagina un’ipotesi, si agisce e, se il risultato è giudicato soddisfacente, si fa un passo ulteriore
MARCONI *
U
Messa crismale 2020 all’Abbadia di Fiastra
gelico, diventerà particolarmente complesso e spesso non si realizzerà secondo le speranze. Gesù ci dice che dobbiamo essere “nel mondo”, agire “per il bene” del mondo, ma non diventare “del mondo”, non appiattirci in un pensiero mondano che spesso è lontano dal Vangelo. In questa situazione la missione di evangelizzare il mondo, la missione della Chiesa, è diventata particolarmente complessa. La reazione di alcuni porta a cambiare il metodo ope-
rativo in: sapere, giudicare, agire. Si tratterebbe solo di conoscere la fede in astratto e prima del contatto col reale, poi di giudicare il mondo a partire da idee e schemi già dati e quindi di diventare operativi. Un metodo bello ed affascinante, perché è chiaro e semplice, ma che ci lascia “fuori dal mondo”. In questo metodo pastorale non si attua nessuna incarnazione, non c’è nessun avvicinarsi alla realtà pieni di compassione, è il metodo del fariseo, che giudica da lonta-
no, non del buon samaritano che si avvicina e si sporca le mani. Cosa resta da fare? Non ho certo ricette da proporre, ma in questi anni ho visto il buon risultato di un metodo molto vicino al metodo sperimentale. Lo scienziato, che sulla base di ciò che sa ha formulato una teoria, immagina un’ipotesi, colpisce la realtà aspettandosi una risposta e se vede che “funziona”, fa un ulteriore passo avanti. Se dovessi definire una terna direi: provocare, discernere, ricominciare.
IL PROGRAMMA
Le celebrazioni del Triduo 1 aprile ore 10.00 – Messa Crismale – Abbadia di Fiastra 1 aprile ore 18.30 – Messa in Coena Domini – San Giorgio Macerata 2 aprile ore 15.00 – Predicazione delle Tre ore di Passione – San Flaviano Recanati 2 aprile ore 18.00 – Liturgia della Adorazione della Croce – San Giorgio Macerata 2 aprile ore 20.30 – Via Crucis per le vie del Centro Storico, con rappresentanti della Città 3 aprile ore 19.00 – Veglia di Pasqua – Immacolata Macerata 4 aprile ore 10.30 – Messa Pontificale di Pasqua – San Giorgio Macerata Tutti i riti saranno trasmessi in diretta su EmmeTv Canale 89 e sul canale YouTube della Diocesi.
Macerata-Loreto: «Quando vedo te, vedo speranza» PELLEGRINAGGIO
na caratteristica che deve sempre contraddistinguere lo stile cristiano nel vivere le situazioni dell’esistenza è la prospettiva, la visione, che per noi si chiama Speranza. Per questo, come nello scorso anno, ho preparato, per consegnarla nella Messa Crismale, la Lettera Pastorale per il prossimo anno pastorale, che inizierà a settembre 2021. Sei mesi di anticipo potrebbero sembrare eccessivi, ma la motivazione è legata al metodo pastorale con cui stiamo lavorando ormai da tempo. Anche io come molti vengo da un tempo in cui il metodo pastorale era ritmato in: vedere, giudicare, agire. Vedere la realtà, giudicarla alla luce della Parola di Dio e della sapienza consolidata della Tradizione, progettare di conseguenza una linea di azione secondo temi, ritmi, iniziative consolidate nel tempo. Questo funzionava in un mondo armonico ed omogeneo, dove la fede cristiana era ancora uno degli elementi costitutivi dello stile di vita della maggioranza. Oggi invece siamo in un tempo costantemente in cambiamento, dove i riferimenti della fede tendono a diventare marginali per i più, mentre problematiche nuove e sempre più complesse, non trovano facilmente nella Tradizione risposte o orientamenti immediati e indubitabili. La realtà poi è difficile da leggere con un occhio cristiano, perché nessuno può vederla tutta e direttamente. La grande interconnessione di un mondo fattosi piccolo, eppure sempre grandissimo, non permette di abbracciare con lo sguardo tutta la realtà che ci riguarda. Se oggi è difficile vedere una realtà così ampia e complessa, possiamo solo sentircela raccontare dai mass media. La mia lunga esperienza di studio biblico sulle “narrazioni” mi ha insegnato quanto siano potenti le armi della narrazione. Non a caso nella politica di oggi si parla tanto dell’importanza della narrazione, del saper raccontare la realtà per indirizzarne la comprensione e influenzare così i processi decisionali della gente. Una realtà “narrata” è già ritagliata, interpretata, colorata e non solo in superficie. Nel mondo di oggi chi si limita a vedere la realtà attraverso il racconto dei media, non avrà mai una visione evangelica delle cose. Da un tale vedere deriverà un giudicare già segnato dal pensiero dominante, spesso tutt’altro che credente e cristiano. Da ciò consegue che il progettare, per poi agire in stile evan-
uando vedo te, vedo speranza». È il tema del 43° Pellegrinaggio Macerata-Loreto in programma sabato «Q 12 giugno. Punto di partenza una domanda: nella situazione attuale c’è speranza? Nella risposta, cioè nel tema della marcia, riecheggia la canzone di un giovane cantautore inglese, che descrive come la speranza nasca solo di fronte a un volto preciso. Come l’anno scorso il pellegrinaggio si svolgerà nella forma di un gesto a Loreto, che sarà possibile seguire a distanza. (Nella foto un’immagine dell’edizione 2020)
Partendo dall’ascolto del Vangelo e della sapienza millenaria della Chiesa, una sapienza spirituale ma anche antropologica, credo che il compito del Vescovo sia quello di: provocare un pensiero non scontato sul reale, indicare una via che scomodi le nostre abitudini, narrare il reale da un punto di vista diverso da quello facile e dominante. Questo cerco di fare ogni anno di più con la mia Lettera Pastorale, che non è una summa di risposte già pronte e sicure, ma piuttosto una raccolta articolata di domande, che spero non appaiano scontate. È l’indicazione di vie forse degne di essere esplorate. È la proposta di riscoprire stili e metodi che abbiamo dimenticato, o troppo velocemente messo da parte. Lavoro come fa lo scienziato che prepara un esperimento: da una parte desidera che l’esperimento riesca, così da confermare la bontà delle sue teorie, ma dall’altra valuta positivo anche un fallimento, perché solo così potranno giungere teorie nuove e migliori. Per questo consegno per tempo la mia Lettera Pastorale: perché possa essere corretta, provata, criticata e spero migliorata da molti. Questo intendo per lavoro “sinodale”. Solo con questo contributo comune la Lettera diventa un materiale provocante, utile per discernere ciò che è più giusto, per fare un passo avanti. Non fare cento passi, non aprire una nuova strada, ma fare solo un piccolo passo possibile. Poi il metodo richiede di ricominciare. Ricominciare a lasciarci provocare dalla Parola e dalla sapienza della Chiesa, in vista di un altro piccolo passo possibile. Non è certo un metodo pastorale che appaia glorioso ed entusiasmante. Ma per i tempi in cui viviamo, mi sembra il più saggio. Direi che il titolo della prossima lettera potrebbe essere: “Per una Chiesa viva e non sopravvissuta”. * vescovo
TOLENTINO
Fra Mario, al via la causa di beatificazione DI
ALESSANDRO FELIZIANI
L
a strada che può portare alla beatificazione del religioso agostiniano fra Mario Gentili, per tutti “fra Mario”, è stata aperta. La Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, infatti, ha autorizzato l’apertura del processo diocesano. Era stato il vescovo Nazzareno Marconi ad inoltrare la richiesta, dopo che nel dicembre 2019 la Conferenza episcopale marchigiana aveva espresso il proprio «corale assenso» ad avviare la fase introduttiva del processo. Originario di Colmurano, fra Mario Gentili era entrato nell’Ordine agostiniano all’età di sedici anni, trascorrendo poi il resto della sua vita nel convento di San Nicola a Tolentino, dove si è spento il 2 maggio 2006 all’età di 78 anni. Per circa sessant’anni, ha esercitato con grande dedizione un prezioso servizio all’interno della Basilica soprattutto – come ricorda padre Marziano Rondina, a lungo priore del convento e poi provinciale dell’Ordine agostiniano – nell’accoglienza ai pellegrini, «maturando una esemplare testimonianza di amore a Cristo e alla Chiesa nell’imitazione di san Nicola e nella piena fedeltà alla spiritualità agostiniana con raffinata attenzione a tantissima gente avvicinata con gioiosa gratuità». Piccolo di statura, ma gigante per competenza e conoscenza della storia, dell’arte e della cultura agostiniana, oltre a trasmettere il profondo amore per san Nicola, fra Mario riusciva immediatamente a entrare in grande empatia con quanti lo avvicinavano. Il suo “segreto” era il sorriso. Un sorriso contagioso che lo ha reso il frate agostiniano più benvoluto, non solo nella sua città. «Sei sempre nel nostro cuore» è stata l’espressione più ricorrente di quanti gli hanno reso omaggio dopo la morte. Ora quella frase è diventata il titolo di un libro edito dalla Biblioteca Egidiana nel quale padre Rondina ha raccolto le più significative testimonianze di quanti in questi anni hanno scritto un pensiero affettuoso o un ricordo personale sul registro posto all’interno della chiesa del cimitero di Tolentino, nella cappella degli agostiniani, dove riposano le spoglie di fra Mario. Il libro appare come un’insolita biografia dell’amato frate, «scritta dall’affetto e dalla gratitudine di chi lo ha conosciuto e lo sente ancora vivo e presente». Le diverse testimonianze sono suddivise per temi (accoglienza, pace, famiglia, giovani, invocazioni di protezione ed intercessione, ringraziamenti) che danno vita ad altrettanti capitoli, introdotti ciascuno da un testo critico.
Covid: non una guerra, ma un mondo da curare DI
GIANCARLO CARTECHINI
D
La tendenza a ingigantire gli aspetti negativi ci impedisce di comprendere cosa stia realmente accadendo e a reagire con efficacia
omenica mattina in zona rossa. In tempi normali le giornate di sole, a marzo, rappresentano una benedizione da cogliere al volo. Però oggi le auto sono rimaste in garage. Un giro intorno al proprio quartiere è il massimo che ci si può permettere. Un gruppo di amici sta discutendo. Il più alto indossa una mimetica dell’esercito: si muove in continuazione, come il cane di grossa taglia, pelo raso, che porta al guinzaglio. Un cane – si vede subito – abituato ad essere trattato da cane: coda tra le gambe, sguardo traverso. La sua parte in commedia è quella di esaltare la forza dell’altro, il padrone, o forse la fragilità di un
adolescente cresciuto in fretta. Parlano di donne e di università, dei loro progetti di viaggiare all’estero quando si potrà tornare a viaggiare. Uno di loro – indovinate chi – sogna una carriera militare negli Stati Uniti. Poi cambiano argomento. «Tutta colpa dei cinesi – dice quello seduto in panchina – sono riusciti a corrompere i membri dell’Oms, così l’allarme per la pandemia è stato lanciato in ritardo». «I cinesi sono ricchi, possono comprare tutto», lo asseconda l’amico seduto al suo fianco. «Non si tratta di ricchezza – precisa l’altro – ma di capacità di esercitare la propria influenza in ambito internazionale. Nasce tutto da lì». La tendenza a concentrarsi sulla ricerca del colpevole, quando ac-
cade un incidente, rappresenta un meccanismo istintivo che abbiamo ereditato dai nostri progenitori. Entra in gioco senza che ce ne rendiamo conto. Fa parte di quella che il medico Hans Rosling, accademico e fondatore della sezione svedese di Medici senza frontiere, chiama, nel suo saggio dal titolo Factfulness, una visione drammatica del mondo, che porta ad ingigantire gli aspetti negativi e impedisce di comprendere cosa stia realmente accadendo. Polarizziamo una realtà complessa in buoni e cattivi, ricchi e poveri, potenti e deboli. Cerchiamo spiegazioni semplici. L’istinto dell’accusa – pensiamo al livore che circola nei social nei confronti di politici, vicini di
casa, runner, habitué della movida, stranieri – ci induce a ingigantire l’importanza di individui e gruppi particolari e ci deconcentra, perché una volta deciso a chi dobbiamo tirare il cazzotto, ci disinteressiamo del resto: smettiamo di cercare spiegazioni, e soprattutto non riusciamo a concentrarci sulle possibili soluzioni. Le parole di Rosling meritano attenzione. Nel suo saggio, pubblicato nel 2018, aveva visto giusto. Al primo posto tra i 5 maggiori rischi globali che corre l’umanità aveva indicato proprio una pandemia: «I vari esperti di malattie infettive concordano che un nuovo resistente tipo di influenza è ancora la minaccia più sinistra per la salute globale. La
ragione: le vie di trasmissione della malattia. Una persona può salire su un vagone della metropolitana e contagiare tutti i passeggeri». Non la previsione di un indovino, dunque, ma la lettura attenta di dati scientifici già allora disponibili. Ecco quello che dovremmo fare. Smetterla di abbaiare al vento ogni volta che il vento suggerisce un latrato, e concentrarci sull’essenziale. Non abbiamo bisogno di un immaginario di guerra, ma di parole di cura. Non ci sono nemici da combattere, ma persone malate da accudire, un tessuto sociale da ricostruire, istituzioni da sostenere. La volontà di potenza di un adolescente può farci sorridere, quella di un adulto può provocare disastri.