post sisma
Una mano al territorio
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Martedì, 16 luglio 2019
Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
e ferite inferte dal terremoto sono lungi dall’essere sanate e L continuano a pesare sulla vita di
A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 62100 Macerata telefono 0733.231567
molte comunità. Chi desidera contribuire sostenendo le iniziative di ricostruzione della diocesi, può farlo effettuando un bonifico a: Diocesi di Macerata-TolentinoRecanati-Cingoli-Treia. Causale: Offerta pro terremoto. Iban: IT61Q0605513401000000011753
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MACERATA
il tema. Convivenza che cerca il bene comune e l’armonia
Vescovo, Chiesa e politica Il pastore deve annunciare i valori, ma può anche proporre scelte concrete, offrendole al dibattito pubblico senza pretesa di verità Proponiamo un estratto dell’intervento svolto dal vescovo il 1° luglio, su invito dell’associazione di cultura politica “La Tenda”, a un incontro che ha avuto luogo alla Domus San Giuliano aperto a politici, amministratori locali e persone interessate alla politica. iviamo in un mondo di idee e opinioni sovrapposte, confuse, spesso gridate. Questo porta spesso, anche “in casa nostra”, a scontri e contrapposizioni distruttive. Quando la pancia domina sulla testa e il grido prevale sull’argomentazione, siamo agli antipodi dello stile di confronto tra cristiani che la Fides et ratio auspica. Provo qui a chiarire il ruolo e la responsabilità del vescovo e della Chiesa locale rispetto all’azione politica. Il vescovo come l’abate benedettino è scelto, non autoproclamato. È primariamente l’uomo del duplice ascolto: del Signore che ci guida attraverso la sua Parola, e della Comunità, per giungere ad una sintesi. È un compito impegnativo, che indica una autorità chiara, ma non assoluta e in alcun modo assimilabile a certo leaderismo politico. In questo quadro vi è un piano della Dottrina sociale della Chiesa, cioè del Magistero, che impone al vescovo di testimoniare con chiarezza i grandi valori su cui si basa la convivenza umana, che cerca il bene comune e l’armonia sociale. Pio XII definiva il bene comune come «le condizioni esterne necessarie all’insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa». Un principio che offre direttive che si incarnano in scelte economiche concrete. Esemplare al riguardo il “Codice di Camaldoli” (testo redatto nel luglio 1943 da un gruppo di intellettuali cattolici che già pensavano all’Italia post–bellica, ndr) con i suoi 8 principi regolatori dell’economia: la dignità della persona, l’eguaglianza dei diritti personali, la solidarietà, la destinazione primaria dei beni materiali a vantaggio di tutti gli uomini, la possibilità di appropriazione dei beni nei modi legittimi fra i quali è preminente il lavoro, il libero commercio, la giusta remunerazione del lavoro, la possibilità di intervento dello Stato. Sempre il Codice di Camaldoli definisce l’armonia sociale come: «l’esito dell’interazione di diversi fattori, il primo dei quali è la giustizia sociale». Lo Stato deve puntare a garantire a ogni cittadino un lavoro, vigilando sul libero mercato
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che non è automaticamente sempre buono. Corollario dell’armonia sociale è «il dovere dell’obbedienza allo Stato, inteso come primo e fondamentale garante dell’ordine pubblico». Dai due principi, bene comune e armonia sociale, si possono dettagliare una serie di valori fondamentali che rintracciamo già nel Decalogo di Mosè, sintesi del sistema valoriale della cultura latino–giudeo–cristiana, su cui si radica come memoria fondativa la nostra identità nazionale: «Non uccidere» – il valore della vita umana, da cui deriva l’impegno a evitare la guerra, la pena di morte, l’aborto, l’eutanasia, la segregazione razziale, la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento dei poveri e dei deboli, la violenza. «Onora il padre e la madre e non commettere adulterio» – Il valore della famiglia, come prima cellula della società generatrice di vita e di futuro, da tutelare, favorire, anteporre in dignità e tutte le strutture sociali e politiche secondarie, quale è lo Stato. «Ricordati di santificare le feste» – Il valore del lavoro e del riposo, come diritto–dovere primario della persona, che fonda la sua dignità e permette la vera promozione umana. Ne deriva la tutela di una giusta retribuzione, la sanità dei luoghi e dei processi lavorativi, la tutela previdenziale e quella assistenziale in caso di disoccupazione... A questo si connette il valore del riposo e del divertimento, assieme alla promozione della socializzazione e del confronto di idee, possibili solo se la gestione dei
Un dettaglio dell’affresco di Ambrogio Lorenzetti “L’allegoria del buon governo”
tempi del riposo è volta a far incontrare le persone e non a isolarle sul divano di casa. «Non rubare e non sequestrare le persone» – Il valore della liberà personale, sempre intesa nel quadro del bene comune. Ciò comporta l’impegno comune per la partecipazione alla conduzione politica della società. A questo valore si collega la libertà religiosa. «Non dire il falso» – Il valore della verità nella comunicazione, perché l’opinione pubblica si costruisca liberamente secondo il discernimento saggio e l’esperienza delle persone, con mass–media e produzione culturale e di svago che tutelino i minori e le persone culturalmente meno attrezzate contro plagio e strumentalizzazione. Nel concreto tale libertà si tutela dal basso, sostenendo e favorendo
le voci del territorio (radio, Tv, giornali sia stampati che online) rispetto ai grandi network. La miglior difesa della verità è legata alla diffusione della conoscenza e alla crescita culturale della popolazione. Il vescovo deve annunciare i valori, i quali, come ha ribadito papa Francesco, in sé non sono mai negoziabili. È solo “negoziabile” la modalità concreta di tutelare e promuovere ogni valore. Quando il vescovo e la comunità cristiana annunciano questi valori, declinandone l’attuazione nella vita della società, non compiono una indebita “invasione” dell’ambito laico. È laicismo deteriore e non laicità distinguere nell’uomo l’ambito delle convinzioni e desideri interiori, tra cui la fede, da quello dell’azione esteriore e pubblica. Il secondo piano della responsabi-
250 foto della Grande Guerra in mostra all’Abbadia
È aperta all’Abbadia di Fiastra, tutti i giorni dalla 9.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19, fino alla data emblematica del 4 novembre, la mostra «Obiettivo sul fronte. Carlo Balelli e le squadre fotografiche militari nella Grande Guerra», organizzata dal Centro Studi “Carlo Balelli” in collaborazione con le Fondazioni Carima e Giustiniani Bandini. Allestita nell’ex Ospizio dei Pellegrini, propone 250
fotografie della Grande Guerra realizzate da Carlo Balelli, che operò in prima linea nelle squadre fotografiche del Regio Esercito. Immagini di grande qualità tecnica e artistica colgono tanti aspetti del conflitto: le terribili condizioni della guerra in montagna, le città bombardate, le processioni di prigionieri, le battaglie decisive, l’armistizio... L’ingresso è libero. (P.Chin.)
lità del vescovo è quello della sollecitudine pastorale per il bene comune e l’armonia sociale del popolo a lui affidato. Nel concreto di scelte parziali e storiche – economiche, amministrative, educative e anche genericamente politiche – è bene che il vescovo condivida il suo pensiero con i collaboratori e con i credenti, offrendolo come contributo di riflessione anche a tutti gli “uomini di buona volontà”. Queste valutazioni di scelte concrete non hanno però il valore e l’autorevolezza del Magistero sulla Dottrina sociale. Proponendole, il vescovo si pone al livello del dibattito pubblico e del confronto sereno, che non solo tollera la contestazione o la proposta diversa, ma la considera un valore, purché il clima sia di vero confronto e di collaborazione di tutti alla ricerca del bene comune e dell’armonia sociale. Per questo quando il Vescovo entra nell’ambito del dibattito non compie un’ingerenza: è suo compito di pastore e maestro aiutare a comprendere come la visione di fede si possa incarnare in situazioni concrete. Da parte sua tale azione chiama necessariamente i laici cristiani a un coinvolgimento responsabile. Questo attua un modus operandi sanamente laico e né laicista, né clericale. Nel concreto il vescovo propone temi di riflessione e letture della situazione sociopolitica a quanti sono interessati, in maniera trasparente e pubblica. Il laicato ecclesiale è invitato a rispondere con libertà e responsabilità, soprattutto a partire dalle proprie competenze. Sta infine al vescovo cercare di offrire una sintesi saggia che possa essere riproposta a tutta la comunità credente. Questo stile potrebbe anche essere definito con una parola oggi di moda: sinodale. Nazzareno Marconi, vescovo
San Benedetto, una sapienza verso giorni felici el cambio d’epoca che stiamo vivendo, la piccola Regola per principianti che san N Benedetto ancora ci offre può essere utile per vivere la sapienza di un nuovo inizio che coincide con il risveglio del gusto della vita. Nei passaggi difficili dell’esistenza la gioia del vivere può essere offuscata dalla paura e dalla tristezza. In questo clima, a noi come ai primi lettori della Regola, viene posta una domanda che sgorga dal libro dei salmi: «Chi è l’uomo che vuole la vita e brama vedere giorni felici?» (Sal 33). Papa Francesco fa un invito simile: «Figlio mio, per quanto ti è possibile, non privarti di un giorno felice» (Sir 14). Vedere i giorni che ci aspettano come una promessa di felicità è già porre il germe di una nuova epoca. La sapienza di Benedetto, festeggiato l’11 luglio, è strumento per poter rincominciare da una sorgente zampillante. La vita benedettina ha prodotto molte opere. Le scolaresche e i curiosi che visitano i monasteri sono a volte prigionieri del mito di monaci che copiano libri e bonificano le terre. Ma ci sono gli sguardi più seri che colgono l’attenzione che le comunità hanno dedicato alla cultura, all’accoglienza e all’assistenza dei poveri. Ma i monaci, pur svolgendo con passione queste e altre opere, non si sono mai identificati con esse. Il loro motivo di essere è stato e resta la ricerca di Dio: è questo il loro “nobile servizio”, come si esprime il Concilio Vaticano II. Nella loro ricerca riconoscono i lineamenti nobili della propria e altrui umanità lanciata verso la sua pienezza. Chi cerca Dio resta in contatto con il desiderio di abitare il mondo in modo totalmente nuovo e si esercita nell’attesa del momento in cui si compirà la beata speranza e verrà il nostro Signore Gesù Cristo. La Regola di san Benedetto risveglia la sapienza di una sana umanità disegnando gli spazi. Dalla chiesa agli ambienti di lavoro, dalla cura del canto a quella della cucina, san Benedetto insegna il sentiero dell’umiltà che è fatto di misura, di bellezza e di audacia. «La via della salvezza all’inizio può essere stretta. Ma con l’avanzare, il cuore si dilata e con indicibile dolcezza d’amore si corre sulla via dei comandamenti di Dio» (Prologo alla Regola). I comandamenti sono la via. La dolcezza dell’amore è la meta cioè la vita eterna che inizia già ora. La pace del vivere insieme non è mai scontata, ma può nascere in ambienti abitati da sguardi che hanno cura delle persone e le custodiscono. Per la Regola sono gli sguardi degli anziani, di coloro che non sono fuggiti quando la strada si è fatta ripida e possono trasmettere una eredità della loro esperienza. Ogni eredità è uMonastero di Pra’d Mill na risorsa messa a disposizione di chi è più giovane, ma anche un’opera incompiuta da continuare in modo creativo. Preoccuparsi della trasmissione di una sapienza da una generazione all’altra è già compiere la traversata da un’epoca all’altra. Quest’anno la festa di san Benedetto si arricchisce della celebrazione dei 900 anni della nascita dell’ordine cistercense. All’inizio del XII secolo l’approvazione pontificia della Carta di Carità, riconosce la rilettura della Regola nel segno di una maggior cura della vita fraterna, della ricerca della solitudine e della povertà. Un tessuto di comunità ricoprì l’Europa dando vita a una cultura feconda per l’intera società. Oggi forse la consegna ci viene dai monaci di Tibhirine, gli ultimi beati germogliati nella famiglia cistercense. Fr. Christian, il priore, avverte come la gioia dello Spirito Santo sia stabilire la comunione giocando con le differenze. In un tempo di parole ostili sarebbe bello trovare sulla porta dei monasteri qualcuno che abbia parole di gratitudine e di benedizione per gli uomini e le donne che incontra. fr. Zeno monaco cistercense di Pra’d Mill
La voce nostalgica della Luna, cinquant’anni dopo Nella stampa del luglio 1969 i numerosi echi dell’impresa raccordati alle vicende del tempo DI
GIANCARLO CARTECHINI
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lle 4,40 di notte anche i più mattinieri dormono ancora; il silenzio è profondo. Pochi rumori, ai margini dell’orizzonte sonoro: il canto di un gallo, il suono impercettibile di qualche automobile che passa lontano. La Luna è calata da più di tre ore. Scrive Italo Calvino che il nostro satellite è il più mutevole dei corpi celesti, e il più regola-
re nelle sue complicate abitudini: puoi sempre aspettarlo al varco, ma se lo lasci in un posto lo ritrovi sempre altrove, e se ricordi la sua faccia voltata in un certo modo, ecco che ha già cambiato posa. Di questa Luna sfuggente, e dei tre uomini che cinquant’anni fa l’hanno visitata, è rimasta traccia in un plico scoperto casualmente sgombrando la cantina di casa: un pacco composto da 17 quotidiani e 6 riviste, chiuso con lo spago, nascosto tra le damigiane dell’olio e i montanti in metallo di una vecchia scaffalatura. Da buon archivista, mio padre amava lasciare tracce che qualcuno, prima o poi, avrebbe ritrovato. Edizioni straordinarie, numeri unici, tutti a celebrare la grande impresa. Titolo di apertura di “Avvenire”,
16 luglio 1969: “Oggi scatta l’Apollo 11. Inizia la più grande impresa spaziale”. “Il Resto del Carlino”, 21 luglio, titolo cubitale: “I piedi sulla Luna”. Sottotitolo: “Alle 4,40 – ora italiana – gli astronauti Armstrong e Aldrin aprono il boccaporto del modulo lunare”. Un editoriale di “Avvenire”, quattro giorni dopo, ammoniva: «Quando si tratta di esplorare le immensità dello spazio, tutto ciò che sembra sorpassare l’immaginazione dell’uomo diventa realtà; quando, invece, si tratta dello sforzo per eliminare la fame, il sottosviluppo, le guerre fratricide, allora l’uomo si arrende di fronte alle inevitabili difficoltà, trova ogni giustificazione per rinviare, abbassare il bersaglio, dichiararsi sconfitto». E Oriana Fallaci concludeva con queste
parole, dalle pagine dell’Europeo, il suo reportage: «Ecco, le cose andarono così, in quella settimana d’estate, nei primi giorni che seguirono il ritorno sulla Terra degli uomini che avevano toccato la Luna». Pagine e pagine di approfondimenti, foto, racconti, analisi scientifiche, cronache entusiaste. Quando il Web non esisteva e la stampa era il principale mezzo di comunicazione, c’era la necessità di fissare ogni cosa, descrivere compiutamente ogni dettaglio. A sfogliare i giornali dell’epoca non può sfuggire una sorprendente capacità di tenere insieme grandi tematiche e argomenti popolari: il filosofo Herbert Marcuse fotografato sulla spiaggia di Cannes, De Gaulle alle prese con i separatisti bretoni, una commedia di Lino Toffolo. Un arti-
colo su Robert F. Williams, leader del movimento per l’emancipazione degli afro– americani, inizia con queste parole: «Il “Black Power”, ora che la Luna è stata conquistata, è il più Un’immagine dell’allunaggio del 20 luglio 1969 urgente e grave problema per Nixon». Trovo anche un’intragga ispirazione per le sue canzoni, tervista a un giovane cantautore di 29 cita la canzone di Marinella: «C’era la anni: «Fabrizio ha una figura esile, gli Luna e avevi gli occhi stanchi, lui poocchi sofferenti e una ciocca di case le sue mani sui tuoi fianchi». pelli lisci che gli cade perennemente Alle 7,30 di mattina – ora italiana – sull’occhio sinistro. Ignorato o quaArmstrong e Aldrin stanno per riensi dalla radio e dalla televisione, trotrare nel modulo lunare. Io invece sto va ospitalità alla radio Vaticana, che per uscire di casa: giusto il tempo per spesso mette in onda le sue ballate». un caffè, e poi di corsa al lavoro... Il giornalista chiede all’artista dove