dopo sisma Una mano alla comunità
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e ferite inferte dalle tante scosse sismiche al nostro territorio L sono lungi dall’essere sanate e con-
Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
tinuano a pesare sulla vita di molte comunità. Chi desidera contribuire sostenendo le iniziative della diocesi, può farlo effettuando un bonifico a: Diocesi di Macerata– Tolentino– Recanati–Cingoli–Treia Causale: Offerta pro terremoto Iban: IT61Q0605513401000000011753
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MACERATA
Martedì, 19 giugno 2018
Per il vescovo Marconi è urgente integrare annuncio della salvezza con la lettura dei segni dei tempi, la celebrazione, la ricezione dei sacramenti e l’impegno caritativo
«Rilanciare la testimonianza» Va sviluppata attenzione verso i nuovi media con un maggiore coinvolgimento dei giovani con iniziative di volontariato e percorsi formativi specifici
Il vescovo Nazzareno Marconi
La fede si genera nel grembo della comunità
Riproduciamo un estratto della Lectio divina tenuta dal vescovo Marconi al Convegno pastorale diocesano giovedì 14 giugno.
A
bbiamo vissuto il cammino di riflessione pastorale di quest’anno dedicato al tema della evangelizzazione e della catechesi. L’obiettivo era comprendere meglio come sostenere la crescita della nostra fede grazie alla “conversione pastorale” richiesta dalla Evangelii Gaudium da attuare nella evangelizzazione e nella catechesi. La mia lettera “Annunciatelo dai tetti” sintetizzava il cammino da fare attorno a tre domande basilari: 1) Quali sono gli itinerari fondamentali per la scoperta o riscoperta del Vangelo? 2) Quali le caratteristiche di un evangelizzatore oggi, come impostare una corretta formazione? 3) Evangelizzare “secondo gli ambiti di vita”, dalle indicazioni del Convegno di Firenze e di Evangelii Gaudium, cosa significa e come realizzarlo? Nella riflessione con cui avevo aperto gli incontri diocesani che hanno caratterizzato il cammino di questo anno ricordavo che: «perdurare nella catechesi tradizionale, unicamente preoccupati dei contenuti da trasmettere, ci porta a verificare che i ragazzi imparano delle nozioni, poche e slegate tra loro, che presto dimenticano, ma la loro fede non cresce». Un cambio di passo che porti ad una vera crescita della fede dei ragazzi e dei giovani non può partire se non da una crescita della nostra fede e da un rinnovato sguardo di fede su di loro. Indicavo perciò alcune scelte di impostazione, che proprio questa evangelizzazione nata dalla fede e nutrita di uno sguardo di fede doveva possedere. 1) Cercare di far emergere le domande implicite, cioè aiutare le “pecore senza pastore” che incontriamo ogni giorno a capire qual è la vera fame e la vera sete che stanno nel lo-
DI
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La Messa per la Festa della famiglia, a conclusione del Convegno pastorale diocesano
ro cuore, guardando con affetto il loro agitarsi e il loro cercare, prima che condannare i loro errori. 2) Uno sguardo positivo ed affettuoso sulla contemporaneità, modellato sullo sguardo di Gesù. 3) Ricominciare da capo ad annunciare con passione e fede il Vangelo. È quanto Gesù fa: «Cominciando ad insegnare di nuovo a loro molte cose». 4) Lavorare per ricostruire il tessuto comunitario della Chiesa, privilegiando i rapporti personali, favorendo la partecipazione corresponsabile di uomini e donne. Rifacendomi al racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci mi piace sottolineare la perfetta integrazione tra annuncio e dono, sia del sacramento che dell’amore concreto fatto di compassione e di risposta caritativa ai bisogni concreti del popolo di Dio. La sfida che abbiamo davanti, nel ripensare e riorganizzare l’evangelizzazione e la catechesi, a tutti i livelli – da quello della iniziazione cristiana, a quello della formazione degli adulti, a quello del sostegno alla vita familiare dai fidanzati, alle giovani coppie, alle coppie di genitori – non può ridursi alla somministrazione di schede e sussidi, per una catechesi fatta solo di trasmissione di contenuti o di
incontri che a volte si riducono a un parlarsi addosso su temi generali e lontani dalla vita. La vera sfida è nell’integrazione, nella proposta a ogni livello di una crescita integrata nella fede, nella speranza e nella carità, integrando le dimensioni dell’annuncio e della riflessione con quelle della celebrazione e ricezione dei sacramenti, infine con quelle della lettura dei segni dei tempi e dell’impegno caritativo. Alla fine della mia lettera pastorale di inizio anno indicavo quattro scelte: L’iniziazione cristiana e non il semplice catechismo. Da realizzare con la scelta significativa di una comunità educante, che segue la persona dalla sua nascita fino alla maturità della fede e valorizza lo stile pastorale di impostare itinerari unitari rispetto a quello di sommare eventi slegati tra loro. La formazione permanente degli adulti. Superando la proposta della semplice partecipazione alla liturgia domenicale, per integrarla con un secondo momento settimanale in cui confrontarsi con la Parola di Dio, condividere e narrare la propria fede, vivere la carità sentendosi parte di un gruppo di fratelli. E questo proponendolo anche come parrocchia o U-
nità pastorale, senza condizionarlo all’adesione a un gruppo, movimento, associazione o cammino di fede. L’evangelizzazione dell’amore matrimoniale e della famiglia. Con l’offerta di veri itinerari di iniziazione: all’amore (iniziazione per fidanzati), alla vita matrimoniale (cammini per giovani coppie), alla responsabilità genitoriale (gruppi di formazione per i genitori) con catechesi, preghiera, carità. Come veri itinerari composti da momenti di evangelizzazione e catechesi, liturgia e sacramenti, carità ed esperienza di fraternità. L’evangelizzazione della vita come vocazione. Attivando una attenzione personalizzata sui giovani, che come riconosce i segni di una speciale vocazione, inizia a farli camminare sulla via di un discernimento sempre più specifico e attento, nutrito da un più intenso cammino di preghiera. L’evangelizzazione attraverso i nuovi media. Con un rinnovato impegno a diffondere, potenziare e coordinare l’azione diocesana in questo campo, anche promuovendo un maggiore coinvolgimento dei giovani con iniziative di volontariato e percorsi formativi specifici. Nazzareno Marconi, vescovo
convegno
Davide Zilli è il vincitore della XXIX edizione di Musicultura Marco Greco si aggiudica il premio della critica
famiglia. La bellezza costruita sui dettagli della vita in comune
L
a santità è nella storia. Parole che fanno eco alla “santità della porta accanto” proposta dalla “Gaudete et exsultate”, tema che ha fatto da cornice alla giornata conclusiva delle attività pastorali delle famiglie della nostra diocesi. A introdurla con «musica e tanta vita concreta», don Mario Camborata, assistente nazionale dei consultori di ispirazione cristiana, responsabile regionale Marche della pastorale familiare e parroco senigalliese. Nel richiamare alla grandezza di una vita vissuta nella quotidianità e nell’essenzialità del Battesimo, don Mario ha condotto i presenti alla 5ª Festa della famiglia a chiedersi: chi sono io? Che posto Dio ha nella mia/nostra vita? La vita trova il senso in un incontro. Gesù è entrato in casa di Zaccheo, che lo ha accolto nell’ordinarietà della sua giornata. Un richiamo a essere cristiani senza sconti, avendo però chiaro dove poggiamo i nostri piedi. Ciascuno con la propria strada, ma tutti chiamati a fare della propria esistenza un dono. È la logica del seminatore che con fiducia attende, nella consapevolezza che il frutto arriverà. Siamo chiamati a percorrere vie di santità, perché consapevoli di essere figli di un Padre. Papa Francesco ci richiama a «essere cristiani, senza dirlo»! Tutti si dovrebbero accorgere che siamo cristiani dal nostro vivere, non dalle nostre parole. Il metodo è l’attenzione ai piccoli particolari e ce lo insegna lo stesso Gesù, introducendoci nella vita della sua famiglia a Nazaret. Nella ferialità di quella casa impariamo la bellezza di una vita nascosta, ma preziosa, attenta ai particolari. Così, visto che i dettagli sono importanti, dopo la celebrazione eucaristica con il vescovo Nazzareno, le famiglie si sono intrattenute per la cena sul prato della Domus San Giuliano. E in una bellissima serata di giugno, hanno sperimentato la gioia di condividere la mensa eucaristica e la cena, in una relazione di amicizia preziosa, perché nata e custodita nella fede in Gesù. Laura e Gabriele Cardinali
EGIDIO TITTARELLI
Uno Sferisterio sempre gremito ha accolto le serate finali di Musicultura 2018. 800 giovani artisti si sono iscritti, proponendo più 1200 brani al Comitato artistico di garanzia. Vincitore assoluto è stato Davide Zilli, spiritoso professore di italiano, che con il brano, “Coinquilini”, racconta gli inconvenienti della convivenza che la maggior parte degli universitari fuori sede deve affrontare. «È stato veramente bellissimo – ha detto –, ci avete fatto sentire a casa. Insegnare e suonare sono due cose complementari; vorrei continuare
a fare questa doppia vita dando il massimo sia da un lato sia dall’altro». Il professore ha condiviso la finalissima con Daniela Pes, che cantava “Ca milla dia dì”, un pezzo in lingua sarda modellato sui testi poetici di Don Gavino Pea, Marco Greco (vincitore del Premio della Critica) con il brano “Abbiamo
vinto noi” e Pollio con “Generico”. Sul palco dello Sferisterio è tornato anche il vincitore della scorsa edizione Mirkoeilcane, che ha rivolto uno speciale augurio ai vincitori: «Che rimanga a loro la stessa immagine di questo luogo che è rimasta a me». (N.M.)
opo un anno di riflessione sulla trasmissione della fede abbiamo celebrato il Convegno pastorale diocesano per condividere il cammino fatto e per riflettere su priorità e scelte per il prossimo anno pastorale. Siamo partiti dalla convinzione di non poter continuare nella catechesi tradizionale dove la preoccupazione è trasmettere nozioni e lo stile è di fare lezioni più che accompagnare a un progressivo incontro col Signore, vissuto e condiviso con una comunità cristiana. Il vescovo Nazzareno ci ha invitato a ricominciare ad annunciare con passione e fede il Vangelo, guardando con simpatia gli uomini del nostro tempo e lavorando per ricostruire il tessuto comunitario della Chiesa privilegiando i rapporti personali, favorendo la partecipazione corresponsabile di uomini e donne e coltivando il gusto del bello. Abbiamo iniziato il Convegno ascoltando il brano evangelico del Vangelo di Marco dove Gesù si commuove per la molta folla che lo segue perché erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molte cose, invitando poi i discepoli a dare loro da mangiare. Abbiamo ricordato il cammino di formazione degli operatori pastorali vissuto in questo anno e abbiamo vissuto un momento di restituzione della riflessione fatta nel consiglio pastorale diocesano sui quattro temi indicati nella lettera del vescovo per questo anno: l’iniziazione cristiana, la formazione permanente degli adulti, l’evangelizzazione dell’amore matrimoniale e della famiglia e il cammino verso il Sinodo dei giovani. Sono emerse alcune indicazioni: un maggior coinvolgimento dei genitori nella catechesi; mettersi in ascolto del quotidiano (quartiere in ascolto); il “Vangelo nelle case” puntando a una ministerialità familiare; la proposta di un luogo di incontro e di formazione diocesano per le famiglie e di far camminare i giovani sulla via di un discernimento nutrito da un intenso cammino di preghiera. Infine abbiamo condiviso il racconto di alcune esperienze di annuncio. Abbiamo sperimentato la bellezza di ascoltare insieme la Parola e di ascoltarci reciprocamente; il desiderio di non chiuderci dentro la ripetizione di quanto si è fatto sempre, ma di metterci insieme in cammino per fare piccoli passi possibili per un rinnovato annuncio del Vangelo nella vita e nelle case. Ci attende ora un lavoro creativo e concreto per tradurre queste indicazioni in un cammino comunitario perché a tutti sia data la gioia di un rinnovato incontro con il Signore e con una comunità per vivere un cammino di fede.
scenari. L’internazionalismo rimane solo per gli investitori? DI
GIANCARLO CARTECHINI
«C
he ci faccio qui?» si chiedeva Bruce Chatwin. Già, cosa ci faccio a Castelfidardo, in una notte di giugno, inebriato dal profumo dei tigli? Dietro il palco campeggia, illuminato a giorno, il monumento al generale Cialdini: una montagna di travertino da cui si distacca un battaglione di soldati forgiati nel bronzo, con le armi in pugno e le bandiere spiegate. Eppure non sembra, il nostro, un tempo di battaglie epiche, di eserciti in lotta tra loro. Piuttosto è il tempo di piccoli fatti di cronaca, episodi minori che attendono una voce narrante per uscire dalla loro apparente insignificanza. “Concetta, una storia operaia” è il titolo del libro che Gad Lerner è venuto a presentare. Parla di una donna che si è data fuoco negli uffici Inps di Settimo Torinese, per protestare contro un presunto torto che le è co-
Domande poco rassicuranti sul futuro del lavoro dipendente a partire dall’ultimo libro di Gad Lerner
stato un notevole ritardo nella percezione di una indennità di disoccupazione. «La storia – esordisce – potrebbe iniziare così: ci sono una cristiana, un musulmano e un ebreo, ma non si tratta di una barzelletta». La cristiana è Concetta, ex dipendente di una cooperativa di pulizie, a rischio di indigenza, testimone vivente di quel fenomeno che Lerner chiama il “lavoro retrocesso”: chi perde il lavoro ha scarsissime probabilità di trovarne un altro dello stesso livello, e chi lo cerca per la prima volta non si illude di trovare un posto fisso. Il musulmano è Anas Shabi, immigrato marocchino che ha salvato la vita di Concetta, utilizzando un estintore. L’ebreo, naturalmente, è il giornalista che ha ricostruito la vicenda. «Per una volta almeno
– sottolinea – questa storia contraddice lo stereotipo del conflitto tra italiani precari e immigrati invasori. Manda in soffitta – finalmente! – il motto rancoroso “Prima gli italiani”. Potrebbe rappresentare il germe di una inedita solidarietà tra poveri: nelle sale d’aspetto dell’Inps si incontra una umanità nuova, ridotta a plebe dalla mancanza di lavoro stabile, sempre più simile alla massa di diseredati che proviene dalla sponda sud del Mediterraneo». Eccolo, infine, il nodo cruciale da sciogliere: combattere l’idea che l’internazionalismo, un tempo tratto distintivo del movimento operaio, debba restare patrimonio della classe apolide degli investitori. E che i lavoratori poveri di ciascuna nazione, per difendersi dalla manodopera immigrata, deb-
bano rifugiarsi in forme di protezionismo economico. Internazionalismo finanziario dei privilegiati e nazionalismo xenofobo dei pezzenti: è proprio ineluttabile questo esito del crollo del lavoro dipendente? Gli interrogativi si accavallano. I problemi sono drammaticamente evidenti. Non così le soluzioni. L’unico invito, ripetuto più volte, è proprio quello di diffidare delle soluzioni apparentemente facili, diffuse a colpi di tweet. Al termine dell’incontro vorrei parlare con Gad Lerner. Raccontargli che anche dalle nostre parti la retrocessione del lavoro ha causato fratture profonde. E come è potuto accadere che la mansuetudine di un tempo sia stata cancellata dal livore. Mi metto in fila, attendo il mio turno. Riprendo in mano il volantino della serata: “Abitiamo il bene comune” è il nome dell’associazione promotrice. Un ottimo auspicio per i giorni a venire.