missioni
«Poveri. Noi?»
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Martedì, 15 gennaio 2019
Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
abato 19 gennaio, alle 17, sarà presentato presso la parrocchia S Santa Croce di Macerata un ciclo di
A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 62100 Macerata telefono 0733.231567
incontri, «Poveri. Noi?» – 6 sabati dal 9 febbraio al 15 giugno – destinati a giovani dai 17 anni in su, interessati a esperienze di missione. Per informazioni ci si può rivolgere a don Alberto (333.1471791) o Annamaria (320.2793740) email: missioni@diocesimacerata.it
e-mail: redazione@emmetv.it facebook: emmetvmacerata twitter: emmetvmacerata
MACERATA
giovani. Dal 22 al 27 gennaio a Panama l’evento 2019
Gmg remota, ma ci riguarda L’incontro avverrà in una terra che è snodo cruciale, geografico, economico, ma anche simbolico, del nostro tempo, per sollecitare una svolta alla globalizzazione DI
NAZZARENO MARCONI *
«P
erché il Papa ha scelto Panama?»: è la domanda che mi è stata posta da vari giovani fin dal giorno in cui è stata annunciata la Gmg di questo 2019. È una domanda tutt’altro che banale, infatti da quando papa Francesco guida la Chiesa, le due Gmg a cui ha partecipato erano in parte già decise e obbligate: la prima a Rio de Janeiro nel 2013 era già stabilita prima della sua elezione e quella di Cracovia nel 2016 era un doveroso omaggio nei confronti di San Giovanni Paolo II. Questa è invece la prima Gmg di papa Francesco, pensata e progettata da lui. Panama è un simbolo, la terra del Canale, la terra grazie alla quale un secolo fa, attraverso questa imponente opera di ingegneria, l’Occidente e l’Oriente si sono riavvicinati in misura decisiva. Il passaggio dall’Atlantico al Pacifico diventava rapido e agevole e così navigare attorno al mondo per le persone e le merci non era più un’impresa. Con il canale di Panama 100 anni fa il mondo cominciò a rimpicciolirsi ed ebbe inizio quella globalizzazione dei trasporti e dei mercati che segna profondamente la nostra vita. Andare oggi a Panama per celebrare una Gmg è così dare un messaggio chiaro alle giovani generazioni: sta a loro imprimere un senso e un valore nuovo alla globalizzazione. Questa, che come ha scritto papa Francesco nella Laudato si’, si è caratterizzata come globalizzazione dell’indifferenza, dello scarto, della crescente separazione tra popoli e classi sociali. Abbiamo bisogno invece che la globalizzazione della barbarie sia soppiantata da quella della civiltà, cioè dell’incontro, del dialogo, dello sviluppo economico e culturale. Attraverso il canale di Panama si apre poi la navigazione nel Pacifico che porta al Giappone e soprattutto alla Cina. Chi conosce i discorsi di papa Francesco, ha sicuramente compreso che il suo sguardo è fortemente proteso verso l’Estremo Oriente e in particolare verso la Cina. Gran parte del futuro dell’umanità, visto attraverso gli occhi della fede, gli unici occhi che interessano papa Francesco, passa attraverso la grande impresa della evangelizzazione della Cina. Anche andando in Cina in direzione opposta rispetto al percorso fatto dal grande maceratese, è sempre sulle orme di padre Matteo Ricci che papa Francesco ci invita a camminare come credenti verso il futuro. La terra di Panama è poi significativa anche guardando il Globo dal punto di vista del rapporto Nord–Sud. Posta sulla linea di congiunzione tra i due emisferi, Panama ci ricorda che un altro snodo cruciale della conversione evangelica a cui la globalizzazione è
chiamata, è il capovolgimento della logica che l’ha guidata finora, con l’accentuazione della divisione economica e culturale tra Nord e Sud del mondo. Il Nord dei ricchi ed il Sud dei poveri si stanno sempre più allontanando l’uno dall’altro, e non manca chi come il presidente degli Stati Uniti sente il bisogno di accelerare questo allontanamento con la costruzione di un muro di separazione. È invece al dialogo e al riavvicinamento tra i due emisferi che è legata la serenità e la pace del futuro del mondo. L’istmo di Panama, così piccolo e fragile, visualizza simbolicamente quanto sia alto il rischio di un mondo definitivamente spaccato in due, che giunga a trasformare “la guerra a pezzi” che già si sta combattendo da anni, tra emisfero dei privilegiati ed emisfero dei disperati, in una guerra continua e diffusa. Un’ultima notazione simbolica di questa Gmg l’ho letta nei numeri dei partecipanti europei. La grande distanza rispetto alle nostre terre fa sì che la presenza di giovani europei sia minuscola rispetto a quella vista a Cracovia. È un dato ben comprensibile, ma che ci aiuta a capire come in uno sguardo davvero globale, la nostra Europa riprenda le dimensioni di una parte un po’ marginale del mondo. Non siamo più al centro del pianeta, secondo la rappresentazione dei planisferi dei secoli passati. Anche qui la lezione di padre Matteo Ricci diventa interessante e stimolante. Fu il primo europeo a disegnare un planisfero che poneva la Cina e non l’Europa al centro della Terra, cercando di far capire ai suoi contemporanei che era necessario cambiare il punto di vista su di sé e sugli altri. Chi si isola dal mondo infatti non è detto che releghi il resto del mondo ai margini definendolo periferia, ma può piuttosto confinare se stesso a periferia del mondo reale. Il futuro dell’umanità, se perdesse la capacità di dialogo e mediazione che pur con tanti limiti ha contraddistinto l’Europa cristiana, potrebbe percorrere il cammino degli emisferi separati e dei grandi blocchi economici contrapposti: uno scenario che assume in maniera preoccupante i toni dell’apocalisse. Su tutto questo si apre la Gmg, come proposta umile e disarmata di un incontro delle giovani generazioni nel nome della preghiera, del dialogo, del cammino sulle orme di Cristo. Come tutte le grandi cose del Vangelo, questa azione di testimonianza e di annuncio, a cui il Papa chiama i giovani del mondo, appare fragile, debole e quasi stolta, ma non dobbiamo mai dimenticare che per noi discepoli del Crocifisso sono la debolezza e la stoltezza della croce a salvare il mondo. Per questo partiamo per Panama con i giovani delle nostre terre, ben coscienti delle sfide e dei rischi che ci pone davanti il futuro del mondo, ma anche testimoni del Crocifisso Risorto, che per tutti noi è sempre sorgente inesauribile di speranza. Buona Gmg. * vescovo
Il vescovo Marconi alla Gmg di Cracovia
La «community» diventi comunità l 24 gennaio si festeggia san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra (1567–1622), patrono dei giornalisti, famoso per le sue catechesi scritte su fogli che lui stesso faceva affiggere e che erano caratterizzate da uno stile dialogico all’insegna del principio: «Se sbaglio voglio farlo per troppa bontà, piuttosto che per troppo rigore». In vista di quel giorno è stato annunciato il tema che il Papa ha scelto per la 53ª giornata delle Comunicazioni sociali, che si celebrerà nel prossimo maggio: “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25) Dalle community a comunità”. Questo titolo, come spiega una nota della Santa Sede, «sottolinea l’importanza di restituire alla comunicazione una prospettiva ampia, fondata sulla persona, e pone l’accento nel valorizzare delle interazioni intese sempre come dialogo e come opportunità di incontro con l’altro. Si sollecita così una riflessione sulla natura delle relazioni in Internet per ripartire dall’idea di comunità come rete fra le persone nella loro interezza». Tanti “io” che si esprimono in molte maniere
I
virtuali vanno ricondotti a un “noi” nello spirito della condivisione e del confronto. In un’epoca in cui dilaga il disorientamento, ci si rifugia spesso in “tribù”, ognuna con un proprio linguaggio e propri simboli. È necessario anche all’interno della comunità ecclesiale promuovere una comunicazione che coinvolga la mente ed il cuore, dimensioni a fondamento elle esperienze di fede. Non dobbiamo dimenticare che la comunicazioneper quanto riguarda la fede non è semplice informazione, ma un mettere insieme le ragioni del nostro credere che nascono dal Battesimo e dell’unica chiamata al servizio del regno di Dio. Un mio antico amico, don Primo Piccioni, che ha speso la sua esistenza nei mezzi di comunicazione al servizio della Chiesa, mi diceva che «tanti ruscelli non fanno un fiume». L’appello che viene da Papa Bergoglio è quello di trasferirci da una comunicazione virtuale a un senso di comunità in cui nessuno, credente o non credente, si senta escluso. Luigi Taliani
Tanti bimbi coi genitori ad accogliere i Re Magi al Seminario Bagno di folla anche quest’anno per i Re Magi giunti al seminario diocesano missionario Redemptoris Mater di Macerata in sella ai loro cavalli nel pomeriggio del giorno dell’Epifania. L’evento, visto il grande coinvolgimento di persone gode del patrocinio del Comune ed è inserito tra gli appuntamenti di «Macerata d’Inverno». Un momento dedicato alle famiglie e organizzato dai seminaristi in grado
di attirare visitatori anche da fuori Regione. Ad accogliere i re Magi c’era la rappresentazione vivente della Sacra Famiglia e la presenza di animali vivi, immagini che hanno offerto un momento preghiera condivisa. Prima della lauda drammatica dedicata alla figura di Giuseppe, i bambini hanno potuto fare domande ai tre re Magi e ascoltare il vescovo Nazzareno Marconi. (M.N.M.)
Il Santo Natale a San Nicola DI
GABRIELE PEDICINO
olentino ha vissuto quest’anno un T Natale davvero unico e indelebile, perché, dopo più di due anni dal sisma che ci aveva costretto a spostare tutta la vita del Santuario di San Nicola in un tendone adiacente al Convento, si è potuto tornare a celebrare il Natale in Basilica. I lavori di messa in sicurezza ci hanno restituito una chiesa solo parzialmente agibile, ma per noi è già molto. È un grande dono avere a disposizione tutta l’aula celebrativa, le cappelle laterali adattate a luoghi per le confessioni, la suggestiva cappella delle Sante Braccia dove è stata collocata l’urna del Santo. Certo, i lavori eseguiti nei mesi da ottobre a dicembre 2018 non ci consentono ancora di vivere il chiostro, ma da una porta a vetri della chiesa è possibile almeno scorgere un po’ della sua bellezza. Così è anche per il Cappellone, di cui è possibile ammirare il primo ciclo degli affreschi di Pietro da Rimini riguardante gli eventi della vita del Santo. Rimangono ancora “ferite” la cappella del Sacramento e il Presbiterio, chiuso da un’impalcatura e da pannelli di legno. Questa chiusura però ci ha dato la possibilità di riscoprire un’opera custodita nel Museo del Santuario, lo “Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria” che ritrae anche i santi Agostino, Nicola da Tolentino e Apollonia, opera di Marchisiano di Giorgio, ora esposta sopra l’altare maggiore. La pale, che risale al 1526, fu ceduta forse nel 1619 alla casa Sparaciari. Già in un inventario del 1729 il dipinto non si trovava più sull’altare maggiore. Nel 1861 la pala risultava già resecata e le uniche parti ancora presenti a Tolentino erano la lunetta con la Deposizione di Cristo nel sepolcro e la cimasa con l’Eterno Padre utilizzate come ornamenti di una cantoria. L’opera fu acquisita dalla Galleria di Arte antica di Palazzo Barberini nel 1895 e gentilmente concessa in deposito al Museo del Santuario di San Nicola a Tolentino. Insomma domenica 16 dicembre è stata davvero una domenica “della gioia” non solo liturgicamente, ma anche per la nostra Comunità agostiniana che è tornata a celebrare in Basilica e parimenti è stata una domenica di festa per l’intera città di Tolentino e per i paesi limitrofi. Lo sapevamo, ma nei giorni del Natale il continuo afflusso di fedeli, turisti e pellegrini ce lo hanno confermato: il complesso monumentale di San Nicola è davvero un bene di tutti e per tutti. Soprattutto i tolentinati ce lo hanno manifestato coi loro volti gioiosi e commossi come se a essere riaperta fosse stata la loro casa. Molti sono anche venuti a visitare il presepe realizzato dalla Confraternita della Madonna della Cintura e di San Nicola; tanti hanno approfittato della nostra presenza costante per accostarsi al sacramento della Riconciliazione e altri hanno fruito delle tante solenni celebrazioni che rendevano ancora più bella la Basilica e questi giorni di festa. Solo per elencarne alcune non posso non pensare all’emozione personale provata nella celebrazione della Notte di Natale o ancora nel canto del Te Deum la sera del 31 gennaio. Momenti toccanti e di vera fede sono state anche le celebrazioni della Festa della Santa Famiglia in particolare la Santa Messa della sera presieduta dal nostro pastore Nazzareno Marconi e la venuta dei Magi nella solennità dell’Epifania con la presenza del vescovo emerito Claudio Giuliodori. Insomma davvero un Natale “unico”, un tempo di speranza per tutti, una riapertura che è insieme una ripartenza per tutto il nostro territorio.
Le parole di Mattarella, salutari pietre d’inciampo Appello pacato e sereno a riscoprire le ragioni per sentirsi e riconoscersi comunità di vita DI
GIANCARLO CARTECHINI
Q
ui a Frontignano c’è pochissima gente in giro, anche in questi primi giorni del nuovo anno. Sono giorni di festa, eppure tutti gli impianti di risalita sono chiusi. L’inverno ha perso ogni aspetto mondano, è tornato ad essere il guardiano austero delle montagne, protettore di un silenzio che incute rispetto. La parte centrale della
facciata della Domus Laetitiae è completamente sventrata. I calcinacci sono ancora lì, pendono come canne d’organo dal pavimento crollato del quarto piano. C’è un filo di vento tra gli alberi, il canto di qualche uccello, lo scricchiolio del ghiaccio sotto gli scarponi, poco altro. Una grande solitudine. Anche giù a valle c’è silenzio, intorno a quello che resta di paesi ridotti in macerie. La vita delle comunità si è spostata altrove, tra le casette e i prefabbricati dove si sono trasferiti alcuni esercizi commerciali. «La Repubblica assume la ricostruzione come un impegno inderogabile di solidarietà». Queste parole, pronunciate da Sergio Mattarella nel discorso di fine anno,
sembrano ingaggiare un confronto serrato con le mura diroccate e gli archi puntellati da tubi Innocenti, o con il profilo del campanile di Visso, sopravvissuto alla devastazione. Proprio qui, più che altrove, si può comprendere come il discorso del Presidente sia stato in realtà un appello a rimboccarsi le maniche, rivolto a tutte le forze responsabili. O forse un ultimatum, lanciato nel tentativo di evitare che il nostro Paese cada definitivamente nel baratro di follia scavato dalle parole irrancidite dei seminatori di odio. «Sentirsi e riconoscersi come una comunità di vita», pensarsi dentro un futuro da costruire insieme. Ecco il motivo dei continui riferimenti agli esempi di
solidarietà, all’Italia che ricuce e sostiene, in una prospettiva che fa convergere tutti verso uno sviluppo comune: le popolazioni che soffrono le conseguenze dolorose dei terremoti, i giovani in cerca di lavoro, gli anziani, gli italiani all’estero, gli immigrati che vanno a scuola, lavorano e fanno sport nel nostro Paese. Che i detrattori dicano pure che si è trattato di un discorso “sentimentale”, o retorico. Una effimera rivincita buonista? Tornino ad ascoltare Vasco Rossi, che in tempi non sospetti cantava: «Buoni o cattivi non è la fine, prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare, che di per sé è maledetto perché divide, mentre qui tutto dovrebbe solo unire». Le parole del Presidente
rappresenteranno una pietra di inciampo per coloro che, anche quest’anno, cercheranno di abbindolarci gridando ingrugniti, nei social e in televisione, «Prima gli italiani!». Risulteranno indigeste per tutti coloro che si faranno paladini di alcuni esclusi, solo per escludere altri ancora più poveri. A loro, in realtà, dei poveri non interessa nulla: diranno «prima» perché non avranno il coraggio di dire «solo», nel tentativo malriuscito di nascondere pensieri emarginanti. I difetti e le
disparità da colmare non mancano. Eppure – è sempre Mattarella a sottolinearlo – l’universalità e l’effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza sono state grandi conquiste della Repubblica. Pilastri che il sisma, per fortuna, non sembra avere lesionato. Restiamo vigili, ce la possiamo fare.