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Martedì, 18 gennaio 2022
CARITAS Usura, ascolto e aiuto telefonico
a situazione derivante dal Covid-19 sta creando impoverimento e difficoltà econoLmiche a numerose famiglie. In questo conte-
Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata
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sto il pericolo del ricorso all’usura, come ha ricordato anche il Papa, si fa sempre più concreto anche nel nostro territorio. L’attività del Servizio Antiusura è ancora sospesa per l’impossibilità di gestire in modo soddisfacente i necessari contatti personali. Tuttavia le difficoltà del momento inducono, in attesa di poter svolgere il servizio nei modi più funzionali e consoni, a mettere a disposizione di chi versa in situazione di bisogno, un servizio di “ascolto telefonico” al quale far pervenire le proprie necessità. Per Macerata il numero da contattare è il 351.2902524; per Porto Recanati è 392.1246232.
Inserto di
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Il cardinale Grech: il Sinodo chiama tutti i battezzati
Per don Fabio un Natale nelle mani di Dio
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La comunità cristiana è fondata sul Battesimo. Tutti gli altri sacramenti sono a servizio
Parrocchia del Concilio Il parroco è la via quotidiana e concreta con cui il cristiano può incontrare e vivere la comunione con il vescovo della sua diocesi, che è l’apostolo di quella Chiesa locale
Pubblichiamo il primo di tre articoli del vescovo che presentano la parrocchia secondo il Concilio a partire dai testi che la citano, ma soprattutto a partire dagli attributi della Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica. DI NAZZARENO
MARCONI *
H
Una veglia di preghiera in una parrocchia della diocesi prima del Covid
universale Chiesa di Cristo. Unità tipica di un corpo vivo e non di una fabbrica ben organizzata; l’unità che vive un popolo in cammino, non un esercito in marcia; l’unità delle Chiese locali strette attorno al loro Apostolo e tutte attorno al Primo degli Apostoli. Unità ordinata e gerarchica certo, ma dove il Battesimo che tutti ci uni-
sce all’unico Signore vale più di tutti gli altri sacramenti, che ci ordinano in un costante servizio reciproco. Per questo il titolo onorifico più importante nella Chiesa non è “Sommo pontefice”, ma “Battezzato”. Il Sommo Pontefice infatti è costituito “Servo di tutti gli altri”, che grazie al Battesimo sono elevati alla dignità
di “Servi di Dio”. Pensare la parrocchia richiede di calare questa visione fino al concreto vivente dentro il quale siamo inseriti ogni giorno. Vorrei rileggere alcune parole del Concilio specificamente dedicate alla parrocchia. Partiamo dal n. 42 della Sacrosanctum Concilium, la costituzione sulla liturgia: «Poiché nella
DA SAPERE
Le costituzioni conciliari Vaticano II si è svolto l’11 ottobre 1962 e Il’8ltradicembre 1965, raccogliendo a Roma circa 2.500 tra cardinali, patriarchi e vescovi cattolici di tutto il mondo. Risultato dei suoi lavori sono state le 4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni. Le costituzioni sono i suoi testi più importanti. Si tratta della Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia (4 dicembre 1963), della Lumen Gentium sulla Chiesa, di carattere dogmatico (16 novembre 1964), della Dei Verbum sulla Parola di Dio (18 novembre 1965) e della Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965).
Don Lamberto Pigini ricordato a un anno dalla scomparsa 8 gennaio al Comune di Recanati, presente il sindaco Bravi, è stato ricordato don Lamberto Pigini Sa unabato anno dalla scomparsa, con la presentazione della
RECANATI
o sempre creduto buono e saggio fin dagli anni ’60 impegnarsi a realizzare “la Chiesa del Concilio!”. Ma ho anche incontrato preti e laici e forse qualche vescovo, che sognavano una Chiesa “oltre il Concilio”, perché bisognava essere “progressisti ad oltranza” e le parole del Concilio a loro sembravano già vecchie. Bisognava perciò “conservarne lo spirito, ma andare più avanti”. In maniera parallela, forse non a caso, in quegli stessi anni avevo molti amici che dovevano “fare la rivoluzione” perché venisse finalmente la società nuova: prima il socialismo, poi il comunismo, poi l’ultra-comunismo, poi i nuovi diritti… con sempre meno doveri, poi diritti sempre più “strani”. Non ritengo saggio rincorrere “il progresso secondo me”, ma cercare: qual è la Chiesa che il Signore vuole? Quale società nuova e migliore ci indica Gesù Cristo? Sono sempre più convinto che se già realizzassimo davvero “solo” la Chiesa del Concilio, solo quella che è descritta nei suoi documenti, saremmo molto più avanti nel cammino verso Dio ed il suo Regno di dove siamo ora. Ma com’è la Chiesa del Concilio? La Chiesa della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes? E più in concreto: come sono i vescovi, i preti, i diaconi, i consacrati e i laici che realizzano questa Chiesa? Quale diocesi e quale parrocchia pensava il Concilio? Proviamo a partire dal basso: dalla parrocchia sognata dal Concilio. La prima cosa che colpisce è che il Concilio ha parlato molto della Chiesa e relativamente poco della parrocchia. Il Concilio ci suggerisce di avere prima ben chiaro cosa sia la Chiesa e solo poi teorizzare su come vorremmo organizzare e far funzionare la nostra parrocchia. E il punto di partenza, come dice anche il Credo, è che la Chiesa è “una”. Misteriosamente, perché la Chiesa è un mistero, ma la Chiesa è prima di tutto un mistero di unità. Unità che non esclude la varietà, anzi la presuppone come sua dimensione intrinseca. Unità che quotidianamente si fa nella comunione dei vescovi attorno al Papa, nel convenire delle molte Chiese Locali nell’unica ed
biografia curata da Vincenzo Varagona. Nulla dies sine linea (Nessun giorno senza una linea) il titolo, con foto, testimonianze di amici e collaboratori. Presente anche il vescovo emerito di Senigallia Giuseppe Orlandoni. La cerimonia è stata preceduta da una Santa Messa in Duomo presieduta dal vescovo Nazzareno Marconi. (G.Lup.)
sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge, deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra». La cosa più importante è che la Parrocchia non è il pezzo di una macchina, né la succursale locale di una multinazionale, ma un gruppo di fedeli particolarmente significativo per chi in un luogo concreto voglia incontrare la Chiesa, quell’unica Chiesa che è stabilita su tutta la terra. E così il Parroco che la guida diventa il modo concreto e quotidiano con cui il cristiano può incontrare e vivere la comunione con il Vescovo della sua Chiesa locale, che è l’Apostolo di quella Chiesa. Quello che emerge è poi che: «il vescovo deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli» che non sono solo l’assemblea parrocchiale. Questa ha un posto preminente tra i vari gruppi di fedeli, ma non il monopolio… Lo stesso linguaggio usa Lumen Gentium al n. 26: La «Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli le quali, aderendo ai loro pastori, sono anche esse chiamate chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono, nella loro sede, il popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito Santo e in una totale pienezza». Forse non è superfluo sottolineare che secondo questi testi soltanto la Diocesi è “Chiesa” in senso pieno. La Parrocchia lo è in maniera subordinata, per quanto cioè è vitalmente inserita nel contesto della propria Chiesa locale ed è unita attraverso i suoi pastori al vescovo. Ritengo ci sia di che pensare e soprattutto ancora tanto da camminare per passare dalla teoria alla vita. * vescovo
ANNO NUOVO
«Vorrei tornasse il tempo sereno delle campane» DI LAURA
CRUCIANELLI
P
iù passano gli anni, più mi rendo conto che desidero non le piccole cose, ma un lusso sfrenato: il tempo. Non solo il tempo libero, non determinato da impegni prefissati, ma il tempo per vivere appieno il quotidiano: il lavoro, gli affetti, ma anche tutto quanto non può essere svolto se non in una solitudine apparentemente inoperosa. Niente di originale: la riflessione sul tempo occupa pagine e pagine di ogni epoca, ma confido nell’indulgenza di chi legge e, sommessamente, propongo la mia. E dunque è di tempo che, qui e ora, ho fame. Nonostante la tecnologia delle comunicazioni – reali e virtuali – ci dia l’illusione di farcelo guadagnare. Ma si tratta, come si sa, di abbreviare le distanze tra una domanda e una risposta, non di una effettiva dilatazione: dal momento in cui uno strumento mi consente di dare una replica immediata, da me si esige l’immediatezza. Tutti abbiamo fatto l’esperienza delle chat scolastiche, chi dalla parte dei genitori, chi da quella degli insegnanti, chi da entrambe. Innumerevoli bip di una connessione senza sosta. Chi resta indietro è perduto. E, dunque, dagli all’affannosa risposta, mentre fai altro, mentre altri ti parlano, mentre il telefono squilla, un bimbo piange, la cena brucia, i nervi saltano. Il nostro, soprattutto in questi anni sciagurati di pandemia, è un tempo frammentato, bombardato, ossessionato. È il tempo scandito dalle notifiche. Una volta, invece, il tempo lo scandivano, per esempio, le campane. Che avevano una doppia funzione: quella del richiamo alla preghiera comunitaria e, insieme, al raccoglimento personale. Ecco, quest’anno voglio osare l’impossibile: vorrei il tempo delle campane. Non mi illudo che si possa tornare al passato, né è questo il mio auspicio: ci sono dei vantaggi indubitabili nell’andare a Milano in tre ore di treno anziché in giorni e giorni di calesse. Il fatto è che, mi pare, siamo diventati strumento dei nostri strumenti e allora diventiamo quelli che devono fare delle cose, tante, di corsa, perché la tecnologia ci consente di essere qui e altrove, tutto in centrifuga. Nobili e necessarie attività, magari, ma che non ci definiscono, non pienamente, almeno. Ci manca il tempo per essere. E allora ritrovo il richiamo di Seneca: recede in te ipsum, ritirati in te stesso. Non una fuga dal mondo, ma un necessario, salutare raccoglimento che mi ricordi il senso, l’orizzonte del mio agire. Che non vorrei più sentire come imposto da necessità esterne, ma scelto, attimo per attimo, per vivere quella parte di vita, piccola ma insostituibile, che mi è assegnata. Vorrei poter dire, con sant’Agostino: «In te, animo mio, misuro le stagioni».
«Tre vie di pace», il messaggio del Papa per la giornata DI
LUIGI ACCATTOLI
P
È diminuito a livello mondiale il bilancio per l’istruzione e l’educazione, mentre le spese militari sono aumentate
arole forti sugli attacchi alla pace e sulla necessità del disarmo sono venute da Francesco ad apertura del 2022: nella Giornata mondiale della pace del 1° gennaio e con il Messaggio per quella giornata, che era stato pubblicato il 21 dicembre. È urgente lavorare per il disarmo sull’intero pianeta, ha sostenuto il Papa, diminuendo le spese militari e facendo fronte in maniera solidale al dramma pandemico. “Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura” è il titolo del messaggio papale che culmina con la denuncia dell’incredibile paradosso dei nostri giorni, che vedono un primato assoluto del-
le spese militari rispetto all’intera storia dell’uomo sulla terra: «Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, mentre le spese militari sono aumentate, superando il livello registrato al termine della guerra fredda». Come già con l’enciclica Fratelli tutti (2020), papa Bergoglio nel Messaggio è tornato a segnalare che i conflitti sono in crescita su tutto il pianeta, mentre regrediscono gli sforzi per la costruzione di rapporti di collaborazione: «È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici» e tornino a per-
seguire «un reale processo di disarmo internazionale». La diminuzione dei fondi destinati agli armamenti, dice ancora Francesco, può aiutare l’umanità a fare fronte ai tanti bisogni dei popoli «ancora stretti dalla morsa della pandemia». Tra i danni creati dal Covid, ai quali è più urgente rimediare, il Papa segnala quelli del mondo del lavoro, che hanno gettato sulla strada i meno provveduti: «Milioni di attività economiche e produttive sono fallite, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano prospettive drammatiche». In particolare Francesco giudica “devastante” l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i
migranti «esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga». Il Papa venuto dal Sud del mondo invita a guardare ai popoli che vivono nel bisogno dei beni primari, la cui condizione, già drammatica, è stata ulteriormente danneggiata dalla pandemia. E non si tratta di piccole minoranze, fa osservare il Papa dei poveri, ma della più gran parte dell’umanità: «Solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale». Accenti felici Francesco ha trovato, ancora una volta, nello stimolare l’impegno di tutti: c’è infatti – ha detto – «un’architettura della pace» dove operano le grandi istituzioni, ma c’è anche «un artigianato della pace che coinvolge
ognuno di noi in prima persona». Queste denunce Francesco le ha riprese all’Angelus del primo gennaio: «Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Pace. La pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. Dono dall’alto: va implorata da Gesù, perché da soli non siamo in grado di custodirla». «Ma la pace – ha concluso – è anche impegno nostro: chiede di fare il primo passo, domanda gesti concreti. Si edifica con l’attenzione agli ultimi, con la promozione della giustizia». Infine la spinta a reagire alle vedute pessimistiche: «La pace ha pure bisogno di uno sguardo positivo: che si guardi sempre – nella Chiesa come nella società – non al male che ci divide, ma al bene che può unirci».