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Martedì, 20 aprile 2021
PORTO RECANATI Riapre San Giovanni Battista
abato 24 aprile alle ore 10 con una liturgia presieduta dal vescovo Nazzareno SMarconi avrà luogo la solenne riapertura
Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata
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della chiesa San Giovanni Battista di Porto Recanati. Alla cerimonia, con attenzione alle norme anti contagio, parteciperanno i rappresentanti dell’Unità Pastorale, autorità civili e militari, i professionisti e le imprese esecutrici. San Giovanni Battista è la chiesa matrice di Porto Recanati; nel 1599 venne eretta in parrocchia e alla fine del XVIII secolo fu riedificata nelle forme attuali. Fu consacrata dal vescovo Domenico Spinucci, amministratore apostolico di Recanati e Loreto. Lo scorso ottobre è iniziato l’intervento di miglioramento sismico ora completato.
Inserto di
La comunità piange don Issini e don Carnevale
Un anno di Dad: maledetto benedetto schermo
Don Carlos, sempre in prima linea contro il Covid-19
Macerata: il giorno in cui la libertà tornò a splendere
alle pagine 2 e 3
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Il vescovo: dopo la pandemia cambiare stile e strutture, superando il «clericalismo»
Chiesa tutta ministeriale «La Caritas deve diventare di Unità pastorale, perché certe problematiche si affrontano meglio in sinergia con le realtà civili e amministrative e perciò dentro un territorio più ampio della singola parrocchia»
DI NAZZARENO MARCONI *
F
Un momento di formazione per volontari della Carità a Recanati nel settembre 2020
veri solo quando saranno diventati dei miserabili, senza più pudore, senza più timore di mostrarsi. Ma a quel punto la loro condizione sarà ben più difficile da affrontare. Il povero lo aiuti dandogli sostegno, potenziando le energie che ha ed indirizzando e sostenendo i suoi sforzi per vincere il male in ogni sua forma. Il miserabile è ormai passivo, è
davvero difficile trovare in lui punti di appoggio umanamente solidi, energie residue su cui appoggiare un progetto di recupero. Per questo è importante concentrare ogni sforzo nell’opera di conoscenza della povertà e quindi di prevenzione della miseria, prima ancora che strutturare grandi sistemi di assistenza. Se la Chiesa sa essere vicina alle persone,
può essere un osservatorio prezioso sulle povertà per tutte le realtà umanitarie ed istituzionali, che poi possono scendere in campo con azioni sagge, mirate ed efficaci. In questo ambito dalla testimonianza di un nuovo stile evangelico di vita è saggio partire con delle domande chiare. Come possiamo alzare efficacemente le antenne del cuore per per-
LA LETTERA
Consegnata il Giovedì Santo ome annunciato nel precedente numero di CEmmaus, durante la Mes-
sa crismale, celebrata nel mattino del Giovedì Santo nella chiesa abbaziale di Fiastra, il vescovo Nazzareno Marconi ha simbolicamente consegnato alla diocesi, tramite i sacerdoti presenti, la Lettera pastorale “Per una Chiesa viva e non sopravvissuta”, liberamente scaricabile dal link tinyurl.com/chiesaviva. Ne riproduciamo qui a fianco un breve stralcio sul tema della Testimonianza evangelica. Il vescovo si chiede: al riguardo cosa sta cambiando e cosa ci sta insegnando questa situazione di pandemia?
TRAPPISTE VITORCHIANO
arsi prossimo all’uomo che soffre, carattere identificante della testimonianza cristiana, è diventato oggi più complesso. Il distanziamento sociale rende sempre più facile allontanarsi dagli altri, soprattutto se “ci scomodano” con i loro problemi. Per questo l’attenzione all’altro è sempre più rara e perciò è sentita come più preziosa. La pandemia ha reso più sensibili alla differenza fra l’assistenzialismo che tratta gli individui come numeri ed il “farsi prossimo” animati dall’amore di Dio, che è generoso, gratuito, dinamico, innovativo e coraggioso. La forza della testimonianza della Carità appare sempre più chiaramente in un mondo dove è diventata rara. “Si fa prossimo” chi si accorge del bisogno e si dà da fare per trasformare l’amore in qualcosa di concreto, di visibile. Accorgersi del bisogno oggi più che mai comporta articolare l’azione caritativa come azione di Chiesa, in cui tutti i credenti sono coinvolti, senza deleghe ma ciascuno con competenza e secondo capacità e possibilità. La pandemia ha nascosto i poveri e ha fatto sorgere nuove povertà che vanno scoperte e identificate, per poterle guarire. Si tratta di andare a capire, alzare le antenne, cercare di percorrere le vie, i tempi, le situazioni, per rendersi conto di chi sta al bordo della strada della vita. La cura delle persone, oggi prende anche colorazioni diverse rispetto al passato. Non si tratta più soltanto di dare da mangiare agli affamati di pane. Ci sono tanti e nuovi tipi di fame oggi: c’è fame di affetto, di comprensione, di significato. Per queste tematiche passa anche il rinnovamento della Caritas parrocchiale, o meglio di quella di Unità pastorale, perché certe problematiche si affrontano meglio in sinergia con le realtà civili e amministrative e perciò dentro un territorio più ampio. In questo ambito più che parlare ci sono passi concreti da fare, investendo sul coinvolgimento delle persone. Si tratta soprattutto di riattivare o di creare reti di attenzione al bisogno, perché la povertà cambia e si nasconde: per rispetto umano, timore di incomprensione, un senso di colpa che fa sentire la povertà come un fallimento personale. In un mondo che continua ad annunciare il successo e il benessere come ideali di vita a cui tendere quasi come un dovere assoluto, chi si ritrova povero di mezzi, di salute, di relazioni umane, si percepisce fallito. Chi di noi sarebbe disposto a mettere in piazza il proprio fallimento? Se non cerchiamo in ogni modo di intercettare le nuove povertà, ci accorgeremo di questi po-
Professione solenne per suor Maria Claudia Cesanelli ella domenica della Divina Misericordia suor Maria Claudia Cesanelli ha emesso i voti solenni nel N monastero delle Trappiste di Vitorchiano (Vt). Ha presieduto la concelebrazione dom Loris Tomassini, abate di Frattocchie. I genitori Paolo e Chiara, malati di Covid, hanno potuto seguire la celebrazione solo in streaming; ulteriore prova la morte dell’amata nonna Donatella Donati Capodaglio pochi giorni prima. Erano comunque presenti le sue sorelle e alcuni amici.
cepire i veri bisogni dei nostri fratelli più deboli? Come possiamo comprendere, prima di cercare soluzioni semplicistiche, le fragilità, soprattutto quelle interiori o che assumono forme del tutto nuove? La sintesi provvisoria della riflessione condotta nella Lettera pastorale è che non potremo, né dovremo restare identici a noi stessi alla fine di questa pandemia. Evitando di cadere in una logica rivoluzionaria di totale cambiamento senza memoria e senza radici, che non è cristiana, dobbiamo però credere nella possibilità della evoluzione della forma di Chiesa che oggi viviamo. Una evoluzione di stile, che comporterà poi anche una evoluzione di strutture. Nella Lettera non sono proposte ricette, ma indicati percorsi, direzioni di marcia che sembrano promettenti. “Attivare percorsi”, dice sempre papa Francesco. Uno snodo chiave di questa evoluzione, mi sembra passi necessariamente per l’evoluzione da una Chiesa primariamente clericale a una Chiesa tutta ministeriale. Da una Chiesa centrata sulla parrocchia come struttura isolata e centripeta, fatta “a immagine e somiglianza” del parroco, a una Chiesa che vive nelle Unità pastorali, come strutture che aiutano l’evoluzione dalla parrocchia in direzione espansiva, in uscita verso la società civile, verso il territorio. Questo comporta una evoluzione delle figure del presbitero e del diacono: da solisti e coltivatori diretti a direttori d’orchestra e lavoratori in cooperativa. Questa evoluzione sarà molto aiutata dalla vita comune dei preti, dalla visione dei loro incarichi come collegati gli uni agli altri, in una logica di specializzazione e collaborazione e di servizio volto a chi vive in un intero territorio. Sarà poi necessario sempre di più valorizzare i carismi, a partire da quelli dei Consacrati, assieme a quelli di Gruppi, Movimenti, Associazioni e Cammini, che per vocazione vivono di più in una dimensione ampia, di apertura, di proposta ed annuncio, di proiezione verso l’esterno. * vescovo
ANNIVERSARIO
Per don Peppe una biblioteca nella savana DI
ANDREA MOZZONI
L
a “Biblioteca nella savana” realizzata nel nome di don Giuseppe Branchesi a Dapaong, in Togo, è realtà. I frutti dell’opera pastorale del sacerdote treiese morto per Covid il 19 aprile del 2020 continuano a maturare in Africa, ma questa non è l’unica novità in serbo: «I 24mila euro donati da tutti voi, associazioni, famiglie e amici, sono diventati certezza di un futuro migliore per i ragazzi della savana, nella rossa terra africana, qui ed ora – hanno scritto i familiari di don “Peppe”, come era universalmente conosciuto, in una lettera diffusa “agli amici di ogni dove” -, un bene accolto e ricambiato nell’accoglienza dell’altro con cui ora continueremo a sostenere la realizzazione dell’intero campus di Dapaong». Una struttura ancora in divenire, dunque, che parte dall’istruzione e che, in futuro, punterà anche alla realizzazione di una mensa per i giovani studenti del posto. Il progetto è stato pensato dal parroco di Santa Maria in Selva, frazione alle porte di Treia e a due passi da Macerata capoluogo, già nel 2015 per poi essere fattivamente messo in moto due anni più tardi. Oggi, dopo la sua morte, prende il nome suggestivo di “In missione nel mondo con don Peppe”. L’aggiornamento è stato comunicato dai familiari proprio a poche ore dall’anniversario dalla dipartita: «Dopo l’arrivederci che abbiamo rivolto al nostro caro fratello don Peppe è sempre crescente il sentimento di profonda gratitudine per la vita che sa costantemente donare frutti di straordinaria unicità ed irripetibilità – si legge ancora –; il legame simbiotico con lui, capace di renderci uniti oltre ogni distanza nei giorni di paura e di dolore di 12 mesi fa, ci ha anche accompagnati alla vivida esperienza di un “grande Oltre”, di un bene che sa essere portatore di frutti di vero amore». “Una biblioteca nella savana” è anche il titolo scelto per un ciclo di appuntamenti online promossi in collaborazione con Eumega. Tre incontri che si concluderanno questa sera alle 21.20 su Facebook con la partecipazione da remoto del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi. L’occasione sarà utile a ricordare i tanti legami stretti da don Peppe in campo missionario, culturale, gastronomico (con i polentari d’Italia) e sportivo (in particolare l’impegno con la squadra di calcio locale, l’Abbadiense, e nel volley con la Lube). Quanti volessero contribuire alla raccolta fondi “In missione nel mondo con don Peppe” possono consultare il sito tinyurl.com/condonpeppe.
Covid e riscoperta dei borghi, «luoghi che curano» DI
GIANCARLO CARTECHINI
Q
Castelsantangelo sul Nera
Resterà ciò che ha migliorato la qualità della vita. Il lavoro da remoto apre prospettive per i centri del nostro entroterra
uanto durerà questo tempo segnato da lutti e macerie? Di dolore che brucia ogni cosa, di cenere che si deposita nel vuoto creato dal dolore? Incontro Anna sull’uscio di casa. Ha perso il padre pochi mesi fa, a causa del Covid. Vive insieme a un figlio di vent’anni con forti disturbi di personalità. Ieri notte l’ultima crisi violenta, conclusasi con un ricovero coatto, e la vergogna per una notizia gettata in pasto ai social. «Credimi – dice – vorrei andarmene via, cambiare casa, abbandonare tutto». È sfinita, le rughe intorno agli occhi parlano per lei. Dove ci porterà questo tempo sospeso? Che mondo tro-
veremo quando finalmente potremo uscire da quello che Giuseppe De Rita ha definito un “accucciamento collettivo”, così confortevole per alcuni, insostenibile per altri? Nel saggio di Paolo Inghilleri, “I luoghi che curano” è possibile trovare qualche chiave di lettura. Riprendendo alcune teorie dell’antropologo Arjun Appadurai, l’autore – psicoterapeuta e docente universitario – descrive le contraddizioni del mondo in cui viviamo. Abbiamo buoni motivi per sentirci male, e altrettante ragioni di speranza. Il concetto stesso di “individuo”, tanto caro alle civiltà occidentali, è entrato in crisi. Le identità stabili sono state sostituite da cristallizzazioni temporanee, appartenenze plurime.
La perdita di legami profondi ha generato lo stesso disorientamento di chi ha dovuto abbandonare la propria casa, o l’ha vista crollare, o ha subito un lutto. Eppure questa crisi può rappresentare anche una opportunità. Come esempio, Inghilleri cita le dinamiche sociali presenti all’interno degli slum, dove la gente vive gomito a gomito, e sperimenta un sé interdipendente che trae la propria forza nel rapporto con gli altri. In questi ambienti caratterizzati da estrema povertà possono svilupparsi processi positivi che generano benessere: immaginare insieme un futuro diverso, collaborare a nuove attività, aspirare a una vita migliore raggiungibile con l’impegno e l’aiuto degli altri. La consapevo-
lezza di potercela fare, genera quella che l’autore definisce una “democrazia profonda”, intimamente sentita come propria. Per tornare dalle nostre parti, proprio la crisi generata dal Covid ha dimostrato che in nome di un bene comune – la salute pubblica – è stato possibile sacrificare temporaneamente la propria individualità, sentendosi parte di una comunità e provando soddisfazione per questo. È stato possibile trasformare le proibizioni in nuovi modi di stare insieme, scoprire nuovi modi di lavorare o di studiare. Secondo Stefano Boeri, l’architetto che nei giorni scorsi ha presentato il piano per la ricostruzione di Castelsantangelo sul Nera, alcuni fenomeni generati dalla crisi
pandemica sono reversibili, ma non quelli che dimostreranno di avere migliorato la qualità della vita delle persone. I centri direzionali delle grandi città si sono svuotati, le periferie si sono animate di nuova vita. L’organizzazione del lavoro da remoto, resa possibile dalle infrastrutture tecnologiche, apre prospettive inedite per i borghi storici del nostro entroterra distrutti dal sisma, e destinati a divenire, per la loro bellezza e la loro storia, “luoghi che curano”. Viviamo in un continuo alternarsi di perdite e ricostruzioni. Però non dobbiamo perderci d’animo: lo dobbiamo agli occhi stanchi di Anna e al suo dolore cerchiato di nero, dalle cui ceneri può rinascere la vita.