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MACERATA
Martedì, 20 giugno 2017
Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
Il terremoto e il calo dei sacerdoti impongono scelte nel segno della collaborazione
l’assemblea
Una pastorale da convertire Le Unità pastorali devono procedere nell’integrazione. Chi è più impegnato deve comunque mettersi al servizio dei più deboli nelle parrocchie
in cammino. Scoprirsi sempre più Chiesa tra tutti gli uomini DI
DI
NAZZARENO MARCONI *
D
I
l Convegno Pastorale con cui abbiamo appena concluso il cammino di quest’anno dedicato al tema della Carità era stato programmato nel giugno 2016, primo di un percorso triennale di revisione della Pastorale Fondamentale portata avanti dalle nostre parrocchie negli ambiti della Carità, della Catechesi e della Liturgia. A questo percorso si doveva intrecciare un cammino di preparazione della Visita pastorale. «L’uomo propone e Dio dispone», dicevano i nostri vecchi. Il giugno 2016, solo un anno fa, sembra lontano un secolo, perché da esso ci separano: la scossa di terremoto del 24 agosto 2016 e le due potenti repliche del 26 ottobre. Quella fortissima del 30 ottobre – 6.5 – e infine la nuova sequenza di quattro scosse del 18 gennaio 2017. Il terremoto ci ha fatto guardare alla realtà, anche della vita pastorale, in maniera diversa. In questa situazione di emergenza abbiamo meglio compreso come non potevamo più ignorare un calo repentino del clero attivo, dovuto all’età e alla salute. Per questi due motivi in soli tre anni un terzo del nostro clero si è ritirato da un impegno pastorale continuativo e rilevante, senza poter essere sostituito. La situazione di riduzione del clero, le problematiche legate al terremoto, i cambiamenti significativi e veloci nella vita e nella mentalità delle persone, ci pongono davanti alla necessità, non più derogabile, di una “conversione pastorale” cioè un cambiamento nel fare la Pastorale, quello che papa Francesco chiede da tempo alla Chiesa italiana. Questo comporta la scelta convinta delle Unità pastorali, dove si deve fare insieme ciò che è possibile, per non disperdere le forze mantenendo inutili doppioni. Lavoran-
Treia, il presbiterio del Santuario del SS. Crocifisso, gravemente lesionato dal terremoto
do per unificare presto i Consigli pastorali e gradualmente, ma celermente, anche i Consigli per gli affari economici e giungere a Gruppi Caritas di unità pastorale. La sfida e l’impegno che abbiamo davanti è di garantire a tutti una Pastorale fondamentale: catechesi alla fede e ai sacramenti, pastorale giovanile, corsi per fidanzati, cammino di sostegno per le famiglie, cura nella celebrazione dell’Eucarestia domenicale e delle feste, assistenza spirituale ai malati, proposte di momenti di preghiera e catechesi nei tempi forti dell’Avvento e della Quaresima, proposte concrete per vivere la Carità. Per favorire questa Pastorale fondamentale è indispensabile rinunciare alla creatività individualista e accettare di rendere le proposte di base semplici e uguali su tutta la diocesi. Così gli Uffici pasto-
rali potranno elaborare sussidi e occasioni formative perché tutti possano fare ciò che è basilare con il minor sforzo e il maggior risultato. Chi ha possibilità e genio è incoraggiato non a camminare da solo, ma a mettere a frutto per il bene di tutti i suoi talenti e i suoi carismi. Quindi se si sviluppano progetti più esigenti e forti, ad esempio di Corsi per fidanzati più lunghi e strutturati, di Cammini formativi per giovani, di Scuole di preghiera per giovani ed adulti, di Cammini di catechesi più esigenti… una volta approvati a livello diocesano verranno proposti senza gelosie e senza sindacare se le persone che partecipano vengono da altre zone della diocesi. In questa logica l’azione dei consacrati, dei movimenti e di realtà similari, non saranno sentite come una minaccia, ma come un’opportunità per far
crescere le persone nella fede. Con una immagine possiamo dire che dobbiamo aiutare tutti a “camminare” nella fede, senza impedire di “correre” a quelli che sono disponibili a farlo. Quello che come vescovo esigo è che: per non essere una Chiesa diocesana che scarta i deboli, tutti – e sottolineo il “tutti” – coloro che scelgono di fare un percorso di fede più ricco e più impegnativo, sia in parrocchia che nei movimenti, si mettano a servizio dei più deboli, dando alle parrocchie un sostegno per far funzionare la Pastorale fondamentale. La riflessione ampia ed articolata sulla Carità, che ha segnato questo anno e di cui parlano altri articoli di questo numero, è già un importante passo in questa direzione di crescita e di impegno. * vescovo
giovani
Lungo vie e piazze della città accompagnando l’Eucaristia
estate. Finita la scuola è tempo di uscire di casa per crescere DI FLAVIANO
omenica un fiume di persone si è impadronito pacificamente delle vie del centro storico di Macerata in occasione della processione per la solennità del Corpus Domini, festa istituita nel 1264 da papa Urbano IV. Alle 18 il vescovo Marconi ha celebrato la Messa in piazza Strambi, causa l’inagibilità della cattedrale di San Giuliano. Nell’omelia il vescovo ha ricordato che «Il cristiano vive di tre cose: del pane frutto del lavoro che dà dignità, perché la vita sulla Terra non è da vagabondi né da approfittatori; poi del pane che viene dal cielo, il nutrimento che ci giunge da Dio, che celebriamo nell’Eucaristia, e infine della Parola del Signore, senza la quale rischiamo di perderci nella vita». L’omelia si è conclusa con una tri-
D
D’ERCOLI
L’
entusiasmo è il segno di vitalità di un giovane. Terminare l’impegno dello studio e avventurarsi in lunghe dormite a tempo indeterminato è il modo migliore per deprimere ‘lo spirto guerrier ch’entro [un giovane] rugge’. Ecco perché è importante che dopo la scuola e dopo due giorni (massimo tre nei casi più acuti) di sonno ben curato è bene preparare con i giovani e per i giovani un tragitto di impegno e di coinvolgimento. Piuttosto una sana avventura di gioco, di vita in comune, di orari scanditi e di appuntamenti da onorare: i ragazzi non sono spaventati da queste “rigidità”; sono, al contrario, indeboliti dall’indefinito. Da anni, ormai, assisto alla conferma, valida per tutti, che l’immersione totale, per un tempo prolungato, in un ambiente costruito per il riposo attivo – cambiando lavoro, appunto – rende i nostri figli sorgente di vita nuova e promuove speranza per i più grandi. Tornano a casa stanchi nel fisico ma più vivi nel cuore e nella mente. I Gr.Est. e le Estate ragazzi di tutti gli oratori sono tanto più efficaci quanto più sono impegnativi, sia per gli animatori che per gli animati: a dimostrazione del fatto che non è il lavoro a “stressare” ma l’insignificanza della fatica. Si è felici di dare la vita per qualcosa che è a servizio della vita. Uscire di casa è una conquista quando si esce per crescere! In una società in cui i giovani restano in famiglia fino ad esserne soffocati, l’Estate è un’occasione d’oro per lasciar partire i nostri figli. I famigerati “Campi Scuola” sono il tempo opportuno per alimentare il desiderio di andare. Un viaggio salutare da cui si torna sapendo che la nostra casa è, sì, nostra ma è anche piccola, che il mondo è più grande e ci aspetta. L’oratorio, con una consolidata continuità, propone con fedeltà esperienze piene di rischi e piene di vita: l’ideale per ogni giovinezza. Buona estate!
EGIDIO TITTARELLI
La Messa del Corpus Domini davanti al Duomo
plice invocazione: «Che il Signore non ci faccia mai mancare la comunione tra noi e con Lui; che il Signore non ci faccia mai mancare la luce della sua Parola; che il Signore ci aiuti a vivere nella dignità del lavoro e della vita insieme». Subito dopo la fine della Messa si è mossa la lunga processione, cui hanno preso parte autorità, sacerdoti e religiosi, membri di numerose confraternite, bimbi con l’abito della Prima Comunione e tanti fedeli. La conclusione di nuovo dinanzi al Duomo, col vescovo che ha impartito «la benedizione del Signore, che abbiamo portato in processione per le nostre strade, sia benedizione per le nostre famiglie, in particolare per i piccoli e per gli ammalati». (P.Chi.)
opo un anno di cammino sulle orme del Buon Samaritano, la nostra chiesa diocesana si è riunita per fare il punto sul cammino vissuto e per indicare priorità e prospettive per il prossimo anno sul tema “Chiesa sinodale e ministeriale che testimonia la carità nel quotidiano”. Dopo il Giubileo della Misericordia e riprendendo in mano il Libro del Sinodo Diocesano, il vescovo Nazzareno ci ha indicato il percorso dei prossimi anni segnato dall’attenzione alla carità, alla catechesi e alla liturgia come fondamento della pastorale ordinaria nelle nostre comunità. In questo anno ci ha accompagnato la riflessione sulla parabola del Buon Samaritano, a partire dalla lettera pastorale che ci è stata consegnata a settembre e che è stata punto di riferimento per tutta l’attività di questo anno, sia negli incontri di formazione per operatori pastorali e sacerdoti, sia nei consigli pastorali parrocchiali o di unità pastorali, sia nel cammino ordinario delle nostre comunità. Dalla lectio del vescovo, che ci ha offerto una rilettura del cammino fatto e una riconsegna della parabola, sono emerse alcune attenzioni che orienteranno il cammino del prossimo anno. Innanzitutto l’attenzione allo sguardo perché la carità inizia dallo sguardo, dal vedere e conoscere la realtà in cui viviamo e la situazione di chi è con noi. Senza questa attenzione allo sguardo, la carità rischia di essere un gesto emotivo e centrato più sulla nostra generosità e sulle nostre idee di carità che una risposta vera e concreta alle persone e alla realtà. Un’altra attenzione è quella alla prossimità: il samaritano vede e si avvicina per vedere meglio, ci diceva il vescovo nella lectio divina; questo indica una conversione pastorale che ci fa passare da una Chiesa che va verso gli altri, a una Chiesa che si scopre tra gli altri, in uno stile di condivisione di vita. Inoltre è indispensabile uessere attenti alla concretezza perché, come ci ha ricordato in un incontro di formazione monsignor Luca Bressan, la carità «parte dagli occhi, passa per la mente e giunge alle mani» e anche padre Sebastian, dei missionari della carità di Madre Teresa: «È meglio accendere anche solo una candela, che limitarsi ad imprecare contro il buio». Un’altra attenzione è quella della creatività perché, ci ha ricordato il vescovo «la Carità non è un concetto astratto e immutabile, ma un modo cristiano di amare, che è attento e guarda bene al mondo che cambia, per questo diventa creativa». Infine va prestata attenzione alla comunione perché «la carità da fatto individuale deve diventare sempre più un impegno comunitario», come ci ha indicato in un altro incontro di formazione il direttore di Caritas Italiana, monsignor Francesco Soddu e come già ci aveva detto il nostro Sinodo Diocesano: «Presupposto indispensabile per una reale e credibile testimonianza della carità è un vissuto ecclesiale che si realizza in uno spirito di vera comunione». Siamo in attesa di condividere il frutto della riflessione dei Laboratori per poi discernere insieme al vescovo e ai consigli pastorali e presbiterale il cammino del prossimo anno, segnato da alcune attenzioni comuni per vivere la carità nel quotidiano delle nostre comunità. Un cammino che continua e che cerchiamo di condividere insieme in uno stile sinodale.
«L’anno in cui abbiamo imparato a ri-farci prossimi» DI
MARIO BETTUCCI E MARINA RINALDI
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bbiamo concluso l’anno della carità? L’anno sulla carità? O sulle opere di carità? Di sicuro un anno in cui ci siamo educati alla carità, a partire dalla domanda del dottore della Legge: chi è il mio prossimo? Il percorso pastorale che proseguirà anche per i prossimi due anni, ha l’obiettivo di riprendere le tre dimensioni che connotano la Chiesa conciliare: l’Annuncio del Kerigma e le forme dell’evangelizzazione, la Liturgia quale fonte e culmine di tutta la vita cristiana, la Carità quale conferma della fede: credere in Gesù Cristo Figlio di Dio e di amarci gli uni gli altri (cfr 1Gv 3,23). Ogni battezzato – come ogni Chiesa locale – è chiamato a testimoniare con la vita la sua fede. La testimonianza della Carità esige di spezzare l’unico pane; quello della Parola di Dio e quello della carità, come il pane del-
l’Eucarestia, non sono pani diversi: sono la persona stessa di Gesù che si dona agli uomini e coinvolge i discepoli nel suo atto di amore al Padre e ai fratelli (ETC 1). Chi è il mio prossimo? Nella professione di fede di ogni Pasqua settimanale la Chiesa si impegna a guardare il mondo per cogliere la novità e il cambiamento, per riordinare le modalità di farsi prossimo a chi incontra per la strada. E un primo suggerimento, sulla scia delle tante sollecitazioni di papa Francesco, è che sulla strada bisogna starci, porsi in ascolto delle persone lì dove vivono: incontrarli, ascoltarli, ma anche accompagnarli, sostenerli, curarli, vestirli, dare loro di che sostenersi, perché la dignità della persona non venga meno. Chi è il mio prossimo? È richiesto un cambiamento di posizione: non l’atteggiamento filantropico, seppur utile, ma quello di chi sa abbassarsi per comprendere il bisogno e le cause che lo hanno generato. Serve un di-
scernimento comunitario. Se la Carità è lo sguardo per leggere il cambiamento, la carità delle mani è la conseguenza della carità dello sguardo e dell’intelligenza: parte dagli occhi, passa per la mente e diventa cultura. Solo allora avremo consapevolezza se il pacco di farina donato è la risposta giusta al bisogno di quella persona. Chi è il mio prossimo? Dobbiamo conoscere il mondo in cui viviamo; non è sufficiente essere lì a curare le ferite, occorre guardarsi intorno per coinvolgere chi ha quel “di più” che noi non riusciamo a dare. E la testimonianza della carità diventa contagiosa. Altro suggerimento è quindi di fare rete. Nel convegno pastorale diocesano vissuto la scorsa settimana ci è stata riconsegnata la lettera pastorale “Ri–farsi Prossimo” dal vescovo Nazzareno, e abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con quanto le comunità parrocchiali stanno vivendo a partire dalla visuale della nostra Chiesa locale: l’Osservato-
rio delle Povertà e delle Risorse e il Rapporto sulle povertà “Non possiamo più aspettare” sugli anni 2013–2015. Il terremoto ci ha poi accompagnato sin dall’avvio del percorso di Formazione per operatori pastorali ed è stato una opportunità di crescita come comunità, per una una pastorale da riorganizzare anche nelle piccole cose, nell’ordinarietà della vita parrocchiale e in quella delle tante realtà ecclesiali con al centro la famiglia. Nell’ordinario della vita della nostra Chiesa vi è anche spazio per l’accoglienza di chi è sfuggito a guerre, conflitti, carestie, dall’Africa come dall’Asia. Un angolo forse nascosto ai più, ma che è la voce silenziosa della carità che si fa accoglienza. Saremo sollecitati a rispondere all’appello del Papa dando disponibilità, nelle forme dell’accoglienza famigliare e parrocchiale, al corridoio umanitario dall’Etiopia attivato dalla Cei: un modo per contribuire allo sviluppo umano integrale.