Emmaus 15 settembre 2020

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Martedì, 15 settembre 2020

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La prossima edizione uscirà il 20 ottobre 2020

appuntamento Nuovi sacerdoti diocesani l prossimo sabato 10 ottobre, alle ore 10.30, nella chiesa abbaziale di Santa Maria di IChiaravalle di Fiastra, avrà luogo l’ordina-

Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata

zione sacerdotale di Antonio Barbaresi e Marco Petracci, giovani maceratesi, provenienti entrambi dalla parrocchia Buon Pastore di Collevario, che hanno svolto la loro formazione presso il Pontificio seminario regionale marchigiano «Pio XI» di Ancona. La celebrazione sarà presieduta dal vescovo Nazzareno Marconi. Sarà possibile seguire il rito attraverso la televisione su EmmeTv – Canale 89 e tramite il canale YouTube e la pagina Facebook della diocesi.

Maceratasette

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Inserto di

Caritas: un anno di risposte ai bisogni di tanti

Avenale di Cingoli Riaperta la chiesa dopo il terremoto

Padre Frigerio è tornato all’Abbadia nell’ultimo viaggio

Scuola e catechismo: ripartire in sicurezza ma con fiducia

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elezione del sindaco. La scelta compete al popolo, che è autonomo, dotato di giudizio e maturità

Redemptoris Mater

Vescovo, cioè mai di parte

Ordinati presbiteri Gerardo, Isaac, Pawel e Paulo

Alla Chiesa spetta ricordare ciò su cui si fondano fede e vita credente, e anche allertare quando intravede minacce per l’identità dell’uomo Pubblichiamo ampi stralci dell’omelia del vescovo pronunciata durante la Messa per la Festa del patrono San Giuliano il 31 agosto. DI

NAZZARENO MARCONI *

arissimi fedeli, in questo momento significativo della vita della nostra città, la Chiesa attende giustamente dal Vescovo una parola chiara. Ma il Vescovo non può essere uomo di parte, schierato contro qualcuno. E soprattutto il popolo va stimato e rispettato: non è massa da dirigere, ma insieme di persone dotate di giudizio e maturità tali da potere e dover scegliere in autonomia ciò che è buono. Al Vescovo spetta di ricordare ciò su cui si fonda la fede e la vita credente e magari mettere sull’avviso quando percepisce che, dietro le pieghe di un passaggio storico, ci sia forse anche un livello più profondo, in cui si tratta di decidere quale idea di uomo e di società si vuole portare avanti. Scegliere bene esige riflessione onesta e pacata, il cui risultato non potrà comunque essere di piena soddisfazione, perché la visione cristiana è in varia misura presente nei vari schieramenti, ma in maniera più o meno parziale, accentuando un aspetto o l’altro, ma quasi ovunque lasciando indietro elementi tutt’altro che secondari. Perciò potrei dire che: chiunque vincerà sarò un po’ scontento, o meglio, che dal mattino dopo mi batterò perché non vengano dimenticati quei temi e quei valori che per noi cristiani non possono essere lasciati da parte. Chiunque sarà eletto sappia perciò che in città ci sarà un Vescovo scomodo. Mi preoccupa che non si tenga conto dell’uomo nella globalità della sua natura, complessa e ricca, come milioni di anni di evoluzione naturale e millenni di cultura ci hanno insegnato a pensare. L’uomo non è solo una macchina dotata di pompe e circuiti. L’Illuminismo, che doveva garantire il paradiso in terra, ha visto le sue lampadine fulminate da due guerre mon-

C

Il vescovo Marconi mentre pronuncia l’omelia nella Messa per San Giuliano

potrà avvenire realmente se non riparte l’uomo, tutto l’uomo e non solo il consumatore, o l’elettore, o il tifoso. Se l’uomo non torna a sperare che è possibile ancora vivere insieme, che l’altro non è una minaccia ma una ri-

Santa Maria in Selva

diali e dagli stermini dei campi di concentramento e dei gulag: realtà orribili, seppur tecnologicamente e razionalmente ben organizzate. In quei momenti bui e per quegli uomini oscuri, non si era spenta la luce della ragione tecnica, ma la ragione del cuore, la luce dell’anima. Credo abbia ancora molto da insegnarci la generazione del dopoguerra, quella che ha scritto la Costituzione. I Padri Costituenti avevano una visione dell’uomo ampia e saggia. Prima di tutto stimavano la persona che lavora, non l’individuo che rincorre le proprie voglie. E indicavano perciò a ogni persona il «dovere di svolgere... un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (Art 4). Per contribuire a questo progresso dello spirito, i Padri Costituenti chiamarono a collaborare con lo Stato anche le tutte le Religioni e la Chiesa cattolica, con i loro credenti e il loro pensiero. Perché il nostro fosse uno Stato laico, ma non laicista. Volevano creare un mondo di persone che si volessero bene, dopo tanto odio che aveva insanguinato la nostra terra. Volevano creare un mondo libero dopo le dittature, ma sapendo che la vera libertà ha un limite: quell’utilità sociale, quel bene comune, «quell’amarsi gli uni gli altri», quell’essere tutti sulla stessa barca della vita, che non autorizza nessuno a fare buchi nello scafo perché lui ha voglia di andare a fondo. La “ripartenza” cui tutti aneliamo non

sorsa (il mio vicino di casa, il concittadino che la pensa diversamente da me, l’immigrato che cerca di inserirsi onestamente nella nostra società…), che non sono solo ma ho una famiglia, dei figli, delle persone che amo e

Un campo sportivo pieno di amici per ricordare don Peppe Branchesi peravo che fosse un colpo d’occhio bello, ma così tanta gente non me lo aspettavo»: così il vescovo Nazza« S reno Marconi il 4 settembre all’inizo dell’omelia durante la celebrazione voluta dalle comunità di Camporota e di Santa Maria in Selva per ricordare l’amatissimo parroco don Peppe Branchesi, morto a causa del Covid–19 lo scorso 19 aprile. Una celebrazione pubblica, davvero di popolo, per tributare al sacerdote il saluto che la pandemia aveva impedito e anche per accogliere il nuovo parroco don Igino Tartabini. (P.Ch.)

che mi amano, non ci si potrà dare una mano per ricostruire questo Paese. È importante chiedersi: che visione dell’uomo abbiamo e che tipo di mondo vogliamo costruire? E anche chiederlo a chi ci domanda la fiducia ed il voto. In questi tempi si è parlato spesso di “nuovo umanesimo”. Se l’uomo nuovo che si vuol costruire e moltiplicare fosse un individuo solitario, pieno di diritti e senza doveri, senza natura e senza storia e radici, che afferma sé stesso senza legami con gli altri, allora questo supposto “umanesimo” non sarebbe compatibile col cristianesimo. Lo dico chiaro: sarebbe un progetto pericoloso. Purtroppo il grande male dell’ultimo secolo è il pensare che l’uomo possa raggiungere la felicità tramite la tecnica. Ma per quanta tecnica useremo, non potremo sfuggire alla vecchiaia ed alla morte. La salvezza dell’uomo, la tua salvezza, cioè la tua vita piena e buona non è un problema di tecnica, ma di umanità, di incontro, di dialogo, di collaborazione, di relazione positiva e buona con gli altri. Questo insegna l’umanesimo cristiano. Il cuore della nostra fede è che non ci salviamo da soli, ma che è «Gesù mandato dal Padre che ci salva». Questa emergenza ci ha fatto scoprire che non siamo fatti per il distanziamento sociale. Chi dice che la natura umana non esiste e che ognuno si fa da solo secondo le sue voglie, ascolti la nostalgia profonda di abbracci, di festa, di sorrisi, di giochi fatti insieme, che ci sta intristendo tutti. Abbiamo necessità di questa visione dell’uomo che è molto più di una macchina che ragiona, di un progetto di futuro che dia dignità, responsabilità e mostri solidarietà verso chi ha più bisogno, perché ogni essere umano è prezioso e sacro. E permettete che dica con chiarezza in conclusione che con tutto questo, Dio, il Dio Padre di misericordia che Gesù ci ha insegnato, quel «Dio che ci ama per primo», c’entra e c’entra molto. L’immagine di San Giuliano traghettatore sul fiume Potenza mi ha ispirato una preghiera al nostro Patrono: che ci aiuti a traghettare la città verso un buon futuro, aprendola alla collaborazione e all’amicizia con tutto il territorio e le sue genti. Per Sua intercessione ci mettiamo perciò nelle mani di Dio. Chiediamo che, come il bravo agricoltore della parabola evangelica, ci aiuti a scegliere i tralci buoni da quelli che non portano frutto. E soprattutto aiuti quanti si candidano a guidare il nostro popolo ad avere la bella umiltà di chiedere la sapienza della fede e l’aiuto di Dio, ben sapendo che, come dice il Signore: «Senza di me non potete far nulla». * vescovo

n lucente cielo terso di settembre e il verde delle colline intorno al seminario diocesano e missionario Redemptoris Mater di Macerata hanno fatto da corona all’ordinazione sacerdotale di quattro giovani presbiteri. Gerardo Manuel Salinas Garcia, Isaac Vega Del Pino, Paulo Renato Mendes Gauto e Pawel Gajewski arrivano rispettivamente da Honduras, Isole Canarie, Brasile e Polonia e le loro strade si sono intrecciate a Macerata dove sabato scorso hanno vissuto il momento culminante dell’itinerario formatico che, nato in seno al Cammino neocatecumenale, li ha condotti al sacerdozio. I quattro sono stati incardinati nella diocesi di Macerata dove hanno svolto servizio durante il diaconato: Pawel a Montecassiano, Gerardo a Troviggiano di Cingoli, Isaac nella parrocchia dei santi Agostino e Domenico a Recanati e Paulo in quella dell’Immacolata a Macerata. «Sotto questo cielo che il Signore ci ha regalato, come bellissima cattedrale della vostra ordinazione, ricevete con fede il dono dello Spirito» ha detto monsignor Nazzareno Marconi durante l’omelia, richiamando l’originaria destinazione I neo sacerdoti missionaria della loro vocazione: «In qualsiasi parte del mondo andrete, quando guardate il cielo sarete dentro la cattedrale in cui siete stati ordinati. Che questo Spirito non vi abbandoni mai!». Lo spirito missionario e l’universalità della destinazione si sono resi ben visibili nella folla di fedeli presenti, circa un migliaio, accolti dall’impeccabile organizzazione del seminario che ha garantito il distanziamento e tutte le norme necessarie al contenimento del Covid–19, ma anche attraverso la diretta televisiva e lo streaming che ha permesso ad almeno altre duemila persone di condividere la gioia della comunità Diocesana; familiari, amici e parenti dei neo presbiteri dislocati in ogni angolo del mondo, hanno potuto non solo vivere la celebrazione ma inviare un pensiero o un augurio attraverso i media diocesani. «Questa celebrazione – ha detto il Vescovo in conclusione – ci ha fatto sperimentare ancora una volta che la Madre Chiesa non è sterile, ma genera. Ha migliaia di anni eppure non va mai in menopausa; è sempre viva e capace di donare la vita». A conferma delle sue parole arriva anche l’annuncio di altre due imminenti ordinazioni presbiterali: il prossimo 10 ottobre alle ore 10 all’Abbadia di Fiastra anche Antonio Barbaresi e Marco Petracci si uniranno infatti alla schiera dei sacerdoti diocesani. M. Natalia Marquesini

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Sibillini: quale turismo dopo l’abbuffata estiva? Come contemperare la tutela del patrimonio storico e naturalistico con l’esigenza di rinascita di un territorio con le macerie ancora vicine ai nuovi negozi? DI

GIANCARLO CARTECHINI

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no dei fenomeni di costume che ha caratterizzato, nella nostra regione, l’estate appena trascorsa, è stato il boom di presenze registrato sui monti Sibillini. Un simile assalto di vacanzieri distratti e gaudenti, da quelle parti, non si era mai vi-

sto. Le immagini delle file scomposte di autovetture che hanno intasato i Piani di Castelluccio sono state diffuse dai principali organi di informazione a livello nazionale. Ma ora che il tripudio della fioritura ha lasciato il posto alla monotonia delle erbe ingiallite, la tranquillità sembra ritrovata. Il profilo delle montagne, restituito alla sua essenzialità, amplifica gli spazi e il senso di libertà. Benché sia domenica, il sentiero che attraversa il Pian Piccolo è deserto fino all’orizzonte. Chi percorre l’altopiano può percepire il proprio respiro. In lontananza si scorgono due roulotte, utilizzate come rifugio dai pastori. Di fronte a una di esse ci sono grosse taniche di pla-

stica, e dei vestiti ad asciugare. Se questo fosse davvero un piccolo Tibet, come suggeriscono alcune pubblicità, i panni mossi dal vento potrebbero essere scambiati per bandiere di preghiera. Ai bordi della fonte che si trova poco lontano sono appoggiati un pezzo di sapone ruvido ed un asciugamano, e un avviso scritto a penna su un cartoncino: «Non portateli via». Sopra un’altura si stagliano le rovine di una fortificazione posta a guardia delle mulattiere che percorrevano l’altopiano e, in basso, le macerie molto più recenti di un casale crollato a causa del terremoto di quattro anni fa. Ora però il sentiero si avvicina alla strada asfaltata e ad una svolta, improvvisamente, il silenzio eva-

pora. Si trattava, a ben vedere, di una parentesi illusoria. Il traffico lungo il valico è sostenuto. A Forca di Presta ci attende un assembramento chiassoso di stand ambulanti: fritture ascolane, panini alla norcina con salsiccia cipolla e guanciale, le immancabili fette di cocomero. Gli avventori non mancano. Un gruppo di ragazzi percorre di corsa – a rotta di collo, letteralmente – l’ultimo tratto del sentiero che scende dal Vettore. Molte auto sono parcheggiate ai bordi della sterrata che conduce al Rifugio degli Alpini, in prossimità di uno stazzo. Passano due moto gran turismo di un colore nero lucente, con l’impianto audio al massimo: i woofer pompano house music e coprono perfino lo sconquasso

provocato dalle marmitte. Simbolo perfetto di un turismo arrogante mordi e fuggi, per nulla rispettoso di un ecosistema fragile, con ferite profondissime ancora aperte. Ecco il problema: dove trovare il punto di equilibrio tra la necessità di tutelare un patrimonio unico di bellezze naturali e di storia, e l’esigenza di garantire una rinascita non solo economica di un territorio in cui le macerie dei centri storici coesistono con la vitalità precaria di nuovi agglomerati commerciali? Come promuovere un turismo di qualità? Il filologo belga Fernand Desonay, studioso delle leggende nate sui nostri monti, nel corso di un viaggio effettuato nel 1929 scriveva: «L’aspetto di queste montagne serra il cuore; il silenzio al-

Parcheggio nel Piano Grande di Castelluccio durante la fioritura

l’intorno si direbbe che paralizzi. Ecco, dunque, lassù in alto, il leggendario monte della Sibilla; ecco il Vettore con il maledetto lago di Pilato! È lassù che sono sorti i culti antichi, i misteriosi racconti». Sì, forse bisognerebbe ripartire proprio dalla valorizzazione di questo silenzio, e dai racconti i

cui protagonisti erano eremiti, eretici, negromanti e incantatrici, soldati di ventura e doganieri, o cercatori di erbe leggendarie. Insomma tutti noi, che al ritmo frammentato e assillante di un videoclip preferiamo i tempi lunghi e tortuosi di un sentiero di montagna. La cui cima, forse, non raggiungeremo mai.


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