Martedì, 18 febbraio 2020
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prossima uscita martedì 17 marzo 2020
media
Strumenti di formazione l canale YouTube della diocesi (https://tinyurl.com/Ytubemc) mette a Idisposizione un ricco repertorio di video utili
Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata
Maceratasette
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Inserto di
per la formazione personale e per i gruppi catechistici e associativi. Ad esempio, ogni settimana il Vescovo presenta le letture della S.Messa domenicale con filmati della durata non superiore a una decina di minuti. Vi sono poi le registrazioni dei principali incontri diocesani e delle maggiori celebrazioni presiedute dal nostro Pastore. I filmati sono anche organizzati in playlist che raggruppano il materiale secondo tematiche e aree di impegno. L’iscrizione al canale consente di essere avvisati tempestivamente di tutti i nuovi caricamenti.
Carnevale marchigiano ricche tradizioni a tavola e non solo
Antiusura: prendono il via due sportelli
Centro di Recanati: completata la Visita pastorale nell’UP
Tolentino: Marconi a San Catervo e allo Spirito Santo
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Intervento del Pastore al Consiglio comunale di Recanati in occasione della Visita pastorale
agostiniani
«Il vescovo non ha candidati»
Padre Casciano nuovo provinciale
Marconi: «Allargare lo sguardo oltre le mura. Potenziare le collaborazioni superando le divisioni, il campanilismo e le rivendicazioni asfittiche»
elefoniamo a padre Giustino Casciano, eletto il 2 febbraio scorso “Provinciale delle comunità agostiniane di Italia”, che gentilmente ci fissa un appuntamento al santuario di San Nicola di Tolentino. Ci riceve, in una splendida mattinata di sole, nel suo ufficio. Nasce subito un dialogo fraterno; ci racconta la sua vita: parte dalle origini che risalgono a 64 anni fa quando nacque ad Agnone (Isernia). È appesa alle sue spalle la fotografia dei genitori e del fratello maggiore; si dice orgoglioso della sua famiglia che conta otto figli sparsi tra l’Italia, la Francia e l’Australia La sua vocazione – ci dice – non è stata un fulmine a ciel sereno; alla fine delle elementari l’insegnante aveva consigliato a suo padre di fargli proseguire gli studi, e, date le ristrettezze economiche, venne mandato per le medie “dai preti”, a Cascia. È lì che maturò l’idea del sacerdozio. Dopo il diploma, passò a Buggiano (Pistoia), poi a Norcia per il liceo classico statale, e a Perugia per il noviziato. Torna quindi a Cascia dove emette i voti. Completa il curricolo di studi teologici in Sacra scrittura e spiritualità agostiniana all’Accademia alfonsiana di Roma. A questo punto del dialogo gli chiediamo di aiutarci a capire l’importanza di Sant’Agostino. Padre Giustino ci spiega che per il santo di Ippona «si crede per comprendere», ma poi «si studia, si usa l’intelligenza per credere»: tra fede e intelligenza si Padre Casciano sviluppa un rapporto circolare. Tutte le facoltà umane Eletto priore sono utili a far creprovinciale scere la fede. Il nuovo provinciaper l’Italia le ha all’attivo una Nel 2012 ricca esperienza pastorale. Appena orPavia dinato presbitero fu inviato a Cascia a gli conferì la curare la ristrutturacittadinanza zione del convento. Vi rimase 16 anni onoraria impegnandosi nelL’impegno per la revisione dei testi liturgici agostiniani San Nicola alla luce del Vaticae il post no II. Con la collaterremoto borazione del grande scultore Giacomo Manzù ha progettato il nuovo presbiterio del santuario di Santa Rita. Trasferito alla parrocchia di Sant’Agostino di Gubbio, vi rimase otto anni, dopodiché fu inviato a Pavia, a San Pietro in Ciel d’Oro, la chiesa dove è sepolto sant’Agostino, anche lì con l’incarico di dedicarsi alla struttura dell’edificio di culto, cui era annesso un chiostro raso al suolo da Napoleone. Per le sue opere a favore della comunità, nel 2012 Pavia gli conferì la cittadinanza onoraria. A Tolentino arriva dopo il terremoto 2016. Tornando a parlare della sua nomina, ci spiega che la designazione a “Provinciale” è stata il risultato di una partecipazione corale in stile sinodale, riflesso della teologia agostiniana. Sono i frati a decidere le linee progettuali per la vita dell’ordine e i rappresentanti delle varie comunità eleggono, ogni quattro anni, il nuovo superiore. A fine aprile, a Cascia, i delegati vareranno un progetto, riassuntivo delle proposte dei frati, che guiderà il cammino per i prossimi quattro anni. Padre Giustino ci tiene a evidenziare che tutto ciò viene vissuto in spirito di comunione e non come una contrattazione tra correnti. Affrontiamo quindi i problemi conseguenti al sisma: padre Giustino sottolinea il buon rapporto con l’amministrazione comunale, che ha permesso di riaprire parzialmente basilica e chiostro; ora bisogna dedicarsi alla biblioteca e ai musei per rilanciare l’attività culturale e il turismo. Ci confida, da ultimo, che si sta interrogando in merito al restare a Tolentino o trasferirsi a Roma, dove si trova la Curia provinciale.
DI
NAZZARENO MARCONI *
Qui di seguito un estratto del discorso che il vescovo ha pronunciato a Recanati di fronte al Consiglio comunale la sera del 4 febbraio 2020. ignor Sindaco, Assessori e Consiglieri di questo nostro comune di Recanati, vorrei indirizzare queste riflessioni non solo a voi, ma anche agli uomini di buona volontà della politica locale, che si preparano alle prossime elezioni, sia comunali che regionali. In questi ultimi tempi molti mi hanno posto la domanda: «Chi è il candidato del Vescovo?». Altri hanno creduto di poterlo identificare da soli senza consultarmi. Altri infine si sono accreditati, a mia totale insaputa, come «uomo o donna di fiducia del Vescovo». Il Candidato del Vescovo a una qualsiasi elezione non c’è, perché il mio compito non è “incoronare” gli uomini, ma testimoniare con schiettezza e chiarezza i valori e i principi del cristianesimo cattolico. Poi ognuno, nella libertà e responsabilità della sua coscienza – e questo è un valore cristiano basilare – dovrà decidere chi sia più adatto a tutelare e promuovere questi valori. Lo scorso 28 gennaio, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha tenuto un discorso al Consiglio Regionale Lombardo che mi ha aiutato a trovare le parole adatte per parlarvi di questi valori. Un discorso positivo, lontano dallo stile polemico e becero di tanta comunicazione politica che si pone sempre “contro” qualcuno. Parlava nello specifico di Milano e della Lombardia, ma ho trovato tante similitudini tra le sue parole ed il nostro territorio. Il testo parte alto: «L’umanesimo, cioè la visione dell’uomo, la configurazione dei rapporti sociali, la dinamica produttiva, l’organizzazione complessiva della convivenza, si è configurato nei secoli e negli ultimi decenni in particolare perché ha ricevuto, accolto, messo a frutto il contributo di persone che hanno trovato casa in Lombardia provenendo da tutte le regioni d’Italia e, in proporzione minore, da tutte le parti del mondo». Questo stile positivo merita perciò di essere rilanciato anche in altri territori italiani da cui ha parzialmente avuto origine, e il nostro mi sembra un territorio particolarmente vicino. Mon-
Il vescovo con il sindaco e il Consiglio comunale di Recanati (4 febbraio 2020)
S
signor Delpini loda non un Umanesimo qualsiasi, ma quello “Lombardo” che si caratterizza come “cristiano e solidale”. Ben diverso perciò da un “umanesimo ateo ed individualista”. Degli aspetti di questo umanesimo aperto agli altri e a Dio, partecipa anche quell’Umanesimo Marchigiano che ha segnato la parte migliore del nostro dopoguerra. Questo Umanesimo ci ricorda che: «La Regione è di più di Milano e richiede a chi l’amministra uno sguardo che non si concentri solo sulla città». Anche da noi il rischio è di avere uno sguardo chiuso dentro le mura cittadine, incapace di pensarsi come parte di un territorio con cui dialogare positivamente, una rete di centri che va da Camerino a Civitanova in cui potenziare le sinergie e le collaborazio-
ni, superando le divisioni tra partiti e dentro i partiti e le rivendicazioni asfittiche di indipendenza e primato campanilistico. «Voglio fare l’elogio dell’umanesimo lombardo che apprezza... la vocazione della Regione ad essere terra accogliente e terra di passaggio». Come non pensare al fatto che la Quadrilatero rende il nostro territorio una importante “terra di passaggio” tra la costa adriatica e l’interno dell’Italia? Ma cosa si sta facendo per intercettare questi flussi in una logica di vera “accoglienza”? Ad esempio quanta sinergia in più potrebbe esserci tra Recanati e Porto Recanati, soprattutto durante l’estate! Come anche tra Camerino, Tolentino, Macerata e Civitanova. Un nuovo capitolo del discorso di mons. Delpini è il rapporto tra ric-
chezza e valori dell’Umanesimo cristiano e solidale. Dice l’Arcivescovo di Milano: «Non possiamo ignorare il pericolo che la ricchezza comporta. Nelle visite ad alcuni Paesi di altri continenti ho sentito spesso ripetere: si tratta di un Paese ricco di risorse, con possibilità di sviluppo straordinario, eppure è un Paese dove la gente è povera, dove i giovani sperano solo di poter andare via». Anche qui i paralleli col nostro territorio si sprecano. Con una caratteristica che tocca la gestione dei Comuni, ma anche delle Università: la divisione a volte esasperata per gruppi di interesse e gruppi familiari, che incrina la trasparenza e l’onestà nelle scelte e l’attenzione primaria a mettere nei posti giusti le persone veramente competenti. Un ulteriore prezioso capitolo del suo
MACERATA
Festa di Don Bosco: dai Salesiani tutti mobilitati e soddisfatti l 31 Gennaio è la festa di san Giovanni Bosco. A anche quest’anno giorni densi e alleIgri.Macerata, Venerdì 31 una bellissima Messa, di nuovo nel nostro Tempio riaperto a Ottobre. Sabato 1 una serata musicale di riflessione sulla funzione sociale dell’Oratorio. Domenica 2 grande Messa, pranzo per i 500 i partecipanti, tornei per i Giovani – vinto dal gruppo Scout locale – e incontro di forma-
zione per i genitori. Giovedì 6 stupendo spettacolo in teatro: Santa Impresa, della compagnia Equivochi, sulla santità torinese di fine Ottocento che ha cambiato il volto sociale e culturale della città. Protagonisti della kermesse i giovani che giocano, cantano, celebrano, recitano e quelli per cui gli adulti si incontrano, riflettono e lavorano. Grati a Dio per il dono di questa feconda santità. (F.D’Er.)
discorso mons. Delpini lo intitola: “Il buon senso, la sapienza, la fierezza di raccogliere le sfide”. Qui, senza la pretesa di dettare l’agenda politica, mette però in chiaro dei temi prioritari su cui confrontarsi: «I temi sono, la famiglia e i figli, il lavoro e i giovani, la società plurale e il futuro del cristianesimo». Siamo davanti ad un tempo nuovo, caratterizzato «dalla sfida della convivenza di persone che vengono da molte parti del mondo e portano le loro capacità, le loro attese, i loro bisogni, la loro cultura e mentalità, talora le loro miserie, i loro traumi e le loro sofferenze, le loro virtù e i loro vizi». Sarebbe sbagliato sia sottovalutare che ingigantire il problema, che però non può essere solo rimandato o tamponato. L’Arcivescovo qui sfida la società e la Chiesa lombarda, in una maniera che sento particolarmente significativa anche per noi: «Dobbiamo liberarci dalla logica del puro pronto soccorso; dobbiamo andare oltre le pratiche assistenzialistiche mortificanti per chi le offre e per chi le riceve, anche oltre una interpretazione che intenda “integrazione” come “omologazione”. Si tratta di dare volto, voce e parola alla convivialità delle differenze, passando dalla logica del misconoscimento alla profezia del riconoscimento. Siamo chiamati a guardare con fiducia alla possibilità di dare volto a una società plurale in cui i tratti identitari delle culture contribuiscano a un umanesimo inedito e promettente; siamo chiamati mostrare come le nostre tradizioni, la nostra identità è così ricca di valori e dimensioni da dar vita a riedizioni inedite e inaspettate delle nostre radici». Cioè non dobbiamo tagliare le nostre radici per creare una società neutra, che alcuni pensano potrebbe meglio accogliere chi è diverso da noi. Sarebbe un’operazione che porta alla morte della nostra civiltà. Ma neppure sradicare dalla loro cultura le persone che giungono tra noi, pretendendo di omologarle in tutto e per tutto. Quella che mons. Delpini chiama “la convivialità delle differenze” in cui le differenze non sono cancellate, ma messe in dialogo pacifico e costruttivo, è una via difficile, ma la sola che può aprire un futuro veramente stabile. Tra queste differenze da non cancellare, quella religiosa non è secondaria e proprio questa differenza potrebbe rivelarsi non un problema, ma una preziosa risorsa. Questo mi sembra uno sguardo adeguato al futuro che ci attende, una visione basilare su cui confrontarci e con la quale iniziare un dialogo tra istituzioni e società civile non più rimandabile. Su questo ribadisco il nostro impegno come Chiesa Diocesana. Grazie del vostro impegno per il bene comune. * vescovo
Quella «società signorile di massa» che asfissia l’Italia DI
GIANCARLO CARTECHINI
A
Gli immigrati sono circa 5 milioni; lavorano in media più degli italiani, ma restano poveri
volte incrocio Marije di mattina, lungo il vialetto condominiale, mentre esco di casa per andare al lavoro. Fazzoletto in testa, due maglioni indossati uno sopra l’altro: le maniche verdi del girocollo rimboccate sopra quelle di un cardigan marrone. I pantaloni della tuta, più larghi del necessario, sono pieni di pelucchi. Sulle scarpe spiccano due lacci giallo limone. Appena mi avvicino si ferma, appoggiandosi alla scopa. Mi fissa con uno sguardo interrogativo, fiero come il “buongiorno” pronunciato con accento slavo. Forse riconosce in me un rappresentante di quella che il sociologo Luca Ricolfi ha definito, nel suo recente saggio, una “società signorile di massa”. Una condizione esclusivamente italiana, caratterizzata dalla concomitanza di tre aspetti
contrastanti: un tessuto sociale in cui il numero totale di coloro che non lavorano (studenti, disoccupati, pensionati) è superiore al numero dei lavoratori; gli effetti negativi della stagnazione economica seguita alle recessioni degli ultimi anni; l’accesso di massa a consumi opulenti che continua a essere garantito alla maggioranza dei cittadini italiani. Un saggio, quello di Ricolfi, ricco di statistiche e di interpretazioni, alcune delle quali forse discutibili. Ha in ogni caso il merito di spazzare via molti luoghi comuni. Come quello in base al quale le panchine delle nostre città sarebbero affollate da immigrati perditempo dotati di smartphone di ultima generazione. La realtà, dati alla mano, è tutt’altra: in Italia sono presenti circa cinque milioni di stranieri. La maggior parte lavora, ma l’incidenza della povertà tra di loro supera di
oltre cinque volte quella riscontrata tra i cittadini italiani. Detta in altre parole: lavorano di più rispetto agli italiani, ma restano poveri. Rappresentano la parte preponderante di quella che Ricolfi non ha paura di definire una “infrastruttura paraschiavistica”: quasi tre milioni e mezzo di persone collocate in ruoli servili di fragilità e subordinazione estrema, al limite della sottomissione. Il tutto aggravato dall’impossibilità di esercitare il diritto di voto. L’elenco stilato è impietoso: include lavoratori stagionali costretti a vivere in ghetti sovraffollati; braccianti, lavoratori irregolari in edilizia, addetti alla consegna di mobili e beni pesanti; lavoratori occupati nella “gig economy” e nelle cooperative di servizi di pulizie alle imprese, fino a comprendere prostitute e spacciatori. E soprattutto quasi due milioni di colf e badanti: persone, per definizione, “al servi-
zio” di altre. Questo eterogeneo blocco sociale, ci piaccia o no, rappresenta uno dei pilastri di cui si serve la “società signorile di massa” per mantenere il suo livello di benessere, insieme all’altro pilastro rappresentato dalla ricchezza accumulata dalle famiglie dal dopoguerra all’inizio degli anni ‘90. Eppure la presenza degli stranieri continua a generare diffidenza. Il fatto che l’Italia si trovi in una situazione economica di non crescita, in cui il guadagno del vicino sembra avvenire a discapito del proprio, non aiuta a generare un clima di rispetto e di apertura. Ma a questo clima non mi arrendo. La prossima volta che incontrerò Marije le chiederò se vuole entrare in casa a prendere un caffè. Un modo come un altro per ringraziarla di un lavoro ingrato, e cercare di comprendere l’interrogativo segreto del suo sguardo levantino.
DI LUIGI TALIANI
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