Emmaus e Avvenire - dicembre 2018

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famiglie ferite Incontro oggi alle 15.30

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lle persone ferite dal fallimento del proprio matrimonio la A diocesi offre un cammino di acco-

Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia

glienza, ascolto e accompagnamento spirituale. Gli incontri si svolgono all’Oasi Buon Pastore (parrocchia di Collevario). I prossimi appuntamenti saranno il 13 gennaio, il 25 febbraio e il 31 marzo. Per informazioni rivolgersi all’Ufficio Famiglia, tel. 329.8911082 – email: famiglia@diocesimacerata.it

A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 62100 Macerata telefono 0733.231567

MACERATA

Martedì, 18 dicembre 2018

EDITORIALE

CORINALDO: UNA TRAGEDIA CHE NON VA ARCHIVIATA PIERO CHINELLATO a gioia che accompagna il Natale quest’anno è offuscata dal dolore che ci ha raggiunto con la tragedia di Corinaldo. Smorzata la rabbia per la intollerabile noncuranza di leggi e semplice buon senso; placate le reazioni fiammeggianti subito dilagate sui social, l’attenzione non deve però evaporare. Da un lato insistiamo nel pretendere dalle autorità di disporre o incrementare i controlli su ogni aspetto connesso al divertimento notturno perché tutte le regole siano rispettate: da quelle relative alla sicurezza dei locali e al numero degli accessi, a quelle che riguardano alcol e fumo, con un contrasto sempre più intransigente alla droga. Ma con altrettanta determinazione dobbiamo affrontare l’altro aspetto fatto emergere dalla tragedia, il fascino esercitato dalla cultura “trap” su tantissimi nostri figli o nipoti. Se la musica ha sempre dato voce all’aspirazione dei giovani a un mondo diverso rispetto a quello incarnato dagli adulti, l’agghiacciante desolazione umana messa in rima dai “trapper”, scandita solo da soldi, sesso, abiti e oggetti griffati, droga, non può essere digerita con indifferenza. Come però ciascuno di noi ha sperimentato sulla propria pelle, i no categorici non producono nulla di buono, ma nemmeno i sì rilasciati d’ufficio: entrambi marcano incomunicabilità e distacco, ratificano un fossato dietro cui ci trinceriamo. Voler bene ai nostri giovani significa coinvolgerci nel loro mondo per quanto sgradevole possa talvolta apparirci, cercare varchi per un dialogo anche quando vorremmo mandarli a quel paese, soprattutto impegnarci a essere adulti credibili, che li possano guardare in faccia e parlare loro di valori senza arrossire. Il Natale ci può aiutare a fare i primi passi, se lo prendiamo sul serio.

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feste. Alla scuola di Efrem per tornare all’essenza

La voce di un Natale di 1700 anni fa DI

Un testo che è preghiera e poesia ci indica l’atteggiamento spirituale e pratico migliore per vivere questo tempo in pienezza

NAZZARENO MARCONI *

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o scrigno della tradizione cristiana contiene testi antichissimi e scritti in lingue per noi quasi incomprensibili come il siriaco antico. In questo tempo di canti natalizi può essere bello andare a ricercare ispirazione nell’opera di uno dei primi autori di inni sacri cristiani: sant’Efrem il Siro. Questo santo, nominato nel 1920 da papa Benedetto XV dottore della Chiesa per la bellezza del suo insegnamento e la profondità della sua sapienza di fede, fu autore di numerosi inni in lingua siriaca. Visse buona parte della vita nella città natale di Nisibis nella Turchia sud orientale, lavorando come maestro di teologia e poeta, infine fu esiliato a Edessa (in Turchia), dove morì nel 373. I suoi inni, che venivano cantati nelle liturgie a cori alterni, per lo più femminili, usavano come base musicale arie popolari molto conosciute all’epoca, come canti di mietitura o di vendemmia o anche romanze nuziali cantate durante le veglie matrimoniali. Era il profondo senso della fede espresso nei testi, che rendeva sacra una musica quotidiana e semplice, particolarmente efficace per incoraggiare al canto tutto il popolo. Questi inni esprimono così una fede cristiana ancora primitiva ma vibrante, poco influenzata dal pensiero occidentale, filosofico e astratto, e più vicina al modo di pensare orientale ricco di simboli evocativi, ma anche prossimo al sentire della gente semplice ed alle loro problematiche quotidiane. Gesù vi appare come il maestro, ma soprattutto il modello da imitare, per vivere una vita piena e realizzata nel bene. Dobbiamo ad Efrem una bellissima serie di inni

liturgia

Celebrazioni l vescovo presieIla derà: Santa Messa di mezzanotte all’Abbazia di Fiastra (ore 24 del 24 dicembre) la Santa Messa di Natale a San Catervo, Tolentino (ore 10 del 25 dicembre) la Santa Messa di ringraziamento e Te Deum alla Basilica della Madonna della Misericordia, Macerata (ore 17 del 31 dicembre)

sul Natale, che sono insieme una preghiera e una poesia, tratteggiano il senso profondo di questa festa e ci indicano l’atteggiamento spirituale e pratico migliore per viverla in pienezza. Nel primo di questi inni Efrem pone in contrappunto poetico le caratteristiche di ciò che Dio ha compiuto nella notte di Natale, per pro-

porcelo come atteggiamento da imitare, come via che indica una spiritualità pienamente evangelica. Basta ascoltare le sue parole. Questa è notte di riconciliazione, non vi sia chi è adirato o rabbuiato. In questa notte, che tutto acquieta, non vi sia chi minaccia o strepita. Questa è la notte del Mite, nessuno sia amaro o duro.

La basilica di San Nicola riapre le porte a Tolentino A due anni dal sisma, ha riaperto a Tolentino la Basilica di San Nicola. Dopo un accurato lavoro di messa in sicurezza, da domenica 16 dicembre molti ambienti del complesso monumentale sono di nuovo accessibili. Una buona notizia per la città di Tolentino ma anche per i tantissimi devoti a San Nicola. È stata riaperta la navata principale, sopra la quale è stata montata una rete di sicurezza che protegge il prezioso soffitto a cassettoni. Restano invece chiusi la cappella del Santissimo e il presbiterio.

Dietro all’ altare è stata recuperata dal Museo del Santuario la pala in legno “Lo sposalizio mistico di Santa Caterina tra i Santi Agostino, Nicola e Apollonia”, commentata dal vescovo Nazzareno Marconi nell’omelia. Aperta anche la Cappella delle Sante Braccia dove è sistemato il corpo del Santo, e il Cappellone trecentesco i cui preziosi affreschi sono in parte visibili. Alla cerimonia di apertura era presente anche il vescovo Giancarlo Vecerrica, oltre a padre Marziano Rondina e padre Luciano De Michieli per l’Ordine Agostiniano e a numerose autorità civili. (T.Tib.)

In questa notte dell’Umile non vi sia altezzoso o borioso. In questo giorno di perdono non vendichiamo le offese. In questo giorno di gioie non distribuiamo dolori. In questo giorno mite non siamo violenti. In questo giorno quieto non siamo irritabili. In questo giorno della venuta di Dio presso i peccatori, non si esalti, nella propria mente, il giusto sul peccatore. In questo giorno della venuta del Signore dell’universo presso i servi, anche i signori si chinino amorevolmente verso i propri servi. In questo giorno, nel quale si è fatto povero per noi il Ricco, anche il ricco renda partecipe il povero della sua tavola. Oggi si è impressa la divinità nell’umanità, affinché anche l’umanità fosse intagliata nel sigillo della divinità. Riproporre questa perla preziosa della grande tradizione cristiana, mi sembra il modo migliore non solo per prepararci al Natale, ma anche per viverlo con un cuore giustamente concentrato sul suo messaggio. Auguri. * vescovo

Fiastra è ancora cuore spirituale della diocesi DI LUIGI TALIANI

o scorso agosto, a 33 anni di L distanza da quel 1985 in cui i cistercensi provenienti dalla Chiaravalle di Milano erano rientrati dopo più di tre secoli nell’abbazia di Fiastra, i monaci eredi di San Bernardo, hanno lasciato – secondo quanto promesso – temporaneamente il monastero dell’Abbadia richiamati a Milano dal loro abate generale. Anche loro risentono della carenza di vocazioni. I monaci bianchi erano diventati i “custodi” accoglienti per tante persone alla ricerca di un’oasi di spiritualità dove poter sostare, in questa epoca frenetica, per una pausa di contemplazione. Con loro l’abbazia, oltre che cuore verde dell’entroterra, era diventata anche un polmone pulsante che dava respiro spirituale a tutta la comunità diocesana. Recandomi a celebrare l’Eucaristia domenicale nella chiesa abbaziale rimango colpito dalle migliaia di persone che “invadono” per una “boccata” di ossigeno i vasti prati verdi che circondano l’Abbazia. Mi torna alla mente l’episodio evangelico in cui Cristo dopo il miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci invita i 5.000 a sedersi sul prato verde sulle sponte del lago di Cafarnao. Ma l’Abbadia coniuga l’Eucarestia e l’accoglienza! Si è trepidato dopo la partenza dei monaci per la “vita” della comunità, ma questa non si è spenta affatto, anzi si è rivitalizzata la responsabilità di tante componenti la comunità diocesana e parrocchiale. Molto attivi i diaconi permanenti che ogni giorno animano i momenti di preghiera liturgic. Puntualmente, alle 7.15 del mattino, Stefano Paoloni dal lunedì al sabato presiede la celebrazione della Parola di Dio per un gruppo di persone che prima di recarsi al lavoro sostano per alcuni minuti per trovare il senso ad una giornata che sta per iniziare. Mentre al pomeriggio, dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 16, con il coordinamento del decano dei diaconi permanenti Lorenzo Cerquetella vari diaconi – Stefano, Giancarlo, Salvatore – animano l’adorazione eucaristica. Don Rino Ramaccioni, come è ormai tradizione da vari anni, il primo venerdì del mese alle ore 21 celebra l’Eucaristia e propone un momento di adorazione per un gruppo che fa riferimento all’Azione Cattolica ma è aperto a quanti che vogliono raccogliersi in preghiera e non possono farlo durante il giorno. Un gruppo di preghiera si ritrova in chiesa ogni secondo venerdì del mese. Le Messe domenicali conservano l’orario che tenevano quando i monaci erano presenti: quella del mattino alle ore 10 e quella del pomeriggio che in inverno si celebra alle ore 17; la prima è animata da un coro diretto dal maestro Licio Cernetti i cui componenti provengono da vari comuni del circondario, mentre nel pomeriggio il coro è composto da persone della parrocchia. La condizione di difficoltà generata dall’assenza, ancorché temporanea, dei monaci ha rappresentato una sfida che è stata affrontata nella consapevolezza che, di fronte alla rarefazione dei sacerdoti, devono farsi avanti uomini e donne, adulti nella fede, che si sentano responsabili della comunità cristiana. I segni dei tempi sono anche questi.

Dal biroccio all’industria 4.0, per non soccombere Creatività e maestria degli artigiani devono coniugarsi con le tecnologie avanzate DI

GIANCARLO CARTECHINI

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orse – pensi – hai sbagliato direzione. In effetti, i cartelli segnaletici con la scritta “zona industriale” suggerivano la seconda uscita della rotatoria, in direzione di un grande complesso produttivo: quasi una cittadella, con gli autoarticolati tirati a lucido, allineati davanti alle baie di carico dell’edificio più esterno. Ma forse è meglio così.

Spesso le vie secondarie offrono scorci inattesi. Il centro storico di Appignano è formato da un pugno di case che circondano il palazzo comunale, e da vicoli così stretti che se provi a passarci con la macchina rischi di rimanere incastrato. Intorno al centro si sviluppa la zona residenziale: qui le abitazioni si alternano ai negozi, e alcuni edifici che un tempo ospitavano le esposizioni di mobili appaiono in stato di completo abbandono. E poi la periferia, fatta di case, orti e capannoni. Saracinesche abbassate, finestre impolverate che riflettono la luce del sole al tramonto. Qualcuno, prima o poi, dovrà provare a raccontare fino a che punto lo sviluppo economico, dal

secondo dopoguerra in poi, abbia modificato la struttura urbanistica e sociale dei borghi marchigiani, e come anche i nuovi scenari globali stiano iniziando a lasciare il segno del loro passaggio, sugli edifici e tra gli uomini. Proprio ad Appignano, nei giorni scorsi, si è svolto il 54° Convegno di “Studi Maceratesi”. Una delle relazioni riguardava la nascita e lo sviluppo dell’industria del mobile. Tema interessante, basato per una volta non sullo studio di fonti archivistiche, ma sulla testimonianza diretta di alcuni protagonisti di quella che è stata definita una “epopea appignanese”: il mestiere imparato nelle botteghe artigiane, l’apertura delle prime fabbriche. Un’epoca in cui, per mancanza di spazio, si

lavorava anche all’aperto, e i mobili erano trasportati con il biroccio. E infine il consolidamento dell’impresa, l’espansione verso nuovi mercati. La relazione non intendeva trattare, è stato detto esplicitamente, i mutamenti di scenario intervenuti negli ultimi anni. Resta però da comprendere se, e in che modo, sarà possibile completare la transizione che dal biroccio potrebbe condurci alle soglie dell’industria 4.0. Detto in altre parole, si tratta di valorizzare la sapienza artigiana presente nei nostri borghi ricchi di storia, attraverso le opportunità offerte dalle tecnologie innovative e dalla connettività. Esistono già esperienze significative al riguardo,

e sarebbe interessante valorizzarle. Progresso tecnologico e progresso sociale possono viaggiare di pari passo, a patto che si abbia una chiara visione del traguardo da raggiungere. E qui il discorso si fa necessariamente politico. Come ha scritto il giornalista Luca De Biase, in un articolo comparso sul Sole 24 Ore lo stesso giorno in cui si è celebrato il convegno di “Studi Maceratesi”, le tecnologie innovative generano valore perché abilitano le persone a trasformare i processi, migliorando

la produttività e la qualità del lavoro. A patto di non avere paura, «perché la paura è un ottimo strumento per il governo delle coscienze, ma non per lo sviluppo dell’imprenditorialità e dalla creatività richieste dalla grande trasformazione dell’economia della conoscenza».


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