22 gennaio L’incontro delle famiglie
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rescere nella carità coniugale»: questo il tema che « C sarà affrontato con l’aiuto di Ales-
Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
sandra e Paolo Tomassoni, della “Casa della tenerezza” nell’appuntamento promosso dall’Ufficio per la pastorale della famiglia e della vita, che si svolgerà dalle 15.30 alle 18.30, presso l’Aula sinodale di Macerata, in via Cincinelli 4. Per i bambini verrà assicurato un servizio di animazione.
A cura della redazione EMMAUS Via Cincinelli, 4 62100 Macerata tel. 0733.234670 e-mail: redazione@emmausonline.it facebook: emmausmacerata twitter: emmausmacerata
MACERATA
Martedì, 17 gennaio 2017
diocesi. La nuova organizzazione risponderà meglio alle sfide dell’oggi
Per camminare insieme Abolite le vicarie. Uffici e incarichi rimodellati Maggiore coordinamento tra le Unità pastorali Più responsabilità ai laici DI
NAZZARENO MARCONI *
I
l mio servizio pastorale in questa diocesi sta raggiungendo la metà del terzo anno e dopo una dettagliata consultazione con i miei parroci, ho ritenuto giusto fare un ulteriore passo nella riorganizzazione della nostra realtà diocesana. L’idea di fondo che ci guida, secondo le indicazioni del Concilio, del nostro Sinodo diocesano e dei più recenti documenti di papa Francesco, è quella della Sinodalità. Una parola greca che giunge dai primi secoli della Chiesa e significa “camminare insieme”. Mi soffermo innanzitutto sul “camminare”. Nella visione che il mondo ha spesso della Chiesa, prevale l’idea di una comunità statica, ferma da secoli su un territorio e soprattutto ferma nel cammino della storia. Un Papa che “viene dalla fine del mondo” ci ricorda che la Chiesa è “in cammino”, è un popolo in movimento e perciò in costante cambiamento, ma non è un popolo girovago, cioè senza meta né direzione. Essere in cammino vuol dire seguire una direzione, coscienti del passato accolto come un valore e protesi verso il futuro. La Chiesa, “Popolo di Dio in cammino” come ha insegnato il Concilio, deve perciò costantemente riformare le sue strutture ed il suo stile di presenza e azione. La Sinodalità è poi una scelta che ci indica lo stile del cammino: procedere insieme. Per secoli le comunità cristiane, in mezzo a una popolazione tutta credente, hanno valorizzato le differenze, le specificità. Da una parrocchia all’altra, da una chiesetta al-
l’altra, dentro una cultura uniformemente cattolica, ci siamo distinti nelle devozioni ai santi, nelle giaculatorie del rosario, nelle feste e nelle processioni, fino al modo di fare catechismo o di celebrare le nozze e i funerali. Oggi il mondo è davvero cambiato! Oggi il popolo credente vive nella società accanto ad altre fedi, a persone che non credono, a modi personali e molto diversificati di vivere alcuni elementi del cristianesimo lasciandone da parte altri, senza sentirsi appartenenti né alla Chiesa, né a una comunità credente. In questa realtà che diventa sempre più diffusa anche tra noi, la via della testimonianza cristiana chiede prima di tutto che la comunità ecclesiale valorizzi ciò che unisce. Camminare insieme è più importante che arrivare lontano con gruppetti sparsi e dispersi. Una Chiesa diocesana divisa e scoordinata, rischia di frantumarsi davanti alle sfide ed alle derive del mondo contemporaneo. Dobbiamo perciò crescere nella capacità di condividere e di comunicare, nell’attitudine all’ascolto e nell’accoglienza serena e non polemica delle diversità di stile e di pensiero che resteranno sempre al nostro interno. La riforma vuole primariamente favorire un cammino unitario dell’intera diocesi, evitare la conduzione verticistica degli incarichi, privilegiare la logica della condivisione delle responsabilità e quella del coordinamento, promuovendo significativamente la collaborazione dei laici. Per questo accanto al Vicario Generale Mons. Pietro Spernanzoni,
Sviluppare l’unità per comunità capaci di servire DI FRANCO
PRANZETTI
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Uno dei pellegrinaggi alla Mater Misericordiae compiuti dalle Unità pastorali lo scorso anno
L’idea di fondo è farsi guidare dal principio della sinodalità, raccogliendo anche le indicazioni del Vaticano II e di papa Francesco ho nominato un Pro Vicario: don Andrea Leonesi, con delega al Terremoto ed ai rapporti con tutte le aggregazioni laicali. Contestualmente vengono aboliti i Vicari di zona e le Vicarie, mentre si promuovono ulteriormente le Unità Pastorali favorendo la collaborazione tra Unità Pastorali vicine. Questa ristrutturazione dà un ruolo più significativo ai 20 Coordi-
natori di UP, che formeranno il nucleo del nuovo Consiglio Presbiterale e si riuniranno con cadenza mensile, per affrontare le tematiche della conduzione pratica della pastorale, in un cammino sinodale favorito anche dalla nomina di don Franco Pranzetti a Coordinatore diocesano di tutte le Unità Pastorali. Sarà suo compito inoltre curare la circolazione delle informazioni, anche attraverso i mezzi di comunicazione diocesani e di raccogliere dati, suggerimenti e linee di indirizzo, che giungono dal territorio e dalle comunità ecclesiali. I tre Centri Pastorali: Caritas, Catechesi e Liturgia, animati da don Egidio Tittarelli, il Coordinatore Diocesano della Pastorale, seguiranno la programmazione diocesana annuale, la formazione permanente di clero e laici, l’elaborazione di sussidi e progetti diocesani: per l’E-
vangelizzazione, la Liturgia e la Carità. Per una più chiara collaborazione laicale alla programmazione pastorale, verrà rinnovato nella formazione e nella funzione anche il Consiglio Pastorale. Ognuna delle 20 Unità pastorali avrà un rappresentante laico, per formare il nucleo del Consiglio Pastorale Diocesano, che verrà animato dal Coordinatore della Pastorale. Anche l’azione del Vescovo nella stessa logica sinodale sarà sostenuta da frequenti confronti con il nuovo Collegio dei Consultori, costituito dal Vicario Generale, il Pro Vicario, il Vicario Giudiziale, il Coordinatore della Pastorale, il Coordinatore delle Unità Pastorali. L’organizzazione nuova non basta se non è animata da una passione nuova, speriamo tutti che il Signore ci sostenga ed illumini. * vescovo
Notte di Natale all’abbazia di Fiastra DI PIERO CHINELLATO
«D
Abbazia di Fiastra, Messa della notte di Natale
sulla strada
ono più bello non potevamo pensare e sperare. Ritornare in questa chiesa per noi è già festa. Ci sembra di sentire che in questa notte anche i mattoni cantano con noi»: con queste parole, pronunciate con evidente commozione, padre Giovanni Frigerio ha dato il benvenuto al vescovo Marconi e ai tantissimi fedeli che hanno affollato la chiesa abbaziale di Chiaravalle di Fiastra nella notte di Natale, per partecipare alla Messa di mezzanotte. I danni pur lievi patiti per il sisma del 30 ottobre avevano indotto a confermare la chiusura
stabilita inizial- Riaperta la chiesa cattedrale di San mente solo per Giuliano. motivi precau- Il vescovo: «Un segno E così le parole di zionali dopo le di speranza: ce n’è monsignor Marprime scosse del coni hanno gui26 ottobre. Così bisogno. E vogliamo dato gli occhi e il anche l’”Abba- costruire insieme cuore dei presendia” era andata ti a guardare aad aggiungersi al- anche le chiese di vanti: «Riceviamo la lunghissima li- persone, non solo dal Signore questa di chiese inasto segno di spegibili, transenna- quelle di mattoni» ranza: ne abbiate, lesionate, como bisogno. E munque chiuse. Una chiusura duvogliamo ripartire a costruire inrata, grazie all’impegno generoso sieme non solo le chiese di matdi istituzioni, professionisti, tectoni ma anche le chiese di personici e operai, meno di due mesi, ne». I fronti della ricostruzione fino alla riapertura del portone in sono molteplici e tutti impegnatempo per celebrare il Natale col tivi. Tirare su solo le pietre non bavescovo, “sfollato” a motivo dei sta. Una consapevolezza che duben più gravi danni patiti dalla rante la celebrazione si avvertiva
in modo palpabile, con le navate della chiesa gremite come nelle grandi occasioni e la partecipazione vibrante al rito. Su questo clima autenticamente natalizio, lieti per aver ritrovato l’essenziale di una fede depurata di orpelli, è scesa la dolcezza della favola natalizia, raccontata dal vescovo nell’Omelia. Con essa, ha detto il presule, «vorrei soprattutto farmi vicino a consolare quanti soffrono la solitudine ed il dolore per aver abbandonato la loro casa». Un racconto che ha preso le mosse da un banale ma incancrenito dissidio di paese per approdare, dopo lo sconvolgimento del terremoto, alla «ricetta, non troppo segreta, del dolce della Speranza».
n un’Italia che cambia (piccoli Comuni che si uniscono per sopravvivere, vie di comunicazione che interessano sempre più i grandi centri, lavoro che quasi scompare nei piccoli borghi...) anche la nostra diocesi non può sottrarsi dall’affrontare le nuove esigenze che si prospettano. Lo fa estraendo dalla bisaccia dell’esperienza una realtà di cui si è già servita in passato, quella delle “pievanie”. A questo mira il movimento avviato in diocesi con la creazione delle unità pastorali. Oggi le parrocchie – soprattutto quelle piccole, che sono la maggioranza nel nostro territorio – non sono più in grado di reggersi da sole. Per dare qualità al lavoro pastorale nell’intero arco delle attenzioni verso cui deve rivolgersi – alle età della vita, alle condizioni, alla realtà sociale e lavorativa, alla carità... – è necessario unirsi e costituire realtà più grandi e meglio attrezzate. Questo consentirà di avere sacerdoti non più impegnati a pensare a tutto (un fardello a volte insopportabile), ma con compiti suddivisi secondo capacità e competenze. Questo consentirà di esercitare una maggiore corresponsabilità: non tutto il peso a gravare su un unico sacerdote, ma ognuno una parte, per sostenere insieme il tutto. Da realtà più ricche potranno anche emergere laici più formati e competenti in specifici settori, appassionati, più in grado di offrire risposte adeguate alle esigenze e alle caratteristiche delle comunità. La maggiore “professionalità” di ognuno sarà certamente fonte di incoraggiamento per tutti. Sentirsi uniti dona più slancio; mettersi a disposizione di una comunità allargata dove le presenze si espandono, dona entusiasmo e alimenta la gioia di lavorare. A qualche mese di distanza dal via, si può rilevare che l’iniziale perplessità è stata sostituita dalla curiosità. Ora si dovrà passare all’azione concreta che speriamo risulti più vera ed entusiasmante: nessuno si senta più solo, ma sostenuto e incoraggiato dai collaboratori. In un mondo in vorticosa trasformazione non si poteva perdere il treno, né altro tempo per rinnovare il modo di essere evangelizzatori all’altezza della sfida che ci è posta innanzi. Essere “Chiesa in un mondo che cambia” sta piano piano (non è sempre facile) facendo i primi passi. Essere Chiesa oggi è ancora più bello. Sentirsi comunità più unita e fraterna può essere entusiasmante. È il senso dell’esortazione del nostro vescovo: «Chiesa di Macerata, vale la pena di provare e mettersi in gioco». Ora a noi sacerdoti e a voi laici viene affidata questa Chiesa che cerca, pur se con qualche difficoltà, di stare al passo con i tempi. Auguriamo a tutti un buon lavoro, tanto desiderio di unità; di comunità non solo a parole; di spirito evangelico maggiormente coinvolgente. I nostri media possono aiutarci in questo compito importante, sostenendo e incoraggiando i nostri primi passi. Con l’augurio di un buon e proficuo lavoro a tutti.
Il pane dell’Africa, preghiera di obbedienza e povertà Il diario dell’esperienza missionaria in Togo, Paese afflitto da miseria, corruzione e violenza DI
ANNAMARIA CACCIAMANI
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orno in Italia con il cuore colmo di gratitudine. Il giorno stesso in cui il mio volo è segnato sul calendario della vita, una piccola processione si riversa all’ingresso della Curia francescana di Lomè, dove ho trascorso gran parte del mio tempo africano. Sono lì a dirmi un arrivederci carico di speranza e di attesa, mentre io sento che questa terra, attraversata in sei mesi, ha scritto parole che non
posso dimenticare. L’Africa è più che una terra incontrata, ha spezzato per me il suo pane ogni giorno e mi ha fatto sperimentare la passione di un amore che, per essere autentico, chiede “solo” obbedienza e povertà. Tornata in Italia mi chiedo cosa significhi questa preghiera. C’è un pane che ci viene donato ogni giorno anche da questa parte del mondo. È il pane del benessere, dell’impegno, della responsabilità, del lavoro, della fretta, della polemica, dell’intolleranza, della presunzione. Il mio stomaco, forse ancora africano, fa fatica a digerire questo pane. «Quando smetti di giocare a fare la missionaria e lo fai sul serio?». In un freddo gennaio di due anni fa questa parola ha tracciato un solco profondo nella mia vita. E dopo un tempo di preghiera e discernimento a
Betlemme, casa del pane, le mie scarpe pesanti hanno lasciato il posto a sandali di cuoio e la mia anima si è messa in ascolto di un’altra voce. Sono partita non per fare la missionaria, ma per “fare sul serio”, per percorrere quei sentieri di vita piena che solo alla Sua Presenza è possibile. Sono arrivata a calpestare prima di tutto la mia terra, quella che per prima aveva bisogno di essere “rimossa” per ritrovare fertilità. In Africa, meglio ancora in Togo, il pane non è il cibo quotidiano. Ma ci si nutre comunque di una manna che ti restituisce il gusto di vivere, nonostante quello che vedi, che senti, che vorresti toccare ma non puoi, che vorresti cambiare ma non devi. In Togo ho incontrato prima di tutto una Chiesa, quella di Hanoukopè, il quartiere dove sorge la parrocchia di
Sant Antoine de Padu, parrocchia storica francescana. Una Chiesa vivacissima, dove senti la forza della fede di chi debole mette tutto nelle mani di Dio. Un Dio che non smette di danzare con il suo popolo. In questa Chiesa ho ballato anch’io, ho abbracciato i più piccoli, ho pregato con le loro mamme, ho incontrato giovani e meno giovani disposti a percorrere chilometri di strada, anche a piedi, per seguire un corso di italiano. L’Africa è un mondo altro, è la diversità per eccellenza, che ti fa sbarrare gli occhi e chiudere il respiro. In questa terra sei piccola, diversa, straniera. La tua pelle segnata dal sole, dalla polvere e dalle zanzare, ti ricorda ogni giorno chi sei. Essere bianca in Africa è un privilegio e chi ti guarda, dietro il tuo passo incerto e i tuoi occhi a volte confu-
si, scorge un mondo di ricchezza. Io non sono ricca, ma in Africa ho conosciuto e toccato il dramma della miseria. Non sono ricca, ma a me la vita ha dato tutto. Anche la possibilità di Alcuni bambini incontrati durante la missione in Togo volare nell’Africa dell’ovest. Il Togo ha alle spalle una storia tragica di schiavitù e di colonizzaziostesso. L’Africa mi ha insegnato a non ne, tedesca prima e francese poi. Ogscappare dalla mia storia, a credere gi è un Paese pseudo–indipendente, ed nella mia vita e a imparare, giorno doè una Repubblica democratica. Ma copo giorno, che ognuno è un’opportume molte altre realtà politiche africanità per l’altro di scoprirsi autentici, ne, dietro istituzioni fantasma si cela diversi, eppure capaci di condividere una trama fitta di corruzione e dittacon onestà il pezzo di terra che ti vietura. I segni inequivocabili di un pone affidato, di chiedere insieme un patere che cerca solo di mantenere se ne, che sia cibo per tutti.