Emmaus 16 giugno 2020

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Martedì, 16 giugno 2020

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Prossima uscita il 21 luglio 2020

Caritas Attivo lo sportello antiusura a crisi sta creando impoverimento e difficoltà economiche a numerose famiglie L e a tante categorie di lavoratori che finora

Inserto mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 - 62100 Macerata

non le avevano mai sperimentate. In questo contesto il pericolo del ricorso all’usura si fa sempre più concreto e minaccioso anche nel nostro territorio che consideravamo al riparo. L’attività del Servizio antiusura della Caritas diocesana è stata limitata ma sta riprendendo. A Porto Recanati lo sportello è attivo e presto lo sarà anche quello di Macerata. Per contatti e informazioni si può telefonare al numero 351.2902524. Ogni segnalazione verrà trattata con rigorosa riservatezza.

Maceratasette

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Inserto di

Comunità cristiane in cammino verso la nuova normalità

Questa emergenza e il ricordo vivo di Carlo Urbani

Verso «La parrocchia che verrà», assieme a piccoli passi concreti

Coltivare la carità: quattro incontri per imparare a servire

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Messa Crismale. Marconi: dopo il Covid si può costruire una Chiesa più solida, più vera e più bella

la festa

Poveri per donare il Vangelo

Corpus Domini valore antico sapore riscoperto

A cinque anni dalla «Lettera a un giovane parroco», «La parrocchia che verrà» per guardare al futuro delle nostre comunità, disposti a cambiare Proponiamo l’Omelia del vescovo Marconi pronunciata nella Messa Crismale celebrata sabato 30 maggio all’Abbadia di Fiastra. DI

NAZZARENO MARCONI *

N

Il vescovo Marconi si appresta a consacrare gli Oli Santi

biamo davanti, è un tempo prezioso per il Vangelo. Infatti se il Vangelo è buona notizia per i poveri, davanti a noi ci sono tanti poveri e ce ne saranno in futuro. Non parlo tanto di poveri materiali, che tuttavia ci sono e sono davvero in aumento, ma anche e soprattutto di poveri di speranza. Di poveri di pace, perché i cuori e le menti inquiete escono da questo tempo in piena tempesta. Di poveri di fiducia, perché la paura del futuro spinge tanti a guardare gli altri come “tutti ladri e briganti”. Il nostro mondo ha bisogno di Vangelo, ne ha più bisogno che degli eurobond o di un miracoloso vaccino! Questo tempo ci ha fatto vedere che quando mancano la fede e l’amore dei fratelli, ogni croce sconvolge la vita e tutto diventa buio e paura. Se davanti ai poveri che incontriamo, sapremo anche noi essere i poveri del Vangelo, allora il nostro annuncio sarà credibile e fruttuoso. Questo tempo è stato un vero esame per tutti di noi. Impoveriti dei mezzi soliti, senza tanti sostegni con cui puntellavamo a volte l’annuncio del Vangelo, ci siamo trovati tutti poveri e nudi di successo e di gloria. Non si possono fare più le gran mangiate, le feste ed i raduni pieni di abbracci, di rumore, di incontri in parrocchia con tantissime persone. Non si può più venire in parrocchia per giocare a pallone, per fare tardi la sera in gruppo parlando del più e del meno, per sentirsi il gruppetto degli

eletti, tutti amici solo tra loro. Le chiese sono sempre rimaste aperte, ma soltanto per chi voleva entrare da solo, solo per pregare, solo per incontrare il Signore e stare un po’ con Lui. Senza nessuno a dirti bravo,

senza nessuno con cui fare gruppo, senza nessun divertimento o festa: solo Dio e la fede in Lui. Le case, per chi voleva, sono diventate Chiese domestiche, dove la famiglia si è ritrovata attorno alla Pa-

Un’antica icona da viaggio russa regalata al vescovo dai sacerdoti n conclusione della Messa Crismale celebrata all’Abbadia di il 30 maggio, il vicario generale don Andrea Leonesi IhaFiastra rigrazioto il vescovo Marconi e a nome di tutto il presbite-

il dono

ella sua omelia a Nazareth Gesù commenta la profezia messianica di Isaia ponendo una particolare enfasi sull’evangelizzazione dei poveri: «Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio». La storia della salvezza ha spiegato con grande chiarezza che tra Vangelo e povertà c’è un legame del tutto particolare. Il Vangelo infatti è prima di tutto buona notizia “per i poveri”. Perché per i ricchi, attaccati alla ricchezza e intenzionati a rimanere così, il Vangelo non è una buona notizia! Basta leggere san Luca che con chiarezza annuncia: «guai a voi ricchi, perché avete già ricevuto la vostra ricompensa», o ricordare la triste notazione di Gesù davanti alla scelta del giovane ricco: «quanto difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli!». C’è poi un secondo legame tra poveri e Vangelo: sono i poveri gli evangelizzatori più credibili ed efficaci. Perché solo chi è povero di cose e ricco di Dio annuncia in modo credibile il Regno. Mi insegnava il mio parroco che le promesse fatte nel giorno dell’ordinazione servono a ricordare al prete la ricetta infallibile per avere il Signore nel cuore e il cuore tutto centrato in Lui. La promessa di celibato testimonia infatti che «Dio da solo basta a riempire il tuo cuore». Quella di obbedienza dimostra che l’amore a Dio e alla Chiesa è per te più forte del tuo orgoglio e della tua superbia intellettuale. Ma se vuoi essere un evangelizzatore credibile, offrendo una testimonianza che tutti riconoscano, cerca di essere povero! Perché solo chi non si attacca alle cose, né tanto meno alle persone come fossero cose, è credibile quando parla del Regno di Dio, sia sulla terra che in cielo. Per tutto questo, il tempo che ab-

rio gli ha donato l’icona da viaggio russa qui sopra raffigurata. L’opera, in bronzo finemente cesellato, è composta da quattro ante incernierate, pieghevoli e richiudibili a libro che formano internamente 16 formelle e 4 cupole. I pannelli, realizzati in rilievo, raffigurano le principali feste cristiane e alcuni miracoli di Maria Santissima. L’opera è databile tra XVIII e XIX secolo.

rola di Dio, con il rosario in mano, anche qui solo tra noi e con il Signore. Quanta gente ha pregato così? Certo non delle folle! Ma quelli che così hanno incontrato il Signore ed hanno pregato solo per il Signore, sono un fondamento solidissimo, su cui appoggiare la Fede della Chiesa del futuro. Davanti alla paura tanti si sono richiusi in se stessi. Ma tanti hanno cercato di fare del bene, per quanto era possibile. Si sono impegnati chiedendo di cosa c’era bisogno, cosa potevano fare. Tanti passando davanti alla canonica hanno lasciato un’offerta, o una busta della spesa per chi aveva fame. Tanti, non certo tutti, ma su questi si può costruire solidamente la Carità della Chiesa del futuro. Davanti alla morte tanti si sono disperati. Nessuno li giudichi e nessuno si creda superiore. Quando la morte è una realtà possibile per tutti e non una ipotesi vaga, le chiacchiere vanno a zero e tutti scopriamo le nostre paure. Ma abbiamo anche visto tante testimonianze di chi lotta con impegno, di chi si mette a servizio con lo sguardo buono verso il futuro. Abbiamo incontrato testimoni che donano agli altri fiducia e coraggio. Tanti, non certo tutti, ma su questi si può costruire come su un buon fondamento la Speranza della Chiesa del futuro. Questo tempo ci ha ridimensionato, ci ha fatto sentire e vedere che siamo piccoli, che siamo pochi, ma ci ha dimostrato ancora una volta che il popolo di Dio, il popolo dei poveri del Vangelo, ha Fede, Speranza e Carità e su questo si può costruire una Chiesa più solida, più vera e più bella di quella che abbiamo alle spalle. Durante queste settimane mi sono riletto tante cose, ho riorganizzato le idee, ho raccolto anche i pensieri di chi mi ha scritto. Cinque anni fa scrissi la mia prima lettera pastorale programmatica, rivolta soprattutto a preti e diaconi; l’avevo intitolata “Lettera ad un giovane parroco” e vi dicevo che in un tempo di grandi cambiamenti bisogna tornare a ciò che è fondamentale: la Fede, la Speranza e la Carità. Ho riletto quella mia lettera, ho aggiornato ciò che mi sembrava necessario a partire dall’ascolto vissuto in questi cinque anni, ho aggiunto Piccoli Passi Possibili da fare insieme. Il risultato è un testo, che è insieme memoria del cammino e invito a una nuova partenza. L’ho intitolato “La parrocchia che verrà” perché vorrei fosse il mio contributo di sintesi per ripensare il futuro delle nostre parrocchie e non semplicemente per riaprire le parrocchie del passato. * vescovo

DI JACOPO FOGLIA

L

a solennità del Corpo e Sangue di Cristo ha avuto origine a Liegi (Belgio), ispirata da Giuliana di Cornillon che, a seguito di rivelazioni private, ne aveva perorato l’istituzione per manifestare la riconoscenza a Cristo per il dono del SS. Sacramento, confutare gli eretici, riparare le irriverenze e negligenze commesse durante la S. Messa, promuovere la conoscenza del mistero eucaristico e la partecipazione sacramentale. Nel 1264, influenzato anche dal miracolo di Bolsena dell’anno precedente, Urbano IV estese la festa a tutta la Chiesa. Alla Messa del Corpus Domini fu da subito legata la processione per le vie della città. Sappiamo che a Macerata la festa prese subito piede e una delle prime Confraternite intitolate al Corpo di Cristo (ancora non avevano il titolo del SS. Sacramento) venne eretta in Cattedrale. Lo scopo della Confraternita, come si può leggere nelle Costituzioni del 1496, era di portare l’Eucaristia agli infermi «con la maggior sollecitudine et devotione» e di curare con solennità la festa del Corpus Domini, compresi i giorni dell’Ottava e le altre funzioni eucaristiche, come le Quarant’ore. Ai confratelli spettava adornare la cattedrale e in maCorpus Domini niera particolare la cappella del SS. Sacramento, come pure ripulire le strade dove sarebbe passata la processione. Fino al secolo scorso, dopo quella di San Giuliano, era forse la feste più popolare e partecipata. La devozione si esprimeva anche con la bellezza di addobbi e suppellettili. Il canonico sacrista estraeva dagli armadi il calice, il turibolo e l’ostensorio dei fratelli Piani (ora conservati nel museo della Misericordia e usati in circostanze particolari) e il famoso parato detto “del Corpus Domini” di cui è rimasta solo la pianeta – non più utilizzabile perché lacerata – ricamata con tralci d’uva e spighe dorate. Si iniziava con il solenne pontificale celebrato dal Vescovo attorniato dai canonici del Capitolo, il clero e i seminaristi. I fanciulli che ricevevano la Prima Comunione provvedevano poi a spargere fiori lungo il percorso della processione per “profumare la strada” a Gesù. Terminata la S. Messa, al suono della banda, al canto dei mottetti eucaristici alternato ai canti popolari, aveva luogo la processione che si snodava lungo le mura della città concludendosi in Duomo, dove il Vescovo impartiva la benedizione eucaristica. Per quei nostri avi, le cui vite erano segnate dal sacrificio e dalla povertà, la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia era l’unica e vera ricchezza. Ci auguriamo, che dopo il periodo di digiuno sacramentale cui siamo stati costretti, anche per noi l’Eucaristia torni a essere fonte vitale della vita di fede.

Trovarsi dalla parte sbagliata della storia e del confine Le conseguenze della pandemia stanno dimostrando che lo Stato nazione è inadeguato a gestire crisi globali, siano finanziarie, migratorie o ambientali DI

GIANCARLO CARTECHINI

L

e zone di confine, si sa, sono luoghi che mettono a nudo inquietudini sottili. Passaggi scomodi, che anche il più tranquillo dei turisti cerca di attraversare in fretta. Figuriamoci gli altri: i contrabbandieri, i disertori, i clandestini e, ultimi in

ordine di apparizione nel corteo degli sgraditi, i cittadini dei paesi in cui il virus si è maggiormente diffuso. C’è ancora molta confusione in merito alla riapertura delle frontiere decisa dai Paesi europei dopo le chiusure determinate dall’emergenza coronavirus. Austria, Grecia, Norvegia, tutti in ordine sparso. E questa volta il problema ci riguarda direttamente, perché tra le persone da osservare con sospetto siamo finiti proprio noi italiani. Ammettiamolo: ci dà fastidio essere collocati dalla parte sbagliata della storia. Dovevamo essere noi a chiudere i confini, e invece i confini ce li hanno sbattuti in faccia gli altri Paesi europei… Ci troviamo ancora all’interno di

un immaginario di guerra sviluppatosi all’inizio di questa crisi. In un articolo pubblicato da “Avvenire” lo scorso 21 marzo, la giornalista Lucia Capuzzi sottolineava come di fronte all’estendersi rapido dei contagi la maggior parte dei governi stesse adottando misure proprie di una situazione di conflitto, dalla chiusura delle frontiere allo schieramento dell’esercito. In un periodo storico caratterizzato da una infatuazione collettiva verso l’autoritarismo populista, le frontiere sono tornate ad ospitare trincee. Eppure la metafora della guerra si è rivelata del tutto inadeguata per esprimere i valori fondanti di una società che si organizza per resistere all’epidemia. Invece

di enfatizzare i principi di cura reciproca e solidarietà, si è preferito il solito linguaggio belligerante di lotta contro il nemico. Ci si può chiedere quanto la chiusura delle frontiere sia stata determinata dalla effettiva necessità di tutelare la salute dei propri cittadini, e quanto invece dalla volontà di alcuni governanti di servirsi di un sentimento diffuso di paura per legittimare il proprio operato politico. Molti politici hanno riaffermato la centralità dello Stato nazione come unica organizzazione in grado di proteggere i cittadini. I fatti, invece, stanno dimostrando il contrario: lo Stato nazione è inadeguato a gestire questa, così come le altre crisi globali che caratterizzano il nostro tempo: cri-

si finanziarie, migratorie, ambientali. A chi giova dunque alimentare un clima di guerra di tutti contro tutti, che finisce per screditare proprio quelle istituzioni sovranazionali, in primis l’Unione Europea, che sole sarebbero in grado di affrontare queste crisi? Tra l’altro, per tornare ai fatti di casa nostra, il territorio italiano è attraversato al suo interno da cicatrici antiche, frontiere che qualche “sceriffo”, in questo tempo di crisi, ha cercato di riattivare sfiorando il senso del ridicolo. Ma è l’Italia intera a rappresentare un territorio di confine, tra l’Europa continentale e l’area del Mediterraneo. Una frontiera, o forse un ponte. Ci sono, in Alto Adige, al confine con l’Austria,

Il 3 giugno la “Porta di Lampedusa – Porta d’Europa”, opera del 2008 di Mimmo Paladino, al mattino è stata ritrovata imballata di cellophane nero, in segno di sfregio

valichi alpini dove sono ancora presenti resti delle fortificazioni militari della grande guerra. Resti di fortificazioni sono presenti anche a Lampedusa, nella parte dell’isola meno battuta dai turisti. Proprio vicino ai resti di un bunker sorge la porta d’Europa, il monumento dedicato ai migranti che qualcuno, nei giorni

scorsi, ha sfregiato, imbrattandolo con teli di plastica nera. E qualcun altro ha pensato bene di dare alle fiamme i relitti dei barconi approdati sull’isola. Negli ultimi anni, purtroppo, le frontiere hanno ripreso a bruciare e noi italiani, questa volta davvero, rischiamo di restare dalla parte sbagliata della storia.


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