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Martedì, 18 giugno 2019
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MACERATA
visita pastorale. Dopo l’Argentina è la volta dell’Irlanda
Nella terra di san Patrizio Crisi di fede e crollo delle vocazioni segnano una Chiesa colpita anche da gravi scandali sessuali del clero. Ma i segnali incoraggianti non mancano Pubblichiamo un estratto del diario scritto per il sito di EmmeTv dal vescovo Nazzareno Marconi in occasione della Visita pastorale in Irlanda compiuta assieme al vicario generale don Andrea Leonesi tra il 10 e il 14 giugno. na fede in grave crisi Arrivati in Irlanda all’aeroporto di Dublino siamo stati accolti dal nostro don Giuseppe Pollio, rettore del seminario Redemptoris Mater della diocesi di Armagh, che, insieme con i catechisti neocatecumenali dell’Irlanda – una coppia veneziana qui da oltre 40 anni – ci racconta la storia di questa terra dove fede cattolica e identità nazionale sono sempre state profondamente legate. L’Irlanda è stato il Paese dell’Europa occidentale più povero fino agli anni 80 del secolo scorso, quando un rapido sviluppo ha fatto intravedere il miraggio della ricchezza facile; per questo la crisi economica del 2008 si è abbattuta sulle persone come una mannaia. Fede e denaro facile non vanno d’accordo – ci ricorda don Giuseppe – e qui lo hanno sperimentato con un crollo verticale della vita di fede. Il Paese che riempiva il mondo di missionari e la sua terra di preti vive oggi un inverno vocazionale durissimo: con quasi 5 milioni di abitanti ci sono soltanto 60 seminaristi e di questi ben 19 sono del Redemptoris Mater. A peggiorare il tutto c’è stata una serie di scandali sessuali tra il clero. Don Giuseppe e i catechisti riassumono la situazione della fede in modo lapidario: oggi in Irlanda è urgentissimo rievangelizzare la nuova generazione, ma è davvero tanto difficile. Verrebbe da dire che anche da noi non è semplice, ma credo che sia importante continuare cercare di comprendere questo popolo, che comunque sotto la cenere conserva la brace della fede.
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Una storia lacerante Chi come me ha più di 60 anni ricorda bene il nome di Belfast: la capitale dell’Irlanda del Nord dove fino agli anni 80 cattolici e protestanti si sono combattuti in una guerra civile costata più di 2.200 morti. Abbiamo avuto come guida per visitare i segni ancora ben riconoscibili di questa guerra, una coppia che ha la responsabilità della prima comunità neocatecumenale di Belfast. Il vecchio quartiere della signora è ancora oggi attraversato da un alto muro che separa la zona protestante da quella cattolica. L’esperienza di suo marito è stata
tragica: suo fratello con la moglie e i due figli furono bloccati mentre si recavano a Messa da un gruppo paramilitare e vennero brutalmente uccisi tutti. Mi ha colpito un commento del nostro amico: «Fortunatamente avevo da un po’ di tempo iniziato a riscoprire la fede attraverso l’esperienza del Cammino. Questo, insieme al sostegno dei miei fratelli di comunità, mi ha permesso di non impazzire dal dolore, diventando anch’io un terrorista desideroso di vendetta». Ho potuto contemplare così con sincera ammirazione che quando la fede brilla, riesce a mantenere umana una persona anche nelle condizioni in cui il male di questo mondo si scatena orribilmente e ci provoca all’odio e dalla vendetta. Dopo questa speciale liturgia penitenziale abbiamo celebrato la santa Messa con alcuni fratelli neocatecumeni di Belfast. Vi assicuro che quando nel mio stentato inglese ho detto le parole: «Vi lascio la pace, vi dono la mia pace», questa frase di Gesù aveva un sapore del tutto particolare. Alla scuola di san Patrizio Un piccolo pellegrinaggio, circa un’ora e mezzo di auto, ci ha condotto alla cittadina di Downpatrick, dove c’è la tomba di San Patrizio, patrono dell’intera Irlanda da lui evangelizzata intorno al V secolo. Di questo santo, grande pellegrino, mi piace ricordare una preghiera: «Che la strada ti venga incontro,/ che il vento soffi alle tue spalle,/ che il sole brilli sul tuo volto,/ che la pioggia
Tomba di san Patrizio, evangelizzatore dell’Irlanda, a Downpatrick
il programma La prossima tappa tra Cina e Taiwan l viaggio in Irlanda è la seconda tappa della Visita pastorale avviata dal vescovo Marconi in concomitanza col compimento del quinto anno di episcopato. La prima tappa è stato il viaggio in Argentina, nello scorso mese di marzo, mentre prossimamente avrà luogo la visita a Taiwan e a Pechino, dove il vescovo si recherà a pregare sulla tomba di pa-
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bagni le campagne attorno a te./ E fino a che non ci incontreremo di nuovo,/ che il Signore ti sostenga tenendoti nel palmo della sua mano». In serata il pellegrinaggio si è idealmente completato con l’incontro con monsignor Aemon Martin, vescovo di Armagh – la diocesi di san Patrizio –, che è anche presidente della Conferenza episcopale irlandese. Ha 58 anni ed è
dre Matteo Ricci. Tutti questi viaggi sono caratterizzati dall’incontro con nostri sacerdoti che lì prestano servizio, ma che rimangono espressione e membra vive della nostra Chiesa locale. La visita del vescovo, sempre accompagnato dal vicario generale don Andrea Leonesi, intende sottolineare e rafforzare questo legame. Dopo l’estate prenderà il via la visita alle parrocchie.
molto cordiale e dinamico. Abbiamo parlato dell’Irlanda e dell’Italia, della fatica ma anche della bellezza di condurre le nostre rispettive comunità in questo tempo di ricerca di nuove vie per portare il Vangelo, soprattutto alle nuove generazioni. L’ho invitato a Macerata, per consolidare l’amicizia tra due Chiese sorelle nel nome di san Patrizio (patrono di Treia, ndr) e
Pentecoste, Cresima degli adulti all’Abbadia di Fiastra
Nel pomeriggio della domenica di Pentecoste il vescovo Nazzareno Marconi ha celebrato nella chiesa abbaziale di Fiastra la Santa Messa nel corso della quale ha conferito il sacramento della Cresima a una ventina di adulti. Si è trattato di persone in largha parte ancora giovani, che avevano “saltato” l’appuntamento dopo la Prima Comunione. Il cammino che ha condotto a questa
celebrazione è stato per alcuni l’occasione per ritrovare familiarità con la Chiesa e con il Signore. Nell’Omelia il vescovo ha sottolineato il senso del sacramento e ha richiamato gli impegni conseguenti: «vivere lasciandoci amare da Dio, lasciandoci coinvolgere, sentendoci parte di questa grande famiglia che è la Chiesa dentro la quale nessuno deve sentirsi solo». (P.Chin.)
della comune passione per l’evangelizzazione. Il futuro ci chiama Nell’ultima giornata abbiamo visitato il Seminario nazionale di Maynooth che ospita oggi la facoltà teologica e parte del Campus dell’università statale. Il Direttore ci ha raccontato la storia di questo gigantesco edificio che ha ospitato fino ad un massimo di 600 seminaristi da tutta l’Irlanda e che è stato edificato alla fine del’700. La visita a Maynooth lascia senza fiato: tutto è gigantesco e splendido. Sarebbe bello poter rivedere questi ambienti affollati di giovani desiderosi di impegnare la vita per l’evangelizzazione. Il nostro viaggio sta per finire. Ogni volta che allarghiamo lo sguardo oltre i nostri confini scopriamo la diversità delle Chiese locali anche solo della nostra Europa. Tante storie, tante tradizioni, ma una comunanza di fede e spesso di problemi che tutti con fatica e speranza affrontiamo facendo del nostro meglio. La nuova evangelizzazione non è facile, richiede di valorizzare ciò che di bello e buono ci consegna la tradizione, ma anche di tentare e immaginare vie nuove che sappiano rispondere alle domande degli uomini di questo nuovo millennio. Nazzareno Marconi, vescovo
A Soraga di Fassa 23 sacerdoti assieme al vescovo DI
NAZZARENO MARCONI
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bbiamo vissuto nei primi giorni di giugno l’esperienza della settimana di fraternità del clero diocesano. 23 sacerdoti insieme con il vescovo sono stati ospitati nella bellissima casa della comunità mariana “Regina dell’amore” in Val di Fassa. Questa comunità è formata da famiglie e consacrati, nata a Macerata negli anni 80 del secolo scorso, ha da tempo una comunità sorella a Soraga, piccolo borgo del Trentino tra Moena e Vigo di Fassa. Quella di Roisc (https://www.lalumderoisc.it) è una casa di ospitalità del tutto particolare, nella quale l’accoglienza dell’ospite è vissuta davvero come un tratto caratteristico della vocazione dei consacrati che vi operano. Tutto è pensato per aiutare gli ospiti a vivere un tempo che sia autenticamente di riposo, di meditazione, di preghiera e anche di riscoperta di un’alimentazione più sana. Per noi maceratesi la tavola è luogo sacro e a Roisc si cerca di seguire, anche a tavola, gli insegnamenti della Laudato si’: cibo squisito, assolutamente naturale ottenuto per la gran parte da produttori conosciuti direttamente, preparato con cura e pensato per disintossicare le nostre abitudini alimentari sempre più condizionate dalla fretta da fast food. Ovviamente non si è solo mangiato e pregato, ma abbiamo anche vissuto dei momenti di riflessione centrati sul valore e l’attualità della Regola di san Benedetto per l’uomo e il prete di oggi. Questo testo, che ha ben 1500 anni, è tutt’ora estremamente vivo e prezioso, in grado di suggerire l’intelaiatura a uno stile di vita armonico, in cui il lavoro, la preghiera, la fraternità, la cura della propria interiorità e la custodia del cuore trovino il loro giusto posto. Durante il soggiorno abbiamo avuto la gradita visita di monsignor Lauro Tisi, vescovo di Trento, del cui territorio fa parte la Val di Fassa. Con lui abbiamo vissuto un prezioso momento di confronto, che ha consentito di verificare anche una bella sintonia nello stile pastorale che sia la diocesi di Trento, sia la nostra piccola diocesi di Macerata stanno cercando di portare avanti, secondo le direttive di papa Francesco e compiendo una saggia lettura dei nostri tempi, complicati ma belli. Infine con delle tranquille e poco impegnative ma comunque belle passeggiate sui sentieri di montagna, abbiamo avuto modo di accostarci ad alcuni dei luoghi più caratteristici di questo straordinario e affascinante territorio punteggiato da talune delle più affascinanti vette delle Dolomiti, toccando con mano purtroppo anche gli sconvolgenti danni ai boschi di abeti e larici provocati in pochi minuti dal tornado che a fine ottobre dello scorso anno si è abbattuto qui e nel vicino Cadore. Tutto insieme ha costituito una esperienza sicuramente bella, che potrebbe essere replicata arricchendo spiritualmente anche tanti giovani e famiglie delle nostre zone, dato che la casa dispone, oltre che delle stanze, anche di due confortevoli appartamenti.
Tangenziali: strade, anche digitali, senza veri incontri Se si indebolisce il senso di appartenenza, la comunità si sfilaccia e si alzano le barriere DI
GIANCARLO CARTECHINI
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e percorri a piedi le strade che intersecano le aree commerciali di periferia, puoi provare un senso di profonda inquietudine. Non è la vertigine che ti afferra in montagna. È piuttosto la consapevolezza di una sproporzione. Lo spazio si deforma, il tempo si dilata, i rettilinei tendono all’infinito. Provi un senso di nausea al passaggio di auto e camion. Avverti
sul corpo le vibrazioni causate dallo spostamento d’aria, sei scosso dal rumore degli pneumatici sopra l’asfalto dissestato. Vetture che incappano, una dietro l’altra, nella stessa buca: uno spartito che si ripete all’infinito. Tutti corrono altrove, e anche tu lo faresti, se solo ne avessi la possibilità. Invece ti stai avvicinando lentamente alla fermata dell’autobus dopo avere lasciato la macchina in officina, per una riparazione. Scrive l’antropologo Marco Aime, nella sua ultima pubblicazione “Comunità”, che una delle caratteristiche dei dibattiti digitali è proprio la “tangenzialità”: per quanto paradossale possa sembrare, chi frequenta i social entra raramente nel merito di ciò che legge. Si ha poco tempo e troppa paura di perdere l’orientamento per fermar-
si ad ascoltare il punto di vista degli altri. Pensieri che si incrociano per un attimo, e subito dopo si disperdono, senza avere generato un vero dialogo. È un concetto analogo a quello espresso da papa Francesco nel messaggio per la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: Internet è diventato uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole dei fatti. Flussi di notizie e di opinioni si diffondono in modo irrazionale, e finiscono per intasarsi in ingorghi che alimentano spirali di odio. D’altro canto la “tangenzialità, precisa Aime, è una caratteristica che ritroviamo anche nella vita delle nostre città, attraversate con fretta sempre maggiore. Non si presta attenzione a cosa si incontra per strada, ma solo a
raggiungere la meta. Questo tipo di mobilità accelerata finisce per causare una percezione distorta della presenza degli stranieri: sono loro, infatti, ad animare gli spazi urbani semi abbandonati, e ad utilizzare le strade come luoghi di relazioni primarie. Non è forse vero che uno dei pregiudizi più diffusi, nei dibattiti social, è quello dell’immigrato palestrato e nulla facente, seduto in panchina con in mano il cellulare di ultima generazione? Gli stranieri ci danno fastidio se li incontriamo per strada; non certo quando lavorano nei cantieri, o nelle case dove accudiscono gli anziani. Quando il senso di appartenenza che sta alla base di ogni convivenza civile si indebolisce, la comunità si sfilaccia. Al suo posto si diffonde una ossessione identitaria. Le tradizionali ag-
gregazioni orizzontali, sviluppatesi su base sociale o ideologica (ricchi e poveri, operai e datori di lavoro…), vengono sostituite da barriere inaccessibili: la terra, il sangue, la cultura, la religione. È giunto il tempo di riprendere a camminare con lentezza, anche lungo le strade – virtuali o reali – dove tutti corrono sgomitando. È sempre papa Francesco a invitare coloro che si professano cristiani a conservare uno sguardo di inclusione e di prossimità. L’autentico cammino di umanizzazione va dall’individuo che percepisce l’altro come rivale, alla persona che lo ri-
conosce come compagno di viaggio. Sei giunto alla fermata dell’autobus, finalmente. Una bambina gioca in un fazzoletto di prato incolto. Il papà la osserva, e ride. Parla con accento slavo. Eccoli i tuoi compagni di viaggio, in questa strada di frontiera, stremata dall’improvvisa calura che sembrava, quest’anno, non dovesse arrivare più.