Loreto Immacolata: alla Novena le diocesi delle Marche
www.emmetv.it Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
n vista della festa della Venuta che ricorre la notte tra il 9 e il 10 Idicembre, la Novena dell’Immaco-
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Martedì, 20 novembre 2018
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MACERATA
Il vescovo: viviano un cambio d’epoca che va affrontato senza pusillanimità, con uno sguardo costruttivo al futuro
Speranza, virtù per l’Avvento DI
NAZZARENO MARCONI *
U
Istituto teologico di Ancona Al via l’Anno accademico DI
MARCO PETRACCI
«L
a necessaria interazione tra il ministero ordinato [propri dei sacerdoti, ndr]e le ministerialità laicali ha la sua radice nella natura stessa della Chiesa, che in quanto mistero di comunione, è ministeriale»: questo l’elemento centrale della prolusione tenuta dal prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Beniamino Stella, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2018/2019 dell’Istituto teologico marchigiano; che ha avuto luogo lo scorso 7 novembre nell’Aula magna del Seminario regionale Pio XI. Il presule ha sottolineato che «la chiamata a far parte della Chiesa precede ogni vocazione specifica, vocazione che è poi il modo con il quale vivere il proprio Battesimo», e ha ricordato l’espressione di papa Francesco: «Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il Santo Popolo fedele di Dio». Il porporato, sempre citando il Pontefice, ha ricordato che «tutti formiamo e costruiamo la Chiesa. Questo ci invita anche a riflettere sul fatto che se manca il mattone della nostra vita cristiana, manca qualcosa alla bellezza della Chiesa. Alcuni dicono: “Io con la Chiesa non c’entro”, ma così salta il mattone di una vita in questo bel Tempio». In conclusione, il cardinal Stella ha messo in guardia dal clericalismo che, da parte dei preti, «non solo annulla la personalità dei laici, ma sminuisce la grazia battesimale di ognuno», e quando è vissuto dai laici, «fa diventare lo spazio parrocchiale un luogo dove esercitare il proprio potere, rischiando di trasformare i collaboratori in piccoli preti». Il pomeriggio era iniziato con il saluto del preside dell’Itm, don Enrico Brancozzi, che ha sottolineato come i laici rappresentino il 20% degli iscritti e ricordato che l’Istituto è affiancato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Redemptoris Mater”. È stata poi la volta del Moderatore dell’Istituto, l’arcivescovo di Pesaro Piero Coccia, che ha auspicato che la reciprocità tra i ministri ordinati e il popolo di Dio possa crescere sempre più, vista anche la carenza di presbiteri, la cui età media nelle Marche si attesta intorno ai 65 anni.
lata sarà celebrata nella Santa Casa con la partecipazione alternata delle diocesi delle Marche. Martedì 4 sono invitate la diocesi di Macerata e quella di Fermo. La celebrazione prevede alle 16.30 la recita del S. Rosario e alle 17 la S. Messa.
n grande maestro del passato, che leggo sempre con interesse per comprendere come vivere da cristiano il presente ed il futuro, è certamente san Gregorio Magno, il papa che visse non solo un’epoca di cambiamento, ma un «cambio di epoca», come ama dire papa Francesco del nostro tempo. Un mutamento che vede la crescente interazione tra tutti i popoli del mondo, con l’incontro e lo scontro tra le culture, in particolare lo spostamento del “centro del mondo” e del luogo di produzione del futuro dall’Europa alla Cina e ai Paesi emergenti e un’accentuazione del fenomeno migratorio, che tocca tante parti del mondo e tanti popoli con numeri molto rilevanti, non solo di africani che vogliono venire in Europa. Tutti questi eventi di veloce trasformazione del modo di abitare il mondo da parte dell’intera umanità, fanno giustamente parlare di un cambio di epoca ormai in atto. Negarlo sarebbe miope, farsene sconvolgere sarebbe mancare grandemente di fede nella Provvidenza, che sempre guida la storia. Nella sua omelia per la seconda domenica di avvento dell’anno 590 San Gregorio Magno, a poco più di 100 anni dalla caduta dell’Impero romano (476 d.C.), ci insegna a vivere il tempo liturgico dell’Avvento, animati insieme dal realismo e dalla fede. In quei giorni i Longobardi di Agilulfo erano giunti sotto le mura di Roma. Il papa precedente era morto di peste e la guerra, la fame, le malattie, flagellavano la terra, come tanto spesso accadde nella storia. Commentando il testo di Luca 21 che leggeremo nella prima domenica di avvento, in cui Gesù preannuncia ai suoi discepoli il rivelarsi dei segni della fine dei tempi, san Gregorio dice: «Il
«La virtù cristiana crede nella forza provvidente di Dio che guida la storia, ma sa che è una forza che ci coinvolge e ci responsabilizza» Signore e Redentore nostro, fratelli carissimi, desiderando trovarci pronti, preannuncia i mali che colpiranno il mondo ormai in declino, per frenarci dal provarne amore». Riflettendo sulla fine del mondo, san Gregorio insegna ai suoi fedeli come vivere da credenti la fine di una precisa epoca storica, giudicando e valutandone i peccati da cui emendarsi, per camminare verso un futuro migliore, attendendo e confermando la fede nella rivelazione di Cristo: Signore della storia. Di fronte a prove e calamità il Papa invita ad alzare il capo, a sollevare i cuori, a guardare al futuro con speranza: «Quanti dunque amano Dio sono obbligati a gioire e a rallegrarsi per la fine del mondo, poiché certamente incontreranno presto Colui che amano, mentre passerà presto il mondo che essi non hanno amato. (…) Piangere per la distruzione del mondo è proprio di quanti hanno piantato le radici del cuore nell’amore di esso, di quanti non cercano la vita futura, di quanti neppure immaginano che esista». Questa parola forte ci invita ad uno sguardo costruttivo verso il futuro, che la preghiera del tempo di Avvento deve formare nei nostri cuori, prima ancora che nelle nostre menti. La paura del futuro e dell’ignoto potrebbe portare i credenti ad attaccarsi tenacemen-
Fabio Piombetti e Samuele Sapio ordinati diaconi il 27 ottobre stato il vescovo emerito Claudio Giuliodori a ordinare diaconi Fabio Piombetti e Samuele Sapio il È 27 ottobre nella chiesa dell’Abbadia di Fiastra. Il prelato, come ha ricordato all’inizio della celebrazione il vicario generale della diocesi don Andrea Leonesi, ha generosamente dato la propria disponibilità a sostiFabio e Samuele tuire il vescovo Marconi, malato. I due giovani provengono entrambi dal Seminario Redemptoris Mater e hanno maturato la propria vocazione all’interno del Cammino neocatecumenale. A fare da cornice al rito dell’imposizione delle mani la chiesa abbbaziale gremita di fedeli, moltissimi dei quali legati ai luoghi di vita dei neo diaconi e alle comunità che hanno frequentato. Nell’omelia monsignor Giuliodori ha posto in parallelo la storia dei due giovani con quella di Bartimeo, il cieco protagonista del brano di Vangelo proposto dalla liturgia: in entrambi i casi ci sono delle persone che li hanno condotti al Signore, ma questo è stato possibile perché loro, riconoscendo la propria “cecità”, hanno mantenuto il cuore aperto e vigile, disponibile a farsi raggiungere. Fabio Piombetti è collaboratore delle unità pastorali di Urbisaglia - Colmurano - Piediripa - Sforzacosta - la Rancia, dedicandosi soprattutto ai giovani e risiedendo a Urbisaglia, mentre Samuele Sapio è collaboratore della parrocchia Cristo Re di Recanati. (P.Ch.)
te a un mondo ed una cultura umana passati, come se fossero l’unico mondo in cui vivere la fede e l’unica cultura in cui la fede può incarnarsi. La speranza cristiana, la grande virtù che l’Avvento ci aiuta spiritualmente a riscoprire e rinvigorire, apre a una visione dei cambiamenti della storia del tutto diversa. Non si tratta del vago ottimismo umanistico, che crede in un uomo radicalmente buono, che non ha bisogno di conversione e di salvezza dall’alto, per cui tutto ciò che l’uomo fa sarà sempre positivo. Questo ottimismo, che vede sempre in ciò che è nuovo necessariamente un progresso, è quella fede irrazionale eppure tanto diffusa nel progresso necessario e perenne, soprattutto attuato dalla scienza, che ha portato l’umanità a un passo dall’apocalisse nucleare e rischia di mettere in crisi l’equilibrio ecologico del pianeta, rincorrendo una crescita costante ed infinita della produzione di beni materiali. Tra questo ottimismo e la speranza cristiana c’è una grande differenza. La speranza cristiana sa che l’umanità ha sempre bisogno di conversione e di salvezza dall’alto, altrimenti potrebbe precipitare nel male e nell’apocalisse. Perché il cuore dell’uomo può fare e amare il bene, ma anche fare il male se si allontana dalla luce di Dio. La speranza cristiana crede nella forza provvidente di Dio che guida la storia, ma sa che è una forza che ci responsabilizza e ci coinvolge, che ci chiede di farci suoi cooperatori nella costruzione del bene. Nei Promessi sposi il Manzoni offre una bella catechesi narrativa sul tema della speranza e della provvidenza. Fra Cristoforo è andato al castello di don Rodrigo per chiedergli di desistere dal suo progetto criminale. Nell’incontro sperimenta quanto il male sia forte e cerchi di spadroneggiare sulla storia e sulle persone, in particolare i deboli e gli innocenti. Mentre se ne va cacciato in malo modo, lo avvicina un vecchio servitore della casa, che ha conservato nel cuore una luce di rettitudine e di fede e gli promette che presto gli rivelerà cose utili a difendere i poveri perseguitati. Fra Cristoforo, rinfrancato nella fede e nella speranza viene descritto così dall’autore: «Ecco un filo, – pensava, – un filo che la Provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch’io sognassi neppure di cercarlo!». La Provvidenza su cui si fonda la speranza cristiana, non ci consegna soluzioni facili ed automatiche, che funzioneranno da sole esonerandoci da ogni impegno, ma ci mette “un filo” nelle mani. Un filo di Arianna da seguire per uscire dal labirinto di un mondo complesso, nel quale possono anche aggirarsi dei mostri, ma che non deve terrorizzare chi veramente ha fede nel Signore della storia che viene a salvarci. * vescovo
Giorni di grazia al Sinodo DI
ROBERTO DE LUCA
H
o partecipato al Sinodo per i giovani dello scorso ottobre come animatore della pastorale giovanile vocazionale dei Frati Minori delle Marche, realtà che papa Francesco ha conosciuto personalmente durante un incontro per parlare della drammatica situazione di alcuni nostri conventi in conseguenza delle scosse di terremoto del 2016. Al Sinodo non ho portato me stesso e le mie idee, ma un’esperienza di fraternità che collabora e fa servizio a Loreto da oltre quindici anni ai giovani e alle famiglie. Tanti sono stati gli elementi della “Casa Terra dei Fioretti” di Loreto che hanno colpito il Santo Padre: la pastorale giovanile unita a quella vocazionale, un accompagnamento integrato del giovane che si fonda sull’importanza dell’unità tra la dimensione umana e quella spirituale e cerca di far maturare il giovane in corpo, cuore, mente e spirito; l’importanza di formare le famiglie aiutandole a sviluppare il loro amore coniugale per far crescere i propri figli liberi, desiderosi di conoscere la propria vocazione… tutto questo in équipe testimoniando la bellezza della complementarità maschile e femminile e la ricchezza delle vocazioni nella Chiesa. I giorni trascorsi nel Sinodo sono stati veramente di grazia e di conoscenza con tanti fratelli vescovi e cardinali; ho fatto esperienza di una Chiesa universale viva, che nel silenzio agisce attraverso la vita di molti giovani martiri. Anche la testimonianza di alcuni giovani del Medio Oriente ha emozionato i padri sinodali. Altro “ingrediente” fondamentale sono stati i giovani che con il loro entusiasmo e la loro schiettezza hanno caratterizzato i lavori sia in assemblea che nei circoli minori. Sono stati giorni intensi di lavoro, ma la vicinanza e la presenza del Papa a tutto il percorso sinodale e la testimonianza di molti padri che nonostante l’età matura con coraggio si sono messi in discussione di fronte alle domande e alle tematiche suscitate dai giovani, hanno dato una spinta decisiva per generare frutti concreti e concepiti dallo Spirito Santo. Il documento finale ne è la prova: è una miniera di pietre preziose alla quale ogni realtà ecclesiale può attingere tenendo conto del proprio contesto pastorale. Oggi non si può camminare come “isole” nelle scelte pastorali, i giovani desiderano una Chiesa che si metta in cammino con loro e si confronti; e tutto questo come metodologia ordinaria, non solo straordinaria, della Chiesa Universale e particolare. Che cosa i giovani hanno donato alla Chiesa in questo sinodo? La sinodalità!
Nessuno può restare «immigrato» per tutta la vita Negli ultimi tre anni sono state oltre 6mila le nuove cittadinanze concesse nel Maceratese DI
GIANCARLO CARTECHINI
D
al 5° piano del palazzo Li Madou, dove si trovano alcuni uffici della Regione Marche, si può ammirare un bel panorama del golfo di Ancona. Il Dossier statistico immigrazione dell’anno 2018, a cura del Centro studi e ricerche Idos, è stato presentato in questo e-
dificio. Luogo adattissimo per un Convegno. Tuttavia, per parlare della presenza degli stranieri in Italia, sarebbe stato più opportuno trasferirsi tra i toroidi di piazza Ugo Bassi. Chi a Macerata si lamenta per la presenza soffocante degli immigrati, dovrebbe venire qui, nella zona del Piano, in una delle ore centrali del giorno. Dovrebbe attendere l’arrivo di un bus e guardarsi intorno. Vedrebbe una confusione di etnie, colori della pelle, culture. Graffiti urbani in movimento. Oggi è caldo, c’è un bel sole. Sono le 13.30. Il capolinea è affollato da ragazzotti che tornano a casa. Parlano tra loro,
sfottono, si spingono. Un giovane di colore, con un paio di pantaloni neri a cavallo basso e un cappello da baseball in testa, è appoggiato al palo che regge il tabellone con l’indicazione degli autobus in transito. C’è anche una famiglia di origine asiatica, forse cinese: padre, madre e 4 figli. Il padre sta fumando una sigaretta. Prima di salire sul bus, invece di gettarla a terra, si china con un gesto rapido e la sfrega contro l’asfalto fino a spegnerla. Poi la rimette in bocca, e sale. Salgo anche io. Linea n. 44, direzione Baraccola. Seduta di fronte a me c’è una ragazza molto bella, i lineamenti tipi-
ci dell’Africa Orientale, lo sguardo abbassato. Emana un profumo intenso, potrebbe essere patchouli. I ragazzi con gli zaini continuano a ridere rumorosamente. Sballottato tra una curva e una frenata, ripenso ai dati del dossier: lo scorso anno più 24.000 studenti marchigiani (11% sul totale della popolazione scolastica) erano di origine straniera, molti nati nel nostro paese. Eccoli, i nuovi italiani. Immigrati di seconda generazione, nei confronti dei quali la sfida verso una completa integrazione sarà particolarmente delicata. Negli ultimi tre anni,
quasi 22.000 immigrati residenti nelle Marche hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Più di 6.000 nella sola provincia di Macerata. Ed è proprio questo il punto: il termine “immigrato” qualifica una condizione di transito, non uno stato permanente. Indica un passaggio di luoghi e culture, nulla di più. Se fossimo lungimiranti, faremmo di tutto per favorire questo approdo. E invece il vento spira in tutt’altra direzione: nel nuovo schema di capitolato per la gestione dei centri di accoglienza sono sparite le previsioni di spesa relative ai servizi per l’integrazione dei richiedenti asilo, come i
Piazza Ugo Bassi ad Ancona, crogiuolo di etnie e crocevia di umanità
corsi di lingua italiana; nel decreto “Sicurezza”, recentemente approvato dal Senato, il termine previsto per la definizione delle pratiche di cittadinanza è diventato di quarantotto mesi (quattro anni!). Ma i seminatori di trappole se ne facciano una ragione: per quanto
lunga e tortuosa, questa transizione si concluderà necessariamente con una nuova appartenenza sociale. L’unica cosa che non cambia, in un uomo, è il colore della sua pelle. E questo non dovrebbe essere un problema per noi, figli dell’Occidente evoluto.