appuntamento
Verso il Sinodo
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Martedì, 16 gennaio 2018
Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
l primo appuntamento del del cammino che in dioIcesi2018 conduce al Sinodo per i Gio-
A cura della redazione EMMETV Via Cincinelli, 4 62100 Macerata telefono 0733.231567
vani, in programma in Vaticano per il prossimo mese di ottobre, si svolgerà il prossimo 9 febbraio alle ore 21 presso la Domus San Giuliano e avrà come relatore monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena–Nonantola.
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MACERATA
liturgia. Messe più accoglienti con l’animazione musicale
Cori che fanno la comunità MAURIZIO OSIMANI
«I
l cantare è proprio di chi ama», diceva sant’Agostino (Enarrationes in Psalmos, 72,1), e nella diocesi di Macerata sono in molti che, unendo l’amore per il canto e la musica alla fede, hanno fatto proprio questo aforisma. È infatti decisamente alto il numero, e spesso anche la qualità, dei gruppi corali che in maniera più o meno costante prestano servizio per l’animazione musicale delle liturgie, domenicali e non. Si va dalle piccole realtà giovanili a formazioni più ampie ed eterogenee, dove la differenza di età dei coristi non è certo un ostacolo per creare unità e armonia, non solo dal punto di vista musicale. E tutto ciò rende le comunità parrocchiali e le celebrazioni più vive e accoglienti. Inoltre numerosi di questi cori svolgono anche attività concertistica con esibizioni anche a livello nazionale ed, in qualche caso, internazionale. Nella sola città di Macerata sono presenti ben sette gruppi corali che abitualmente animano le celebrazioni nelle rispettive parrocchie: la Cappella Musicale della Cattedrale di Macerata diretta da Carlo Paniccià, che è anche collaboratore dell’Ufficio Liturgico Nazionale della Cei, il Coro dei Pueri Cantores, fondato dall’indimenticato don Fernando Morresi e attualmente diretto da Gianluca Paolucci, il Coro S. Francesco diretto da Laura Corbelli, il Coro Polifonico S. Vincenzo Maria Strambi diretto dal sottoscritto, il Coro di Comunione e Liberazione diretto da Luigi Baldassarri, annualmente presente al Pellegrinaggio Macerata–Loreto, e il Coro
chiese inagibili
Gruppi senza «casa» ra le tante chiese inagibili della diocesi spiccano T alcuni tra i templi di maggiore importanza e notorietà. Tra gli effetti collaterali di queste dolorose chiusure c’è anche la perdita della “casa” di altrettanti corali. È il caso della Cappella musicale della Cattedrale di Macerata, diretta da Carlo Paniccià. La medesima condizione è vissuta dalla Schola Cantorum “Giuseppe Bezzi” di Tolentino della Basilica di San Nicola, diretta da Andrea Carradori. Analoga situazione a Coro parrocchiale cingolano a servizio della concattedrale dedicata a Santa Maria Assunta.
dei Figli della Luce, che anima le Messe nella chiesa di San Giorgio. Di recentissima formazione è il coro giovanile diocesano diretto da Maria Chiara Tarulli e simpaticamente ribattezzato come Coro Interrato a causa di un errore di digitazione nell’Sms inviato ad alcuni ragazzi per invitarli a far parte del gruppo. All’Abbadia di Fiastra, da molti anni la Messa domenicale delle 10.30 è accompagnata dal coro diretto da Licio Cernetti. A Cingoli operano invece la Corale Polifonica Cingolana diretta da Ilde Maggiore e che recentemente ha festeggiato i 25 anni di attività, il Coro Parrocchiale di Villa Strada diretto da Tiziana Toccafondo e il Coro Parrocchiale di S. Maria Assunta. Le liturgie solenni della Parrocchia SS.Pietro e Paolo di Montelupone sono animate dalla Corale S. Francesco diretta da Alessandra Gattari che, come si legge nel profilo Facebook «è costituita da persone non professioniste che hanno scoperto l’importanza del canto come dono e preghiera». Nella Parrocchia del Preziosissimo Sangue di Porto Recanati sono attivi ben tre cori che si fondono in occasione di celebrazioni importanti; tra questi spicca il Coro Don Bosco diretto da Gaetano Campolo, che da 18 anni anima liturgie e matrimoni anche in trasferta in zone limitrofe. I tre cori si sono spesso esibiti insieme in concerti per la raccolta di fondi a scopo benefico, devolvendo ugualmente in beneficenza le offerte ricevute in occasone di matrimoni e funerali. Nella splendida basilica agostiniana di S. Nicola di Tolentino la liturgia domenicale delle 10.30 fino al terremoto è stata animata dalla Schola Cantorum “Giuseppe Bezzi” attualmente diretta da Andrea Carradori; la sua fondazione risale ben al 1600 ed è una delle poche in Italia che «canta per incarico dell’Amministrazione comunale». Sempre nella stessa Basilica tolentinate – ora purtroppo inagibile – ha sede il coro dei Pueri Cantores diretto dal 2009 da Maurizio Maffezzoli. Sono da citare poi anche i cori a carattere prevalentemente concertistico che a volte prestano la loro voce per alcune celebrazioni particolari, come ad esempio il Coro Piero Giorgi di Montecassiano diretto da Augusto Cingolani. Questa sintetica panoramica non è certamente esaustiva della variegata realtà corale diocesana, realtà in divenire dove sempre più presente è il desiderio di dare forma musicale alla preghiera, di creare una cultura del canto sacro e dove i “meno giovani” sono di stimolo e di esempio alle nuove generazioni.
Quell’accordo dalla voce deve passare ai cuori DI NAZZARENO MARCONI *
Una realtà diffusa capillarmente che arricchisce chi vi partecipa e favorisce lo scambio e la collaborazione tra le parrocchie Il panorama dell’attività in diocesi DI
la parola del vescovo
Q
Il coro giovanile diocesano “Interrato”
«Chi canta si fa missionario di unità» DI JACOPO FOGLIA *
a musica guida chi la pratica a leggere le stesL se note, a seguire lo stesso tempo, addirittura a usare gli stessi muscoli seppur ciascuno con la propria voce o con il proprio strumento. Così un cristiano che prende parte anche con il canto alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia diventa un missionario dell’unità, manifestando la comunione con i fratelli e con Dio, facendo sì che la liturgia terrena sia prefigurazione della liturgia celeste. Infatti il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, ribadisce al n.112: «La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio d’inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne. […] Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica, sia dando alla preghiera un’espressione più soave e favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti
sacri. […] il fine della musica sacra è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli.» Nella nostra diocesi abbiamo numerose esperienze di collaborazione tra i cori. Tutto è nato con l’Anno della Misericordia in cui i pellegrinaggi giubilari terminavano con la S. Messa in Cattedrale animata dalle nascenti Unità Pastorali, con le parrocchie “costrette” a collaborare per l’animazione della Celebrazione eucaristica presieduta dal nostro Vescovo. È stata l’occasione per constatare la bellezza e la ricchezza del mettere in comunione i doni di ciascuna parrocchia. La musica liturgica non solo apre all’amicizia tra i musicisti e i coristi, ma rende tangibile a ogni fedele che quando ci si apre alle novità dello Spirito e si collabora per il Signore si edifica la sua Chiesa e si supera il fatale cancro dei campanilismi. Auspichiamo che le nostre parrocchie, sappiano continuare attraverso la musica liturgica e l’impegno dei cori, ad essere strumenti d’unità in un mondo in cui dilagano le divisioni. * direttore del Centro liturgico diocesano
Coro Sibilla: un’amicizia avviata 42 anni fa da don Fernando Morresi Il Coro Sibilla è nato nel 1976 sotto l’egida del Cai di Macerata. È formato da un gruppo di amici unito dalla passione per il canto popolare e di montagna e ha in repertorio canti sia tradizionali che moderni, armonizzati per quattro voci virili. Deve la sua impronta all’opera sapiente e appassionata del compianto don Fernando Morresi, che lo diresse fino alla prematura
scomparsa nel 1988. Da oltre venti anni è diretto dal M° Fabiano Pippa col quale ha ottenuto il riconoscimento di Associazione di interesse nazionale. Organizza annualmente la “Rassegna dei Sibillini”, giunta alla XXXII edizione, e il “Concerto di Natale”, di cui sopra vedete un’immagine di quello 2017 nella chiesa dell’Immacolata a Macerata. (M.B.)
uando, entrando in chiesa la domenica, si sente un Coro che cerca di animare la liturgia spingendo il popolo di Dio a partecipare, almeno a cantare tutti il ritornello del canto, non so quanti si rendano conto dell’importanza e del significato di ciò che accade. All’origine, almeno spirituale, dei nostri cori liturgici, c’è la grande tradizione di cori monastici. San Benedetto, nella sua Regola, dà grande importanza al coro, chiamato a pregare cantando la Parola di Dio, soprattutto nella sua forma poetica, cioè i salmi ed i cantici. Il capitolo XIX della sua Regola parla dell’atteggiamento, esteriore e soprattutto interiore, che il coro deve avere cantando l’Ufficio divino. Dice la Regola: «Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che “gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi”, ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all’Ufficio divino». Il canto corale è così il momento privilegiato, secondo san Benedetto, in cui si sperimenta la presenza del Signore nella nostra vita. L’obiettivo di tutta la preghiera cristiana è questo da sempre: sperimentare l’unione con Dio. Nel canto ciò diventa più facile perché, come insegna sant’Agostino «Chi canta prega due volte». In questa preghiera al quadrato infatti, siamo aiutati a sentire anche fisicamente che siamo “uniti”. La promessa di Gesù si compie perciò con maggiore certezza: «Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). La fatica di trovare l’accordo musicale, condizione indispensabile per cantare in coro, apre infatti la strada per l’accordo dei cuori, che è la condizione indispensabile per la preghiera comune dei cristiani. Cantando in coro i salmi per tanti anni ho imparato la “Regola del Coro”, che è fondamentale anche per trovare l’accordo dei cuori, e la regola è questa: «Per cantare in Coro, ascolta attentamente chi ti è vicino». È una regola tanto semplice quanto esigente, perché non può ascoltare chi grida più forte degli altri. Non può ascoltare chi va avanti da solo e non regola il passo su quello del coro. Soprattutto non può ascoltare chi non accetta di farsi aiutare in questo dal Maestro del Coro, perché tutti abbiamo sempre da imparare e possiamo migliorare accettando di lasciarci guidare. Benedetto invita poi alla competenza, perché la Scrittura dice: «Lodate Dio degnamente». Il servizio del Coro è un servizio prezioso per la preghiera del Popolo di Dio, ma va vissuto proprio come servizio, non come esibizione, dice infatti la Scrittura citata dalla Regola: «Servite il Signore nel timore». San Benedetto completa l’insegnamento con un’ultima citazione: «Ti canterò alla presenza degli angeli», per far capire che davanti ai “Cori degli angeli” tutte le nostre esibizioni umane, anche le più raffinate, se non vogliono cadere nel ridicolo si devono rivestire di tanta umiltà. Questo capitolo della Regola si chiude con un insegnamento luminoso: «Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l’intima disposizione dell’animo si armonizzi con la nostra voce». Facendo seguito a sant’Agostino: «Quando pregate il Signore con salmi e inni, si svolga nel cuore ciò che si esprime con le parole» (Ep 211,7) così: «Se il salmo prega, pregate; se sospira, sospirate; se gioisce, gioite; se spera, sperate» (In Ps. 30,3). * vescovo
Quale cura dopo l’indigestione di auguri via Web Irretiti da effetti speciali da quattro soldi La speranza è che i figli sapranno fare meglio DI
GIANCARLO CARTECHINI
S
arà perché mi sto annoiando, o forse per il vino bevuto con troppa allegria, mi viene da pensare che per le festività del prossimo anno qualcuno inventerà l’albero di Natale 4.0. Un ologramma da esporre in salotto al posto del tradizionale abete, addobbato con app che cambiano colore all’arrivo di ogni nuova notifica. Siamo arrivati quasi al-
la mezzanotte, e fuori crepitano i primi fuochi d’artificio. Dentro casa, invece, il crepitio è causato dalle suonerie dei messaggi. Ci appartiamo a turno con dovuta noncuranza: appoggiati al davanzale, ci abbandoniamo al flusso di auguri in entrata e uscita. Anche io, è bene confessarlo, ho condiviso in maniera compulsiva renne danzanti e altre animazioni; perfino un Babbo Natale corpulento e seminudo, schiaffeggiato al ritmo di Jingle Bells. Nel romanzo di Dave Eggers “Il Cerchio”, la protagonista Mae Holland, impiegata in una azienda specializzata nella gestione di informazioni web, trascorre le sue notti a postare foto e commenti, monitorare messaggi, leggere avvisi
senza fermarsi mai. Anche noi, dunque, siamo stati inglobati dal Cerchio? Come è potuto capitare che perfino lo scambio di auguri, che richiederebbe uno spazio di intimità e di cura, sia caduto in questo baratro chiassoso? Lo scambio epistolare, ci ricorda la scrittrice tedesca Andrea Köhler, era una roccaforte del tempo ritardato. Anche il carattere tattile della lettera faceva parte di questo attraversamento dello spazio nel tempo. Immaginandoci il destinatario mentre leggeva, inserivamo nella lettera anche il tragitto che questa doveva fare: il messaggio, insomma, veniva impreziosito dalla polvere della strada, dalla precarietà dell’attesa. Con l’accelerazione dell’informa-
zione, invece, il ritmo dei nostri rapporti personali si è adeguato alla frequenza convulsa del traffico online, piegandosi alla simultaneità. Nel tentativo vano di redimermi dall’indigestione di renne volanti, il giorno successivo decido di fare una passeggiata in campagna. Parcheggio vicino al distributore di metano, dopo il semaforo, tra il pub e il laboratorio del pane. Mi incammino a piedi lungo la strada bianca che costeggia i campi. Cielo grigio, nuvole basse e gonfie. Foschia. Colori spenti. Mi guardo intorno più volte, in cerca di punti di riferimento: un casa, una collina, un albero, il gorgoglio delle acque del fiume, il rumore lontano delle auto sulla provinciale. In questo
contesto disadorno e vasto, privo di difese, si potrebbe intuire per contrasto il peso dell’accerchiamento. Connessioni, presenze luminose e sonore, notizie condivise ci riempiono la vita ma rischiano di farci perdere di vista l’essenziale: la possibilità (almeno la possibilità) di uno sguardo limpido e libero sui nostri affetti e sulle cose che accadono nel mondo. O forse non è proprio così. Siamo noi che abbiamo frainteso, e ci siamo lasciati irretire da effetti speciali da quattro soldi. Forse è proprio attraverso la Rete che potremo
coltivare rapporti profondi, accumulare pensieri, liberare spazi di silenzio e di comprensione reciproca. Non ne saremo capaci noi, cafoni del web. Ma ci potrebbero riuscire i nostri figli. Ecco, è proprio questo l’augurio più bello per gli anni a venire.