Avvenire 21 giugno 2016

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l’appuntamento

www.emmausonline.it Mensile della diocesi di Macerata Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia A cura della redazione EMMAUS Via Cincinelli, 4 62100 Macerata tel. 0733.234670 e-mail: redazione@emmausonline.it facebook: emmausmacerata twitter: emmausmacerata

MACERATA

Martedì, 21 giugno 2016

In centomila al pellegrinaggio da Macerata a Loreto. Prima della partenza la telefonata di papa Francesco che ha benedetto i partecipanti sotto la pioggia

«Camminate nella fede» Nei 28 chilometri verso la Santa Casa, preceduti dalla Messa presieduta dal cardinale Edoardo Menichelli, numerose le invocazioni alla Vergine Maria DI FRANCESCA CIPOLLONI

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n titolo, un significato, da scoprire in una notte che è “paradigma” dell’esistenza umana. Anche quest’anno, sabato 11 giugno, il 38esimo pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto – nato nel 1978 per volontà di monsignor Giancarlo Vecerrica che ancora oggi rappresenta la guida sicura dell’esperienza proposta dal movimento di Comunione e Liberazione –, incentrato sul tema «Tu sei unico», si è rivelato un’occasione di fede e di condivisione in cui sperimentare, metaforicamente, la fatica del vivere, in cui al buio della notte si alternano la speranza e la luce del mattino, alle discese le salite che conducono alla mèta. Una mèta, la Santa Casa, fulcro di una spiritualità mondiale che, in oltre centomila, hanno voluto raggiungere partendo dallo stadio Helvia Recina della Civitas Mariae e camminando per 28 chilometri con devozione e desiderio di affidare alla Vergine le proprie attese. A benedire questo gesto non è mancata la telefonata, attesa e accolta come il più incoraggiante dei doni. A rincuorare i pellegrini, nient’affato demoralizzati dalla pioggia battente che li ha messi alla prova sino all’arrivo nella città lauretana, lui, papa Francesco, che per la terza volta consecutiva ha rivolto il proprio saluto agli uomini, alle donne, ai tantissimi giovani (autentica “priorità” del Pontefice) pronti a mettersi in cammino. «Non si può vivere stando fermi. Occorre camminare sempre, senza fermarsi mai, per costruire un’amicizia sociale, una società giusta. Bisogna vivere per proclamare il Vangelo di Gesù, camminando con lo sguardo rivolto alla Madonna. Come farete voi questa notte», ha detto il Santo Padre, ad un’emozionato

All’alba, l’arrivo dei pellegrini diretti alla basilica di Loreto: la pioggia e la stanchezza non hanno “spento” il loro entusiasmo

“don Giancarlo”, affiancato dal cardinale Edoardo Menichelli, che ha presieduto la Celebrazione eucaristica assieme ai Vescovi delle Marche. Così, con questo abbraccio speciale, è iniziato il segno che, da sempre, accomuna fedeli e non, giunti anche dall’estero e da ogni regione di questa Italia «che deve superare gli esami», come ha ricordato nel suo messaggio monsignor Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata– Tolentino–Recanati–Cingoli–Treia. «Questo pellegrinaggio è nato da un gruppo di giovani che chiedevano aiuto alla Madonna nella imminenza della Maturità. Anche oggi siamo tutti in tempo di esami: anzi, direi che tutto il nostro Paese deve passare un bell’esame di maturità. C’è bisogno – ha aggiunto il Pastore – di un popolo di giovani nuovi, che superino l’esame dell’accoglienza di popoli e culture che bussano alla nostra porta, che superino l’esame di una

partecipazione alla vita pubblica dove essere liberi e forti, capaci di mettere gli ultimi al primo posto nei nostri cuori e nei nostri progetti di futuro». Prima della Santa Messa, non a caso, sul palco dello stadio sono saliti una dozzina di carcerati del penitenziario «Due palazzi» di Padova, dove dal 1991 opera la cooperativa Giotto. In due lettere – la seconda letta durante il pellegrinaggio – un ergastolano e un condannato a trent’anni di carcere hanno raccontato come in carcere la loro vita sia cambiata attraverso l’incontro con Cristo: «Non mi era mai capitato – ha scritto – che qualcuno mi volesse bene così, senza nulla in cambio. Questo bell’imprevisto mi ha fermato e fatto capire meglio chi ero e come dovevo trattarmi, per che cosa valeva veramente la pena rischiare la mia vita. Un abbraccio gratuito e pieno di amore mi ha salvato». Lo stesso, nella notte, hanno testimoniato Alejandra,

malata di cancro di Madrid, Alessandro di Napoli ospite della Pars, don Aldo Bonaiuto che, sull’esempio di don Oreste Benzi, offre alle ragazze di strada il riscatto della dignità. Storie e racconti capaci di mostrare come l’avvenimento cristiano possa realmente “sconvolgere” e trasformare radicalmente l’animo umano, nonostante gli inciampi, le cadute e le debolezze. Così, passo dopo passo, invocazione dopo invocazione, meditando i Misteri del Rosario, nonostante la stanchezza, la «distrazione non ha prevalso sulla grazia», come ha ricordato monsignor Vecerrica, e un popolo in cammino, colorato non tanto dagli ombrelli ma, soprattutto, dai canti festosi e dai volti della gioia, è giunto all’alba al cospetto della statua della Vergine che ha atteso tutti, fino all’ultimo pellegrino, per ribadire in ciascuno l’unicità e la bellezza del proprio esistere.

Menichelli

l’omelia. «Questa esperienza diventa icona del vivere» on solo sotto la pioggia ma, piuttosto, «sotto uno sguardo di fiducia di misericordia, che non è sentimentale indulgenza, ma gaudio di novità». Ha parlato con la consueta naturalezza che lo contraddistingue il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona–Osimo e presidente della Conferenza episcopale marchigiana, rivolgendosi alle migliaia di pellegrini giunti allo stadio Helvia Recina di Macerata per assistere alla Santa Messa che ha preceduto il cammino notturno. Riferendosi al brano evangelico, nell’omelia Menichelli ha chiarito che «la questione vera» che riguarda oggi l’essere umano «è l’amore». «Nel racconto – ha spiegato – si incontrano due persone con una complicata situazione di identità, ambedue incapaci di capire e vivere: Simone è irrigidito in una morale legalista, con la mania dell’autoperfezione e del pregiudizio verso gli altri; la donna, consumata da una solitudine dove non abita più lo stupore del cuore. Poi, un anonimo gruppo di commensali, che non conoscono la strada della misericordia». «Noi pensiamo – ha aggiunto quindi il presule – che il problema sia il giudizio, l’incapacità di uscire dall’ingorgo umano e spirituale, nostro e degli altri, nel quale questa nostra cultura ci sta collocando». Quindi, il diretto rimando al tema scelto per questa edizione: «Se abbiamo il coraggio di andare e vedere, come i due del Vangelo, sapremo perché Lui è unico e perché ognuno di noi è unico: perché siamo insieme dentro un interesse d’amore». Il pellegrinaggio, inoltre, secondo “don” Edoardo, non è che «un’icona simbolica della vita, passando per le oscurità e le incognite dell’esistenza». Parole schiette, ma capaci di infondere viva speranza a quanti, tra le campagne marchigiane, si sono fatti pellegrini alla sequela di Cristo, guidati da Maria. Francesca Cipolloni

N

Alla Domus S. Giuliano il mandato del vescovo ai cinquecento giovani che parteciperanno alla Gmg di Cracovia Quasi 500 giovani che andranno alla Gmg di Cracovia hanno affollato giovedi 16 giugno l’Aula Sinodale della Domus San Giuliano per ricevere il mandato del Vescovo. Monsignor Marconi ha esortato i giovani a vivere con slancio ed entusiasmo la propria fede, sollecitandoli a sfruttare queste occasioni forti per scoprire o rafforzare la propria vocazione. Molto toccante il passaggio in cui ha ricordato quando, nel 1985, fu tra i sacerdoti coinvolti nell’organizzazione della Gmg di Roma: «All’epoca – ha raccontato – pensavamo che

sarebbe stato già tanto richiamare un po’ di giovani da Roma e dintorni. Nessuno poteva immaginare che l’intuizione di San Giovanni Paolo II sarebbe diventata quella cosa meravigliosa che è oggi la Gmg. In questo si capisce che è Dio che fa le cose». E mentre le note dell’inno della Gmg riempivano

l’auditorium, i ragazzi si abbracciavano, sorridevano, scambiandosi sogni, progetti, idee, paure, speranze, ansie e gioie di questa meravigliosa avventura che sta per iniziare. E guardandoli pensi: è proprio vero, è Dio a fare le cose. Giovanni M. Mazzei

La giornata 2016 per la carità di Pietro Celebrata tradizionalmente nella domenica che precede la solennità dei santi Pietro e Paolo, il 26 giugno in tutte le chiese verrà raccolto il cosiddetto “Obolo di San Pietro”. Si ricorda l’origine del ministero petrino e lo si ricollega immediatamente alla carità. Per noi, inoltre, è un modo concreto per «mettere i poveri al centro», almeno per un giorno.

«Don» Giancarlo: da papa Wojtyla la spinta avanti DI FRANCO

MAIOLATI

A

llora è vero che anche la pioggia è una Grazia, come ha ricordato papa Francesco ai pellegrini in partenza dallo stadio di Macerata. Visto che l’acqua ha caratterizzato buona parte del cammino di quest’anno. «Sì – conferma “don” Giancarlo (monsignor Giancarlo Vecerrica, vescovo emerito di Fabriano, iniziatore e anima del pellegrinaggio) – anche se è sorprendente che tra quanti ho incontrato dopo, nessuno se ne sia lamentato: “Il pellegrinaggio è stato bellissimo, la pioggia non è stato un problema”, hanno detto. Il pellegrinaggio è sempre educativo, è un paradigma della vita come ricorda papa Francesco nel suo Misericordiae vultus; ci insegna ad affrontare la vita in tutte le sue dimensioni». È contento, dopo la fatica che lui compie dal 1978, nel vedere il sorriso che permane in loro nei giorni successivi. Giovane sacerdote, 21 classi al liceo classico di Macerata, una grande passione per i giovani «con un rapporto che veniva dal cuore perché venivo amabilmente costretto a dare ragione della fede che proponevo. Non era attivismo o intelletualismo». Neppure quando proponeva i campi di lavoro estivi a fianco dei contadini del Maceratese. Fu l’incontro con don Giussani nel 1970 che sollecitò il suo desiderio di capire e sperimentare come la fede c’entrasse con tutta la vita. Nel 1978 l’idea di un pellegrinaggio che riprendesse l’esperienza dei giovani ciellini alla Madonna di Czestochowa, ma soprattutto la tradizione marchigiana di offrire ogni opera alla Madonna di Loreto. Monsignor Vecerrica ricorda che la prima non fu un’esperienza memorabile perché molte cose non andarono al punto che fu incerto se continuare. Ma quell’anno venne eletto papa Giovanni Paolo II. Nel ’79 la conferma che l’impegno andava mantenuto: «Quella dei giovani è la realtà che mi sta più a cuore: me li curi uno a uno», fu il mandato del Papa a don Giancarlo. E sempre Giovanni Paolo Il indicò di andare a vedere come faceva «quel pretino del pellegrinaggio» per cominciare a organizzare le giornate della gioventù. Il pellegrinaggio è cresciuto, nella consapevolezza di don Giancarlo di essere «uno nelle mani di un Altro». «Scopro ancora oggi, dopo oltre 50 anni di sacerdozio e con l’esperienza di vescovo, che la disponibilità allo Spirito mi ha reso capace di fare cose inimmaginabili, pur nel mia fragilità. E dopo il 38° pellegrinaggio vedo sempre più che la riuscita è solo in mano alla Madonna, con il suo fiat». Monsignor Vecerrica confessa che dopo la nomina a vescovo aveva pensato di lasciare, ma poi «ho capito che mi interessavo del pellegrinaggio come della guida della diocesi, non in forza di un’organizzazione, ma in forza di una testimonianza e per questo nelle parrocchie dove andavo scattava un’immediata sintonia». Ora, con i suoi 76 anni, non va in pensione dal Pellegrinaggio, «molto cresciuto, nei numeri e nella maturità di chi guida e può andare avanti senza di me. Ma io non posso andare avanti senza di loro». «Ogni cosa nella Chiesa non è nostra, ma di un Altro. E lavorare per l’opera di un Altro è una gioia, un entusiasmo, una libertà, soprattutto». Per questo ha già lanciato l’appuntamento del 10 giugno del prossimo anno. Con un compito: «L’unità non può essere uno sforzo o un progetto umano, è proprio questo riconoscersi intorno al Mistero. Il pellegrinaggio è uno strumento per sperimentare questo: che è possibile uno stile nuovo, una civiltà dell’amore realizzata. Abbiamo bisogno di vita vissuta in unità. Il pellegrinaggio, in questo senso si fa tutto l’anno».

testimonianze. In una notte il cammino di un’intera vita «Quando arriva la fatica, capisci la A differenza tra anima lcune voci, tra le innumerevoli possibili, raccolte tra volontari, veterani, “esordienti” del cammino notturno verso la Santa Casa di Loreto. Patrizio: La mia conversione, il mio recente matrimonio con un angelo dagli occhioni celesti; poi la persona che ti capita quando men te l’aspetti e diventa il tuo amico più caro, il riferimento e la guida. Entrambi ti prendono per mano e ti guidano verso Dio, verso la bellezza assoluta, verso la gioia più pura. Il mio primo pellegrinaggio nasce da tutto questo: ringraziare per quanto ho avuto, per queste splendide persone che Dio mi ha mandato sulla strada della fede. E quando camminando arrivano la fatica, i dolori, capisci la differenza che c’è tra il tuo corpo e la tua anima. Però preghi, canti, e cammini. Porterò sempre nel mio cuore il ricordo dell’entusiasmo della partenza, la commozione e le lacrime alla vista del Santuario, la gioia immensa di avere compiuto questo cammino con gli an-

geli custodi che il Signore mi ha messo vicini. Lorella: Sono una persona di fede? Non lo so, a 56 anni vissuti sempre dentro la Chiesa (tipo il fratello “buono” che rimane nella casa del Padre, ma con le sue mormorazioni, le ribellioni mai denunciate, il suo sentirsi a posto). Sento di appartenere a qualcosa di grande a cui tornerò una volta terminato il mio cammino terreno. Ecco il tema del cammino: concentrato in una notte il cammino di una vita. Salite, discese, momenti di sconforto col timore di non potercela fare, forza attinta da chi avevo accanto e ce la faceva anche grazie a me che pensavo di non riuscirci. Che turbinio di pensieri: il buio e le tante piccole luci dei flambeaux, l’esplosione dei fuochi d’artificio per attirare l’attenzione verso il cielo, le pile dei volontari indirizzate a

terra per segnalare le buche. Sguardo verso l’alto, sguardo verso il basso, le due dimensioni del nostro essere pellegrini sulla terra, camminando verso il divino. Giuseppe, medico della troupe del servizio sanitario del Pellegrinaggio: Partecipo al Pellegrinaggio per ringraziare la Madonna che, dall’età di 12 anni – quando feci una prima esperienza di fede viva nel seminario dei carmelitani –, sento come la Mamma. Oggi sono sposato e ho tre figli. Sono grato di svolgere un servizio al pellegrino, che è Gesù che mi viene sempre incontro benedicendomi. Una pellegrina mi ha detto domenica mattina: «Io prego sempre per voi, affinché stiate bene e così ci possiate curare». In questo modo faccio l’esperienza di essere io ringraziato attraverso i volti sofferenti ma lieti per il Pellegrinaggio portato a termine.

e corpo. Però preghi, canti e cammini»

Emanuela, Emma per gli amici, tra i volontari che, sin dalle 4:30 del mattino, accolgono a Loreto i pellegrini. Ha in mano le corone del rosario da distribuire. All’improvviso alza gli occhi e vede la folla che avanza: «La stanchezza e il dolore per la notte di cammino trasparivano da ogni loro passo, ma gli sguardi narravano gioia e gratitudine. Una signora mi chiede una corona: finite, le dò la mia; la prende tra le mani e dice: “Deve essere benedetta, deve toccare la statua della Madonna”. Subito dopo esclama: “Eccola, la Madonna sta arrivando”. Mi giro, vedo la statua scortata, le dico: si avvicini, la tocchi; lei: “No, no, non mi fanno passare”. Riprendo la corona e avanzo, mi allungo più che posso e la corona tocca la Sua veste dorata. Mi giro verso la signora, sorridiamo, le consegno la corona, la prende tra le mani e commossa: “Ha fatto una cosa grande, serve a una persona che ha tanto tanto bisogno!”». Giuseppe Luppino


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