Ticino Management: Ottobre 2025

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Ma chi succede? Testimoni o innovatori

AZIENDE

Risorse umane, connubio di potenzialità

ECONOMIA

Traiettorie africane, collaborazioni proficue

ARTE

Berlino e Berna: l’espressione di un prestito

FINANZA

I paradigmi della K: l’economia come cambia

DESIGN

Iconografie di ieri, trend di domani

SOSTENIBILITÀ

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Società Editrice

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Responsabile editoriale

Federico Introzzi · fintrozzi@eidosmedia.ch

Redazione

Susanna Cattaneo · scattaneo@eidosmedia.ch

Giulio De Biase · gdebiase@eidosmedia.ch

Mirta Francesconi · mfrancesconi@eidosmedia.ch

Simona Manzione · smanzione@eidosmedia.ch

Andrea Petrucci apetrucci@eidosmedia.ch

Emanuele Pizzatti epizzatti@eidosmedia.ch

Maria Antonietta Potsios - mapotsios@eidosmedia.ch

Eleonora Valli evalli@eidosmedia.ch

Hanno collaborato a questo numero

Ettore Accenti, Marco Ancora, Michele Barchi, Alessandro Beggio, Marco Betocchi, Ignazio Bonoli, Giovanni Facchinetti, Simona Galli, Nathalie Herschdorfer, Paolo Maiullari, Marco Martino, David Mülchi, Frank Pagano, Stelio Pesciallo, Ermenegildo Peverelli, Francesca Prospero Cerza, Fabrizio Quirighetti, Rocco Rigozzi Progetto e coordinamento grafico

Veronica Farruggio grafica@eidosmedia.ch

Coordinamento Produzione

Roberto Musitano · rmusitano@eidosmedia.ch

Pubblicità

Coordinamento interno pubblicita@eidosmedia.ch Tel. 091 735 70 00

Agenzia esterna

Claus Winterhalter · winterhalter@ticino com

Abbonamenti abbonamenti@eidosmedia.ch

Annuo franchi 100.- (9 numeri, 3 bimestrali)

Estero: supplemento postale

Tel. 0041 (0)91 735 70 00

Logistica e amministrazione amministrazione@eidosmedia.ch

Chiusura redazionale: 2 ottobre 2025

Testimoni, o successori?

l’Europa è un continente strano, ricco di potenzialità, genialità spesso sottovalutate, forze e risorse celate anche a sé stessa, cui piace essere al traino altrui, senza prendersi mai responsabilità. Quale che sia l’ambito, quale che sia il contesto. È un consesso dove si dimostra ricorrentemente necessario arrivare sull’orlo del precipizio, a un minuto dalla ‘mezzanotte’, per maturare infine quella decisione, sudata e sofferta, che tutti sapevano necessaria, ma di cui nessuno era disposto a farsi carico.

Le aziende di famiglia sono il sale di un benessere diffusamente costruito nell’arco dell’ultimo secolo, e che rende tuttora il Vecchio Continente la regione del mondo più felice e prospera; le cui origini in molti casi affondano in una storia più remota, in alcuni casi di secoli fa. Questo benessere è sempre stato in primo luogo manifattura, frutto del lavoro di dinastie imprenditoriali che l’hanno forgiato, innovando e investendosi; assumendosi rischi, e soprattutto prendendo decisioni, atto che oggi sembra diventato così difficile da compiere. Manifattura “egoista e sporca”, almeno secondo gli standard (in)sostenibili degli ultimi anni.

Il presente trae vana soddisfazione nel discutere di non problemi, nell’elevare l’eristica ad arte e contenuto, ignorando la propria coscienza, e ogni buon senso, per l’appunto per non dover prendere decisioni. Eppure, i nodi stanno infine venendo al pettine, una generazione volge al tramonto, quelle nuove osservano, testimoni silenti di quanto è stato, recalcitranti a farsene vere eredi. Del resto, non un dettaglio, a porsi è in primo luogo un tema culturale, negli anni in cui il grande mantra è diventato il work-life balance.

Il passaggio generazionale è la fase più delicata nella vita di un’impresa, lo è sempre stato, la longevità può essere conquistata ma a caro prezzo, e al costo di sacrifici, che forse non si è più disposti a sopportare.

L’Europa è una grande azienda di famiglia, di annosa generazione, che non ha ancora trovato un erede, e che forse non sta nemmeno cercando. È tempo di attivarsi, e porre le premesse per una successione di successo. L’unica vera domanda è: ma chi succede?

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Ma chi succede?

Se il passaggio generazionale resta uno dei momenti più delicati nella vita di un’impresa familiare, è anche il banco di prova della sua maturità. Il passaggio del testimone non è solo un affare privato, diventa un investimento strategico.

Opinioni

12 Ettore Accenti. La Silicon Valley è più vivace che mai.

14 Michele Barchi . Comportamenti scorretti o illeciti in azienda: cosa ne sarà dei whistleblower?

16 Arthur Jurus . Investimenti: il 2025 è un anno da record per l’Europa, Germania in testa. La Difesa conta e molto.

18 Stelio Pesciallo (in foto). La decisione del Consiglio federale di non sottoporre l’accordo con l’Ue al referendum obbligatorio si scontra con il sistema federale.

20 Ignazio Bonoli. La nuova legge sulle banche impone un capitale proprio giudicato troppo alto rispetto alla concorrenza. Senza Ubs quanto perderebbe la Svizzera?

22 Andrea Ziswiler Mutui ipotecari a tasso fisso: recedere in anticipo è possibile, ma non senza conseguenze.

Economia

42 Testimonianza. Anche le imprese svizzere possono avere la “loro Africa” associandosi alle spagnole

44 Svizzera-Europa. Mercato unico, senza eccessivi compromessi.

46 Sanità. Soluzioni da condividere.

50 Servizi L’universo della telefonia.

56 Risorse umane. Workation: produttività e benessere si incontrano.

Da sinistra, Alberto Marenghi, Presidente di Les Hénokiens; Fabio Regazzi, Consigliere agli Stati; Paul de Blasi, Partner, ed Head of Deloitte Legal & Private West Switzerland; e Carmine Garzia, Professore ordinario della Supsi.

Osservatorio

101 Sfama. L’industria svizzera dei fondi d’investimento.

102 Analisi . Limitato finora l’impatto delle tensioni sulle decisioni degli investitori, mentre prosegue la corsa dei debiti pubblici.

104 Bond (in foto, Mohammed Kazmi). Nonostante le perturbazioni politiche di breve termine, le forze strutturali dell’economia americana continuano a sostenere il suo potenziale di crescita a lungo termine.

108 Scenari. I cambiamenti strutturali di tecnologia, mercato del lavoro e distribuzione del reddito intensificano l’andamento divergente di diversi settori e gruppi sociali dando forma a una ripresa a forma di K.

110 Commento La Svizzera meta per un numero crescenti di americani in cerca di prospettive di lungo periodo.

Speciale Sostenibilità

68 Positive Organizations. La sostenibilità è la lingua in cui il mercato globale comunica e negozia.

69 GhenPower. Concretizzare il potenziale dell’idrogeno verde.

70 Casada. Un cantiere esemplare di edilizia circolare per il territorio.

72 Ferelca. La solidità della leggerezza che valorizza gli edifici.

74 Lugano. Politiche urbane.

75 Tpl. La spinta dell’elettrificazione. Eureka

76 L’imprenditore. Da falegnameria locale a leader dello sci mondiale.

78 Start up. Semplificare la logistica dell’e-commerce per scalare.

80 Innovazione. Studenti spaziali, pionieri delle missioni analoghe nel cuore del Sasso San Gottardo.

Risorse strategiche

Sviluppare opportunità di crescita, per chi il lavoro lo offre e per chi lo cerca: evolvono strumenti e modelli, ma al centro resta il potenziale umano.

A lato, Marcel Keller, Country President di Adecco Group Switzerland.

p. 52

Reinterpretare la materia p. 46

Una cava, storia di famiglia, il territorio e una spiccata creatività. La bellezza della natura entra nella vita quotidiana, tra sostenibilità, design e cultura materica. A lato, Natascia Finocchiaro Maurino, Fondatrice e Ceo di Cristallina Design.

Action dal cuore svizzero p. 54

Entrato nell’Olimpo cinematografico con Matrix Reloaded, l’attore svizzero è ora sul grande schermo con Deathstalker. Sempre in bilico tra disciplina e rischio, rigore e istinto: estremi che guidano ogni sua azione.

A lato, l’attore

Daniel Bernhardt.

86 Fashion. Tecnicità svizzera e visione globale: l’abbigliamento sportivo che punta allo stile libero.

88 Fashion. Creare un modello di business innovativo e distintivo.

90 Sport. Sviluppare pensiero strategico e relazioni giocando a bridge.

92 Marketing. Funnel, consigli pratici alle Pmi per non perdersi.

94 Innovazione. Il successo della FinTech indiana che punta sul risparmio in oro... digitale.

Speciale Sostenibilità

Da vocazione di pochi virtuosi a principio strutturale: responsabilità e profitto possono maturare con reciproco vantaggio, ma servono strumenti adeguati e un quadro normativo ponderato.

A lato, Jonathan Normand, fondatore e Ceo di B Lab Svizzera.

Finanza 2.0

da p. 62

p. 106

L'industria finanziaria è ormai prossima a una fase di profondo cambiamento che ne cambierà i connotati nell'arco dei prossimi pochi anni. Tre i principali trend al centro della silenziosa evoluzione.

A lato, Patrick Lemmens, Portfolio Manager di Robeco.

Un ritorno storico p. 118

Un prestito monumentale dalla Cancelleria federale tedesca e un punto di vista inedito: Kirchner - artista e curatore di sé stesso - protagonista al Kunstmuseum di Berna. A lato, Nadine Franci, curatrice della mostra.

Finanza

96 Analisi regionale. L’ascolto reciproco è sempre la chiave del successo.

98 Analisi. Il ruolo rassicurante del limite in un contesto d'investimento.

Cultura&Lifestyle

112 Orologi. Un esordio che, oltre a misurare il tempo, lo interpreta.

114 Design. Un binomio di stile.

117 Musei. Sviluppare gli sguardi della fotografia contemporanea.

121 Il collezionista. Il valore della semplicità, nell’arte come nella vita.

122 Mostre. Prampolini e Burri, magistrali innovatori del linguaggio pittorico attraverso la materia.

124 Mostre. Le imperdibili in agenda.

126 Auto. Bmw serie 3, pietra miliare

128 Auto. Modelli che sorprendono.

Cover story

Intrecciano affari e affetti, radici e futuro: le aziende di famiglia. Produzione, ma anche eredità.

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La sezione dedicata all’innovazione, alla tecnologia e al Venture Capital.

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Eventi

La sezione web-only dedicata a pre e post eventi.

Economia

Tutti gli articoli dedicati all’analisi di temi economici dalle aziende alla consulenza.

Osservatorio

La rubrica di approfondimento finanziario si amplia.

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La sezione dedicata a tutti gli Speciali degli ultimi mesi.

La perfetta guida dell’internauta. Un vivace dialogo è iniziato, da un lato Ticino Management cartaceo dall’altro suo fratello minore digitale, l’obiettivo? Che siano sempre più connessi. Tra l’uscita di un’edizione e la successiva tutti gli articoli del cartaceo saranno pubblicati a cadenza regolare, insieme a contenuti studiati appositamente per essere nativamente digitali.

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... in un LAMPO

Una concatenazione di dieci news per decriptare l’attualità. C’è molto tech, ovviamente, e molta umanità. È imperativo rimanere aggiornati e ‘sul pezzo’, ma anche riuscire a cogliere i segnali deboli, quelli che rimangono sottotraccia in mezzo a ‘tanto rumore’. Non solo per proteggere aziende e marchi dai rischi di oggi ma anche per anticipare i trend di domani.

Germania, tutto bene?

Anche il Q3 2025 registra una crescita globale. Il Pil Usa è a +2,1% sul 2024, quello Ue a +0,5%, mentre il -1,1% tedesco preoccupa analisti e investitori. La Francia segnala turbolenze per il 2026. Inflazione sotto controllo e mercati azionari positivi per i Paesi del G7. Tassi d’interesse (bond a dieci anni) ancora elevati: 4% negli Usa, 2,6% nell’Ue. La guerra dei dazi registra progressi, con l’accordo tra Usa e Ue su una tariffa fissa del 15%. La Fed taglia ancora i tassi, in linea con la volontà del Presidente e del suo Governo, ovvero abbassare il costo del denaro.

Io sono mio

In un mondo sempre più digitale, l’identificazione di ogni individuo sarà cruciale, così come la proprietà della propria immagine e dell’identità digitale. La Danimarca vuole combattere i deepfake generati dall’Ia modificando la sua legge sul copyright. Ognuno avrà il diritto per i propri tratti somatici, corpo e voce. Se approvata, la nuova legge rappresenterà un interessante precedente e aprirà la strada alla definizione sia della proprietà digitale che delle responsabilità per il suo utilizzo da parte di altri individui o aziende.

39%, seriamente?

La Svizzera è stata particolarmente colpita dalle politiche tariffarie degli Usa: un dazio del 39% si applicherà a tutte le importazioni di prodotti svizzeri. Le autorità stanno discutendo su come contestare tale decisione, che danneggerà l’export di orologi di lusso e gioielli, e prodotti High-Tech realizzati nel Paese. Storicamente pacifica, la Svizzera si trova di fronte a una vera e propria ‘guerra’: deve trovare modi per combattere, o quasi.

Chi legge, paga Anthropic, la Start up responsabile del modello Claude, ha offerto di pagare 1,5 miliardi di dollari per risolvere una class action intentata da autori le cui opere sono state utilizzate per l’addestramento del suo Llm. La questione resta aperta, poiché finora il giudice ha rifiutato l’offerta. Riguarda il cuore del problema: come costruire un modello di business intorno alle applicazioni di Intelligenza artificiale. Quanto vale ‘leggere’ e assimilare la proprietà intellettuale di qualcuno per scopi di Intelligenza artificiale?

Ci siamo!

Il Regolamento Ue sull’Ia è operativo. Ad agosto, l’Artificial Intelligence Act dell’Ue è entrato in vigore in tutte le giurisdizioni dell’Ue, dopo essere stato approvato nell’agosto 2024. Se gestisci un’azienda, è il momento di consultare il tuo Dipartimento Legale, poiché ci sono obblighi di cui occuparsi quando l’Ia interagisce con i consumatori. L’Ue è la prima regione al mondo a tentare di guidare lo sviluppo e la diffusione dell’Ia, cercando di proteggere persone e mercati.

Open!

Epfl, Eth Zurigo e il Centro Svizzero di Supercalcolo Nazionale hanno rilasciato Apertus, il primo modello linguistico aperto e multilingue su larga scala della Svizzera, un grande risultato per la nazione nel campo dell’Ia. Include anche lingue finora poco rappresentate a livello globale, come lo svizzero tedesco, il romancio. Apertus (cioé, ‘aperto’), mostra in modo trasparente agli utenti come è costruito e come funziona. Parlando anche svizzero tedesco, il modello è pronto ad accogliere i fan con il suo ‘Grüezi!’.

IA, IA, IA, e che altro se no OpenAi ha lanciato il nuovo chatbot, Chat Gpt 5, e altri strumenti: il suo massimo livello di intelligenza, ora alla portata di tutti. Apple, le nuove versioni di iPhone e iWatch, ed è in trattative per sfruttare Gemini di Google per il futuro di Siri. Nuova versione anche di AirPods che, tra l’altro, traduce in tempo reale tante lingue e misura il battito cardiaco. Novità anche dagli altri provider di Ia e hardware/software (ad esempio Claude 4 da Anthropic). Molti temono una nuova bolla tecnologica, mentre le imprese contano sull’Ia per sopravvivere, prima che sia l’Ia a metterle fuori mercato.

Lunga vita al Re

Giorgio Armani è scomparso poco prima della celebrazione dei 50 anni della sua azienda. Il King appartiene al gotha della moda, con Christian Dior, Ralph Lauren, Coco Chanel. Il Signor Armani, come lo chiamavano i suoi, lascia un’eredità di 12 miliardi di euro e un’azienda in ottima salute, sua al 100%. È noto per aver proposto a tutti un guardaroba elegante, raffinato e potente, dimostrando anche al mondo del business che la pianificazione a lungo termine e l’innovazione continua ripagano, anche senza l’ausilio dell’Ia.

Food for thought

Il colosso Nestlé ha perso più di un terzo della propria capitalizzazione di mercato negli ultimi 5 anni. Ha un nuovo Ceo, il terzo in un anno. Tensioni nell’approvvigionamento globale e dazi stanno creando una spirale inflazionistica su molti beni essenziali. Secondo Sweat Economy, App di benessere, oggi 1,8 miliardi di persone nel mondo sarebbero inattive, di cui il 28% adulti. Un dato sconvolgente: l’81% degli adolescenti non si muove. Aumentano le malattie collegate a dieta, uso di social media e zero sport. Il boom tecnologico ha sicuramente una vittima: l’industria alimentare. Anzi, i nostri figli.

Il colore dei soldi Klarna, App leader mondiale del ‘Buy Now, Pay Later’ si è quotata alla Borsa di New York con una valutazione di 20 miliardi di dollari. Un enorme successo per una scale-up che è stata criticata nel tempo, ma anche grande trazione tra i giovani grazie al suo modello aggressivo e all’assenza di tassi d’interesse sui pagamenti. E cresce Revolut, banca digitale inglese: la quinta più grande in Italia e la prima ad offrire pagamenti di interessi giornalieri, ad esempio in Belgio. Il denaro cambia colore e volto: diventa digitale e quasi una commodity.

opinioni / l’esperto di tecnologia

Un ecosistema che si rigenera

Dalla ‘Legge di Moore’ all’ascesa delle nuove start up dell’energia, la Silicon Valley continua a rinnovarsi senza sosta. In un’area grande poco più del Canton Ticino, crea oggi un valore pari a otto volte il Pil italiano.

Startup che operano nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale

Applicazioni diverse, stessa attitudine: plasmare il futuro digitale

Nome Anno Campo

OpenAI

Anthropic

Cohere

Adep AI

2015 AI generativa (LLM, immagini, codice)

2021 AI sicura e interpretabile (Claude)

2019 NPL e enterprise multilingua

2022 Automazione software con AI

Inflection AI 2022 Assistenti conversazionali (Pi)

Scale AI 2016 Data labelling e infrastrutture AI

SambaNova Systems 2017 Hardware + modelli AI enterprise

Runway

2018 Generative Ai per video/immagini

Huggin Face 2016 Repository e community open-scouce AI

Databricks AI 2013 Piattaforma big data +AI/ML

Snorkel AI

Weights & Biases

2019 Weal supervision e data-centric AI

2018 Tools MLOps e gestione esperimenti

Deepcell 2017 AI + biotecnologia (analisi cellulare)

Vectara 2021 Ai per ricerca semantica (ex-Google AI)

Perplexity AI 2022 Motore di ricerca basato su LLM

Character AI 2021 Chatbot AI personalizzati

Replika 2017 Ai per companion conversazionale

Landing AI 2017 Ai per computer vision industriale

Fiddler AI 2018 Explaibable AI e monitoraggio modelli

OctoML 2019 Ottimizzazione deployment modelli AI

LatticeFlow

2020 Testing e robustezza AI

Pinecone 2019 Datase vettoriali per AI

Abacis.AI

2019 Ai enterprise personalizzata

Anyscale 2019 Infrastruttura Ray per AI scalabile

Questo articolo prosegue idealmente quello pubblicato in Ticino Management lo scorso aprile, intitolato ‘Le radici della Silicon Valley’. Allora avevo ripercorso la mia ventennale esperienza in quella Valle e facevo riferimento a due testi fondamentali: la Rich’s Guide del 1984, che usavo per selezionare le Start up da rappresentare in Italia, e un volume del 1995 che raccontava la storia della Silicon Valley paragonandola al Rinascimento europeo, in particolare a quello italiano.

Da allora non ho mai smesso di seguire la Valley, prima attraverso i miei viaggi di lavoro e oggi grazie a contatti e amici che continuano a inviarmi dati, immagini e sensazioni fresche da quel mondo in costante trasformazione.

Molti protagonisti che hanno segnato la mia vita professionale non ci sono più. Robert Noyce e Gordon Moore, fondatori di Fairchild Semiconductor e poi di Intel, che ho avuto l’onore di rappresentare in Italia per quasi vent’anni, hanno lasciato un’eredità immensa. In particola-

Ettore Accenti, esperto di tecnologia. Blog: http://bit.ly/1qZ9SeK.

A sinistra, le principali aziende emergenti in relazione all’intelligenza artificiale, dai modelli generativi agli algoritmi, dai modelli linguistici alle infrastrutture di calcolo e, per finire, a strumenti per rendere l’Ia più accessibile, potente e sicura.

re, Moore rimane celebre per la sua osservazione del 1965, passata alla storia come la ‘Legge di Moore’: la previsione che il numero di transistor nei microchip sarebbe raddoppiato a intervalli regolari. Una regola empirica che ha retto per decenni, portandoci dai pochi transistor degli anni ’60 agli oltre 100 miliardi di oggi.

Con Gordon Moore scambiai l’ultima e-mail di auguri a fine 2020 e la sua ultima apparizione pubblica fu in videoconferenza durante il cinquantenario di Intel a cui partecipai anch’io diffondendo in quell’occasione il mio libro My Intel Story. Si spense serenamente alle Hawaii, a 94 anni, nel marzo del 2023.

Con altre figure storiche, da Federico Faggin a Lucio Lanza, da Stan Mazor a Bill Davidow, fino alla comunità del Computer History Museum mantengo ancora oggi uno scambio di idee e di informazioni, come racconto nel mio libro Semiconduttori. Guardando al presente, la Silicon Valley continua a essere un unicum mondiale. La sua capacità di rigenerarsi continuamente mantiene intatta la competitività e ha prodotto numeri impressionanti: le prime 10 aziende tecnologiche quotate in Borsa valgono oggi complessivamen-

A destra, startup innovative nel settore energia: affrontano sfide infrastrutturali e ambientali, sviluppano nuove tecnologie per il solare, il nucleare modulare (Smr), lo stoccaggio energetico e la cattura della Co2. Il loro focus è sull’impatto ambientale, la decarbonizzazione e la resilienza delle reti.

te circa 16mila miliardi di dollari, ovvero otto volte il Pil italiano. E tutto questo in un territorio di appena 5mila chilometri quadrati, meno del doppio del Canton Ticino.

Colpisce un altro aspetto: gran parte di questa ricchezza proviene da aziende nate dopo la mia stagione più intensa di attività nella Valley. È la prova di una vivacità imprenditoriale inesauribile, difficilmente paragonabile con quella delle grandi corporation europee.

E se non fosse che Elon Musk ha trasferito i quartier generali di Tesla, SpaceX e X in Texas, i suoi ‘tera-dollari’ andrebbero sommati a quel già straordinario totale.

Ma forse il dato più significativo riguarda le Start up. Oggi la Valley pullula di iniziative innovative molto più di quanto non accadesse negli anni Settanta e Ottanta, quando io stesso andavo ‘a caccia’ di giovani imprese da portare in Italia. La densità di idee e progetti è almeno dieci volte superiore. Per questo ritengo che i giovani interessati a intraprendere dovrebbero non solo visitare la Silicon Valley per ispirarsi, ma anche creare legami concreti di collaborazione. È il modo migliore per crescere, imparare e trasformare un’idea in qualcosa di reale.

A puro titolo di esempio, ho condotto di recente un’indagine sulle iniziative nate nell’ambito dell’energia e dell’Ia, settori che stanno attirando sempre più attenzione e investimenti da parte delle nuove generazioni. E questi sono solo due dei tanti campi in cui la Valley continua a reinventarsi e a stupire.

In foto, incontro dell’autore con Gordon Moore, nell’agosto 1991, in occasione dell’inaugurazione del nuovo stabilimento Intel in Santa Clara dedicato a Robert Noyce, cofondatore nel 1968 dell’azienda, con Moore, e spentosi l’anno precedente.

Startup innovative nel settore dell’energia

Il loro focus è sull’impatto ambientale, la decarbonizzazione e la resilienza delle reti

Nome Anno Campo

Oklo 2013 Nucleare SMR

Enphase 2006

Micro-Inverter FV

Nextracker 2013 Tracker solari

Ubiquitous Energy 2011 FV trasparente

Sunrun 2007 Solar-as-a-Service

Aurora Solar 2013

Software solare

Mosaic 2010 Fintech solare

QuantumScape 2010 Batterie solid-state

Sila Nano 2011 Anodi Silicio

Natron 2012 Batterie sodio-ione

Cuberg 2015 Batterie-Li-metal

Noon Energy 2018

Storage lunga durata

Antora 2018 Batterie termiche

Rondo 2017 Calore industriale

Mainspring 2010 Linear generator

Verdigris 2011 AI energy buildings

People Power 2009 IoT domestico

Span 2018 Quadro elettrico smart

Prometheus Fuels 2019 E-Fuel da CO

Heirloom 2020 Direct Air Capture

Charm industrial 2018 Carbon removal bio-olio

ChargePoint 2007 Ricarica EV

Volta 2010 Ricarica EV + ads

Bloom Energy 2001 Celle a combustibile

Per gli interessati riporto in due tabelle le società che nella Silicon Valley si occupano di intelligenza artificiale (Ia) e dell’energia, molte delle quali appena nate e facilmente avvicinabili per chi volesse collaborare con loro. Si nota come queste due aree si muovano in direzioni strategiche complementari: le Start up Ia puntano su algoritmi, modelli linguistici, infrastrutture di calcolo e strumenti per rendere l’intelligenza artificiale più accessibile e potente, mentre le energetiche

affrontano sfide infrastrutturali e ambientali, sviluppando nuove tecnologie per il solare, il nucleare modulare (piccole centrali dette Smr), lo stoccaggio energetico e la cattura della CO2, persino esperimenti nell’ambito della fusione nucleare. In sintesi, le due traiettorie si rafforzano a vicenda: l’Ia abilita un’energia più intelligente ed efficiente, mentre nuove soluzioni energetiche garantiscono la sostenibilità dell’ecosistema tecnologico della Silicon Valley.

Whistleblowing: quali tutele?

Un progetto di legge intendeva chiarire le condizioni per cui i lavoratori possono denunciare comportamenti scorretti o illeciti osservati all’interno di un’azienda.

Il whistleblowing non è certo un concetto nuovo, ma è probabilmente poco conosciuto. Whistleblower è colui che osa “soffiare nel fischietto” (to blow the whistle), ovvero segnalare al proprio datore di lavoro dei comportamenti scorretti o degli atti illeciti veri e propri di cui è stato testimone.

In Svizzera nessun articolo di legge fa esplicito riferimento al fenomeno. La giurisprudenza del Tribunale federale ha tuttavia potuto colmare questo vuoto, definendone varie sfaccettature. Anzitutto, è stato stabilito che il dipendente che segnala non potrà in seguito venir licenziato per tale ragione, a meno di non rendere tale licenziamento abusivo, dando così diritto al dipendente di pretendere un’indennità sino a un massimo di 6 mesi di salario.

Già nel 2008 l’Alta Corte ebbe per esempio modo di giudicare abusivo un licenziamento di un dipendente che segnalò irregolarità riscontrate in alcuni ordini di pagamento eseguiti dal direttore di un istituto bancario ticinese. Quest’ultimo fu peraltro successivamente arrestato e condannato penalmente per malversazioni ai danni della banca e di alcuni clienti. Il licenziamento del “dipendente-whistleblower” fu ritenuto abusivo, non avendo il datore di lavoro protetto la sua personalità, come invece prescritto espressamente dalla legge. La segnalazione del dipendente (risultata legittima) e, oseremmo dire, anche nell’interesse del datore di lavoro medesimo, non poteva certo condurre al suo licenziamento. A maggior ragione se si considera che fu proprio il direttore sospettato a ritenere la segnalazione infondata e, dopo aver sabotato il risultato delle indagini interne in cui era stato coinvolto dalla banca,

a sentenziare il licenziamento. Il datore di lavoro ha dunque il preciso compito di verificare la fondatezza della segnalazione, garantendo sempre la protezione della personalità del lavoratore, il quale - se risultasse in buona fede e avesse avuto il legittimo sospetto di nutrire dubbi - non potrà poi venir licenziato, se non abusivamente.

Ma cosa fare nel caso in cui il datore di lavoro, pur non licenziando il dipendente, non interviene e non impedisce che comportamenti riprovevoli vengano nuovamente commessi? Si può rendere pubblica la notizia?

Anche a tal riguardo, si è venuta a consolidare una certa giurisprudenza del Tribunale federale, che il Consiglio federale ha proposto di codificare con una proposta di legge, il cui è iter iniziato nel 2008, e si spera non si sia definitivamente arenato.

I proposti nuovi articoli di legge prevedevano anzitutto il principio cardine secondo cui il lavoratore che segnala delle irregolarità non viola il suo obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro. Ciò, purché la segnalazione sia fondata su ragionevoli sospetti e sia stata indirizzata a chi di dovere. Veniva peraltro meglio definito il termine “irregolarità”, inglobando segnatamente “reati, altri atti illeciti e violazioni di statuti, direttive o istruzioni del datore di lavoro”. Di fatto, la giurisprudenza vista più sopra del direttore di banca ticinese, veniva confermata.

Si voleva inoltre meglio definire il destinatario della segnalazione, con un approccio a cascata. Anzitutto, la segnalazione va indirizzata a una persona interna al datore di lavoro, abilitata a trattarla (per esempio le Risorse umane, il supe-

Michele Barchi, avvocato, partner studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini SA, Lugano.

riore gerarchico, la direzione, il CdA), oppure a un organo esterno designato a tal fine. Solo in caso di inazione, il dipendente può rivolgersi successivamente, dapprima a un’eventuale autorità amministrativa competente (premesso che ve ne sia una) e, in un terzo tempo, all’opinione pubblica.

Vi erano due ulteriori particolarità, interessanti e tutt’altro che secondarie, ossia la possibilità per il lavoratore di effettuare una segnalazione anonima, così come di consultare una persona sottoposta all’obbligo legale di confidenzialità, segnatamente un legale, per verificare il proprio diritto di procedere con una segnalazione.

Tale progetto di legge non ha tuttavia ancora trovato il consenso necessario per venire approvato e non ci si può che augurare che, con eventuali modifiche del caso, lo sarà quanto prima. Si tratta in effetti quantomeno di garantire regole del gioco chiare, nell’interesse sia del datore di lavoro sia del lavoratore, i quali, che lo si voglia o meno, si trovano sulla stessa barca e dovrebbero remare nella stessa direzione. Non solo, ma si tratta anche di un passo necessario, alla luce delle conclusioni di un rapporto sul whistleblowing 2025 pubblicato il 30 settembre 2025 da Eqs Group e dalla Scuola universitaria professionale dei Grigioni, secondo cui oltre un terzo delle aziende svizzere hanno registrato comportamenti illegali e non etici all’interno della propria organizzazione o nella propria catena di fornitura.

Fare impresa è una grossa sfida

Per un’imprenditoria forte

Ponti di sviluppo

Il 2025 segna una svolta nella storia infrastrutturale europea, con una centralità che non si vedeva da decenni. A fare la parte del leone la Germania, ma anche la Difesa.

Fame di risorse

Domanda e offerta annua di investimenti in infrastrutture in Europa (usd mld)

Arthur Jurus, Head Investment Office Private Bank di Oddo Bhf Switzerland. A lato, il fabbisogno di investimenti in infrastrutture nell’Eurozona.

Il 2025 ha segnato per l’Europa l’avvio di un nuovo ciclo d’investimenti in infrastrutture. Dopo anni di sottofinanziamento, il fabbisogno stimato supera i 600 miliardi di dollari, con un divario di oltre 100 miliardi tra il fabbisogno e lo stanziato.

La svolta è arrivata dalla Germania, che ha modificato la sua Costituzione abolendo il Schuldenbremse, aprendo così la strada a spese straordinarie in due settori chiave: infrastrutture e difesa. Il piano prevede 500 miliardi di euro in dieci anni (l’11,6% del Pil), con la partecipazione diretta dei Länder, autorizzati a emettere prestiti fino allo 0,35% del Pil ogni anno. Nel 2025, gli investimenti europei in infrastrutture ammontano a circa 575 miliardi di dollari, mentre il fabbisogno supera i 710. I trasporti rimangono il settore più carente, seguiti dalle infrastrutture sociali ed energetiche. Le rinnovabili e le reti digitali, sebbene essenziali per la sovranità industriale e climatica, rimangono sottofinanziate.

L’Unione Europea e le istituzioni finanziarie hanno reagito con maggiore

determinazione. La Banca Europea per gli Investimenti ha aumentato il proprio massimale a 100 miliardi di euro, destinando una quota crescente alla sicurezza e alla resilienza energetica. Il bilancio Ue per il periodo 2028-2034 prevede 30 miliardi di euro per le reti energetiche e oltre 50 miliardi per la digitalizzazione.

Allo stesso tempo, la difesa è tornata al centro delle preoccupazioni. Il secondo mandato di Donald Trump ha riacceso il dibattito sul ‘riarmo’ europeo. In occasione del vertice Nato di giugno, è stato fissato l’obiettivo di portare la spesa dei membri al 5% del Pil entro il 2035: il 3,5% per la difesa in senso stretto e l’1,5% per le infrastrutture a duplice uso. Raggiungere questo obiettivo significherebbe quasi raddoppiare i livelli attuali (media del 2,2%), con una spesa complessiva di circa 4,2 trilioni di dollari in dieci anni, di cui un terzo destinato a infrastrutture.

L’impatto macroeconomico dipenderà dalla qualità della spesa. Secondo la Commissione, un aumento di 1,5 punti percentuali del Pil potrebbe generare una crescita compresa tra lo 0,3% e lo 0,6%,

ma solo se i fondi saranno allocati in modo mirato, a sostegno dell’innovazione. Questa nuova fase offre opportunità concrete agli investitori. Tra le aziende più interessanti, Ferrovial è coinvolta in progetti strategici come Rail Baltica e vari progetti di treni ad alta velocità, entrambi cofinanziati dall’Ue. Heidelberg Materials, il principale produttore di cemento in Germania, beneficia del forte aumento della domanda di calcestruzzo e materiali da costruzione nel Paese e oltre. La svizzera Abb fornisce tecnologie chiave per le reti intelligenti e la modernizzazione energetica. Webuild, già attiva nei lavori pubblici in Italia e nell’Europa centrale e orientale, è anche tra i principali beneficiari della ripresa delle infrastrutture, in particolare nel settore ferroviario.

Nel settore della difesa, Rheinmetall ha ottenuto ordini record per munizioni e veicoli blindati, sostenuti dal fondo speciale tedesco e dagli obiettivi della Nato. Ha inoltre rafforzato la sua catena di approvvigionamento grazie ad acquisizioni volte a ridurre la sua dipendenza dall’estero. Thales è presente nei settori dei radar, della sicurezza informatica e dei satelliti e partecipa a programmi congiunti per la difesa aerea europea.

Gli investimenti presentati costituiscono una svolta storica per l’Unione Europea, attuata di concerto tra i vari Paesi, Germania in primis. Questo nuovo piano apre nuove opportunità di investimento solide sull’azionario, sia nel settore delle infrastrutture che in quello della difesa.

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Accordarsi senza Cantoni

La decisione del Consiglio federale di non sottoporre l’Accordo quadro con l’Ue al referendum obbligatorio, che richiede anche la maggioranza dei Cantoni, si scontra con il sistema federale.

In contributi precedenti ho avuto modo di affrontare criticamente la tematica dell’Accordo quadro sottoscritto dal Consiglio federale con l’Ue, impropriamente denominato “Bilaterali III” al fine di fare credere che si tratti semplicemente di un aggiornamento dei Bilaterali esistenti, riportando tra l’altro l’opinione critica di un esperto in materia di diritto internazionale come il Prof. Carl Baudenbacher.

La tematica assume ora un’importanza, forse cruciale, con la decisione del Consiglio federale di sottoporre la stessa non al referendum obbligatorio, che richiede la maggioranza di Popolo e Cantoni, bensì al referendum facoltativo sottoposto al solo voto popolare e ciò sulla base di un’opinione di comodo rilasciatagli dai giuristi del Dipartimento di Giustizia e Polizia. Escludendo il voto cantonale, Cassis e colleghi sperano di aumentare le chance di approvazione. E questo tanto più in quanto il nostro governo intenderebbe presentare quattro accordi separati, il che richiederebbe la raccolta nello spazio di 90 giorni di almeno 200mila firme valide (50mila x 4) per poterli sottoporre tutti e quattro al voto popolare, ritenuto che con forte probabilità, visti i rapporti di forza esistenti in Parlamento, gli stessi dovrebbero venire approvati dalle due Camere. Ora un altro esperto in materia, il Professor Hanjörg Seiler, già Giudice al Tribunale Federale (Tf) e docente di diritto pubblico presso l’Università di Lucerna, ha redatto un parere a sostegno del referendum obbligatorio per i Bilaterali III. Un ruolo centrale a sostegno di questo assunto è costituito dall’art.121a della Costituzione federale, approvato da Popolo e Cantoni nel novembre 2014 e con l’Iniziativa contro l’immigrazione di

massa, con la quale viene disposto che la Confederazione può gestire in proprio il flusso migratorio e stabilire a tal fine limiti massimi e contingenti sulla linea del sistema, in vigore fino all’inizio del 2000. Si sa che la maggioranza delle Camere non ha voluto attuare questi principi che sarebbero comunque indeboliti se entrasse in vigore l’accordo con l’Ue in quanto il diritto di soggiorno in Svizzera per cittadini dell’Unione europea verrebbe ampliato. Dal momento che l’Accordo sulla libera circolazione secondo la giurisprudenza del Tf ha la prevalenza sul diritto nazionale, viene messa fuori gioco la citata norma costituzionale sintantoché l’accordo stesso non venga disdetto. Secondo Seiler non sarebbe però ammissibile sottoscrivere nuovi accordi volti ad ampliare i diritti dei cittadini Ue in Svizzera con la conseguenza di restringere la facoltà della Confederazione di gestire in proprio l’afflusso migratorio. Si pensi solo che secondo alcune stime con i nuovi bilaterali raggiunti dal Consiglio federale con l’Ue è prevedibile un maggiore afflusso di 50-70mila cittadini.

La contraddizione può essere risolta unicamente sottoponendo il nuovo accordo al voto di Popolo e Cantoni tramite referendum obbligatorio, trattandosi di una modifica di portata costituzionale che adatti, in caso di rifiuto, o elimini, in caso di approvazione del nuovo accordo, la citata norma costituzionale.

Secondo i fautori dei “Bilaterali III”, questi ultimi comporterebbero incidenze minori per il diritto interno che non gli accordi di Schengen-Dublino sottoscritti a suo tempo e ora in vigore. Inoltre gli stessi garantirebbero i diritti costituzionali e le competenze di Cantoni, Parlamento e Tribunale Federale.

Stelio Pesciallo, avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano.

Questa opinione è però insostenibile. Approvando i nuovi accordi la Svizzera si vedrebbe obbligata ad accettare tutti gli adeguamenti legislativi decisi a Bruxelles, svalutando la propria autonomia legislativa e i principi della democrazia diretta. Accogliendo i nuovi accordi il diritto dell’Ue viene ripreso automaticamente con l’avallo dell’organo collettivo previsto negli accordi e che è composto, è bene sottolinearlo, da rappresentanti Ue e svizzeri, questi ultimi nominati dell’esecutivo e quindi aperti a tutto quanto viene imposto dall’Ue. In questo contesto, secondo lo stesso Baudenbacher, nel caso in cui il Tribunale Arbitrale previsto dall’accordo dovesse sottoporre una divergenza di vedute, su iniziativa anche solo di una delle due parti, al parere della Corte suprema dell’Ue, quest’ultima sarebbe portata a emanare un parere vincolante in favore della legislazione europea, in quanto trattasi del potere giudiziario dell’Ue. Sempre secondo Baudenbacher - e contrariamente all’opinione del Consiglio federale - il Tribunale arbitrale non è autonomo, e quindi non è il solo a disporre del potere di sottoporre una materia alla Corte europea. Questo potere, come detto, può essere esercitato anche dall’Ue autonomamente e la Corte stessa può intervenire di sua iniziativa con un parere vincolante.

La limitazione imposta dai Bilaterali III all’autonomia legislativa di Popolo e Cantoni dovrebbe essere un motivo più che valido per pretendere che i nuovi accordi vengano approvati con il referendum obbligatorio dalla doppia maggioranza di Popolo e Cantoni.

La Svizzera è pronta?

La nuova legge sulle banche impone un capitale proprio giudicato troppo alto rispetto alla concorrenza. Ma quale impatto avrebbe in patria un’eventuale partenza di Ubs?

Da qualche tempo - e non solo in Svizzera - circolano voci che prevedono un possibile abbandono della Piazza finanziaria elvetica da parte di Ubs, rimasta in pratica l’unica grande banca con sede nel Paese. Il motivo sarebbe quello della nuova legge sulle banche che prevede, per le banche ‘sistemiche’ un’ampia copertura di tutti gli affari, in patria e all’estero, mediante il capitale proprio della banca centrale.

Le banche considerate sistemiche in Svizzera, oltre Ubs, sono la Banca cantonale di Zurigo, Raiffeisen e Postfinance. Dopo l’assorbimento di Credit Suisse, Ubs è tuttavia la sola grande banca svizzera con importanti filiali all’estero e un’attività globale a livello mondiale.

Le cronache più recenti (fine settembre) ci dicono che gli stessi dirigenti di Ubs, dopo aver lasciato correre questa notizia, tendono ora a smentire questa eventualità. Sta di fatto che il primo atteggiamento è stato interpretato come un mezzo di pressione sulle autorità politiche che stavano discutendo della nuova legge.

D’altro canto, il Consiglio federale, già per bocca della sua presidente, nonché responsabile delle finanze, ha sempre mantenuto una posizione rigida al riguardo.

Prova ne siano le dichiarazioni della consigliera federale citata e, il 26 settembre, il fatto che il Consiglio federale ha messo in consultazione il testo senza alcuna modifica e tanto meno allentamento.

Tocca ora alle parti interessate, dalla finanza alla politica, esprimere il proprio parere sulla proposta che poi farà oggetto di un messaggio alle Camere federali, a cui spetta l’elaborazione della legge definitiva. Dal canto suo, l’Associazione svizzera dei banchieri (Asb) ha subito manifestato

la propria opposizione, sostenendo che le misure previste “in materia di capitale proprio delle banche sistemiche ne pregiudicano la concorrenzialità”, soprattutto in campo internazionale.

Punto essenziale della riforma prevista è proprio l’obbligo di coprire integralmente con capitale proprio l’attività delle filiali estere. Si tratterebbe in sostanza di rafforzare il quadro legislativo detto “to big to fail” nato proprio dalle difficoltà conosciute anche da Ubs nella crisi dei “prime rate” americani, per la quale la Confederazione e la Banca Nazionale sono dovute intervenire con lo stanziamento di miliardi di crediti.

Ben più grave è stato il caso del Credit Suisse, le cui conseguenze avrebbero avuto riflessi a livello nazionale e internazionale senza l’intervento di Ubs, sollecitato dal Consiglio federale e dalla Banca Nazionale.

La nuova legge costringerebbe Ubs ad aumentare il capitale proprio tra i 20 e 25 miliardi di franchi, secondo alcune fonti, o di 19 miliardi, che si aggiungerebbero ai 18 miliardi già richiesti per l’acquisizione di Credit Suisse, secondo fonti della Banca stessa. In realtà, questa legge si applicherebbe praticamente solo a Ubs e si possono così capire le reticenze dei suoi dirigenti, preoccupati dalla perdita di concorrenzialità a livello mondiale e tenuto conto del fatto che il capitale proprio è il più caro che una banca possa permettersi sul mercato mondiale. Infatti, secondo il Ceo Ermotti, le coperture sarebbero del 50% più alte rispetto alla media richiesta alle altre banche di rilevanza sistemica a livello globale. Questo spiega perché siano corse voci di un eventuale trasferimento della sede principale di Ubs all’estero, più precisamente negli Stati Uniti.

Ignazio Bonoli, economista.

Se ne è parlato anche in America, dove il New York Post, considerato vicino al presidente Trump, citando fonti attendibili, ha affermato di essere a conoscenza di colloqui fra la grande banca svizzera e funzionari del Governo americano.

Non è difficile immaginare come proprio l’amministrazione Trump vedrebbe volentieri un simile trasferimento nell’ambito della politica che cerca di attirare imprese negli Stati Uniti, offrendo anche maggiori libertà d’impresa rispetto ad altri Paesi.

È stato perfino detto che Ubs potrebbe acquistare una banca americana di media grandezza e trasferirvi la sede del Gruppo, oppure essere acquisita da una grande banca americana.

Logicamente la notizia, che ha fatto il giro del globo, ha preoccupato non poco il mondo politico e finanziario svizzero. La partenza di Ubs potrebbe significare la fine di una Piazza finanziaria di livello mondiale, nonché la perdita di molti posti di lavoro e decisamente qualificati, la perdita di importanti entrate fiscali e quella di un prestigioso partner della finanza mondiale.

Potrà succedere? I dirigenti di Ubs non lo dicono, ma aspettano l’esito di tutta la procedura. Vi sono però molte ragioni perché non succeda.

Ubs in America non avrebbe più l’attrattiva mondiale di cui gode (ancora) come banca svizzera, e dovrebbe comunque rivedere completamente la sua strategia, pur mantenendo la sua vasta diversificazione internazionale. Cosa questa di cui potrebbe soffrire con una banca domiciliata negli Stati Uniti.

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Mutui: disdire in anticipo

Le banche consentono di recedere in anticipo da mutui ipotecari a tasso fisso, chiedendo però in contropartita un’indennità per compensare costi e rischi.

Se la possibilità di pianificare al meglio i costi fa dell’ipoteca a tasso fisso la soluzione di finanziamento di gran lunga più apprezzata in Svizzera dai proprietari di abitazione, vincolarsi a lungo termine può però esporre al rischio di doversi confrontare con una disdetta anticipata. Ad esempio, cambiamenti imprevisti come un trasferimento professionale, un divorzio, difficoltà finanziarie, gravi problemi di salute o altre fatalità della vita possono indurre a rivedere i propri piani. In assenza di un accordo contrattuale specifico, il regime legale prevederebbe che il cliente debba pagare la totalità degli interessi stipulati sino al termine naturale del contratto, senza possibilità di riduzione. Nella prassi, invece, tenendo conto delle circostanze che possono condurre a volere (o dovere) rescindere il prestito prima del termine rispettivamente a vendere l’immobile, le banche consentono al mutuatario di estinguere il mutuo in anticipo. Tuttavia, tale possibilità viene concessa solo in cambio del pagamento di una penalità volta a compensare i rischi e costi a carico della banca causati dall’estinzione anticipata e non programmata del mutuo. Tale indennizzo si compone di un importo di base, calcolato generalmente come la differenza tra il tasso di interesse previsto dal contratto al momento della chiusura anticipata e il tasso che la banca ritiene di poter ottenere reinvestendo la stessa somma sui mercati monetari e di capitali per il tempo che restava alla scadenza del mutuo. La differenza viene poi moltiplicata per l’importo del credito ancora dovuto per la durata residua del mutuo. In questo modo, invece di pretendere tutti gli interessi che il cliente avrebbe dovuto pagare fino alla fine del contratto, la

banca richiede solo il mancato guadagno o l’eventuale perdita, cioè la differenza tra quanto avrebbe incassato se il contratto fosse stato rispettato sino al termine previsto e quanto può ottenere reinvestendo il capitale - pur non rimanendo, in realtà, obbligata a farlo.

Malgrado i parametri e le modalità di calcolo dell’indennità per rimborso anticipato siano indicati nella documentazione contrattuale, i clienti devono spesso insistere per ottenere tali dettagli che le banche sono restie a condividere, in particolare il tasso di reinvestimento applicato nel loro caso concreto.

Anche se la banca riesce a reinvestire le somme restituite dal cliente ottenendo un tasso di interesse superiore a quello previsto dal contratto di mutuo, il cliente di principio non ha diritto a beneficiarne. Le banche tendono ad escludere tale possibilità nella documentazione contrattuale. In caso di rimborso anticipato del mutuo, la clausola di indennizzo prevede generalmente un importo minimo a favore della banca da corrispondere indipendentemente dal fatto che il tasso di reinvestimento sia superiore o inferiore al tasso del mutuo originario. Generalmente, l’indennizzo minimo è espresso con una percentuale applicabile all’importo rimborsato (e.g., 2%) oppure con un importo fisso (e.g., Chf 1.500.-).

L’indennità per rimborso anticipato di un’ipoteca a termine fisso viene qualificata dal Tribunale Federale quale “pena convenzionale esclusiva”. Si tratta di una convenzione accessoria al contratto principale tramite la quale il debitore si impegna a pagare una somma prestabilita al creditore, nel caso in cui non adempia o adempia solo parzialmente all’obbligazione principale prevista dal contratto. Que-

Andrea Ziswiler, avvocato, LL.M., partner dello Studio Bär & Karrer (Lugano), autore di questo contributo insieme all’Avv. Rocco Rigozzi, LL.M., notaio, partner dello Studio Bär & Karrer (Zurigo e Lugano).

sta somma ha natura accessoria: esiste solo in relazione all’obbligazione principale, ossia pagare gli interessi fino al termine del contratto. Se il debitore esercita la resiliazione anticipata, il creditore può unicamente pretendere la pena convenzionale. Lo scopo è dissuadere il debitore dal violare i suoi obblighi contrattuali. Per tale ragione, malgrado l’indennità per rimborso anticipato prevista dalle banche sia più vantaggiosa del regime legale applicabile in caso di assenza di accordo contrattuale, essa è implementata con l’obiettivo di garantire un effetto dissuasivo al fine di preservare la componente remunerativa della banca per i rischi e costi che si è presa con la conclusione del contratto di prestito ipotecario.

L’ammontare della pena convenzionale viene generalmente deciso liberamente dalle parti che stipulano l’accordo. Se tale somma risulta sproporzionata o eccessiva rispetto alla situazione concreta, il giudice ha il potere di ridurla, valutando tutte le circostanze rilevanti: ciò include sia gli accordi presi tra le parti che le specifiche condizioni personali ed economiche dei soggetti coinvolti. I giudici - compreso il Tribunale Federale - sono però molto prudenti nel servirsene. I contratti bancari prevedono infatti già per i clienti il diritto di recesso, il che garantisce loro una posizione di principio più favorevole rispetto a quella prevista dalla legge in assenza di simili clausole contrattuali.

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E fu cessato allarme

Nonostante i segnali ci siano tutti, l’allerta sta rientrando, è comunque bene restare prudenti e conservativi, mancano infatti margini per nuovi sostanziali e ulteriori rialzi.

Corre il metallo giallo

Andamento del prezzo dell’oro nominale e reale dal 1970 (usd oz)

Prezzo oro (usd oz) Prezzo oro (usd oz) deflazionato dal Us Cpi

Può sembrare strano, ma nonostante le molte incertezze e fragilità strutturali che l’economia globale deve ancora affrontare lo scenario Goldilocks è uscito ulteriormente rafforzato dal recente taglio dei tassi americani. Nelle ultime settimane i mercati azionari hanno continuato a registrare nuovi record, favoriti dall’attività economica resiliente, dalla solida crescita degli utili, dalla diminuzione dei prezzi dell’energia, dall’inflazione globale in calo, e,naturalmente, dalle aspettative di una politica accomodante da parte della Fed, che si sono avverate.

In questo contesto fortemente favorevole i premi al rischio e la volatilità si sono ulteriormente ridotti, avvicinandosi al limite inferiore degli intervalli storici.

Nel frattempo, i tassi globali di lungo termine si sono in parte stabilizzati, anche se restano preoccupazioni sulla sostenibilità delle attuali manovre fiscali e sul debito. In questo scenario, il credito continua a sovraperformare la duration, con gli spread a livelli storicamente bassi che lasciano poco margine d’errore. Il

dollaro americano resta debole, penalizzato dal rallentamento del mercato del lavoro, dal calo dei tassi della Fed e dalle politiche trumpiane, mentre l’oro ha toccato nuovi record. Questa corsa è da considerare come un campanello d’allarme, o la ‘normale’ risposta ai forti rischi geopolitici e alle minacce economiche latenti? In entrambi i casi, illustra chiaramente la contraddizione tra economia reale e mondo della finanza.

Dopo che la Fed ha tagliato il tasso target di 25 bp portandolo al 4,25-4,00% nell’ultima riunione, sono aumentate le probabilità di uno scenario base che prevede crescita costante ma positiva, inflazione persistente ma gestibile e graduale normalizzazione della politica monetaria in un mondo sempre più frammentato. Definita dal presidente della Fed come un “taglio alla gestione del rischio”, questa mossa ha ridotto i rischi di coda di breve termine, soprattutto quelli legati a un brusco o imminente rallentamento negli Stati Uniti, rafforzando la tesi di uno scenario di ‘cessato allarme’ con soft landing, che ha spinto le valutazioni.

Quirighetti, Cio ed Head of Multi Asset di Decalia Group.

Allo stesso tempo, il sentiment degli investitori non è particolarmente euforico, l’ampiezza del mercato sta aumentando e la crescita degli utili continua sorprendere al rialzo, il tutto in una fase di moderazione dei tassi e dell’inflazione. Va riconosciuto che l’attuale eccesso di fiducia in uno scenario Goldilocks apparentemente infinito, associato a valutazioni elevate (persino segnali di euforia per i titoli meme e alcune Ipo) limita il potenziale di rialzo nel breve termine. Considerando lo scarso margine rimasto per assorbire gli utili deludenti, le sorprese negative sull’inflazione, gli inaspettati shock dei tassi e la svalutazione valutaria, i rischi stanno costruendo il prossimo “muro di preoccupazioni” che i mercati dovranno scalare.

Nello scenario attuale, è opportuno mantenere un atteggiamento di cauta attesa fino a quando lo scenario di soft-landing non sarà superato. Sembra dunque prudente mantenere una posizione sostanzialmente neutrale su azioni e obbligazioni. Il posizionamento bilanciato e l’allocazione diversificata riflettono del resto un approccio prudente verso l’ampio ventaglio di risultati possibili. Questo dovrebbe consentire ai portafogli di generare rendimenti modesti ma positivi nella maggior parte delle asset class nel breve termine, attenuando gli inevitabili scossoni delle rotazioni settoriali mantenendo la flessibilità necessaria ad adeguarsi alle mutate condizioni. La diversificazione dovrebbe restare un pilastro della strategia, nell’azionario, obbligazionario, e tramite l’esposizione all’oro.

Fabrizio
Fonte: Bloomberg, Decalia
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Ma chi succede?

Le aziende di famiglia sono un motore di sviluppo e benessere straordinario in tutti i Paesi occidentali. Accanto a qualità e caratteristiche invidiabili, presentano però spesso delle vulnerabilità altrettanto sostanziali, che soprattutto nei passaggi generazionali affiorano in superficie. Trovare un erede all’altezza della sfida è spesso la croce del fondatore, il che si traduce in un tasso di mortalità molto elevato. Cosa possono fare società e Stato per aiutare?

Trasmettere è molto diverso da ricevere; a farlo sono persone diverse, che logicamente possono avere sensibilità e attenzioni differenti, pur muovendo da un retroterra culturale analogo, laddove non addirittura quello del secondo sia stato almeno in parte plasmato dal primo, e che dunque tra i due vi sia una relazione di parentela. Le divergenze di vedute sono legittime, nelle materie più serie e in quelle meno. Se però tutte le aziende per definizione nascono in famiglia, ecco che allora più spesso di quanto non si sarebbe portati a credere la trasmissione può assumere una rilevanza inaspettata. Storicamente tutte le aziende sono sempre nate nell’alveo familiare, dall’iniziativa di un fondatore, che nella maggior parte dei casi ne è oltre che artefice anche inconsapevole carnefice, per sfortuna o

inadempienza. Del resto, e i numeri lo dimostrano tuttora, trasmettere non è facile, presuppone la volontà, richiede la competenza, e molti strumenti.

Per la maggior parte della storia dell’uomo, in assenza di uno stato di diritto, le imprese non avevano una ragione sociale, non erano entità giuridiche, e dunque non potevano nemmeno sopravvivere nel tempo. Al netto di una breve e magica parentesi storica, quella che oggi è considerata un’ovvietà pochi decenni fa era ancora un’eccezione: la persona giuridica. L’essere di un qualcosa che pur non essendo una persona, abbia la capacità di essere titolare di diritti e doveri, autonomamente rispetto ai suoi membri.

Il presupposto alla base di questo ‘salto di specie’ è la volontà stessa della collettività di creare ‘testimoni’ che possano essere trasmessi a terzi, o alle generazioni

successive, che sopravvivano ai fondatori, i quali dunque hanno il dovere di manifestare le loro intenzioni in modalità regolate e riconosciute.

È il tipico pragmatismo romano che porta nel III secolo a.C. alla nascita de facto delle prime forme di persona giuridica, società con scopi precisi e solitamente di pubblica utilità, come raccogliere imposte in province lontane, armare flotte in circostanze estreme emettendo prestiti obbligazionari, o avviare commerci in mercati lontani. Il minimo comun denominatore di tali attività era sempre il rischio: la volontà di limitarlo e ripartirlo su più persone, regolando l’entrata e l’uscita dal capitale dell’impresa, che in quanto tale, unicum nella storia, poteva sopravvivere anche alla dipartita dei fondatori.

Gli ingredienti fondamentali alla base della svolta sono peculiarità tutte romane:

© William Krause / Unsplash

stato di diritto, ampio dominio geografico, rischio e spirito imprenditoriale, esistenza di ‘non persone’. Almeno inizialmente il veicolo principe che consentiva la costituzione della ‘società’ era stato infatti un escamotage, l’attribuzione del capitale di rischio alla figura ambigua dello schiavo, secondo la legge romana a tutti gli effetti un oggetto, dunque all’occorrenza anche alienabile, da parte della sua ‘famiglia’, ossia i proprietari/azionisti, che restavano esclusivi beneficiari degli eventuali utili. Perché tutto risultasse però gestibile e controllabile era indispensabile la certezza del diritto, e alcune buone prassi, come l’abitudine a lasciare chiare volontà testamentarie, facilmente accertabili. Le più importanti sacerdotesse romane, le vestali, avevano infatti due fondamentali compiti: mantenere sempre vivo il sacro fuoco della dea Vesta, il cui spegnimento avrebbe causato il crollo di Roma, e la custodia di trattati internazionali e testamenti privati. Era infatti consuetudine per patrizi e plebei, prima di lasciare la città per lunghi viaggi, disporre delle proprie volontà, in presenza di testimoni, designare un esecutore e un erede, qualunque cittadino romano maggiorenne (e a prescindere dal sesso) era elegibile, e sigillatolo affidare il tutto alle vestali.

Inutile dire che con il crollo dell’Impero per diversi secoli tali problematiche non furono più poste, e molto andò perso, nulla di diverso rispetto ad altri ambiti. Il miracolo economico. Se a tutt’oggi il Vecchio Continente si conferma essere la più benestante regione del mondo, con molti dei Paesi più felici e prosperi, nonostante il calo del tenore di vita sperimentato negli ultimi decenni, le radici di tale benessere affondano nella più grande tragedia della storia del Novecento, e nella voglia di rivalsa che animò i complicati anni del Dopoguerra.

«Dalle ceneri fumanti lasciate dal secondo conflitto mondiale in Europa, negli anni immediatamente seguenti fiorì un tessuto produttivo straordinariamente sviluppato, capace di fronteggiare e vincere molte delle diverse sfide dei decenni successivi. Una delle forze propulsive della sua anima, il sistema imprenditoriale del continente, vede al suo centro il forte radicamento delle imprese familiari, molto grandi e molto piccole, che in tanti casi ne hanno mantenuto la proprietà e la gestione all’interno delle stesse famiglie per più generazioni», esordisce così

«Dovrebbe passare l’idea che il passaggio generazionale non sia un problema della sola famiglia, ma una questione economica rilevante a livello europeo, cui tutti dovrebbero contribuire in egual misura. Dunque famiglia sì, ma anche Stato e collettività»

Alberto Marenghi, Presidente di Les Hénokiens

La conquista del Mediterraneo

La rilevanza delle aziende di famiglia

Alfonso Rivolta, Group Head Wealth Solutions di Pkb Private Bank.

Negli Stati Uniti a trainare la crescita è la New Economy, non solo i giganti del digitale, ma sicuramente non più il manifatturiero, con buona pace di Trump&soci; nel Vecchio Continente la realtà è invece molto diversa. «Ad avere plasmato

Dalla notte dei tempi le aziende sono sempre nate in famiglia, ed hanno sempre avuto un peso decisivo negli equilibri economici di ogni Paese. L’idea di ‘impresa’, dunque di persona giuridica, è però tipicamente romana, salvo poi essere stata persa nel corso dei secoli.

«L’attributo ‘familiare’ è spesso sinonimo di affidabilità, continuità, e attenzione al cliente. La famiglia garantisce infatti una visione di lungo periodo, una forte identità e la capacità di adattamento al mercato, elementi che rendono l’azienda stabile e resiliente»

Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management

La rilevanza delle imprese di famiglia

Incidenza dei family business sul manifatturiero europeo (% tot.)

Paese Tot. imprese Piccole Medie Grandi

Imprese familiari sul tot. manifatturiero (in %)

Italia

Germania

Francia

Regno Unito

Spagna

Imprese familiari con Ceo della famiglia

Unito

Fonte: Bruegel 2019

Le più grandi aziende di famiglia al mondo

La Top8 mondiale e le 4 svizzere (dati a confronto)

Azienda Giurisdizione Ricavi (mld us) Fondaz. Settore Status Collab. Famiglia Control. famigl.

1. Walmart Usa 648,13 1962 Retail Pubblica 2,149.000 Walton ≥32

2. Volkswagen Gr. De 356,71 1937 Mobilità Pubblica 684.000 Porsche/Piëch ≥50

3. Schwarz Group De 179,09 1930 Retail Privata 575.000 Schwarz ≥75

4. Cargill Usa 177,00 1865 Consumi Privata 160.000 Cargill ≥75

5. Ford Motor Co. Usa 176,19 1903 Mobilità Pubblica 177.000 Ford ≥32

6. Bmw De 168,12 1916 Mobilità Pubblica 155.000 Quandt ≥32

7. Tata Sons In 165,00 1917 Manuf. Privata 1,028.000 Tata ≥75

8. Koch Industries Usa 125,00 1940 Energia Privata 120.000 Koch ≥75

14. Msc Group Ch 92,60 1970 Mobilità Privata 213.000 Apante ≥75

20. Roche Holding Ch 67,23 1896 Salute Pubblica 104.000 Hoffman/Oeri ≥50

62. Kühne + Nagel Ch 26,53 1890 Mobilità Pubblica 75.000 Kuehne ≥50

81. Richemont Ch 22,36 1948 Retail Pubblica 37.000 Rupert ≥50

Fonte: University of San Gallo, E&Y 2025

Sono aziende di famiglia, di nome e anche di fatto, centinaia dei Gruppi o delle imprese più importanti al mondo. Si tratta solitamente di aziende con una certa storicità alle spalle, e appartenenti ai settori più tradizionali, di cui in particolare l’Europa è ricca. Il manifatturiero europeo, la spina dorsale dell’economia continentale, è uno di quelli più ricchi di questa storia.

l’Europa moderna è stato il boom economico del Dopoguerra, che creando un tessuto industriale vitale ha gettato le fondamenta di un benessere duraturo. Se le Pmi sono la quintessenza di tale tessuto, nella maggior parte dei casi sono anche familiari, e in quanto tali si trovano davanti a una sfida esistenziale: il passaggio generazionale. Una Pmi su tre scompare per mancanza di un acquirente, con equilibri settoriali tra loro molto diversi. Par-

ticolarmente esposto è il manifatturiero tradizionale, ad alta specializzazione, e il tessile, specie nei Paesi con minore ricambio generazionale e sistemi di Governance meno strutturati», rileva Alberto Marenghi, Ceo di Cartiera Mantovana (azienda di famiglia da oltre quattro secoli e di XVII generazione) e Presidente di Les Hénokiens, associazione che raggruppa 57 imprese mondiali da almeno 200 anni di proprietà della stessa famiglia. Non si tratta però di eventi particolarmente isolati o inusuali. A prescindere dai Paesi, dai settori e dalle fasi storiche. «Si stima che in Italia ogni anno si verifichino circa 30mila passaggi generazionali, e in Germania oltre 40mila, a titolo di esempio. È un fenomeno che non dipende dalla demografia delle persone, ma da quella delle imprese, e nel corso del tempo è un’operazione destinata a complicarsi. Il passaggio tra prima e seconda generazione è solitamente il più agevole, quello tra le successive si complica esponenzialmente, il che spesso coincide con l’aumento del numero di familiari coinvolti. L’attuale è dunque una sfida di eccezionale portata sia per la quantità dei passaggi che dovranno avvenire, ma anche per la qualità degli stessi, e la loro incidenza sull’asset di maggior pregio europeo, l’industria, dove si concentrano l’ampia maggioranza di imprese di medie dimensioni, che a tutt’oggi ne costituiscono la spina dorsale», chiarisce Carmine Garzia, Professore ordinario in Strategia e Imprenditorialità, in Supsi (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana).

Molto spesso la demografia non è tutto, e soprattutto in ambito familiare i fattori che scendono in campo in queste sfide possono essere tanti, e dai risultati inaspettati. «Passare il testimone all’interno di una famiglia è un processo in primo luogo emotivo, poi strategico, e quasi certamente anche conflittuale. Su tutte a imporsi è una domanda: conta (e dovrebbe contare) di più il sangue o la competenza?

Ogni famiglia è un caso a parte, ma la sua sola presenza rende un’operazione che altrimenti sarebbe un arido atto legale esponenzialmente più complessa, incredibilmente più affascinante. I legami emotivi influenzano quelle che dovrebbero essere decisioni razionali, sorgono conflitti non solo di ruolo quando i figli (o solo alcuni) diventano capi o proprietari, la pressione delle aspettative familiari può diventare paralizzante, e la mancanza di esperienza

pratica nel mondo degli affari porta a decisioni spesso inutilmente rischiose. Tutto può ed è cambiato», sintetizza Hans Jürg Domenig, Presidente di Chdu (Schweizer Dachverband für Unternehmensnachfolge), associazione ombrello svizzera per la successione aziendale; Ceo e fondatore di Firmen Nachfolge & Verkauf. Passano le generazioni. Nonostante si possa pensare si tratti di problemi circoscritti ad alcuni settori, e dunque affari per l’appunto di famiglia, i dati e l’evidenza dimostrano ben altro, in Paesi vicini e lontani. «Oltre il 70% delle aziende italiane è a conduzione familiare, e contribuiscono quindi in maniera decisiva al Pil della vicina Repubblica, offrendo occupazione e stabilità sociale. La loro longevità non è però ovvia, anzi, il passaggio generazionale è la regina di tutte le sfide. Stando alle statistiche, non solo italiane, unicamente il 30% delle aziende sopravvive al passaggio dalla prima alla seconda generazione, e meno del 15% arriva alla terza. Le ragioni di tale fragilità sono molteplici, e coinvolgono una sfera emotiva, ma anche tecnica», sintetizza Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management.

L’Italia non è un’eccezione, e se anche si guarda entro i confini la situazione non è molto diversa. «In Svizzera le Pmi rappresentano il 99% del tessuto economico, e l’uscita dal mondo del lavoro della generazione dei baby boomer rappresenta una sfida nella sfida, costituendo una quota molto significativa degli attuali imprenditori, ma anche dei manager, specie nei settori più tradizionali. Il tema non è quindi ‘semplicemente’ di garantire continuità alle imprese a livello di proprietà, ma anche di know-how, ad esempio nella manifattura e nell’artigianato, dove la ripresa dell’attività da parte delle generazioni successive non è così frequente», evidenzia Fabio Regazzi, Presidente del CdA di Regazzi Holding, Consigliere agli Stati e Presidente dell’Unione Svizzera delle Arti e dei Mestieri (Usam). Sempre limitandosi ai dati, e rimanendo in Svizzera, la portata del fenomeno potrebbe rivelarsi decisiva. «Il pensionamento di massa dei baby boomer sta creando un pericoloso ‘vuoto di successione’, ed è allarmante che già ora circa un terzo delle aziende svizzere stia riscontrando gravi difficoltà nel trovare un successore valido. Laddove la situazione persistesse andrebbero persi modelli di business, competenze e conoscenze di valore inesti-

«Ridurre il passaggio generazionale a una mera ‘pratica notarile’ significa ignorarne la complessità. È un processo complesso che implica spesso una profonda trasformazione delle strutture organizzative, dei meccanismi d’incentivazione e della gestione del rischio aziendale»

Alfonso Rivolta, Group Head Wealth Solutions di Pkb Private Bank

La Top500 delle aziende di famiglia

Distribuzione geografica per head quarter (n. di imprese per Paese)

■ Nessuno

1-10

11-20

21-50

51-100

101-116

La Top500 mondiale delle aziende di famiglia

Divise dall’anno di fondazione e per la dimensione dell’azienda (ricavi mld usd)

mabile, e in diversi casi aziende in salute, in settori di punta della nostra economia, com’è il caso dell’industria di precisione, della produzione specializzata e dell’ospitalità», enfatizza Domenig. Dunque Svizzera, Italia, che non sono l’eccezione, l’elenco dei Paesi è infatti particolarmente lungo. «È un fenomeno che interessa l’intero Occidente, e che affonda le sue radici in una natalità particolarmente elevata che aveva interessato

Le imprese di famiglia non sono solo piccole imprese con qualche decina di collaboratori, ma anche grandi Gruppi, ricchi di storia e con miliardi di ricavi a bilancio, tra le più importanti aziende a livello mondiale. Se l’Europa è molto generosa in questo senso, anche gli Stati Uniti fanno la parte del leone all’interno di questo particolarissimo ranking, che vede anche membri di una certa età.

Fonte: University of San Gallo e E&Y 2025
Fonte: classifica di E&Y 2024

gli anni Sessanta e Settanta, e che dunque si riflette anche in un’alta concentrazione a livello di imprese e personale, e in settori della Old economy che hanno spesso perso in attrattività rispetto alle generazioni più giovani. Ogni successione è un rischio, qualcosa può andare male, e a risentirne in aggregato sarebbero le principali società avanzate, non solo le aziende. Ovviamente ad avere il suo peso è anche la fase storica che stiamo vivendo, particolarmente turbolenta», commenta Flavio Audemars, Ceo di Audemars Holding e già Presidente di Aif (Associazione imprese di famiglia) Ticino.

«Buona parte della cultura imprenditoriale sta andando persa in Occidente. Trincerandosi dietro al concetto di ‘worklife balance’ in molti scelgono posti di lavoro sicuri e privi di sorprese. Il contrario di quanto fa un imprenditore, portato a rischiare, gestire le incertezze, assumendosi responsabilità»

Flavio Audemars,

Ceo di Audemars Holding e già

Presidente di Aif Ticino

I nodi da sciogliere quando si arriva al punto sono del resto molti, e in primis è proprio il tempo a remare contro. «Ridurre il passaggio generazionale a una mera ‘pratica notarile’ significa ignorarne la complessità e sminuirne i rischi. È un processo complesso che implica una profonda trasformazione delle strutture organizzative, dei meccanismi d’incentivazione e della gestione del rischio aziendale, ma a patto di arrivare preparati può anche essere una grande opportunità di rilancio dell’intera organizzazione. È dunque fondamentale pianificare in modo strutturato la successione, l’improvvisa-

Successi di successioni

Accanto a casi celebri di successioni disastrose, con gli Agnelli a fare scuola, al tempo stesso ci sono esempi virtuosi che hanno invece dato molto meno nell’occhio, proprio per la loro efficacia. È stato il caso Berlusconi, ed è oggi di Giorgio Armani (a sinistra). «Lo stilista non si è limitato a distribuire quote tra gli eredi, ma ha ideato un’articolata architettura giuridica e societaria, mirata a produrre effetti prevedibili e stabili. Una parte significativa della proprietà è stata ceduta a una fondazione, incaricata di definire la strategia di medio e lungo periodo della società, preservandone i valori e l’identità. La dismissione delle quote è stata pianificata in più tranche, con tempistiche precise e trasparenti per tutti gli stakeholder (azionisti, manager e investitori), mentre la revisione delle categorie azionarie ha permesso di separare nettamente controllo societario, benefici economici e incentivi di breve termine. Tale assetto non fa che allineare gli interessi di tutti gli attori coinvolti, e aumentare l’attrattiva dell’azienda nei confronti di potenziali investitori esterni, che Armani stesso ha già

zione rischia di compromettere continuità operativa e valore. Mettere invece in campo gli strumenti più efficaci consente di salvaguardare non solo il patrimonio economico della famiglia e dell’azienda, ma anche la sua reputazione. Prim’ancora che il chi succeda, ci si dovrebbe sempre chiedere come lo faccia», riflette Rivolta. Pesi e contrappesi. Se dunque l’età di famiglie e imprese nelle economie avanzate non è un dettaglio, i problemi travalicano molto spesso la semplice componente demografica, non così difficilmente aggirabile. «Un’azienda familiare su due è guidata da un imprenditore di età superiore ai 60 anni, e in oltre la metà di questi casi il fondatore ha già superato i 70. Per garantire la sopravvivenza dell’impresa gioca dunque un certo ruolo la consapevolezza che il passaggio debba essere organizzato, ma in presenza di meccanismi di Governance efficienti ed efficaci, per non vanificarlo. Gli incontri regolari dell’intera famiglia sono la prassi più diffusa al mondo per promuovere la coesione tra familiari, seguiti da assemblee e ‘ritiri’ di famiglia. Strumenti più formali come Consigli o costituzioni di famiglia sono invece più rari», rileva Severino Pugliesi, Ceo di Lagom Family Advisors, parte del Gruppo Ceresio Investors.

suggerito. Insomma, un vero e proprio modello di architettura della successione», chiarisce Alfonso Rivolta.

Se nel caso del celebre stilista si tratta di un inizio di successione di prima generazione, con dunque ottime premesse per rivelarsi di successo, non mancano casi di comprovato successo a bocce già ferme, e a testimone ormai già passato. «L’azienda dolciaria Ferrero è un caso di trasmissione magistrale di un’impresa in cui è davvero coinvolta un’intera famiglia, che si concentra sul business, puntando stabilmente nel tempo su innovazione e qualità del prodotto, e mantiene un profilo molto basso verso l’esterno. Michele Ferrero (sopra), che ha trasformato l’azienda in un gigante globale, ha preparato i suoi figli a succedergli, com’è accaduto prima con Pietro, e poi con Giovanni, senza scossoni. Ferrero ha continuato a crescere negli anni, ma ha mantenuto intatti i suoi valori originali, innovando e adattandosi alle esigenze del mercato, il che ne ha ulteriormente rafforzato la reputazione quale azienda solida e affidabile», conclude il Cio di Ubs.

Altro strumento ampiamente diffuso è invece il Patto di famiglia, contratto tra imprenditore ancora in vita e familiari sulle sorti dell’azienda all’atto del trapasso dello stesso. «Il Patto è certamente uno strumento efficace per regolare la successione, ma presenta dei limiti legati alle sue rigidità, e alla possibile conflittualità tra i suoi membri. Può essere fatto rispettare se condiviso, e supportato da una Governance chiara e trasparente, ma fallisce quando le dinamiche familiari si rivelano troppo complesse», nota Paul de Blasi, Partner ed Head of Deloitte Legal & Private West Switzerland.

Ma in cosa consiste all’atto pratico? «È certamente uno strumento consolidato e con anni di storia. Dovrebbe disciplinare innanzitutto la conduzione dell’azienda, e le condizioni di accesso delle nuove generazioni. L’imprenditore stabilisce dunque una serie di regole a tutela dell’impresa, e della sua continuità, garantendo che vi possano accedere solo quei membri della famiglia che abbiano determinate competenze. D’altra parte deve però anche prevedere una remunerazione, adeguata alle quote di capitale posseduto, per tutti gli ‘esclusi’. Si tratta quindi di garantire i migliori talenti all’azienda, e di non scontentare il resto del parentado che potrebbe decidere di far valere i suoi diritti, vanificando il Patto», chiarisce Carmine Garzia, Professore ordinario della Supsi. Del resto ogni famiglia è un caso a parte, anche a dipendenza della composizione dei suoi membri, e pur ignorando la significativa frammentarietà del quadro giuridico dei diversi Paesi. «È in capo all’imprenditore l’ingrato compito di conoscere e giudicare i suoi potenziali eredi, valutandone competenze, motivazione e attitudine rispetto ai propri desiderata, resistendo alla tentazione di affidare ruoli chiave per meri vincoli di sangue. Il vulnus principale è spesso la fatica che il suo fondatore trova nel ‘lasciare andare’ l’azienda, rimandando decisioni cruciali, e muovendosi troppo tardi per definire una successione efficace. In linea di principio prevenire l’insorgere di conflitti all’interno della famiglia,e regole chiare laddove si presentassero, è la miglior garanzia per non compromettere la stabilità dell’azienda, spesso frutto di un’intera vita di lavoro», chiosa Guglielmin.

Strategia e tattica sono però molto diverse da gestire. «In termini strategici la Governance è spesso più facile da

«Un’azienda di famiglia può essere appetibile per gli investitori a patto di avere una strategia solida, una Governance chiara, e una continuità assicurata. Nella successione gli investitori possono apportare capitali e competenze, generando valore aggiunto per tutte le parti coinvolte»

Problemi in vista?

Età media dei membri dei board delle aziende più grandi per Paese

Il passaggio in Italia Aziende in cui è avvenuto nell’anno (% tot)

Università Bocconi 2024

trasferire che non la gestione operativa del business. Strutture e processi possono essere definiti in anticipo, al pari di consulenti o esterni. Il presupposto è però che l’azienda si sia già evoluta, abbia abbandonato uno stile di leadership strettamente patriarcale, e che sia dunque già stata istituita una struttura gestionale completa. Questa non è però la normalità», sottolinea il presidente di Chdu. Eppure gli strumenti per arrivare pre-

Ai molti pregi che le aziende di famiglia possono vantare, la demografia dei Paesi occidentali certo non aiuta. I Board di tutte le grandi aziende sono sempre più canuti, e anche a livello di aziende di famiglia la situazione non è migliore. L’Italia si colloca in una posizione di età avanzata, con un numero relativamente basso di passaggi registrati ogni anno.

Fonte: United Nations Youth Office 25
Fonte:

«A livello fiscale lo Stato dovrebbe favorire tutte quelle operazioni che vedano il concentrarsi della proprietà o delle quote di controllo, una problematica rilevante nel caso di aziende che presentino rami di più famiglie coinvolte, come spesso avviene nelle aziende di seconda e terza generazione»

dell’azienda potrebbe invece garantire stabilità strategica nel lungo periodo. Ci si dovrebbe però anche porre il problema di assicurare sufficiente liquidità, oltre a incentivare congruamente gli eredi. Pur non potendo evitare l’insorgere di conflitti, una Governance ben costruita li circoscrive e ne disciplina le conseguenze, rendendo il sistema più prevedibile e dunque gestibile», prosegue l’esperto di Pkb. Il ruolo dello Stato. Se sta dunque alle imprese scegliere e rendere organici gli strumenti più efficaci perché possano sopravvivere al passaggio, dall’altro servono anche strumenti aggiornati e adeguati. «Se guardiamo all’Europa sono stati fatti negli ultimi anni dei passi in avanti, sia a livello di incentivi fiscali, sia rispetto ai regolamenti di Governance, ma in molti casi mancano ancora strumenti più coerenti e tempestivi. Sarebbe auspicabile una politica più coordinata, con programmi di formazione all’imprenditorialità dedicati, e incentivi mirati a facilitare il passaggio generazionale. Tutte cose che mancano ancora», nota Marenghi.

L’Olanda è spesso nota per essere il Paese scelto dai grandi Gruppi mondiali quale sede, per ragioni squisitamente fiscali, del proprio quartier generale. Diversamente da quanto si creda, all’interno degli indici di borsa, l’incidenza delle aziende di famiglia è comunque sostanziale. Non da meno il Regno Unito, dove le aziende di famiglia sono un importante protagonista.

parati ‘davanti a Minosse’ non mancherebbero, al pari delle persone di supporto. «Oltre al Patto di famiglia, si trovano le fondazioni, o anche la definizione di più categorie di azioni con diritti differenziati. La chiave sta però nel riuscire a progettare un’architettura che produca effetti concreti e coerenti rispetto agli obiettivi fissati. Il Patto dovrebbe determinare con chiarezza le condizioni di attivazione; una fondazione che detiene la nuda proprietà

Sono dunque stati fatti dei progressi, ma come sempre la strada è ancora lunga. «Le aziende ci stanno mettendo del loro, certo più di prima, e anche da parte dello Stato e della popolazione sta maturando una maggiore sensibilità. Sono stati introdotti alcuni miglioramenti fiscali, la riforma tributaria del Cantone Ticino ne è un piccolo esempio, ma restano ancora molti nodi da sciogliere, a partire dagli ostacoli burocratici. Oltre a rafforzare gli incentivi, non solo fiscali, andrebbero semplificate le procedure per agevolare le successioni, e questo non avrebbe alcun costo. Bisogna sempre ricordare che ogni impresa che chiude per un mancato passaggio è una perdita per l’economia, e per la collettività tutta», enfatizza Regazzi. La frammentazione del panorama europeo anche in questo caso costituisce più un limite, che una ricchezza. «È in corso un aggiornamento delle normative fiscali e di Governance in molti Paesi per facilitare il passaggio, sia in termini fiscali che di strumenti di mediazione familiare. A mancare spesso, tuttavia, è un approccio sistemico e coordinato che incanali gli sforzi di tutti. Sarebbe ad esempio utile, oltre che necessario, promuovere una cultura della pianificazione successoria sin dalle prime fasi di vita aziendale, con supporto formativo e incentivi pubblici mirati», sintetizza de Blasi.

Fonte: Uk Family Business sector 24
I Family Business in Uk Fatturato generato nel 2023 (mld gbp)
Fonte: Uk Family Business sector 24
I Family Business in Uk Quota di occupati per dimensione (mln etf)

Il ruolo dello Stato, almeno nei Paesi liberali, dovrebbe essere del resto quello di semplificare, senza sostituirsi. «Trattandosi di una fase cruciale nella vita delle imprese, ed essendo fortemente subordinata alle dinamiche interne a ogni famiglia, lo Stato dovrebbe astenersi dall’aggravare ulteriormente il problema, almeno negli ambiti di sua competenza. Non può certo alterare gli equilibri familiari, ma può facilitare amministrativamente e fiscalmente, non costringendo i potenziali eredi ad esempio a vendere l’azienda. Alcuni passaggi sono più agevoli di altri, ad esempio laddove i figli siano già operativi e interessati a dare continuità al business, o dove invece non esistessero eredi diretti e i familiari avessero visioni opposte sul da farsi», rileva Audemars. Un albero genealogico particolarmente florido è al tempo stesso un altro problema, rispetto a uno rachitico. «A livello fiscale lo Stato dovrebbe favorire tutte quelle operazioni che vedano il concentrarsi della proprietà o delle quote di controllo, una problematica rilevante nel caso di aziende che presentino rami di più famiglie coinvolte, o azionariati particolarmente frammentati, come spesso avviene nelle aziende di seconda e terza generazione. Sono anche quelle imprese che non essendo nuove all’operazione arrivano meglio preparate, potendo anche contare su dimensioni solitamente più significative, e strutture organizzative più stabili. Andrebbe comunque fatto un lavoro specifico di forte sensibilizzazione alla tematica nei confronti di tutte le imprese, e di tutti i proprietari, e in questo lo Stato potrebbe dare il suo apporto», eccepisce il professore della Supsi. Ma chi riceve? Nonostante forti progressi compiuti sulla carta e in linea teorica, lo stato dell’arte delle imprese non è certamente dei migliori – a voler essere ottimisti –, come certifica l’ultima indagine condotta a livello globale dalla stessa Jp Morgan. «Oltre il 70% delle imprese coinvolte, non ha ancora predisposto un piano formale di successione; in oltre l’80% dei casi sono già presenti disaccordi interni, e in assenza di meccanismi per risolverli; nel 50% non è ancora maturato il consenso sulla direzione che l’impresa dovrebbe prendere; sono spesso presenti problemi forti di comunicazione e fiducia reciproca tra i familiari. Al tempo stesso siamo innanzi al più grande trasferimento di ricchezza della storia, con un’ampia

«Le più interessate dal passaggio sono le generazioni X e dei Millennials. Anche a patto che in termini formativi siano già in possesso di buone conoscenze teoriche, nella maggior parte dei casi esiste un significativo gap tra teoria ed esperienza pratica, che rappresenta un forte limite»

Paul de Blasi, Partner, ed Head of Deloitte Legal & Private West Switzerland

Le aziende di famiglia in Italia

Confronto

La questione demografica nelle aziende di famiglia italiane

fetta costituita da imprese, che avverrà nei prossimi 25 anni», rileva Pugliesi. Una situazione dunque preoccupante, ma probabilmente del tutto normale, o quanto meno in linea con il passato. «Non è infrequente che le aziende a conduzione familiare veleggino bene sin tanto che il fondatore è al timone, e che incappino in difficoltà al cambio della leadership. In assenza di un piano chiaro e rigoroso anche aziende solidissime potrebbero fi-

Stando in Italia, negli ultimi anni le performance di mercato che hanno registrato le aziende di famiglia sono certamente state notevoli, e ci sono tutte le premesse perché tale trend possa essere conservato anche per l’immediato futuro. A pesare sulle spalle del comparto, e dunque dell’intero tessuto produttivo, la questione generazionale, non ancora minimamente risolta.

Fonte: Università Bocconi 2024

Le imprese di famiglia in Svizzera

«Un’azienda familiare su due è guidata da un imprenditore di età superiore ai 60 anni, e in oltre la metà di questi casi il fondatore ha già superato i 70. Per garantire la sopravvivenza dell’impresa gioca dunque un certo ruolo la consapevolezza che il passaggio debba essere organizzato»

Severino Pugliesi, Ceo di Lagom Family Advisors

Indicenza dei family business sulla struttura delle imprese svizzere

Aziende attive in Svizzera Totale dei family business

Fonte: Swiss National Bureau of Statistics, Bern (dati 2019)

Il passaggio in Romandia

Il valore delle imprese romande Ha un’idea del valore della sua impresa?

essere l’occasione perfetta per un vero rinnovamento», precisa il Cio di Ubs.

Ma chi andrebbe designato? «A prescindere, la designazione dovrebbe esser fatta e comunicata il prima possibile e con anticipo, sulla base di competenze ritenute sufficienti, affinità culturale con l’azienda e capacità di leadership. È possibile avere più successori, a patto che le aree di competenza siano chiaramente divise, il che è più frequente nel caso di strutture complesse o molto diversificate. Il management solitamente supporta la transizione, assicurando la continuità operativa per l’intera durata del processo», enfatizza il presidente di Les Hénokiens.

In una valle di lacrime, è però stato compiuto un importante passo avanti, figlio dei tempi. «Per motivi storici e sociali legati alla divisione dei ruoli tradizionali non ci si è arrivati prima, ma oggi è ormai riconosciuto che la successione al femminile sia un’opzione percorribile, e che soprattutto porti anche alcuni vantaggi, in termini di diversità di pensiero e leadership inclusiva, pur incontrando ancora frequenti resistenze culturali e stereotipi di genere. Un’accelerazione in passato avrebbe potuto garantire maggiore equità e innovazione anche alle imprese familiari», riflette il Partner di Deloitte.

Le ragioni alla base del fenomeno sono però di natura anche più pratica. «Al pari di un ricorso più frequente al management esterno, la presenza crescente di figure femminili sono risposte concrete, oltre che razionali, alla necessità di rinnovare le competenze e garantire il ricambio generazionale. Investire sulla formazione dell’erede, e affiancargli competenze professionali esterne, sono tutti elementi che vanno ad aumentare sensibilmente la probabilità di successo del passaggio, e dunque la sopravvivenza dell’impresa, da qui la raccomandazione a non sottovalutare la sfida o lesinare in sforzi», evidenzia Rivolta.

Anche la Svizzera costituisce un buon caso di studio relativamente ai family business, con primarie aziende a tutti gli effetti di famiglia, dalle più grandi a quelle più rinomate. Per quanto solitamente la famiglia si contraddistingua per politiche lungimiranti e di lungo periodo, spesso a rimanere sotto al tappeto è il passaggio all’erede, oltre che il valore dell’azienda.

nire con il vacillare. Non si tratta infatti di trasmettere ‘solo’ la proprietà, ma anche competenze, valori e relazioni. Trasmettere il know-how agli eredi è possibile, ma richiede tempo e affiancamento, ossia la coabitazione con il fondatore o la presenza di consulenti esterni. Si potrebbe anche arrivare a maturare che sia meglio affidare l’operatività al management, e mantenere in famiglia la proprietà, per quanto il passaggio se ben sfruttato può

Eppure, malgrado le migliori premesse, e il giudizio il più oggettivo possibile, benché da parte di un genitore, quando un successore è davvero degno, e pronto?

«Un equivoco diffuso è credere che osservare equivalga a sapere, ossia che avendo osservato come si è mosso l’imprenditore, l’erede abbia appreso per osmosi come e cosa fare. Ho avuto modo di conoscere invece l’imprenditore di una grande azienda di famiglia che muovendosi per tempo acquistò per la figlia una piccola Pmi, con

Fonte: Bilanz 2024 (dati cantoni Svizzera francese)
Fonte: Bilanz 2024 (dati cantoni Svizzera francese)

cui potesse ‘impratichirsi’, preservando l’azienda dalla sua inesperienza. Questo le ha consentito di imparare ad agire in modo indipendente, di acquisire esperienza nel settore e sviluppare una reale leadership, presentandosi al grande traguardo preparata. Perché una successione abbia successo l’erede non deve accettare solo l’eredità, ma anche assumersene tutte le responsabilità», sintetizza Domenig. Le NextGen. Se dunque la generazione dei baby boomer volge ormai al ritiro, complice anche l’anagrafe, a quali altre dovrebbe essere passato l’oneroso testimone? E con quali legittime aspettative?

«La preparazione della generazione subentrante dipende molto dalle dinamiche familiari; è però certo che non è più sufficiente ‘essere figli’. Occorrono competenze tecniche e sociali, e bisogna anche essere accettati all’interno dell’azienda. Assume una certa importanza, ad esempio, avere già maturato un’esperienza in altre aziende, in qualità di collaboratori e non proprietari. La nostra associazione organizza ormai da tempo tali attività in altre regioni della Svizzera e del mondo», sottolinea il già presidente di Aif.

Le nuove generazioni hanno però anche, molto spesso, un approccio alla ‘materia’ completamente diverso rispetto a quello dei nonni o genitori. Un’ulteriore sfida? «Sul piano accademico i giovani hanno tutte le possibilità per essere preparati, molto più di quanto non fosse in passato, ma al tempo stesso, soprattutto all’inizio, non considerano neanche più l’azienda di famiglia come l’unica opzione percorribile, o la preferibile. Vogliono fare esperienze diverse, arricchire il proprio bagaglio, e non rimanere tutta la vita nello stesso posto. Da un lato si tratta quindi di valorizzare tali esperienze, e le derivanti idee e competenze, dall’altro di creare percorsi che permettano di acquisire le capacità pratiche necessarie, tramite stage, affiancamenti e formazione», rileva il presidente dell’Usam.

Se da un punto di vista teorico la formazione è quindi possibile, se non anche facilmente accessibile, non sempre nella pratica avviene. «I giovani di oggi potrebbero ampiamente beneficiare di un sistema formativo all’avanguardia, che consente scambi tra Paesi, oltre all’accesso alle business school, che ad esempio in Europa sono tra le prime nei ranking mondiali. L’Education tecnica non è quindi un problema relativamente ai temi gestionali, di

«La nostra cultura tende a glorificare il fondatore, e quindi inevitabilmente a sottovalutare il successore, pur essendo entrambi imprenditori. Il successore ha già il ‘successo’ nel nome, e si trova immensi vantaggi a disposizione, derivanti dal rilevare qualcosa che spesso già funziona»

Hans Jürg Domenig, Presidente di Chdu; Ceo e fondatore di Firmen Nachfolge & Verkauf

Sensibilizzare all’imprenditorialità

Confronto tra le condizioni quadro con cui si misurano gli imprenditori

1 Finanziamenti e finanza

2 Facilità d’accesso alla finanza

3 Supporto delle politiche pubbliche

4 Tasse e burocrazia

5 Programmi pubblici di supporto

6 Formazione imprenditoriale a scuola

7 Formazione imprenditoriale post formativa

8 Trasferimento di R&D

9 Infrastrutture commerciali e professionali

10 Facilità di accesso al mercato

11 Facilità dioneri e regolamentazione

12 Infrastrutture fisiche

13 Consuetudine sociale e culturale

Svizzera Economie avanzate

Il caso svizzero

Motivazioni principali degli svizzeri nel mettersi in proprio (% tot)

■ Fare la differenza nel mondo

■ Alto reddito

■ Portare avanti la tradizione

■ Poche alternative

pianificazione strategica o di conduzione aziendale. Il vero nodo è che pochissimi eredi, o potenziali tali, ricevono un’educazione specifica sulla gestione degli aspetti ‘familiari’ nell’ambito di un’azienda di famiglia. In molti casi si cerca di recuperare successivamente, attraverso la formazione executive, ma spesso è troppo tardi. Bisognerebbe dunque investire di più nei manager, perché entrino nelle logiche delle imprese di famiglia, e nei familiari,

La cultura imprenditoriale in Svizzera non è troppo forte, e si trova ogni giorno confrontata con percorsi professionali molto interessanti, all’interno dei grandi Gruppi, che in parte scoraggiano dal prendere iniziative ben più rischiose e avventate, come mettersi in proprio. Le condizioni quadro sarebbero migliori che in molti altri Paesi, ma non riescono a fare la differenza.

Fonte: Global Entrepreneurship Monitor Switzerland 23/24
Tedesco Francese Italiano Svizzera
Fonte: Global Entrepreneurship Monitor Switzerland 23/24

Cos’è il successo?

Nella vostra azienda di famiglia cosa considerate ‘successo’? (in % per generaz.)

A caccia delle competenze giuste

Quali abilità dovrebbe avere il successore per avere successo?

La questione generazionale pone molte domande, le cui risposte sono spesso ambigue. Cos’è il successo per gli imprenditori? Quali qualità e competenze dovrebbe avere l’erede?

perché entrino più nella logica dell’essere manager», chiarisce Garzia.

Ma chi dovrebbe raccogliere il testimone, e dunque dovrebbe essere formato?

«La più interessata dal passaggio è la generazione dei Millennials, o la Gen. X. Anche a patto in termini formativi siano già in possesso di buone conoscenze teoriche, moderne e aggiornate, nella maggior parte dei casi esiste un significativo gap tra teoria ed esperienza pratica, che rappresenta un altro forte limite. Il passaggio può dunque essere un salto al buio in assenza di una qualche forma di supporto, da qui i rischi», nota de Blasi.

La famiglia. Ma cosa significa poi nel concreto essere un’impresa a conduzione familiare? Qual è la differenza con tutte le (poche) altre? «L’attributo ‘familiare’ è spesso sinonimo di affidabilità, conti-

nuità, e attenzione al cliente. La famiglia garantisce infatti una visione di lungo periodo, una forte identità e la capacità di adattamento al mercato, elementi che rendono l’azienda stabile e resiliente. La gestione prudente, e la tendenza alla preservazione del patrimonio, consentono di resistere meglio alle crisi, e di accrescere nel corso del tempo il capitale relazionale, ovvero i rapporti di fiducia con fornitori, clienti e dipendenti, che spesso sfociano in radicamento territoriale e politiche di sviluppo per le comunità locali. A risentirne potrebbe invece essere la propensione all’innovazione», chiarisce Guglielmin.

Nel corso del tempo i ruoli sono però evoluti, andando in parte a ribaltarsi. «Storicamente la famiglia ha sempre rappresentato il nucleo decisionale e culturale dell’azienda, un ruolo che oggi sta lentamente evolvendo a favore di un orientamento più strategico, con le generazioni più giovani che apportano in azienda competenze digitali e manageriali. La famiglia deve riuscire a continuare a trasmettere i valori fondativi, la cultura e la missione, elementi che devono

essere però adattati al presente, coniugando il difficile binomio ‘tradizione/ innovazione’», rileva Marenghi. Si tratta spesso però anche di intendersi sulle definizioni che si vuole dare alle parole. Cosa sono i valori? «Sono quegli asset che la contraddistinguono dalle altre, sono i valori che vive e trasmette alle nuove generazioni, ai collaboratori e al territorio. Possono sopravvivere nel tempo, e forse dovrebbero sempre farlo essendo assoluti, come l’affidabilità e la lealtà, vanno però applicati in modo diverso, e adattati. Anche l’innovazione può avere molte interpretazioni, se da un punto di vista tecnico e tecnologico è il mercato a comandare, nel caso della Governance le generazioni possono scontrarsi, per quanto spesso a passaggio avvenuto i padri siano soliti lasciare margine ai figli. In questo caso non comanda il mercato, ed è il frutto dei rapporti tra persone; gestire un’azienda significa in primo luogo gestire una famiglia», riflette Audemars. Definiti dunque cosa e quali siano i valori, ecco delinearsi alcuni facili rischi, da cui guardarsi. «I valori fondativi sono una risorsa strategica inestimabile per ogni azienda, ma possono esprimere la loro forza solo grazie alla capacità dell’imprenditore di reinterpretarli alla luce delle nuove sfide, approfittando magari proprio del passaggio generazionale. Si tratta quindi nella maggior parte dei casi, con digitalizzazione e sostenibilità quali casi di scuola, di preservare l’identità laddove sia un chiaro tratto distintivo e competitivo, e di adattarli laddove invece rischino di diventare ostacoli all’innovazione e alla crescita», sintetizza l’esperto di Pkb. Valori e innovazione sono del resto un binomio vincente, solitamente alla base del successo dell’impresa stessa, almeno alle origini. «Il fondatore è molto spesso un innovatore, l’impresa non è inconsueto nasca proprio intorno a un’idea innovativa, ed è questa a portarla al successo. È uno stilema anche della letteratura economica, è la figura al centro degli studi dell’economista Schumpeter, è l’imprenditore innovatore. Non è scontato che anche gli eredi continuino a esserlo, non è ovvio che si riproduca quella che si definisce come sintesi imprenditoriale nell’introduzione di innovazioni sul mercato. È per questo che è importante che sopravviva almeno l’orientamento all’innovazione, anche favorendo e implementando strategie ad hoc», eccepisce il professore.

Fonte: Family Business Survery 2024
Fonte: Family Business Survery 2024

It’s the culture, stupid! Pur con tutte le buone intenzioni, e i migliori sforzi in ogni ambito, dalla formazione alla consulenza, la premessa si esaurisce in una sottile questione culturale. Più complessa. «In molti Paesi europei una diffusa cultura imprenditoriale rimane un miraggio, il che rende importante fare più sforzi per instillarla nelle persone attraverso formazione, educazione, incentivi e modelli di mentorship. Quello in capo a mondo accademico e associativismo è un ruolo chiave per creare ecosistemi favorevoli alla successione. Le aziende plurigenerazionali offrono all’economia stabilità, reputazione consolidata e know-how accumulato, che sarebbe un peccato perdere», rileva il presidente di Les Hénokiens.

Qualcosa può essere ovviamente fatto, per quanto oltre un certo limite diventi poi tutta questione di ‘caso’. «Le imprese plurigenerazionali oltre alla reputazione, hanno un importante bagaglio di esperienza, e sono spesso ben radicate sul territorio. Se un buon mix tra innovazione e continuità è una maggior garanzia per un passaggio di successo, anche una solida Governance può essere d’aiuto. A essere determinante è però spesso la presenza di una cultura imprenditoriale, che dovrebbe essere stimolata sin dall’età scolare, cosa che solitamente non avviene», precisa il Partner di Deloitte.

E quando si parla di cultura, non la si può apprendere, ma solo assimilare. «Nonostante in Svizzera la cultura all’imprenditorialità esista, si trova confrontata ogni giorno con percorsi professionali più sicuri e garantiti, privi di rischi. Dovrebbe essere valorizzato da scuola, politica e associazioni il valore di chi crea posti di lavoro, assume rischi e innova. Non si tratta di passare competenze tecniche o teoriche, ma di stimolare la giusta attitudine. Sia l’Usam che l’Aif sono parte di questo processo, e svolgono attività con tali fini, organizzando eventi, conferenze e momenti d’incontro tra imprenditori di diverse generazioni e grande pubblico. Se fondare un’azienda presuppone visione, intraprendenza e rischio, trasmetterla significa assumersi responsabilità, e richiede coraggio, oltre che capacità di adattamento», commenta Regazzi.

Ampliando lo sguardo a Paesi un po’ più lontani, seppur culturalmente molto vicini, quanto cambia il quadro? «Buona parte di questa cultura sta andando persa in tutto l’Occidente. Trincerandosi dietro

L’innovazione

al concetto di ‘worklife balance’ in molti scelgono posti di lavoro sicuri e carriere prive di sorprese. Il contrario di quanto dovrebbe invece fare un imprenditore, portato a rischiare, gestire le incertezze, assumendosi responsabilità. Le famiglie di imprenditori possono dare il loro contributo, è più facile trasmettere questi valori al proprio interno, e a terzi, in tal senso hanno una grande responsabilità anche nei confronti della collettività. Chi fonda un’impresa solitamente la plasma a sua immagine, chi la ‘riprende’ si trova in una situazione più complessa, è magari già di medie dimensioni, e si scontra con una cultura forte, dove molte cose ‘sono sempre state fatte così’. La coabitazione tra fondatori e successori potrebbe quindi aiutare molto», nota il già presidente di Aif. E qui in parte si entra in quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio mito fondativo. «La nostra cultura tende a glorificare il fondatore, e quindi a sottovalutare il successore, pur essendo entrambi imprenditori. Il successore ha già il ‘successo’ nel nome, e si trova immensi vantaggi a disposizione, derivanti

Le performance registrate dai family business sono spesso superiori alle altre aziende, a spiegarlo è la famiglia. Motore di stabilità, e almeno in passato anche di innovazione.

dal rilevare qualcosa che già funziona. Ha dunque molti modi di creare valore, non dovendo inventare nulla, o lottare per la sopravvivenza. Può quindi concentrarsi sul miglioramento progressivo di parti del business meno prestanti, o sull’apportare nuove idee su cui costruire nuovi successi. Sebbene esistano molte imprese valide e redditizie, e numerosi successori competenti, il tema è riuscire a metterli in relazione, promuovendo anche nuovi modelli, come il nostro Aktionärsgruppe», evidenzia il presidente di Chdu. Il Policy Mix. Appurato dunque quali siano le difficoltà, e in quale contesto il passaggio generazionale sia solito avvenire, cosa è opportuno fare per agevolarlo, e cosa può fare l’imprenditore? Ecco alcune ricette. «Oltre a un approccio strutturato e pragmatico, è fondamentale coinvolgere

Fonte: Credit Suisse Research Institute 2023
Fonte: Credit Suisse Research Institute 2023
Fonte: Credit Suisse Research Institute 2023

La questione Esg Risultati Esg delle aziende di famiglia rispetto al mercato (media)

Go public, ma...

Per quanto vero che l’iconica azienda di famiglia sia di dimensioni modeste esistono significative eccezioni: grandi Gruppi, mondiali e quotati ma di matrice familiare. «Nel caso delle quotate, gli equilibri successori sono più complicati per via della presenza di azionisti esterni e obblighi di trasparenza. Il management dovrebbe essere di supporto e garantire la continuità operativa, ma tende a mantenere un ruolo attivo nella selezione e formazione del successore», rileva de Blasi. Equilibri più complessi, ma anche ruoli ben definibili, un aiuto. «In questi casi la famiglia deve garantire continuità e visione, mentre il management dovrebbe assumere un ruolo decisivo nella gestione quotidiana, garantendo professionalità. La sfida è quindi trovare il giusto bilanciamento tra interesse della famiglia e quello degli azionisti, e non sempre collimano», sintetizza il presidente dell’Usam. Seppur complessa, una quotata ha il non trascurabile pregio di essere più trasparente e intellegibile. «I processi gestionali e le funzioni dell’organo amministrativo sono chiari, le decisioni possono essere prese senza passare dal consiglio di famiglia, e l’intera azienda guadagna in razionalità e formalizzazione, pur sacrificando parte della sua flessibilità. A patto di riuscire però a gestire correttamente la co-conduzione, ossia l’affiancamento tra familiari e manager, i dati dimostrano che i risultati possano essere ancora migliori», conclude Garzia.

tutti gli attori interessati. Un primo passo è stabilire tempistiche chiare, e condizioni precise per l’attivazione della procedura; a seguire andrebbe separata nettamente la proprietà, il controllo dell’attività operativa, e la remunerazione per prevenire conflitti. Oltre a selezionare con oggettività i successori, e i loro ruoli, andrebbero anche previsti percorsi formativi specifici. La progettazione dell’intera operazione dovrebbe prevedere l’ausilio di strumenti organizzativi e giuridici avanzati, coinvolgendo professionisti che siano in grado di tradurre gli intenti strategici in effetti pratici e tangibili», chiarisce Rivolta.

Accanto alle regole, alcune evidenze empiriche del processo. «Conscio delle difficoltà, in molti casi l’imprenditore sceglie una futura coabitazione, puntando sul fatto che gli eredi sapranno trovare

un ‘modus vivendi’ efficace, anche grazie ad alcune regole e principi lasciati per iscritto. In altri casi, a una iniziale coabitazione, seguono deleghe crescenti ai successori nei loro ruoli operativi. Non troppo raramente l’unica opzione è la vendita totale o parziale dell’impresa, ad esempio coinvolgendo un management esterno. I dissidi tra fratelli non sono l’eccezione, soprattutto quando a mancare è una riconosciuta leadership, e spesso si concretizzano in stallo decisionale. È sempre più diffusa la pratica di periodi di lavoro e formazione in aziende terze dell’erede, prima che avvenga la successione. La successione al femminile si sta diffondendo, è meno problematica di un tempo e più meritocratica, ma a dipendenza dei settori può scontrarsi con logiche ancora molto tradizionalistiche»,

Accanto a ottimi risultati per E ed S, le aziende di famiglia presentano ricorrenti problemi di Governance.

riferisce il Ceo di Lagom. Nonostante il difficile momento, e le difficoltà del passaggio, tali imprese possono essere un remunerativo investimento, e spesso avviene. «Un’azienda di famiglia può essere appetibile per gli investitori a patto di avere strategia solida, Governance chiara, e buone prospettive di crescita e continuità. Nelle fasi di successione gli investitori possono apportare capitali e competenze, che, se unite a visione di lungo termine e tutela dell’identità aziendale, possono generare valore aggiunto per tutte le parti coinvolte, proprietà e azienda», sintetizza Regazzi. E tale interesse non è nemmeno troppo raro si manifesti. «Avviene molto più spesso di quanto non si pensi, soprattutto nel co-investimento, una forma di protezione per gli investitori. Il principale nodo da sciogliere risiede spesso nel diverso orizzonte temporale che condividono le parti. Un fondo di Private Equity, l’investitore tipo, si aspetta di riportare a casa il capitale e un congruo profitto difficilmente oltre i 5 anni, logica difficile da comprendere da parte della famiglia, ed è qui che nascono solitamente la maggior parte degli attriti», rileva Garzia.

A patto che ognuno faccia la sua parte, nulla è impossibile. «Se l’imprenditore ha assolto ai suoi compiti, dunque una Governance chiara e una successione ragionata, gli investitori possono apportare capitale e competenze strategiche, mentre il management facilita il passaggio generazionale, e garantisce continuità operativa. Il messaggio che dovrebbe passare è però che il passaggio generazionale non sia un problema della sola famiglia, ma una questione economica rilevante a livello europeo, cui tutti dovrebbero contribuire. Dunque famiglia sì, ma anche Stato e collettività», conclude Alberto Marenghi, Presidente di Les Hénokiens. Si potrebbe del resto sostenere che le società occidentali siano a loro volta delle grandi aziende di famiglia, parimenti complesse, nel mezzo di un altrettanto delicatissimo passaggio generazionale che cambierà il volto dell’economia, e quindi della popolazione, di interi continenti. Se a mancare è il successore, c’è voglia e consapevolezza di doverlo trovare? ❏

Protagonista della mobilità elettrica intelligente

Leapmotor sviluppa la mobilità intelligente e sostenibile del futuro, combinando innovazione, efficienza delle prestazioni, accessibilità e personalità stilistica per ridefinire la guida urbana.

Tetto panoramico

Il Suv elettrico versatile, innovativo ed efficiente

Efficienza, intelligenza digitale ed eleganza: la nuova Leapmotor B10 combina tutte queste caratteristiche in un insieme armonioso, con un Suv di fascia media completamente elettrico che convince per la tecnologia avanzata, il design sofisticato e un interessante rapporto qualità-prezzo, a soli 29.900.franchi. Una perfetta anticipazione della mobilità del futuro, dinamica e integralmente sostenibile.

Con un’autonomia fino a 460 km (Wltp), la B10 è l’ideale sia per spostamenti giornalieri sia per rilassanti tour del fine settimana. Il motore elettrico da 160 kW (218 Cv) garantisce una guida dinamica e fluida, stabile e silenziosa grazie al telaio bilanciato.

Il design esterno della B10 unisce curve slanciate e linee dinamiche, per un look audace e moderno. Con una lunghezza di 4,73 metri e un passo di 2,73 metri, la B10 offre uno spazio interno generoso per cinque persone e un volume del bagagliaio flessibile, che la rendono dunque perfetta anche per le famiglie. Curati nel minimo particolare i dettagli. L’attenzione è rivolta al comfort digitale, a partire dal moderno concetto di comando con un touchscreen HD da 14,6 pollici nella consolle centrale e un quadro strumenti da 8,8 pollici dietro il volante. L’interfaccia utente è chiaramente strutturata e intuitiva da controllare. I regolari aggiornamenti software migliorano continuamente le prestazioni e l’intelligenza del Suv. Impressionante l’ampio pacchetto di sicurezza di serie: telecamera a 360°, cruise control adattivo, monitoraggio angoli ciechi, avviso di deviazione dalla corsia e assistenza automatica al parcheggio supportano il conducente nella quotidianità e garantiscono un’esperienza di guida rilassata.

Schermo centrale flottante
Leapmotor B10

Grazie a capacità all’avanguardia nell’R&D di tecnologie chiave, nello sviluppo di canali globali e nell’innovazione del modello di business, Leapmotor si sta imponendo nel panorama globale dei veicoli a nuova energia (NEV). Presente già in oltre 30 mercati internazionali, tra Europa, Medio Oriente,

La city car elettrizzante

Lunga 3,62 metri, la Leapmotor T03 è una city car elettrica da 95 cavalli dotata di un livello tecnologico non comune nel suo segmento. Il cruscotto digitale di serie integra una visualizzazione grafica del traffico circostante, elaborata dalla telecamera frontale, con le dovute proporzioni come sulle vetture di fascia superiore. L’infotainment ha uno schermo da 10,1 pollici con controllo vocale per climatizzazione, navigazione o intrattenimento. Sul fronte della sicurezza, la dotazione è ottima con tempomat adattivo, frenata automatica d’emergenza, mantenimento attivo della corsia e telecamera posteriore ad alta definizione per rilevare ostacoli anche sotto i 30 cm, che ne fanno una delle piccoline più dotate oggi sul mercato.

Il Suv familiare e compatto

La Leapmotor C10 è un Suv familiare elettrico del segmento D, lungo 4,74 metri con 217 Cv e un’autonomia di 420 km nel ciclo misto o 574 km in città che, in versione ibrida con Range extender, diventano 970 km. Da ferma a 100 km/h impiega 7,5 secondi. La plancia ha una forma moderna senza tasti fisici, tutto passa attraverso il display centrale da 14,6 pollici. I materiali sono di buona fattura e gli accoppiamenti ben realizzati. Offre ampio spazio, fino a 5 persone, e il baule arriva a 1.410 litri più un scomparto frontale da 32 litri. Il 30 ottobre debutterà ad Auto Zürich la versione AWD, che grazie alla trazione integrale, a una maggiore potenza e un telaio intelligente, offrirà il massimo con-

Africa e regione Asia-Pacifico, con 1500 punti vendita nel mondo, la start up cinese ha stabilito un nuovo standard per velocità e scala di espansione all’estero tra i marchi emergenti della mobilità elettrica intelligente. Anche in Svizzera, Leapmotor ha registrato un ingresso sul mercato impressionante lo scorso gennaio, con

Leapmotor T03

già dopo i primi 100 giorni 23 partner commerciali e di servizio in tutte le regioni linguistiche. Dietro c’è un team forte, l’importatore generale, il Gruppo Emil Frey, che garantisce qualità, logistica e servizio clienti.

In queste pagine, vi presentiamo i tre modelli già disponibili sul mercato svizzero.

Da segnalare anche il tetto panoramico in vetro e l’accesso keyless tramite smartphone. Un piccolo concentrato di tecnologia, pensato per l’ambiente urbano

Leapmotor C10

ma con ambizioni da “grande”. Autonomia di 265 km, rispettivamente 395 km nell’utilizzo in città. In vendita da CHF 16.990.-

trollo in condizioni stradali complesse. La Leapmotor C10 è vendita a partire da CHF 35.900.- in versione elettrica da 217

Per maggiori informazioni, i due concessionari Auto Nec di Riazzino per il Sopraceneri e il Garage Sport di Lugano per il Sottoceneri saranno felici di rispondere. Scopri di più su: leapmotor.net/ch-it

Cv o Reev da 215 cavalli, inclusi 5 anni o 200mila km di garanzia, e addirittura 8 anni sulla batteria.

La rotta africana

Anche le imprese svizzere possono beneficiare degli strumenti pubblici messi a disposizione dalla Spagna – dal Plan África ai fondi Cofides, passando per Cesce e le iniziative Ue – per espandersi nel continente. Una sinergia che può generare opportunità concrete.

Nello scorso numero, proprio in queste pagine, ho avuto modo di spiegare perché trovo interessante, per le imprese svizzere, collaborare con imprese spagnole per accedere al mercato messicano. Questa volta, invece, ho scelto di intraprendere un’avventura simile ma con riferimento a uno dei continenti forse più interessanti – e probabilmente anche dei meno conosciuti – nell’ottica dello sviluppo mondiale futuro (un argomento, quest’ultimo, su cui in realtà ci sarebbe da scrivere un libro in più tomi!).

Personalmente ho avuto un’esperienza professionale, nel corso di oltre dieci anni, in un Paese che mi ha sempre affascinato, sia per la sua storia, sia per la sua gente, oltre che naturalmente per le opportunità d’affari che si prospettavano: l’Etiopia. Ho anche avuto modo di lavorare con e/o in Paesi quali il Marocco, la Tunisia e l’Egitto, mentre dichiaro qui apertamente una mancanza di esperienza nei Paesi dell’Africa Occidentale, del Centro Africa e del Sud Africa. Ma l’esperienza maturata in questi anni mi ha portato ad una solida certezza: non ha molto senso parlare in generale di Africa, nonostante sia un tema oggetto molto spesso di conferenze, libri ed altre attività (le conferenze, solo in Europa e solo nel 2024, sono state

oltre cinquanta). In effetti, ogni Paese del continente ha le proprie caratteristiche, storiche, culturali, politiche, economiche. Anche lo stereotipo del ‘Continente Nero’ è una semplice generalizzazione (basta ascoltare gli etiopi di Addis Abeba o la gente Amhara, per sentire che caratterizzano i loro connazionali del sud come ‘negri’).

Tutto ciò premesso, questa volta ho pensato di descrivere, sommariamente, la batteria di strumenti che offre la Spagna per le imprese spagnole che hanno interesse a realizzare investimenti o fare affari in ‘Africa’ (che sostanzialmente sono gli stessi per altri Paesi in via di sviluppo) ed analizzare come questi strumenti possono essere anche condivisi con imprese svizzere in una situazione di ‘joint venture’ (Jv) con imprese spagnole.

In generale esiste uno strumento focalizzato sul continente africano: denominato ‘Plan África’: si tratta della strategia con cui la Spagna coordina la propria politica verso il continente africano, con l’obiettivo di rafforzare relazioni politiche, economiche e culturali di lungo periodo. Nato nei primi anni 2000 e oggi giunto alla sua terza edizione (III Plan África), il piano è promosso e diretto dal Ministero degli Affari Esteri, dell’Unione Europea e della Cooperazione, con il contributo

Il presidente dell’African Development Bank Group Akinwumi Adesina (a destra) e il direttore esecutivo di UN-Habitat Anacláudia Rossbach hanno firmato un protocollo d’intesa per accelerare la trasformazione urbana dell’Africa, in Spagna, a Siviglia.

di altri ministeri e attori pubblici e privati. Il piano mira a posizionare la Spagna come partner di riferimento per i Paesi africani, promuovendo “cooperazione allo sviluppo, investimenti, commercio, sicurezza e diplomazia culturale”. Gli obiettivi principali includono: favorire la crescita economica e infrastrutturale del continente; sostenere la stabilità politica e la gestione delle migrazioni; incoraggiare l’internazionalizzazione delle imprese spagnole; promuovere scambi culturali e scientifici.

Il ‘Plan África’ funge da linea guida operativa per l’azione esterna spagnola, coordinando strumenti finanziari, coperture all’export, fondi per investimenti e programmi di cooperazione. Offre anche un quadro di riferimento per la partecipazione spagnola a iniziative europee e multilaterali e facilita la creazione di partenariati pubblico-privati nei settori strategici (energia, infrastrutture, salute, digitalizzazione, formazione). In sintesi, rappresenta la piattaforma attraverso cui Madrid rafforza il proprio ruolo nel futuro africano, contribuendo allo sviluppo del continente e, allo stesso tempo, promuovendo i propri interessi economici e geopolitici.

Per quanto riguarda gli strumenti finanziari più importanti per iniziative economiche in Africa (ma non solo), il più rilevante è il Fiem (Fondo per la Internazionalizzazione della Impresa). Strumento-chiave del Ministero dell’Economia per finanziare export e investimenti con

“interesse spagnolo”, la norma non fissa una quota minima rigida di contenuto spagnolo, ma richiede che sia “significativa”. In pratica, possono essere finanziati sia crediti al compratore per clientela africana, sia progetti d’investimento dove ci sia fornitura o partecipazione spagnola. In una Jv svizzero-spagnola, l’asse finanziabile è quello collegato al contributo spagnolo (fornitura, Epc, servizi, equity), mentre la società locale o il buyer africano possono essere il soggetto debitore.

Un’altra istituzione pubblica chiave è il Cesce, (corrispondente alle EcaExport Credit Agencies). Sulle operazioni coperte per conto dello Stato, il Cesce assicura rischi commerciali e politici collegati all’export, confermando regole di contenuto nazionale: tipicamente almeno il 30% in Paesi a rischio medio-basso e il 40% in Paesi più rischiosi, con flessibilità per operazioni “verdi” e Pmi; se la componente non spagnola (per esempio svizzera) è elevata, il Cesce struttura co-coperture con altre Eca (per esempio il nostro Serv) o con multilaterali. Per gli Ide copre anche

socio è svizzero – rientra nel perimetro: Cofides finanzia la società progetto o la componente spagnola, anche in “project finance”. Questi strumenti aprono poi le porte anche a finanziamenti dell’Unione europea. In effetti, la cooperazione spagnola (Aecid) e Cofides sono “implementing partner” riconosciuti su strumenti Ue (Ndici/Efsd+, Global Gateway): ad esempio il recente ‘programma Sol’ per l’energia off-grid, dotato di garanzia Efsd+ e assistenza tecnica, è stato annunciato congiuntamente con la Commissione Europea. Una Jv con partner spagnolo può così accedere più agevolmente a garanzie e Ta Ue veicolate tramite Cofides/ Aecid. Inoltre, a livello più globale, una Jv Ch-Es può sbloccare gare e garanzie. Sulle gare multilaterali (Banca Mondiale, Banca Africana di Sviluppo) vige un’impostazione aperta e non discriminatoria: le procedure sono internazionali e l’eleggibilità è estesa a operatori di tutti i Paesi idonei; per l’Ue/Bei, la “Guide to Procurement” applicata “fuori Ue” segue un modello ibrido, basato su principi di

i rischi politici della partecipazione all’estero della società spagnola. Questo rende tecnicamente eleggibili Jv Svizzera-Spagna, a condizione che la gamba spagnola soddisfi i requisiti di “interesse spagnolo/ contenuto”. Sempre sull’aspetto finanziario, da segnalare è il ruolo di Cofides, la Dfi spagnola. Cofides finanzia con debito/ quasi-equity progetti privati all’estero che abbiano “interesse spagnolo” e gestisce i fondi pubblici Fiex e Fonpyme per partecipazioni minoritarie nelle controllate estere di imprese spagnole o in veicoli collegati all’internazionalizzazione. Una Jv con partner spagnolo – anche se l’altro

concorrenza e trasparenza. In concreto: per una società svizzera, fare cordata con imprese spagnole esperte di regole Bei/ Ue e di dossier Mdb accresce la bancabilità e la qualità di offerta (compliance, E&S, local content, track record), oltre a moltiplicare i canali di pre-tender intelligence via Ofecomes/Icex.

Per quanto riguarda i Paesi africani, negli ultimi anni, la Segreteria di Stato al Commercio ha messo a terra l’iniziativa ‘Horizonte África’, con un set di Paesi prioritari su cui la macchina pubblica-privata spagnola concentra strumenti e team: Marocco, Egitto, Senegal, Costa d’Avo-

David Mülchi, Avvocato e Socio dello Studio Legale Mülchi & Asociados, Madrid e Lugano.

rio, Kenya, Tanzania, Uganda, Angola, Nigeria e Sudafrica. I focus settoriali: energia e acqua, infrastrutture di base, agroindustria, ferroviario/ingegneria, telecomunicazioni e digitalizzazione. Per una Jv Ch-Es significa pipeline più visibile, banche e istituzioni già ‘calibrate’ e rapporti di lavoro collaudati con controparti pubbliche. Per il lato elvetico, i dati recenti mostrano che i principali partner africani di commercio sono Egitto, Sudafrica, Nigeria, Marocco e Tunisia, che insieme valgono circa il 70% degli scambi Svizzera-Africa (al netto dell’oro). È dunque proprio in questi Paesi – e nei vicini ‘prioritari’ per Madrid – che la Jv Svizzera-Spagna massimizza sinergie: dove la prima ha domanda/fornitura consolidate e la Spagna ‘porta’ rete, strumenti pubblici e una base già operativa.

Dunque una Jv svizzero-spagnola in Africa ha assolutamente senso: precisione e tecnologia svizzere si combinano con capillarità istituzionale e strumenti pubblici spagnoli, aprendo corsie privilegiate verso bandi e finanza Ue/Mbd e comprimendo rischi e tempi.

Guardando alla mappa, i punti d’ingresso più convincenti sono Marocco, Egitto, Senegal/Costa d’Avorio, Sudafrica e – per progetti digital/energia – Nigeria e Kenya. Lì, più che altrove, la ‘rotta spagnola’ moltiplica il vantaggio competitivo di chi parla la lingua della qualità svizzera, ma vuole crescere alla velocità di Team Europe. Sulle rotte fluviali africane, il ‘flirt’ Spagna-Svizzera sulla ‘Africa Queen’ ci fa sognare.

Mercato unico, regole comuni

Fra gli elementi più intensamente dibattuti del nuovo pacchetto di accordi con l’Ue è il recepimento dinamico del diritto. Una circoscritta necessità economica o un’inaccettabile sottomissione?

Tra direttive, regolamenti e decisioni, negli ultimi anni l’attività normativa dell’Unione europea è stata particolarmente sostenuta, alimentando frequenti critiche nei confronti di un apparato burocratico percepito come sempre più invadente e oppressivo. Naturalmente, queste critiche hanno trovato eco anche in Svizzera, dove si teme che con l’adozione dei Bilaterali III la Confederazione dovrà adottare ogni nuova normativa dell’Ue.

Fortunatamente, questi timori sono ampiamente infondati. Nell’ambito della via bilaterale, la Svizzera e l’Ue hanno concluso un totale di 140 accordi. Tuttavia, il recepimento dinamico del diritto, che ricordiamolo, è necessario al loro corretto funzionamento e per garantire l’accesso delle nostre imprese al mercato unico europeo, si limita solamente a sei di essi. Si tratta dei quattro accordi di accesso al mercato unico esistenti (eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio, libera circolazione delle persone, trasporto aereo e trasporti terrestri) e dei due nuovi accordi sull’elettricità e sulla sicurezza alimentare. Ampliando l’analisi all’intero pacchetto Bilaterali III, si può sottolineare come, dei 14mila atti legislativi dell’Ue relativi al mercato unico, la Svizzera sarà tenuta ad adottarne unicamente 95, per lo più norme tecniche, di cui due terzi riguardano la sicurezza alimentare. Inoltre, a stemperare ulteriormente l’allarmismo intervengono le numerose eccezioni ottenute in fase negoziale. Innanzitutto, nell’ambito del recepimento dinamico la Svizzera potrà continuare a decidere autonomamente in merito all’adozione di ogni nuova normativa inerente al mercato unico. Secondariamente, la Confederazione ha ottenuto di disporre di

due anni di tempo per recepire i nuovi atti legislativi dell’Ue e di un ulteriore anno in caso di referendum lanciato contro uno di essi. Infine, all’interno del cosiddetto processo di “decision shaping”, la Svizzera ha ottenuto il diritto di essere sistematicamente consultata in merito allo sviluppo della legislazione europea rilevante per la via bilaterale.

Recepimento dinamico del diritto

Accordi interessati dei 140 negoziati fra Svizzera e Ue

accordi non rilevanti accordi rilevanti:

• ostacoli tecnici al commercio

• libera circolazione delle persone

• trasporto aereo • trasporti terrestri

• elettricità • sicurezza alimentare

Fonte: DFAE (febbraio 2025)

Riassumendo, poiché la Svizzera partecipa al mercato unico europeo soltanto in determinati settori di interesse, il recepimento dinamico del diritto non riguarda l’insieme della legislazione dell’Ue: il criterio fondamentale consiste nel determinare se un nuovo atto giuridico rientra nel campo di applicazione di un accordo di accesso al mercato unico. Quanto ricade al di fuori, ad esempio il regolamento europeo sulla deforestazione o il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, è perciò escluso.

In aggiunta, qualora la Confederazione decidesse di non implementare una nuova disposizione del diritto europeo, l’Ue avrà la possibilità di adottare unicamente misure di compensazione proporzionate

Marco Martino, Responsabile economiesuisse per la Svizzera italiana. Sotto, dei 140 accordi conclusi da Svizzera e Ue nell’ambito della via bilaterale, sottostanno al recepimento dinamico del diritto solo i sei relativi ai mercati ai quali la Confederazione partecipa

e limitate al perimetro degli accordi di accesso al mercato, dopo la sentenza di un tribunale arbitrale paritetico. Rispetto alla situazione attuale, in cui l’Ue impone unilateralmente alla Svizzera misure di ritorsione come la fine dell’equivalenza borsistica, si tratta di un notevole miglioramento.

Con 450 milioni di persone e 16mila miliardi euro di ricchezza il mercato interno dell’Ue è il più grande al mondo e, per la vicina Svizzera, di gran lunga il più importante partner commerciale, con scambi di merci per un valore complessivo di 300 miliardi di franchi all’anno, cui si aggiungono i servizi. Risulta evidente che, per accedere su un piano di parità, si debbano applicare le stesse regole di tutti gli altri partecipanti. Il recepimento dinamico del diritto svolge questa funzione, garantendo certezza del diritto e condizioni quadro affidabili per le nostre aziende, già alle prese con ingenti danni in termini di competitività provocati dai dazi statunitensi e un clima congiunturale gravato da incertezze e rischi geopolitici inediti negli ultimi anni.

Sulla base di queste considerazioni, lo scorso 4 settembre il Comitato di economiesuisse ha adottato la risposta alla consultazione sui Bilaterali III esprimendo un chiaro sostegno al pacchetto, ritenendolo una priorità strategica nel contesto attuale.

Il capitale umano in mani esperte

Compliance normativa, ottimizzazione dei costi, continuità operativa e flessibilità sono fra i tanti vantaggi per chi esternalizza l’amministrazione del personale agli specialisti di AFG&partners.

Gestire correttamente l’amministrazione del personale e il payroll non è una semplice operazione contabile: si tratta di un processo strategico per assicurare la compliance normativa, garantire l’efficienza dell’azienda e la soddisfazione dei propri collaboratori. Un compito che per le imprese diventa sempre più complesso e oneroso soddisfare internamente, a fronte dei continui aggiornamenti legislativi e della necessità di ottimizzare le proprie risorse e focalizzarsi sulle competenze core.«Per una PMI, esternalizzare questa funzione a consulenti professionisti significa poter approfittare di competenze specialistiche e di un supporto continuativo, senza gravare sul budget con una risorsa fissa nel proprio organico», sottolinea Giovanna Benedettelli, partner di AFG&partners.

Alla vigilia dei trent’anni di attività, che festeggerà nel 2026, l’azienda di servizi può contare su un team di specialisti senior esperti in consulenza aziendale, servizi di gestione delle risorse umane, sviluppo formativo e professionale del personale, nonché nell’accompagnamento alle certificazioni di qualità, come ad esempio Iso9001,ambiente e sicurezza. «All’interno del nostro ampio ventaglio di servizi HR, l’amministrazione di personale e salari in outsourcing provvede all’elaborazione delle buste paga, con versamenti a collaboratori e assicurazioni sociali, insieme alla gestione quotidiana: dalla registrazione delle presenze agli annunci di infortunio o malattia, dagli aggiornamenti contrattuali alla preparazione della documentazione per controlli AVS o dell’ispettorato del lavoro», illustra Federica Gerber, HR Consultant e Responsabile amministrazione del personale e contabilità di AFG&partners.

Si tratta di processi amministrativi di precisione che, se mal gestiti, possono generare inefficienze e avere gravi ripercussioni. «Sviste ed errori possono tradursi in sanzioni finanziarie, con rischi anche legali, oltre a causare malcontento e turnover dei dipendenti. Siamo molto attenti a garantire che tutte le pratiche vengano eseguite correttamente, nel rispetto delle normative. Inoltre la verifica regolare dei contratti con partner esterni - compresi gli aspetti assicurativi e previdenzialipuò portare a interessanti risparmi negli anni», puntualizza l’esperta.

plus in un territorio a vocazione internazionale come il Ticino.

«La flessibilità è un altro dei nostri tratti distintivi: sappiamo subentrare tempestivamente in azienda, in modalità “plug and play”, ad esempio per compensare l’assenza improvvisa di una figura HR. Come pure possiamo modulare i nostri servizi in base agli sviuppi dell’attività del cliente», evidenzia Giovanna Benedettelli.

Per una PMI può bastare una presenza settimanale, anche da remoto nel caso di clienti ormai consolidati, snellendo ulteriormente l’infrastruttura. «Al contempo, abbiamo il vantaggio della continuità operativa: a differenza di una singola risorsa interna all’azienda, se un nostro consulente è assente per ferie o malattia viene subito sostituito da un collega. Analogamente, siamo sempre pronti ad affiancare un secondo specialista per un doppio controllo, al fine di assicurare la qualità elevata del servizio», prosegue Federica Gerber. Anche multinazionali dotate del proprio dipartimento HR si rivolgono ad AFG&partners come seconda azienda esterna, oltre che per la sua conoscenza puntuale delle normative locali e per la capacità di operare in diverse lingue, un

L’esperienza maturata da AFG&partners in trent’anni di consulenza per settori diversi - dall’industriale al finanziario fino al pubblico - è rafforzata dalla formazione continua dei propri consulenti, interna ed esterna, necessaria ad esempio per recepire i cambiamenti normativi, come quelli all’ordine del giorno durante la pandemia o le recenti modifiche introdotte dall’accordo sulla tassazione dei frontalieri con l’Italia. Affidarsi ad AFG&partners significa dunque poter contare su un partner con un solido know-how, pronto a supportare i clienti nell’ottimizzazione dei processi e a sostenerli anche nel cambiamento. «Fin dalla fondazione, ci impegniamo a non proporre formule teoriche preconfezionate, ma soluzioni concrete su misura. Con noi le aziende possono dormire sonni tranquilli perché ci prendiamo in carico ogni aspetto, a 360 gradi», conclude la partner di AFG&partners. Un approccio che consente alle aziende di concentrarsi sulle sfide di mercato, con la certezza che la loro risorsa più preziosa - il capitale umano - sia gestita da specialisti con efficienza, competenza e accuratezza.

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Premi in aumento, soluzioni in arrivo

Nel 2026 i premi dell’assicurazione malattia aumenteranno in media del 4,4%. Il Consiglio federale e i Cantoni intensificano gli sforzi per contenere i costi e sostenere gli assicurati, mentre in Ticino cresce l’attenzione politica e popolare sul tema.

L’aumento dei premi nel 2026

Variazione del premio 2026/25

L’anno prossimo il premio medio dell’assicurazione malattia in Svizzera, con un aumento del 4,4%, raggiungerà 393.30 franchi al mese. Un incremento pari a 16,60 franchi rispetto all’anno precedente, che riflette una tendenza di lungo periodo legata a fattori strutturali nel sistema sanitario. L’invecchiamento della popolazione, i progressi terapeutici, la crescente domanda di prestazioni e l’adeguamento delle tariffe nel settore ambulatoriale e stazionario sono tra gli elementi determinanti di questo aumento. Si tratta di sfide complesse, che richiedono soluzioni e coordinate condivise, con l’obiettivo comune di garantire un accesso equo e sostenibile alle cure per tutta la popolazione. Il premio medio mensile per gli adulti nel 2026 sarà di 465,30 franchi, quello per i giovani adulti 326,30 franchi e per i minorenni 122,50 franchi. Le differenze cantonali restano marcate: in Ticino, ad esempio, il rincaro medio sarà del 7,1%, portando il premio a 501,50 franchi, mentre a Zugo si registrerà un calo del 14,7%, grazie a una misura cantonale straordina-

ria di copertura delle spese ospedaliere stazionarie.

Proprio il Ticino, in risposta a questi aumenti, ha espresso una forte sensibilità sul tema. Nella votazione del 28 settembre 2025, la popolazione ha approvato due iniziative - di segno politico opposto - entrambe volte a intervenire sul tema dei costi e dei premi di cassa malati. Il doppio sì ticinese, trasversale rispetto agli schieramenti partitici, riflette una chiara volontà dei cittadini di trovare soluzioni efficaci e sostenibili per arginare un onere percepito come sempre più rilevante nella vita quotidiana.

Il Consiglio federale, insieme al Dipartimento federale dell’interno e agli altri attori coinvolti, continua a lavorare per contenere l’aumento dei costi. Nell’ultimo decennio, diverse misure hanno permesso di risparmiare oltre due miliardi di franchi, grazie al riesame periodico delle prestazioni, alla revisione dei prezzi dei medicamenti e al miglioramento delle strutture tariffali.Ulteriori passi sono previsti nei prossimi anni. A fine 2026 entrerà in vigore il controprogetto all’i-

niziativa per un freno ai costi, che introdurrà obiettivi vincolanti di crescita per l’assicurazione di base. A ciò si aggiunge il controprogetto all’iniziativa per premi meno onerosi, che prevede un maggiore contributo dei Cantoni alla riduzione dei premi, aumentando così le risorse disponibili per sostenere le famiglie.

A partire dal 2028, inoltre, entrerà in vigore il nuovo modello di finanziamento uniforme delle prestazioni ambulatoriali e stazionarie, che permetterà una ripartizione più equa degli oneri tra Cantoni e assicurati, contribuendo ad alleggerire i premi mensili. Accanto a queste riforme strutturali, sono in corso anche iniziative a breve termine: grazie alla tavola rotonda istituita dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, i principali attori del sistema sanitario si sono impegnati a realizzare risparmi annuali per circa 300 milioni di franchi già dal 2026.

Nel frattempo, gli assicurati possono giocare un ruolo attivo nella gestione dei propri costi sanitari. Il portale ufficiale www.priminfo.ch consente di confrontare le offerte delle varie casse malati. Entro la fine di questo mese, ogni assicurato riceverà informazioni personalizzate sul proprio premio per il 2026 e avrà tempo fino a fine novembre per cambiare assicuratore o modello assicurativo. In un sistema sanitario complesso e in evoluzione, la trasparenza, la collaborazione tra attori istituzionali e la responsabilità individuale rappresentano strumenti fondamentali per mantenere l’equilibrio tra qualità delle cure e sostenibilità dei costi. L’impegno condiviso per contenere le spese sanitarie resta più che mai al centro dell’attenzione pubblica e politica.

Ermenegildo Peverelli

Fonte: Ufsp

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Ritrovare la frequenza originaria

Nel cuore del Liechtenstein, ai margini della riserva naturale Ruggeller Riet, il nuovissimo 108 Longevity Center è concepito come un rifugio per la rigenerazione cellulare e l’armonizzazione vibrazionale; un luogo che segna l’inizio di una nuova era nella ricerca della longevità e delle prestazioni umane. Ideatore del progetto è Bernd Dietel, imprenditore visionario. Il Centro, il più grande al mondo, è dotato di 108 schermi EES.

Nel cuore del Liechtenstein nasce il più grande centro al mondo dedicato alla rigenerazione cellulare e alla terapia delle frequenze. Un luogo visionario dove scienza, tecnologia e approccio olistico si uniscono per ristabilire l’equilibrio biofisico del corpo e della mente.

Per la prima volta combina una tecnologia di frequenze all’avanguardia con un approccio olistico al corpo e alla mente. Il 108 Longevity Center va ben oltre il benessere e mira a una trasformazione fondamentale dell’equilibrio fisiologico e psichico. «Non vogliamo solo prolungare la vita, ma restituirle la sua qualità originaria. Il corpo porta già in sé la risposta. L’essenziale è creare un ambiente ottimale e schemi di frequenze specifici che consentano una nuova sincroniz -

zazione biofisica e neurofisiologica del corpo», spiega Dietel. Il cuore del 108 Longevity Center è costituito dal più

Attraverso campi scalari, frequenze personalizzate e strumenti avanzati di neurostimolazione, il Centro guida ogni individuo verso la riscoperta della propria frequenza originaria: una profonda riconnessione interiore che va oltre il concetto tradizionale di benessere.

grande sistema energetico di questo tipo al mondo (Energy Enhancement System), composto da 108 schermi EES che generano un campo scalare multidirezionale di eccezionale densità. Questa onda stazionaria agisce in profondità sui tessuti e sulle membrane cellulari, riorganizza i segnali interni e riporta l’organismo a una coerenza biologica ottimale. Gli effetti osservati sono impressionanti: aumento dei livelli di ATP, riduzione dei marcatori infiammatori, miglioramento del sonno, accelerazione della rigenerazione e, secondo osservazioni interne, un potenziale di rigenerazione cellulare fino a quattro volte superiore. Nella sala di rigenerazione cellulare, i visitatori possono trascorrere diverse ore, o anche un’intera notte, all’interno di questo campo scalare. Il corpo ritrova gradualmente la sua “frequenza originale”, come un sistema finemente accordato che si riadatta dolcemente, senza costrizioni esterne. Oltre al campo scalare, il 108 Longevity Center offre un’innovazione rivoluzionaria: l’analisi delle frequenze originali. Questa misura gli schemi vibratori propri di ogni individuo e li traduce in 21 suoni personalizzati, chiamati Ursounds. Que-

di pratica meditativa avanzata. Grazie a un’immersione multisensoriale, regolata con precisione sulle frequenze individuali, la mente si calma, le onde cerebrali si stabilizzano e si instaura uno stato di risonanza interiore. In questo caso, la frequenza non agisce solo a livello fisico: entra in dialogo diretto con la memoria vibrazionale del corpo e risveglia delicatamente il suo potenziale di autoregolazione, equilibrio e chiarezza. «Ogni essere umano porta dentro di sé la propria frequenza fondamentale. Quando ritroviamo questa frequenza e la radichiamo nel corpo, si crea una risonanza che va ben oltre il piano fisico.

ste frequenze, calibrate con precisione sulla firma energetica del corpo, agiscono sulla sincronizzazione neuronale, sul rilassamento profondo e sull’equilibrio interiore (omeostasi).

Associata alla Neurowave Chair, questa tecnologia consente di accedere a stati di coscienza caratterizzati da coerenza mentale e profonda rigenerazione, solitamente raggiungibili solo dopo anni

È un ritorno a sé stessi, una profonda riconnessione interiore», spiega Bernd Dietel. Non si tratta di ottimizzazione delle prestazioni, ma di fare leva sulla capacità innata del corpo di rigenerarsi. Combinando il più grande Energy Enhancement System al mondo, l’analisi delle frequenze originali, la Neurowave Chair e le tecnologie più recenti – come la crioterapia sottovuoto, la purificazione del

sangue con idrogeno (HHO) e EMSellail Centro crea una sinergia, un processo globale e armonioso verso una precisa armonia vibrazionale e una profonda trasformazione interiore. Il simbolismo del numero 108, associato all’armonia e all’ordine universale, permea l’intero progetto, dall’architettura all’esperienza sensoriale. Il 108 Longevity Center si impone come un luogo unico, dove la scienza delle frequenze incontra l’intelligenza biologica, dove la rigenerazione cellulare diventa un’esperienza olistica e dove ogni visitatore accede, ben oltre il benessere, alla propria coerenza interiore. KOKON Industriering 3 9491 Ruggell Liechtenstein 108longevity.com

Abbonarsi alla convenienza

Contratti mirati alle esigenze dei singoli utenti, dalle Pmi alle multinazionali, senza dispersione di costi. In tema di telefonia fissa e mobile, un outsourcing non solo per individuare le offerte più pertinenti, ma anche per la gestione degli imprevisti.

Il passaggio a reti fisse basate su Ip (VoIp, Sip Trunk, Ip Centrex) sta progressivamente sostituendo il tradizionale telefono fisso, mentre soluzioni Fmc (convergenza fisso-mobile) offrono un’unica interfaccia per telefoni fissi e mobili, con un unico numero e infrastruttura, migliorando l’efficienza operativa e riducendo costi e complessità. Gli aumenti legati a inflazione o costi operativi (ad esempio, energia) impongono revisioni periodiche dei contratti per evitare sovrapprezzi non motivati. Queste sono solo alcune delle tematiche relative all’universo della telefonia. Un ambito nel quale Sps Swiss Plus Solution opera con servizi innovativi integrati, volti a creare valore aggiunto di impresa. Le soluzioni nel settore della telefonia aziendale integrano servizi informatici (di ambiti diversi) con servizi telematici, con una consulenza basata su una rigorosa procedura di analisi delle caratteristiche aziendali e sulla valutazione di costi ed esigenze. Ottimizzando le soluzioni più adatte con i benefici del risparmio a lungo termine, attraverso strategie mirate ed avanzate.

Signor Piraino, come agisce Sps Swiss Plus Solution?

Allo scopo di ridurre i costi fissi delle aziende nell’ambito tanto trasversale quanto sensibile della telefonia fissa e mobile, dapprima facciamo un’analisi approfondita dei contratti stipulati dall’azienda-cliente e delle fatture mensili; dopodiché, interfacciandoci con i collaboratori dell’azienda-cliente, cerchiamo di mettere a fuoco le specifiche esigenze di ognuno di essi: in tal modo l’operazione di alleggerimento dei costi che attiveremo non comprometterà la qualità dei servizi e delle prestazioni erogate.

Tenendo conto delle specificità di ogni azienda, va trovata la giusta configurazione, ossia un insieme di soluzioni tailor made, competitive nei prezzi e proporzionate alle specifiche caratteristiche e necessità. Diverse dimensioni, stesse esigenze... Quando un’azienda - sia essa una piccola ditta a conduzione familiare o la filiale di una multinazionale - seleziona un partner esterno, lo fa basandosi su pochi, basilari criteri: l’affidabilità, la proattività, l’attitudine all’ascolto e al problem solving. Dopo aver avviato la partnership, nel corso di una relazione che diventa continuativa occorre effettuare delle rivalutazioni periodiche dei contratti in essere. Affidarsi ad un partner esterno sgrava l’azienda-cliente da incombenze burocratiche, e le permette al contempo di beneficiare di interventi rapidi e puntuali quando si presenta un problema o un’urgenza. In tema del risparmio sui costi mensili. Di che percentuali stiamo parlando? Facendo una media tra i risparmi mensili registrati da tutte le nostre aziende-clienti, direi che si riesce ad ottenere un’ottimizzazione di almeno il 30%. In alcuni casi, la percentuale è anche più alta. Come si riesce a spuntare delle tariffe così competitive con gli operatori del settore? Riuscendo a mettere a punto delle configurazioni sartoriali, che presuppongono la scelta di contratti mirati alle esigenze dei singoli utenti senza dispersioni in costi inutili; inoltre, facendo leva su una valida negoziazione mediante la quale riusciamo ad ottenere condizioni tariffali molto concorrenziali. Spesso gli imprenditori pagano le fatture senza soffermarsi sul dettaglio. Noi, invece, interveniamo proprio su questi aspetti.

In che modo i servizi che offrite possono definirsi “integrati” e “innovativi”?

Antonino Piraino, Ceo di Sps Swiss Plus Solution Sa.

Con il termine “integrati”, intendiamo dire che - nella configurazione messa a punto per ciascuna delle nostre aziende-clienti - noi consideriamo entrambe le telefonie, sia quella fissa che quella mobile. Non solo: ci occupiamo anche del servizio di assistenza, anch’esso integrato nei processi e nell’attività aziendale quotidiana.

Quando invece parliamo di servizi “innovativi”, ci riferiamo all’Internet of Things, ovvero alla possibilità di far dialogare i devices telefonici con gli impianti e con gli apparecchi presenti in azienda (ma anche in una casa o in un appartamento): pensiamo, ad esempio, all’accensione o allo spegnimento di un macchinario o della luce, al controllo dell’impianto d’allarme o di una linea di produzione, al rilevamento dei consumi all’interno degli uffici o degli stabilimenti produttivi, e a molto altro ancora.

Come valuta, in generale, l’atteggiamento degli imprenditori nei confronti dell’evoluzione tecnologica?

Vedo ancora molta resistenza, da parte delle aziende, sia ad abbracciare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, sia ad adeguarsi alle nuove normative: pensiamo, ad esempio, ai dettami della Legge federale sulla protezione dei dati (Lpd). La nuova generazione di imprenditori, invece, ha un approccio decisamente più aperto; nella mia esperienza, le nuove leve sono più propense a valutare positivamente i rapidi cambiamenti in atto e a comprenderne in anticipo i vantaggi competitivi.

Simona Galli

Consigliare con agilità

Qual è il ruolo di un consulente indipendente, e cosa lo differenzia rispetto ai Big del settore? Quando è tempo di rivolgersi a tale figura, e quando è invece troppo tardi?

Consigliare, valutare, decidere, definire una strategia, e lavorare per implementarla, ricalibrandola nel corso del tempo all’emergere di imprevisti, o più semplicemente al mutare delle circostanze. «Quello del consulente strategico è un compito molto spesso ingrato, richiede energie e tempo a non finire, ci si fa carico di grandi responsabilità, e quando si arriva alla meta, quando il merito dovrebbe essere riconosciuto, sovente non avviene, e si entra nella zona grigia in cui è valido tutto e il contrario di tutto», sintetizza Marco Piatesi, indipendent strategic consultant.

L’indipendenza di giudizio, e l’assenza di conflitti d’interesse, anche in questo ambito ha i suoi indiscutibili pregi, sufficienti a controbilanciare gli inevitabili svantaggi. «Essere indipendenti, non vestire dunque la casacca di uno dei grandi player del mercato, è una carta importante, che deve essere spesa, e che troppo spesso viene invece sottovalutata da aziende e imprenditori. Un consulente indipendente non è sicuramente scalabile, si occupa di una o al massimo due aziende per volta, ma spende sé stesso e la sua credibilità ogni giorno in un dato progetto, mettendoci tutta la sua passione, cosa che solitamente non avviene nel caso dei colossi della consulenza in cui subentrano dinamiche molto diverse», prosegue Piatesi. Quando puoi contare solo su te stesso, l’esperienza assume un valore completamente diverso. Esperienza e competenza, il ‘binomio delle meraviglie’, la differenza tra successo e fallimento. «Sicuramente non mi mancano neppure l’entusiasmo e la voglia di spendermi, nel guidare una Pmi o un imprenditore in un percorso di internazionalizzazione del proprio business, aprendo mercati esteri, forgiando partnership nei mercati di sbocco. Ho alle spalle diversi anni di

Marco Piatesi, indipendent strategic consultant esperto.

esperienza nel settore farmaceutico e biomedicale, dove sono attivo sin dal 1998, quando ero responsabile per il Sud America per Solchem Spa, gigante del settore delle materie prime per il farmaceutico. All’epoca mi occupavo dell’apertura di nuovi mercati e dello sviluppo del business per conto di Solchem Italia», afferma il consulente. All’interno del settore, l’esperienza maturata ha reso possibili operazioni significative, con il taglio del nastro di traguardi importanti. «Guardando a tempi più recenti, tra i progetti che mi hanno dato le migliori soddisfazioni c’è il rilancio di Kemicalia srl, prima dall’interno e poi da consulente esterno. Si è trattato di ristrutturare la società, aprendo nuovi mercati, trovando nuovi contratti di fornitura nel biomedicale con grossisti stranieri, e soprattutto portando il fatturato a sfiorare i 5 milioni di euro in pochi anni. L’azienda è stata poi ceduta. Successivamente a quell’operazione ho deciso di mettermi in proprio, aprendo un’azienda individuale in Italia, e dall’anno scorso in Svizzera, tra Ticino e Grigioni», racconta Piatesi.

Grande ma non troppo, sfidante ma non impossibile, chi è il cliente tipo per un consulente indipendente? «Solitamente il mio interlocutore è una Pmi, con un fatturato tra i 10 e i 50 milioni, un’azienda di famiglia, in cui spesso stanno già convivendo due generazioni, ma che soprattutto non è ancora sufficientemente strutturata da avere ad esempio un direttore commerciale fisso dedicato all’apertura di nuovi mercati: attività complessa che, soprattutto, assorbe moltissime energie. A dipendenza della tipologia di progetto ed esigenze dell’impresa subentrano ulteriori criteri di valutazione circa la fattibilità, e la misurazione/raggiungimento degli obiettivi concertati», rileva il consulente.

Ed ecco che il timing assume un ruolo decisivo. Quando è il momento giusto di avviare un tale percorso? «Ogni caso è diverso, ogni azienda o famiglia è un mondo a sé. Un requisito importante, per poter iniziare a occuparsi di determinate operazioni, è la sostenibilità del business, quella che definisco ‘serenità’ finanziaria sull’andamento dei propri affari attuali. Un esempio pratico e ricorrente è la successione, spesso da padre a figlio. Non si deve aspettare troppo, o tergiversare, altrimenti si rischia di inficiare il successo del passaggio, ma al tempo stesso l’erede deve essere all’altezza del compito, e avere quindi delle competenze. In tal caso si possono costruire interessanti percorsi di affiancamento tra junior e consulente che, iniziando con debito anticipo e senza fretta, potrebbero riservare non poche soddisfazioni, garantendo serenità all’azienda e alle persone a cui la stessa fa capo», conclude Marco Piatesi.

Per informazioni: Tel. 079 198 88 78 mp@mpadvising.eu

Al lavoro per unire risorse e occasioni

Far incontrare le giuste opportunità con le giuste capacità è cruciale sia per la competitività delle aziende che per la crescita dei professionisti, accomunati oggi dalla necessità di affrontare l’evoluzione del mercato del lavoro, intensificata da innovazione e cambiamento generazionale.

Sfide che rendono il settore delle Risorse umane sempre più strategico.

Trasformazione digitale e demografica, carenza di competenze, aspirazioni in evoluzione dei professionisti esercitano una crescente pressione sul mercato del lavoro. I modelli si ribaltano: il job hopping scalza il posto vita natural durante, la flessibilità dello smartworking sradica presenze in ufficio e orari fissi, la formazione non si conclude più con il diploma ma è un ciclo continuo. E, soprattutto sono i rapporti di forza a invertirsi: sempre più spesso i dipendenti stessi selezionano le aziende per cui lavorare, e non il contrario. Una tendenza destinata ad accentuarsi con il deflusso dei baby boomer e che la worklife balance propugnata dalle nuove generazioni è destinata a rafforzare. At-

trarre e trattenere i talenti diventa dunque ancor più cruciale per la competitività delle organizzazioni.

«Non si tratta più solo di coprire posti vacanti. La vera sfida oggi è far incontrare competenze e opportunità in un contesto altamente dinamico e complesso, costruendo partnership solide e con un approccio incentrato sulle persone. Riqualificare, aggiornare, creare una forza lavoro più agile e aiutare le organizzazioni a diventare datori di lavoro attraenti: è questo il compito di un leader di soluzioni Hr lungimirante», esordisce Marcel Keller, Country President di Adecco Group Switzerland. Entrato in carica a ottobre 2021, ha vissuto la fase apicale del cambiamento, intensificato dalla pan-

demia. D’altronde proprio un’influenza, l’asiatica del 1957, aveva suggerito al vodese Henri-Ferdinand Lavanchy l’idea di iniziare a ‘noleggiare’ personale sostitutivo: segretarie, dattilografe, addette alla fatturazione, impiegate allo sportello,... di cui le aziende erano rimaste sprovviste. Il suo Bureau d’occupation provisoire temporaire è stata la prima agenzia di collocamento temporaneo di personale in Europa, nel 1959 ribattezzato Adia Interim, e poi Adecco dopo la fusione nel 1996 con la francese Ecco, operazione con cui i due leader mondiali del settore, dai mercati complementari, hanno unito le forze. Trent’anni dopo Adecco, fra le tre Global Business Unit dell’omonimo Gruppo, è presente in 62 paesi con 3.800 location e 25mila reclutatori esperti, oltre 660mila incarichi di collaborazione e 750mila persone qualificate e formate. Scala globale, radici locali. A contraddistinguerla è la capacità di combinare la portata internazionale con l’esperienza locale. «I nostri consulenti conoscono profondamente i mercati in cui operano e sono in grado di adattare le soluzioni alle esigenze specifiche di clienti e candidati. Allo stesso tempo, possiamo attingere alle risorse globali del Gruppo in termini di tecnologia, ricerca e innovazione. Le sinergie con gli altri marchi, sono particolarmente importanti: con LHH offriamo soluzioni per lo sviluppo dei talenti, l’outplacement e la trasformazione, mentre con Akkodis mettiamo a disposizione competenze avanzate in ingegneria digitale», illustra Marcel Keller. Leader su scala internazionale ed europea, in Svizzera Adecco detiene una quota di mercato a doppia cifra. La rete nazionale conta un centinaio di filiali in oltre 50

località e più di 400 collaboratori. Il portafoglio clienti spazia dalle multinazionali alle grandi aziende fino a un’ampia base di Pmi, con un mix equilibrato di attività: il personale temporaneo rappresenta la parte più consistente dei volumi, ma il reclutamento permanente e di professionisti specializzati - seppur numericamente inferiore - è di importanza cruciale. Pur non figurando tra i suoi dieci mercati più grandi, la Svizzera è altamente strategica: non solo per la presenza dell’headquarter a Zurigo, ma anche per la sua funzione di hub di governance e innovazione. «Qui viene definita la direzione strategica e si collabora con stakeholder internazionali, dalle autorità di regolamentazione ad associazioni di settore come Swissstaffing. Inoltre, essere basati in un Paese noto per stabilità, innovazione e standard si allinea ai nostri valori e rafforza la nostra credibilità. La Svizzera funge anche da “laboratorio”: grazie alla diversità economica, al contesto multilingue e multiculturale e alla compresenza di Pmi e multinazionali possiamo testare nuove soluzioni da scalare a livello internazionale», osserva il Country President di Adecco Group Switzerland. La strategia dietro la crescita. Sostanziale l’equilibrio fra clientela aziendale e privata: la prima acquirente delle soluzioni offerte, la seconda che alimenta il bacino di candidati. Reclutamento di personale temporaneo, collocamento permanente, outsourcing e soluzioni Hr sono le principali linee di servizio di Adecco. «Il nostro modello di ricavo è volutamente multistream. Come consuetudine nel settore, guadagniamo margini sui collocamenti orari per lavori temporanei, mentre in genere per il reclutamento permanente applichiamo commissioni di collocamento. Per le soluzioni di outsourcing come il Recruitment Process Outsourcing (Rpo) e il Managed Service Provider (Msp) si lavora invece su contratti/anticipi e commissioni di progetto. Infine, per la formazione, la transizione di carriera e i servizi di consulenza, adottiamo un mix di tariffe a progetto, abbonamenti e prezzi legati ai risultati», spiega Marcel Keller.

«Nostro compito è aiutare le persone e le aziende a districarsi nella crescente complessità odierna. Far incontrare domanda e offerta del mercato nel lavoro non è una semplice transazione, ma richiede lungimiranza, partnership solide e un approccio incentrato sulle persone»

Marcel Keller, Country President di Adecco Group Switzerland

Una fotografia di Adecco Group e Adecco Svizzera

Tra i primi tre player mondiali e leader in Europa, Adecco Group ha consolidato anche in Svizzera una posizione di forza, con servizi per ogni esigenza del settore Hr.

Adecco Group nel mondo

Una presenza in oltre 60 Paesi, costruita abbinando crescita organica e acquisizioni

Capillare in tutta la Svizzera

In oltre 50 località con un centinaio di filiali

Giocoforza minore in termini di volume di attività, la Svizzera mantiene un valore strategico per Adecco Group, che ha il suo Hq a Zurigo ed è quotata alla Six Swiss Exchange. Il mercato del lavoro nazionale - anche laboratorio per sperimentazioni da portare su scala globale - viene monitorato attraverso lo Swiss Job Market Index e lo Skills Shortage Index, elaborati con l’Università di Zurigo. Gli ultimi dati confermano il raffreddamento del secondo trimestre, soprattutto per professioni informatiche, amministrative e commerciali.

A sostenere la solidità e l’agilità del Gruppo contribuisce anche il piano Future@Work, che ha ridefinito strategia e cultura aziendale attorno a tre pilastri: “Semplificare” per snellire i processi e migliorare l’efficacia organizzativa, “Eseguire” per avvicinare il processo decisionale ai clienti e “Crescere” per ampliare ulteriormente la quota di mercato. «Questa strategia ci aiuta a bilanciare disciplina e ambizione. Gestendo un’attività più snella contribuiamo agli obiettivi di riduzione del debito del Gruppo, senza rinunciare a investimenti nelle aree di crescita come le soluzioni digitali e l’upskilling», rileva Marcel Keller. Un approccio che nel 2024 - secondo anno di attuazione - si è tradotto in una crescita relativa dei ricavi pari a +200 punti base rispetto ai principali concorrenti.

Sfide strutturali. Ma il vero tema per chi si occupa oggi di Risorse umane sono quelle digitali. Cogliere le opportunità è d’obbligo per mantenere la leadership: dal neodiplomato al dirigente senior, trasversalmente a ogni settore, l’Ai è destinata a essere onnipresente nel mondo del lavoro

Il mercato del lavoro svizzero torna a raffreddarsi Andamento del Job Index rispetto a Pil e Indicatore dell’occupazione Kof

- e non solo. Così come il capitale umano e i datori di lavoro devono capire come servirsene per sfruttarne il potenziale, a maggior ragione deve farlo chi offre loro i suoi servizi. La GenAi sta già ridefinendo il settore: da una selezione più rapida dei cv a una migliore esperienza dei candidati. Ma non c’è il rischio che si trasformi in una concorrente dei reclutatori? «Considero l’intelligenza artificiale un facilitatore, non un competitor. I migliori reclutatori useranno questi strumenti per concentrarsi su ciò che conta di più e che non può essere replicato dagli algoritmi: il fattore umano nella costruzione della fiducia, nella comprensione delle motivazioni e nella valutazione dell’adeguatezza culturale. Coloro che combinano empatia e relazioni reali con la tecnologia definiranno il futuro della nostra professione, consentendo un servizio di livello superiore: assunzioni più rapide, intuizioni più acute e accesso a competenze rare per i clienti; maggior personalizzazione e supporto per i candidati», sottolinea Marcel Keller. Con la sua roadmap digitale Adecco Group si sta posizionando come pioniere. Molte iniziative hanno come loro epicentro l’Hq di Zurigo. Con Microsoft, ad esempio, si sta sviluppando una piattaforma di carriera basata su GenAi per aiutare le persone a valutare le proprie competenze, colmare le lacune e rimanere occupabili, mentre con Salesforce sta lanciando un’iniziativa per aiutare le organizzazioni a gestire team ibridi di persone e agenti di intelligenza artificiale. Le sfide strutturali non terminano qui. Fra le più critiche ce n’è una squisitamente umana: l’uscita dal mercato del lavoro dei baby boomer, in particolare in settori dove esperienza e know-how sono difficili da sostituire: sanità, ingegneria e professioni tecniche - già oggi in cima alla lista di quelli che accusano carenza di personale. «Ci stiamo preparando su più fronti», precisa il Country President di Adecco Group Switzerland. «Aiutiamo le aziende a trattenere più a lungo le conoscenze attraverso programmi di mentoring e pensionamenti graduali, sostenendo al contempo programmi di riqualificazione e aggiornamento professionale affinché i giovani talenti possano assumere questi ruoli. Il nodo demografico non è solo una sfida: è un’opportunità per ripensare la collaborazione tra generazioni e per impiegare i talenti in maniera più flessibile».

Fonte: Adecco Group Swiss
Index T2 2025
Fonte: Adecco Svizzera
Fonte: Adecco Group

Affinché sia possibile, sfruttando le nuove tecnologie, lavorare in modo più efficace e creativo, sarà fondamentale che le aziende stesse preparino la loro forza lavoro a cogliere le opportunità e adattarsi, offrendo aggiornamento professionale, progressione di carriera e condizioni attrattive per i talenti, a partire dalla worklife balance.

Occupazione transfrontaliera, mobilità dei talenti stranieri e modalità di lavoro ibride sono altre caratteristiche, ben rappresentate dal mercato elvetico, che rendono cruciale anche l’apporto del team Legal per garantire la compliance rispetto a normative complesse e mitigare i rischi, oltre a fornire assistenza in materia di contratti, protezione dei dati e modifiche al diritto del lavoro.

Fra le tendenze emergenti, l’outsourcing dei servizi Hr attira crescente interesse. Una soluzione non solo per le piccole aziende che non possono gestire internamente reclutamento, formazione e amministrazione del personale, ma persino per multinazionali che dispongono già di reparti Hr consolidati: «Ad esempio, possiamo gestire progetti mirati come la mappatura dei talenti, forniamo supporto consulenziale senior per la trasformazione della forza lavoro e offriamo modelli misti (co-sourcing) in modo che i clienti mantengano il controllo dove lo desiderano e deleghino dove è opportuno. Questo approccio collaborativo riduce i tempi di assunzione, ne migliora la qualità e libera le risorse umane, consentendo loro di concentrarsi sulle priorità strategiche», nota Marcel Keller.

Al lavoro per il futuro. Pur rimanendo fra i mercati del lavoro più resilienti in Europa, nemmeno la Svizzera è immune alle difficoltà globali: le tensioni commerciali e i rischi geopolitici creano volatilità, soprattutto nei settori trainati dall’export. «Mi aspetto che la domanda di manodopera qualificata resti elevata, ma anche una crescente pressione sulle aziende affinché si adattino rapidamente», anticipa il Country President.

Da quando oltre sessant’anni fa Adia ed Ecco hanno gettato le basi dell’odierno Gruppo multinazionale, il settore delle Risorse umane ha vissuto una trasformazione radicale. Quello che era nato come un semplice servizio di reclutamento di personale si è evoluto in una gamma

Incertezza economica

Lavoro flessibile

Digitalizzazione

Intelligenza artificiale

Gen-AI

Carenza talenti / competenze

Automazione

Incertezza business

Transizione verso green economy

Incertezza geopolitica

Come i lavoratori impiegano il tempo risparmiato con l'IA

Verifica controllo/ accuratezza lavoro

Più lavoro creativo

Miglior worklife balance

Più pensiero strategico

Più tempo per le stesse attività

Più training/upskilling

completa di soluzioni per la forza lavoro: dal collocamento temporaneo e permanente all’outsourcing, alla consulenza, al miglioramento delle competenze e alle piattaforme digitali per la ricerca di talenti. «Prevedo che il consolidamento tra i leader del settore continuerà, spinto dalla necessità di scalabilità, investimenti digitali e conformità normativa. Allo stesso tempo, i player specializzati continueranno ad avere un ruolo importante nei mercati locali e in segmenti di nicchia. La nostra strategia è chiara: proseguiremo nella diversificazione, puntando sulla crescita selettiva in aree ad alto valore aggiunto e potenziale», afferma il Country President di Adecco Group Switzerland. Un’attitudine che richiede un continuo aggiornamento dei propri consulenti. Ma, in qualità di leader nel reclutamento delle risorse umane e fra i maggiori datori di lavoro al mondo, con 70mila collaboratori (34mila Etp), in che modo Adecco Group individua e sviluppa i propri, di talenti? «Cerchiamo persone non solo competenti, ma motivate a fare la differenza nella vita lavorativa altrui. Lo sviluppo inizia

“Perché vorresti lasciare il tuo lavoro nei prossimi 12 mesi?”

più elevato

Miglior worklife balance

La mia carriera non sta progredendo

Acquisire skills più appetibili sul mercato

Trovare un lavoro con più opportunità di upskilling/training

■ Media ■ “Future-ready workers”

dal primo giorno con un inserimento strutturato, il mentoring con un buddy personale e la formazione continua con la nostra Training Academy e la possibilità di beneficare di mobilità internazionale e programmi di leadership. Molti nostri dirigenti hanno iniziato da ruoli operativi e sono cresciuti all’interno dell’organizzazione, me compreso, dato che in origine mi sono diplomato come chef», conclude Marcel Keller.

Le stesse logiche offerte ai propri clienti, con un percorso che unisce crescita individuale e trasformazione organizzativa: la chiave per affrontare le sfide del futuro del lavoro. Attentamente monitorate da Adecco Group: esce in questi giorni la sesta edizione del suo studio Global Workforce of the Future, la più ambiziosa di sempre, basata su un sondaggio condotto su 37.500 lavoratori in 30 mercati. Per analizzare e condividere le tendenze che, ormai al ritmo di mesi e non più anni, stanno ridefinendo il mondo e il concetto stesso di lavoro e capitale umano.

Susanna Cattaneo

Fonte: Global Workforce of the Future 2024, Adecco Group
Fonte: Global Workforce of the Future 2024, Adecco Group
Fonte: Global Workforce of the Future 2024, Adecco Group

Workation: basta benefit

È tempo di inaugurare una nuova etica del lavoro, che abbracci sostenibilità, autonomia e senso di appartenenza. Come farlo? Non limitando il vero potenziale delle persone.

Il ruolo della Workation nel mondo del lavoro

La possibilità di lavorare in remoto dall’estero è interessante per molti

Francesca Prospero Cerza, fondatrice di coworkingbar.ch Il ruolo della Workation tra i più giovani è sempre più determinante professionalmente.

Nel 2023, stando a PwC, il 75% delle richieste di workation in Europa è arrivato dalla Generazione Y (1981’96). L’80% della Gen Z (1997-’12) considera la possibilità di lavorare temporaneamente da un altro luogo un fattore decisivo per accettare un’offerta. Più che ‘privilegio’, è la richiesta di autonomia, benessere e ambienti stimolanti.

Nel 2024, una nuova analisi mostra altre evidenze che rafforzano il messaggio: - il 30 % dei collaboratori dichiara di rifiutare un’offerta lavorativa se l’azienda non permette workation, e tra i 18–29 anni la percentuale sale al 45%; - il 51% delle persone intervistate ha già la possibilità di lavorare all’estero e può farlo in media 40 giorni all’anno; - il 42% dei collaboratori ha già sperimentato la workation (26% una volta, 16 più volte); e il 92% lo rifarebbe.

Eppure, molte aziende svizzere la vedono come un ‘extra’ per i più esigenti. Cos’è davvero? La workation è una modalità di lavoro che consente alle persone di operare da luoghi diversi dall’ufficio o

dalla propria abitazione, spesso in contesti turistici o rigeneranti.

Non è una vacanza. Non è un premio. È un’esperienza ibrida dove produttività e benessere si incontrano. Quando ben progettata impatta significativamente sull’aumento di motivazione e senso di appartenenza, benessere mentale percepito, diminuzione del turnover e mantiene (se non aumenta) la produttività.

Quattro linee guida pratiche per le aziende che vogliono sperimentare: Definire policy chiare: stabilire durata, località, compatibilità di fuso orario e requisiti minimi (sicurezza, disponibilità...); Approccio pilota: avviare con piccoli gruppi, raccogliendo feedback strutturati; Allineamento culturale: integrare la workation con team building, ritiri o progetti collaborativi; Misurare l’impatto: monitorare engagement, performance e benessere, usando gli strumenti adatti.

La leadership aziendale. Chi guida un team oggi deve abbandonare la leadership del controllo e abbracciare quella del contesto: creare ambienti che stimolano creatività, fiducia, rigenerazione.

Policy di workation e smartworking, non sono semplici strumenti Hr, ma leve di Governance, di cultura e persino di innovazione. Il Future of Work 2024 Report rileva infatti che il 63% delle aziende che sperimentano luoghi di lavoro fuori sede registra un incremento nell’innovazione percepita. Spazi esterni di lavoro (coworking hotel, hub creativi, natura) permettono di ospitare ritiri strategici, workshop, team building ed eventi di networking.

Aziende svizzere come Dufour Aerospace e LaPosta stanno già sperimentando queste pratiche con risultati tangibili in termini di maggior soddisfazione, retention dei collaboratori e performance.

Ogni innovazione incontra resistenze. Superarle richiede esperienze mirate, con budget definiti, obiettivi misurabili e protocolli di sicurezza. La workation non è solo una risposta interna: nella guerra dei talenti aumenta attrattiva e retention; contro il burnout offre rigenerazione; nella transizione green privilegia mobilità e destinazioni sostenibili; nelle politiche di flessibilità rafforza l’immagine aziendale. Per chi decide. Workation e coworking sono strumenti di trasformazione culturale, laboratori mobili di una nuova etica del lavoro che abbraccia sostenibilità, autonomia e senso di appartenenza.

Non è una moda. È una rivoluzione. E come tale comincia da una domanda scomoda: perché lavoro come lavoro? Se il luogo in cui si lavora modella il modo di pensare e creare, perché limitare il potenziale delle persone alle mura dell’ufficio?

Fonte: PwC 2024
Uomini
Donne
Troverebbe interessante la Workation se proposta?

Pinacoteca cantonale

Giovanni

Züst

Rancate

Mendrisio

Dal 19 ottobre 2o25 al 22 febbraio 2o26

Orari d’apertura: Martedì-venerdì 9–12, 14–17

Sabato–domenica, 1. novembre, 8 e 26 dicembre, 1. e 6 gennaio 10–12, 14–18

Lunedì, 24, 25 e 31 dicembre chiuso

Materia che trascende il tempo

Sono materia viva, antica, carica di resilienza e metamorfosi. Le pietre naturali: non solo materiali da plasmare, ma custodi di storie geologiche, memorie del territorio, eredità culturali. Incontrando il gesto umano, si trasformano in oggetti che abitano lo spazio, lo raccontano, e si fanno complici nel quotidiano. Dagli edifici alla scultura funzionale e decorativa fino all’orologeria più raffinata, questi materiali millenari si offrono come ponti tra natura e cultura, tra ciò che è eterno e ciò che è attuale.

Diventano superfici da accarezzare, volumi da contemplare, dettagli da indossare. Il marmo si piega al linguaggio del design contemporaneo, i minerali rari si fanno quadranti unici, i cristalli riverberano luce e memoria. Non è solo estetica, ma una sinfonia di significati dove la materia dialoga con l’ingegno, e il tempo si misura anche in bellezza.

Proprio da questa visione - che unisce passato e futuro, artigianato e innovazione - nasce Cristallina Design, un brand ticinese che ha scelto di raccontare l’unicità

Rocce, minerali, cristalli affiorano dalla profondità della terra come frammenti di eternità. Trasformàti in oggetti e opere, custodiscono memorie ancestrali e dialogano con il presente. Così la materia primordiale si fa racconto, tra architettura, savoir-faire artigianale, design e arte.

dell’unico marmo autoctono della Svizzera attraverso oggetti di lusso, scultorei ma funzionali, emozionali ma concreti. È la sua fondatrice, Natascia Finocchiaro Maurino a raccontare come una cava, una storia di famiglia e una forte sensibilità creativa siano diventati il mo-

In apertura, la cava di marmo Cristallina, in Ticino, a Peccia. Sopra, la scacchiera Scacco Matto realizzata da Cristallina Design.

tore di un progetto che porta la bellezza della natura dentro la vita quotidiana. Tra sostenibilità, design e cultura materica.

«Già attivi nell’estrazione e nella lavorazione della pietra naturale, gli avi della famiglia Maurino nell’Ottocento si trasferirono dal Piemonte in Ticino», esordisce Natascia Finocchiaro Maurino, «In quegli anni, con l’apertura del nuovo asse del San Gottardo, il territorio stava vivendo una fase di grandi trasformazioni e nuove opportunità. Si insediarono nella zona di Biasca, dove tuttora ha sede l’azienda». Il passaggio dalla tradizione all’innovazione avviene oltre quindici anni fa, con l’acquisizione della gestione, da parte della famiglia, dell’unica cava di marmo oggi attiva in Svizzera, situata a Peccia. «Non era più attiva da tempo e riportarla in funzione ha richiesto un impegno considerevole, sia sul piano tecnico sia su

stallina, l’unico marmo svizzero che, già in passato, era stato utilizzato in progetti architettonici prestigiosi. Per noi è stato naturale proseguire questa tradizione, ma anche farla evolvere, enfatizzando il Cristallina non solo come risorsa tecnica ma come simbolo di bellezza e identità», prosegue Natascia Finocchiaro Maurino, «Con la creazione di Cristallina Design abbiamo voluto estendere l’utilizzo del marmo oltre l’edilizia e l’architettura, come elemento centrale per oggetti capaci di raccontare l’anima della pietra e del territorio attraverso il linguaggio del design contemporaneo. Per concretizzare questa visione abbiamo coinvolto giovani talenti e una realtà universitaria di eccellenza. L’incontro con l’Ecal di Losanna, tra le scuole di design più prestigiose d’Europa, ha permesso di avviare una collaborazione inedita: gli studenti del Ma-

quello organizzativo ed economico. Una scelta che ci ha permesso, tuttavia, di valorizzare un patrimonio peculiare: il Cri-

In questa pagina, Lavizzara Library e Cristavino. Oggetti di design realizzati in collaborazione con l’Ecal di Losanna, tra le scuole di design più prestigiose d’Europa. Protagonisti della collaborazione, giunta al terzo anno, gli studenti del Master in Design for Luxury & Craftmanship.

ster in Design for Luxury & Craftsmanship lavorano direttamente con il marmo Cristallina, vengono in Ticino, vivono la cava, esplorano il territorio e traducono l’esperienza in oggetti unici, raffinati, destinati a durare». Il risultato sono sei collezioni di arredi e oggetti che vanno oltre l’estetica. «Il dettaglio è il vero protagonista: finiture, proporzioni e giochi di luce trasformano un materiale spesso percepito come “freddo” in qualcosa di profondamente umano, emozionale, quasi narrativo», prosegue l’intervistata.

Sopra, Natascia Finocchiaro Maurino, fondatrice e Ceo di Cristallina Design. In queste pagine alcune creazioni realizzate con marmo Cristallina, proveniente dall’unica cava attiva in Svizzera, a Peccia.

Il marmo Cristallina custodisce una storia geologica antichissima: «Nasce nel Triassico, quando le Alpi svizzere erano sommerse dal mare. Estrarlo oggi dalle montagne del Ticino significa in realtà raccontare un passato marino, perché la sua formazione deriva dalla calcificazione di organismi ed elementi marini, tra cui i coralli. È incredibile pensare che un materiale che oggi rappresenta la solidità delle nostre montagne racchiuda in sé la memoria del mare. Dal punto di vista tecnico, il Cristallina è un marmo straordi-

nariamente resistente. A differenza di altri marmi, notoriamente delicati e soggetti a macchiarsi o rovinarsi facilmente, il Cristallina può essere utilizzato in contesti molto esigenti senza temere danni. Resistenza legata a una peculiarità strutturale: i cristalli che lo compongono, più grandi della media (tra i 2 e i 5 millimetri), non solo ne aumentano la solidità, ma regalano anche una luminosità particolare. Questi cristalli catturano e riflettono la luce, donando agli oggetti una brillantezza unica e la capacità di dialogare con l’ambiente circostante. Un altro aspetto che lo rende irripetibile è la ricchezza cromatica. Le sue sfumature variano dal bianco al grigio, fino a toni caldi e venature imprevedibili, offrendo infinite possibilità espressive. Spesso nelle nostre collezioni utilizziamo più colori insieme, creando interessanti dialoghi visivi. Un esempio emblematico è la scacchiera Blooming, dove gli scacchi alternano il Cristallina Violet - un viola intenso - al Cristallina White, luminoso e chiaro».

Il rispetto per questo materiale non si esaurisce nella forma e si estende al contesto. «Il valore etico e sostenibile guida ogni fase della nostra produzione: l’estrazione in galleria, meno invasiva e più rispettosa dell’ambiente, il laboratorio alimentato a energia solare, le lavorazioni realizzate con tecnologie di ultima generazione per ridurre al minimo gli scarti; ma ci affidiamo anche a mani esperte che conoscono la pietra e sanno interpretarla. Un approccio responsabile che restituisce al marmo il valore che merita: non solo risorsa naturale, ma patrimonio culturale da proteggere e trasmettere alle generazioni future. Materiale che appartiene profondamente al Ticino e alla Svizzera, entra in ogni creazione dandole uno spessore che va oltre l’estetica: diventa racconto,

L’impiego di pietre nell’alta orologeria è (anche) un richiamo all’origine simbolica del tempo. Queste pietre, forgiate in milioni di anni, racchiudono una temporalità profonda, geologica, che si contrappone alla misurazione precisa dei secondi.

Da sinistra verso destra, un orologio da tavolo vintage Piaget in malachite e un segnatempo Antarctique Mount Erebus di Czapek & Cie, qui nella versione in lapislazzuli.

identità e memoria». Con gli oggetti che scegliamo di esporre negli spazi personali, raccontiamo qualcosa di noi agli altri, ma allo stesso tempo quegli oggetti ci parlano, ci restituiscono un riflesso di chi siamo e ci fanno stare bene. «Questa interazione tra persona, ambiente e materia genera atmosfera e benessere. È un lusso che non si ostenta, ma che si respira», nota la titolare di Cristallina Design, sottolineando come l’omonimo marmo sia da sempre impiegato in opere importanti. Due, per esempio: l’edificio sede di Bucherer a Zurigo, dove è stato utilizzato sia per le facciate esterne sia per gli arredi interni, il quale ha vinto nel 2021 il premio come miglior edificio della città di Zurigo, e la celebre Chiesa di Mogno, progettata dall’architetto Mario Botta, caratterizzata

dal marmo Cristallina, abbinato al granito per creare un’opera architettonica contemporanea volta a valorizzare le pietre del territorio. La chiesa è oggi una meta turistica e culturale di grande richiamo, il cui fascino risiede anche nell’uso sapiente di questi materiali. Progetti iconici questi, ma è anche in edifici pubblici e ville di lusso che trova impiego il Cristallina, la cui versatilità spazia dall’architettura monumentale fino al design più intimo e quotidiano. «Con Cristallina Design abbiamo voluto portare questo patrimonio oltre l’architettura, dentro oggetti che fanno parte della vita di tutti i giorni, mantenendone intatti la solidità e lo stesso valore simbolico», aggiunge Finocchiaro Maurino, che è anche Ceo dell’azienda.

In un mondo in cui la velocità e l’effimero sembrano definire le nostre scelte quotidiane, esiste una bellezza che si contrappone a questa frenesia, una bellezza che affonda le radici nel tempo e nella memoria. È quella di oggetti, materiali e creazioni che trascendono la moda e il consumismo, diventando parte di una

narrazione più profonda e duratura. Il vero lusso, in questa prospettiva, non è un mero accumulo di oggetti, ma una scelta consapevole di ciò che resiste al passare del tempo, che racconta storie, evoca emozioni e, soprattutto, mantiene intatta la propria identità nel corso degli anni. Questa bellezza è fatta di materiali che portano con sé l’impronta della terra, del lavoro artigianale, delle tradizioni che non si dissolvono, ma che si evolvono con rispetto.

Un invito a riflettere sul nostro rapporto con le cose che ci circondano, a dare valore a ciò che è autentico e raro, e a riconoscere l’importanza di un’arte che non è solo estetica, ma anche funzionale e simbolica. Ogni oggetto che sopravvive al tempo, che non si limita a rispondere a una necessità immediata, ma che si presta a diventare parte di una memoria collettiva, possiede una forza che va oltre l’apparenza. Diventando parte integrante della storia di un individuo, di un luogo, di un’epoca.

I protagonisti dell’approfondimento:

p. 64

Daniel Dubas

p. 63

Antonio Hautle

Direttore esecutivo UN Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein

Delegato del Consiglio federale all’Agenda 2030

p. 67

p. 65

Reto Knutti Fisico del Clima, docente e ricercatore ETH Zürich

Jonathan Normand Fondatore e Ceo di B Lab Svizzera

p. 69

Pasqualino

Pansardi

p. 68 Giovanni Facchinetti

Fondatore e Managing Director di Positive Organizations

Ceo di GhenPower

p. 73

Patrick Calcagni

Direttore di Ferelca SA

p. 75

Roberto Ferroni

Sostenibilità speciale

A cura di Susanna Cattaneo

Ip. 70

Lorens Re Direttore di CASADA SA

p. 74

Michele Foletti Sindaco della Città di Lugano

Direttore dei Trasporti

Pubblici Luganesi

mperativo morale, economico o normativo? Maturano i tempi e la sostenibilità aziendale, da vocazione etica inscritta nella sensibilità di pochi virtuosi o nella natura stessa del proprio business, è assurta a driver strategico di performance e competitività, dimostrando ‘non solo’ di generare un impatto positivo su ambiente e comunità, ma anche di contribuire a ottimizzare costi e attrarre talenti, clienti e investitori. Volenti… o nolenti, perché anche attorno a chi non fosse ancora persuaso dalle prospettive di profitto iniziano a stringersi le maglie della regolamentazione, introducendo nuovi obblighi di rendicontazione e conformità. Mentre si avvicina il primo grande traguardo calendarizzato al 2030 dall’Agenda dell’Onu, parte il conto alla rovescia. Il momento non è dei più propizi, con l’Amministrazione Trump che, bollato il cambiamento climatico “la più grande truffa mai perpetrata ai danni del mondo”, rischia di indurre altri se non a imitarla disertando l’Accordo di Parigi, almeno a rallentare il ritmo quando la necessità primaria diventa quella di sopravvivere nell’immediato, reindirizzando le risorse per far fronte a bordate commerciali e tensioni geopolitiche che insidiano l’esistenza stessa di non poche imprese. Tuttavia dovrebbe ormai esser chiaro che le sfide ecologiche e sociali non si vincono con gli sprint ma richiedono un impegno continuativo, coerente e condiviso.

La politica può e dovrebbe incentivare ulteriormente con un quadro di riferimento chiaro e che sia, a sua volta, sostenibile. Porre paletti più rigidi potrebbe accelerare il processo, ma la verità è che alla fine tutto dipende dalla capacità (che non è solo volontà ma anche fattibilità) delle aziende di recepire le indicazioni e rispettare gli obblighi, trasferendo gli alti principi sul terreno. Certo, anche la domanda ha la sua parte: i consumatori possono incidere con le loro scelte di acquisto, sapendo però che allo stato attuale questo significa ancora spesso sborsare di più, a fronte di un costo della vita già in ascesa.

Insomma, se di progressi ne sono stati fatti negli ultimi decenni, le aziende svizzere - grandi e piccole - hanno davvero integrato gli obiettivi di sostenibilità nelle loro strategie o agiscono soprattutto sotto la pressione di reputazione e regolamentazioni? Prima di osservare da vicino esempi concreti di buone pratiche di realtà del territorio, la parola a cinque voci autorevoli, cinque promotori del cambiamento: Antonio Hautle, direttore esecutivo dell’UN Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein; il fisico del clima Reto Knutti, docente e ricercatore dell’ETH di Zurigo; Daniel Dubas, delegato del Consiglio federale all’Agenda 2030; Jonathan Normand, fondatore e Ceo di B Lab Svizzera; Giovanni Facchinetti, fondatore e Managing Direcor di Positive Organizations.

Responsabilità e profitto in simbiosi

Dopo i verdi anni, la sostenibilità si avvia a entrare nell’età matura. Quella in cui ha dimostrato che responsabilità e profitto possono svilupparsi con reciproco vantaggio. Fondamentale la disponibilità di strumenti adeguati e il sostegno di un quadro normativo chiaro ma non invalidante, affinché incertezze del momento ed oneri di rendicontazione non compromettano competitività e sforzi delle Pmi.

Proprio in Svizzera, al World Economic Forum del 1999, Kofi Annan lanciava ai leader dell’economia mondiale un appello che ha fatto storia: sottoscrivere con le Nazioni Unite un “Global Compact of shared values and principles, which will give a human face to the global market”. Venticinque anni dopo, la rete internazionale che ne è nata unisce governi, imprese, agenzie Onu, organizzazioni sindacali e della società civile nella condivisione e nella diffusione di dieci principi guida nell’ambito dei diritti umani, del lavoro, dell’ambiente e della lotta alla corruzione.

In particolare negli ultimi anni, la consapevolezza della responsabilità e della sostenibilità è notevolmente aumentata. «In Svizzera dalle 14 aziende aderenti iniziali, la nostra rete nazionale è cresciuta fino a contare circa 400 membri. Nostro obiettivo è sostenere il maggior numero possibile di aziende con conoscenze, corsi di formazione, coaching, iniziative e strumenti. Grazie a un network internazionale molto ampio (25mila aziende, 120 paesi e 62 reti nazionali), siamo in grado di offrire fino a 120 proposte all’anno», sottolinea Antonio Hautle, direttore esecutivo dell’UN Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein. Che la massimizzazione dei profitti non sia più sufficiente a rispondere alle sfide contemporanee sembra ormai una visione condivisa. I limiti planetari, la perdita di biodiversità e l’indebolimento della coesione sociale impongono un cambio di paradigma: «È tempo di integrare quattro capitali - umano, sociale, naturale ed economico - e misurare la performance non più attraverso tabelle di marcia isolate ma lungo traiettorie condivise», afferma Jonathan Normand, fondatore e Ceo della Fondazione B Lab Svizzera, parte di un movimento globale che conta quasi 10mila aziende certificate B Corp, un modello ibrido, dove profitto e impatto positivo convivono. «Molte Pmi e aziende familiari hanno

«Fino al termine dello scorso anno è cresciuta la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità e dell’Agenda 2030, fonte di ispirazione per un’economia responsabile. Al momento si avverte un vento contrario dagli Stati Uniti. Ma una cosa è chiara: se l’economia non diventerà più sostenibile, a lungo termine distruggerà le basi della vita, e quindi se stessa. Non abbiamo altra scelta»

già un forte radicamento sociale, che il ricambio generazionale e le aspettative dei collaboratori e dei clienti rafforzano. Ma siamo ancora in un’adolescenza della sostenibilità: è ora di consolidare le pratiche e radicarle nella governance», esorta Normand.

Ma se le reti internazionali offrono strumenti concreti e network, è la politica a fornire la cornice. Con la Strategia per lo sviluppo sostenibile 2030, la Svizzera collega obiettivi globali e misure nazionali, concentrandosi su tre priorità interdipendenti: consumo e produzione, clima-energia-biodiversità e dimensione sociale. «Abbiamo già compiuto progressi in settori quali l’istituzione di un quadro giuridico per promuovere il consumo sostenibile e l’economia circolare, l’adozione della legge sul clima e l’innovazione, l’elaborazione di strategie in materia di biodiversità, alimentazione, istruzione e uguaglianza, nonché l’attuazione di iniziative volte a ridurre le sovvenzioni alle energie fossili», rileva Daniel Dubas, delegato del Consiglio federale all’Agenda 2030. Tuttavia permangono alcune sfide ancora aperte:

Antonio Hautle

UN Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein

5.600+ partecipanti coinvolti nelle sue attività

partecipanti 12% nuovi arrivi

Direttore esecutivo

Sostenibilità

Delegato del Consiglio federale all’Agenda 2030

In qualità di autorità federale incaricata del coordinamento della politica nazionale in materia di sviluppo sostenibile, l’ARE dispone in particolare dei seguenti strumenti di sostegno:

• Il programma di promozione dello sviluppo sostenibile sostiene finanziariamente, ogni anno, progetti innovativi che possono essere trasferiti e adattati ad altre regioni o contesti.

• I due Toolbox Agenda 2030: uno per i Cantoni e i Comuni e l’altro per le imprese, in particolare le Pmi. Quest’ultima offre alle imprese sostegno e orientamento sulla via della sostenibilità.

• Inoltre l’Are organizza conferenze sul tema. Prossimo appuntamento il 4 novembre, alla Eventfabrik di Berna, per il Dialogo 2030 per lo sviluppo sostenibile, sul tema “Sostenibilità grazie all’intelligenza artificiale? Opportunità e sfide per l’Agenda 2030”.

«Spesso le piccole e medie imprese non dispongono di personale e mezzi finanziari per dedicarsi intensamente anche alla sostenibilità oltre alle loro attività quotidiane. Indirettamente si trovano però a sottostare agli stringenti requisiti che i grandi gruppi regolamentati trasferiscono lungo le catene di approvvigionamento.

Un “effetto a cascata” già chiaramente visibile»

«L’attuazione degli obiettivi climatici, la decarbonizzazione, lo sviluppo dell’economia circolare e della biodiversità sono talvolta insufficienti, le sovvenzioni alle energie fossili persistono e l’efficienza energetica e lo sviluppo delle energie rinnovabili procedono troppo lentamente. Lo sviluppo sostenibile richiede un quadro normativo stabile, norme vincolanti e risorse finanziarie e umane sufficienti», osserva Daniel Dubas.

Un rallentamento che preoccupa anche il mondo scientifico. Per il Prof.Reto Knutti, a capo del gruppo di Fisica del clima del Politecnico di Zurigo, l’approvazione della Legge sul clima e l’innovazione nel 2023 e della Legge federale sull’approvvigionamento elettrico nel 2024 hanno sì gettato basi importanti per permettere alla Svizzera di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma da sole non bastano. «A mancare non sono soluzioni e finanziamenti, ma un piano di attuazione concreto, con misure ambiziose che promuovano innovazione, energia pulita e business sostenibile. Persiste invece la percezione che la sostenibilità sia costosa, complicata e poco attraente», nota il Prof. Knutti.

Anche economia privata e politica non sempre viaggiano alla stessa velocità. Ad esempio, malgrado l’ampio sostegno da parte del mondo imprenditoriale, l’iniziativa promossa dall’Alleanza per le Imprese Sostenibili per introdurre una nuova categoria legale di “Impresa so-

stenibile”, che garantisca un quadro volontario, chiaro e credibile, per riconoscere le aziende virtuose, non ha ottenuto l’avvallo di economiesuisse e dell’Usam, prima di arenarsi alla Commissione degli affari giuridici del Nazionale. «Questo episodio è indicativo del divario tra le posizioni politiche e le esigenze operative delle imprese, che richiedono soprattutto chiarezza e coerenza dei riferimenti normativi, come conferma anche la nostra diagnosi sul campo, supportata dal nostro barometro Csr», avverte il Ceo di B Lab Svizzera che coordina l’Alleanza per le Imprese Sostenibili, coalizione che riunisce circa 500 aziende e associazioni.

Dalla teoria alla pratica

Strumenti e certificazioni a disposizione di chi voglia intraprendere un serio percorso di sostenibilità (Esg, Esg2go, Gli, Cdp, SbTi, Ecovadis, B-cop ecc.) non mancano. Paradossalmente la difficoltà diventa orientarsi verso quelli più adatti alla propria realtà e stabilire le priorità. «A prima vista, la gestione della sostenibilità è complessa, non diversamente da quella finanziaria. La domanda iniziale da porsi è: “Perché gestisco la mia azienda in questo modo? A cosa servono le nostre attività economiche?”», suggerisce Antonio Hautle, citando anche la necessità di una “doppia analisi di materialità” per avere una visione integrata del rapporto tra impresa, ambiente e dimensione sociale e valutare i maggiori rischi, le opportunità e le responsabilità verso gli stakeholder. «Dapprima occorre concentrarsi sull’impatto delle proprie attività commerciali materiali. Ad esempio, una piccola società di consulenza si occuperà in via prioritaria degli effetti dei propri servizi di consulenza. Anche i pannelli solari sul tetto sono utili, ma non hanno la priorità. Seguono: 2-4 obiettivi per il primo anno, poi lo sviluppo (o l’adeguamento) di una strategia semplice e sostenibile. Solo in seconda battuta diventano rilevanti tutte le normative, in parte complesse, utili per tenere conto dei fattori rilevanti nel proprio settore economico e supportare il processo di transizione», consiglia il direttore esecutivo dell’UN Global Compact Switzerland & Liechtenstein. Per andare oltre iniziative frammentarie e integrare criteri Esg, è imprescindibile combinare strumenti di misurazione,

Daniel Dubas

governance e percorso di miglioramento continuo. «Occorre adottare un quadro di valutazione riconosciuto, tradurre gli impatti in indicatori comparabili e collegarli a obiettivi concreti. Al contempo il CdA va responsabilizzato, creando rituali di pilotaggio - comitati Esg, Kpi legati alla remunerazione, revisioni trimestrali - e introducendo negli statuti societari quello che chiamiamo mission lock, ovvero la tutela della finalità sostenibile dell’azienda anche in caso di cambiamento degli azionisti», osserva il Ceo di B Lab Svizzera. Accanto ai percorsi ad hoc, a poter fare la differenza sono anche coalizioni settoriali: nel comparto orologiero, ad esempio, B Lab Svizzera promuove acquisti collettivi di oro riciclato, standard comuni di ecoprogettazione e piattaforme condivise di due diligence sui fornitori. «È così che la sostenibilità diventa strutturale e operativa», sottolinea Jonathan Normand.

Le regole del gioco

La crescente complessità degli obblighi di rendicontazione pone però sfide significative, soprattutto alle Pmi. «Spesso le piccole e medie imprese non dispongono del personale e dei mezzi finanziari per dedicarsi intensamente anche alla sostenibilità oltre alle loro attività quotidiane. Indirettamente si trovano però a sottostare agli stringenti requisiti che i grandi gruppi regolamentati trasferiscono lungo le catene di approvvigionamento. Un “effetto a cascata” che è già chiaramente visibile», nota Daniel Dubas.

Burocrazia e barriere amministrative sproporzionate rischiano di minare la competitività delle aziende più piccole. «Mentre le aziende più grandi, spinte da opportunità, pressione e guadagni in termini di efficienza derivanti dagli investimenti compiono progressi più rapidi, le piccole sono costrette a convogliare tutte le risorse per cercare di redigere i rapporti richiesti finendo per spendere il meno possibile in misure durature», conferma il Prof. Reto Knutti.

Se in patria le normative sono ancora in via di definizione, l’economia elvetica votata all’export è già investita dalle numerose e complesse norme del Green Deal dell’Ue, principale partner commerciale della Svizzera e destinata ad assumere ulteriore rilevanza a fronte

«Contrariamente alla nostra percezione di noi stessi, siamo in ritardo rispetto ad altri come l’UE o la Cina che, ad esempio, controlla 57 delle 64 tecnologie chiave per la transizione, tra cui batterie, energia solare e chip. Capiscono che guidare l’innovazione garantisce la prosperità futura. La tecnologia climatica ed energetica è un importante mercato emergente, che dovremmo prendere più sul serio»

Quota emissioni CO2 incorporate nel commercio, 2022

Emissioni exp/imp in % emissioni produzione interna

Svizzera

Paesi a basso reddito

dei dazi Usa. Pur senza essere direttamente presenti sul mercato interno europeo, molte Pmi elvetiche sono integrate nelle catene di valore, pertanto la rendicontazione diventa un elemento critico per la loro legittimità operativa: 50mila, secondo le proiezioni di Avenir Suisse, sarebbero le aziende potenzialmente interessate e ulteriori oneri potrebbero sommarsi qualora il Consiglio federale, mettendo al primo posto la compatibilità, recepisse la direttiva Ue nella forma attuale. «L’Unione europea ha rinviato di due anni l’adozione degli standard della Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese (Csrd), al 30 giugno 2026, il che lascia tempo per concentrarsi sul primo pilastro, mentre la Direttiva sui doveri di diligenza in materia di sostenibilità aziendale (Csddd) è entrata in

Reto Knutti

vigore nel luglio 2024. Pur applicandosi solo a grandi aziende genererà un effetto domino attraverso le catene di approvvigionamento anche sulla conformità delle Pmi loro fornitrici, che abbiano o meno filiali nell’ Ue. Per ridurre gli oneri e migliorare la trasparenza proponiamo insieme ai nostri partner un quadro di dieci temi prioritari, compatibile con i requisiti Ue e adattabile alle Pmi», dichiara il Ceo di B Lab Svizzera. Ma troppe norme non rischiano anche di frenare l’innovazione, cifra elvetica, che come noto non prospera quando si accede in regolamentazione? «Al contrario, la Svizzera può utilizzare proprio il suo potere economico per incoraggiare le innovazioni ecologiche, ad esempio attraverso investimenti in energie rinnovabili, economia circolare e prodotti finanziari

Fisico del Clima, docente e ricercatore ETH Zürich
Fonte: Global Carbon Budget (2024)
Fonte: Global Carbon Budget (2024)

Sostenibilità

“Perché avete deciso di redigere un rapporto sulla sostenibilità?”

Documentazione/ comunicazione volontaria

Preparazione a futuri possibili obblighi di legge

Richiesta clienti/fornitori

Richiesta azionisti/proprietari/ società madre

Favorire assunzione di capitale di terzi

Fonte: Mazars / ZHAW

Flussi annuali di fondi Esg globali mld Usd

Fonte: Morningstar Direct

sostenibili», suggerisce Daniel Dubas. Anche perché c’è chi ben lo ha capito e ci sta superando. «La Cina controlla già 57 delle 64 tecnologie chiave della transizione, tra cui batterie, energia solare e chip. Hanno capito che guidare l’innovazione garantisce la prosperità futura. Le tecnologie per il clima e l’energia sono un importante mercato emergente che dovremmo prendere più sul serio», avverte Reto Knutti.

Può però venire da chiedersi perché un paese che pesa solo per lo 0,1% delle emissioni globali debba impegnarsi tanto. «In realtà la nostra impronta di consumo è circa tre volte maggiore a causa delle importazioni. Ma, al di là del peso specifico, sono problemi che richiedono un’azione collettiva. Anzi: in quanto paese con maggiori risorse, tecnologia ed emissioni storiche siamo chiamati a dare l’esempio, come esplicita anche il principio della “responsabilità comune ma differenziata” formulato dall’Accordo di Parigi», puntualizza il climatologo.

Fonte: Mazars / ZHAW

Evidenza di greenhushing nella terminologia dei fondi sostenibili

sociale, bisogna investire nelle persone e contribuire a una transizione equa per tutte le parti interessate. I progetti con un impatto duraturo sono quelli che trattano la sostenibilità non come un’operazione di pubbliche relazioni, ma come un motore di innovazione, efficienza e resilienza aziendale a lungo termine», sottolinea Reto Knutti.

Paradossi insidiosi

C’è però una tendenza insidiosa che si sta diffondendo fra chi la sostenibilità la pratica seriamente: farlo lontano dai riflettori. È il cosiddetto greenhushing, che ha diverse motivazioni: da chi teme di essere accusato di non fare abbastanza a chi di fare solo in apparenza. «Lo si vede anche nel marketing: sempre più aziende includono la componente sociale ed ecologica nei loro prodotti e servizi come parte dei requisiti di qualità, ma quando li devono promuovere e vendere diventa scivoloso comunicarlo nel giusto modo. I confini con il greenwashing sono delicati. Anche su questo fronte, stiamo sviluppando strumenti per supportare le Pmi», rileva il direttore esecutivo dell’UN Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein.

Fonte: Morningstar Direct

Il tempo però stringe: ormai difficile pensare di centrare la prima scadenza - il dimezzamento delle emissioni di gas serra entro il 2030. «Se lo faremo, sarà in parte perché acquisteremo compensazioni altrove, il che è altamente problematico. Molti speravano che le compensazioni a basso costo all’estero fossero sufficienti, ma la maggior parte di questi progetti non mantiene le promesse. Ad esempio, la Svizzera ha finanziato la sostituzione dei bus diesel con quelli elettrici in Thailandia, una transizione che probabilmente sarebbe avvenuta comunque e che quindi non ha evitato emissioni di CO2 aggiuntive. Inoltre, in un mondo a zero emissioni nette, l’unica opzione sarà investire nella rimozione permanente e di alta qualità dell’anidride carbonica», avverte il professore dell’Eth. La via è chiara: investire in rinnovabili, elettrificare dove possibile, ridurre le emissioni lungo la catena del valore (Scope 3) seguendo un percorso di obiettivi scientificamente fondati. «E poiché il vero impatto è anche

La sfida investe anche la finanza sostenibile: solo tra aprile e giugno, 382 fondi hanno purgato dall’acronimo Esg il loro nome, in conformità con l’entrata in vigore del Regolamento Ue sulla trasparenza della sostenibilità nei servizi finanziari (Sfdr), che impone agli asset manager di fornire informazioni più dettagliate riguardo ai rischi legati alla sostenibilità e all’impatto dei prodotti distribuiti nell’Unione europea. Insieme a rendimenti sottotono, tensioni geopolitiche e, in particolare, i venti ostili da oltreoceano, il sovraccarico normativo sta contribuendo a raffreddare la partecipazione ai fondi sostenibili, dopo la forte crescita che negli ultimi 20 anni da mercato di nicchia ne ha fatto tendenza dominante. «Ma al calo del primo trimestre 2025 è già seguito un rimbalzo», chiarisce Normand: «Si tratta di una correzione ciclica, non strutturale. I rischi sistemici (clima, biodiversità, equità) purtroppo permangono e sia gli investitori che le autorità di regolamentazione si concentrano sempre più sugli impatti reali e sulle rivelazioni utili alle decisioni. La Svizzera

può svolgere un ruolo di allineamento del capitale con risultati misurabili - al di là della “battaglia delle etichette” - basandosi su standard credibili e strumenti di finanza di transizione».

Come conclude anche un recente studio dello Swiss Finance Institute (Sfi), potrebbe essere l’inizio di una “finanza sostenibile 2.0”: più mirata, pragmatica, e meno suscettibile all’hype, ma meglio integrata nelle pratiche finanziarie tradizionali e guidata da obiettivi chiaramente articolati e credibili, con metodologie e risultati costantemente verificabili. Una traiettoria che ricorda da vicino quella delle imprese sostenibili: dopo l’adolescenza, è tempo di maturare.

Non farsi abbattere da venti contrari

La diserzione degli Stati Uniti, sfilatisi dall’Accordo di Parigi, non può che generare la preoccupazione che altri ne seguano il (cattivo) esempio.«Per ora tutti gli altri Stati stanno mantenendo fede agli impegni presi. C’erano e ci sono ancora voci che chiedono un impegno maggiore, come ho visto alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile dello scorso luglio. Una cosa è chiara: se l’economia non diventa più sostenibile, a lungo termine distruggerà le basi della vita e quindi se stessa. Non abbiamo altra scelta», conclude Antonio Hautle.

La maggior parte dei paesi sembra aver compreso che una rapida transizione dall’uso dei combustibili fossili è vantaggiosa sia dal punto di vista economico che geopolitico. «Più preoccupante è lo smantellamento sistematico della scienza e delle istituzioni da parte dell’amministrazione statunitense: le persone vengono licenziate, i finanziamenti tagliati, i siti web rimossi, gli strumenti spenti e le istituzioni smantellate. Tutto questo con l’obiettivo di mettere a tacere le voci critiche, sopprimere le prove e consolidare il potere», ammonisce il climatologo dell’Eth Zurich.

Essenziale sarà considerare la sostenibilità non come un “compito aggiuntivo”. «Sono proprio le disuguaglianze sociali, la crescita non sostenibile, i cambiamenti climatici, la distruzione dell’ambiente o i movimenti migratori causati dai conflitti che spesso sono all’origine di queste tensioni. L’Agenda 2030 rimane rilevante come quadro preventivo, poiché punta

«Molte Pmi e aziende di famiglia hanno già un forte radicamento sociale, rafforzato dal ricambio generazionale e dalle aspettative di collaboratori e clienti. Ma siamo ancora in una sorta di “adolescenza della sostenibilità”: è necessario consolidare le pratiche Esg e integrarle nella governance, anche inscrivendo l’impegno negli statuti societari per tutelarne la continuità nel tempo»

su una distribuzione più equa, sulla protezione del clima e sul rafforzamento della resilienza, consentendo di evitare instabilità e conflitti a lungo termine», dichiara il delegato per il Consiglio federale all’Agenda 2030, che il 17 ottobre sarà a Lugano, dove co-organizza un simposio con i sindaci di diverse città svizzere impegnate nello sviluppo sostenibile. «Torno con piacere in Ticino, un laboratorio interessante per l’attuazione dello sviluppo sostenibile, in particolare grazie alla stretta collaborazione tra gli enti pubblici locali, le Pmi e il mondo della ricerca (con l’Usi e la Supsi)», evidenzia Daniel Dubas.

Politica, scienza, economia e società civile: la sostenibilità è una missione corale, che richiede la partecipazione di tutti. Forse non sarà possibile soddisfare i primi traguardi che ci si è posti, strumenti e incentivi sono perfettibili, le strategie vanno affinate, le norme ponderate, gli sforzi moltiplicati, ma è ormai chiaro che il tempo di misurare il progresso in base alla capacità di sottomettere il pianeta e le sue risorse - naturali e umane - ai nostri egoismi è finito. La vera leadership non è forse quella di chi sa ascoltare e fare lavoro di squadra al posto di imporsi con autorità? Per finire magari per scoprire che, facendo di necessità virtù, ci sia molto più profitto da trarre che non a perseguirlo senza riguardi.

~10.000 B Corps in oltre 160 settori industriali 1 milione di posti di lavoro presso le B Corps > 300.000 aziende utilizzano gli strumenti di valutazione di B Lab (tra cui il BIA)

Requisiti chiave: punteggio ≥ 80 nel BIA, mission lock (modifica statutaria), trasparenza pubblica, revisione dei rischi Nuovi standard (2025): requisiti obbligatori per tema di impatto, attuazione progressiva

>1.000 membri dell’ecosistema

600 aziende coinvolte (135 certificate)

55 settori rappresentati

>3.000 studenti hanno beneficiato di azioni di istruzione e formazione

B Corp svizzere per fatturato (mio Chf)

B Corp svizzere per Etp

Fondatore e Ceo di B Lab Svizzera
Jonathan Normand
L’ecosistema di B Corp

Scelta strategica con benefici misurabili

Facchinetti

Fondatore e Managing Director di Positive Organizations

Da molte aziende della Svizzera italiana la sostenibilità è ancora percepita come un impegno opzionale, se non una moda in declino. Ma chi fa parte di supply chain di clienti internazionali è ben cosciente che la realtà è cambiata: le richieste di certificazioni, rendicontazioni e impegni formali su obiettivi Esg non sono più l’eccezione, bensì la regola. I grandi gruppi, i buyer di enti pubblici, le aziende controllate da fondi di private equity non si limitano a implementare le proprie strategie climatiche, ma trasferiscono la responsabilità lungo tutta la catena del valore. Questo significa che anche la Pmi ticinese fornitrice deve dichiarare la propria impronta carbonica, fissare obiettivi di riduzione secondo standard riconosciuti (come la Science Based Targets initiative, SBTi) e dimostrare pratiche solide di gestione ambientale e sociale.

Tali richieste mobilitano risorse, umane ed economiche. Ma si tratta davvero di un costo? O piuttosto di un investimento, con un ritorno positivo e misurabile?

Per le aziende del nostro territorio che operano sui mercati internazionali o forniscono enti pubblici (ad esempio Armasuisse o l’Nhs britannico), questa pressione si traduce in due scenari concreti. Da un lato, chi si attrezza in tempo gua-

«Anche in tempi incerti, la sostenibilità non è un lusso da tagliare: è la lingua in cui il mercato globale comunica e negozia. Le aziende che la parlano fluentemente sono quelle che mostrano resilienza, accedono a nuove opportunità e riescono a garantire continuità operativa. Le altre rischiano di pagarne il prezzo: commesse perse, finanziamenti negati, dover correre ai ripari a brevissimo termine con importanti investimenti»

dagna continuità di mercato, affidabilità e un vantaggio competitivo. Dall’altro, chi rimane fermo rischia di essere escluso da gare d’appalto o di perdere clienti storici. In mercati globali sempre più regolati, la mancanza di dati Esg non è solo una debolezza reputazionale, ma sempre più un ostacolo commerciale.

A ciò si aggiungono i contesti normativi regionali e nazionali che, malgrado una decelerazione negli ultimi mesi da parte degli Usa e dell’Ue con il cosiddetto “Decreto Omnibus”, impongono a migliaia di aziende la rendicontazione dettagliata del proprio impatto ambientale e sociale. Molte di queste aziende hanno già filiali o clienti in Svizzera, e stanno trasferendo questi obblighi anche ai partner locali. Non è più una questione di se, ma di quando anche la Pmi ticinese riceverà la richiesta di fornire numeri precisi su emissioni di gas serra, uso di energie rinnovabili, diversità di genere o gestione dei fornitori.

In tempi incerti, è facile pensare di ridurre gli investimenti in ambiti considerati “non core” rispetto al fatturato immediato. Ma la sostenibilità non è un lusso da tagliare: è la lingua in cui il mercato globale, sempre di più, comunica e negozia. Le aziende che la parlano fluentemente sono quelle che mostrano resilienza, ac-

cedono a nuove opportunità e riescono a garantire continuità operativa. Le altre rischiano di pagare il prezzo dell’inazione: commesse perse, finanziamenti negati, dover correre ai ripari a brevissimo termine con importanti investimenti.

La sostenibilità è anche - e in alcuni casi soprattutto - gestione del rischio. Integrare i fattori Esg nella governance aziendale significa ridurre l’esposizione a volatilità esterne, come eventi climatici estremi, cambiamenti normativi o crisi reputazionali. Ma significa anche costruire una base solida per cogliere opportunità: innovazione, efficienza operativa, accesso a strumenti finanziari agevolati, maggiore competitività.

Non solo. Una solida strategia di sostenibilità può contribuire in modo diretto all’aumento della valutazione aziendale. Una maggiore trasparenza nei dati, la riduzione dell’incertezza e la capacità di anticipare i rischi rendono un’azienda decisamente più interessante per investitori, istituti di credito e potenziali acquirenti. In un contesto in cui il capitale è sempre più selettivo, disporre di metriche Esg affidabili può fare la differenza tra ottenere o meno un finanziamento agevolato.

C’è infine un altro aspetto spesso sottovalutato: l’attrazione dei talenti, in un momento storico in cui trattenere competenze qualificate è una sfida. Sempre più giovani professionisti scelgono di lavorare in organizzazioni che dimostrano una visione chiara sul proprio impatto sociale e ambientale.

Una strategia sostenibile non richiede investimenti sproporzionati: può partire da un’analisi delle emissioni, dal miglioramento dell’efficienza energetica, da politiche chiare sulla gestione della filiera. Passi concreti, integrati in una visione e una strategia di lungo periodo, che rafforzano la credibilità dell’impresa. La vera sfida oggi non è più decidere se investire nella sostenibilità, ma come farlo con intelligenza. Una strategia mirata - semplice, chiara e comunicata con precisione - può trasformare un obbligo indigesto in una leva competitiva. In definitiva, la sostenibilità non è più una questione etica o comunicativa: è un indicatore concreto del valore e della solidità futura di un’impresa.

Idrogeno, il propulsore della transizione

Con un approccio integrato, GhenPower trasforma il potenziale dell’idrogeno verde in soluzioni concrete per diversi settori. Fra le prime applicazioni, le comunità energetiche e gli zero net building.

Potrebbe rappresentare il propulsore chiave della decarbonizzazione: dotato di un’elevata densità energetica, l’idrogeno permette lo stoccaggio a lungo termine e, se generato tramite elettrolisi alimentata da fonti rinnovabili, rilascia soltanto vapore acqueo, senza emissioni di gas serra. Purtroppo tuttora il 95% della sua produzione a livello mondiale deriva da fonti fossili. Europa in testa, e Svizzera inclusa, sempre più sono ormai i governi a varare strategie per favorire lo sviluppo delle tecnologie e delle infrastrutture necessarie a concretizzarne il potenziale.

Fra gli alfieri del settore c’è la bellinzonese GhenPower SA, spin-off di Premel SA, leader nei sistemi di generazione di energia di emergenza. Fondata nel 2023, offre sistemi energetici fissi e mobili alimentati a idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili, come fotovoltaico, eolico e idrolettrico. I suoi servizi coprono l’intera catena di approvigionamento: dalla produzione allo stoccaggio (anche con idruri metallici, insieme al partner vodese GRZ Technologies), dalla distribuzione ai sistemi a celle a combustibile, servizi di integrazione e manutenzione. Un approccio completo e integrato per offrire soluzioni personalizzate a diversi settori, quali industria, residenziale, commercio e trasporti. Dopo i primi progetti pilota in Spagna e Regno Unito, GhenPower si concentra sul mercato con applicazioni concrete, come le Comunità energetiche rinnovabili. «Questo modello che aggrega individui, aziende o enti locali che collaborano per produrre, consumare e gestire energia da fonti rinnovabili, può trarre dall’integrazione dell’idrogeno vantaggi in termini di

efficienza, sostenibilità, autonomia e convenienza economica», spiega Pasqualino Pansardi, Ceo di GhenPower. L’energia in eccesso prodotta dal fotovoltaico può infatti essere accumulata nelle batterie per coprire i consumi quotidiani, oppure trasformata tramite elettrolisi in idrogeno da immagazzinare a lungo termine. Una riserva utile soprattutto nei mesi invernali o in caso di blackout, con il valore aggiunto di recuperare calore dal processo di conversione da destinare a riscaldamento e acqua calda. «Così le comunità energetiche raggiungono un’autonomia superiore all’85%», afferma l’Ing. Pansardi. Mercati chiave, Australia e Brasile, dove GhenPower si propone di rispondere all’approvvigionamento sostenibile delle aree meno servite dalla rete.

È invece tutto locale l’altro progetto di punta a cui sta lavorando GhenPower, uno dei primi Zero Energy Building (Zeb) non solo in Svizzera, ma in Europa. Il sistema integrato di elettrolizzatori, stoccaggio e celle a combustibile di GhenPower renderà il Figino Resort - già concepito con soluzioni tecnologiche e architettoniche in grado di garantire elevate prestazioni energetiche passive - capace di autoprodurre il restante fabbisogno di elettricità e calore senza emissioni. «Siamo particolarmente orgogliosi di esser stati scelti da System Evergreen AG, promotore del progetto, per fornire le nostre competenze chiave in ingegneria e concetto di sicurezza, sistemi di controllo, assemblaggio e messa in servizio, monitoraggio da remoto e manutenzione continua», sottolinea il Ceo di GhenPower. «Tutti i nostri sistemi prevedono monitoraggi ridondanti, con sistemi di backup che

Pasqualino Pansardi, Ceo di GhenPower.

permettono anche in caso di blackout di garantire una ventilazione continua: una misura semplice ma essenziale per mantenere la concentrazione dell’idrogeno al di sotto della soglia di sicurezza, trattandosi di un gas molto volatile - è la più piccola molecola esistente - altamente infiammabile e di cui, essendo inodore e incolore, è difficile individuare le fughe», osserva l’Ing. Pansardi.

Parallelamente, GhenPower sta valutando nuove opportunità, come l’impiego dell’ammoniaca (NH3) per semplificare il trasporto dell’idrogeno. L’ammoniaca occupa infatti meno volume a parità di energia e gode di una rete consolidata di trasporto e stoccaggio grazie al largo impiego nella produzione di fertilizzanti agricoli. Tramite il cracking, le sue molecole vengono separate nei loro elementi base: idrogeno e azoto. Di nuovo, Australia e Brasile in testa, ma anche Svizzera.

Ci sono poi diverse collaborazioni sul territorio, come le iniziative formative intraprese con la Scuola di Arti e Mestieri (SAM) e la Scuola Specializzata Superiore di Tecnica (SSST) di Bellinzona, o in prospettiva, progetti più articolati con SUPSI e USI per rendere ancor più efficienti e intelligenti i propri sistemi. A poco più di due anni dalla fondazione, GhenPower si conferma così in prima linea per portare sul mercato sistemi a idrogeno realmente sostenibili, coniugando innovazione, efficienza e indipendenza energetica.

GhenPower SA

Via Riale Righetti 24

6503 Bellinzona

+41 (0)79 156 68 27 ghenpower.ch

Un cantiere circolare dove lo scarto diventa risorsa

Dal progetto AET di Bodio, dove Casada SA è riuscita a riutilizzare in loco il 90% dei materiali di scavo, emerge il modello di un’impresa edile che fa della sostenibilità uno dei suoi valori competitivi.

Con 148 anni di esperienza nel settore delle costruzioni (eredità combinata della propria storia e di quella di Reali Costruzioni, confluite nel 2023), Casada SA rappresenta un esempio virtuoso di come tradizione e innovazione possano convergere verso un modello di business sostenibile. Il Rapporto di sostenibilità 2023, certificato dalla Camera di Commercio ticinese con un punteggio di 26/30, racconta di un’azienda che ha trasformato la sensibilità ambientale delle proprie origini montane in una strategia ESG strutturata e misurabile.

Ne parliamo con il direttore Lorens Re, che ci guida attraverso i progetti più significativi e le sfide future.

Fra i progetti recenti che vedono protagonista Casada SA, il riordino del comparto AET nella zona industriale di Bodio rappresenta l’eccellenza della vostra expertise in sostenibilità. Può spiegare nel dettaglio le innovazioni tecniche e ambientali che lo rendono così emblematico? L’intervento prevede la costruzione di un nuovo edificio di 4.500 metri quadri per i servizi amministrativi e operativi, la realizzazione di una nuova officina di 1.200 mq con tecnologie all’avanguardia, e il completo rifacimento della viabilità interna con standard di sicurezza elevati. Ma quello che rende questo progetto davvero unico dal punto di vista della sostenibilità è il nostro approccio alla rivalorizzazione del materiale di scavo.

Il progetto del riordino del comparto AET di Bodio richiede la massima competenza tecnica e sensibilità verso il patrimonio storico-industriale di un sito che racchiude oltre un secolo di storia energetica.

Abbiamo raggiunto un traguardo straordinario: il 90% di questo materiale è stato lavorato e riutilizzato direttamente in cantiere attraverso tecnologie innovative. Il cuore del sistema è il nostro vaglio e frantoio ibrido, macchine di ultima generazione alimentate da un sistema che riduce drasticamente i consumi energetici e le emissioni di CO2 nell’aria. Questo impianto trasforma il materiale grezzo in prodotti finiti di alta qualità: dai misti granulari per i sistemi di drenaggio delle nuove infrastrutture, al misto per i sottofondi delle aree di circolazione pesante, dagli inerti selezionati per i getti di calcestruzzo della nuova officina agli aggregati per le pavimentazioni specializzate. Il nostro parco macchine riflette questa filosofia: utilizziamo escavatori ibridi che combinano motore diesel ed elettrico, riducendo consumi ed emissioni del 30% rispetto ai modelli tradizionali. Queste tecnologie non solo minimizzano l’impatto ambientale, ma ottimizzano i costi operativi del 15-20%, dimostrando che sostenibilità ed efficienza economica vanno di pari passo. Quali sono state le principali sfide tecniche? Le sfide tecniche sono state notevoli: gestire questo volume di materiale senza conferimenti esterni, garantire la piena continuità operativa dell’impianto AET durante tutto il periodo dei lavori - aspetto critico per il servizio elettrico cantonalee rispettare i severi standard ambientali per le emissioni acustiche e atmosferiche. La soluzione è stata un approccio sistemico integrato: eliminando i trasporti esterni abbiamo azzerato centinaia di viaggi di camion che sarebbero stati necessari per il conferimento in discarica e l’approvvigionamento di materiali dall’esterno. Questo significa riduzione dra -

stica di traffico pesante, polveri, rumore e inquinamento per le Tre Valli. Inoltre, la lavorazione in loco ci ha permesso di controllare ogni fase della trasformazione, garantendo materiali di qualità superiore perfettamente calibrati sulle specifiche tecniche di ogni applicazione. È economia circolare nella sua forma più pura: quello che tradizionalmente sarebbe considerato “rifiuto da smaltire” diventa risorsa preziosa per la costruzione stessa. Il rispetto dell’ambiente fa parte del Dna di Casada. Questa sensibilità come si è evoluta in una strategia ESG strutturata?

Siamo partiti dal rispetto per l’ambiente tipico di chi vive in Valle di Blenio. Questa sensibilità si è trasformata in strategia strutturata con l’ottenimento delle certificazioni ISO 14001:2015 e ISO 45001:2018 nel 2023. Abbiamo sviluppato un Sistema di Gestione Integrato che amalgama qualità, ambiente e sicurezza, trasformando ogni vincolo normativo in opportunità di efficienza. Il cambio di passo è avvenuto quando abbiamo compreso che le sfide del XXI secolo richiedono risposte sistemiche e misurabili.

« A rendere unico il progetto AET di Bodio è il nostro approccio alla rivalorizzazione del materiale di scavo: ben il 90% è stato lavorato e riutilizzato direttamente in loco attraverso tecnologie innovative. Quello che tradizionalmente sarebbe considerato “rifiuto da smaltire” diventa risorsa preziosa per la costruzione stessa»

Lorens Re, Direttore di CASADA SA

Quanto contano le certificazioni ISO nei rapporti con clienti e stakeholder?

Le certificazioni ISO rappresentano un fattore competitivo fondamentale, dimostrando la nostra capacità di gestire progetti complessi rispettando i più alti standard. Tuttavia, il mercato presenta ancora resistenze: il “premium” dei prodotti sostenibili viene spesso percepito come costo ingiustificato quando non si considera il ciclo di vita completo. La committenza pubblica mostra maggiore sensibilità rispetto a quella privata. Per sensibilizzare serve più formazione sui benefici economici a lungo termine: manutenzione ridotta, valore dell’immobile, qualità di vita degli utenti. Come create valore per l’economia locale? Attraverso scelte concrete e misurabili: oltre il 96% dei nostri acquisti proviene da fornitori ticinesi, il 70% dei nostri 124 collaboratori risiede nella comunità locale. Offriamo opportunità di apprendistato ai giovani e sosteniamo associazioni locali non solo finanziariamente, ma fornendo competenze e mezzi. Nei rapporti con le comunità cerchiamo sempre

Al centro del sistema che ha permesso a Casada di valorizzare il 90% degli scarti sul cantiere AET di Bodio, il vagliofrantoio ibrido, che riduce consumi ed emissioni, evitando centinaia di trasporti esterni e trasformando gli scarti in materiali di alta qualità.

di minimizzare l’impatto negativo delle nostre attività e siamo aperti al dialogo, puntando a un rapporto costruttivo con il territorio.

E il vostro personale come è coinvolto nella strategia ESG?

Nel 2023 e 2024, oltre il 32% dei collaboratori ha partecipato a corsi formativi non obbligatori, inclusi programmi di primo soccorso che arricchiscono il valore sociale delle persone. Abbiamo designato una figura specializzata in gestione integrata e istituito una sezione web dedicata alle storie dei dipendenti. Le risorse umane sono il cuore della sostenibilità: chi lavora con noi deve essere parte attiva della strategia.

Qual è il risultato in sostenibilità di cui siete più fieri?

La dimostrazione pratica che crescita e sostenibilità sono compatibili. Nel 2024, con un fatturato cresciuto a 31 milioni di franchi, abbiamo ridotto le emissioni, migliorato la sicurezza e mantenuto un tasso di soddisfazione clienti pubblici superiore al 95%. Abbiamo dimostrato che si può crescere riducendo l’impatto ambientale.

Quali sono le novità ESG del 2025 e i prossimi passi?

Nel 2024 abbiamo migliorato il sistema di raccolta dati e introdotto sondaggi sulla soddisfazione gestiti da consulenti esterni. I prossimi passi prevedono corsi sui 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per tutto il personale, investimenti su macchinari sempre più efficienti dal punto di vista ambientale e il potenziamento della comunicazione con fornitori e stakeholder. L’obiettivo è creare una rete sempre più ampia di imprese responsabili, perché la sostenibilità è una sfida collettiva che richiede l’impegno di tutti gli attori del mercato ticinese.

Via Brugaio 5

6713 Malvaglia

Tel. +41 (0)91 8701217 malvaglia@casada.ch casada.ch

La solidità della leggerezza che valorizza gli edifici

Da oltre quarant’anni Ferelca realizza strutture in carpenteria metallica leggera e posa i serramenti ad alte prestazioni di Finstral, combinando qualità artigianale, innovazione tecnica e materiali selezionati per creare soluzioni su misura, durevoli e ad alto valore estetico e funzionale.

Resistenza, leggerezza e versatilità: sono le caratteristiche che fanno della carpenteria metallica leggera un settore strategico per l’edilizia contemporanea. Nata come alternativa funzionale, è diventata a pieno titolo uno strumento progettuale, in grado di unire creatività, efficienza e sostenibilità. Strutture su misura, come cancelli, recinzioni, scale o parapetti, uniscono utilità pratica, estetica e durata nel tempo, contribuendo a costruzioni più efficienti e sostenibili, dall’industria agli spazi pubblici alle abitazioni private.

In Ticino, Ferelca SA rappresenta un punto di riferimento in questo ambito. «Con oltre quattro decenni di attività, abbiamo sviluppato una profonda conoscenza del settore, che ci permette di offrire servizi di consulenza e progettazione seguendo ogni fase, dalla concezione alla realizzazione finale», sottolinea Patrick Calcagni che, dopo la carriera da ciclista professionista, ha raccolto una decina di anni fa il testimone del padre Elio, fondatore dell’azienda nel 1983.

L’offerta spazia dalla carpenteria leggera ai serramenti. Quest’ultima divisione è stata sviluppata sin dai primissimi anni di attività grazie alla partnership con Finstral, gruppo altoatesino leader a livello europeo, di cui nel 1985 l’azienda ticinese ottenne la rappresentanza esclusiva per il Cantone.

«La nostra esperienza e la capacità di ascolto ci permettono di lavorare a stretto contatto con imprese generali, architetti, designer di interni e clienti privati, trasformando le loro visioni in realtà tangibili e funzionali. L’attenzione al cliente resta il fulcro della filosofia aziendale: ogni

Due progetti emblematici delle competenze di Ferelca SA. Sopra, il complesso di lusso del Nizza Paradise Residence, affacciato sul lago di Lugano, perfetto connubio di arte, natura e architettura d’avanguardia. Sotto, i serramenti Finstral posati da Ferelca valorizzano le due ville sorelle immerse nel paesaggio spettacolare grigionese, a Cauco, con dettagli raffinati e innovativi.

struttura metallica è un pezzo unico, progettato e realizzato nella sede di Montagnola dal nostro team specializzato, adattandosi di volta in volta alle richieste specifiche e alle diverse necessità territoriali», spiega Patrick Calcagni.

Negli anni Ferelca ha esteso la gamma di prodotti che oggi include recinzioni, ringhiere, scale, parapetti, verande finestre, portoncini, porte antincendio con certificazione federale, costruzioni per l’edilizia e l’industria. Un’attività equamente ripartita fra carpenteria leggera e serramenti, abbinando alla creatività e alle competenze specialistiche richieste dall’ideazione e dalla realizzazione delle strutture metalliche, l’aggiornamento continuo sulle ultime tecniche di installazione e sui nuovi modelli di Finstral. Con quasi 80 tipologie di anta per finestre, pareti vetrate, porte-finestre scorrevoli e a libro in quattro materiali e infinite colorazioni, l’azienda di Bolzano offre l’assortimento più completo d’Europa.

In un comparto come quello delle costruzioni, fra i più impattanti sul piano ambientale, la sostenibilità diventa un principio guida. Un primo elemento è la durabilità dei prodotti: le strutture metalliche progettate da Ferelca e i serramenti di Finstral installati decenni fa continuano a garantire prestazioni elevate, limitando la necessità di sostituzioni e consumo di nuove risorse. Nel caso della carpenteria leggera, la resistenza dei metalli impiegati agli agenti atmosferici e la possibilità di trattamenti anticorrosione allungano ulteriormente la vita delle opere.

E, già di per sé, le strutture metalliche leggere richiedono meno fondazioni rispetto a quelle in muratura o calcestruzzo, riducendo l’impatto sul suolo e sulle risorse naturali.

D’altra parte, i serramenti Finstral contribuiscono all’efficienza energetica degli edifici: grazie al nucleo isolante in PVC consentono, ad esempio, di ridurre fino al 20% l’energia necessaria al riscaldamento, con un impatto diretto sulla riduzione delle emissioni di CO2. L’azienda altoatesina è fra le più avanzate del suo settore per sostenibilità e ogni anno redige ormai un bilancio dedicato. «Un impegno che noi, come piccola azienda di famiglia, non possiamo ancora permetterci. Il nostro ciclo produttivo rispetta però le norma-

« La nostra esperienza e la capacità di ascolto ci permettono di lavorare a stretto contatto con imprese generali, architetti, designer di interni e privati, trasformando le loro visioni in realtà tangibili e funzionali. L’attenzione al cliente resta il fulcro della filosofia aziendale: ogni nostro progetto si adatta alle richieste specifiche e alle diverse necessità territoriali»

Una visione cristallina

Oltre a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, i serramenti di Finstral si distinguono per un approccio alla produzione tra i più sostenibili in Europa.

L’azienda altoatesina segue internamente tutte le fasi della filiera, dallo sviluppo dei profili alla produzione diretta fino alla posa, per garantire non solo massima libertà progettuale ma anche sostenibilità e circolarità.

Dal 2012, anno in cui ha cominciato a concentrarsi sulla neutralità climatica che punta a raggiungere nel 2030, Finstral è riuscita a ridurre le proprie emissioni dirette di CO2 del 93% (trasporti esclusi), grazie a misure come il passaggio all’energia verde, l’ottimizzazione degli stabilimenti e l’installazione di impianti fotovoltaici su quasi tutti i tetti produttivi.

L’azienda ha inoltre sviluppato il Finstral Environmental Impact Board, uno strumento integrale per misurare la propria impronta ecologica, e pubblica ogni anno un bilancio di sostenibilità. A ciò si aggiungono le certificazioni ISO, che consentono di monitorare qualità, efficienza energetica, sicurezza e impatti ambientali, orientando gli investimenti verso processi sempre più sostenibili.

Il moderno impianto di riciclaggio consente a Finstral di riutilizzare internamente tutti gli scarti dei profili in PVC di propria produzione.

Le emissioni residue riguardano ormai soprattutto processi e attività precedenti e successivi alla produzione della stessa Finstral: i prossimi sforzi si concentreranno sull’ulteriore miglioramento dei materiali impiegati, come PVC, alluminio e vetro, su logistica e montaggio. Un esempio è la posa innovativa dei serramenti: al posto di lavorare direttamente sulla muratura, nelle ristrutturazioni Finstral propone il rivestimento del vecchio telaio e nelle nuove costruzioni privilegia la posa in due fasi con controtelaio e preassemblaggio. Poter contare su partner qualificati e costantemente aggiornati, come Ferelca, è dunque essenziale per assicurare la massima coerenza e sostenibilità.

tive e le certificazioni, offrendo massima sicurezza, trasparenza e rapidità di montaggio. Acciaio, metalli ferrosi, alluminio e vetro recuperati smantellando precedenti strutture sui cantieri edili sono sempre correttamente smaltiti, conferendoli alle imprese specializzate nel loro riciclo e valorizzazione in un’ottica di economia circolare. Con altrettanta attenzione selezioniamo i nostri fornitori fra aziende che garantiscano standard qualitativi, ambientali e sociali elevati. laddove possibile pressoché a chilometro zero: svizzeri, ticinesi o della fascia in confine. Dal 2023, la nostra officina, a Montagnola, è alimentata da un impianto fotovoltaico che copre oltre il 90% del fabbisogno energetico aziendale, con l’energia in eccesso reimmessa in rete nei periodi di chiusura. E un prossimo passo potrebbe essere la conversione della flotta aziendale all’elettrico», anticipa Patrick Calcagni. Misure che confermano l’impegno costante verso la qualità e la soddisfazione del cliente, capisaldi dell’approccio che ha permesso a Ferelca di distinguersi nel mercato, raccogliendo continuamente nuove sfide con motivazione e competenza per garantire l’eccellenza nel campo delle metalcostruzioni e dei serramenti.

Via Cadepiano 6

6926 Montagnola

Tel +41 (0)91 994 17 23 info@ferelca.ch

Il ruolo centrale delle politiche urbane

Conciliando una sana crescita socio-economica e la tutela del patrimonio ambientale, le città possono assumere un ruolo centrale nella transizione verso modelli di sviluppo sostenibile.

Equità sociale, inclusione, rispetto per l’ambiente e una gestione finanziaria oculata e trasparente, sempre più guidano non solo le strategie aziendali ma diventano anche le fondamenta su cui costruire lo sviluppo delle città, assicurando il benessere e la qualità della vita delle generazioni presenti e future. L’esponenziale urbanizzazione continua infatti ad aumentare la pressione sulle risorse naturali e sulle fasce più vulnerabili della popolazione. Una sfida esplicitata anche da uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 - undicesimo della serie - esortando a “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”. Sebbene le aree urbane coprano appena il 3% della superficie terrestre, consumano tre quarti delle risorse mondiali e generano il 75% delle emissioni globali. Una pressione destinata ad aumentare, se si prevede che entro il 2050 il 70% della popolazione mondiale vi abiterà.

Sono diverse le iniziative a fare di Lugano un modello di sviluppo equilibrato e innovativo, tanto da avere ottenuto la nomina a città rappresentante della Svizzera al quinto Forum of Mayors 2025 svoltosi a Ginevra a inizio mese, quest’anno dedicato alle “Città che plasmano il futuro”. E sempre Lugano è stata scelta come sede del simposio in programma il 17 ottobre, in occasione dell’Sdg Flag Day promosso dall’UN Global Compact. Evento con cui culmina un anno da protagonista della prima campagna nazionale annuale di informazione e sensibilizzazione sullo sviluppo urbano sostenibile. Lugano ne è stata designata città-pilota, distinguendosi grazie al progetto #Luganosostenibile. Lanciato nel 2021 dalla Divisione Socialità per coinvolgere attiva-

mente i cittadini in iniziative che rendano la città sempre più sostenibile, resiliente e inclusiva, si è aggiudicato il concorso federale dell’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (Are).

Un percorso iniziato però già ben prima, nel 2016, con l’adozione della politica ambientale ed energetica, ulteriormente corroborato dalle Linee di sviluppo 2018-2028, aggiornate nel 2024 con il documento strategico “Lugano Duemilatrenta”.

«Oggi più che mai, lo sviluppo economico e sociale è strettamente legato alla capacità di creare comunità coese, inclusive e consapevoli del valore delle risorse naturali», afferma il sindaco Michele Foletti.

Visione strategica, politiche mirate, progetti innovativi, risultati raggiunti e futuri obiettivi della Città di Lugano sono illustrati nella seconda edizione del suo Rapporto di sostenibilità, pubblicato quest’estate.Tra le azioni prioritarie intraprese: l’ampliamento delle aree verdi cittadine, la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale diffuso, la creazione di spazi pubblici di qualità. La Città ha inoltre adottato un approccio strategico per la mobilità sostenibile, la rigenerazione urbana e l’efficienza energetica.

«Novità fondamentale di quest’anno è poi il Piano direttore comunale (PDCom), che traccia una visione strategica per lo sviluppo territoriale e urbanistico della città con orizzonte 2050. Integrando i 23 Piani regolatori esistenti, punta a valorizzare le identità locali, tutelare il patrimonio urbano e paesaggistico e affrontare i cambiamenti climatici con misure sostenibili», sottolinea Michele Foletti.

Lugano ha inoltre voluto cogliere l’occasione della seconda edizione del

Michele Foletti, Sindaco della Città di Lugano.

suo Rapporto di sostenibilità anche per un’analisi comparativa rispetto alle pratiche di monitoraggio e rendicontazione in materia di sostenibilità di otto altre città svizzere - Zurigo, Ginevra, Basilea, Berna, Losanna, Lucerna, San Gallo e Winterthur.

«Valutare il nostro posizionamento rispetto ad altre realtà svizzere rappresenta un passaggio strategico essenziale per orientare in modo mirato le scelte future dell’Amministrazione comunale e offrire una visione chiara delle pratiche esistenti e delle aree di miglioramento. Allo stesso modo consideriamo l’intero Rapporto di sostenibilità non solo un bilancio trasparente dello stato attuale del nostro Comune, ma anche una base ben strutturata da cui partire per consolidare e ampliare, anno dopo anno, le buone pratiche in tutti i settori della vita cittadina. Il nostro obiettivo è continuare a costruire una Lugano che sappia rispondere con efficacia alle sfide future, mantenendo al centro la sostenibilità in ogni sua dimensione: ambientale, economica e sociale», conclude il Sindaco Michele Foletti.

Il confronto fra buone pratiche è anche al centro del simposio in programma venerdì 17 ottobre, che invita i rappresentanti delle istituzioni pubbliche, del mondo economico, accademico e della società civile a discutere sulle responsabilità e sulle opportunità che le città ricoprono quali motori della sostenibilità. Momento centrale, la tavola rotonda con i sindaci di Berna, Ginevra, Zurigo che testimonieranno le loro esperienze accanto a quella di Lugano, presentata da Michele Foletti.

© Città di Lugano

In linea col territorio

L’elettrificazione della Linea 5 rappresenta un’ulteriore conferma dell’impegno di TPL per una mobilità sostenibile e responsabile, al servizio della comunità e del territorio.

L’elettrificazione della Linea 5 rappresenta una svolta all’interno della strategia ambientale dei Trasporti Pubblici Luganesi (TPL). Il direttore Roberto Ferroni presenta il progetto, che vedrà l’entrata in servizio dei primi 8 bus elettrici entro fine 2025, anno in cui TPL festeggia anche il suo venticinquesimo anniversario.

Ing. Ferroni, perché si è scelto di partire dalla Linea 5 fra le sedici di TPL?

Testare la trazione elettrica su questa linea significa verificare l’affidabilità del servizio anche nelle condizioni più complesse. Il percorso, fra i più lunghi della rete, copre 16,4 km (andata e ritorno) con un dislivello di 117 metri. Con oltre 2,3 milioni di passeggeri all’anno, è una linea molto sollecitata, in servizio per 19,5 ore al giorno, con frequenze fino a 10 minuti, ed è servita unicamente da veicoli articolati, i più esigenti in termini di prestazioni. Inoltre, toccando ben sette comuni (Lugano, Massagno, Savosa, Vezia, Lamone, Cadempino e Manno), consente di mostrare concretamente i vantaggi della mobilità elettrica a un territorio più ampio. Quali benefici concreti porta la transizione a bus con propulsione elettrica? Oggi questa linea consuma circa 340mila litri di carburante all’anno, generando 845 tonnellate di CO2. Emissioni e polveri sottili che, passando all’elettrico, verranno eliminate, contribunedo al miglioramento della qualità dell’aria nel Luganese.

Inoltre, la silenziosità dei motori permetterà di ridurre l’inquinamento acustico, mentre la riduzione delle vibrazioni interne renderà più confortevole il viaggio e le condizioni di lavoro degli autisti. Elettrificare una linea non implica soltanto l’acquisto di nuovi veicoli… Esatto. È infatti necessario progettare e implementare un sistema integrato di ricarica. La difficoltà principale è stata individuare le ubicazioni più adatte per collocare le infrastrutture tecniche, come pantografi, armadi elettrici e cabine di trasformazione. Lungo la linea sono state installate due postazioni di ricarica rapida e in rimessa è stata realizzata una postazione di ricarica lenta. Trovare spazi idonei non era importante solo per ragioni logistiche, ma anche per armonizzare l’installazione con l’ambiente circostante, garantire la sostenibilità dei costi e assicurare la capacità di sostenere i carichi elettrici necessari. Un altro aspetto critico è stato il coordinamento con i fornitori di energia elettrica, per assicurare che le aree selezionate potessero ricevere la potenza necessaria in modo continuo e affidabile. Una sfida altrettanto rilevante l’ha posta la gestione del personale per formare gli addetti all’uso sicuro dei sistemi di ricarica e sensibilizzarli a una guida ecologica, in grado di ottimizzare l’efficienza energetica dei mezzi e ridurre i consumi.

A quanto ammonta l’investimento complessivo per il progetto?

L’investimento complessivo supera i 9

Roberto Ferroni, Direttore dei Trasporti Pubblici Luganesi (TPL).

milioni di franchi. Il finanziamento è stato garantito dai committenti, ossia il Cantone e i Comuni serviti dalla Linea 5, insieme a partner privati come AIL, BancaStato e Vaudoise Assicurazioni. Importante anche il sostegno dei contributi federali (Fondazione myclimate, UFAM e UFT), grazie a cui Cantone e Comuni non hanno dovuto sostenere costi supplementari rispetto all’impiego del vettore diesel.

Quali saranno i passi successivi?

Il piano è sostituire progressivamente i mezzi diesel dell’intera flotta con veicoli a propulsione elettrica, avviando un percorso di transizione sostenibile. Stiamo finalizzando lo studio per la Linea 3, con l’obiettivo di renderla completamente elettrica entro il 2030.

Il trasporto pubblico è sempre più al centro delle strategie urbane. A quali altre iniziative sta lavorando TPL?

Tra i progetti attuali, stiamo considerando ulteriori soluzioni innovative per ottimizzare l’uso di fonti di energia alternative nella flotta.

Un’ulteriore riflessione in atto è quella di massimizzare l’efficienza energetica, per favorire la condivisione tra imprese di trasporto delle risorse disponibili e per ridurre gli sprechi. Queste iniziative fanno parte di un percorso più ampio, volto a migliorare il servizio offerto alla comunità, integrando la mobilità pubblica con le esigenze del territorio e le opportunità tecnologiche del futuro.

eureka / l’imprenditore

Conquistare la vetta

Da piccola falegnameria a marchio protagonista dello sci mondiale, leader nelle competizioni e punto di riferimento per know-how artigianale e forza innovativa. A indirizzare la forte crescita dell’ultimo decennio, il Ceo Marc Gläser, subentrato alla famiglia Stöckli alla direzione del marchio.

Tutto è iniziato negli anni Trenta in una piccola falegnameria del Canton Lucerna, dove Josef Stöckli realizzò i suoi primi sci per uso personale. Presto anche amici e conoscenti cominciarono a commissionargliene e la domanda divenne così grande da spingerlo a fondare la Stöckli Ag nel 1935. Da queste umili origini, nel corso dei decenni si è trasformato nell’unico grande produttore di sci della Svizzera. Da allora, i nostri sci vengono fabbricati a Malters, in gran parte sempre a mano: sono necessarie circa 140 fasi di lavorazione per realizzare un prodotto Swiss Made di altissima qualità. Ogni anno vengono prodotti circa 75mila paia di sci, di cui il 70% viene esportato in tutto il mondo. Dieci anni fa sono entrato a farne parte come Ceo. Per me è stato speciale assumere la guida di un’azienda con tanta storia e tradizione. Era la prima volta in cui a dirigerla c’era qualcuno che non apparteneva alla famiglia dei fondatori. All’epoca produceva 35mila paia di sci all’anno ed era solidamente radicata nel mercato svizzero. Il mio ruolo è stato sviluppare ulteriormente queste basi, affinando il nostro portafoglio prodotti e posizionando il marchio sia a livello nazionale che internazionale come brand sportivo svizzero di alta gamma. Insieme al proprietario, abbiamo deciso di concentrarci sulla nostra competenza principale, gli sci, integrandola con una collezione di abbigliamento che amplia in modo coerente la nostra attività. Sono lieto che, grazie a questi passi coraggiosi, dal 2014 siamo riusciti a più che raddoppiare il volume di produzione e che la domanda di sci Stöckli sia in forte crescita sia a livello nazionale che internazionale.

Al contempo, durante questo periodo abbiamo dovuto affrontare continue sfide. Una di queste è stata sicuramente la pandemia. Tuttavia, grazie alla vicinanza dei nostri fornitori, siamo stati in grado

Marc Gläser, Ceo di Stöckli. L’azienda basata a Malters (LU) si è qualificata terza al Prix SVC Zentralschweiz 2023.

di reagire rapidamente. Ne abbiamo anzi approfittato per sviluppare nuovi servizi. Un esempio è la nostra piattaforma omnicanale che permette ai clienti di far registrare online i propri attacchi, in modo che gli sci vengano consegnati a casa loro pronti per l’uso. In questo modo abbiamo potuto stabilire un nuovo standard nel commercio online di sci e offrire ai nostri clienti un’esperienza di acquisto unica.

Oggi l’attenzione è rivolta alla progettazione di processi efficienti ed economici e all’ulteriore sviluppo della produzione di sci. Anche temi come la sicurezza informatica hanno acquisito importanza. Dal punto di vista del mercato, la nostra priorità è l’ulteriore internazionalizzazione, la crescita in mercati importanti e il rafforzamento mirato della nostra attività di vendita al dettaglio.

Per me è stato chiaro fin dall’inizio: se avessi potuto dirigere Stöckli, non l’avrei fatto solo come Ceo a tempo determinato, ma con il mio pieno impegno personale. Questo marchio vive di passione, ed è proprio questo che volevo dimostrare investendo personalmente nell’azienda

e acquisendone delle quote. Sono grato al CdA e alla famiglia proprietaria per la fiducia che mi hanno accordato.

La passione qui si percepisce a ogni livello, dallo sviluppo alla produzione, fino ai nostri atleti e atlete. Non siamo una grande società anonima, ma una Pmi svizzera che produce sci con precisione, innovazione e grande entusiasmo e li distribuisce a livello internazionale. Ed è impressionante come ogni singolo dipendente si impegna con grande dedizione. Uno spirito che si riflette nell’elevata qualità dei nostri prodotti, nella nostra forza innovativa e, in particolare, nelle competizioni sportive. Oltre 200 podi in Coppa del Mondo, sei medaglie olimpiche, cinque vittorie nella Coppa del Mondo generale e i record di punti in Coppa del Mondo sia nella categoria femminile che in quella maschile con Tina Maze e Marco Odermatt dimostrano chiaramente ciò che Stöckli rappresenta: lo sci praticato a livello mondiale.

Il mio motto, che ora è diventato quello dell’intera azienda, è “Immer Besser Werden” (migliorare sempre). Non vale solo per i nostri prodotti, ma anche per noi come organizzazione e team. Solo continuando a evolvere, ad accogliere nuove idee e a crescere come gruppo, riusciremo a realizzare la nostra visione: essere il miglior marchio di sci al mondo, sostenuto dalla produzione Swiss Made, dalla forza innovativa, da collaboratori forti e da una cultura che fa la differenza. L’innovazione non si limita a singoli progetti: è un processo continuo. Lo stesso Josef Stöckli è stato un inventore sin dai primi passi: già durante la produzione dei suoi primi sci, pensò a come ridurre il peso e scanalò la superficie. Tuttora innovazione e creatività sono strettamente correlate, un’attitudine che incoraggiamo attraverso una cultura basata sulla fiducia e sull’errore.

In collaborazione con Swiss Venture Club (SVC)

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Logistica lineare, crescita verticale

In un settore dominato da colossi globali e processi spesso rigidi, una giovane start up tecnologica milanese sta riscrivendo le regole della logistica per l’e-commerce: software -first, automazione nativa in magazzino e integrazioni rapide con i canali di vendita per dare a brand digitali e retailer in accelerazione la stessa potenza e qualità operativa dei big, ma con processi leggeri, tempi rapidi e costi prevedibili. «Durante i primi progetti e- commerce a cui ho preso parte, ho constatato un problema ricorrente: le aziende in accelerazione hanno bisogni specifici ma si scontrano con contratti rigidi, minimi d’ingresso e integrazioni pesanti. Senza importanti capitali o un team tecnologico interno diventa difficile gestire importazioni, magazzini e spedizioni. Abbiamo costruito Sps Fulfillment per essere l’operatore agile: avvio rapido, percorsi digitali chiari e un unico referente per stoccaggio, picking & packing, spedizioni e resi. Un sistema automatizzato e intelligente che elimina i passaggi manuali e le ridondanze, mantenendo i processi lineari anche quando le richieste aumentano di complessità. L’obiettivo è

Missione di SPS

Fulfillment è dare a brand e retailer in accelerazione la stessa potenza operativa dei big: una supply chain senza fogli Excel né email, orchestrata da software e partner esperti.

La soluzione che aiuta retailer e brand digitali a scalare online: una piattaforma end-to-end che centralizza forniture e fulfillment, trasformando spreadsheet ed email in flussi strutturati, automazione intelligente e logistica su misura. Parola d’ordine: semplificare.

liberare tempo e capitale ai nostri clienti per concentrarsi su prodotto e crescita», racconta Thomas Garufi, alla guida di Sps Fulfillment che ha fondato nel 2022.

A supportarlo nel percorso è arrivato Andrea Gallo, sviluppatore software, oggi Cto. Messi in contatto da un venture capital, hanno trovato subito un forte allineamento sulla visione: tecnologia al centro, team snello e grande attenzione alla user experience.

Il cuore di Sps Fulfillment è una control tower digitale che centralizza e orchestra tutte le operazioni, unendo flussi fisici e digitali: «Algoritmi di slotting dinamico, regole di picking adattive,

etichettazione e controlli qualità automatizzati, instradamento dei corrieri per destinazione e categoria merce. Sopra c’è un layer dati per previsione della domanda e alert quasi real-time. Sincronizziamo ordini e stock via notifiche evento; centralizziamo documenti operativi e tracciamo eventi lungo tutta la filiera», spiega Andrea Gallo. Sps può essere vista anche come un database che cresce con ogni ordine e spedizione. «Più dati raccogliamo, più la piattaforma diventa precisa e affidabile, suggerendo al cliente le soluzioni per ottimizzare, ad esempio, le rotte di importazione o la selezione dei corrieri», prosegue il Cto.

Tutta questa complessità si traduce per il cliente in un’unica dashboard intuitiva. Qui si possono seguire importazioni, ordini in lavorazione, livelli di servizio, indicatori di performance della consegna e resi. «La sfida più grande è proprio rendere semplice ciò che è complicato: design essenziale, esperienza d’uso immediata, ma con un controllo totale su ogni passaggio», evidenzia Thomas Garufi. «Per questo abbiamo creato playbook user-friendly (ricezione merci, foto - setup, regole di picking), livelli di servizio leggibili e un referente che conosce il cliente. Non promettiamo “magia”, ma coerenza: quello che concordiamo lo misuriamo, mese per mese», aggiunge Andrea Gallo.

A rafforzare il modello, leggero in asset, ci sono partnership strategiche con magazzini partner e corrieri selezionati per scalare rapidamente e ottimizzare i costi, come Dhl, Ups, Amazon Shipping e operatori per gestione import ed export come Maersk e Forto, o Stripe per i pagamenti. Grazie a questa rete vengono supportate le vendite oltre confine nell’Unione europea, Svizzera inclusa. «Gestiamo classificazione doganale e documentazione, stimiamo tempi e costi per paese e coordiniamo la consegna con i partner. L’importazione rimane forse la più complessa fra tutte le pratiche da gestire. La nostra priorità è la prevedibilità: stimiamo tempi e costi per ogni paese servito, così il merchant non ha sorprese a posteriori», specifica Thomas Garufi.

Il contesto gioca a favore: in Italia l’e-commerce vale ormai decine di miliardi e cresce più della media europea. Le aziende che passano dal retail fisico al digitale hanno bisogno di soluzioni modulari e scalabili, capaci di accompagnare picchi stagionali e complessità cross-border. Il posizionamento della start up milanese è interessante: non compete direttamente con giganti come Flexport, che si rivolgono a multinazionali già strutturate, ma si concentra su imprese con fatturati nell’ordine di decine di milioni, prive di un reparto interno dedicato alla logistica. Accanto a nuove realtà puramente e-commerce, il grosso della clientela di Sps, in un mercato ancora tradizionale come quello italiano, è costituito da retailer con rete fisica che vogliono aprirsi al digitale. Un ampio segmento, in piena espansione e ancora poco servito. Ovviamente, la con-

correnza è destinata ad aumentare, ma Thomas e Andrea, senza farsi intimidire, la vedono come opportunità per migliorare ulteriormente la loro proposta.

Non mancano però le sfide. La logistica è un settore complesso, con margini spesso sottili e costi operativi elevati. Per differenziarsi, Sps punta sulla standardizzazione dove conviene e sulla personalizzazione dove serve, bilanciando efficienza e flessibilità. I picchi vengono

«Vogliamo essere la Tesla della logistica: software al centro, hardware intelligente, velocità che non sacrifica l’affidabilità. Non solo consegnare pacchi: riscrivere l’idea di attesa»

Thomas Garufi, Ceo di SPS Fulfillment

affrontati con pianificazione congiunta, scorte tampone, estensione elastica di capacità presso magazzini partner e regole operative adattive nel prelievo. «Gli algoritmi previsionali aiutano a bilanciare giornalmente capacità e priorità senza far esplodere i costi», nota il Ceo.

Un ulteriore fronte sarà quello della sostenibilità. Con l’aumento delle pressioni normative e delle aspettative dei consumatori, la capacità di ridurre l’impatto ambientale diventerà un elemento competitivo centrale. Investimenti continui in automazione e nel mobile post-acquisto; micro -ottimizzazioni su layout, percorsi e packaging sono nella traiettoria.

«E, guardando oltre, droni e robot per l’ultimo miglio sono un orizzonte che accende l’immaginazione su come Sps potrà trasformarsi in un vero big player della logistica. Ma il prossimo passo è l’espansione oltreoceano. Gli Stati Uniti sono il mercato naturale per una realtà come la nostra. Esser stati selezionati da Pegasus Angel Accelerator a Santa Monica (impegno ‘soft’ da 100mila dollari, giugno-agosto 2025) e dal programma gener8tor a New York (ottobre-novembre 2025), permetterà di rafforzare rete, governance e percorso verso gli Usa. Ci stiamo muovendo per aprire un nostro ufficio a inizio dell’anno prossimo», anticipa Thomas Garufi. Autodidatta in programmazione, appassionato di tecnologia è cresciuto ammirando la start up culture statunitense. «Non ho scelto la strada degli studi universitari, ma ho imparato lavorando e sbagliando. Preferisco un approccio pratico: mettersi sul campo, provare, cadere e rialzarsi. Per me lavorare è una passione e da sempre so di voler far l’imprenditore. Questa è la prima ma non sarà l’unica mia azienda», afferma. Pragmatismo, flessibilità, reattività e una genuina ambizione che sono la cifra distintiva di Sps Fulfillment: «Vogliamo essere la Tesla della logistica: software al centro, hardware intelligente, velocità che non sacrifica l’affidabilità. Non solo consegnare pacchi: riscrivere l’idea di attesa», conclude Thomas Garufi. E l’impressione è proprio che i risultati arriveranno rapidamente.

Emanuele Pizzatti

Da sinistra, Thomas Garufi, fondatore e Ceo di SPS Fulfillment, con il Cto Andrea Gallo.

Spazio agli studenti

sione, sicurezza e supervisione operativa. Un’esperienza che ha rappresentato un’importante palestra per il suo attuale incarico di Flight Controller a supporto del laboratorio europeo Columbus a bordo della Iss.

Lanciata dall’Epfl, Asclepios è la più grande missione spaziale analoga interamente progettata e vissuta da studenti, che al Sasso San Gottardo intreccia formazione e ricerca in un modello unico, attirando partner accademici e industriali di primo piano, oltre a candidati da tutto il mondo.

Fra la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) e quella cinese di Tiangong, non sono che una decina al momento gli astronauti in orbita attorno alla Terra, e di rado se ne contano di più. Il record di 19 presenze si è registrato l’anno scorso, complice l’avvicendamento a bordo della Iss, i problemi tecnici della Boeing Starliner e la missione Polaris Dawn.

Molti di più sono quelli impegnati in “missioni analoghe”: dalla base subacquea Neemo della Nasa in Florida alla stazione antartica Concordia dell’Esa, queste esperienze riproducono in ambienti terrestri estremi le condizioni di vita nello spazio per raccogliere dati e ottimizzare sicurezza ed efficienza delle future missioni. Mentre ha ripreso slancio la corsa allo spazio è infatti fondamentale testare tecnologie, habitat, ma anche dinamiche di gruppo e resilienza psicofisica sul lungo termine. Non mancano inoltre anche iniziative private che si rivolgono a semplici appassionati in cerca di esperienze formative e memorabili.

In questa costellazione, un unicum è rappresentato da Asclepios, la più grande missione analogica al mondo realizzata da studenti per studenti. «Nata nel 2019 come progetto dell’associazione Space@ yourService del Politecnico di Losanna (Epfl), Asclepios è oggi un’associazione indipendente riconosciuta dall’università e sostenuta da un fitto network di partner industriali, centri di ricerca e istituzioni accademiche. Giunta alla sesta edizione, muove ormai una macchina organizzativa impressionante: più di 70 studenti volontari organizzano e simulano ogni anno una missione spaziale in tutti i suoi aspetti - selezione e addestramento, ricerca scientifica, logistica, sponsoring e finanziamento, compliance, comunicazione,…», spiega Riccardo di Bari, che in parallelo al Master all’Institut Superieur d’Aeronautique et de l’Espace di Tolosa, è stato Head of Astronaut Team della quinta edizione di Asclepios, conclusa lo scorso 6 agosto. Fra i suoi compiti: addestramento e sviluppo astronauti, progettazione ed esecuzione della mis-

Quartier generale sin dal 2022, l’ex-fortezza militare Sasso San Gottardo, ad Airolo, che mette a disposizione una caverna riconvertita. I cunicoli scavati nella roccia e l’habitat alpino ricreano isolamento, assenza di luce naturale, condizione climatiche e scenari di un avamposto spaziale. Qui, dopo un anno di training che li impegna settimanalmente, i nove prescelti tra centinaia di candidati da tutto il mondo vivono due settimane da vera crew spaziale: manutenzione della base, gestione di riparazione ed emergenze (incendi, depressurizzazioni), esperimenti scientifici e comunicazioni con il Mission Control Center, a sua volta gestito da studenti, replicando persino il sistema di voice loop della Iss. «Unica differenza sostanziale, l’assenza di gravità», osserva Riccardo, «che viene però testata con un volo parabolico durante il training».

Che un progetto simile nasca su suolo elvetico può sembrare insolito. Ma, seppur non in prima linea, la Svizzera è sempre stata presente nella ricerca spaziale con i suoi Politecnici e nell’industria con le sue aziende, come pure nel volo umano con astronauti come Claude Nicollier, peraltro mentor di Asclepios, e Marco Sieber, recentemente selezionato dall’Esa. «Ciò detto, nel caso di un progetto studentesco conta più l’ecosistema di supporto che la leadership nella corsa allo spazio. Grazie alle risorse offerte dall’Epfl è stato possibile finanziare la prima edizione. Ormai, il costo di una missione, circa 250mila franchi, viene coperto grazie al sostegno di sponsor e partner che forniscono tecnologia, attrezzature, supporto medico e alimentare spesso a titolo gratuito o simbolico. In molti si innamorano di questa iniziativa no profit, con grande visibilità e un forte impatto narrativo: lo spazio cattura sempre l’immaginazione. Università e centri di ricerca ci sostengono poi nel training atletico e nella preparazione mentale. Donazioni, crowdfunding e merchandising assicurano dal canto loro un po’ di liquidità», sottolinea Davide Scalettari, co-project leader di Asclepios V dopo aver preso parte alla precedente

edizione come astronauta, e oggi impegnato a Delft a concludere la tesi in Space Engineering.

Essere ammessi non è però semplice: alla quinta edizione hanno risposto in 200 da tutto il mondo, rigorosamente selezionati con un processo in più fasi: valutazione di curriculum e motivazione, test fisici e cognitivi, infine la rosa dei migliori 20 viene sottoposta a una prova estrema di resistenza fisica, psicologica ed emotiva di 48 ore effettuata a Losanna, presso l’Epfl. «Non cerchiamo supereroi», precisa Riccardo Di Bari. «Scartiamo i profili troppo competitivi o individualisti. Quello che conta è la capacità di lavorare in squadra, di ammettere i propri limiti e affrontare le difficoltà insieme. È lo spirito che servirà nelle due settimane di isolamento, sottoposti a un’intensa attività, senza luce naturale, con poche ore di sonno, mangiando cibo liofilizzato, condividendo un ambiente ristretto e senza sentire i propri cari», spiega il responsabile del Team Astronauti.

Non solo la provenienza geografica, ma anche il background formativo dei partecipanti è eterogeneo, fatta salva la familiarità con le discipline Stem, una buona manualità e qualche esperienza pertinente: ovviamente ingegneria spaziale, ma anche medicina, biologia, persino paleontologia. La varietà è un valore aggiunto che riflette l’evoluzione del profilo degli astronauti negli ultimi decenni: non più solo piloti collaudatori, ma scienziati capaci di portare avanti esperimenti complessi.

Sopra, da sinistra, Riccardo di Bari e Davide Scalettari, rispettivamente Head of Astronaut Team e co-project leader di Asclepios V. Sotto, la crew dei 9 astronauti analoghi protagonista della missione, svoltasi al Sasso San Gottardo dal 21 luglio al 6 agosto 2025.

«A differenza di altri programmi, non chiedendo alcun costo di partecipazione, possiamo mantenere molto elevato il livello di selezione, il che si rispecchia nella rilevanza scientifica dei risultati ottenuti negli esperimenti», sottolinea Davide Scalettari. Ogni missione ospita infatti esperimenti proposti da università, centri di ricerca e start up. Nella quinta edizione, ad esempio, si è studiato l’impatto dell’isolamento sui ritmi circadiani, la crescita di microalghe per habitat lunari sostenibili, e persino le implicazioni legali dell’esplorazione spaziale, compresa l’estrazione di risorse e

il potenziale contatto con forme di vita extraterrestri. Riccardo ha preparato l’equipaggio a servirsi della strumentazione necessaria e a documentare i risultati per garantire la qualità dei dati, l’integrità dei campioni e la conformità alle linee guida. Risultati e prototipi sviluppati in questi progetti possono infatti diventare la base per futuri investimenti su grande scala. A riprova della qualità del lavoro svolto, ben sette paper di Asclepios V hanno potuto essere presentati al Congresso Internazionale di Astronautica (Iac) appena svoltosi a Sidney.

Anche se a oggi nessun astronauta proveniente da missioni analogiche è stato selezionato per voli spaziali reali, la tendenza è chiara. «Asclepios, alla quinta edizione, è stata fra i pionieri. Ma ci sono ottimi segnali, l’Esa ha ad esempio inaugurato lo scorso anno l’analog facility Luna presso il centro di addestramento di Colonia per testare missioni lunari», nota il co-project leader. E diversi partecipanti delle scorse edizioni di Asclepios hanno trovato incarichi presso l’Esa o altri programmi di ricerca. Guardando più in là, cosa attendersi per Asclepios? «Vedo spazio per una crescita almeno un fattore 10: persone, budget, esperimenti, … La sfida sarà però garantire continuità manageriale a un progetto con un turnover annuale circa del 30% considerato chi esce terminando gli studi, il che pone problemi soprattutto per le posizioni apicali. È come se un’azienda dovesse cambiare Ceo ogni anno. Si potrebbe dunque pensare a stabilizzare alcune figure chiave», suggerisce Davide che, come tradizione, vuole sta passando insieme a Riccardo il testimone, anche se entrambi rimarranno membri dell’Advisory Board dell’associazione.

Intanto per i nove membri della crew della sesta missione è iniziato l’addestramento. A luglio 2026 si ritroveranno ad Airolo per vivere due settimane da esploratori spaziali… nelle profondità del massiccio del Gottardo.

Daniel Bernhardt

Attore, stuntman, coreografo, ex modello e artista marziale: Daniel Bernhardt è una figura non facile da incasellare. Il suo nome può anche non essere notato nei titoli dei blockbuster, ma il suo volto - e soprattutto il suo corpo in movimento - è impresso nella memoria degli appassionati di cinema d’azione. Nato nei pressi di Berna, Daniel è cresciuto in una Svizzera che lui stesso descrive come “solida, formativa”, con istituzioni scolastiche eccellenti e una cultura del lavoro fondata sul rigore e sul merito. «È un Paese che ti dà radici vere», racconta. «Un sistema scolastico serio, un apprendistato concreto,

amicizie sincere: elementi che ancora oggi influenzano il mio modo di lavorare». A quindici anni, quando la maggior parte dei ragazzi si perde sperimentando hobby passeggeri, Daniel scopre le arti marziali. Fino a quel momento era un ottimo calciatore, ma l’incontro con un amico appassionato di queste discipline sarà determinante. «Quella per le arti marziali è stata per me una passione improvvisa, ma assoluta. E senza saperlo, ho iniziato a costruire il mio futuro», commenta l’attore. Un futuro decollato sulle passerelle di moda per approdare poi ai set cinematografici, con un cambio di scena audace. Prima di diventare attore, infatti,

Trent’anni di carriera in equilibrio tra disciplina e potenza, tra la concretezza delle arti marziali e l’astrazione del set cinematografico. Entrato nell’olimpo cinematografico con Matrix Reloaded, con il film Deathstalker presentato in anteprima al Festival di Locarno 2025, Daniel Bernhardt, l’attore svizzero di nascita e americano d’adozione, dimostra che c’è ancora spazio per un’azione autentica, senza filtri digitali, né ego fuori controllo.

Si è raccontato in un tranquillo pomeriggio ticinese.

Bernhardt ha vissuto l’età d’oro della moda. Parigi, Londra, Milano, New York, Miami: tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, sfila per i più grandi, posa per i magazine più trendy, Vogue, Elle, lavora con celebri fotografi. «Era un’epoca diversa. I modelli erano celebrità, rispettati, pagati lautamente. Viaggiavamo per il mondo».

Il turning point arriva quasi per caso. Daniel ha 27 anni, ha appena lasciato Parigi per New York, quando viene scelto dal fotografo Bruce Weber per una campagna pubblicitaria di Versace Jeans.

Poco dopo, un casting cambia il suo destino: cercano un attore per sostituire Jean-Claude Van Damme in un film d’azione. Bernhardt ottiene il ruolo. Nasce così Bloodsport II, ed è l’inizio della sua carriera sul grande schermo.

Per Bernhardt, il corpo non è solo uno strumento di lavoro: è linguaggio, identità, spiritualità. «Disciplina e allenamento sono fondamentali. L’allena -

Daniel Bernhardt, a Locarno, dove ha trascorso qualche giorno in occasione della presentazione del film Deathstalker al Festival del Film 2025 (abiti CosySunday, orologio Kerbedanz).

mento è la mia salute mentale», afferma con convinzione. «Qualunque cosa faccia

Sopra, in Deathstalker, Daniel Bernhardt interpreta l’omonimo protagonista, un guerriero barbaro, un veterano segnato dalle battaglie ma con una forza fisica e morale notevole. Non è il classico eroe idealizzato, ma un combattente vero.

Sotto, l’attore con le protagoniste femminili del film: Christina Orjalo (in foto, a sinistra), che interpreta la ladra astuta Brisbayne e Nina Bergman nel ruolo di Grendel.

- una camminata, un’ora di palestra - mi dà equilibrio, chiarezza. È una forma di meditazione».

Questa dedizione assoluta alla disciplina fisica lo ha reso non solo un attore credibile, ma anche un punto di riferimento per colleghi, registi e coreografi. Ha allenato attori, ideato scene di combattimento, sempre con un mantra preciso: realismo, intensità e soprattutto sicurezza. «Le riprese di un film action sono un contesto pericoloso. E io metto la sicurezza al primo posto, sempre. Non si scherza, ne va dell’integrità fisica delle persone».

Da Bloodsport II a Matrix Reloaded, fino a John Wick, Bernhardt ha interpretato eroi silenziosi e villain letali. Ognuno di questi ruoli lo ha messo alla prova in modo diverso. «Bloodsport II è stato il primo film da protagonista. Non avevo quasi esperienza. È stato faticosissimo, ma alla fine anche molto divertente».

Diversa l’esperienza con Matrix Reloaded, dove Daniel ha vestito i panni dell’agente Johnson e si è trovato a lavorare con superstar e un team creativo d’élite. Del cast di Matrix Reloaded (2003), secondo film della trilogia originale delle sorelle Wachowski, fanno infatti parte attori del calibro di Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Jada Pinkett Smith, per citarne solo alcuni. «Essere parte di un progetto così importante, a quel livello, è stato travolgente. E si è rivelata al tempo stesso un’esperienza incredibilmente formativa».

Oggi il cerchio sembra chiudersi - o forse riaprirsi - con Deathstalker, il nuovo film diretto da Steven Kostanski, un omaggio ai fantasy d’azione degli anni Ottanta. Il film è stato presentato in anteprima al Festival di Locarno 2025. «Gli organizzatori mi hanno detto che hanno scelto questa pellicola per la sua anima artigianale. Nessun effetto digitale, nessuna scorciatoia. Solo passione, mostri in lattice, sudore, coreografie vere. Un film unico, in un mondo che ha dimenticato l’imperfezione poetica dell’artigianato cinematografico», sintetizza Daniel Bernhardt.

Tanti i personaggi interpretati in tre decenni di carriera, tanto i buoni quanto i cattivi, ma per lui non esiste un ruolo preferito. «Il lavoro è lavoro», dice con semplicità. «Sono fortunato a fare ancora questo mestiere dopo tanti anni. E fortunato perché mi piace ancora molto farlo. Questo per me è tutto».

Una compostezza, la sua, che cela una curiosità artistica vivissima: «Ho fatto veramente poco commedia, ma mi dicono che ho senso dell’umorismo. Vorrei

Dopo il debutto come protagonista in Bloodsport II, Daniel Bernhardt è diventato negli anni un riferimento nel genere action classico. In Matrix Reloaded dove interpreta l’Agente Johnson, uno dei nuovi agenti (insieme ad Agente Jackson e Agente Thompson), Bernhardt è protagonista di una scena memorabile di lotta su un camion in corsa, parte del leggendario “Freeway Chase”, una delle sequenze più complesse e costose mai girate (realizzata su un’autostrada costruita appositamente per il film).

cimentarmi più spesso in ruoli di commedia. Anche i drammi mi affascinano. Proprio ieri ho rivisto The Hill con Sean Connery… è un film che ti resta dentro». Pur vivendo tra gli Stati Uniti e i set del mondo, Daniel resta profondamente legato alla sua terra. «Torno in Svizzera almeno due volte l’anno. Ho ancora gli amici dell’infanzia, quelli veri. E ogni volta che torno, sento che le radici sono lì. Da giovanissimo avevo però bisogno di andare oltre, di uscire da quel mondo».

Forse è proprio il contrasto tra ordine svizzero e caos creativo americano ad avergli dato una prospettiva unica: l’equilibrio tra disciplina e rischio, tra rigore e istinto. Una sintesi rara, che si riflette in ogni suo movimento.

Dopo trent’anni davanti alla camera, Bernhardt guarda sempre più spesso oltre l’obiettivo. «Ho già diretto e prodotto, ma ora sto lavorando seriamente per dirigere un progetto mio. Resterò legato all’action, certo, ma mi piacerebbe mescolare questo genere con altri generi, anche con un po’ più di introspezione. Ho tante storie da raccontare, e credo che il pubblico sia pronto le novità, ma autentiche».

A chi sogna una carriera nel cinema d’azione - senza raccomandazioni, scuole prestigiose o contatti giusti - Daniel lancia un messaggio chiaro: «È esattamente la condizione che avevo agli inizi: nessuna connessione, solo passione. Il mio consiglio? Never give up. Diventa il meglio che puoi diventare. Non imitare nessuno. Se ami davvero qualcosa, vai in quella direzione. E i risultati arriveranno. Magari lentamente, ma arriveranno».

Alla fine, cosa resta dopo decenni di scene, acrobazie e set sparsi per il mondo? Bernhardt non ha bisogno di riflettere: «Svegliarmi al mattino e sentirmi bene nel corpo e nella mente. Parlare al telefono con mia figlia. Portare a passeggio i miei cani. Avere l’energia di fare ciò che amo. Dopo trent’anni, essere ancora nel gioco, e farlo alle mie condizioni: questo si chiama felicità, una condizione che è il risultato di scelte difficili, e di una fedeltà ostinata a me stesso». Sorride. E conclude. «La vera forza, anche nel cinema d’azione, è restare sé stessi quando tutti ti chiedono di essere qualcos’altro».

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La storia di Elho Freestyle non è solo quella di un brand sportivo riportato in vita, ma l’esito naturale di un percorso creativo che attraversa club underground, redazioni patinate, set fotografici, passerelle d’alta moda e visioni imprenditoriali coraggiose. Il percorso è quello di Donald Schneider,

Il ritorno di un cult

Investire in un’azienda fashion oggi non è più una questione di spazio di mercato da occupare, quanto piuttosto di identità da costruire.

La rinascita del leggendario brand svizzero Elho porta la firma di un creativo che si è distinto su scala mondiale. E unisce tecnicità e stile urbano, collaborazioni artistiche e materiali innovativi. Il risultato? Un nuovo equilibrio tra estetica, funzionalità e cultura contemporanea.

pluripremiato founder e direttore creativo dell’omonimo Studio e ora motore del rilancio di Elho Freestyle, e la traiettoria è unica nel suo genere. Cresciuto vicino a Zurigo, con una formazione in graphic design e un talento precoce per la costruzione di immaginari, Schneider ha attraversato le capitali della cultura

visiva: da New York (ai tempi del leggendario night club Area) fino alle redazioni di magazine iconici, come Vogue a Parigi, passando per le grandi campagne pubblicitarie di marchi top come Dior e Chloé e infine ideatore di un concetto rivoluzionario nella moda: la capsule collection. La prima capsule era per H&M, marchio di cui Schneider è stato per anni direttore creativo globale. «Karl Lagerfeld ha creduto nella mia idea: il celebre stilista ha accettato così di firmare una collezione per un marchio non luxury. Primo passo verso la moda democratica, dopo quella prima ‘capsule collection’, infatti il concetto ha rapidamente e capillarmente conquistato il settore del fashion», racconta Schneider che, dopo una carriera che avrebbe potuto placare ogni ambizione, ha scelto invece di rimettersi in gioco. E lo ha fatto quattro Sopra, Andri Ragettli, campione di sci freestyle che alle prossime Olimpiadi invernali gareggerà indossando capi Elho Freestyle. Questa disciplina è l’unica in cui gli atleti sono liberi di scegliere come vestirsi nelle competizioni. A sinistra, backstage della nuova campagna pubblicitaria.

anni fa quando, grazie alla segnalazione di un amico, ha riscoperto Elho, storico marchio svizzero di abbigliamento da sci, nato nel 1948 e chiuso quattro decenni più tardi. Un nome pioniere nell’uso dei colori neon, a cui si deve anche il merito di aver inventato il primo pantalone tecnico da indossare sopra gli scarponi da sci. «Quando Elho chiuse, nel 1993, sparì anche il suo archivio. Nessuna memoria visiva, nessun database. Ed è proprio lì che ho visto un potenziale: non un’operazione di revival, ma una rifondazione», sintetizza Schneider.

Nasce così Elho Freestyle, fondato su tre pilastri: performance, innovazione, qualità. Una linea pensata per la montagna, ma che respira anche il ritmo della città. Un design tecnico e insieme audace, che sfida i cliché dell’abbigliamento sportivo. Nell’azienda, basata a Zurigo, batte un cuore creativo a metà tra la città svizzera e Berlino. L’approccio è sartoriale e insieme industriale, grazie a una filiera tracciata, una scelta di materiali innovativi e responsabili (senza l’abuso del termine “sostenibilità”) e una chiara posizione fuori dal fast fashion. «Il nostro target va dai 25 ai 40 anni, uomini e donne. Sebbene l’età oggi sia solo un riferimento relativo. Quello che conta è come ti muovi nel mondo, e cosa cerchi nei

vestiti che indossi. I nostri capi sono cool, ma prima di tutto devono proteggerti». Ogni collezione Elho Freestyle viene concepita con l’occhio esperto di chi, come Schneider, ha costruito immagini per decenni, sempre con una visione innovativa, sia nella gestione di marchi che per le campagne internazionali (sue quelle con star come Beyoncé, David Beckham e Kendall

Jenner). Nelle collezioni Elho Frestyle, i colori sono una signature: viola, corallo, toni fluo, mai aggressivi ma riconoscibili. E poi le collaborazioni artistiche, elemento chiave dell’identità del brand: lo scorso anno una capsule collection incentrata sull’opera di Jean-Michel Basquiat (che Schneider aveva conosciuto personalmente negli anni ’80 a New York), quest’anno una Performance Bomber Jacket in partnership con Mr A, artista e imprenditore parigino. La collezione autunno/inverno 2025-26 si prepara a un momento clou: le

Olimpiadi invernali, dove il marchio sarà presente con due testimonial d’eccezione: Andri Ragettli, superstar dello sci freestyle e dei social con milioni di follower, e Zoe Van Essen, campionessa svizzera di skateboard e promessa olimpica di freestyle. «Entrambi scenderanno in pista con capi Elho Freestyle: la loro è l’unica disciplina olimpica in cui non ci sono vincoli di divisa e ogni atleta può scegliere come vestirsi», commenta il ri-fondatore di Elho, un marchio lontano dalla moda di massa, vicino alle persone giuste, come lusso accessibile. «I capi sono distribuiti tramite un e-commerce solido e selezionate boutique non solo in Svizzera.

Sono pensati per durare. Alcuni sono “evergreen”, reinterpretati in ogni stagione, come il bomber o la giacca di lana», nota Schneider.

La sostenibilità, qui, non è claim pubblicitario. «È una prassi, fatta di uso limitato di plastica, attenzione all’impatto dei tessuti, trasparenza nella produzione. Un equilibrio tra estetica e coscienza, che parla alle nuove generazioni senza rinunciare al rigore», aggiunge l’intervistato.

Il lusso oggi? «Non è più questione di

Sopra, Donald Schneider, fondatore di Elho Freestyle.

Pluripremiato Founder e Creative Director di Donald Schneider Studio, il creativo ha acquisito i diritti mondiali di Elho, rilanciandolo come Elho Freestyle.

A sinistra, la Performance Bomber Jacket, uno dei capi iconici, qui nella nuova capsule collection, realizzata in collaborazione con il celebre artista di graffiti francese Mr A (André Saraiva, nella foto in basso a sinistra).

prezzo. È ciò che è fatto con cura, che dura nel tempo e ti fa sentire parte di un’identità», risponde il fondatore di Elho Freestyle, che oggi gode anche di investimenti privati di circa venti soci, tra cui professionisti del settore e alcune celebrità come Oliver Bierhoff, ex attaccante del Milan e volto noto del calcio tedesco.

Non è solo una start up, ma una piattaforma culturale in divenire. Un brand che ragiona in ottica transmediale, pronto a esplorare nuove dimensioni mantenendo salda la sua identità svizzera e la visione globale. La storia di Elho Freestyle è una lezione di reinvenzione intelligente. Non si tratta di nostalgia, ma di riscrivere un’eredità per renderla rilevante oggi. Tra passato e futuro, outdoor e urban, performance e ricerca estetica. È la dimostrazione che si può fare moda in modo indipendente, rigoroso, creativo. «Nel mio lavoro ho sempre cercato il punto in cui l’intuizione incontra la necessità. Elho Freestyle è esattamente questo: un bisogno reale che incontra una visione audace», conclude Donald Schneider.

Simona Manzione

© Felix Krüger

Il futuro della moda

Come potrebbe svilupparsi il mondo del fashion nei prossimi anni? Molti i trend in atto, poche le certezze. Il punto di vista di un gigante del settore, che molto a lungo l’ha analizzato.

Achim Berg è un gigante del settore della moda. Dopo una lunga carriera di successo presso McKinsey & Company, la principale società di consulenza strategica al mondo, nel 2024 ha lanciato la sua azienda, FashionSights, un think tank aziendale indipendente dedicato a esplorare e plasmare il futuro dell’industria della moda. Radicato in una ricerca rigorosa e alimentato dall’esperienza del suo team e dalla sua vasta rete, vuole aggiungere valore all’industria, attraverso servizi di insight e di consulenza, parlando con i leader, gli imprenditori e gli investitori. Berg è partito da solo, ma con una chiara missione ‘sociale’, sia a livello personale che professionale. Ecco alcune domande su di lui e su un settore che ha un disperato bisogno di cambiare, se vuole sopravvivere e servire i fan globali, la comunità in generale e il pianeta.

Dopo tanti anni di sfide aziendali e di ‘comodità’ (quando si tratta di un marchio noto come McKinsey), perché una nuova avventura? Ho apprezzato molto il mio percorso in McKinsey, ho iniziato come generalista ma ho scoperto una passione inaspettata per la moda e ho contribuito a costruire la practice di McKinsey su abbigliamento, moda e lusso. Ma dopo 24 anni in azienda, sentivo di volermi concentrare su alcuni elementi, come seguire la mia passione per la ricerca e la leadership di pensiero. Ho iniziato con il rapporto State of Fashion con Business of Fashion, e ho scritto più di 40 white paper, ma volevo fare ricerche più approfondite. Inoltre, mi piaceva sempre di più

fornire consulenza ai leader, piuttosto che gestire e supervisionare progetti e grandi trasformazioni. Quando ho compiuto cinquant’anni, ho pensato che potevo rimanere per altri dieci in McKinsey, ma che potevo anche tentare di essere più incisivo in ciò che volevo davvero fare. E dopo un lungo processo, ho concluso che potevo farlo. Questo processo mi ha portato a fondare FashionSights. Abbiamo appena

Frank Pagano, azionista di Tokenance, Senior Partner di Jakala, Contributor de Il Sole 24 Ore.

Sotto, Achim Berg, fondatore e Ceo di FashionSights.

iniziato e i primi segnali sono forti. Ma sì, è un’impresa mia e comporta dei rischi, che accetto. È anche quello che stavo cercando. Non ho paura, perché guardo a ciò che dobbiamo realizzare e a come possiamo sostenere i nostri clienti. Hai recentemente scritto un contributo a un libro dedicato a Giorgio Armani e alla

sua azienda. Quali sono le cose uniche che Armani lascia al mondo della moda? Direi che è l’atemporalità del marchio. Il signor Armani è stato in grado di creare un’azienda solida, e probabilmente non ha mai massimizzato il suo potenziale dal punto di vista delle vendite. È sempre stato fedele alla sua natura e al suo obiettivo di estrema cura e qualità. Ha costruito un marchio iconico, con una scrittura chiara e inconfondibile. Armani è stato uno dei primi stilisti a espandere il suo marchio in molte categorie, dagli accessori all’arredamento, al cibo, all’ospitalità, essendo e comportandosi come un pioniere. Il suo modo di fare non è mai sceso a compromessi tra le categorie e le aree geografiche. Ha davvero superato la prova del tempo. Armani è una leggenda e fa parte di quei pochi che hanno plasmato un intero settore. Ovviamente, la questione aperta è come questa eredità continuerà. C’è molto da imparare dall’uomo e dal suo marchio, per tutti i nuovi designer.

Rispetto invece alle nuove generazioni di leader della moda. Quali sono gli insegnamenti che i marchi di moda e gli stilisti del futuro dovrebbero seguire, o le cose che dovrebbero fare in modo diverso rispetto al passato?

Siamo nel settore della moda, si sa. Un’idea unica e distintiva è sempre alla base di

un successo duraturo dal punto di vista del prodotto, del marchio e soprattutto del business. Ogni stilista o uomo o donna di moda deve creare un modello di business innovativo e distintivo.

In termini di creazione di ricchezza, se guardiamo al passato, la moda come industria ha prodotto molti miliardari, ed è terza, solo dopo la tecnologia e la finanza. La moda può creare ricchezza tangibile, nonostante i suoi rituali cauti, estrosi e conservatori. C’è qualcosa di unico in Lvmh o Inditex, per esempio. La moda è in grado di creare valore condiviso per un’ampia rete di attori, e questo dovrebbe essere mantenuto.

Il marketing mix ha sicuramente bisogno di un maggior numero di ingredienti diretti, online e social media, che abbiamo visto crescere negli ultimi 15-20 anni. Ma il digitale non può funzionare da solo. Sono ancora necessarie alcune caratteristiche della vecchia ricetta, insieme ai progressi tecnologici. Altre opportunità sono sicuramente la conoscenza dei consumatori e il coinvolgimento dei fan. Per esempio, Ami Paris potrebbe essere un buon esempio di un nuovo approccio

di go-to-market più contemporaneo. La formula classica è ancora valida, ma ha bisogno di iniezioni di tecnologia sempre maggiori, in termini di penetrazione del mercato e di coinvolgimento.

«In termini di creazione di ricchezza, se guardiamo al passato, la moda come industria ha prodotto molti miliardari, ed è terza, solo dopo la tecnologia e la finanza. La moda può creare ricchezza tangibile, nonostante i suoi rituali cauti, estrosi e conservatori»

È difficile non guardare agli Stati Uniti. Cosa sta succedendo lì e cosa dobbiamo aspettarci per l’anno prossimo per i marchi di moda?

Osservo ciò che sta accadendo con sorpresa e delusione. All’inizio dell’anno l’industria sperava in una rinascita negli

I nostri medici salvano vite. Il suo testamento, anche.

Stati Uniti, soprattutto volendo contare su un Governo favorevole alle imprese. Ora sembra che sia quasi il contrario. Le supply chain della moda sono molto complesse e non è possibile adeguarle rapidamente. Le onde d’urto dei programmi tariffari sono visibili e reali. È una cosa triste per il settore. Crea molta insicurezza, il che non aiuta. I marchi sono e dovrebbero essere in modalità di attesa. Le cose possono cambiare, ovviamente. I mercati premium e di massa aspetteranno, cercando alternative e contingenze. Dovremmo aspettarci un primo e un secondo trimestre morbidi, insieme a un freno agli investimenti, il che significa meno aperture di negozi, nuova distribuzione, aumento del personale, riduzione dei budget di marketing. Il 2025 sarà un altro anno di transizione per il settore. Forse è l’occasione per alcuni cambiamenti culturali, per una maggiore conoscenza dei consumatori e del commercio, per partnership più strette. I prezzi non possono più salire, dopo gli aumenti artificiali del passato. È il momento perfetto per ripensare, rimodellare e rimescolare, e noi vogliamo essere parte di questo processo.

Sì, desidero ricevere per posta una copia della mia guida ai legati e all’eredità.

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La sfida intelligente che non conosce età

Un gioco nato nei salotti aristocratici secoli fa e riconosciuto, nel 1995, come sport della mente dal Comitato Olimpico Internazionale. In Ticino ha una comunità viva e appassionata, come testimonia l’Associazione Bridge Lugano (AbL), il più grande dei quattro club ticinesi, che nel 2025 celebra il suo cinquantesimo anniversario con giornate di porte aperte e nuovi corsi.

Sta svelando le sue carte (vincenti). Il bridge. Che attira un numero crescente di curiosi e appassionati, di ogni età, pronti a lasciarsi trasportare da un gioco pieno di virtù. Si stima siano ottanta milioni i giocatori nel mondo, di cui oltre seimila in Svizzera e oltre mezzo migliaio in Ticino. Che cosa lo rende affascinante? E perché è considerato uno strumento prezioso per il benessere mentale e relazionale, in ogni fase della vita?

«Il bridge è molto più di un gioco. È una connessione tra menti e persone, un linguaggio universale che supera le barriere di età, lingua e provenienza», esordisce Maurilio Morganti, per dieci anni presidente dell’Associazione Bridge Lugano (AbL), il più grande dei quattro club ticinesi, che prosegue: «Giocare a bridge aiuta a sviluppare il pensiero critico e strategico, lavora su strategia, tattica, tecnica, concentrazione e memoria».

Ginnastica per la mente

Numero giocatori per tavolo: 4

(2 coppie contrapposte)

Obiettivo: fare il numero di prese dichiarate dopo la fase di licita

Fasi: licitazione (asta), gioco della carta

Competenze richieste: logica, memoria, strategia, comunicazione

Valori: collaborazione, fair play, rispetto delle regole

Dove si gioca : circoli locali, online, tornei internazionali

Età consigliata: da 10 a 100 anni

Quella del bridge è una storia lunga e accattivante. Le sue origini affondano nel XVI secolo, «quando in Inghilterra si giocava a “Triumph” (o “Trump”), antenato del Whist. Quest’ultimo divenne popolare in Francia grazie a Madame Du Barry e, più tardi, si diffuse tra l’aristocrazia europea e americana. Conquistò anche Napoleone - sembra che abbia trascorso i suoi ultimi tempi a Sant’Elena giocando a Whist -, e Benjamin Franklin, che lo importò e lo impose nella sua Philadelphia», racconta Maurilio Morganti, oggi socio onorario del club luganese e, ben classificato a livello svizzero, giocatore nei campionati svizzeri e regionali in una delle otto squadre di tale club. «Ma il momento saliente per lo sviluppo del gioco», prosegue Morganti, «fu in India nel 1904, quando tre ufficiali inglesi di stanza in Oriente, non trovando un quarto giocatore, ebbero la geniale idea di disputarsi in una sorta di asta il colore di Atout e il diritto di giocare la mano avendo come dirimpettaio le carte del giocatore mancante: nascevano così, contemporaneamente, “la licita” (asta per aggiudicarsi il contratto) e il “morto” (ovvero il partner che scopre le proprie carte sul tavolo), che resero il Whist-Bridge molto simile al bridge di oggigiorno».

La nascita del bridge moderno risale invece al 1925. «Durante una crociera, il ricco e sportivo americano Harold Stirling Vanderbilt, vincitore per tre volte dell’America’s Cup, maturò assieme ai suoi ospiti l’idea di attribuire un congruo premio per le Manche e gli Slam, delle penalità per le prese di caduta e - grazie a una passeggera rimasta sconosciuta - il

concetto della vulnerabilità». Era nato il “Contract Bridge” che, salvo progressivi aggiustamenti, è ancora attuale. La diffusione fu straordinaria, grazie a Ely Culbertson e alla rivista The World Bridge Da lì nacquero federazioni nazionali, la World Bridge Federation e la European Bridge League.

Oggi, il bridge si gioca in oltre cento Paesi, con campionati mondiali ed europei: la Svizzera ha vinto l’oro nel 2022 e 2023 nella categoria Open. «È un gioco profondo e nobile che non ha nulla a che vedere con i giochi d’azzardo», sottolinea Maurilio Morganti, «il bridge premia invece la competenza e la collaborazione, più che la fortuna. Tutt’altro che elitario, è un gioco incomparabile per tutti coloro che hanno una mente curiosa, per adolescenti e anziani, senza distinzione di genere e alla portata di qualsiasi por-

scuola di bridge dell’Associazione Bridge Lugano. «Il bridge non è solo competizione: è anche resilienza, etica, collaborazione e autocontrollo. Si vince e si perde in coppia o in squadra, e il rispetto delle regole - inclusa la trasparenza del sistema licitativo - è parte integrante del gioco». Passatempo, divertimento ma anche alleato per una miglior salute e un maggiore benessere: «Diversi studi hanno dimostrato i benefici cognitivi del bridge, paragonabili ai benefici che ha l’esercizio fisico sul corpo. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha rilevato che giocare regolarmente a bridge riduce il rischio di demenza addirittura del 74%. Il gioco stimola la produzione di linfociti T, rafforza il sistema immunitario e promuove la formazione di nuove sinapsi cerebrali. Esperimenti scolastici dimostrano che i bambini che imparano

tafogli. Molto più di un gioco di carte, è una scuola di vita, un esercizio mentale senza pari. Il bridge è un gioco di squadra e in tutta una vita non si avranno mai le stesse distribuzioni di partenza (si verificano miliardi di possibili combinazioni) sicché ogni smazzata è unica. «Dietro ogni “smazzata” si cela una decisione complessa: scegliere la strategia migliore, cooperare con il partner, decifrare gli indizi offerti dagli avversari. Tutto si gioca in due fasi: la licitazione (dove si “parla” con un linguaggio codificato, usando bidding-boxes, ossia contenitori di cartoncini con i simboli delle offerte) e il gioco della carta, dove il dichiarante tenta di realizzare le prese promesse, sfruttando logica, intuizione e memoria», aggiunge l’esperto, che nel 2002 ha fondato la

il bridge migliorano significativamente le competenze in lettura, matematica, scienze e problem-solving rispetto ai loro coetanei», sintetizza Morganti. «Tanto che, in molti Paesi, questo gioco è inserito nei programmi scolastici», evidenzia l’esperto di bridge, attualmente docente ai corsi per iniziati e avanzati: «In Ticino, l’Associazione Bridge Lugano propone corsi per principianti e serate di approfondimento per i più esperti, in un ambiente amichevole e accogliente».

Coppie o squadre? «Due facce della stessa passione! Le coppie competono direttamente contro altre coppie sulle stesse mani: è una formula dinamica, ottima per i principianti e perfetta per affinare l’intesa tra partner. Le squadre (di due fino a quattro coppie) competono su due tavoli

Maurilio Morganti, fondatore nel 2002 della scuola di bridge dell’Associazione Bridge Lugano e socio onorario dello stesso club.

paralleli e lo scarto nei punteggi si traduce in vincita o perdita. Sono richieste maggiore strategia collettiva, collaborazione a lungo termine, resistenza mentale», spiega Morganti, «se le coppie aiutano a consolidare le basi, le squadre elevano la sfida mentale e il senso di appartenenza».

Dove (ri)scoprire il bridge in Ticino? Per coloro che intendono informarsi, apprendere e giocare a bridge, l’Associazione Bridge Lugano (AbL) organizza da vent’anni corsi per neofiti e principianti e serate di approfondimento per esperti. Nella nuova sede al Centro Carvina 5 di Taverne, supportati da “istruttori” qualificati e strumenti didattici appropriati, gli interessati possono imparare i fondamentali e le particolarità del bridge.

Il 2025 è un anno speciale per il bridge svizzero: la Federazione festeggia settantacinque anni, mentre l’AbL celebra mezzo secolo di attività e ventitré anni di scuola. Per sottolineare questi anniversari, il circolo apre a tutti le porte della sua sede di Taverne, con nuovi corsi che partiranno da metà ottobre. Un’occasione unica per conoscere e approfondire questo gioco straordinario, senza pregiudizi, guidati da appassionati e professionisti pronti a condividere la loro esperienza.

«In un mondo dove si corre troppo, il bridge invita a fermarsi, pensare, collaborare. E forse così - come diceva George A. Akerlof, Nobel per l’Economia 2001 - a rendere questo mondo un po’ migliore», conclude Maurilio Morganti.

Simona Manzione

Funnel efficaci e dinamici

Come sfruttare i funnel in modo pragmatico ed efficace? Alle Pmi non serve più complessità, ma passi chiari che generino impatto. Meno tool, più focalizzazione e responsabilità ben definite nel team.

Nella teoria, i funnel di marketing sono ormai consolidati: dalla prima attenzione ai lead qualificati fino alla fidelizzazione dei clienti. Nella pratica, però, molte piccole e medie imprese hanno difficoltà ad applicare questa logica in modo coerente. Anziché chiarezza, spesso prevalgono una proliferazione incontrollata di strumenti, scarsa focalizzazione e carenza di risorse.

Una recente tesi di laurea di Noah Stefanelli presso la Scuola universitaria professionale dei Grigioni (“Theorie vs. Praxis von Funnels im digitalen Marketing von Kmu in der Schweiz”, 2025) mette in luce questa discrepanza tra aspirazioni e realtà. La sua guida pratica mostra come le Pmi possano utilizzare il funnel in modo pragmatico ed efficace, senza essere sopraffatte da sistemi sovradimensionati.

Le aziende intervistate lo confermano: le strategie non mancano, ma difettano semplicità e coerenza. Spesso si investe troppo in singole azioni - un post sui social qui, una campagna là - senza un filo conduttore lungo il funnel. Il risultato: molti contatti, ma pochi lead qualificati.

Il modello di un funnel lineare, dalla consapevolezza alla fedeltà, caratterizza il marketing da decenni. Tuttavia, le esperienze dei clienti raramente seguono un percorso così ordinato. Passano da un canale all’altro, raccolgono opinioni in rete, interagiscono più volte e si aspettano feedback in tempo reale.

Chi vuole avere successo oggi deve considerare il funnel non come una strada a senso unico, ma come un sistema dinamico e ciclico. Il che significa passare da un semplice schema di fasi statiche al customer journey mapping, usare dati e buyer personas per capire quali touchpoint

contano davvero, integrare automazione e feedback continui per accompagnare i lead lungo tutto il percorso, senza limitarsi a trasferirli da uno step all’altro. Per le Pmi si traduce in un approccio pragmatico ma aggiornato: preservare la semplicità, ma senza perdere di vista la complessità del mondo multicanale odierno.

Affinché il funnel funzioni, sono determinanti tre fattori. Primo: qualità anziché quantità. Meglio pochi lead, ma chiaramente definiti. Criteri e punteggi aiutano a selezionare. In secondo luogo, misurabilità light: non è necessario un arsenale di strumenti. Già parametri semplici come Utm, campi di moduli o dati Crm di base garantiscono trasparenza. Terzo, contenuti lungo l’intero percorso: da una mini-guida a post comparativi fino a case

Tre consigli per le Pmi

1) Stabilire le priorità: concentrarsi su poche azioni con impatto diretto sul funnel.

2) Standardizzare: un form chiaro, un passaggio di consegna chiaro alle vendite, meeting brevi al posto di grandi progetti.

3) Misurare : seguire una catena semplice di Kpi - visitatori, lead, appuntamenti, chiusure.

Il marketing funnel non è stregoneria. Chi procede con piccoli passi coerenti può ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Soprattutto per le Pmi che operano spesso con risorse limitate, è l’occasione per integrare finalmente marketing e vendite in modo davvero efficace.

study - ciò che conta è che i contenuti rispondano alle domande specifiche di ogni fase del funnel.

Particolarmente importante è il passaggio di testimone tra marketing e vendite. Senza una chiara definizione di lead qualificati, si rischiano di perdere opportunità. Feedback regolari tra i rispettivi team assicurano che il funnel resti ciclico e non si trasformi in una strada a senso unico.

Anche la dimensione legale ne fa parte. Un processo snello e conforme alla Gdpr con double opt-in non è un ostacolo, ma un fattore abilitante. Le Pmi che puntano fin dall’inizio su dati di prima mano puliti acquisiscono fiducia e libertà d’azione a lungo termine.

Un altro aspetto pratico: lavorare con i funnel richiede disciplina e continuità. Molti progetti non falliscono a causa di idee sbagliate, ma per la difficoltà di perseguirle nella quotidianità. Una revisione settimanale, una breve riunione di allineamento tra marketing e vendite o una semplice dashboard sono spesso sufficienti per mantenere una visione d’insieme. Soprattutto le Pmi che non dispongono di grandi team possono ottenere notevoli risultati con routine chiare. Non è la complessità delle azioni a fare la differenza, ma la loro regolarità e l’allineamento costante al valore per il cliente.

Questo è fondamentale per la competitività delle Pmi svizzere: chi professionalizza in modo visibile i propri processi di marketing e vendita non solo rafforza la sua immagine, ma anche la fiducia di clienti, partner e talenti.

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Il presente documento è una comunicazione di marketing BASE INVESTMENTS SICAV (la “SICAV”), con sede in Lussemburgo, è promossa e gestita da Banca del Sempione SA Prima della sottoscrizione leggere il prospetto informativo, il quale contestualmente ai KID, allo statuto e alla relazione annuale a semestrale della SICAV, possono essere richiesti gratuitamente presso Banca del Sempione SA, Via Peri 5, Lugano, nominata Rappresentante della SICAV e Agente per i Pagamenti in Svizzera e sul sito www basesicav ch RISCHI

DELL’INVESTIMENTO: Ogni comparto della SICAV comporta specifici rischi, quali, a mero titolo esemplificativo, il rischio derivante dall’investimento in obbligazioni, in divise di Paesi Emergenti e dal ricorso a strumenti derivati Per maggiori informazioni sui rischi siete pregati di consultare l’apposita sezione del prospetto e rivolgervi ai propri consulenti finanziari Con riferimento alla commercializzazione del Comparto in Svizzera, il luogo di esecuzione è presso la sede legale del Rappresentante della SICAV in Svizzera Il foro competente è presso la sede legale del Rappresentante della SICAV in Svizzera o presso la sede legale o il domicilio dell’investitore Per informazioni: Banca del Sempione SA, Lugano – Chiasso – Bellinzona –Locarno / www bancasempione ch

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Dall’oro fisico a quello smart

La tecnologia unita al bene rifugio più tradizionale ha trovato un format di successo. È il caso di una FinTech indiana che sta conoscendo una crescita esplosiva.

Quando l’innovazione si unisce al bene rifugio più tradizionale, può nascere qualcosa di molto interessante. È il caso di Jar, una Start up FinTech indiana, in esplosiva crescita, che consente agli utenti di investire in oro a livello digitale, senza che questo sia obbligatoriamente consegnato all’utente fisicamente.

A settembre, TechCrunch ha addirittura riportato che non è da escludere una potenziale Ipo già l’anno prossimo. Ma prima di entrare nel dettaglio dei numeri che hanno portato a pensare così in grande, è opportuno entrare nello specifico di come opera questa Start up.

Molte FinTech consumer si concentrano su utenti benestanti o su prodotti di credito, Jar ha creduto sin da subito in un modus operandi differente, offrendo un asset familiare (l’oro per appunto) come punto di ingresso al risparmio a bassa soglia. La Start up, fondata solo quattro anni fa, si rivolge dunque a utenti spesso trascurati dalle istituzioni finanziarie tradizionali (ossia quelli a basso e medio-basso reddito) consentendo di risparmiare in oro a partire da appena 10 rupie (meno di 0,2 dollari) al giorno.

Questa strategia ha permesso a Jar di raggiungere oltre 35 milioni di utenti registrati, secondo quanto dichiarato dal co-fondatore e Ceo Nishchay Ag. Dato strabiliante: oltre il 95% degli utenti risparmia formalmente per la prima volta.

Il risparmio in oro è senza dubbio il cuore del modello poiché rappresenta il punto d’ingresso di molti utenti. Tuttavia, la società offre anche altri servizi più redditizi, ossia la vendita di gioielli (d’oro ma non solo) tramite la piattaforma Nek e, inoltre, guadagna dalle commissioni delle partnership (di distribuzione di prodotti

finanziari, gioielli oltre che nel settore dei pagamenti digitali).

Come riportato da TechCrunch, i ricavi totali in tutte le linee di business, nell’anno fiscale 2024, sono saliti a 24,50 miliardi di rupie (circa 279,3 milioni di dollari), in aumento di ben 49 volte rispetto ai 500 milioni di rupie (5,7 milioni di dollari) dell’anno precedente. Questa cifra totale include dunque i guadagni da transazioni in oro digitale, le vendite di gioielli e le commissioni da partnership di distribuzione.

La crescita aziendale è da ricondurre anche a un cambio di paradigma. Inizialmente, Jar operava principalmente

«Questa strategia ha permesso a Jar di raggiungere oltre 35 milioni di utenti registrati, secondo quanto dichiarato in un’intervista dal co-fondatore e Ceo Nishchay Ag. Dato strabiliante: oltre il 95% degli utenti risparmia formalmente per la prima volta»

come piattaforma di distribuzione, collaborando con un fornitore terzo di oro, agendo di fatto da intermediario. Poi, ha integrato verticalmente le sue operazioni, costruendo un’infrastruttura tecnologica interna per acquistare, conservare e gestire la celebre materia prima direttamente. Controllando l’intera catena del valore, Jar può così generare più profitti e persino distribuire il proprio oro tramite piattaforme di terzi, tra cui la FinTech PhonePe, controllata da Walmart.

Nek, invece, è stata lanciata all’inizio

Alessandro Beggio, Ceo e fondatore di Vector Wealth Management.

dello scorso anno per offrire gioielli grazie a un modello di drop-shipment in assenza di magazzino.

Jar, con il suo format, ha attirato diversi investitori, tra cui Tiger Global, Tribe Capital e Arkam Ventures. Non è infatti un caso che la Start up abbia finora raccolto oltre 63 milioni di dollari di finanziamenti (secondo i dati Tracxn, dato aggiornato a settembre 2025) e che la sua ultima valutazione abbia superato agevolmente i 300 milioni di dollari.

In generale, il settore risulta in gran forma nel Paese. A marzo, Sanjay Doshi, il responsabile della consulenza sui servizi finanziari di Kpmg in India, ha affermato che, a livello nazionale, il FinTech «continua ad attrarre la comunità degli investitori, in particolare con investimenti nel WealthTech e nel credito. Sebbene alcuni segmenti del credito FinTech possano incontrare difficoltà, nel complesso il settore continua a essere un grande innovatore» e «un partner commerciale fondamentale per tutte le grandi istituzioni finanziarie».

Secondo Research and Markets, il FinTech indiano dovrebbe registrare una crescita robusta, raggiungendo un valore previsto di 155,67 miliardi di dollari nel 2025 e 990,45 miliardi di dollari entro il 2032, con un tasso di crescita annuale composto (Cagr) del 30,26% nel periodo di previsione dal 2024 al 2032. Questo perché il settore «continua a evolversi rapidamente, trainato dalla convergenza tra finanza e tecnologia, dalle iniziative governative e dalla crescente domanda dei consumatori di soluzioni digitali».

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Partner alla pari

Collaborare a un ambizioso progetto di crescita, mettendo a sistema competenze diverse e complementari può regalare soddisfazioni notevoli sia al cliente, che al partner finanziario, disposto a crederci. L’ascolto reciproco è sempre la chiave del successo.

Si è soliti calcolare la forza di un brand nel caso delle aziende più grandi e importanti, leader di mercato a livello mondiale, multinazionali con centinaia di sedi sparse in tutto il mondo, e nel farlo gli si attribuisce un valore monetario, solitamente nell’ordine dei miliardi di franchi o dollari. Eppure anche in altri contesti, meno

‘magnificenti’, il brand ha una sua forza e un suo perché, per quanto sia più difficile calcolarlo. «All’interno del nostro settore siamo un player ormai affermato e riconosciuto, avendo aperto i battenti nel 1985, sin da subito quale concessionaria ufficiale Mazda, anticipando il grande successo degli ultimi anni della Casa giapponese. Pur al netto di diversi lavori e ristrutturazioni,

Sotto, da sinistra: Alessio Barberis, responsabile vendita; Simone Grandi, membro di direzione, ed Ernesto Federico, responsabile carrozzeria del garage Autotris di Lamone.

l’ultima l’anno scorso, la nostra sede non si è mai spostata. Il 2013 rappresenta però un’importante tappa nella nostra storia, abbiamo infatti integrato l’attività di officina, fondendoci con un’altra realtà territoriale, e sempre all’interno della medesima strategia di diversificazione è da pochi mesi che ci siamo allargati anche alla carrozzeria», esordisce così Ernesto Federico, responsabile carrozzeria della Autotris di Lamone.

Diversificare per crescere, ma all’interno di un progetto organico. Se dunque la direzione è tracciata, come farlo? Con il supporto di chi? «La relazione con Autotris è nata nell’ambito della clientela privata, e con il tempo è evoluta, come sovente avviene. Loro cercavano un partner finanziario che gli fornisse una consulenza a 360 gradi, e da offrire avevano un ambizioso progetto di crescita, noi le competenze necessarie, e il tempo da dedicargli. È il migliore degli scenari, è un dare per avere in entrambe le direzioni, contribuendo alla pari al successo di un progetto stimolante e articolato. Ci siamo dati regole precise dal principio, svelando sul tavolo tutte le carte, accettando di metterci in gioco, banca e impresa, e ora giochiamo con mutuo profitto», sintetizza Mosè Brignoni, Responsabile consulenza clientela aziendale di Banca Raiffeisen Colline del Ceresio.

All’interno di progetti complessi a fare la differenza sono spesso le persone, ancor prima delle risorse necessarie. «In precedenza eravamo seguiti da un altro istituto che pur avendo tutte le competenze ne-

cessarie, considerate le nostre dimensioni non era in grado di dedicarci il tempo necessario a seguire questo progetto. Il finanziamento è solo una componente all’interno di un quadro più ampio, ad esempio di ottimizzazione fiscale e contabile, e ha quindi un ruolo relativo. Cercavamo flessibilità nell’approccio, e un partner con cui confrontarci, non solo a cui chiedere capitali. Siamo infatti un’azienda sana e consolidata, pur all’interno di un mercato complesso, confrontato a crescenti difficoltà», rileva Simone Grandi. Un approccio dunque diverso, all’interno di un istituto bancario a sua volta molto particolare nel panorama svizzero. «Il nostro Gruppo cerca da sempre di riservare le stesse attenzioni a tutti i clienti, a prescindere dalle dimensioni che possono distinguere un’azienda dall’altra. Pensiamo infatti sia anche nostro compito aiutare le aziende a diventare grandi e di successo. Del resto se nessuno ti dà fiducia, è tutto più complesso, per quanto questo non significhi affrontare i rischi con leggerezza o fare valutazioni superficiali, solo darsi più tempo per capire, dialogare con il cliente. Evidentemente interloquire con un’azienda sana aiuta l’opera», prosegue l’esperto di Raiffeisen. Iniziato un percorso è però poi complicato fermarsi, e ancora peggio tornare indietro. Con diversi rischi lungo la strada. «Quale storica realtà del territorio abbiamo un portafoglio clienti importante, e non solo locale; persone che si fidano di noi. Abbiamo sempre agito nel segno della qualità, ed è con tale chiave che ci siamo prima fusi, e poi aperti al settore carrozzeria, 18 mesi fa. Non possiamo sbagliare e non vogliamo scendere a compromessi. È ad esempio per questo che anche la selezione del nuovo personale ha avuto un ruolo, e ha richiesto un certo tempo, non vogliamo scommettere sulla quantità, ma rimanere fedeli alla qualità, e continuare a lavorare bene. Oggi Autotris è: 10 collaboratori, di cui tre soci e due apprendisti, e tre servizi (officina, garage e carrozzeria), ma anche tantissimi clienti fedeli», nota Federico.

E quando c’è sintonia tra le persone diventa tutto più semplice. «In termini valoriali la nostra banca e l’azienda sono perfettamente allineate, anche noi poniamo al centro la qualità e l’attenzione nei confronti del cliente, il che ci ha subito facilitato il compito. Coltivare le relazioni significa dedicare del tempo, ed esserci

«Il nostro Gruppo cerca da sempre di riservare le medesime attenzioni a tutti i clienti, a prescindere dalle dimensioni che possono distinguere un’azienda dall’altra. Pensiamo infatti sia anche nostro compito aiutare le aziende a diventare grandi e di successo»

Mosè Brignoni, Responsabile consulenza clientela aziendale di Banca Raiffeisen Colline del Ceresio

Ritorna il sereno

Il polso delle Pmi

Andamento dell’indice Pmi delle Pmi svizzere (in bp)

Secondo l’indice Pmi delle Pmi svizzere di Raiffeisen dopo un’estate non certo rosea, segnata dai malumori circa le decisioni di politica commerciale della Casa Bianca, la situazione a settembre è tornata a volgere al cielo sereno. L’indice complessivo è infatti tornato in tiepidissima zona di espansione, a 50,5 bp, rispetto ai 49,7 registrato ad agosto. Rimangono le difficoltà, specie per quelle aziende concentrate sul mercato americano, ma anche sondaggiate nello specifico non segnalano una situazione ‘tragica’, ma almeno per il momento ‘complessa’, fronteggiabile anche grazie all’accumulo di ingenti scorte. È invece all’insegna dell’ottimismo il sentiment delle Pmi concentrate sul mercato domestico, con in particolare gli ordinativi a trainare l’indice.

Raiffeisen Purchasing Manager Index delle Pmi svizzere procure.ch Purchasing Manager Index

Fonte: Raiffeisen

quando c’è bisogno, non limitandosi a rispondere a un’email o a formulare un preventivo. Siamo parte del progetto, e vi contribuiamo attivamente e quotidianamente, cercando di coniugare necessità di breve periodo con la strategia di lungo, pur rimanendo un partner finanziario solido, in grado di intervenire all’occorrenza. Completata l’offerta di servizi, aggiungendo il terzo servizio, la carrozzeria, ora la sfida è non scendere a compromessi, continuando a soddisfare la clientela», chiarisce Brignoni. Ma dunque la sfida è stata vinta, o è solo iniziata? «In termini finanziari aprire da zero il comparto carrozzeria è stato il progetto di gran lunga più ambizioso della nostra storia. Stiamo ricevendo delle soddisfazioni, specie da parte dei

clienti, ma non si è ancora chiuso il secondo anno, e abbiamo solo iniziato, pur con le migliori premesse. È impegnativo, certo, ma crediamo nel progetto, e soprattutto c’è la passione necessaria a portarlo avanti, continunando a lavorare con il supporto di un partner qualificato e affidabile», conclude Alessio Barberis. Trovare la quadra e riuscire a collaborare a un progetto in comune, contribuendovi quotidianamente da ambo le parti, come in qualsiasi altro ambito è la formula magica per aumentare le probabilità di successo di un piano di crescita ambizioso. Fare squadra non è però mai scontato, ed è qui che sorgono solitamente i problemi.

Federico Introzzi

Delimitare i problemi

Qual è il ruolo che può ricoprire un limite in un contesto d’investimento? Conoscerli, e non superarli, è una buona strategia, a patto di essere consapevoli di cosa siano.

L’indice della paura

Andamento dell’indice Vix (dati 2022 - 2025)

Non conosci mai i tuoi limiti finché non li hai messi alla prova. Questo mantra, che si trova in ogni libro di auto-aiuto che si rispetti, suona come un invito a osare, a superare i confini, a liberarsi dai vincoli. È però lecito dubitare che chiunque sia stato a coniarlo abbia mai lavorato nella finanza. Perché se c’è un mondo che apprezza i limiti, è proprio quello dei mercati finanziari. La maggior

parte degli investitori non solo apprezza i confini chiari, ma spesso cerca di tracciarli dove non esistono, assicurandosi di non avvicinarsi mai troppo.

Ancora scettici? Basta guardare all’anno appena trascorso. L’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha gettato un gelo sui mercati. Sembrava determinato a mettere alla prova ogni limite, scuotendo le fondamenta stesse dell’economia statunitense, destabilizzando partner commerciali,

Victor Cianni, Cio di Alpian. A lato, l’andamento del Vix index nel corso degli ultimi tre anni.

banchieri centrali e rivali politici. Dopo un periodo di panico ad aprile, gli investitori hanno ritrovato un po’ di calma a maggio, quando i contorni della strategia dell’amministrazione sono diventati più chiari e con essi anche i nuovi confini.

Alcuni sono stati imposti dall’amministrazione stessa attraverso misure fiscali (Obba Act), leggi federali (Clarity and Genius Acts), dazi doganali e, a patto di essere onesti, una buona dose di pressioni (l’incontro con i Ceo delle più grandi imprese americane qualcosa racconta).

Altri sono stati i limiti che l’amministrazione ha incontrato: un progetto Doge che è imploso, catene di approvvigionamento che si sono rivelate più difficili da delocalizzare del previsto e potenze globali che hanno mostrato i muscoli nel gioco dei dazi (e no, non si sta certo parlando della Svizzera).

I confini rassicurano gli investitori. Creano un quadro di riferimento, un senso di prevedibilità. Quando scompaiono, la volatilità tende ad aumentare; quando resistono, offrono visibilità. E la visibilità spesso alimenta la fiducia e i mercati. La prova è nei numeri: da inizio anno, lo S&P 500 è salito del 14,3%, lo Smi del 7,7% e l’Hang Seng di un incredibile 34,6%, ben oltre le aspettative della maggior parte degli investitori a gennaio. Anche i mercati obbligazionari stanno offrendo rendimenti solidi, con gli indici obbligazionari globali in rialzo dell’8,1% (da inizio anno), nonostante un contesto dei tassi caotico. Ma ecco il paradosso: proprio mentre l’economia riprende slancio,

Fonte: Bloomberg
Vix index
© Mindandi / Freepik

i mercati si avventurano in un territorio inesplorato. Le azioni statunitensi, e molte altre sulla loro scia, vengono scambiate a livelli storici. L’oro è ai massimi storici, i prezzi degli immobili stanno salendo alle stelle a livello globale, le criptovalute sfiorano i loro picchi... e il debito, come la liquidità, è ovunque.

Abbastanza da rendere nervosi gli investitori. Quando i mercati superano i livelli considerati normali, quando gli indicatori smettono di avere senso, la reazione è quasi sempre la stessa: gridare alla “bolla”. E la conclusione sembra ovvia ai più: è solo questione di tempo prima che tutto finisca male.

Nelle ultime settimane, il tono dei commenti sul mercato si è fatto progressivamente più cupo. Gli analisti brandiscono fiduciosi numeri e grafici, mettono in guardia dalla bolla speculativa e prevedono, ancora una volta, l’arrivo imminente di una recessione... sempre la stessa che viene ciclicamente promessa e predicata dal 2022.

Alla fine arriverà, proprio come una correzione del mercato è tutt’altro che improbabile avvenga. Ma la vera domanda è: quando? E in questo gioco, un errore di tempistica può costare caro. Se si è persi gli ultimi due anni e mezzo, si è anche lasciato sul tavolo il 16% del rendimento di un portafoglio bilanciato.

È bene essere trasparenti e onesti: non pretendo di essere più saggio di qualsiasi altro investitore. Una parte di me ama la visibilità, la struttura e i quadri rassicuranti. Ma è altrettanto ingenuo aspettarsi che un’economia, o i mercati, si muovano in linea retta, senza surriscaldarsi o raffreddarsi. Gli estremi fanno parte del gioco. Senza di essi, non ci sarebbe alcun premio di rischio, né alcuna opportunità di riallocare il capitale dove è più produttivo.

Quindi forse è il momento di ripensare l’approccio alla materia, in due modi.

In primo luogo, cercando ‘angolini’ di mercato anonimi e trascurati, quelli che gli investitori non si sono preoccupati di recintare perché semplicemente non sono sul radar. Il contesto geopolitico odierno ne offre molti nei mercati azionari, in particolare nei mercati emergenti e in alcune parti dell’Europa meridionale.

Ed ecco una statistica che dovrebbe convincere anche gli scettici: in un solo anno solare, 47 indici nazionali (su 88) hanno sovraperformato lo S&P 500 (in franchi) e ben 67 hanno battuto lo Smi.

Entro gli schemi

Andamento delle performance di alcuni investimenti Indici

Fonte: Alpian 2025 (dati al 26-IX-25)

Fuori dagli schemi, ma non troppo

Ranking mondiale dell’andamento di alcuni indici nell’ultimo anno (in chf)

Paese Index Rend. 1y in Chf Ranking

Grecia Athex 36,01% 13esimo

Spagna Ibex 25,7% 19esimo

Cina His 23,7% 21esimo

Usa S&P 500 8,70% 47esimo

Giappone Nikkei 6,40% 54esimo UK Ftse 100 4,95% 55esimo

Svizzera Smi -2,46% 68esimo

Fonte: Alpian 2025 (dati al 26-IX-25)

Invece di chiedersi se il mercato statunitense abbia ancora energia, forse è il momento di ampliare gli orizzonti. Anche gli stock picker hanno ottimi motivi per guardare oltre i soliti sospetti: da inizio anno, il primo titolo dei Mag7 si colloca solo al 69esimo posto tra quelli dello S&P 500. E per chi è meno incline alle azioni, opportunità interessanti abbondano anche nelle obbligazioni, nelle materie prime e nelle attività digitali, a patto di essere disposti a uscire dai sentieri battuti. In secondo luogo, considerando i mercati e le economie non come sistemi statici con confini fissi, ma come organismi dinamici in costante evoluzione. Questa prospettiva cambia il modo di concepire la diversificazione. Se la si riduce a un semplice esercizio di distribuzione del capitale tra le classi di attività, le prospettive sono cupe: quando tutto è ai massimi storici, rimangono pochi rifugi sicuri. Ma se si considera la diversificazione come uno strumento per mitigare i rischi di cambiamenti sistemici che si preferirebbe non vedere, diventa molto più strategica. Anche l’hedging può essere una strate-

Non serve una fantasia sfrenata, è sufficiente uscire dai soliti 4 indici per trovare altre performance.

gia efficace. Invece di cercare di prevedere quando i mercati subiranno una correzione, o di correre il rischio di rimanerne esclusi, è possibile sfruttare la minore volatilità e mantenere gli investimenti, anche in un contesto di fine ciclo. Infine, i mercati odierni offrono numerose opportunità per strategie che non si basano su forti scommesse direzionali. Bisogna sempre tener presente che detenere liquidità in Svizzera, dove i tassi di interesse attuali sono allo 0%, è tutt’altro che l’alternativa più interessante.

I limiti spesso rendono infelici. Come individui, ci limitano; come investitori, ci mancano quando non ci sono. Ma forse il vero problema non è la incapacità di individuarli, bensì il credere che siano fissi a priori. E se la chiave della felicità, e della fortuna, risiedesse nell’accettare la loro natura fluida... e nel padroneggiare l’arte di lasciarli venire a noi?

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Osservatorio

Avanti c’è posto

Prosegue serena la corsa dei mercati anche a settembre. Se le valutazioni un po’ preoccupano, l’indebolirsi del dollaro potrebbe almeno in parte spiegare alcuni movimenti.

Il mese di settembre si è dimostrato molto più clemente di quanto non sembrasse potesse accadere, di quanto storicamente è accaduto con una certa frequenza. L’ubriacatura dei mercati finanziari prosegue, il sonnambulismo sembra continuare a non voler essere un problema, gli indici corrono, i record non vogliono conoscere limite alcuno, le valutazioni esplodono, e... va tutto bene. Almeno così dicono i dati.

Un certo supporto è arrivato, inutile nasconderlo, dalla prima decisione di Powell, che dopo le molte resistenze ha infine ceduto alle pressioni della Casa Bianca, e iniziato a tagliare i tassi, pur accampando ragioni di natura più tecnica, e meno politica. Come avrebbe del resto potuto, questa è un’altra storia.

Se a livello di obbligazionario qualche difficoltà e scricchiolio inizia ad avvertirsi, e certo Tokyo e Parigi non stanno aiutando a rasserenare gli animi, tra una sorpresa e un colpo di scena, a livello di azionario prosegue la solita musica, incorniciando un’estate positiva, e performance che continuano a tenere. Da inizio anno tutte le principali asset class si mantengono in area ampiamente positiva, e regna un certo ottimismo su come andrà a chiudersi l’anno.

Continua la corsa del metallo giallo, mentre già si parla del raggiungimento della soglia fatidica dei 4.000 dollari l’oncia, che potrebbe incorniciare anche il 2025 quale annus mirabilis, nonostante i già eccezionali risultati dell’ultimo biennio. Basti pensare che a chiusura del 2024 l’oncia era scambiata a un già sbalorditivo prezzo di 2.600 dollari, rispetto ai 1.900 del gennaio precedente, i 1.600 del 2022, e i già non così modesti (per l’epoca) 900 del gennaio 2015.

A spiegare almeno una parte di queste mirabilissime alchimie, metalliche e azionarie, il continuo indebolirsi del biglietto verde. Tutto come previsto?

Il mercato svizzero dei fondi (Dati Morningstar in mln di franchi)

Categoria fondi

Fondi azionari

Raccolta

per Asset class (in milioni di franchi)

Osservatorio 4.0

Caro lettore,

L’Osservatorio sta infine sfondando la famosa terza dimensione, l’online, per essere sempre più completo e aderente all’evoluzione vorticosa dei mercati finanziari, tenendo il passo. Una parte dei contributi dei numerosi Partner che da anni contribuiscono alla sua ricchezza, e che molti apprezzano, inizieranno a essere web-only, specie per quelle tematiche molto più ‘liquide’. Buona meta-lettura FI

L’Angolo dell’investitore: (Financials, Infrastructure, Healthcare; Isin):

▲ Ing (NL00118221202)

▲ Intesa San Paolo (IT0000072618)

▲ Axa (FR0000120628)

▲ Implenia (CH0023868554)

▲ Strabag (AT000000STR1)

▲ Hochtief (DE0006070006)

▲ Novartis (CH0012005267)

▲ Roche (CH0012032048)

▲ Sanofi (FR0000120578)

Tra vertigini ed entusiasmo

Pur all’interno di un contesto delicato, gli indici continuano a correre, sulle ali di facili ottimismi. Restano pressioni nei mercati dei debiti pubblici, e rischi da cui guardarsi.

La corsa del debito

Evoluzione del rapporto debito/Pil di vari Paesi (dati 2007 e 2024)

Matteo Ramenghi, Cio di Ubs Wealth

Management Italia. A lato, prosegue la corsa dei debiti pubblici di tutti i principali Paesi avanzati.

L’estate è stata positiva per i mercati azionari. Hanno infatti toccato nuovi record, sostenuti dai profitti delle società quotate e da un’inflazione statunitense inferiore alle attese, che alimenta aspettative di una politica monetaria più accomodante da parte della Federal Reserve. Il mercato

Torna la repressione?

L’obbligazionario ha visto impennarsi i rendimenti di alcuni titoli di Stato a lungo termine. In gergo si dice che le curve dei rendimenti sono diventate più ripide. In assenza di attese di forte espansione economica, questa impennata è dovuta ai timori riguardanti la traiettoria del debito di alcuni Paesi. Occorre ricordare che la gestione dei debiti pubblici resta un tema irrisolto per gran parte del mondo avanzato, a partire dagli Stati Uniti, dove il debito ha raggiunto il 124% del Pil e il deficit è mediamente superiore al 6% dal 2008. La nuova legge di bilancio potrebbe spingerlo sopra il 7. In Giappone ha addirittura superato il 230% e la situazione politica è in divenire viste le recenti dimissioni di Ishiba.

E in Europa? In Francia è tornata l’incertezza politica con un nuovo cambio di Governo, mentre il debito/Pil è passato dal 92% del 2012 al 113 del 2024, con l’Fmi che stima un 128% nel 2030. Ridurre il deficit sotto il 5% sembra molto difficile.

I rendimenti dei Gilt, i titoli di Stato del Regno Unito, sulle scadenze più lunghe hanno raggiunto livelli che non si vedevano dal 1998. Al netto di chiacchierati ‘buchi di bilancio’, il debito rimane comunque sotto il 100%, e i deficit in calo. L’Italia questa volta sta andando controtendenza avendo incassato qualche miglioramento dei rating grazie alla forte riduzione del deficit e a un’insolita stabilità politica.

Tra gli Avanzati si notano due eccezioni, Paesi in cui il debito non è salito dal 2008: Svizzera e Germania. Ciononostante Berlino ha di recente varato un piano d’indebitamento da oltre 500 miliardi di euro per rilanciare infrastrutture e Difesa, e uscire da una fase di stagnazione che dura dal 2019. Quali soluzioni esistono per ridurre il debito? Le opzioni vanno dall’aggiustamento di bilancio alle riforme per accelerare la crescita o alla repressione finanziaria.

La soluzione più virtuosa consiste nel far accelerare la crescita economica, ma per aumentare la produttività servono complicate riforme. L’alternativa è l’‘austerity’ europea del 2011-12, il cui costo politico e sociale è però significativo. Infine, la repressione finanziaria: abbassare artificialmente i costi di finanziamento dei Governi, che se portati sotto il livello dell’inflazione consentono di ‘svalutare’ il debito in termini reali. Queste manovre possono includere la gestione dei tassi d’interesse, l’aumento della massa monetaria e l’acquisto di titoli sui mercati. Nulla di nuovo, è stata ampiamente praticata nel decennio passato da Stati Uniti, Europa e Giappone. Non è impossibile che a medio termine vi si torni, almeno in alcune regioni. Come investitori può aver senso bloccare i rendimenti a medio-lungo termine su obbligazioni di buona qualità, o investire in beni reali (immobili, azioni, oro).

Fonte:

azionario presenta valutazioni elevate, soprattutto negli Stati Uniti. Il rapporto prezzo/utili attesi dell’indice S&P 500, superiore a 22x, è ai massimi da vent’anni.

Sullo sfondo si agitano diversi rischi, che però hanno avuto un impatto limitato sulle decisioni degli investitori. Ad esempio, l’indipendenza della Banca Centrale statunitense resta un tema controverso: il mandato di Jerome Powell, Presidente della Fed, scadrà tra dieci mesi, mentre Trump ha intensificato le critiche e potrebbero avvenire due cambiamenti nel comitato direttivo.

Il forte aumento dei dazi americani comincia ad avere alcuni effetti, sia sull’inflazione che sull’export di alcuni settori e Paesi. Sul fronte geopolitico, la pace in Ucraina appare ancora lontana. Ma nelle borse la tecnologia si è confermata protagonista assoluta: mai prima d’ora così tanti investitori avevano concentrato così tanti capitali su così pochi titoli.

I principali colossi tecnologici soprannominati ‘Magnifici sette’ rappresentano ormai oltre un terzo dell’indice americano e gran parte della crescita anche grazie a copiosi investimenti nell’intelligenza artificiale (Ia). Durante una recente conferenza stampa, il management di Nvidia ha dichiarato di prevedere investimenti per oltre 3mila miliardi di dollari entro la fine del decennio.

Tuttavia, la crescita dei ricavi non sta tenendo il passo con questi investimenti e l’entità degli ammortamenti mette sotto pressione i margini. Un recente sondaggio del Mit segnala che il 95% delle aziende intervistate non ha ancora ottenuto benefici quantificabili dagli investimenti in intelligenza artificiale. Un analogo invito alla cautela arriva dall’amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, che ha sottolineato come alcuni investitori mostrino un ‘entusiasmo eccessivo’.

I mercati, e in particolare la tecnologia, sono quindi in bolla?

Al momento i segnali sono contrastanti. Le valutazioni sono certamente molto elevate e storicamente le bolle coincidono con periodi di entusiasmo per nuove tecnologie. La borsa americana presenta multipli elevati, ma è importante notare la differenza tra i Magnifici sette, che viaggiano a circa 30x, e gli altri titoli che si fermano sotto 20x.

Un altro elemento da monitorare è la partecipazione dei piccoli investitori, oggi molto più alta rispetto al periodo

Sostenibili, per quanto?

Differenziale di rendimento tra bond pubblici a 30 e 2 anni (in pp)

pre-pandemia e con un’attività tendenzialmente prociclica. Tuttavia, la leva finanziaria sugli investimenti in borsa si attesta all’1,8% della capitalizzazione, vicino alla media di lungo termine e ben lontana dai livelli della bolla dotcom del 2000. Non si rilevano quindi particolari eccessi di indebitamento sui mercati.

Inoltre, una delle cause tipiche dello scoppio di una bolla è un rapido aumento dei tassi d’interesse. Al contrario, di recente la Federal Reserve ha tagliato i tassi e ci si aspetta che lo faccia ancora nei prossimi mesi.

Nel complesso si prevede che l’economia globale deceleri senza particolari shock, che i prossimi risultati societari siano buoni e che un calo dei tassi d’interesse sostenga i mercati nel prossimo anno, anche se qualche fase di volatilità è possibile o addirittura probabile.

Nel breve termine esiste anche il rischio concreto di una “indigestione da investimenti in intelligenza artificiale”, ma nel medio-lungo periodo l’esposizione alla tecnologia resta importante per la performance dei portafogli.

Se sull’obbligazionario governativo qualche problema di sostenibilità del debito si sta manifestando, le borse si confermano comunque stabilmente sui massimi. Tutto normale?

Nel complesso gli investitori già allineati alla propria asset allocation strategica in termini di esposizione azionaria dovrebbero rimanere investiti, vincendo il senso di vertigini per le valutazioni. Chi invece è sottoesposto potrebbe attendere di sfruttare eventuali correzioni. Oltre all’intelligenza artificiale, i principali temi strutturali da tenere in considerazione sono l’elettrificazione e la longevità.

A livello geografico, nonostante le valutazioni superiori alla media storica, il Giappone potrebbe essere interessante in vista del cambiamento di Governo, che potrebbe portare a una politica fiscale più accomodante. Le aziende giapponesi hanno storicamente ritorni sul capitale molto bassi e da tempo si attendono riforme della Governance che potrebbero ora finalmente concretizzarsi.

Reddito non troppo fisso

A fronte di un delicato contesto d’investimento, segnato dal Trump 2.0, come dovrebbe essere costruito un portafoglio obbligazionario? Quali segmenti preferire?

Rischi sopravvalutati

Andamento del tasso di default

Il disavanzo commerciale posto sotto esame da parte dell’amministrazione Trump richiama alla mente l’Accordo del Plaza del 1985, ma esistono forti differenze sul modo di gestirlo. Nel 1985, i Paesi del G5 avevano coordinato gli sforzi per indebolire il dollaro, con l’obiettivo di ridurre lo squilibrio commerciale grazie alla cooperazione internazionale. Quarant’anni più tardi, mentre il disavanzo commerciale è tornato sotto i riflettori, si è passati dalla cooperazione al confronto/scontro. L’imposizione da parte dell’Amministrazione Trump di un ampio pacchetto di dazi su scala globale in quello che è stato pomposamente chiamato ‘Liberation Day’ è in realtà un Plaza in solitaria piuttosto che l’espressione di un consenso multilaterale. Mentre la narrazione iniziale attorno all’approccio ‘America First’ suggerisce un potenziale declino dell’eccezionalismo statunitense nell’ottica della crescita e degli investimenti, almeno in apparenza i vantaggi competitivi dell’economia statunitense rimangono intatti. Per esempio, gli Stati Uniti continuano a essere

«A livello di portafoglio dovrebbe essere preferita un’allocazione nei segmenti del credito a reddito più elevato, tra cui At1, obbligazioni BB e Clo, che continuano a offrire un premio interessante senza comportare l’assunzione di un significativo rischio di default»

leader nel mondo in termini di crescita di produttività, grazie al loro fiorente e incontrastato settore tecnologico che consentirà all’economia di avanzare a una velocità molto più sostenuta rispetto a quella di regioni come l’Eurozona.

Inoltre, l’economia statunitense si dimostra straordinariamente dinamica e resiliente, nonostante il clima di incertezza politica venutosi a creare con l’Amministrazione Trump, come dimostra il numero record di richieste di licenze commerciali lo scorso anno, che offre

Mohammed Kazmi, Chief Strategist and Senior Portfolio Manager di Ubp. I tassi di default dell’High Yield americano rimangono modesti e tutto sommato stazionari, senza particolari colpi di scena.

un’istantanea illuminante del tenace spirito imprenditoriale e della capacità di adattamento del tessuto economico statunitense.

Questi fattori sottolineano le forze strutturali dell’economia americana che continuano a sostenere il suo potenziale di crescita a lungo termine nonostante le perturbazioni politiche di breve termine. Ulteriore conferma, l’ultima stagione degli utili, con le revisioni al rialzo per le società dello S&P 500 ben al di sopra delle medie storiche.

Una differenza fondamentale risiede anche nel fatto che Trump si trova a cimentarsi con un doppio deficit, commerciale e di bilancio, e ritiene che i dazi siano uno strumento idoneo per affrontare entrambe le sfide contemporaneamente.

Nonostante i timori per le dinamiche fiscali, come trapela dalla volatilità nella parte lunga della curva dei tassi, il deficit di bilancio è effettivamente migliorato di quasi un punto percentuale da inizio anno. Per quanto questo miglioramento non rappresenti un punto di svolta definitivo, soprattutto perché gli effetti della riforma fiscale devono ancora materializzarsi appieno, è tuttavia significativo, soprattutto alla luce dell’approccio creativo utilizzato dall’amministrazione statunitense per raggiungere i suoi obiettivi come osservato dal recente accordo concluso con Nvidia sui ricavi ottenuti dalle vendite in Cina.

Uno dei principali timori che ha pesato su questo scenario conflittuale commerciale ha riguardato il rischio di un significativo aumento dell’inflazione, che potrebbe impedire alla Federal Reserve di tornare a tagliare i tassi. Nonostante l’iniziale rialzo dell’inflazione core dei beni alla fine del secondo trimestre, la ricaduta su quella dei servizi, una componente più persistente e critica dell’inflazione generale, è rimasta contenuta. In particolare, l’inflazione ‘supercore’ definita dalla Fed come l’inflazione dei prezzi dei servizi core esclusa l’edilizia abitativa, è retrocessa e attualmente si colloca sull’1,9% su una base annua a sei mesi, il livello più basso dal 2020.

Tale inflazione sottostante consente alla Fed di spostare l’attenzione sull’aspetto occupazionale del suo duplice mandato, in particolare quando si cominciano a vedere segnali di flessione negli indicatori del mercato del lavoro, compresi i dati sulle buste paga non agricole. Con la crescita economica che scende al di sotto del suo potenziale e le pressioni contenute generate dall’inflazione core, il contesto dovrebbe fornire alla Fed la flessibilità di riprendere i tagli dei tassi nei prossimi mesi nell’intento di riportare la politica monetaria su un terreno più neutro e mantenere uno scenario di crescita nominale elevata.

Poste tali premesse, la domanda successiva dovrebbe essere: cosa fare in termini di scelte d’investimento? In tutti quei casi in cui sia presente il rischio credito e il rischio tasso i portafogli dovrebbero essere costruiti in maniera ancora più bilanciata, riconoscendo al secondo la capacità di proteggere rispetto al primo nelle fasi di forte stress e volatilità. Questa dinamica è risultata particolarmente evidente da inizio anno, soprattutto verso la parte breve delle curve dei tassi durante i periodi di volatilità innescata dal Liberation Day e dalla recente revisione al ribasso delle buste paga.

Tali sviluppi hanno riaffermato anche le caratteristiche difensive e di bene rifugio del mercato dei Treasury statunitensi, che rimane intatto. Sebbene gli ultimi anni siano stati caratterizzati da shock inflazionistici, sembra che nel reddito fisso siano tornate le correlazioni tradizionali, sostenute dalla crescente sensibilità della Fed ai rischi di frenata della crescita piuttosto che a quelli di rialzo dell’inflazione. Questo riorientamento è favorevole all’asset

Facili compromessi

Performance a confronto rispetto a Hy e Ig americano (XII-22: 100)

La forza dell’economia americana

Crescita annua del Pil nominale Us (in %)

class nel suo insieme, poiché consente agli investitori di incamerare interessanti rendimenti all-in, soprattutto nei segmenti di mercato che offrono un reddito più elevato.

I principali accordi commerciali sono stati concordati e la riforma fiscale statunitense è stata approvata, quindi i momenti di maggiore incertezza politica derivante dall’agenda dell’attuale amministrazione dovrebbero essere ormai alle spalle. Gli investitori dovrebbero quindi riuscire a sfruttare le opportunità di carry che si presentano. Lo scenario di crescita nominale elevata è positivo per il credito perché il ciclo di default dovrebbe rimanere innocuo e l’ampliamento degli spread dovrebbe essere limitato dai tagli dei tassi della Fed.

A livello di portafoglio dovrebbe essere preferita un’allocazione nei segmenti del credito a reddito più elevato, tra cui At1, obbligazioni BB e Clo, che continuano a offrire un premio interessante senza comportare l’assunzione di un significativo rischio di default. Ciò risulta parti-

La continua crescita del Pil americano ha smesso di sorprendere da tempo, ma contribuisce a mantenere basso il tasso di default delle imprese. Al tempo stesso aumentano i rendimenti dell’obbligazionario, anche senza eccessi di rischio.

colarmente evidente dal posizionamento del fondo Ubam - Strategic income, o analoghi, che rappresenta una strategia di allocazione core concepita per fornire un rendimento superiore a quello dell’Investment Grade tradizionale, sfruttando le opportunità delle strategie relative value nell’ambito del credito, pur mantenendo un profilo di rischio bilanciato con un rating medio Investment Grade. Tale allocazione ha nettamente sovraperformato il mercato Investment Grade e ha fornito rendimenti prossimi all’High Yield, il che la rende una componente essenziale dei portafogli a reddito fisso, almeno nel contesto attuale.

Usd Hy Etf Usd Inv. Grade Etf Ubam
Fonte: Bloomberg
■ Crescita Pil y/y in %

La finanza nuova

L’industria finanziaria sta evolvendo, ed è particolarmente impattata da tre megatrend che nell’arco di qualche anno ne ridefiniranno i connotati. Come trarne profitto già oggi?

Strumenti di pagamento

Ripartizione dei singoli metodi negli Stati Uniti (% tot transazioni)

Patrick Lemmens, Portfolio Manager della strategia Robeco New World Financials. A lato, continua a crescere la quota di mercato degli strumenti di pagamento digitali, anche presso i punti di vendita fisici.

creazione di valore: crescita degli utili e del valore contabile.

Il settore finanziario sta vivendo una trasformazione profonda, spinta da tecnologia, demografia e geopolitica, con tre trend di lungo periodo destinati a crescere: aging finance, emerging finance e digital finance.

Il 2025 si è rivelato finora un anno impegnativo per gli investitori con portafogli globali, tra l’indebolimento del dollaro

statunitense, l’aumento delle aspettative d’inflazione e l’inasprirsi delle tensioni geopolitiche. Nonostante ciò, i titoli finanziari hanno mostrato una notevole solidità. La nostra attenzione si concentra sui trend strutturali di crescita, fattori che offrono maggiore coerenza e durata rispetto alla volatilità degli utili trimestrali. Seguiamo i fondamentali che guidano la

Aging finance. L’invecchiamento della popolazione e il calo dei tassi di natalità aumentano la pressione sui sistemi pensionistici pubblici, spostando la responsabilità della previdenza dallo Stato e dalle imprese verso i singoli individui. Questa transizione genera una domanda crescente di prodotti innovativi per il risparmio, l’investimento e la protezione. L’industria del Wealth Management, dell’Asset Management e delle assicurazioni ha già sviluppato una gamma di soluzioni, ma il gap previdenziale rimane ampio e rappresenta un’importante opportunità di crescita, in particolare nei mercati privati.

Tra il 2023 e il 2028 la crescita dei ricavi dell’Asset Management proverrà in gran parte dagli investimenti alternativi, stimati in aumento dell’11,5% annuo fino a rappresentare quasi la metà dei ricavi complessivi. I mercati pubblici cresceranno invece più lentamente. Anche fusioni, acquisizioni e Ipo offrono sostegno, soprattutto negli Stati Uniti, a vantaggio di banche d’investimento e gestori alternativi. Dopo un 2024 debole, le assicurazioni vita sono attese in ripresa grazie a partnership con asset manager e a una maggiore domanda di prodotti previdenziali in Asia, Europa e Stati Uniti, con effetti positivi sugli utili nei prossimi tre anni. Emerging finance. Un ulteriore sostegno alle performance del settore provie-

ne dall’alleggerimento regolamentare per banche, assicuratori e FinTech. Non si tratta soltanto di requisiti patrimoniali meno stringenti, ma anche di riforme volte a ridurre i costi, rafforzare il capitale ed efficientare la compliance.

Negli Stati Uniti il Genius Act, approvato a luglio durante la cosiddetta crypto week, ha segnato un passo importante verso l’adozione degli asset digitali e la transizione dei servizi finanziari dall’online all’on-chain. L’Europa aveva già introdotto il regolamento MiCa nel 2023. Una maggiore chiarezza giuridica e policy framework costruttivi a livello globale favoriranno ulteriormente la diffusione di stablecoin e criptovalute.

Digital finance. Nella digital finance i trend più significativi riguardano la diffusione di metodi di pagamento alternativi, la crescita dei digital wallet e dei servizi buy-now-pay-later, nonché l’aumento dell’attività sui mercati dei capitali. Il settore sta vivendo anche un rinnovato interesse per le Ipo, con quotazioni recenti di società come Klarna e Chime Financial. Dopo l’approvazione del Genius Act e un intervento del presidente della Sec

Questioni di redditività

Flussi di ricavi per l’industria dell’Asset Management (dati globali, mld usd)

Paul Atkins intitolato American Leadership in the Digital Finance Revolution, si è registrata un’ondata di nuove quotazioni nel comparto degli asset digitali, tra cui quelle di Circle, Bullish e Figure. What’s next. La trasformazione del settore finanziario sta accelerando. Aging finance, emerging finance e digital finance offrono ciascuno opportunità di crescita specifiche. Gli investitori dovrebbero concentrarsi sui trend strutturali e sulle società meglio posizionate per cogliere

Si assottigliano i margini anche nell’industria dell’Asset Management con un peso sempre più sproporzionato assunto dai mercati privati in termini di redditività per gli stessi operatori.

queste opportunità, pur mantenendo un’attenzione costante ai pur presenti rischi macroeconomici oltre che alle evoluzioni regolamentari.

PROSEGUR

SOCIETÀ DI VIGILANZA

I molti riflessi della K

La ripresa economica post pandemia ha ingigantito storture sistemiche note da tempo, ma quali sono i segnali e le conseguenze di un’economia a forma di “K”?

Polarizzazione patrimoniale Asset detenuti dal Top 1% e dal 50% della popolazione

La forma delle lettera ‘K’ ben cattura il divario in termini di crescita economica e ripresa post-pandemia che sta interessando interi settori e da ormai molto tempo, ben prima del Covid: alcuni segmenti prosperano (il braccio ascendente della “K”) mentre altri arrancano (il braccio discendente). Questo divario ha origine nei cambiamenti strutturali della tecnologia, dei mercati del lavoro e della distribuzione del reddito, che hanno portato a risultati diversi tra i vari settori e gruppi sociali. Sebbene tali disparità fossero già presenti prima della pandemia, il Covid ha evidenziato e accelerato l’aprirsi della forbice, peggiorando un panorama economico già disomogeneo con percorsi di ripresa chiaramente divergenti per i diversi settori e gruppi demografici. Dominanza fiscale e stimoli. Negli Stati Uniti, gli elevati deficit fiscali e la spesa pubblica sostenuta alimentano la crescita attraverso iniezioni di liquidità, ma sollevano preoccupazioni in termini di sostenibilità. Questa dominanza fiscale mette in discussione l’indipendenza della Banca

Centrale. I fattori strutturali includono le difficoltà demografiche, l’aumento della spesa sanitaria e quella geopolitica. L’aumento del debito pubblico ha spinto al rialzo i rendimenti obbligazionari, aumentando i costi di finanziamento, in particolare le spese per l’alloggio delle famiglie a basso reddito. Inizialmente, la soppressione dei rendimenti mirava ad alleggerire il servizio del debito, una voce importante del bilancio federale che ora supera la spesa per la difesa. La politica attuale pone l’accento sulla crescita del Pil nominale per gestire il peso del debito.

Nonostante i tagli ai programmi alimentari e sanitari, il sostegno fiscale complessivo rimane elevato, con l’aumento dei costi degli interessi che spinge a un’emissione persistente di debito. Mentre il Qe palese diminuisce, la Fed sostiene la liquidità attraverso la gestione del bilancio e modifiche normative come gli adeguamenti del coefficiente di leva finanziaria supplementare, consentendo alle banche di detenere più titoli del Tesoro senza acquisti diretti di obbligazioni da parte della Fed.

Thomas Wille, Cio di Copernicus Wealth Management. A lato, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi negli Stati Uniti ha ormai raggiunto livelli d’allarme, trainata dalle valutazioni azionarie.

Dinamiche di mercato e inflazione. Dopo la crisi finanziaria globale, la politica monetaria statunitense ha inondato i mercati di liquidità attraverso tassi vicini allo zero e acquisti di attività, aumentando i prezzi delle attività ma non la spesa dei consumatori. Le banche e le società hanno utilizzato i fondi principalmente per riacquisti e rafforzamento dei bilanci, limitando gli aumenti salariali e la crescita della domanda.

Sebbene la domanda dei consumatori possa teoricamente frenare i profitti, l’inflazione degli asset ha temporaneamente sostenuto gli utili delle imprese arricchendo i proprietari di asset. Ciò ha ampliato il divario economico, poiché le famiglie più ricche hanno beneficiato dell’apprezzamento dei portafogli, mentre altre hanno dovuto affrontare costi di finanziamento più elevati. La crescita dell’offerta di moneta in senso lato del 6-8% all’anno dopo la pandemia ha diluito il potere d’acquisto; gli asset reali come azioni, immobili e metalli preziosi hanno sovraperformato gli asset nominali, spiegando in parte l’aumento dei mercati azionari in un contesto di rallentamento dell’economia e di disconnessione dalla realtà delle famiglie. Il divario tra i mercati e l’economia reale. Questa forbice non è specifica degli Stati Uniti. In Germania, nonostante tre anni di contrazione, il Dax ha registrato un sostanziale rialzo. I guadagni azionari

Fonte: Federal Reserve 2025

statunitensi contrastano con la stagnazione del mercato del lavoro della classe media. La globalizzazione e l’outsourcing hanno incrementato i profitti aziendali spostando la produzione all’estero e riducendo i posti di lavoro nell’industria nazionale.

L’aumento dell’occupazione nel settore sanitario e nella pubblica amministrazione, meno intensivi in termini di Pil ma politicamente importanti, maschera la debole crescita della produttività. Gli Stati Uniti hanno registrato una crescita dei posti di lavoro nel settore sanitario, dominato dalle donne, mentre il settore manifatturiero, a prevalenza maschile, ha subito una contrazione. In Germania, la crescita dell’occupazione nella pubblica amministrazione e nel lavoro part-time ha contribuito a sostenere i dati del mercato del lavoro, anche se il loro effetto sulla crescita complessiva del Pil è stato relativamente modesto.

Questo ciclo spiega la persistente debolezza dei mercati del lavoro nonostante la crescita degli utili aziendali ed evidenzia il crescente divario tra andamento dei mercati ed economia.

Fattori strutturali e sociali. L’economia a forma di ‘K’ è caratterizzata da un aumento del divario di reddito e generazionale. I gruppi a reddito più elevato, che beneficiano di un accesso privilegiato ai mercati dei capitali, continuano ad accumulare ricchezza, mentre le generazioni più giovani devono fare i conti con l’insicurezza lavorativa e l’aumento del debito studentesco. Le disparità settoriali e le tariffe doganali introducono vari gradi di incertezza nei diversi settori, complicando le prospettive di crescita e di investimento. Le disuguaglianze di lunga data in termini di ricchezza, istruzione e salute aggravano ulteriormente la ripresa disomogenea, con un impatto sproporzionato sulle popolazioni vulnerabili.

Le politiche monetarie e fiscali, come le iniezioni di liquidità e la spesa pubblica mirata, hanno tendenzialmente gonfiato i prezzi degli asset e favorito in modo sproporzionato alcuni gruppi di reddito, rafforzando i divari esistenti. I cambiamenti demografici aggravano queste sfide, poiché l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della pressione del debito gravano maggiormente sulle coorti più giovani, aumentando la polarizzazione economica. Nel frattempo, l’innovazione tecnologica e gli aumenti di produttività,

Tra Borse e fiducia

Andamento dell’indice di fiducia delle famiglie e dello S&P 500

S&P 500 (dx)

Fonte: Federal Reserve 2025

La guerra dei colletti

Fonte: Federal Reserve 2025

sebbene vantaggiosi per la crescita a lungo termine, hanno ridotto la domanda di manodopera per i lavoratori mediamente e scarsamente qualificati, aumentando i rischi di disoccupazione strutturale e intensificando la divergenza economica che caratterizza la ripresa a forma di K.

La ricchezza e la sicurezza finanziaria stanno diventando sempre più distribuite in modo diseguale, il che mette sotto pressione la società poiché il mercato del lavoro cambia rapidamente a causa delle nuove tecnologie.

I dati attuali confermano questa narrativa: la crescita degli asset finanziari è concentrata nei segmenti a reddito più elevato, mentre i gruppi a reddito medio-basso devono affrontare una stagnazione o un declino. La creazione di posti di lavoro riguarda principalmente i settori della tecnologia, dei servizi professionali e della conoscenza, mentre i settori dell’industria manifatturiera e dei servizi subiscono una pressione costante.

I mutuatari più giovani presentano tassi di insolvenza più elevati, in contrasto con i profili di credito più solidi delle

Le borse volano, la fiducia delle famiglie scende, un apparente paradosso, giustificato dal cambio di paradigma sperimentato dall’economia americana, dove i colletti blu stanno lentamente scomparendo.

generazioni più anziane. Settori come il cloud computing, i pagamenti digitali e la sanità registrano performance significativamente superiori rispetto al commercio al dettaglio tradizionale, al tempo libero e alla produzione manifatturiera, sottolineando la persistente disparità della ripresa a forma di K.

La selettività rimane fondamentale. Per navigare nell’economia a forma di K è necessario un approccio selettivo e disciplinato. Poiché le correlazioni cambiano e la crescita rimane irregolare, per investire con successo è necessario identificare chiaramente i settori in espansione rispetto a quelli in difficoltà e avere la flessibilità necessaria per adattarsi alle dinamiche di mercato in evoluzione.

Indice di fiducia dei consumatori Us (’60: 100; sx)
Evoluzione dei colletti blu e bianchi negli Stati Uniti (mln di occupati)
Addetti di sanità e assistenza Addetti del manifatturiero

Svizzera americana

Sta rapidamente cambiando il ruolo della Confederazione e del franco agli occhi dei cittadini statunitensi. Non è più una meta privilegiata per i soli capitali, ma anche per le persone.

Il franco forte

Andamento del tasso di cambio dollaro/franco (I-2012 - IX-2025) 0.7

Negli ultimi dieci anni il cambio dollaro-franco ha tracciato la mappa di una fiducia crescente verso la moneta elvetica. Dai valori prossimi alla parità nella seconda metà degli anni 2010, a livelli stabilmente sotto quota 0,90 negli ultimi mesi, il franco ha riaffermato la sua posizione come valuta rifugio tradizionalmente riconosciuta. Per gli investitori americani, non si tratta solo di un indicatore tecnico: il movimento suggerisce un crescente interesse per la Svizzera come possibile pilastro stabile nei portafogli globali e multi-asset. Migrazione patrimoniale in evoluzione. Secondo la Swiss Bankers Association, la Svizzera amministra circa 2,4 trilioni di franchi di patrimoni provenienti dall’estero, pari a quasi un quarto della ricchezza cross-border mondiale (Banking Barometer 2024). Un primato che riflette non solo la forza del franco, ma anche un ecosistema finanziario storico stabile, innovativo e riconosciuto a livello internazionale. In questo contesto ha preso forma un crescente interesse dei risparmiatori

statunitensi verso la Svizzera. La natura di questa migrazione si è trasformata. In passato prevaleva la logica della protezione: un conto in franchi veniva spesso considerato una forma di protezione in caso di eventi estremi. Oggi il franco non è più visto solo come un asset difensivo, ma sempre più come una componente strategica in un’ottica di lungo periodo. La Svizzera diventa così uno snodo strategico per gli interessi americani oltreoceano, capace di dialogare con i mercati e inserita in un contesto storicamente stabile, con una valuta riconosciuta per la sua solidità e un sistema finanziario specializzato. Le nuove dinamiche. Da decenni quindi, parte della ricchezza americana trova qui un approdo sicuro, ma negli ultimi mesi il fenomeno è evoluto: non più solo capitali, ma anche un numero crescente, seppur residuale, di famiglie ad alto patrimonio che scelgono di spostarsi fisicamente. Le crescenti tensioni geopolitiche globali hanno accelerato il processo già in corso. Ciò che era iniziato come una migrazione selettiva e tattica di capitali si sta trasformando in una dinamica più

Paolo Panza, Ceo di Lfa, parte del società del Gruppo Lfg Holding. A lato, il cambio franco dollaro.

ampia, che combina diversificazione patrimoniale, ricerca di sicurezza e, in alcuni casi, anche una scelta di vita. Secondo il Federal Statistical Office, a fine 2023 oltre 31.900 cittadini statunitensi vivevano permanentemente in Svizzera: un numero ancora contenuto ma in aumento, che riflette la crescente attrattiva del Paese non solo come destinazione per i capitali, ma anche come luogo in cui stabilirsi. Radici storiche comuni. Stati Uniti e Svizzera hanno condiviso per decenni un terreno comune: dall’idea radicata di democrazia e l’ispirazione alla Costituzione americana, strumentale per stabilità politica e progresso economico. Neutralità: un asset intangibile. Un fattore non meno importante è la neutralità svizzera, che in contesto di guerra o crisi geopolitica ha sempre rafforzato la percezione di sicurezza per gli investitori internazionali. Non compare nei bilanci, ma è un fattore spesso considerato nelle scelte patrimoniali di lungo periodo. Per famiglie americane alla ricerca di stabilità, sapere che la Svizzera mantiene una posizione indipendente e rispettata a livello globale è un elemento che va oltre il vantaggio valutario: è un bene immateriale che sostiene la fiducia e la continuità. Una scelta che si sta consolidando. È quindi grazie alla combinazione di solidità valutaria, neutralità politica e reputazione consolidata nella Gestione che la Svizzera resta uno dei punti di riferimento riconosciuti di questa evoluzione per un numero crescente di americani in cerca di stabilità e prospettive di lungo periodo.

Fonte: Bloomberg

Una storia tutta da scrivere

LLugano è un viaggio tra cultura, arte e stile. Con un concept di lusso, ideato dal direttore creativo Marco Tomasetta, l’eredità della Maison incontra la cultura ticinese in un dialogo raffinato, che abbina design contemporaneo e radici profonde. Ogni elemento parla il linguaggio della scrittura: eleganza essenziale, dettagli evocativi, una palette cromatica sobria e magnetica che richiama l’icona per eccellenza: Meisterstück.

Nel cuore della boutique, una sezione è interamente dedicata a ciò che per Montblanc è più di un mestiere: l’arte della scrittura. Qui, chi ama il gesto della penna che scivola sulla carta potrà ritrovare un piacere autentico, che travalica le epoche. Dalle edizioni limitate per i collezionisti – veri capolavori nati negli Atelier di Amburgo – agli strumenti pensati per accompagnare ogni giorno con eleganza discreta, tutto è

La nuova Boutique Montblanc a Lugano, al numero 54 di Via Nassa.

curato per coloro che conoscono il valore delle parole scritte a mano. Un valore che si può condividere. E così il Gift Wall si presenta come una galleria di emozioni pronte a essere regalate. Per un anniversario, una promozione, un semplice ‘ti ho pensato’. Perché l’arte di scegliere il regalo giusto è anch’essa una ‘dichiarazione nero su bianco’, forse la più intima e sincera.

La scrittura è tempo e il tempo è importante per Montblanc, che lo sperimenta anche attraverso i suoi orologi. La sezione dedicata ai segnatempo è un omaggio a 165 anni di savoir-faire orologiero, una storia di precisione

e passione. Accanto, la pelletteria Montblanc, compagna ideale di ogni viaggio, nel mondo e nella vita. Ogni pezzo può essere personalizzato grazie alla collaborazione con artisti svizzeri, rendendolo davvero unico, come chi lo porta con sé. A Lugano, una nuova destinazione per chi ha consapevolezza che il vero lusso è il tempo che ci prendiamo per scrivere la nostra storia.

Per informazioni: montblanc.com

Dove il tempo resta in equilibrio

La libertà, per chi debutta nel mondo dell’Alta Orologeria? Nessun archivio da evocare, nessuna eredità da capitalizzare. Solo l’essenziale: idee, know-how, coerenza e la volontà di sfidare le regole senza rumore. Non si insegue il passato né si rincorre il futuro, piuttosto si costruisce il presente: una meccanica che interpreta il tempo invece di misurarlo soltanto. cultura /alta orologeria

In un panorama orologiero che oscilla tra la fedeltà alla tradizione e l’impulso verso l’innovazione, Akhor Genève sceglie un percorso diverso: quello della riflessione, della creazione di precisione e della coerenza estetica. Nata a Ginevra come Maison indipendente, Akhor propone una visione dell’Alta Orologeria tanto personale quanto essenziale. La prima collezione nasce da una convinzione profonda: il tempo non si misura soltanto, si interpreta. Le forme, i materiali e le soluzioni tecniche danno vita a segnatempo che coniugano equilibrio, tensione e purezza costruttiva. Una linea pensata per chi apprezza il lusso non ostentato. Ad oggi,

Akhor è l’unica Maison ad aver trasformato questo concetto in un segnatempo funzionante, sostenuto da un movimento creato su misura. Il calibro AK10, sviluppato interamente in-house, è stato concepito come piattaforma per l’innovazione e predisposto per integrare complicazioni chiave - fasi lunari, grande data, tourbillon, indicatore giorno/notte - aprendo la strada a nuove espressioni della meccanica creativa.

Alla guida di Akhor Genève c’è Anissa Bader, artefice e amministratore delegato della Maison. In un settore dove le figure femminili rimangono ancora rare, il suo percorso rappresenta un segnale forte di rinnovamento. Akhor non nasce da una

commissione o da una strategia di marketing, bensì dal desiderio intimo della fondatrice di dare vita a un orologio profondamente personale.

Diplomata al Collège Calvin e laureata in scienze presso l’Università di Ginevra, Anissa Bader ha assunto la direzione di Clamax nel 2020, due anni dopo l’acquisizione dell’azienda ginevrina di micromec-

Alcune versioni di ‘Le Temps en Équilibre’, il primo modello della nuova maison ginevrina: una costruzione originale, con un calibro sospeso che crea l’illusione del tempo fluttuante nello spazio.

canica da parte della sua famiglia. Dotata di una mente precisa e proiettata verso il futuro, Anissa Bader porta nel mondo dell’orologeria la sua passione per la trasmissione del sapere e l’eccellenza tecnica.

La sua passione di lunga data per le civiltà antiche - in particolare Grecia, Roma ed Egitto - ha ispirato infine il nome della Maison. Akhor affonda infatti le sue radici nell’antico Egitto: ‘Akh’ designa la forza immortale dell’anima, mentre ‘or’ richiama la nobiltà delle materie prime e l’immaginario orologiero. Un omaggio alla visione della Ceo, che ha voluto intrecciare cultura, simbolismo e meccanica in un progetto unico.

Il marchio si radica inoltre nell’esperienza di Clamax, azienda ginevrina fondata nel 1988 e specializzata in micromeccanica, che ha fornito il know-how tecnico e la cultura dell’eccellenza necessaria per trasformare una visione in realtà. Fin dall’inizio, ogni compromesso è stato escluso: la tecnica si è posta al servizio della creatività, e la creatività ha nutrito l’innovazione tecnica.

Il modello inaugurale, “Le Temps en Équilibre”, introduce una costruzione originale: un calibro sospeso che crea l’illusione del tempo fluttuante nello spazio.

Il cuore del progetto è un meccanismo a doppio disco che fissa il quadrante al movimento, consentendo a ore e minuti di scorrere su livelli sfalsati.

La complessità tecnica ha richiesto lo sviluppo di un sistema stabilizzatore invisibile, capace di bilanciare materiali diversi come metalli preziosi e diamanti.

Il risultato è un segnatempo che unisce purezza visiva e rigidità strutturale. Il debutto di Akhor Genève arriva in un contesto di mercato complesso. Secondo la Fédération de l’industrie horlogère suisse, le esportazioni di orologi svizzeri hanno registrato un calo dell’1,4% negli Stati Uniti nella prima metà del 2025 e le prospettive non sono rosee. Nonostante ciò, la vitalità delle Maison indipendenti

dimostra che innovazione e creatività rimangono la forza motrice del settore. Lo si è visto a Ginevra, durante i Geneva Days ad inizio settembre. E la conferma arriverà certamente dal prossimo appuntamento per l’Alta Orologeria, la Dubai Watch Week che, prevista per novembre, sarà un’altra importante vetrina interna-

Sopra, Anissa Bader, fondatrice e Ceo di Akhor Genève. Sotto, il calibro AK10, sviluppato interamente inhouse, è concepito come piattaforma per l’innovazione, predisposto per integrare complicazioni chiave –fasi lunari, grande data, tourbillon, indicatore giorno/notte – aprendo la strada a nuove espressioni della meccanica creativa.

zionale. Con “Le Temps en Équilibre”, Akhor Genève ha già mostrato la sua singolare capacità di coniugare rigore tecnico e poesia meccanica, aprendo un nuovo capitolo nell’orologeria contemporanea.

Maria Antonietta Potsios

Il design svizzero in movimento

Gli anni Sessanta sono stati un’epoca d’oro per la creatività: il diffuso desiderio di rompere gli schemi tradizionali ha dato vita a innovazioni che hanno segnato profondamente il design, l’arte, la moda e la tecnologia. È stato un decennio di sperimentazione audace, visioni futuristiche e nuova libertà espressiva, un terreno fertile per idee rivoluzionarie che ancora oggi ispirano.

Entrambe le aziende rappresentano un modello tipico del successo svizzero: realtà di medie dimensioni, radicate sul territorio, capaci di coniugare artigianato industriale e visione internazionale. Ad entrambe, gli anni Sessanta, con il loro fermento culturale e creativo, avevano offerto lo spunto per dare vita a creazioni ancora oggi d’attualità. Fu in quel decennio, infatti,

che Zenith mise a punto El Primero –il primo movimento automatico ad alta frequenza, considerato ancora un punto di riferimento nell’orologeria meccanica – e Usm, celebre per il suo design modulare, forgiava il suo sistema Usm Haller. Quest’anno, dall’incontro tra le due storiche realtà svizzere, è nata una collaborazione inedita nel panorama del design e dell’orologeria: una collezione

Corredato da un cofanetto Usm Haller realizzato ad hoc, questo segnatempo Zenith riflette l’eccelso incontro di savoir-faire orologiero e design modulare, che interagiscono valorizzandosi a vicenda.

in edizione limitata che intreccia estetica e ingegneria. Ispirandosi agli anni ’60, la nuova capsule collection propone quattro orologi, ciascuno in uno dei colori simbolo di Usm (verde, arancio, giallo oro e blu genziana), in soli sessanta esemplari per variante. Ogni pezzo è abbinato a un cofanetto su misura realizzato con i moduli Usm Haller. Più che una semplice collaborazione commerciale, l’iniziativa sembra voler sottolineare l’affinità culturale tra due approcci al progetto: modularità, funzionalità e cura del dettaglio. Il risultato è un oggetto che unisce due discipline spesso distanti, raccontando una storia condivisa di innovazione elvetica.

Un incredibile

Una serie di 10 libri ispirata alle immagini di una collezione privata di oltre mezzo secolo de La Domenica del Corriere

Già disponibili su Amazon i primi tre: Anno 1900, 1901 e 1902

Versione italiana

Eva & Ettore Accenti Viaggio nel tempo

English edition

Eva & Ettore Accenti

Travel through time

Moltiplicare gli sguardi

In un’epoca caratterizzata da un flusso costante di immagini, il Prix Elysée incarna l’impegno nell’offrire alla fotografia contemporanea uno spazio di riflessione, produzione e diffusione.

Da 40 anni Photo Elysée esplora le immagini del presente e del passato, dalla carta allo schermo. La nostra programmazione si distingue per la sua apertura internazionale: importanti mostre dedicate ad artisti provenienti da diversi continenti, collaborazioni con prestigiose istituzioni straniere, tematiche che affrontano le grandi sfide contemporanee e favoriscono la pluralità dei punti di vista.

In questo contesto, il Prix Elysée occupa un posto centrale. Assegnato ogni due anni e dotato di un fondo di 80mila franchi, premia un fotografo a metà carriera per un lavoro inedito, inserendosi pienamente nella nostra missione: sostenere la creazione contemporanea e accompagnare gli artisti in una fase chiave del loro percorso. Quando è stato creato, nel 2013, erano rari i premi e le borse di studio dedicate a questa categoria di artisti, non più emergente e non ancora con una carriera internazionale consolidata.

Frutto di una partnership esclusiva con Parmigiani Fleurier, il Prix Elysée non si limita a un compenso in denaro: offre un accompagnamento, dall’ideazione alla produzione di una mostra e di un libro, garantendo al contempo una visibilità internazionale presso i professionisti del settore, che si tratti di istituzioni, editori, collezionisti, curatori o gallerie.

Nel corso delle edizioni, il Prix Elysée ha trovato il suo pubblico e si è conquistato un posto di rilievo nel panorama fotografico. Lo conferma il numero di candidature che ha raggiunto il record di 758 nell’ultima edizione, insieme all’apertura verso aree geografiche più lontane.

A differenza di altri premi, non si limita a un genere particolare (fotoreportage, paesaggio, moda, ecc.), ma tutte le forme

di fotografia sono benvenute. Basta proporre un progetto inedito, promettente e raccomandato da un professionista del settore artistico.

Dal lancio nel 2014, ha premiato sei fotografi: Hannah Darabi (Iran, 2025), Debi Cornwall (Stati Uniti, 2023), Kurt Tong (Cina, 2021), Luis Carlos Tovar (Colombia, 2019), Matthias Bruggmann (Francia, 2017) e Martin Kollar (Slovacchia, 2015). Non supportiamo solo il vincitore: manteniamo uno stretto legame con tutti i finalisti seguendone gli sviluppi. Diversi artisti hanno pubblicato il progetto che avevano presentato al Prix Elysée senza averlo vinto; l’anno scorso tutti gli otto candidati hanno potuto esporre i loro lavori al nostro stand a Paris Photo, che con i suoi 80mila visitatori è la più grande fiera di fotografia al mondo. Un’eccezionale occasione di visibilità che quest’anno daremo ad Hannah Darabi, fresca vincitrice del Prix Elysée, portandola a svelare le prime immagini del suo progetto a Paris Photo, prima di esporlo qui da noi a Losanna nel giugno 2026, in concomitanza con l’uscita della sua pubblicazione. Guardando alla nostra programmazione attuale, abbiamo da poco inaugurato la mostra GenZ, un progetto sostenuto dall’istituzione dal 2005, che ogni cinque anni offre una panoramica della scena emergente internazionale. Grazie alle ricerche condotte dai miei colleghi e alle raccomandazioni di specialisti internazionali, abbiamo raccolto più di mille portfolio provenienti da tutto il mondo, di cui insieme ai due co-curatori, Hannah Pröbsting et Julie Dayer, ne abbiamo selezionati una sessantina, in rappresentanza di 32 paesi. Opere che testimoniano un’energia collettiva sorprendente, una volontà di trasformare le rappresentazioni

Nathalie Herschdorfer, direttrice del Photo Elysée, nel cuore del quartiere delle arti losannese, Plateforme 10.

del mondo, di offrire nuove narrazioni. Esplorano tematiche universali, in particolare la questione dell’appartenenza: a una casa, a una famiglia, a una comunità, a un corpo, a un genere, a un’identità. Che si trovino a Shanghai, Città del Capo, Amsterdam, Parigi, Losanna, Londra, New York o Nuova Delhi, tutti condividono lo stesso desiderio: collocarsi e rappresentarsi in un mondo globalizzato, saturo di immagini e attraversato da numerose crisi. A colpire è la diversità dei linguaggi fotografici. Attraverso forme diverse, esprimono la loro interiorità, i loro dubbi, le loro tensioni, ma anche le loro finzioni. Il corpo e l’identità, a lungo percepiti come pilastri stabili, sono qui vissuti come realtà mutevoli. Una generazione che non si accontenta più di essere osservata: si esprime, costruisce le proprie storie; decostruisce le norme, sconvolge gli stereotipi e inventa nuove iconografie.

Istantanea del museo

Nel cuore del quartiere artistico Plateforme 10 a Losanna, Photo Elysée promuove la fotografia in tutte le sue forme. Museo di importanza internazionale, ospita una delle collezioni fotografiche più ricche e diversificate al mondo, che abbraccia l’intero campo della fotografia dal 1840 alle creazioni più recenti: oltre un milione di oggetti, dall’analogico al digitale, mettono in luce il mezzo fotografico in tutta la sua diversità.

© Amélie Blanc

Quando è l’artista a mettersi in mostra

Curando personalmente ogni dettaglio della sua maggiore retrospettiva, nel 1933 Kirchner ebbe l’occasione d’oro per plasmare l’interpretazione della propria opera. Da questa inusuale prospettiva, il Kunstmuseum di Berna invita oggi a riscoprire il grande espressionista, coronando la mostra con un prestito eccezionale dalla Cancelleria federale tedesca.

Non sono passate inosservate a metà agosto le operazioni di movimentazione della monumentale tela di Sonntag der Bergbauern, 1,7 x 4 metri. Per la prima volta in 50 anni l’opera di Ernst Ludwig Kirchner ha lasciato la Sala del Consiglio dei Ministri del Governo tedesco. Dapprima nella Kanzlerbau a Bonn e, dal 2001, nella nuova Cancelleria federale a Berlino, ha già guardato le spalle a sei cancellieri federali, da quando nel 1975 venne offerta in prestito a Helmut Schmidt da Roman Norbert Ketterer, suo amico e amministratore dell’eredità dell’artista. Collocandola in un luogo altamente rappresentativo, sotto gli occhi di tutti i cittadini nelle dirette televisive, suggellava la volontà di riparazione verso gli artisti delle avanguardie moderniste, le cui opere erano state bandite, confiscate, quando non distrutte dai nazisti. Ma torniamo al presente: l’occasione che ha spinto Friedrich Merz a separarsi

dall’opera, proprietà della Cancelleria federale dal 1985, è davvero speciale. Destinazione: Berna. Dove torna dopo 92 anni ad affiancare Alpsonntag. Szene am Brunnen , opera invece acquistata dal Kunstmuseum cittadino. Sebbene fossero state concepite come un tutt’uno dall’artista, ispirato dalla natura e dai contadini di Davos dove aveva riparato per riprendersi dal trauma della Prima guerra mondiale, non erano mai più state esposte insieme dal 1933 quando, appese nell’atrio della Kunsthalle di Berna, costituivano la spettacolare apertura della più grande retrospettiva mai dedicata a Kirchner in vita. Impatto che esercitano tuttora, clou della nuova esposizione del Kunstmuseum Bern, che torna a guardare

In alto, Ernst Ludwig Kirchner, Alpsonntag. Szene am Brunnen, 1923-24/1929 circa, olio su tela, 168 x 400 cm. Con la mostra Kirchner x Kirchner, in corso al Kunstmuseum Bern fino all’11 gennaio 2026, viene ricomposto il dittico con Sonntag der Bergbauern,1923-24/26,170 x 400 cm, da mezzo secolo sfondo delle riunioni del Governo tedesco (sopra), che l’ha prestata in via del tutto eccezionale.

a quella mostra tanto speciale perché lo stesso artista ne fu il curatore. Appunto: Kirchner x Kirchner, come recita il titolo dell'esposizione, in programma fino all’11 gennaio prossimo. A presentarla la curatrice, Nadine Franci.

Nadine Franci, prima di addentrarci nella mostra attuale, potrebbe spiegarci l’importanza della grande retrospettiva su Kirchner presentata nel 1933 dalla Kunsthalle di Berna?

Fu la più grande retrospettiva su Kirchner realizzata durante la sua vita: erano esposti oltre 240 dipinti, disegni e sculture. L’artista non solo aveva selezionato le opere e organizzato la mostra, ma aveva anche ideato il manifesto e il catalogo, nel quale con lo pseudonimo di Louis de Marsalle aveva persino scritto un testo. Alla fine si dichiarò molto soddisfatto, ritenendo che tutto “si armonizzasse alla perfezione” e definendo la presentazione “la più bella mostra della sua opera”.

Quali circostanze resero possibile organizzarla, malgrado la sua opera fosse già classificata come “arte degenerata” in Germania?

Nel 1933 il mercato principale per Kirchner, quello tedesco, stava in effetti crollando e alcune opere furono messe in deposito, poi classificate come “arte degenerata”. La mostra di Berna fu possibile soprattutto perché Kirchner viveva a Davos dal 1918 e aveva chiuso il suo

Dentro l’opera

«Nostro obiettivo non è proporre una ricostruzione identica della retrospettiva curata dallo stesso Kirchner nel 1933, ma indagare come abbia cercato di costruire la propria immagine. Cosa ha omesso, come ha reinterpretato la sua opera? Queste domande sull’autorappresentazione rivelano come gli artisti - ieri quanto oggi - modellano la loro immagine pubblica»

Nadine Franci, curatrice della mostra "Kirchner x Kirchner"

atelier a Berlino già negli anni ’20. Molte opere si trovavano quindi in Svizzera. Determinante fu anche l’entusiasmo di Max Huggler, allora direttore della Kunsthalle di Berna.

Era comune che un artista curasse personalmente la propria mostra?

Era insolito, ma non del tutto unico. Dalla fine del XIX secolo, artisti a Vienna, Berlino o Monaco avevano creato le loro

A partire da 1920 Kirchner comincia a rielaborare in modo sistematico le opere realizzate negli anni giovanili a Dresda e Berlino. Nel suo diario parla di “restaurazione”. Desidera infatti mettere in scena un’evoluzione artistica coerente del suo lavoro, appianando le discontinuità stilistiche che la segnano. Rielabora così del tutto o parzialmente circa 80 opere. Ne offre un perfetto esempio Strasse mit roter Kokotte, eccezionalmente prestata dal Thyssen-Bornemisza di Madrid. Risalente al 1914, il dipinto viene modificato 11 anni dopo a Davos, cancellando le tracce delle pennellate nervose e e vibranti che lo caratterizzavano, tipiche del suo stile espressionista negli anni di appartenenza a Die Brücke (1905-1913), quando protagonista dei suoi quadri era la vita notturna cittadina. Coprendole con campiture piatte di colore, accentua ulteriormente l’anonimato e la fretta della folla cittadina. La figura femminile diventa così un simbolo - quasi come un geroglifico - dell’isolamento.

secessioni e presentato le loro opere in modo autonomo. A Parigi, Gustave Courbet aveva fatto scalpore con il suo “Pavillon du Réalisme” nel 1855, e il Salon des Indépendants ne è un altro esempio. Ciò che però distingue la mostra di Kirchner a Berna è che la considerava un’opera d’arte totale che, appunto, integrava l’allestimento, il catalogo e il manifesto. Che immagine voleva trasmettere di sé? Nel 1933 Kirchner si presentava come un solitario che attingeva solo da se stesso. Circa due terzi delle opere risalivano al suo soggiorno a Davos, a partire dagli anni Venti. Del periodo che solitamente viene considerato il suo apice, legato al gruppo Die Brücke, espose solo opere già riconosciute pubblicamente e ritenute sufficientemente significative per tracciare l’evoluzione della sua creazione. Riteneva però che la sua opera avesse raggiunto il vertice con il Neuen Stil, a partire dal 1927, caratterizzato da composizioni stilizzate, più semplici, luminose e piatte, vicine all’astrazione pur rimanendo figurative. Inoltre voleva presentarsi come un pittore in grado di creare anche monumentali dipinti murali per gli spazi pubblici. Questa sua visione non si è tuttavia imposta: fino ad oggi, è stata sottolineata la rottura tra l’opera giovanile e quella matura, piuttosto che la continuità. Cosa vi ha spinto a rivisitare questa mostra storica e con quale prospettiva? Diverse opere di Kirchner, tra cui Alpsonntag. Szene am Brunnen, sono entrate a far parte della nostra Collezione subito

© Museo Nacional Thyssen-Bornemisza,Madrid
Photo David Oester
Kunstmuseum

dopo la mostra del 1933. Oggi ne possediamo una piccola ma preziosa selezione, tra cui cinque dipinti importanti di diversi periodi. Nel 2023 si è aggiunto Junkerboden (1919), lascito di Eberhard W. Kornfeld. Tuttavia, non gli avevamo mai dedicato una personale. Abbiamo quindi ritenuto che fosse giunto il momento di presentare Kirchner a Berna da una nuova prospettiva.

Quanto tempo e risorse sono state necessarie per preparare la mostra? Pur avendo richiesto ricerche approfondite, la preparazione è stata relativamente breve: le prime idee sono emerse all’inizio del 2023. Fin dall’inizio, sono stati fondamentali gli scambi con la Galerie Henze Ketterer di Wichtrach, vicino a Berna, che gestisce il patrimonio di Kirchner, e con la Galerie Kornfeld, che conserva l’archivio di Eberhard W. Kornfeld, uno dei maggiori esperti di Kirchner. Gli archivi della Kunsthalle di Berna hanno inoltre rivelato lettere di Max Huggler e Kirchner, richieste di prestito e fatture, offrendo una visione affascinante dell’organizzazione della mostra del 1933. Sue foto sono oggi conservati al Kirchner Museum di Davos e negli archivi Kornfeld. Siete rimasti fedeli all'originale? L’attenzione di Kirchner non era focalizzata sul singolo quadro, ma sul dialogo tra le opere, l’architettura e lo spettatore. Gli spazi dovevano sviluppare armonie di colori e l’allestimento creare ritmi. Aveva deliberatamente giustapposto opere provenienti da diverse fasi creative e rinunciato a un allestimento cronologico. Addirittura aveva rielaborato alcune opere giovanili per evidenziare la coerenza della sua evoluzione. “Allestire correttamente una mostra in termini di colori e forme è come comporre un quadro”, scriveva a Huggler. Mi sono ispirata al suo approccio senza cercare una ricostruzione esatta. Alcune coppie del 1933 sono state riproposte e, come all’epoca, le prospettive che collegano le sale mettono in relazione lavori degli albori e degli anni più maturi Come siete riusciti a riunire le due tele monumentali?

mai prestato, è stato possibile solo grazie a un impegno eccezionale, in particolare da parte della nostra direttrice Nina Zimmer, che ha organizzato uno scambio inedito con un’opera di Meret Oppenheim, nata proprio a Berlino. Poter nuovamente vederle affiancate è fondamentale, sia perché presentano un aspetto finora poco studiato della sua produzione, ma anche per l’attualità del loro messaggio di pace e serenità in un periodo politicamente instabile.

In questi mesi anche il Kunstmuseum Luzern rivisita una mostra risalente a 90 anni fa (Kandinsky, Picasso, Miró et al. zurück in Luzern). Quale ruolo può svolgere questo tipo di progetto nella programmazione di un museo oggi?

Non si tratta di riprodurre esattamente la mostra del 1933. L’interesse risiede nel modo in cui Kirchner costruisce la sua immagine: cosa ha omesso, come ha reinterpretato la sua biografia? Queste domande sull’autorappresentazione rendono la mostra particolarmente attuale, rivelando come gli artisti - ieri quanto oggi - modellano la loro immagine pubblica e invitando a interrogarsi su un autore che crediamo di conoscere.

L’arrivo dalla Cancelleria federale a Berna di Sonntag der Bergbauern, che non viene

L’allestimento delle 61 opere in mostra è articolato in cinque sale tematiche. In apertura nudi, scene di strada e il mondo del music-hall degli anni giovanili, che hanno reso celebre Kirchner, mentre la sala conclusiva raccoglie le ultime opere, a lui particolarmente care. Al centro, la grande sala principale è dedicata alla rievocazione della mostra del 1933 (in alto, uno scatto dell'epoca) affiancata da due salette che approfondiscono aspetti formali e strutturali, attraverso una selezione di opere su carta.

Anche se Kirchner fu estremamente soddisfatto perché poté presentarsi come voleva e riuscì anche a vendere 12 opere, la mostra del 1933 richiamò solo un migliaio di visitatori mentre, per dare un’idea, quella precedente dell’illustratore di libri Ernst Kreidolf ne aveva contati 13mila, durando qualche giorno in meno. Oggi non c’è il rischio che una mostra interamente incentrata su Kirchner - come sottolinea lo stesso titolo - attiri solo i suoi estimatori?

Le opere di Kirchner sono ricche di colori e colpiscono immediatamente i sensi. Abbiamo cercato di presentarle in modo che il loro impatto sia direttamente percettibile, anche senza conoscenze preliminari. Temi come la danza, il ritratto o il paesaggio sono familiari a tutti e consentono a chiunque entrare in sintonia, come potrà verificare chi ci raggiungerà.

© Erbengemeinschaft Eberhard W. Kornfeld
Photo Rolf Siegenthaler © Kunstmuseum Bern
Photo Rolf Siegenthaler © Kunstmuseum Bern
Photo Rolf Siegenthaler © Kunstmuseum Bern

Il valore della semplicità

La tensione verso l’essenziale guida da 40 anni Martin Kurer nelle sue scelte, nell’arte come nella vita. Rivelatore, l’incontro con le sculture tradizionali della Cordillera filippina, di cui lo zurighese è fra i più importanti collezionisti al mondo.

La mia prima opera non l’ho comprata, me la sono guadagnata. Frequentavo il liceo a Feldkirch, in Austria, quando il mio insegnante di disegno, che ha avuto un grande impatto sulla mia passione per l’arte, mi propose di aiutarlo durante i pomeriggi liberi a tenere d’occhio la galleria dove stava preparando una mostra per l’artista sloveno Joze Horvat-Jaki. Al termine mi chiese se preferissi essere pagato in contanti o con un’opera invenduta. L’incisione che scelsi è ancora esposta nella nostra casa a Winterthur. Proprio come il mio primo acquisto, un’opera digitale di Tatsuo Miyajima degli anni Novanta, comprata con il mio primo bonus a un prezzo per me allora esorbitante, è tuttora fra le mie preferite di quel periodo iniziale.

Che si tratti di un’opera contemporanea minimalista o di un oggetto etnografico tradizionale, sono sempre attratto da ciò che parla con chiarezza, stilizzazione, densità, minimalismo, senza fronzoli. Inizialmente le mie scelte erano intuitive. Di solito capivo in pochi secondi se un’opera era destinata a diventare parte della mia vita, se mi sarebbe piaciuta per sempre. Acquistarla o meno dipendeva allora dal mio budget. Più tardi, quando mi sono avvicinato all’arte giapponese e poi a quella tradizionale, in particolare filippina, ho preso coscienza del valore della semplicità. È una sensazione molto simile a quella che provo osservando la natura. La natura non spreca. È efficiente, organizzata, ripetitiva, simmetrica. C’è un’armonia nella struttura che mi tocca profondamente. Nell’arte come nella vita, la semplicità crea familiarità, comfort e senso di continuità. È lo stesso principio

che plasma il mio lavoro di avvocato: i miei clienti hanno sempre apprezzato che non li sommergessi di opzioni, ma che proponessi un unico percorso chiaro. Così, la semplicità mi ha sempre guidato in tutte le mie scelte di vita.

Nelle Filippine sono arrivato a inizio anni ’90 per seguire un caso legale e ho finito per rimanerci per 40 anni. Tutto è cominciato casualmente, dagli oggetti decorativi per arredare la casa in cui mi sono installato, spesso provenienti dalla parte meridionale delle Filippine di tradizione musulmana. Trascorrendo il mio tempo con la gente del posto mi sono poi avvicinato alla cultura locale e all’arte della Cordillera, in particolare appassionandomi a oggetti ifugao, come i bulul e le scatole. Fino a 10 o 15 anni fa era possibile trovare pezzi autentici a prezzi ragionevoli. Ora sono diventati più rari e costosi, in parte proprio a causa di mostre e pubblicazioni come quelle promosse da Asian Art:Future, che è la proprietaria legale delle opere di arte della Cordillera che ho riunito in questi anni. Si assiste a una concentrazione di interesse e investimenti nella fascia alta del mercato, anche se a livello locale l’arte tradizionale rimane ancora poco riconosciuta e apprezzata.

Da qualche anno di casa a Lugano, l’avvocato zurighese Martin Kurer è tra i maggiori collezionisti di arte tradizionale della Cordillera filippina.

Essendo essenzialmente completa, ormai aggiungo opere alla Collezione solo quando mi imbatto in qualcosa di davvero unico, in grado di arricchirla. Inoltre non avrei lo spazio necessario per esporre altre sculture e non mi piace tenerle in deposito. D’altro canto, raramente rimetto sul mercato opere acquistate. Solo negli ultimi anni, pensando al futuro, abbiamo venduto alcuni pezzi, ma è difficile separarsene. L’intenzione è sempre stata quella di preservare l’essenza della Collezione. Come ha scritto Walter Benjamin, la proprietà è il rapporto più intimo che si possa stabilire con gli oggetti. Non perché vivono in te, ma perché tu vivi in loro. È una relazione profondamente personale, ma anche una forma di gestione responsabile. Così interpreto la mia missione di collezionista. Ecco perché Asian Art:Future ha creato un museo virtuale, vimu.org, che offre una vera e propria esperienza 3D, in modo che la Collezione, in particolare le opere tradizionali, possano continuare a essere viste, anche quando noi non ci saremo più.

In mostra al Museo delle Culture di Lugano

Fra le più importanti al mondo nel suo genere, la Collezione dello zurighese Martin Kurer è protagonista fino al 16 novembre al Musec di Lugano: un inedito dialogo fra 51 sculture tradizionali della Cordillera filippina e 9 creazioni di artisti contemporanei asiatici invita a cogliere l’essenza e a lasciare emergere significati che vanno oltre l’apparenza. Un progetto espositivo a cura di Nora Segreto e di Paolo Maiullari, che ha raccolto anche l’intervista integralmente pubblicata nel catalogo che accompagna la mostra, di cui l’articolo presenta alcuni estratti.

Il linguaggio

Attraverso una ricerca che percorre l’intero Novecento italiano, il nuovo progetto espositivo della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati esplora l’uso di materiale eccentrico rispetto al medium tradizionale della pittura.

Le aspettative erano elevate: i progetti espositivi della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati hanno abituato a mostre di qualità altissima: non solo per il valore delle opere presenti e dell’approfondimento curatoriale, ma ancor prima per l’originalità dell’intuizione critica che ne è alla base e, punto d’arrivo, per la pregnanza dell’allestimento chiamato a darne conto.

Ancora una volta tutto è confluito alla perfezione in un’esposizione che, insieme a quelle dei due anni precedenti, compie un trittico di confronti esemplari fra protagonisti delle avanguardie del XX secolo. L’esercizio non è banale: affiancare due artisti può portare a forzature tanto dal punto di vista concettuale, quanto nella gestione dello spazio espositivo. Anno dopo anno, le scelte hanno sempre saputo convincere, a partire dai suggerimenti di Danna Olgiati, questa volta ancor più sagace: se l’affinità fra Balla e Dorazio, protagonisti nel 2023, era acclarata dalle loro ricerche sulla luce, mentre i grandi amici Klein e Arman attendevano la realizzazione della mostra mancata in vita che ne mettesse in dialogo le complementari poetiche del Pieno e del Vuoto, invece i nomi di Enrico Prampolini e Alberto Burri, al centro dell’attuale appuntamento, non vengono di solito accostati. Sebbene abbiano coabitato per un decennio nella Roma di metà Nove -

cento, non ci sono tracce di particolari frequentazioni. Entrambi, pur seguendo traiettorie autonome e approdando a esiti formali e concettuali distanti, hanno però rinnovato profondamente il linguaggio pittorico attraverso l’uso di materiali non convenzionali, proponendo due approcci fra i più interessanti e maturi, che idealmente coprono l’intero arco del secolo. Il discorso è infatti centrale per tutta l’arte del Novecento, inaugurato, come molte strade, da Picasso che nel 1912, per comporre la sua Nature morte à la chaise cannéee, al colore sostituiva corda e tela cerata. Se oggi è acquisito l’uso di qualsivoglia medium, allora rimpiazzare la realtà dipinta con la realtà della materia rappresentava una totale sovversione delle norme. Due anni più tardi, Enrico Prampolini (Modena 1894 - Roma 1956) già dimostrava di sintonizzarsi sulla portata di quella rivoluzione con il suo primo assemblaggio, Béguinage (fra le chicche in mostra): tessuto, pizzo, piume applicati su una superficie di legno, anticipazione dei successivi lavori polimaterici (e, ancor prima, del dadaismo). Cresciuto nell’alveo di un futurismo che ben si prestava alle sue eclettiche sperimentazioni, alla fine degli anni Venti Prampolini si distacca dall’arte meccanica per evolvere in direzione di un idealismo cosmico nutrito di forme organiche e partiture geometriche, sua sintesi originalissima fra le istanze surrea-

liste e gli afflati misticheggianti dei pittori astratti-concreti, frequentati a Parigi dove risiede dal 1925 al 1937. Una capacità di guardare e farsi guardare oltre le frontiere nazionali che fa di Prampolini l’avanguardista degli avanguardisti italiani, costantemente in contatto con le ricerche più interessanti del suo tempo. Un incessante rinnovamento che spinge fino alla rarefazione estrema delle ultime opere, di cui dà conto in mostra la stupefacente Composizione S 6: zolfo e cobalto, realizzata un anno prima della morte, affidando il suo polimaterismo alla materia grezza. Un artista che Danna Olgiati molto ha approfondito nella sua carriera di gallerista, diventandone fra le massime esperte e che non poteva che imporsi fra le passioni di Giancarlo, facendo della loro Collezione un punto di riferimento internazionale. Così come lo è per l’Arte Povera, che ha nella lezione di Alberto Burri (Città di Castello 1915 - Nizza 1995) un suo fondamentale precursore. Contrapponendosi con la sua poetica radicale al gusto evocativo di Prampolini, ne costituisce un perfetto contraltare indicando un’altra possibile via per rapportarsi all’elemento materico: non più assunto a metafora, ma portato al grado zero della rappresentazione. Sin dal primo sguardo, la tensione drammatica dell’opera di Burri risulta esplosiva. Con il suo senso immediato della realtà, rifuggendo

della materia

Protagonisti due magistrali innovatori, Enrico Prampolini e Alberto Burri, presentati attraverso la selezione di una cinquantina di capolavori, restituiti nella loro essenza dall’allestimento ideato dall’architetto Mario Botta.

alle teorizzazioni invece care a Prampolini (un notevole contributo viene dal suo manifesto Arte polimaterica (verso un’arte collettiva?) del 1944), lo sfuggente ed eversivo Burri parla attraverso i suoi lavori, come unica forma di espressione possibile dopo l’annichilamento del secondo conflitto mondiale. Giovane ufficiale medico, deportato dagli alleati in un campo di lavoro in Texas, si era convertito alla pittura durante la prigionia. Anche lui metabolizza e rielabora: non solo il trauma personale, ma anche la grande tradizione rinascimentale che gli recava in dote la sua terra, Città di Castello, e cruciale, il breve soggiorno a Parigi nel 1948 con cui prende avvio la sperimentazione dei materiali extra-pittorici. Catrame, pietra pomice, vinavil, sacco, segatura, stoffa, corda, sabbia, stoppa, porporina argentea, gesso e olio, vinavil, cellotex, oro… lavoro dopo lavoro, stagione dopo stagione, esplorati nelle loro proprietà cromatiche e fisiche, attraversati e aggrediti dalla sua urgenza espressiva (e anche letteralmente, con le combustioni che porterà avanti per oltre un ventennio), sostanziano con la viscosità del vissuto e la concretezza delle loro forme la ricerca di uno “squilibrato equilibrio” spaziale.

Sfida nella sfida, concepire un allestimento per presentare le ricerche sulla materia dei due artisti rispettandone le identità distinte e trasmettendo la tensione

etica del loro impegno. Come per le due mostre precedenti, anche qui, l’architetto Mario Botta è stato coinvolto fin dai primi passi, in stretto dialogo con i due curatori, gli storici dell’arte Gabriella Belli e Bruno Corà, esperti rispettivamente di Enrico Prampolini e Alberto Burri (della cui Fondazione, essenziale per la realizzazione delle mostra, Corà è anche presidente).

Se per Balla e Dorazio la sfida era stata avvicinare opere di scala dispari, mentre per Klein e Arman occorreva creare un contrappunto misurato fra la spiritualità dell’essere e l’accumulazione dell’avere, in questo caso bisognava capire come gestire in uno spazio comune presenze contraddittorie. Pur impiegando lo stesso modulo espositivo già adattato in precedenza, la soluzione proposta tiene questa volta nettamente separati i due artisti, presentati in sequenza, con un risultato di grande impatto, scandito da registri cromatici opposti: il visitatore percorre una prima navata dedicata alle opere futuriste e polimateriche di Prampolini, allestite su pareti bianche, dove si incontrano assoluti capolavori come Intervista con la materia del 1930, opera che inaugura la straordinaria fase visionaria e cosmica della sua produzione. Facendo inversione di rotta, si apre la seconda navata, lungo la quale lavori rappresentativi dei principali cicli di Burri si stagliano con inusitata forza su pareti completamente nere: da Catrami e

Sacchi degli anni Cinquanta alle Combustioni: Legni e Ferri e le Plastiche degli anni ’60, serie che impiegano il fuoco, fino alla progressiva esemplificazione degli aspetti formali con i Cretti (acrovinilici) del decennio successivo e i Cellotex, degli anni ’80-’90, prosaico composto ligneo usato in ambito industriale che, lavorato da Burri, arriva a esprimere le dimensioni del silenzio, del buio, dell’assenza, del vuoto, ma anche del pieno. Nuove coordinate estetiche che influenzeranno alcune delle ricerche successive più avanzate, d’altronde sin dagli anni Cinquanta forte è stata la proiezione internazionale dell’artista con personali in città americane ed europee. In totale circa 50 capolavori, provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private internazionali, oltre che da quella di casa. Estremamente efficace nella sua essenzialità, lo spazio espositivo radicale progettato da Mario Botta rivela la visione di chi è maestro dello spazio sacro. Non è una contraddizione evocarlo in una mostra “Della Materia”. Perché, seguendo l’orbita che si inanella nel parallelepipedo della sede della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, a emergere con evidenza è proprio la capacità della vera Arte, attraverso “pezzi di realtà”, di rendere tangibile l’essenza, interpellando l’uomo di ogni tempo.

Susanna Cattaneo

Photo: Studio Foto Enrico Cano
@Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri
Città di Castello; 2025, ProLitteris, Zürich

Palazzo Reale

Leonora Carrington

Un’artista senza confini: Leonora Carrington (Inghilterra, 1917 - Messico, 2011) è stata pittrice, scultrice, scrittrice, drammaturga e pioniera del pensiero femminista ed ecologista. La sua opera, sorprendentemente attuale, mescola sogno e realtà, magia e politica, mito e psicologia, dando forma a un mondo complesso e multiforme che sfugge a ogni categorizzazione. Il progetto espositivo presentato a Palazzo Reale ne restituisce la ricchezza poliedrica attraverso un articolato percorso tra dipinti, disegni, fotografie e materiali d’archivio, che esplora l’intero arco della sua vita creativa, dalle influenze celtiche della natia Lancashire fino al radicamento in Messico, sua seconda patria, cercando di restituirle lo spazio che merita all’interno della storia dell’arte moderna e contemporanea.

Fino all’11 gennaio 2026

In alto, Leonora Carrington, Sisters of the Moon, Fantasia, 1933, colori ad acqua, grafite e inchiostro su carta, 25 x 18 cm, Private Collection. Al centro, Gerhard Richter, Möhre [Carotte], 1984, olio su tela, 200 x 160 cm, Fondation Louis Vuitton, Parigi. A destra, sopra, Edward Okuń, Noi e la guerra, 1917-23, olio su tela, 88 × 111 cm, Musée national de Varsovie; e sotto, Angelo Tenchio Progetto per scultura, 1977 ca, acquaforte, 15 x 25 cm, tiratura 2/3, Collezione m.a.x. museo, Chiasso.

Fondation Louis Vuitton

Gerhard Richter

«Il corpus di opere di Gerhard Richter non smette mai di rinnovarsi e di esplorare il potenziale della pittura; una pittura che è ancora possibile. Figurazione e astrazione si susseguono in modo altamente personale e paradossale, alternando rappresentazione, dissolvenza e cancellazione»

Suzanne Pagé, Direttrice artistica della Fondation Louis Vuitton

PARIGI

Fondation de l’Hermitage

La Polonia sognata

Grazie a una partnership eccezionale con il Museo Nazionale di Varsavia, la Fondation de l’Hermitage di Losanna mette in luce la straordinaria vitalità artistica della Polonia dal 1840 al 1914. Secolo cruciale nella sua lunga storia, l’Ottocento polacco fu caratterizzato dalla lotta di artisti, scrittori e musicisti per mantenere vive le tradizioni del Paese, che scomparve come Stato indipendente a favore di Russia, Austria e Prussia. Privati di un’accademia nazionale, i pittori creano un’iconografia identitaria attraverso la rappresentazione della storia medievale e dei grandi monarchi, ma anche di paesaggi, mondo rurale, folclore e racconti mitologici. Spesso formati nelle accademie di Monaco, Parigi o San Pietroburgo, partecipano anche agli scambi incrociati che alimentano l’arte europea del XIX secolo. Fino al 9 novembre

Le 270 opere di Gerhard Richter riunite alla Fondation Louis Vuitton di Parigi offrono l’opportunità di ripercorrerne l’intera carriera, dal 1962 al 2024, entro le coordinate definite dall’artista stesso: dai primi dipinti derivati dalla fotografia a stampe digitali, foto dipinte, sculture e opere su carta, compresi gli ultimi disegni, un mezzo al quale si dedica oggi, a 93 anni. Soprattutto, per la prima volta a Parigi, la mostra presenta Birkenau , sintesi struggente dell’intera opera di Richter, un lavoro che ha richiesto una vita intera per vedere la luce. Dal 17 ottobre al 3 marzo ’26

Spazio Officina Angelo Tenchio (1943-1994) fra arte e grafica

CHIASSO

Una lettura estremamente vasta dell’attività di Angelo Tenchio - prematuramente scomparso nel 1994. Parallelamente alle cartelle e alle tirature singole realizzate in qualità di stampatore d’arte per vari autori comaschi e ticinesi, spicca un nucleo di circa 90 opere grafiche in acquaforte, acquatinta e ceramolle firmate da Tenchio stesso, di grande livello tecnico, come evidenzia anche il raffronto tra stampa e matrici. Fino al 30 novembre

LOSANNA
© Carlo Pedroli © Gerhard
Courtesy Gallery Wendi Norris, San Francisco © Estate of Leonora Carrington,by SIAE 2025

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Una visione di modernità

Bmw serie 3. Una sigla, di cui nel 2025 si celebra il cinquantesimo compleanno, che ha cambiato non solo la storia della marca bavarese, ma anche il modo di intendere la berlina sportiva per la clientela europea.

Era una bella giornata d’ottobre di tanti anni fa quando andai a ritirare la mia Bmw 320i, comprata di seconda mano. Il precedente proprietario era un mio parente, generale dell’aereonautica in pensione, che l’aveva tenuta con molta cura. Modello due por-

portata della novità. Il design fu affidato a un vero e proprio artista francese, Paul Bracq, padre della Mercedes SL Pagoda, che realizzò un piccolo capolavoro dalle linee tese, con un frontale aggressivo ed elegante caratterizzato da quattro fari accoppiati, che divenne una cifra di stile

te, colore metallizzato, pochi optional, il bellissimo cruscotto con l’illuminazione arancione, ma soprattutto quello straordinario motore 6 cilindri in linea con la sua erogazione potente e progressiva e un sound davvero appagante. Nel rientrare a casa ebbi la netta sensazione di essere al volante della mia prima auto da adulto che, sul podio ideale di un ventenne, era al secondo posto, davanti alla Golf Gti e dietro solo alla Porsche 911, di cui avremo occasione di parlare in futuro.

Bmw serie 3. Quando fu presentata, mezzo secolo fa, si capì subito la grande

negli anni a venire per la casa tedesca. Gli interni, con un cockpit che per la prima volta era disegnato e raccolto intorno al pilota, erano così curati da rendere irriconoscibili quelli del modello precedente. La meccanica profondamente rivista e aggiornata con un telaio di nuova concezione e motori da 1600cc a 2000cc. Disponibile solo in versione 2 porte fino al 1983, rappresentava un nuovo concetto di berlina moderna e dinamica che in poco tempo diventò l’oggetto del desiderio per la clientela giovane e sportiva, soprattutto a partire dal 1977 quando arrivò la raffi-

La Bmw serie 3, che ha rappresentato un punta di svolta.

nata motorizzazione 6 cilindri a iniezione, declinata anche in cilindrata 2300cc, la mitica 323i. La si notava spesso con cerchi in lega e colori metallizzati molto eleganti di cui forse il più bello era il così detto “canna di fucile”. La guidabilità, grintosa, divertente e confortevole, diventava problematica solo in caso di asfalto bagnato a causa di un sistema di sospensioni non sempre all’altezza della situazione. La sua immagine fu ulteriormente rafforzata dai successi sportivi della versione da corsa caratterizzata da vistose appendici aereodinamiche e dalla livrea bianca con fregi azzurri, blu e arancio che diventarono la bandiera del reparto Motorsport.

A quella prima serie, di cui furono prodotti oltre 1 milione di esemplari, ne seguirono numerose altre, con evoluzioni importanti, come la carrozzeria 4 porte, il modello break, e l’introduzione della velocissima M3 che ha fatto sognare generazioni di appassionati. Questa linea di successo obbligò la concorrenza a correre ai ripari, creando un vero e proprio segmento che negli anni successivi si popolò di numerosi modelli come Audi A4, Mercedes Classe C, Alfa Romeo 155 e 156. Ma la Bmw Serie 3 prima serie è rimasta viva nella memoria dell’automobilista sportivo e non solo, come una vera pietra miliare. Oggi, quando mi capita di rivederne una e di ammirarne i particolari, con quel “muso” così riuscito, capisco perché me ne innamorai, in quella bella giornata d’ottobre di tanti anni fa.

Marco Betocchi

LEADER SAPIENS

Distinguersi dai megatrend

La maggior parte della auto vendute sono ormai ibride o elettriche, spesso Suv. Ma ci sono

ancora modelli che seguono strade meno battute, offrendo esperienze di guida e design

unici: potenti cabriolet, station wagon accattivanti o eleganti crossover sportivi.

Mercedes CLE 53 AMG

Cabriolet 4Matic

Mercedes CLE 53 AMG

Cabriolet 4Matic

Per gli amanti del vento tra i capelli, la nuova Mercedes Cli 53 Amg 4Matic ha tutto il necessario per non farvi perdere gli ultimi raggi di sole. Già, perché con i sistemi di serie Aircap (deflettore sul parabrezza che devia i fruscii dall’abitacolo) ed Airscarf (bocchette d’aerazione integrate nel poggiatesta che generano un flusso d’aria calda attorno a collo

e spalle dei passeggeri anteriori) permette di viaggiare en plein air anche in autunno inoltrato con umidità e temperature non proprio clementi. E in caso di pioggia? Nessun problema, la Cle 53 Cabriolet chiude la capotte in 20 secondi fino a 60 km/h.

Sostituisce le coupé e cabrio delle Serie C ed E con un motore mild hybrid di 3.0 litri Twinturbo, di cui uno elettrico con un totale di 449 cavalli e

560 Nm che diventano 600 cavalli in modalità overboost per 10 secondi, abbinato alla trazione integrale Amg Performance 4Matic+ a ripartizione variabile e quattro ruote sterzanti. Tornanti e strade sdrucciolevoli si possono quindi affrontare a cuor leggero, come d’altronde anche i posteggi. Notevoli le prestazioni, da 0 a 100 km/h in 4,4 secondi, mentre il cambio Amg Speedshift Tct a nove rapporti non ha esitazioni, neanche in condizioni più impegnative.

La versione Cabriolet riprende le caratterizzazioni della versione Coupé, con carreggiate allargate (+58 mm davanti e +75 mm dietro), la calandra Amy a listelli verticali, paraurti specifici, cofano motore con due nervature longitudinali e la griglia per l’uscita dell’aria calda del motore. Al posteriore un cenno di spoiler sopra la coda e un nuovo diffusore. Alcune chicche sulla variante a tetto di tela, lo schermo dell’infotainment si inclina da 15 gradi fino a 40° per evitare i riflessi della luce solare e sedili rivestiti di pelle, trattati per riflettere le onde infrarosse per abbassare la temperatura fino a 12 gradi rispetto alle sedute normali. I prezzi? Si parte da Chf 110.700.-

Audi S5 Avant

Con il debutto dell’ormai decima generazione, la serie bestseller Audi A4 cambia il nome in Audi A5. Motore 6 cilindri Twinturbo sia per la versione limousine sia per la station wagon Avant, quest’ultima sicuramente più gettonata in quanto offre un baule niente male, da 448 litri a 1396 litri abbattendo i sedili posteriori. Il frontale largo e ribassato comunica grande sportività, grazie all’ampia calandra single frame con struttura a nido d’ape, i proiettori sottili, il design essenziale del paraurti e le prese d’aria dalla forma aerodinamica. È l’auto ideale per chi desidera una familiare capiente e confortevole che allo stesso tempo non trascuri il piacere di guida e le prestazioni. Monta infatti un potente Tfsi 3.0 6 cilindri turbobenzina da 367 Cv e 550 Nm di coppia, abbinato a un sistema ibrido 48 Volt mild-hybrid che recupera energia quando si rallenta e la sprigiona in accelerazione per migliorare i consumi e le emissioni. Passa da 0 a 100 km/h in 4,5 secondi fino a una massima di 250 km/h limitata elettronicamente. I consumi di 7,4-7,7 litri non sono affatto male in rapporto alla potenza. In listino da Chf 94.150.-

Renault Rafael atelier Alpine Hyper

Hybrid E-Tech 4x4 300 cv Plug-in

Già al primo sguardo la Renault Rafale richiama lo stile moderno dei Suv coupé sportivi con dettagli che catturano l’attenzione grazie a linee scolpite e taglienti, grandi loghi a forma di diamante, cerchi da 21 pollici, dettagli neri per alleggerire visivamente il volume, lunotto posteriore molto inclinato con spoiler nero lucido pronunciato. Ricorda vagamente una Lamborghini Urus in formato ridotto, ma ciò che distingue realmente Renault Rafale E-Tech 300 è il suo allestimento Atelier Alpine, non un’operazione di pura cosmesi, ma un pacchetto che prevede, oltre ai piacevoli dettagli estetici distintivi degli allestimenti Alpine, anche una dotazione tecnica e un lavoro di messa a punto realizzato in collaborazione con gli ingegneri della casa automobilistica sportiva. Monta ben 4 motori, un 1,2 turbo a com-

bustione da 150 Cv, un motore elettrico anteriore da 70 Cv, un motore posteriore da 136 Cv e uno starter generator da 34 cavalli ad alto voltaggio Hsg. Per ottenere i 100 cavalli i più rispetto al sistema da 200 della Rafale full hybrid, gli ingegneri Renault hanno aumentato le dimensioni della turbina del tre cilindri 1.2, aggiunto un motore elettrico al posteriore, aumentato la capacità della batteria da 2 kWh a 22 kWh e trasformato il sistema ibrido in un ibrido plug-in. Il risultato è una vettura davvero sportiva. La potenza totale di 300 Cv consente al Suv coupé di Renault di accelerare da 0 a 100 km/h in 6,4 secondi, da 80 a 120 km/h in 4 secondi e con una velocità massima di 179 km/h. La coppia di 434 Nm è disponibile da 1.750 giri/ min, offrendo una risposta rapida e fluida nell’uso quotidiano.

Rafale E-Tech 300 scatta veloce e agile al semaforo, con una progressione forte ma non brutale, confortevole per i passeggeri e gestibile da qualunque pilota, anche selezionando la modalità di guida Sport. In vendita a partire da Chf 53.900.-.

Audi S5 Avant

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