Ticino Management: Novembre 2025

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Detective finanziari Come si scova una bolla?

ECONOMIA

L’effetto cascata?

Non è solo tutta teoria

EUREKA

Il futuro dell’Alta Gamma, equilibri che cambiano

ARTE

Oltre la superficie: la tecnica indaga l’opera

FINANZA

Digital Wealth Management: la chiave è l’abitudine

OROLOGI

Dal ticchettio al rombo, la meccanica corre sul tempo

DIGITALE

Contestualizzare il futuro con soluzioni efficaci

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Emanuele Pizzatti epizzatti@eidosmedia.ch

Maria Antonietta Potsios - mapotsios@eidosmedia.ch

Eleonora Valli evalli@eidosmedia.ch

Hanno collaborato a questo numero Ettore Accenti, Marco Ancora, Alessandro Beggio, Marco Betocchi, Ignazio Bonoli, Luca Brochetta, Luca Crivelli, Simone Gianini, Marco Martino, Luciano Monga, Frank Pagano, Stelio Pesciallo, Francesca Prospero Cerza, Fabio Regazzi, Rocco Rigozzi, Adriano A. Sala, Andrea Ziswiler Progetto e coordinamento grafico Veronica Farruggio grafica@eidosmedia.ch

Coordinamento Produzione

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Chiusura redazionale: 31 ottobre 2025

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Bolle, balle e... l’intelligenza?

una domanda sembra d’obbligo, e qualche dubbio dovrebbe instillarlo: nel migliore dei mondi possibili, dunque non l’attuale, quanto dovrebbero capitalizzare le BigTech americane? Certo, sono le società del futuro, riescono a generare ricavi da favola, alimentano investimenti faraonici (che non si capisce di preciso a cosa servano davvero), ma come fanno a valere più del Pil della maggior parte degli Stati del G7?

Certo, determinare l’esistenza di una bolla finanziaria è molto difficile e, sin tanto che non esplode, matematicamente impossibile. Ma se anche questo non fosse il caso, ricorrendo alla vecchia e semplice intelligenza, molto meno onerosa di quella artificiale, e disponibile a forse più persone, qualche domanda sembrerebbe legittimo porsela: ha davvero così senso? Come può una sola azienda prezzare più di milioni di persone che decidono di credere e sostenere un progetto politico avente all’attivo centinaia di anni di storia, più o meno di successo?

L’Intelligenza Artificiale ha il potenziale di sconvolgere gli equilibri di molti settori, e sembra molto probabile lo farà domani, ma al momento è pura speculazione, teorica. Anche finanziaria, forse. A strabilianti investimenti non sono seguiti sbalorditivi risultati, ma del resto come avrebbero potuto? Le persone sono le stesse, e rimangono l’epicentro di tutto, cambiano gli strumenti e le modalità, ma l’essenza del lavoro che svolgono non è mai cambiata.

Se anche questa nuova intelligenza ambisse a sostituire la precedente, e la singolarità tecnologica fosse raggiunta, sempre che non sia un’altra forma di sofisticata speculazione, cosa accadrebbe a quelle persone che, rese attente degli stupefacenti progressi possibili, o degli incredibili margini di efficientamento, rifiutassero di farne uso, per semplice istinto di autoconservazione? Se puoi produrre mille spilli al costo e nel tempo di uno, ha senso produrli, o è bene prima sapere a chi venderli?

Il 1776 è una data che ha fatto la Storia, la Ricchezza delle Nazioni in economia, gli Stati Uniti in geopolitica, e senza bisogno di altre intelligenze, se non una. È forse tempo di tornare a utilizzarla.

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Cover story

Come ci si accorge di una bolla finanziaria prima che scoppi? Un dibattito annoso, ma attuale.

Eureka

La sezione dedicata all’innovazione, alla tecnologia e al Venture Capital.

Cultura

I protagonisti del grande mondo dell’arte, della cultura e del lifestyle.

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Economia

Tutti gli articoli dedicati all’analisi di temi economici dalle aziende alla consulenza.

Osservatorio

La rubrica di approfondimento finanziario si amplia.

Speciali

La sezione dedicata a tutti gli Speciali degli ultimi mesi.

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La perfetta guida dell’internauta. Un vivace dialogo è iniziato, da un lato Ticino Management cartaceo dall’altro suo fratello minore digitale, l’obiettivo? Che siano sempre più connessi. Tra l’uscita di un’edizione e la successiva tutti gli articoli del cartaceo saranno pubblicati a cadenza regolare, insieme a contenuti studiati appositamente per essere nativamente digitali.

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Cacciatori di bolle

Il boom dell’Intelligenza Artificiale nei mercati finanziari è già, o rischia di diventarlo, una bolla speculativa di dimensioni significative? Il dibattito è molto caldo, e gli indicatori da osservare sono discordanti. Ma sono ancora quelli validi?

Opinioni

14 Ettore Accenti. La tecnologia applicata alle protesi visive e alle interfacce neurali prosegue la sua strada.

16 Simone Gianini. La legge sul riciclaggio di denaro verrà estesa a nuovi ambiti e ulteriori attività.

18 Stelio Pesciallo. Il Tribunale amministrativo federale infine batté un colpo, rispetto all’affaire Credit Suisse, e i suoi At1.

20 Ignazio Bonoli. Avs, Cassa malati, clima... sono tante le iniziative popolari in ambito di socialità. Ma i rischi?

22 Rocco Rigozzi Le transazioni immobiliari nascondono spesso rischi sottovalutati, bisogna conoscere la materia, le normative, oltre che le procedure.

24 Andrea A. Sala (in foto). Oltre agli eventi, il mercato dell’arte è mosso da pochi grandi protagonisti.

Economia

40 Svizzera - Europa. Il principale Partner commerciale elvetico rimane il Mercato Unico europeo, a considerevole distanza dagli altri

41 Imprese. L’iniziativa in votazione rischia di compromettere molti delicati equilibri.

42 Consulenza. Quale ruolo assumerà il revisore esterno in futuro?

Da sinistra, Donatella Principe, Director di Fidelity International; Hervé Prettre, Responsabile Ricerca di Edmond de Rothschild; Vittorio Treichler, Market Strategist di Novum Partners; e Federico Invernizzi, Coo di MdotM.

Osservatorio

83 Sfama. L’industria svizzera dei fondi d’investimento.

84 Settori. Lo sport è un ambito d’investimento snobbato, ma interessante.

86 Bond. Cambiano gli equilibri dell’asset class e la geopolitica non è d’aiuto.

87 Macro (Livio Dalle, in foto). Quali sono stati gli elementi determinanti che stanno consentendo al Dragone asiatico di riprendersi?

88 Tematici. L’Intelligenza Artificiale è un ambito ricco di opportunità, a patto di saper scegliere bene.

90 Alternativi. L’interesse per i mercati privati da parte dei Family Office rimane. È solo un periodo sfortunato.

94 Alternativi. Bisogna saper scegliere, il gestore!

94 Settori Cina e Stati Uniti contrappongono due modelli di innovazione diversi, quale dei due prevarrà?

48 Salute. Un modello unico tutto svizzero si segnala sul piano internazionale della salute pubblica.

Speciale Digitale

53 Solede. Un buon software Erp può fare la differenza in molti ambiti.

54 Apsoft. Come integrare l’Ia nella finanza? Con 30 anni di esperienza.

56 Aisot. L’Ia approda in finanza?

57 Tesyr. Consulenza It per Pmi.

58 Ander Group. L’Ia entra anche nel marketing e nel branding.

Eureka

60 L’imprenditore. 110 anni e 4 generazioni ben raccontano il successo della Maison ginevrina.

62 Start up. Decarbonizzare, ma con profitto? Si può già fare.

L’impatto della salute p. 44

La pubblicazione del suo primo Rapporto di sostenibilità è l’occasione per riflettere sulle ricadute che l’Ente ha sul territorio.

A lato, Glauco Martinetti, Direttore generale dell’Ente Ospedaliero Cantonale.

L’economia del desiderio

p. 70

Quello del Luxury è un settore enorme, da 1,5 trilioni di dollari, e in costante evoluzione.

Quali i trend? A lato, Alexander Chetchikov, Presidente della World Luxury Chamber of Commerce.

Un rombo nel ticchettio p. 96

Alta orologeria e Automotive sono due mondi diversi, ma strettamente connessi, sono infatti la celebrazione di creatività e maestria tecnica.

A lato, Pascal Raffy, proprietario del Marchio orologiero Bovet.

64 Innovazione. Un confronto tra modelli di lavoro evidenzia i costi spesso occulti per Paese e imprese.

65 Studenti. Va bene usare l’Ia per tutto, ma a chi spettano i diritti?

66 Talenti. Materia e pixel si incontrano, al pari di estetica e pensiero.

68 Sport. Il gioco degli scacchi.

72 Marketing. Dal reagire al riflettere. Le giuste domande per crescere.

73 Gaming. Nuove sfide e nuovi campi per l’Intelligenza Artificiale.

Speciale Digitale da p. 50

Di fronte a un artificiale sempre più intelligente e generativo, cresce il valore della consulenza di chi, con visione ed esperienza, sappia interpretarne le potenzialità e tradurle in scelte tecnologiche coerenti, sicure e orientate al futuro

Il potere nelle abitudini p. 76

L’esperienza di una giovane e innovativa realtà svizzera, che sta definendo un nuovo modo di far banca. È iniziata l’era del Digital Wealth Management? A lato, Gianmarco Bonaita, Ceo di Alpian.

Diagnostica ad arte p. 100

Dove iniziano le sole intuizioni di curatori e restauratori, ecco che si ritagliano un nuovo spazio crescente le tecniche di imaging. Un supporto alla conservazione delle opere.

A lato, Diana Bracco, Presidente e Ceo del Gruppo Bracco.

Finanza

74 Analisi regionale. Affrontare da soli le sfide dei mercati esteri potrebbe non essere la migliore delle alternative. Dunque che fare?

80 Strategie. La robotica si conferma un settore vitale, e di ampio respiro, anche per i prossimi anni.

92 Tematici. Le molte opportunità della corsa allo spazio.

Cultura&Lifestyle

104 Arte. 1,6 trilioni di pixel fanno rivivere la Battaglia di Morat.

106 Mostre. Gli accessori, a Rancate.

110 Curve iconiche. La 991.

12 Ceo Confidential

108 Appuntamenti

112 Auto

... in un LAMPO

Una concatenazione di dieci news per decriptare l’attualità. C’è molto tech, ovviamente, e molta umanità. È imperativo rimanere aggiornati e ‘sul pezzo’, ma anche riuscire a cogliere i segnali deboli, quelli che rimangono sottotraccia in mezzo a ‘tanto rumore’. Non solo per proteggere aziende e marchi dai rischi di oggi ma anche per anticipare i trend di domani.

Non tocchiamo nulla, per favore Gli indicatori macro mostrano una crescita globale anche in ottobre, che apre il Q4 con una nota positiva. Il Pil Usa è a +2,1%; il Pil Ue a +1,5% con la Germania stabile. L’inflazione rimane sotto controllo. I mercati azionari sono positivi per i Paesi del G7, con un paio di settimane di rallentamento a inizio ottobre. I tassi (obbligazioni a 10 anni) restano alti, come nel Q3: 4% negli Stati Uniti, 2,6% nell’Ue. Dazi e guerra sembrano essere stati assorbiti dai mercati globali, con l’Ia a trainare la performance degli occidentali. La domanda è: per quanto ancora?

Febbre da shopping

Walmart ha annunciato una partnership per consentire ai fan di acquistare direttamente dal proprio bot preferito i prodotti desiderati. OpenAI, durante il cosiddetto DevDay di ottobre, ha presentato applicazioni e kit di sviluppo (Sdk) per acquistare direttamente dalla propria chat. È una mossa prevedibile. Le applicazioni di Ia sono alla ricerca di un modello di business che possa coprire i costi di energia e computing. I bot non possono rimanere concierge B2C gratuiti. Compro, dunque io (o l’Ia) sono.

Benedizione e maledizione L’Ia è la forza dell’azionario del 2025, del 2024 e 2023. Siamo tutti contenti, ma tratteniamo il respiro, nel caso il boom dovesse rallentare. Alcuni analisti parlano di una “bolla Ai”, poiché molti degli investimenti stanno cambiando tasca all’interno dello stesso ristretto cerchio di attori, con il dubbio su quale valore reale stiano generando. Qualunque sia la verità, una grande, unica scommessa globale non è mai un bene.

Tu quoque?

I Governi di Australia e Albania sono stati parzialmente rimborsati da Deloitte per errori nei loro report. L’Ia era stata utilizzata per redigere i documenti e i team non sono riusciti a individuarne gli errori. L’incidente rivela i limiti di questi strumenti, che possono ancora generare ‘allucinazioni’. Inoltre dimostra quanto le Big 4, e simili, possano perdere in un mondo in cui un’Ia migliore potrebbe facilmente sostituire tutti i loro servizi. È un campanello d’allarme. Se Deloitte ha peccato nella lettura, dovrebbe almeno prestare ascolto.

Colloqui di pace

Non è questo il luogo per discutere chi abbia ragione o torto. Il Q4 ci offre un mondo più disposto a discutere la pace, o almeno il cessate il fuoco. Questa è certamente una buona notizia. Le aziende che operano nell’area Asia Pacifico e in Medio Oriente potrebbero guardare a un 2026 diverso, o almeno dovrebbero iniziare a parlarne.

Lupin batte Napoleone

Dei ladri sono riusciti a entrare al Louvre, il museo più famoso e visitato al mondo, per rubare gioielli di valore incalcolabile che sarebbero appartenuti a Napoleone, che non si è mai fatto scrupolo di collezionare bottini dalle terre conquistate. Nell’era della tecnologia, tra sensori, telecamere e droni, è sempre utile ricordare che il crimine si evolve quanto il business. Occhio ai Lupin di ogni mercato, città e cortile.

Romanticismo ed Ia?

Dopo un annuncio simile di Musk per la sua Start up xAI, ChatGpt (OpenAi) ha comunicato che presto consentirà al suo chatbot di interagire con contenuti erotici per adulti. Questo segnala la necessità di un assistente su come gestire le relazioni personali e la scoperta di sé. Come business, adottare strumenti, prodotti e servizi di Ia significa sicuramente consapevolezza di linee guida e valori, poiché bot e chat possono mal consigliare i fan se l’aumento delle vendite è l’unico Kpi. L’Ia è potere e un ottimo investimento. La salute mentale, il futuro e i valori dei giovani non sono negoziabili, però.

L’importanza del contesto L’Accademia Reale Svedese delle Scienze ha assegnato il Nobel per l’Economia 2025 a Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt, ‘per aver spiegato la crescita economica guidata dall’innovazione’. I tre non sono i soliti economisti, dato che il loro lavoro si basa su contesto, storia, visione d’insieme e - strano - sono anche piacevoli da leggere. Non è la fine dell’economia quantitativa, ma la crescita è anche una questione di cultura, sistemi e persone. Una buona notizia, nell’era dell’Ia e, domani, dell’integrazione tra hardware, software e robot. La cultura conta, eccome!

Impiegati cercano

I licenziamenti continuano nelle grandi aziende tecnologiche. Uno studio recente mostra come i giovani, più facilmente sostituibili dall’Ia, possano essere maggiormente colpiti in questa fase, almeno osservando i fatti degli ultimi due anni. Non è un’apocalisse, è un cambiamento che assomiglia a una piramide rovesciata, con i lavori di entry level che diminuiscono più di quelli senior. Se sei giovane, devi cercare lavoro più duramente. Se sei meno giovane, continua a cercare lo stesso, perché queste prime evidenze potrebbero non essere sentenza.

Ted cambia proprietario e target

Una delle piattaforme di contenuti più note, cambia leadership. Sal Khan, capo della Khan Academy, diventa il responsabile della visione di Ted. In un’era di contenuti generati dall’Ia, si concentra sulla curatela e sulla formazione. Noi eccelliamo nel dare un significato alle cose. Le nuove generazioni possono essere intrattenute da video più veloci, economici ed esotici su Tik Tok. È ora di aggiungere un po’ di Tech a formazione ed educazione, e renderla una priorità globale e accessibile a tutti. Meno Netflix, più scuola.

Dall’oscurità alla luce

I progressi nello sviluppo di protesi visive e interfacce neurali capaci di restituire la vista a chi vive nel buio dimostrano come la tecnologia possa essere espressione di umanità e dignità.

Proseguendo le indagini sui progressi dell’intelligenza artificiale e della neurologia, riprendendo un mio precedente contributo pubblicato su questa rivista nel febbraio di quest’anno e intitolato “Fantascienza? No, ci siamo”, scopro con sorpresa che ciò che allora sembrava ancora lontano oggi sta avanzando a un ritmo impensabile. Le linee di confine tra scienza e fantascienza si assottigliano ogni giorno di più.

In quell’occasione accennai ai nanorobot wireless capaci di muoversi nel nostro organismo, collegati a reti cloud esterne, e ai progetti di Neuralink di Elon Musk, in grado di restituire a un paraplegico la possibilità di muoversi con il pensiero. Citai anche Ray Kurzweil, il visionario dell’Ia che da anni prevede un futuro in cui mente e macchina si fonderanno. Oggi parte di quelle visioni sta diventando realtà.

Approfondendo le ricerche sui collegamenti diretti tra cervello e ambiente esterno, emerge un panorama in continua espansione. Aziende come Neuralink, Cortigent, Icvp, Monash Vision Group e Prima stanno sviluppando protesi visive e interfacce neurali capaci di restituire movimento o vista a chi li ha perduti. L’obiettivo non è soltanto medico, ma anche umano: ridare autonomia, dignità e speranza a chi vive nel buio. Una delle notizie più sorprendenti arriva proprio da Reuters: “Neuralink, la start up di Elon Musk che sviluppa interfacce cervello-computer, ha ricevuto la designazione di ‘breakthrough device’ dalla Fda per il suo impianto sperimentale volto a ripristinare la vista”. Un riconoscimento che permette di accelerare lo sviluppo, la valutazione e la revisione per l’approva-

Ettore Accenti, esperto di tecnologia. Blog: http://bit.ly/1qZ9SeK.

A lato e sotto, Gennaris Bionic Vision System, protesi visiva corticale progettata per restituire una forma di visione a pazienti con danni gravi al nervo ottico o alla retina, sviluppata dalla Monash University con Monash Vision Group. Una telecamera miniaturizzata acquisisce immagini dall’ambiente che vengono elaborate da un’unità esterna e trasmesse a un insieme di impianti cerebrali.

zione pre-commercializzazione per fornire ai pazienti e agli operatori sanitari un accesso tempestivo a dispositivi medici che consentono un trattamento o una diagnosi più efficaci di malattie o condizioni potenzialmente letali o irreversibilmente debilitanti. In effetti, Blindsight - nome del dispositivo - promette di consentire la percezione visiva anche a chi ha perso entrambi gli occhi e il nervo ottico, grazie a un’interfaccia cerebrale impiantabile nel cranio. Si tratta di un passo storico nella direzione di un nuovo tipo di visione, generata direttamente dal cervello.

Accanto, l’elenco delle principali protesi visive e interfacce neurali in sviluppo o sperimentazione da parte di entità specializzate. Sotto, alcuni esempi. A sinistra, un impianto wireless bidirezionale per interfacce cervellomacchina minimamente invasivo, che riduce dimensioni, sprechi di potenza e produzione di calore ideale per neuro-riabilitazione e lo studio della plasticità neurale. Al centro, il dispositivo biomedico impiantabile di Neuralink, da cui partono i sottili microelettrodi biocompatibili che si connettono col tessuto neurale. A destra, il sistema Orion Visual Cortical Prosthesis, realizzato da Contingent: consente la percezione luminosa e del movimento ai grandi ciechi impiantando sulla superficie della corteccia visiva una matrice di micro-elettrodi che riceve segnali da una videocamera montata su occhiali.

Le tecniche oggi in sperimentazione si dividono in tre categorie principali: gli impianti corticali, che stimolano direttamente la corteccia visiva attraverso una telecamera esterna; gli impianti retinici, che agiscono tramite microchip posti al di sotto della retina, in corrispondenza della macula; le soluzioni non invasive di sostituzione sensoriale, che traducono stimoli visivi in segnali tattili o sonori. La scelta dipende dal tipo di lesione o cecità: totale, parziale o residua.

Le soluzioni impiantabili non ricreano ancora una visione naturale, ma permet-

Principali protesi visive e interfacce neurali in sviluppo

In base a invasività, stimolazione neurale, output al paziente e indicazioni cliniche

Tecnologia (Invasività)

Neuralink Blindsight (alta)

Cortigent Orion (alta)

Icvp (Illinois Tech) (alta)

Monash GENNARIS (alta)

Prima (Science Corp) (media)

Vision Pro (Wicab) (nulla)

Ssd audio (The vOICe) (nulla)

Sistemi vibro-tattil (nulla)

Stimolazione

Impianto Corteccia visiva (V1)

Impianto Corteccia visiva

Impianto Corteccia visiva

Impianto Corteccia visiva

Retina (subretinico fotovoltaico)

Impianto Elettrotatto linguale

Mappatura immagine suono

Mappatura immagine vibrazioni

tono di percepire forme, contorni e movimenti attraverso punti luminosi, detti fosfeni. Queste percezioni, con l’addestramento, diventano via via interpretabili dal cervello. Le versioni non invasive, invece, migliorano la mobilità e l’autonomia dei pazienti, senza necessità di intervento chirurgico, ma con un livello percettivo più limitato.

Dietro ogni progresso tecnico si nascondono però sfide etiche enormi. Manipolare il cervello umano significa entrare nel territorio della coscienza, dell’identità e della libertà mentale. Ogni innovazione

Output al paziente Indicazioni

Fosfeni in V1 (percezione diretta)

Fosfeni in corteccia visiva

Percezioni visive microstimolatori

Fosfeni visivi a bassa risoluzione

Stimolazione di cellule retiniche

Pattern tattili sulla lingua

Paesaggi sonori tridimensionali

Feedback tattile con vibrazioni

Cecità totale

Cecità severa da varie cause

Cecità totale

Cecità da neuropatia ottica

Degenerazioni retiniche centrali

Cecità totale o grave

Cecità grave per lettura semplice

Cecità grave e orientamento

in questo campo richiede responsabilità e prudenza: l’obiettivo deve restare la qualità della vita, non il controllo della mente. Eppure, in questa corsa verso il futuro, c’è qualcosa di profondamente umano: il desiderio di luce. Restituire la vista, anche artificiale, a chi vive nel buio non è solo una conquista tecnologica, ma un atto di compassione e di civiltà. Le macchine e gli algoritmi diventano così strumenti di rinascita, ponti tra l’oscurità e la speranza. Dal buio alla luce, letteralmente e simbolicamente, l’umanità continua a cercare sé stessa attraverso la scienza.

Regolamentato con equilibrio

Il Parlamento ha approvato l’estensione della Legge sul riciclaggio di denaro a ulteriori attività di avvocati e notai, frutto del compromesso con le federazioni professionali interessate.

Nell’edizione di settembre, con un articolo intitolato “Regolamentare senza eccedere” ho illustrato lo stato dell’iter legislativo e le motivazioni dell’intenzione di estendere l’applicazione della Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (Lrd) anche direttamente agli avvocati, ai notai e ad altre persone che prestano consulenza in ambito giuridico o contabile in operazioni immobiliari o societarie. Ci eravamo lasciati con il Consiglio degli Stati che aveva approvato una soluzione di compromesso rispetto a quanto proposto dal Consiglio federale, limitando cioè l’estensione ai casi in cui il rischio di riciclaggio è ritenuto concreto. Nel frattempo, durante la sessione autunnale delle Camere federali, anche il Nazionale ha seguito quella linea, promulgando quindi la modifica legislativa assieme alla nuova Legge sulla trasparenza delle persone giuridiche (Ltpg).

Il risultato infine uscito dal Parlamento prevede che, oltre agli intermediari finanziari (e già ora agli avvocati e notai che effettuano attività d’intermediazione finanziaria), siano direttamente sottoposti agli obblighi di controllo e vigilanza della Lrd anche le persone fisiche (avvocati, notai, fiduciari indipendenti) e giuridiche (studi di avvocatura, fiduciarie) che, a titolo professionale, partecipano per conto di terzi a transazioni finanziarie (i cosiddetti “consulenti”), in relazione con: (a) la vendita o l’acquisto di un fondo, (b) la costituzione di un ente giuridico non operativo con sede in Svizzera o di un ente giuridico con sede all’estero, (c) la gestione o l’amministrazione di un ente giuridico non operativo, (d) i conferimenti e le distribuzioni da parte di un ente

giuridico non operativo, nonché (e) la vendita o l’acquisto di un ente giuridico, sempreché la vendita o l’acquisto avvenga per il tramite di un ente giuridico non operativo. Vengono inoltre considerati “consulenti” le persone fisiche e giuridiche che, a titolo professionale, mettono a disposizione un indirizzo o locali per una durata superiore a sei mesi quali sede di un ente giuridico.

Restano invece esclusi, da un lato, gli avvocati e i notai per la loro attività classica nell’ambito di procedure giudiziarie, penali, amministrative o arbitrali, compresi la rappresentanza in una procedura e la consulenza in relazione con la preparazione o l’esecuzione della procedura, il chiarimento di uno stato di fatto, la valutazione dei rischi procedurali, l’opposizione a una tale procedura o la messa in atto dei risultati della procedura. Dall’altro, “tenuto conto del debole rischio di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo a esse correlato”, restano escluse: (a) le transazioni in relazione con fondi o enti giuridici nell’ambito del diritto di famiglia, matrimoniale, successorio o di donazioni, (b) i trasferimenti di fondi o di enti giuridici per un valore inferiore a 5 milioni di franchi “sempreché il prezzo di acquisto sia versato e ricevuto esclusivamente per il tramite di banche o di altri intermediari finanziari sottoposti alla legge” (quindi già da essi sufficientemente controllato per quanto riguarda la sua origine), (c) l’acquisto di un’abitazione in Svizzera o che serva da abitazione sostitutiva in Svizzera, (d) il trasferimento di aziende o fondi agricoli secondo la Legge federale sul diritto fondiario rurale (Ldfr) a persone che intendono occuparsi esse stesse della loro gestione, (e) il trasferimento di

Simone Gianini, avvocato e notaio, partner studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, Lugano.

fondi ai fini di un raggruppamento o di procedure analoghe, (f) le attività svolte in nome di uno degli organi di enti giuridici operativi o di fondazioni di pubblica utilità o associazioni operative che hanno sede in Svizzera e (g) la costituzione di fondazioni a causa di morte.

In buona sostanza, assieme all’istituzione del registro consultabile dalle autorità preposte alla lotta contro il riciclaggio, nel quale le società dovranno iscrivere l’identità dei loro aventi economicamente diritto, con questa nuova legislazione la Svizzera tiene conto dell’evoluzione degli standard internazionali elaborati dal Gruppo di azione finanziaria (Gafi) e delle sue raccomandazioni, senza gravare eccessivamente sui cittadini svizzeri che, anche secondo lo spirito che ha animato il Consiglio federale nel proporre le modifiche legislative, devono continuare ad avere accesso ai servizi di base a costi ragionevoli nell’ambito delle professioni interessate. Grazie al sistema integrato, offerto dalle autorità di vigilanza centralizzate (in particolare la Finma), e alla catena di controllo che vede, ad esempio, le banche avere un ruolo centrale, si è potuto inserire anche l’attività di consulenza in senso più lato, senza però creare quei doppioni per operazioni con rischio limitato che, in base allo spirito sopra evocato, avrebbero costituito una misura sproporzionata. Grazie anche all’apertura e alla collaborazione delle federazioni professionali interessate, si è cioè provveduto a regolare il necessario, con equilibrio.

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Una sentenza che colpisce

La sentenza del primo ottobre 2025 del Tribunale Amministrativo Federale risuona come un atto di accusa per tutte le istanze che si sono occupate della fine di Credit Suisse.

La sentenza del Tribunale Amministrativo Federale (Taf) in merito all’annullamento delle obbligazioni AT1 di Credit Suisse nell’ambito della caduta della banca e della sua acquisizione da parte di Ubs è di ben 78 pagine e si legge come la cronistoria particolareggiata di quei tristi momenti che hanno suggellato la scomparsa dello storico istituto.

Questa sentenza, con la quale viene annullata la decisione della Finma che imponeva al Cs l’ammortamento di queste obbligazioni, fa stato anche di un atto di accusa verso la gestione congiunta della crisi da parte di Finma, Consiglio federale e Banca Nazionale Svizzera in appoggio all’acquisizione da parte di Ubs.

Essenzialmente il Tribunale ha sentenziato che la decisione della Finma del 19 marzo 2023 non poggia su alcun fondamento giuridico, in quanto in contrasto sia con il Prospetto di emissione di dette obbligazioni, sia con le norme legali applicabili alla fattispecie, sia con lo stesso Decreto di urgenza emanato dal Consiglio federale, denominato “Public Liquidity Backstop”, sia con la Costituzione federale, in quanto l’art 5a di detto decreto, aggiunto in tutta fretta alle 20.00 della domenica 19 marzo 2023, con cui si consentiva alla Finma di annullare le obbligazioni, andava oltre le competenze del Consiglio federale.

Al proposito interessanti sono alcune considerazioni del Tribunale.

In merito alla Finma, il Taf sottolinea come la stessa abbia mancato non solo con la contestata decisione ma già allorquando, più di 10 anni prima, aveva avallato le condizioni di emissione delle obbligazioni. In effetti l’Ordinanza federale che regola i mezzi propri delle banche dispone

che, affinché il prestito obbligazionario possa essere classificato come Capitale di base supplementare (AT1), deve elencare nelle sue disposizioni contrattuali le condizioni che fanno scattare il loro ammortamento, definito Point of Non-Viability (Ponv). Il quadro giuridico predisposto dall’Ordinanza è molto ampio, prevedendo che la Finma possa decidere un ammortamento per evitare l’insolvenza della banca senza dover addurre la prova che altri mezzi hanno fallito.

Nel caso delle obbligazioni del Cs, la Finma aveva invece avallato condizioni molto più restrittive, e cioè che l’ammortamento sarebbe stato ammissibile solo qualora le usuali misure correttive del capitale fossero state insufficienti o impossibili, condizione che il Tribunale ha ritenuto non essere stata adempiuta.

Da parte sua, il Cs in quella fatale domenica intervenendo sulla Finma aveva cercato di evitare l’annullamento delle obbligazioni, annullamento confermato dalla Finma alle 22.00 del medesimo 19 marzo 2023, salvo in seguito avere abbandonato di ricorrere contro questa decisione cercando di difendere per contro il diritto dei propri quadri a usufruire di strumenti di remunerazione variabili (Contingent Capital Awards), il cui valore era legato a quello delle obbligazioni AT1. All’ulteriore decisione della Finma di ritenere ugualmente annullati anche questi bonus, il Cs aveva interposto ricorso al Taf, poi ritirato nel maggio seguente.

Il Taf mette inoltre in rilievo il doppio ruolo rivestito da Ubs nella vicenda, sia quale beneficiaria della decisione di annullamento delle AT1 (con la quale veniva evitato che le obbligazioni di Chf 16,5 miliardi pesassero sul bilancio di Ubs) e di successore legale del Cs (che

Stelio Pesciallo, avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano.

aveva tentato, almeno inizialmente, di opporsi all’annullamento). Peraltro Ubs in seguito, invece di rimanere neutrale nella susseguente procedura istaurata dagli obbligazionisti presso il Taf, lasciando il campo di convenuta unicamente alla Finma, ha partecipato attivamente alla stessa a fianco della Finma.

Il Taf tira le orecchie anche al Consiglio federale quando sottolinea come abbia travalicato i limiti impostigli dalla legge stabilendo nel Decreto urgente, emanato sempre il fatidico 19 marzo, che la Finma era abilitata ad annullare parzialmente o integralmente le obbligazioni AT1. Questa disposizione per il Tribunale non è conforme alla Costituzione in quanto emanata in un ambito già regolato da una preesistente legge, quella del “To big to fail”, che dispone come procedere al risanamento di banche di importanza sistemica. Pertanto non sussisteva spazio per il Governo per legiferare in materia in un Decreto federale urgente.

In merito alla Consigliera federale Karin Keller Sutter, il Tribunale sottolinea che la stessa aveva definito l’operazione che ha condotto all’acquisto del Cs da parte di Ubs: “This is not a bailout. This is a commercial solution”. Se così fosse, e quindi un accordo tra soggetti privati, a maggior ragione secondo il Taf non sarebbe stato ammissibile far capo a un Decreto di urgenza, e in forza di questo ordinare l’annullamento delle obbligazioni AT1. Su questa materia deciderà ancora il Tribunale federale in quanto la Finma ha dichiarato di interporre ricorso contro la sentenza del Taf.

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Socialità a tutti i costi?

Avs, premi malattia, protezione del clima: diverse iniziative di politica sociale in atto in Svizzera nascondono seri rischi per l’economia, che potrebbero danneggiare tutti.

Anche in Svizzera fioriscono iniziative politiche volte a favorire una migliore distribuzione dei redditi, che creano però problemi finanziari e finiscono per danneggiare un po’ tutti. Un esempio classico è quello della tredicesima mensilità Avs, che dovrà essere finanziata in gran parte con le tasse sui consumi (Iva).

Oggi, dopo due iniziative in merito, accettate anche dal popolo ticinese, le più intense discussioni concernono i premi delle casse malattia. A livello federale si propone di aumentare i premi di cassa malati al 15% della popolazione più ricca, in modo da ridurre quelli pagati dall’altro 85%. Si possono prevedere altri grattacapi per il Consiglio federale, tanto più che già oggi il 25% della popolazione meno abbiente beneficia di sussidi mirati.

Un altro tentativo di ridistribuire la ricchezza, senza tener conto delle conseguenze, è l’iniziativa dei giovani socialisti (si vota il 30 novembre) che vorrebbe introdurre - a livello federale - una tassa del 50% sulle masse ereditarie e sulle donazioni di 50 milioni di franchi e più. Anche questa volta l’iniziativa fiscale è condita da un intento lodevole. Dice, infatti, che il gettito di questa nuova imposta federale deve servire unicamente a finanziare una “politica sociale” del clima. Anzi, il testo proposto chiede di votare per la protezione del clima e per questo viene detto anche “per il futuro”.

L’accesa discussione in atto è però tutta volta a considerare soprattutto il costo, diretto e indiretto, di questa iniziativa. Secondo recenti indagini della Confederazione, essa dovrebbe procurare un gettito (teorico e allo stato attuale delle cose) di 4,3 miliardi di franchi all’anno. In realtà, per motivi contingenti, le entrate fiscali

dovrebbero attestarsi fra 1 e 2 miliardi. Ma, a causa di partenze o mancati arrivi di contribuenti benestanti e conseguenti riduzioni del gettito delle imposte su reddito e sostanza, il saldo si ridurrebbe a zero, ma i soldi andrebbero a favore del clima comunque.

«La nuova tassa ereditaria colpirebbe fiscalmente chi dispone di oltre 200 milioni. La sostanza fiscale complessiva sarebbe di circa 500 miliardi. Molti di questi ricchi stanno già pensando di lasciare la Svizzera, per cui potrebbe mancare ai cantoni il gettito di 9 miliardi di franchi del 2022. In questo senso vi è però un altro effetto importante: la Svizzera non è più considerata un luogo sicuro per i capitali»

di queste sono anche a gestione familiare, il cui patrimonio è investito soprattutto in immobili e macchinari. In caso di successione, la tassa prevista potrebbe comprometterne l’esistenza.

Vi sarebbero quindi effetti negativi sulle entrate fiscali della Confederazione, ma anche dei cantoni, a cui spetta oggi l’incasso delle tasse ereditarie, del resto già ridotte da alcuni per le successioni e donazioni in linea diretta. Non solo, ma prevedendo un vincolo di spesa, andrebbe ad aggiungersi alle già molte imposte vincolate, la cui somma raggiunge ormai il 65% del totale delle spese, in crescita negli ultimi 10 anni di 10 punti percentuali. Su un piano più concreto vi sono due aspetti fondamentali da considerare. La Svizzera conta nella sua economia un gran numero di piccole e medie aziende. Molte

La Svizzera è anche un paese che può contare su un numero elevato di miliardari. Secondo le stime della Confederazione, la nuova tassa ereditaria potrebbe interessare 2.500 persone, ma in realtà colpirebbe fiscalmente solo coloro che dispongono di oltre 200 milioni. La sostanza fiscale complessiva sarebbe di circa 500 miliardi. Molti di questi ricchi stanno già pensando di lasciare la Svizzera, per cui potrebbe mancare ai cantoni il gettito di 9 miliardi di franchi del 2022. In questo senso, vi è però un altro effetto importante: la Svizzera non è più considerata un luogo sicuro per i capitali. Secondo un’indagine di PwC Svizzera, l’84% di coloro che lasciano un paese non scelgono più la Svizzera. Le destinazioni preferite sono l’Italia, gli Emirati Arabi, Monaco e il Portogallo. Dunque, un rischio di perdere i contribuenti migliori anche per cantoni e comuni.

Le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi (tra i più alti in Europa) in Svizzera sono nella norma europea, secondo l’esperto americano Milanovich, ma molto inferiori a quelle degli Stati Uniti, della Cina o della Russia. C’è però una concentrazione relativa di capitali e dei loro redditi, che non si può risolvere con tassazioni come quella sulle eredità. Tanto più che già oggi circa un terzo delle spese della Confederazione contribuiscono - direttamente o indirettamente - a ridurre le disuguaglianze.

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Transazioni immobiliari

Settore articolato e ricco di sfaccettature, le transazioni immobiliari richiedono una conoscenza precisa di normative, procedure e rischi per poter essere affrontate con successo, sia come privato, azienda o investitore professionale.

Nel panorama svizzero, le transazioni immobiliari costituiscono un settore articolato e ricco di sfaccettature, che non si limita al mero acquisto o alla vendita di una casa da parte del singolo privato. Si va infatti dalla compravendita di appartamenti, case unifamiliari di lusso (fra cui ville storiche e non), condomini (le cosiddette unità in proprietà per piani, Ppp), fondi non edificati da sviluppare o edificare, alla cessione di interi portafogli immobiliari, fino a operazioni più complesse che possono coinvolgere fondi di investimento, società immobiliari oppure il trasferimento di immobili come apporti nel capitale sociale di un’azienda. Strutture delle transazioni immobiliari Le operazioni immobiliari in Svizzera possono concretizzarsi in molteplici modalità:

• Asset deal: l’acquisto diretto dell’immobile è la forma più tradizionale. L’acquirente acquisisce la proprietà materiale del bene e tutte le responsabilità connesse.

• Share deal: l’acquisto o la cessione di una società che possiede immobili. Invece di trasferire direttamente la proprietà dell’immobile, si trasferiscono le azioni della società che ne è titolare. Ciò significa che l’acquirente assume il controllo dell’intera società, ereditando non solo il portfolio immobiliare da essa detenuto ma anche tutta la sua storia, inclusi eventuali obblighi, passività o rischi pregressi.

• Partecipazione a fondi immobiliari: consente di investire in portafogli diversificati senza possedere direttamente i singoli immobili.

• In particolare nelle operazioni infragruppo, è possibile conferire un immobile a una società per aumentare il capitale sociale oppure distribuire immobili come beni sociali tra i soci. Questa flessibilità

consente di adattare la struttura dell’operazione agli obiettivi specifici del gruppo e alle esigenze dei singoli partecipanti. Ogni struttura comporta conseguenze specifiche: ad esempio, implicazioni fiscali differenti, obblighi di trasparenza più o meno stringenti e restrizioni normative, come quelle previste dalla Lafe (nota anche come Lex Koller) per gli acquirenti stranieri, oppure i diritti di prelazione che possono riservare la priorità di acquisto a determinati soggetti. È dunque fondamentale valutare attentamente quale struttura adottare, considerando sia gli obiettivi dell’operazione sia il quadro normativo di riferimento.

Dal primo contatto alla firma Il percorso di una transazione immobiliare sicura e conforme in Svizzera si compone generalmente di varie fasi ben definite: si parte dalla preparazione e valorizzazione dell’immobile, con il supporto di consulenti e la raccolta di offerte non vincolanti accompagnate da prime verifiche documentali. Quando l’interesse si concretizza, si passa alle offerte definitive, alla firma di lettere di intenti e accordi di riservatezza, fino alla due diligence, alle successive negoziazioni del contratto e, infine, alla stipula del contratto di acquisto (signing) e al perfezionamento dell’operazione ( closing ). Successivamente, l’integrazione dell’immobile nell’attività dell’acquirente comporta attività di gestione, adempimenti fiscali e, in caso di sviluppo di nuovi progetti, l’ottenimento delle licenze edilizie.

La formalizzazione dell’accordo varia in base alla struttura dell’operazione. Per gli asset deal è imprescindibile la firma dell’atto pubblico davanti a un notaio e l’iscrizione nel registro fondiario cantonale. Negli share deal, invece, può essere suffi-

Rocco Rigozzi, avvocato, LL.M., notaio, partner dello Studio Bär & Karrer (Zurigo e Lugano), autore di questo contributo insieme all’Avv. Andrea Ziswiler, LL.M., partner dello Studio Bär & Karrer (Lugano).

ciente un accordo privato. Le riorganizzazioni che coinvolgono società richiedono inoltre il rispetto di regole specifiche, con adeguate approvazioni interne e registrazioni al registro di commercio.

Nei contratti immobiliari svizzeri assumono particolare rilievo le garanzie, che impongono al venditore di assicurare l’assenza di ipoteche, debiti fiscali, vincoli urbanistici o contenziosi sull’immobile, oltre alla correttezza delle informazioni su affitti e garanzie locative; nel caso di operazioni societarie, tali garanzie si estendono alla titolarità delle azioni e alla regolarità della società. Inoltre, i contratti disciplinano dettagliatamente prezzo, modalità di pagamento, ripartizione di spese e imposte, obblighi di comunicazione, prevedendo clausole sospensive per autorizzazioni particolari e strumenti di tutela contro rischi fiscali. A differenza dei modelli statunitensi, i contratti svizzeri risultano più sintetici ma non meno scrupolosi nella protezione delle parti coinvolte. In definitiva, muoversi nel mondo delle transazioni immobiliari in Svizzera comporta un percorso fatto di regole, controlli e valutazioni attente. Sia come privato, che come azienda o investitore professionale, è indispensabile prepararsi con consapevolezza: affidarsi a professionisti esperti del settore e seguire ogni fase e normativa scrupolosamente permette di concludere operazioni trasparenti, sicure e soddisfacenti.

Il caveau dei vini nel cuore dell'Europa

Temperatura, umidità controllata e massima sicurezza. Il place to be per il deposito e la conservazione delle bottiglie più pregiate, dell’arte e dei beni di valore.

E il carrozzone riprende la via

Riparte la stagione di fiere, eventi e riti vari che scandiscono il mercato dell’arte. Ma al di là del gran fermento, le reti di potere e reputazione sono governate da una manciata di ‘registi’ che decretano i valori. Prima che il tempo dica la sua.

Anni fa lessi con interesse il saggio di Sarah Thornton Seven days in the art world. Il libro è suddiviso in sette capitoli, ciascuno ambientato in un contesto diverso del sistema dell’arte contemporanea. L’autrice - sociologa e giornalista - esplora sette ‘microcosmi’ per rivelare i meccanismi sociali, economici e simbolici che regolano il mondo dell’arte. Thornton adotta uno stile da etnografa del contemporaneo: osserva, ascolta, annota, senza giudizi espliciti, mostrando come il valore dell’arte venga costruito attraverso reti di potere, reputazione e narrazione più che attraverso criteri estetici assoluti.

Il mese di ottobre di ciascun anno dà avvio alla ‘nuova’ stagione: si susseguono aste, fiere, mostre importanti un po’ in tutto il mondo. Nel giro di pochi giorni, l’analisi della Thornton può essere vissuta tra Londra, Parigi e New York, solo per citare le piazze principali.

Si parte dalla capitale britannica, con la fiera di Frieze London e Frieze Masters, che si tiene sotto delle tensostrutture montate nella cornice suggestiva e un po’ regale di Regent’s Park dal 15 al 19 ottobre 2025, e con le cosiddette “London Sales” da Christie’s e Sotheby’s, per poi passare alla Ville Lumière con Art Basel Paris dal 22 al 26 ottobre 2025 sotto le cupole dei padiglioni del Grand Palais, recentemente rinnovato, e l’importante retrospettiva dedicata a Gerhard Richter presso la Fondation Louis Vuitton (fino al 2 marzo 2026). Si prosegue poi con Torino, a fine ottobre/inizio novembre 2025 con Artissima, la fiera di arte contemporanea italiana dal tono internazionale, e si giunge a metà novembre alle aste di New York. Senza dimenticare che anche in Asia gli eventi si accavallano incessantemente.

L’impressione che ho maturato nel corso degli anni, in particolare quando viaggiavo molto, è di un immenso “carrozzone” che si sposta di città in città, con gli stessi riti, le stesse dinamiche e, in ultima analisi, gli stessi protagonisti. Il tutto condito da una serie sterminata di eventi collaterali, più o meno ufficiali, da feste esclusive (o presunte tali), dove

conta apparire più che essere. Mi ritorna alla mente, in particolare, un pranzo di qualche anno fa a Basilea insieme a un collezionista, sotto il tendone del ristorante della Kunsthalle gremito all’inverosimile (come si può vedere, i tendoni tornano sovente nella narrazione del mercato dell’arte, segno della sua precaria ed effimera presenza). Il collezionista mi disse: “Vedi quanta gente? Beh, considera che le persone che fanno il mercato le puoi contare sulle dita di una mano”.

Ma è davvero così?

La risposta non può che essere affermativa. Oggi il mercato dell’arte contemporanea è governato da pochi protagonisti, siano essi le case d’asta principali, le gallerie più importanti (le cosiddette

Adriano A. Sala, avvocato e socio dello Studio legale e notarile Olgiati Ghiringhelli Sala di Lugano, specializzato in diritto del mercato dell’arte. Sotto, la stagione delle fiere si è riaperta in autunno con un’edizione di successo per Frieze London e Frieze Masters.

“mega-galleries”), le istituzioni pubbliche e, soprattutto, private più autorevoli. Essi cannibalizzano il mercato, accaparrandosi gli artisti che vanno per la maggiore, le opere più importanti, facendo o disfacendo carriere, creando o distruggendo ricchezza. Ὀδοῦσι καὶ ὀνύξι ἐφύλαττον: lo custodivano (ovviamente il mercato) con le unghie e con i denti!

In ultima analisi il tema è spesso legato al potere e al denaro. Quando ci si avvicina al mercato dell’arte occorre dunque ben avere presente questa situazione, che nulla o poco ha a che vedere invece con il valore culturale di artisti e opere d’arte. In altri termini, il mercato dell’arte è un mondo a sé, celebrativo di sé e assolutamente autorefenziale, famelico di novità da poter far fruttare o sfruttare, le cui dinamiche restano spesso opache all’esterno. Occorre sempre ricordare che solo il tempo sancisce in modo inesorabile il reale valore culturale, talora seguito dal riconoscimento economico, di un artista o di un’opera d’arte.

Pertanto, chi si vuole avventurare in questo affascinante e magnetico teatro di vanità luccicanti e dorati miraggi, a maggior ragione se investitore, è invitato a riflettere sulle dinamiche sottostanti il funzionamento del mercato, senza limitarsi all’apparenza, prima di impegnare somme di denaro, magari considerevoli, in un’opera piuttosto che in un’altra.

© Photo by Linda Nylind. Courtesy of Frieze

Empower Europe

Le significative tensioni degli ultimi anni hanno contribuito al risveglio di un gigante addormentato: l’Europa. La trasformazione è iniziata, le opportunità tutte da cogliere.

L’Europa è a un bivio. La disgregazione degli equilibri geopolitici ha esposto le fragilità europee. Ciò che negli ultimi 60 anni è stata fonte di stabilità ora si rivela causa di rischi e incertezza. Acquisire una propria autonomia strategica è ormai un’impellente necessità, raggiungibile come delineato dal rapporto Draghi nel 2024. Non si tratta di un semplice obiettivo politico, ma presenta anche una road map chiara per l’allocazione dei capitali necessari.

Ispirata dalle parole del già Presidente della Bce, a gennaio si è mossa la Commissione Europea, presentando il ‘competitive compass’, un piano per accelerare l’economia e la crescita europea. Mentre i mercati globali si arrabattano, i capitali europei hanno già iniziato a muoversi, il che schiude nuove opportunità d’investimento.

La risposta europea

Sono oltre 1.000 i miliardi di euro pubblici che ha mobilitato questo nuovo ambizioso programma, cui andranno ad aggiungersi flussi di capitali privati. Oltre a slancio per il continente, si sta dunque aprendo un’interessante finestra per gli investitori in tre aree:

• Energia. Si vuole velocizzare lo sviluppo di infrastrutture energetiche, rafforzando la stabilità dell’approvvigionamento. I 300 miliardi del RePowerEu prevedono di modernizzare la rete elettrica, aumentare il recupero di materiali come il rame e assicurare l’accesso a materie prime strategiche;

• Industria. Si sta ricostruendo il tessuto manifatturiero, intensificandone il controllo operativo, migliorandone la resilienza e garantendo l’accesso alla tecnologia. L’Eu Chips Act, da 43 miliardi, vuole infatti stimolare l’autonomia industriale in settori critici, come quello dei semiconduttori;

Jenssen, Head Fundamental

Team e Co-Portfolio Manager di Nordea AM.

• Difesa. Accanto alla Nato, il piano ReArm Europe/Readiness 2030 mette sul tavolo 800 miliardi per migliorare le capacità di Difesa del Vecchio Continente, attraverso investimenti in tecnologie ‘dual-use’, cybersecurity ed equipaggiamento militare.

Approccio multi-tematico

A trasformazione già iniziata, la finestra temporale per cogliere tale opportunità e decidere è ristretta. In tale ambito Nordea AM ha lanciato una strategia dedicata e gestita attivamente che si concentra su tre temi fondamentali:

• Resilienza energetica. Investe in aziende chiave negli equilibri futuri del sistema energetico europeo. Un esempio è Prysmian, azienda italiana leader globale nell’ammodernamento delle reti elettriche europee.

• Reshoring. Ricostituire capacità manifatturiera necessita automazione, robotica e controllo operativo. Danieli è leader nella fornitura alle acciaierie europee di impianti completi e tecnologicamente all’avanguardia.

• Difesa e Cybersecurity . L’attenzione è rivolta a competenze e soluzioni avanzate come cyber intelligence e sistemi autonomi di difesa. Theon è una realtà greca a media capitalizzazione che sviluppa visori notturni e termici.

L’approccio multi-tematico consente all’investitore di avere pieno accesso al cambiamento strutturale europeo. A ciò Nordea AM unisce la flessibilità di investire in tutte le capitalizzazioni, incluse le imprese di piccola e media capitalizzazione, aspetto differenziante rispetto alle soluzioni già presenti sul mercato. Tali aziende ricoprono spesso un ruolo centrale in queste transizioni grazie al loro connubio di innovazione, scalabilità e flessibilità.

Il team d’investimento

Nel selezionare le aziende e costruire un portafoglio competitivo, un ruolo chiave lo rivestono esperienza e competenza. Il team di Nordea AM vanta più di trent’anni di esperienza nel mercato azionario europeo e un track record robusto di Alpha generato grazie a una selezione dei titoli ottimale. Questa expertise è fondamentale per identificare e selezionare le aziende che stanno guidando e beneficiando della metamorfosi europea.

Cogli l’attimo!

“Mentre si rimanda la vita trascorre” diceva Seneca. L’Europa non sta rimandando, l’opportunità è importante e concreta e i capitali si stanno muovendo velocemente. Per gli investitori è il momento di agire per posizionarsi in anticipo e cogliere la crescita che sta plasmando il nuovo futuro del Vecchio Continente.

Hilde

Guida alle bolle

Determinare l’esistenza di una bolla finanziaria ex ante è un esercizio ricco di incognite ed estremamente complesso, per quanto siano un fenomeno ricorrente e deterministico della storia economica. Esistono indicatori affidabili in aggregato, ma globalizzazione e digitalizzazione hanno alterato molti equilibri. Fatto inedito, cosa succederebbe nell’era dei social e del democratizzarsi della finanza? L’Intelligenza Artificiale è oggi la principale indiziata.

Tiberio, detto altrimenti in ambienti più formali Tiberio Giulio Cesare Augusto, chi era costui? Come spesso accade nel I secolo d.C. la risposta risiede nel nome stesso. Tiberio per l’appunto è: il figlio (adottivo) nonché erede di Augusto, Cesare Ottaviano Augusto, a tutti gli effetti, seppur non di fatto, primo imperatore di Roma; a sua volta nipote, nonché erede, del capostipite della prima dinastia imperiale, pur non essendo ancora dichiarata tale, di Giulio Cesare.

All’imprevista morte di Cesare, nel 44 a.C., trascorsero pochi anni di instabilità prima che Augusto riuscisse nel ripristinare una lunga fase di pace stabile e duratura, da cui la Pax Augusta, che da un lato gettò le basi di un nuovo boom economico, dall’altro dell’instaurazione strisciante dell’Impero. Nel gennaio 27

assunse poteri imperiali, che dismise nel 14 d.C. a favore di Tiberio, per sopraggiunte cause naturali all’età di 75 anni. Tra i molti meriti che gli possono essere attribuiti, oltre al ripristino di pace e ordine, Augusto lasciò una significativa eredità culturale, normativa, istituzionale, etica, morale, militare… trasversale alla società italica, romana, e del nascente impero. Non da ultimo ripristinò molte leggi e riforme che Cesare stesso aveva avviato. Il contesto in cui aveva operato Cesare generale, era però diametralmente opposto a quello di Augusto amministratore, si era trovato a dover gestire in prima persona le ultime grandi conquiste, Gallia ed Egitto, oltre a ripetute fasi di una Guerra Civile che attraversa diversi decenni della sua esperienza politica. È in tale chiave che erano state prese anche molte decisioni, più tardi meno comprensibili.

Nella stagione degli scontri intestini alla società romana e italica, ad esempio, uno dei problemi più sottili ma potenzialmente più dirompenti di cui Cesare si era dovuto preoccupare, era la fuga di ingenti capitali dalla penisola, in cerca di sicurezza e di paradisi fiscali che ne salvaguardassero la proprietà dagli elevati rischi di esproprio. In tal senso, Cipro e Alessandria già all’epoca si erano guadagnate un’eccellente reputazione. Risultato? Ex lege l’aristocrazia romana era da ora obbligata a immobilizzare una parte cospicua del proprio patrimonio in beni fondiari italici, che nel corso degli anni, anche per altre cause, avevano mano mano acquisito un valore significativo. Giovi ricordare che per stigma sociale fosse considerato ‘vergognoso’ per l’aristocrazia qualunque investimento non fosse agricolo o immobiliare.

Venendo meno lo scopo, gli aristocratici bisognosi di entrate erano tornati a investire in business ad alta marginalità molto lontani dalla penisola, pur restando in vigore la legge di Cesare. Parimenti, ristabilito l’ordine, negli anni i fortissimi deficit fiscali dello Stato erano stati fortemente ridotti, il surplus di bilancio raggiunto e le casse imperiali rimpinguate. Dunque il volume della liquidità si era assottigliato, pur essendosi di molto ampliato il credito bancario e interbancario, specie nelle province più lontane, che aveva compensato. Tiberio aveva mantenuto la linea di Augusto.

Il 33 d.C. era un anno iniziato male, con tensioni nel mercato assicurativo mercantile, un’importante frode contabile a Tiro e malumori in Gallia avevano causato il rapido inaridirsi dell’interbancario, con principi di corsa agli sportelli a Corinto, Cartagine e Bisanzio, che avevano spinto diversi istituti a rientrare dei prestiti. Per sbaglio era tornata al centro del dibattito politico la legge voluta da Cesare, ed era emersa la sua palese violazione da parte di tutti i 600 membri del Senato.

Scarsa liquidità, credito razionato e l’obbligo di uniformarvisi, avevano costretto alla smobilitazione del portafoglio immobiliare di molti, con il conseguente crollo dei valori e la crescita esponenziale di quelli fondiari. Entrambi i valori erano artificialmente stati gonfiati e sgonfiati da sviluppi normativi che nulla avevano a che fare con la domanda del mercato, e in parte erano inquinati anche da pratiche illecite contabili e di prestanome.

La spirale innescatasi era sempre più difficilmente risolvibile e stava sfociando in una crisi bancaria generalizzata a livello di Impero, da qui l’intervento salvifico di Tiberio, con prestiti non onerosi e forzosi a tre anni pari a 100 milioni di sesterzi (il salario annuo di un legionario dell’epoca era di soli 900). Era nato il primo prestatore di ultima istanza della Storia. Cos’è una bolla? Ciclicamente nel corso del tempo, pur con modalità in apparenza diverse, è un nodo che si è andato riproponendo con una certa frequenza, con un’accelerazione nei secoli più recenti di pari al passo all’evolversi del sistema finanziario, collassato in concomitanza con lo spegnersi dell’Impero. «Se dovessimo basarci sul quadro socio-politico-economico quel che è certo è che il buon umore sarebbe molto poco contagioso, fortunatamente così

«L’attuale potrebbe essere una classica bolla schumpeteriana: c’è il Fomo, la retorica, valutazioni molto alte, concentrazione di investimenti… e sta aumentando il vendor financing, ossia la circolarità d’investimenti, che potrebbe nascondere una domanda auto-inflazionata»

Donatella Principe, Director Market and Distribution Strategy di Fidelity International Fonte: Goldman Sachs 2025 La corsa tecnologica

Le bolle nella storia Anni necessari a raggiungere il picco

Roaring Twenties (1924-1929)

Dot Com (1995-2000)

Bolla giapponese (1986-1989)

Missisipi (1717-1720)

Tulipani (1634-1637)

Ferrovie inglesi (1843-1845)

South Sea (1720)

Fonte: Deutsche Bank

non è se ci si concentra sui mercati, che stanno invece vivendo da diversi anni una parentesi felice. Inevitabilmente cresce dunque il dibattito su tale discrepanza, se sia sostenibile, quanto a lungo e come prepararsi. A destare preoccupazione è la variazione dei prezzi di alcuni asset, è del resto noto che ogni boom porti con sé i semi della propria bolla», esordisce così Fabrizio Quirighetti, Cio e responsabile Multi Asset di Decalia Group.

Nel corso del tempo la storia economica e finanziaria ha collezionato un’impressionante serie di bolle, sempre puntualmente scoppiate, e delle più fantasiose, almeno viste ex post. Ad aprire le danze Tiberio nel 33, per quanto la forse più celebre si confermi essere quella dei tulipani olandesi. La corsa dei titoli tecnologici americani può essere l’inizio di una nuova bolla?

Britannia
La conquista del Mediterraneo

Condizioni finanziarie globali

«È presumibile che in assenza di shock macroeconomici significativi l’economia globale rallenti dolcemente, pur con risultati societari stabili e possibile alta volatilità nei mercati. Nel breve un rischio potrebbe essere una ‘indigestione’ da investimenti in Ia, che sarebbe però limitata»

Scomposizione delle componenti globali (I-2024: 100)

Le stagioni economiche

Quota di capitalizzazione per settore nella borsa americana (in % totale)

Nonostante la timida stretta monetaria degli ultimi anni, di cui buona parte è andata perdendosi, uno dei problemi principali in termini di mercato è l’eccesso di liquidità presente, una normale conseguenza delle inondazioni a più riprese degli ultimi anni, che favoriscono l’esplosione dei valori degli asset. Si susseguono nella storia stagioni diverse, con settori che si segnalano.

Il confine tra bolla e strana normalità è però sempre molto sottile, e per l’appunto oggetto di discussione. «Come ci ricorda Alan Greenspan, “le bolle si vedono solo nello specchietto retrovisore”, ossia dopo che sono scoppiate, e solo se lo fanno. Sin tanto che lo scoppio non è avvenuto, può persistere il sospetto, ma si rimarrà in una fase di mercato particolarmente sopravvalutata, più o meno lunga. Ogni bolla è però connaturata da irrazionalità,

e un mix esplosivo di speculazione ed euforia», nota Fabio Poma, Managing Director, Head of Portfolio Management di Wmm Group.

Spesso alla base di determinati movimenti di prezzo o valutazioni si trova una significativa zona grigia di informazioni, intuizioni, o semplici sospetti. «La storia dell’investimento e della speculazione condividono molti episodi celebri, ovvi con il senno di poi. In tempo reale è molto più arduo isolare la ‘bolla’, del resto ‘questa volta è diverso’. Dopo lo scoppio il risultato assomiglia molto ai precedenti. Al centro si trova spesso una narrazione, un elemento che giustifica la crescita delle valutazioni, finché qualcuno non determina non siano più sostenibili, e vende», rileva Vittorio Treichler, Market Strategist di Novum Partners.

Se ‘questa volta è diverso’, nell’arco di poco tempo può invece diventare ‘questa volta è come al solito’, senza suscitare scalpore. «Le bolle sono le cicatrici ricorrenti della storia economica. Iniziano con un motore razionale, ma la ragione cede il passo alla psicologia, che diventa un’euforia anche molto longeva, per anni, alimentata da denaro a basso costo e narrazioni affascinanti. Poi qualcosa si inceppa e la fiducia viene meno, per una leggera stretta monetaria, un fallimento simbolico o la mancanza di acquirenti. Nascono sempre da una verità economica, crescono nella follia e muoiono con la realtà», chiarisce Arthur Jurus, Head Investment Office Private Bank di Oddo Bhf Switzerland. La narrazione gioca dunque un ruolo fondamentale, facendo presa almeno inizialmente sugli investitori più preparati, padrini del movimento. «Sono molte le ragioni per cui i mercati possono innamorarsi: l’apertura di nuovi mercati, dunque crescita ricardiana; innovazione tecnologica, ossia schumpeteriana; effetto scarsità, vincolo maltusiano. Almeno in origine ha tutto senso, nel tempo i valori perdono però contatto con la realtà. La crescita protratta delle valutazioni spinge a un abbassamento della percezione del rischio da parte degli investitori, che si assumono dunque maggiori rischi che non in circostanze normali, incluso il ricorso alla leva per finanziare investimenti in economia reale, o finanziari. Ed è lì che si innesca il Minsky Moment, una crisi da flussi di cassa», riflette Donatella Principe, Director Market and Distribution Strategy di Fidelity International.

Fonte: Goldman Sachs Fci, Bis
Tassi a breve (sx)
Prezzi delle azioni (dx)
Tassi a lungo (sx)
Spread Corporate (sx)

Le ‘diverse volte’ . Guardando agli ultimi secoli, dunque in chiave storica, sono molti gli episodi interessanti, che almeno inizialmente volevano dichiararsi diversi, salvo poi… «Le bolle tendono a formarsi quando il costo del denaro è troppo basso. Alla radice della bolla dei tulipani, ad esempio, si trova un’allora recente innovazione finanziaria, l’introduzione in Olanda delle opzioni, un modo molto efficiente in termini di costo per investire o speculare sulla crescita di un asset. Le opzioni abbassano il costo del capitale per investire in qualcosa, e allora ebbero un ruolo chiave», evidenzia Geoff Yu, Senior Emea Market Strategist di Bny. Interessanti precedenti, al pari di illustri vittime dello scoppio inaspettato. «Era il 1720 quando lo stesso Isaac Newton perse 20mila sterline, equivalenti a diversi milioni oggi, nella bolla delle South Sea Company. Aveva realizzato dei buoni profitti investendo per tempo, ma ne era uscito troppo presto, la bolla continuava a gonfiarsi, e il rischio era rimanere a bocca più asciutta di altri. Un tipico caso di Fomo (fear of missing out), che lo spinse a investire nuovamente vicino al picco, quando poi perse tutto. Celebre la citazione dello scienziato “Posso calcolare i moti dei corpi celesti, ma non la follia delle persone”, unica vera eredità di quella bolla», sottolinea Quirighetti.

Non tutte le bolle sono ugualmente distruttive, qualcuna può anche portare benefici a terzi. «Ancora oggi nella rete ferroviaria inglese, vi è la presenza di numerose stazioni non collegate fra loro, frutto della bolla che interessò il settore fra il 1840 e il 1850. Sulle ali dell’entusiasmo per il business ferroviario, e in un clima di laissez-faire del Parlamento, i permessi di costruzione erano rilasciati a chiunque ne facesse richiesta, questo portava importanti introiti al Tesoro, e stimolava investimenti nel settore che raggiunsero l’equivalente del Pil del Paese. Si raggiunse il picco nel 1846, quando fallirono gran parte delle compagnie, e molte famiglie persero tutto. Nei successivi 100 anni parte delle linee furono smantellate, e sopravvissero solo quattro compagnie, poi nazionalizzate nel 1948, privatizzate negli Ottanta e Novanta, e oggi nuovamente in fase di nazionalizzazione», riferisce Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management.

Tutto nasce però da situazioni comprensibili, e più che accettabili, motivate

«La difficoltà sta sempre nel determinare quale sia il picco, essendo una questione di ‘percezione’ da parte del mercato e degli investitori, dipendendo in larga misura da aspettative e prospettive. Il denominatore comune sono però sempre le valutazioni, e di quanto si distacchino dai fondamentali»

Hervé Prettre, Responsabile Research and Thematics di Edmond de Rothschild

Le famiglie Indici

L’inflazione

della Cpi (y/y var. %)

Oec

Fidelity International X-25

dal mercato. «Se nel XVII secolo il problema era stata l’eccessiva richiesta di tulipani, nel caso del XIX era l’incapacità di soddisfare la domanda di ferrovie, ad esempio nel caso degli Stati Uniti quella dei cercatori d’oro in un Far West malamente collegato, o nel XX l’offerta insufficiente di fibra ottica per gestire il traffico internet. Alla domanda reale si somma poi quella speculativa, spinta dalla forte crescita dei prezzi e dalle opportunità che

Il principale pericolo per i mercati sui massimi dei massimi è un crollo della fiducia da parte di famiglie e imprese, per il momento non impossibile, o una inattesa fiammata inflativa, che potrebbe obbligare le Banche Centrali a stringere, il che innescherebbe quasi certamente una crisi. Da dibattere dove emergerebbe per primo il problema, ma ne seguirebbero sicuramente molti.

quote crescenti di investitori intravedono nel nuovo business. La differenza rispetto alla semplice speculazione è che una bolla è molto più ampia per dimensioni, dura diversi mesi o anni, e genera movimenti considerevoli», mette in evidenza Hervé Prettre, Responsabile Research and Thematics di Edmond de Rothschild (EdR). Guardando all’ultimo secolo emergono però alcune interessanti similitudini. «Le dinamiche sono evolute, gli episodi di inizio secolo derivavano da espansione monetaria e innovazioni industriali; nel Dopoguerra da credito e leva finanziaria nell’immobiliare; dal Duemila riflettono

«Un’importante novità oggi è costituita anche dalla forte crescita della gestione passiva e dalla partecipazione di investitori retail. Oltre ad accentuare la concentrazione su pochi titoli, democratizzare il mercato lo rende molto più sensibile alla psicologia collettiva»

Arthur Jurus, Head Investment Office Private Bank di Oddo Bhf Switzerland

l’eccesso di liquidità e gli stimoli politici. Oggi siamo invece in una fase ancora diversa», commenta Alberto Galante, Director Italian Sales di WisdomTree. C’è bolla e… bolla. Pur presentando diverse peculiarità comuni, a segnalarsi sono spesso le differenze, che possono rendere l’individuazione problematica. Ma come classificarle? «Un primo aspetto da considerare è la fonte di finanziamento, dunque a leva o a capitale. Spesso le bolle sono inizialmente finanziate a capitale, ma poi proseguono a leva, di pari passo all’opacizzarsi degli strumenti di credito utilizzati, nei confronti di autorità e in-

Anatomia con intelligenza

Ma dall’interno dell’industria, quali sono i principali aspetti che un crescente coinvolgimento dell’Intelligenza Artficiale nell’analisi dei mercati potrebbe avere? «La digitalizzazione ha trasformato la finanza in un sistema molto più sensibile ai dati, ma questo non basta a renderlo più razionale. Il contesto entro cui si muovono oggi gli investimenti è caratterizzato da velocità dell’informazione, interconnessione dei mercati e crescente uso di Ia. Questo se da un lato può accelerare la formazione delle bolle, dall’altro offre strumenti per riconoscerle più in fretta», sintetizza Federico Invernizzi (a lato), Coo di MdotM, scale up italiana di Intelligenza Artificiale applicata al mondo degli investimenti.

La tecnologia contribuisce del resto a fornire strumenti più potenti, ma non soluzioni. «È un asset strategico che consente di interpretare la complessità dei mercati. Grazie a modelli che analizzano migliaia di indicatori macroeconomici, segnali di rischio e dinamiche di portafoglio o mercato è più facile rilevare squilibri altrimenti invisibili, ma questo non elimina il comportamento irrazionale che possono avere le persone, derivante da incentivi,

vestitori. Più importante, si possono dividere in produttive e improduttive. Le prime derivano da un’errata percezione della redditività futura degli asset, sono il frutto della crescita schumpeteriana, incoraggiano eccessivi Capex, e quindi abbassano anche i rendimenti attesi del settore. Quando scoppiano lasciano gli asset, che solitamente cambiano proprietario. Le seconde, invece, derivano da una percezione di scarsità, e quando scoppiano non lasciano nulla», illustra Principe. Nel corso del tempo qualcosa è però anche mutato, intorpidendo il quadro. «Già nell’ultimo secolo erano evolute, dal Duemila globalizzazione, finanza digitale e Qe hanno dato un’ulteriore spinta alla loro mutazione. Possono interessare molte asset class, e ciclicamente si ripresentano. Ecco quindi che tra le principali si parla di bolla immobiliare in Giappone nell’89, negli Stati Uniti nel 2006, e in Cina nel 2011; di oro nell’80, di petrolio nel 2008, di crypto nel 2021; di azioni invece nel ’29, nel 2001, e nel 2021. Stando alle sole azioni, però, le differenze non mancano, nel ’29 infatti il problema era stata la leva bancaria, nel 2000 la narrazione tecnologica e nel 2021 troppa liquidità e tassi zero», sintetizza Poma. L’azionario è forse l’animale più parti-

narrativa, o bias. Quanto meno può misurarlo, in quanto i dati lo catturano: improvvisa convergenza su alcuni asset, compressione artificiale del rischio, o persistenti divergenze tra valori, fondamentali e prezzi. Sono questi i principali passi in avanti compiuti oggi nella gestione del rischio», rileva Invernizzi. Come spesso accade la tecnologia non è però il vero nodo, quanto l’utilizzo che si decide di farne. «Si confonde probabilmente la sfida tecnica sostanziale che pone l’Ia: non consente infatti di inseguire meglio il mercato, quanto di introdurre maggior disciplina nelle decisioni d’investimento, il che è molto diverso. Per quanto concerne le bolle, la tecnologia può essere parte del problema, laddove amplifichi convinzioni non supportate dalla realtà, ma può facilmente diventare parte della soluzione se utilizzata per monitorare i rischi, correlazioni e fragilità strutturali. Ruolo che l’Ia potrebbe assumere anche in ambito regolativo, ad esempio ipotizzando che la vigilanza prudenziale diventi proattiva e basata sui dati, capace dunque di individuare in anticipo le vulnerabilità che si presentano nel sistema», conclude il Coo.

colare e sfaccettato, per cause ed effetti, meno gli altri. «Le bolle speculative dei mercati azionari sono tra loro potenzialmente molto diverse e hanno cicli divergenti: il mercato giapponese ha impiegato 35 anni per recuperare i livelli precedenti, il Nasdaq 100 soli 14 anni, ma molti titoli e-commerce emergenti sono ancora sotto del 50% rispetto ai valori del 2021. Immobiliare e materie prime sono invece molto simili, uno shock di offerta causa infatti un forte aumento dei prezzi, il che spinge a investire, e in pochi anni si riallinea alla domanda», enfatizza Prettre.

Anche stando entro il perimetro degli asset reali, la situazione può però prestarsi a diverse letture. «Negli ultimi decenni si sono verificate ripetute bolle immobiliari in tutto il mondo, ne era stata interessata anche la Scandinavia negli anni Ottanta, ad esempio. In questi casi a contare non sono però tanto i prezzi, quanto la loro accessibilità, ossia il prezzo delle case rispetto al reddito dei residenti, o il costo del servizio dei mutui. Analogamente, nel caso dell’oro è vero che il prezzo in euro o dollaro è elevato, ma si dovrebbe anche considerare il loro potere d’acquisto reale rispetto al passato», fa notare Yu. Il ciclo vitale. Pur tra somiglianze e differenze, cosa si può dunque dire di una bolla? Che tipo di vita conduce, prima di fare il botto? «Il miglior atlante per cercare di orientarsi è il Manias, panics and crashes del 1978, giunto alla sua ottava edizione. Gli autori ripercorrono le tracce di Hyman Minsky e tratteggiano un modello ricorrente, scandito in sei fasi. Si inizia con la ‘sostituzione’, il grilletto, una novità potenzialmente esplosiva che attira capitali; segue il ‘boom’, si espandono credito e prezzi, si respira ottimismo; poi ‘euforia’, i prezzi esplodono, gli investitori speculano, tutti diventano avidi; arriva la ‘crisi’, un evento casuale mina la fiducia, iniziano interrogativi e domande; è il ‘panico’, tutti vogliono liquidare, crollano i mercati, via a fallimenti a catena; infine il ‘rimbalzo’, torna la fiducia e l’economia si stabilizza», descrive il Cio di Decalia. A essere impressionante è però la velocità con cui si passa dall’euforia, alla crisi, al panico e gli effetti. «Tra il 2000 e il 2002 lo S&P500 ha perso il 49%, poi un altro 57% tra il 2007 e il 2009. La ricchezza delle famiglie americane si è ridotta di 16 trilioni di dollari, il Pil è sceso del 4,3% e la disoccupazione ha raggiunto il 10%. Dopo una grande crisi bancaria non è

«Spesso non si considera la reazione delle persone: quando tutto sarà più chiaro, e alla luce del sole, il loro rigetto potrebbe essere più fermo del solito; in questo senso l’Ia è sì una bolla, o un suo inizio, ma la sfida principale non sarà finanziaria o economica, bensì sociale»

Frederic Leroux, Manager Portfolio Inflation Solution di Carmignac

Quanti anni servono?

Fonte: Ubs 2025

Bolle immobiliari nel tempo

Aumento dei prezzi degli immobili, e del rapporto rispetto ai salari

Fonte: Federal Reserve Dallas 2024

insolito che il Pil resti del 5-10% al di sotto del suo precedente potenziale, ma soprattutto servono anni per ricostituire la fiducia perduta», nota Jurus. Evoluzioni dunque, o anche disastri, di non poco conto. Ma innescati da cosa? «Molto spesso la miccia dell’esplosione è costituita dall’aumento del costo del denaro. Quando si verificano le bolle il mercato assorbe capitali, si apprezza dunque la valuta di riferimento, e diminuisce

L’immobiliare è solito collezionare bolle su bolle, coinvolgendo di volta in volta un Paese diverso, e sfociando non troppo raramente in crisi finanziarie locali, o sistemiche. La corsa degli asset immobiliari può essere però misurata in modi tra loro molto diversi, complementari nel dare una visione d’insieme. Non mancano casi eclatanti, come l’inizio della Crisi del 2008, negli Stati Uniti.

Le Mag7 nel 2025

«Le attuali tensioni potrebbero essere qualificate come una ‘bolla’ di utili e liquidità. Le elevate aspettative di utili dal settore lasciano poco margine per errori. Il potenziale rialzo derivante dal successo di molti progetti potrebbe essere enorme, ma il ribasso causato da delusioni o fallimenti sostanziale»

Thomas Wille, Cio di Copernicus Wealth Management

Indicatori dei singoli titoli (capitalizzazione e valutazioni) e aggregati

Fonte: Goldman Sachs X-25

I leader della Dot Com nel 2000

Indicatori dei singoli titoli (capitalizzazione e valutazioni) e aggregati

Fonte: Goldman Sachs X-25

Il confronto tra i protagonisti dell’ultima grande bolla (e prima) tecnologica con le Mag7 oggi evidenzia molte differenze sostanziali, in termini di solidità finanziaria delle aziende stesse, e soprattutto delle loro valutazioni. Di pancia sembrano essere eccessive, e gonfiate dalla liquidità, come sicuramente sono, ma il confronto è utile a evidenziare anche altro.

il costo delle importazioni. Le persone spendono in modo aggressivo e accelerano gli investimenti, il che sfocia in pressioni inflative per beni e servizi. La Banca Centrale è costretta a muoversi, ed è qui che le cose iniziano ad andare male per un lasso di tempo variabile, sino all’eventuale scoppio», rileva l’esperto di Bny.

La parte affascinante della storia è però cosa rimane. «Al venir meno di credito o fiducia la bolla scoppia, con conseguenze

asimmetriche e sostanziali: distrugge tutta la ricchezza ‘di carta’ che era riuscita a creare, ma lascia intatti i debiti che la sostenevano. Questo ha tre diversi livelli di conseguenze: finanziari immediati, c’è forte domanda di liquidità; macroeconomici, se la bolla è grossa il costo macro è immenso e duraturo, come nel 2008; politici e sociali, la priorità non è più evitare la crisi, ma contenere il contagio e ripristinare il prima possibile la fiducia», chiarisce l’esperto di Wmm.

È il classico caso in cui una ‘semplice’ crisi finanziaria sfocia in qualcosa di molto più grosso. «Ad azionario già crollato, quale effetto secondario, crescono le pressioni recessive sull’economia, con dunque un conseguente forte calo del valore dell’investimento, e talvolta anche alla deflazione, a causa della sostanziale alterazione delle dinamiche di domanda e offerta. Se però alla base di tutto si trovava una nuova tecnologia, solitamente questa durante la crisi si afferma. Queste bolle sono del resto il frutto di uno sviluppo tecnologico che solitamente procede proprio a balzi, dunque non possono essere fermate, possono essere invece viste come una chiara manifestazione di una sorta di ‘determinismo’ economico e finanziario», riflette Frederic Leroux, manager Portfolio Inflation Solution di Carmignac. Come se ne esce? Per certi versi si potrebbe però affermare che non tutti i mali vengano per nuocere. «Una bolla può finanziare progressi duraturi, com’è stato per la DotCom, che ci ha lasciato in eredità tutta l’infrastruttura dell’economia digitale, come successo nel XIX secolo con le reti ferroviarie. Il conto resta però salato: perdite enormi, fallimenti e diseguaglianze crescenti. I meglio informati solitamente escono per tempo, le famiglie ne pagano tutto il prezzo. Evitarle è impossibile, ma regolamentazione, trasparenza e disciplina macroprudenziale dovrebbero ridurne frequenza e ampiezza», evidenzia l’esperto di Oddo. Ma chi dovrebbe intervenire per arginare la crisi, pur originatasi più o meno accidentalmente nei mercati? «Gli attori chiave sono sostanzialmente tre, Banche Centrali, Governi e regolatori. Le prime intervengono rapidamente con liquidità d’emergenza, Qe o linee swap; a dipendenza però della durata e portata di questi interventi si potrebbero piantare i semi della bolla successiva. I Governi sono più lenti, ricorrono a stimoli fiscali, na-

zionalizzazioni e riforme per aumentare regolamentazione e trasparenza; il delicato trade-off è tra stabilità finanziaria, e responsabilità morale di chi paghi il conto dell’intervento. Le autorità di vigilanza intervengono invece per rafforzare i requisiti patrimoniali come nel caso di Basilea III, che limita leva e derivati, per meglio monitorare i rischi sistemici. Il tentativo ricorrente è evitare che un singolo default inneschi l’effetto domino, Lehman docet», sottolinea Poma.

Se le bolle sono tra loro diverse, anche le crisi presentano sostanziali difformità. «La crisi del 2020 è stata tra quelle meglio gestite, grazie a un efficace mix di interventi rapidi, strumenti macroprudenziali e comunicazione chiara. Gli stress test bancari, le riserve anticicliche e una supervisione più rigorosa hanno reso il sistema più solido, per quanto i cicli comportamentali persistano, e i mercati oscillino tra ottimismo e negligenza. I Governi hanno migliorato i meccanismi di risposta alle crisi, ma non la prevenzione, mentre politiche industriali e frammentazione geopolitica concorrono a introdurre nuovi rischi», riferisce Galante.

Si è poi soliti dire che prevenire sia meglio che curare. Dunque, anche gli investitori qualcosa potrebbero fare. «Quando la situazione è evidente stia andando troppo lontano e troppo in fretta, le strategie di copertura dovrebbero entrare a far parte della strategia d’investimento. Il singolo investitore può facilmente gestire lo scoppio di una bolla: basta accettare per un certo periodo di avere rendimenti minori del mercato per il costo dell’assicurazione, ossia strategie di opzione, diversificazione verso altre asset class o tematiche meno hype», mette in evidenza Leroux. Come stanarle? Ecco dunque una questione sottile ma fondamentale: quali sono gli indicatori da osservare in tempo reale per sondare lo stato dell’arte della potenziale bolla e prepararsi all’impatto? «La difficoltà sta sempre nel determinare quale sia il picco, essendo una questione di ‘percezione’ da parte del mercato e degli investitori, dipendendo in larga misura da aspettative e prospettive. Il denominatore comune sono però sempre le valutazioni: in Olanda il prezzo di un bulbo era arrivato a pari con uno stipendio medio annuo; nel 1990 il valore del Palazzo imperiale di Tokyo era pari a quello di tutti gli immobili della California; nel 2000 il Pe di molte azioni tecnologiche era

«Uno degli indicatori più seguiti per determinare il rischio bolla è il Cape di Schiller. Nel settembre 1929 raggiunse per la prima volta il valore di 39, nel 2000 toccò un nuovo massimo storicoa 44, mentre nel 2021 tornò a 38. Oggi fluttua di nuovo e stabilmente in area 40»

Poma, Managing Director di Wmm Group

Questione ricavi Ricavi netti annui generati (usd mld)

Le valutazioni Rapporto P/e forward a confronto

Le Mag10 americane

spesso superiore a 1000. È sempre tutta una questione di valutazioni, e di quanto si distacchino dai fondamentali, restano l’indicatore più affidabile da monitorare», commenta l’esperto di EdR. Quel che è certo è però che non esista un unico indicatore infallibile, data l’estrema eterogeneità delle bolle. «Credito e leva finanziaria sono due indicatori interessanti, una rapida crescita del debito di famiglie e imprese può segnalare qual-

Le dimensioni che hanno raggiunto i primi 10 titoli americani, tutti tecnologici, mettono in evidenza qualche legittima perplessità che chiunque presto o tardi dovrebbe porsi. Le valutazioni del settore sono però sostenute da una generazione di ricavi sostanziali, e una crescita degli stessi che nel corso di pochi anni ne ha sancito il successo in più d’un ambito. È dunque bolla?

Azionario Usa Technology

«Il mercato oggi è sicuramente molto più concentrato che non nel 2000, le Mag7 da sole rappresentano oltre il 35% dello S&P 500, ma se si considera la solidità dei loro bilanci, la capacità di generare utili e la scarsa leva, questo potrebbe anche non costituire solo un rischio»

Vittorio Treichler, Market Strategist di Novum Partners

Capitalizzazione di imprese e Pil nazionali a confronto (trl usd)

Pil (2024)

Capitalizzazione titolo

Capitalizzazione indice

mia reale e mercati sono ulteriori indici di allarme», illustra l’esperto di Wmm. L’azionario è spesso il mercato in cui molto, se non tutto, si origina. Non sarebbe una novità. «Gli ingredienti alla base sono sempre gli stessi: valutazioni eccessive, leva troppo alta, credito facile, fiducia cieca. Nel caso delle azioni americane, il rapporto Cape di Schiller ha superato 40 volte gli utili a fine anni Novanta, e di nuovo nel 2021, mentre la media storica è di 17. In quei casi il rendimento reale atteso a 10 anni scende sotto il 3%, segnale che la correzione è vicina. Se credito e prezzi crescono di oltre il 20-30% in un biennio le probabilità di una crisi finanziaria si moltiplicano per quattro», sintetizza Jurus.

Chi sei e da dove arrivi?

Ponderazione dei settori per Paese in % della market cap dell’indice principale

Il confronto tra capitalizzazione di mercato di alcuni titoli e il Pil di diversi Paesi evidenzia l’assurdità di alcuni rapporti che sono stati raggiunti. Allo stato attuale la prima società americana per capitalizzazione vale a valori di mercato il Pil della California, equivalente alla quarta economia mondiale, dopo Stati Uniti, Cina e Germania. Non è forse troppo?

cosa, parimenti se gli investitori iniziano a fare debito per comprare azioni, che solitamente si accompagna a un’euforia collettiva. Un Vix molto basso è un segnale di compiacenza del mercato, tipico di una fase pre-bolla, al pari di un’elevata partecipazione di piccoli investitori alla fase rialzista e di una sua forte eco mediatica. Un’ondata di nuove Ipo a valori importanti, ma non supportati da utili significativi, o lo scollamento tra econo-

Ed ecco il presente. Guardare al passato è sempre di ispirazione, e può essere d’insegnamento, ma soprattutto nel caso degli investimenti a contare è il presente, con tutte le sue implicazioni. «Il contesto macro è molto favorevole per le borse, la politica fiscale americana rimane delle più espansive, e Trump sembra aver definitivamente abbandonato ogni ambizione di contenimento della spesa. I tassi d’interesse lungo l’intera curva sono relativamente contenuti; il decennale riesce ancora a bucare la soglia del 4% nelle fasi di risk-off, e nonostante l’inflazione sia ancora lontana dal target, sono già iniziati i tagli della Fed, con altri 100 bp probabili nei prossimi trimestri. Il dollaro da inizio anno si è indebolito di circa il 10%, il che alimenta i ricavi del settore tecnologico, spesso conseguiti all’estero. La riduzione dei requisiti patrimoniali bancari americani potrebbe inoltre fornire ulteriore liquidità e credito, allontanando i rischi di una stretta», enfatizza Treichler.

I prossimi trimestri non dovrebbero comunque presentare particolari criticità. «Da un lato l’Intelligenza Artificiale, dall’altro i tagli della Fed sono le certezze che al momento mettono tranquilli gli investitori. Il prezzo del petrolio contenuto, il costo del lavoro stabile, l’impatto dei dazi limitato, dovrebbero contribuire in misura importante a evitare sorprese sul fronte inflativo, l’unico motivo per cui la Fed potrebbe cambiare rotta. È dunque presumibile che in assenza di shock macro significativi l’economia globale rallenti dolcemente, pur con risultati societari stabili e possibile alta volatilità sui mercati. Nel breve un rischio potrebbe essere una ‘indigestione’ da investimenti in Ia, che

I valori delle Top10 americane
Fonte: Imf, Goldman Sachs X-2025
Fonte: McKinsey 2025, Lseg al X-25

sarebbe comunque limitata, trattandosi di un trend di medio-lungo periodo. Sarebbero correzioni interessanti per meglio posizionarsi», descrive Guglielmin.

Ma sono questi elementi sufficienti a giustificare le attuali valutazioni dei mercati? «Sono molti i segmenti di mercato su elevati livelli di valutazione, lo S&P 500 non è l’eccezione, gli spread del corporate viaggiano tra il 90esimo e il 95esimo percentile, l’oro passa di record in record. La versione Equal Weight dello stesso indice presenta però valutazioni molto diverse; in presenza di crescita economica e degli utili, bassi tassi di default e sostegno monetario, il credito è una scelta razionale; in assenza di disciplina fiscale di molti Governi, l’Ig si è fatto man mano sempre più appetibile. Dubbi sul dollaro e il rischio di debasamento monetario aumentano un interesse generalizzato per l’oro, che negli ultimi 4 mesi ha raccolto più capitali degli ultimi 14 anni, va però anche considerato il ruolo delle Banche Centrali, e la scarsa presenza di metallo giallo nei portafogli istituzionali. Dunque, tutto sommato, ci sono anche delle buone ragioni», fa notare la responsabile di Fidelity.

Sembrerebbe dunque che i responsabili non siano speculazione, o mercati, ma si trovino altrove. «La principale indiziata per molto di quanto sta avvenendo è l’eccesso di liquidità, che ha alimentato prezzi elevati degli asset più interessanti, e l’assunzione di rischi. Nonostante i timidi inasprimenti monetari per troppo tempo le Banche Centrali sono state permissive, e anche attualmente le condizioni di liquidità restano molto espansive, il che potrebbe far riflettere sull’esistenza di una bolla di liquidità, in parte necessaria a fronte di notevoli livelli di indebitamento rispetto al Pil nella maggior parte dei Paesi avanzati. Proprio per questo intervenire sulla liquidità presente potrebbe dar luogo a tensioni e correzioni improvvise», descrive Thomas Wille, Cio di Copernicus Wealth Management.

Il ruolo del credito è chiave nel ciclo vitale di qualunque bolla, qual è dunque il rischio oggi? «È il meccanismo centrale, ed è prociclico, dunque amplifica rialzi e ribassi, ma nonostante le attuali valutazioni siano molto alte, non si ravvisano ancora tutti gli altri segnali. Non c’è, almeno ora, alcuna forma di contagiosa e collettiva euforia, e gli investitori istituzionali rimangono complessivamente cauti e moderati nelle loro scelte. Già il

«Non c’è, almeno per il momento, alcuna forma di contagiosa e collettiva euforia, e gli investitori istituzionali rimangono complessivamente cauti e moderati nelle loro scelte. Già il fatto che si dibatta animatamente di ‘bolla’ è indice che ne siamo ancora abbastanza lontani»

Fabrizio Quirighetti, Cio di Decalia Group

Il Tech americano

Capex del settore in rapporto a: (%)

Valutazioni dello S&P 500 Forward P/e ratio e total return a 1y

Goldman Sachs 2025

Gli investimenti delle Mag7

Fonte: Jp Morgan X-2025

Spesa in Capex e ricerca e sviluppo dei sette titoli (usd mld) Fonte: McKinsey 2025

fatto che si dibatta animatamente di ‘bolla’ è indice che ne siamo ancora abbastanza lontani. Ciò non significa che non ci siano rischi o problemi, ad esempio di leva per alcuni operatori, anche bancari, solo che è al momento improbabile possano diventare sistemici», conferma Quirighetti. Non è dunque bolla, molto probabilmente, mancano infatti ancora diversi segnali, anche nel caso della tanto chiacchierata e possibile candidata Ia. «La politica

Capitalizzazioni folli, valutazioni straordinarie, ricavi importanti, ma anche investimenti in ricerca e sviluppo, e Capex, assolutamente fuori dalla norma, in grado di sostenerne probabilmente il vantaggio competitivo nei prossimi anni. Inevitabilmente presto o tardi si affacceranno sul mercato dei concorrenti, ma il rischio per il momento è ancora molto remoto.

Livello attuale

finanziario

del Composite indicator of systemic strees dal I-1980

Non sempre un Vix molto basso

allude all’assenza di situazioni di forte stress finanziario. Qualcosa accadrà?

monetaria è ancora accomodante; le revisioni di future vendite e profitti restano positive; ammesso che gli investimenti annunciati e promessi si concretizzino le valutazioni non sono estreme e l’euforia non si percepisce; date le forti barriere all’ingresso dei principali attori del settore, come Broadcom, Nvidia, Amd, non c’è stata un’espansione forte dell’offerta, nonostante i tentativi miliardari di molti, come nel caso di Intel», rileva Prettre. Questo non significa che però tutto sia in ordine, o un’altra bolla non esista. «Le attuali tensioni finanziarie potrebbero essere qualificate come una ‘bolla’ di utili e liquidità. Le elevate aspettative di utili dal settore nei prossimi anni lasciano poco margine per errori, mentre qualche dubbio sulla sostenibilità degli utili ce lo si potrebbe porre. L’ottimismo spinge le valutazioni di alcuni titoli, e un impiego aggressivo del capitale, il che pone le basi

per rischi asimmetrici: il potenziale rialzo derivante dal successo di molti progetti potrebbe essere enorme, ma il ribasso causato da delusioni o fallimenti sostanziale, per quanto l’indebolirsi del dollaro fornisca un aiuto», chiarisce Wille. L’Intelligenza Artificiale. Tutti ne parlano, molti ne scrivono, pochi la capiscono. Eppure è al centro di tutto. «È la protagonista da Oscar; mai così tanti capitali sono stati concentrati su così pochi titoli. Gli investimenti in Ia delle prime quattro società superano già ora i 200 miliardi di dollari annui, ma la crescita dei ricavi non riesce a tenere il passo, e gli ammortamenti pesano sui margini, ciononostante le aspettative rimangono altissime. La differenza rispetto al passato è la possibile esistenza della ‘singolarità tecnologica’ di von Neumann, ossia che la tecnologia diventi autonoma. A prescindere che sia o meno possibile, a contare è la determinazione di Governi, imprese e mercati nell’esplorare tale potenzialità e credervi, che è alla base di questi colossali investimenti. Inoltre, i tassi di riferimento in discesa sono un fattore di supporto per

il settore. Non è però scontato il percorso sia lineare, o che non possano verificarsi incidenti», riflette il Cio di Ubs.

Le risorse mobilitate per questa avventura sono già oggi sbalorditive, ma destinate comunque a crescere. «Gli investimenti in infrastruttura sono passati da una previsione di 400 milioni di dollari a 7 trilioni entro il 2030, il che ne ben dimostra opportunità e rischi. Già oggi i Data Center assorbono il 4,5% della produzione di elettricità negli Stati Uniti, e si stima possa arrivare al 9%, in un contesto già denso di sfide geopolitiche e vincoli di materie prime. L’Ia emerge sia come asset produttivo che come strumento essenziale per migliorare la produttività, in grado di alleviare alcuni vincoli macroeconomici, oltre a tendenze demografiche ed economiche di lungo periodo», evidenzia il Cio di Copernicus.

Alla base di tutto c’è dunque qualcosa di concreto, e non carta straccia, come avvenuto in passato. Ma è sufficiente? «Per quanto le tendenze di alcuni titoli sembrino altamente speculative, nell’insieme le strutture aziendali sono molto più resilienti che in passato. Le aziende più coinvolte in Capex sono anche le più profittevoli, e quindi hanno le spalle coperte da eventuali possibili delusioni, nella consapevolezza dei dubbi sulla reale redditività di tali investimenti. OpenAi è un esempio, capitalizza 500 miliardi ma non ha ancora dimostrato di poter produrre ricavi», sottolinea l’esperto di Novum. E poi un sottile profumo di bolla, o almeno qualche segnale. «Inutile nascondere che potrebbe trattarsi di una classica bolla schumpeteriana: c’è il Fomo, il ‘questa volta è diverso’, valutazioni molto alte, concentrazione di investimenti… Era nata quale trend d’investimento retto da capitali, ma sta scivolando nel debito, già oggi le emissioni di titoli legati all’Ia sono il più grande settore Corporate americano, e cresce il ricorso a forme di finanziamento poco trasparenti. Altro indicatore, sta aumentando il vendor financing, ossia la circolarità d’investimenti, che potrebbe nascondere una domanda auto-inflazionata. Più che di bolla dell’intero comparto, si potrebbe però trattare di una sovraesposizione di singoli operatori, in presenza di altre realtà ampiamente capitalizzate e liquide», riferisce Principe. Le Dot Com. Il più ovvio dei paragoni corre dunque alla più recente delle bolle tecnologiche, quella di inizio secolo, in

presenza di molti parallelismi, e differenze. «Investimenti e valutazioni certo non aiutano a evitare raffronti, Nvidia da sola capitalizza circa 5 trilioni di dollari, pari al 15% del Pil americano, e presa singolarmente rappresenterebbe la quarta economia mondiale. La proporzione è simile a Cisco dell’epoca, quando i suoi 500 miliardi equivalevano al 5% del Pil. Da sola rappresenta l’8% dello S&P 500, ma è in grado di generare 200 miliardi di ricavi annui, un forte flusso di cassa libero, e rendimenti per gli azionisti, anche grazie a modelli di monetizzazione dei servizi più ampi e diversificati, che rendono tali valutazioni più concrete», evidenzia Wille. Se il punto sono infatti le valutazioni, tutto va riparametrato, il che contribuisce nel disinnescare molti timori. «Alla vigilia dello scoppio della bolla il Pe medio era di 72x, con Microsoft a 80x, Cisco oltre 200x, e Aol/Yahoo a 1000x, oggi le Mag7 viaggiano intorno a 36-38x. Il mercato è sicuramente molto più concentrato, da sole rappresentano oltre il 35% dello S&P 500, ma se si considera la solidità dei loro bilanci, la capacità di generare utili e la scarsa leva, questo potrebbe anche non costituire solo un rischio. La struttura del mercato è diversa, le valutazioni meno estreme e i bilanci migliori; anche dunque ammettendo che siamo in bolla, potremmo essere solo agli inizi, e a patto di volerla misurare in termini di Pe potrebbero ancora mancare 200 punti percentuali per raggiungere la stessa ‘euforia’ del 2000», illustra Treichler.

Si tratta dunque principalmente di poche società, e molto diverse rispetto all’epoca. «In generale bisogna sempre ricordare che attualmente il costo del capitale è inferiore al ritorno, e che le aziende muovono da una leva contenuta, e il servizio del debito è basso anche rispetto alla media storica. Il rally è iniziato nell’ottobre 2022 proprio perché le Mag7 erano le uniche a poter mostrare un chiaro sentiero di crescita degli utili. Il premio sulle altre 493 società rimane di 20 punti percentuali, il che spiega perché il rally sia partito con un respiro molto stretto. Ancora a febbraio la percentuale di società dell’indice che quotava sopra la media mobile a 200 giorni era inferiore al 20%, oggi è sopra al 60. In termini di valutazioni i sotto settori dell’Ia sono molto dispersi, rispetto a una media di 40x, il software scambia a quasi 70x, i leader Ia a 47x, e i semiconduttori a 35x, rispetto a

Il Re degli indicatori

Evoluzione dello Shiller Cape ratio (Cyclically adjusted price earnins) dal 1982

Strani rapporti

Selezione dell’azionario americano in rapporto a (XII-2024)

un ‘modesto’ 33x delle Mag7», commenta la responsabile di Fidelity.

Dunque, cosa si può concludere dell’attuale fase di mercato, pur nelle sue singolarità? «Il giovane mercato rialzista sembra riflettere correttamente utili resilienti, l’impatto deflazionistico di innovazione e produttività, e sconta probabili nuovi tagli dei tassi. Le valutazioni Tech sono alte, al pari però della crescita degli utili, che stanno trainando la corsa. È probabile che in futuro subentreranno concorrenti, ma allo stato attuale si tratta di un piccolo oligopolio di aziende che tengono in pugno il settore, con i Governi coinvolti attivamente nella pianificazione. In termini di dimensioni non ci sono paragoni con le crisi precedenti: pur prendendo per buoni tutti gli annunci di investimenti in Ia si arriva alla significativa cifra di 3 trilioni di dollari, ma rispetto a un Pil americano oggi di 30; si tratta dunque di un decimo delle dimensioni che invece la bolla delle ferrovie inglesi aveva raggiunto prima dello scoppio», chiosa Guglielmin. La variante passiva. Se l’Ia potrebbe essere al centro di una potenziale bolla,

Il Cape di Schiller è il principale degli indici da monitorare per cogliere il rischio bolla, ma non è il solo.

potrebbe anche essere parte della soluzione, fornendo strumenti più potenti di analisi agli operatori? «I modelli di analisi consentono oggi di scandagliare un volume di dati quasi illimitato, tecnologia e Ia potrebbero dunque accelerare la rilevazione di squilibri, ma anche amplificarli, al pari degli algoritmi, che inevitabilmente amplificano spesso i bias delle persone. Un’importante novità è però costituita dalla forte crescita della gestione passiva, e dalla partecipazione di investitori retail; già oggi i fondi indicizzati rappresentano un terzo della capitalizzazione dello S&P 500. Oltre ad accentuare la concentrazione su pochi titoli, democratizzare il mercato lo rende molto più sensibile alla psicologia collettiva. Se tutti beneficiano dei rialzi, soffrono anche dei crolli», sintetizza l’esperto di Oddo.

Questo almeno in teoria, bisogna sempre poi vedere all’atto pratico cosa accade,

Angeli caduti

La principale azienda quotata americana (capitalizzazione in % dell’indice)

Quando le azioni bollono

Il mercato azionario è spesso l’epicentro di rumorose crisi e bolle, tra loro però diverse, come nel ’29, nel 2000 e nel ’21. Ma quali indici di allarme precoce dovrebbero essere monitorati? «Uno dei più seguiti è il Cape di Schiller. Nel settembre 1929 raggiunse per la prima volta il valore di 39, nel 2000 toccò un nuovo massimo storico a 44, mentre nel 2021 tornò a 38. Oggi fluttua in area 40. Un secondo indicatore spesso significativo è il rapporto prezzo/fatturato, che si trova oggi a 3,33 rispetto alla media di 1,6 degli ultimi 25 anni, per fare confronti nel 2001 era a 1,77 e nel 2021 a 3,04», chiarisce Poma.

La lista potrebbe però continuare, e molto a lungo, sempre limitandosi al solo azionario. «Se vogliamo guardare al rapporto prezzo/utili dello S&P 500, ci si trova al momento a 27,7 ossia il livello più alto dal 2000, e superiore del 60% rispetto alla sua media storica. Parimenti la volatilità realizzata è molto bassa, il che solitamente non è un buon segno, per quanto possa restare su questi livelli potenzialmente ancora molto a lungo», prosegue l’esperto di Wmm.

Esistono però anche dei chiaroscuri rispetto all’attualità, il che dovrebbe essere di un qualche conforto. «Nel caso dei dividendi il rendimento dello S&P è attualmente dell’1,17% di poco superiore all’1,12 del 2000, e anche la propensione al rischio si conferma molto alta. Ciononostante sono altrettanti gli indici che non mostrano segnali di forte stress», conclude Poma.

e non ci sono molti precedenti. «L’ultimo tratto che porta al picco di una bolla è dato dall’euforia collettiva, sganciata da qualunque motivazione, e dall’afflusso massiccio di investitori individuali. Prescindendo dai fondamentali, la gestione passiva conferisce un premio alle società a grande capitalizzazione, il che sta sicuramente alimentando una potenziale bolla tech/Ia americana, se si considera che già oggi il 75% dei titoli dell’indice Msci World sono americani, e il 40% è concentrato in 10 posizioni. Storicamente va però sottolineato che a scatenare lo scoppio della bolla sono le prese di beneficio degli investitori istituzionali, i più accorti», enfatizza l’esperto di EdR.

La crescita esponenziale del retail potrebbe dare dunque diversi risultati, non

tutti positivi. «Data l’eccessiva ponderazione dei giganti dell’Ia all’interno di molti indici, come lo S&P 500, i piccoli investitori ottengono un’esposizione implicita significativa alle Mag7 e ai rischi di concentrazione correlati. Democratizzare la finanza amplifica i flussi di liquidità in entrata, ma comporta anche che le potenziali correzioni dei titoli legati all’Ia abbiano un impatto sproporzionato sul sentiment del mercato, oltre che sulla distribuzione della ricchezza. Il potenziale dell’Ia rimane sostanziale, dunque l’afflusso di capitali e l’esuberanza con cui vengono accolte le proiezioni sugli utili non sono indici sostanziali di un pericolo bolla, ma invitano a rimanere vigili su probabili repentine correzioni di alcuni segmenti o singole aziende», nota il Cio di Copernicus.

Nel corso del tempo il primato di azienda più importante al mondo se lo sono passato pochi intimi, che in alcuni casi sono poi scomparsi nell’ombra, come i loro settori.

Dunque, la gestione passiva dovrebbe essere abbandonata, o esistono mezze misure? «I prodotti passivi hanno sicuramente ampliato le opportunità di molti, e fatto compiere al mercato un passo avanti in termini di accessibilità ed efficienza, non si tratta dunque di abbandonarli, ma di evolverli. Orientarsi su indici ad esempio ponderati sulla base di utili, dividendi o flussi di cassa offre un’alternativa ai benchmark per sola capitalizzazione, andando al contempo a mitigare molti rischi, ripristinando la diversificazione», riflette l’esperto di WisdomTree.

Evidentemente non tutti concordano, e determinare l’esistenza di una bolla come visto non è una questione semplice, ma c’è anche un ultimo aspetto più sottile. «Credo che siamo nel bel mezzo di una bolla da Ia, ma la tendenza dovrebbe svilupparsi ulteriormente, diversamente dal solito, infatti, questa tecnologia potrebbe avere impatti davvero significativi sull’economia e sul mondo. Spesso non si considera però la reazione delle persone quando tutto sarà più chiaro e, alla luce del sole, il loro rigetto potrebbe essere più fermo del solito; in questo senso l’Ia è sì una bolla, o un suo inizio, ma la sfida principale non sarà finanziaria o economica, bensì sociale», conclude Frederic Leroux.

Se dunque dai tempi di Tiberio, e da quelli dei tulipani, molto è cambiato, in termini non solo di innovazione o tecnologia, ma anche e soprattutto di composizione degli attori partecipanti al mercato e degli strumenti con cui tale posizioni vengono costruite nel tempo, ad esempio in maniera ricorrente dai retail, a venir meno sono disciplina e competenze, fondamentali nella gestione di una crisi.

L’Intelligenza Artificiale è dunque una bolla? Presto per dirlo, non improbabile, a essere imprevedibile è però, al di là di natura od origine, quale sarà l’effetto del prossimo scoppio, in termini sistemici, considerando di quanto siano cambiate le unità di misura dei capitali, anche soltanto rispetto al 2008. Oltre al venir meno, professionalmente, di quasi tutti quegli operatori che erano stati chiamati a misurarsi con l’ultima Grande Crisi. ❏

Una necessità strategica

Al di là della diversificazione delle relazioni commerciali, gli Accordi bilaterali restano una priorità per l’economia svizzera, a maggior ragione nell’attuale contesto di instabilità internazionale.

I principali partner commerciali della Svizzera

Per volume di scambi commerciali di beni nel 2024 (esclusi oro e metalli preziosi)

UE (60%)

USA (13%)

Cina (7%)

Giappone (2,5%)

Regno Unito (2,4%)

Resto del mondo (16%)

Èrisaputo: una volta realizzato un obiettivo o raggiunto un certo livello di benessere, con il passare del tempo si tende a dimenticare gli sforzi intrapresi a tal fine e a dare per scontata la posizione in cui ci si trova. Lo stesso vale per gli Accordi bilaterali conclusi 25 anni fa tra la Svizzera e l’Unione europea. Infatti, fino alla doccia fredda provocata dai pesantissimi dazi doganali imposti dal Presidente Trump al nostro Paese, erano numerosi coloro che sminuivano intenzionalmente la rilevanza del mercato unico europeo rispetto a quella di altri Partner commerciali come, appunto, gli Usa. Intendiamoci, la strategia di diversificazione dei mercati di riferimento attraverso lo sviluppo della rete di accordi di libero scambio è un approccio vincente che va senz’altro proseguito negli anni a venire. Tuttavia, pretendere di poterlo impiegare per sostituire gli scambi commerciali con l’Ue è illusorio e i dati empirici lo dimostrano. Infatti, nel 2024 il 60% degli scambi commerciali elvetici con il resto del mondo avveniva con l’Ue. Nello specifico, il 51% delle esportazioni e il 71% delle importazioni svizze-

re aveva come destinazione o proveniva dall’Ue, per un valore di, rispettivamente, 144 e 158 miliardi di franchi. Usa e Cina si posizionavano invece in seconda e terza posizione, con il 13 e rispettivamente il 7% del volume degli scambi commerciali della Svizzera. La situazione era pressoché analoga per quel che riguarda il commercio di servizi. Considerando l’attuale clima di incertezza e tensioni commerciali, nonché la volontà di accorciare le catene di approvvigionamento, è estremamente probabile che nei prossimi decenni l’Ue continuerà a essere il principale partner commerciale della Confederazione, che ha quindi tutto l’interesse a garantire a lungo termine gli Accordi bilaterali. I vantaggi della via bilaterale vanno però ben oltre la sola dimensione economica. Gli Accordi bilaterali garantiscono infatti alla Svizzera una partecipazione settoriale al mercato unico europeo in determinati settori di interesse. Negli ambiti in cui si auspica accesso al mercato o cooperazione, vengono conclusi accordi e concordate regole comuni; in quelli in cui non si desiderano accordi, non ne vengono conclusi. Ciò vale nel settore dell’istru-

Marco Martino, Responsabile economiesuisse per la Svizzera italiana. A lato, l’Ue è ampiamente il principale partner commerciale della Svizzera.

zione e della ricerca, con l’associazione al programma Horizon Europe, nell’ambito dell’approvvigionamento energetico, con il nuovo accordo sull’energia elettrica, o in quello della giustizia e polizia con l’associazione al sistema Schengen-Dublino.

Grazie agli Accordi bilaterali, la Svizzera è in grado di preservare la sua indipendenza, la sua democrazia diretta e il federalismo, continuando a beneficiare dei vantaggi economici derivanti dall’accesso al mercato unico europeo. Perciò, risulta evidente che la via bilaterale rappresenta una soluzione su misura per la Svizzera, grazie alla quale è possibile evitare forme alternative di relazione con l’Ue ben più limitanti e svantaggiose, come un’adesione, l’adesione allo Spazio economico europeo, un semplice accordo di libero scambio o l’isolamento.

Guardando al futuro, grazie al nuovo pacchetto di accordi con l’Ue verrà garantito a lungo termine l’accesso senza ostacoli della Svizzera al mercato unico europeo, interrotta l’erosione in corso della via bilaterale e ristabilita la certezza del diritto. Inoltre, la Svizzera godrà di più ampi diritti di partecipazione ai processi di “decision shaping” in numerosi settori di suo interesse. Concretamente ciò significa migliori condizioni quadro per le imprese esportatrici, con effetti positivi a cascata sui fornitori e sull’economia nel suo insieme. Alla luce della persistente instabilità mondiale, si tratta di elementi imprescindibili per continuare a garantire il successo della piazza economica svizzera.

Fonte: Swiss-Impex, UDSC

Un attacco ideologico

Mascherata da giustizia climatica, l’“Iniziativa per il futuro” più che colpire i super-ricchi comprometterebbe la continuità di migliaia di aziende che garantiscono lavoro, formazione, innovazione, stabilità sociale e competitività economica della Svizzera.

Da settimane circolano articoli nei media di sinistra che presentano la cosiddetta “Iniziativa per il futuro” come la risposta definitiva alla crisi climatica: far pagare i “super-ricchi” per finanziare la transizione ecologica e sociale. Uno slogan tanto accattivante quanto ingannevole, perché dietro la facciata della giustizia climatica si nasconde una misura punitiva, ideologica, rigida e pericolosa per il tessuto economico e sociale della Svizzera. Il testo dell’iniziativa parla chiaro: tassare al 50% tutte le successioni e le donazioni superiori ai 50 milioni di franchi, senza eccezioni. Non si tratta dunque solo di colpire i “cattivi miliardari” che vivono di speculazioni finanziarie o che si arricchiscono vendendo petrolio. In realtà, nel mirino finiscono soprattutto le imprese di famiglia, cuore pulsante della nostra economia. Più dell’80% del patrimonio di queste aziende non è costituito da liquidità, ma da capitale investito nell’impresa stessa e da immobili produttivi. In altre parole, non ci sono soldi “fermi in banca” da prelevare per pagare un’imposta aggiuntiva: ciò comporterebbe dover vendere quote, smembrare aziende solide o indebitarsi pesantemente solo per rispettare un’imposizione ideologica. È fin troppo facile gridare all’equità quando si guarda solo alla cifra - 50 milioni - e non si tiene conto di cosa significa concretamente per un’azienda di famiglia dover sborsare la metà del proprio patrimonio al momento di una successione.

Lo studio PwC condotto su oltre 200 imprese familiari non lascia spazio a dubbi: l’83% degli imprenditori temono che questa imposta comprometterà la successione aziendale, e due imprese su tre sarebbero costrette a vendere l’azienda,

parzialmente o totalmente, al momento del passaggio generazionale. Significa mettere a rischio la continuità di migliaia di imprese che oggi garantiscono posti di lavoro, formazione, innovazione e stabilità sociale. Significa minare la trasmissione di valori e responsabilità che da decenni, spesso da generazioni, tengono in vita l’economia svizzera.

Le imprese di famiglia non sono solo aziende: sono comunità, storie di resilienza, tradizioni, attaccamento al territorio e impegno. Sono la spina dorsale del nostro Paese, hanno costruito prosperità e qualità della vita e hanno dimostrato una

«L’“Iniziativa per il futuro” è un salto nel vuoto che rischia di distruggere ciò che di più prezioso abbiamo: un’economia solida, fondata su imprese familiari responsabili e radicate nel territorio. Non porterà giustizia climatica, ma instabilità sociale ed economica»

capacità di innovazione e di adattamento superiore a molte multinazionali. Colpirle con una tassa che in alcuni casi, sommata a quella cantonale, potrebbe arrivare vicino al 100% del patrimonio significa minacciare la loro stessa esistenza. È un boomerang che non colpisce i “cattivi miliardari” speculatori, ma migliaia di lavoratori, fornitori, famiglie che dipendono da queste imprese.

Non solo: la rigidità del testo esclude eccezioni persino per i lasciti a enti senza scopo di lucro, riducendo del 50% le donazioni destinate a ospedali, università, fondazioni culturali e sociali. Un danno

Fabio Regazzi, Consigliere agli Stati, presidente dell’Usam e vicepresidente Aif Ticino.

collaterale che rivela quanto la misura sia stata pensata più come gesto ideologico che come scelta politica ponderata. Chi difende questa iniziativa parla di “giustizia sociale”, ma trascura un fatto fondamentale: gli imprenditori e le famiglie proprietarie già oggi pagano imposte sugli utili delle loro aziende, sui salari versati, sui dividendi percepiti e sulla sostanza. Caricare un ulteriore fardello al momento della successione non significa ristabilire equità, ma punire il successo, disincentivare l’impegno a lungo termine e spalancare le porte a chi aspetta solo di acquistare aziende svizzere in difficoltà. Il cambiamento climatico esiste, ed è urgente affrontarlo. Ma non si combatte con slogan facili e con imposte confiscatorie. Si affronta con politiche serie: investimenti in ricerca, incentivi alla transizione energetica, collaborazione tra pubblico e privato, valorizzazione della responsabilità sociale d’impresa. L’“Iniziativa per il futuro” non è una soluzione, ma un salto nel vuoto che rischia di distruggere ciò che di più prezioso abbiamo: un’economia solida, fondata su imprese familiari responsabili e radicate nel territorio. Chi parla di equità dovrebbe avere l’onestà di riconoscere che questa iniziativa non porterà giustizia climatica, ma instabilità sociale ed economica. Voler far credere che basti un’imposta nella piccola Svizzera per risolvere un problema globale è frutto di una visione tanto ideologica quanto assurda che deve essere combattuta con forza e un chiaro “No” alle urne il prossimo 30 novembre.

Un futuro da revisionare

Il ruolo del revisore esterno nel corso del tempo è molto cambiato, ma continuerà a farlo anche nei prossimi anni, con la tecnologia che acquisirà un peso crescente.

Èla fiducia a rappresentare il fondamento di un’economia prospera. In questo senso, l’Audit, la revisione esterna dei conti delle aziende, gioca un ruolo vitale per l’intero ecosistema finanziario.

Nel pieno dell’era dell’informazione, in un mondo di trasformazione e complessità senza precedenti, la capacità di prepararsi al futuro rappresenta dunque un vantaggio competitivo essenziale.

Il mondo cambia, dunque anche il ruolo del revisore è cambiato e sta evolvendo, parimenti la revisione, che ormai va oltre la mera verifica dei dati contabili, ed è uno strumento di consapevolezza e lungimiranza per gli imprenditori, funzionale alla tutela dei mercati. In tal modo, il revisore, nel rispetto della propria indipendenza e dei principi professionali e senza sostituirsi alle decisioni imprenditoriali, è sempre più proiettato a fornire elementi utili per la gestione dei rischi aziendali, e a divenire ancor di più un interlocutore diretto dell’imprenditore, con responsabilità a livello reputazionale ed etico.

Gli eventi del passato hanno sempre influenzato le aspettative degli stakeholder e il sentiment di mercato, come pure la regolamentazione futura. Per il revisore, è quindi importante continuare a guardare all’esterno per meglio individuare che cosa sarà necessario in futuro.

Da un lato non vi saranno cambiamenti in alcuni fondamenti della professione, per esempio nell’esigenza di tutelare l’interesse pubblico e costruire fiducia e sicurezza nel mondo degli affari, nell’agire con indipendenza e integrità, e nell’esprimere giudizi e opinioni informate.

Dall’altro è invece ragionevole attendersi novità in svariati ambiti, tra cui: le aspettative e i bisogni degli stakeholder;

i fattori che influenzeranno la fiducia e la sicurezza; lo scopo, il valore e il prezzo della revisione; il volume, la complessità e la fonte dei dati; l’integrazione tra capacità umane e tecnologia.

Il revisore sarà sempre più sollecitato a fornire riscontri e analisi in tempo reale, così da consentire ai propri clienti di poter effettuare aggiustamenti tempestivi. In un’economia dipendente dai dati, con tutti gli aspetti positivi e negativi che porta con sé, poter contare su contenuti tempestivi, affidabili, verificati e corretti è una bussola capace di orientare gli im-

«In un mondo che cambia, anche il ruolo del revisore sta evolvendo. E così anche la revisione che, oltre la mera verifica dei dati contabili, è uno strumento di consapevolezza e lungimiranza per gli imprenditori, funzionale alla tutela dei mercati»

prenditori nel prendere decisioni strategiche informate e assumersi rischi calcolati che la realtà imprenditoriale impone.

Senza dubbio il revisore può accompagnare le imprese nella pronta gestione delle trasformazioni che si avvicendano rapidamente e inesorabilmente, a cui non ci si può sottrarre, andando oltre l’analisi storica e finanziaria tradizionale. Una revisione orientata al futuro supporta i clienti a meglio prepararsi per affrontarne le incertezze.

Allo stesso modo, la revisione del futuro risponde al bisogno di dare certezze su ciò che è reale, giusto e rilevante, e questa valenza si estende anche in am -

Luciano Monga, Audit & Assurance Partner di Deloitte a Lugano.

bito sociale e pubblico, nella tutela dei mercati e degli interessi degli stakeholder, assicurando fiducia e credibilità per investitori, creditori, azionisti, enti regolatori e altri soggetti interessati. Mettendo in discussione informazioni, contrastando disinformazione e misinformazione, proponendo spunti di riflessione e interventi volti ad anticipare e gestire i cambiamenti con le giuste tempistiche, gli stakeholder hanno la possibilità di affidarsi alla revisione per orientarsi in un sistema che diviene sempre più complesso.

All’interno di questo ecosistema, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale. Con l’integrazione di tecnologie innovative, sempre nel rispetto degli standard etici e professionali, la revisione dei conti sta evolvendo sempre di più migliorando efficienza, precisione, capacità di analisi e supportando la soluzione di problemi complessi. Allo stesso tempo, non dimenticando che le persone rimangono essenziali nel rapporto di fiducia con il cliente, la tecnologia diviene lo strumento utile per amplificare l’impatto sociale, creando spazi e tempi da dedicare ai rapporti umani, all’intelligenza emotiva, alla creatività e all’etica. Inoltre, assume un ruolo proattivo nel rafforzare la fiducia degli stakeholder. Assumersi la responsabilità di un’innovazione responsabile diventa imprescindibile per il revisore del futuro. L’invito è dunque quello di abbracciare un orizzonte più ampio riconoscendo il valore dell’attività della revisione esterna nell’ambito dell’intero ecosistema finanziario. Non si può prevedere il futuro, ma ci si può preparare a meglio affrontarlo.

Storie da prendere al volo

Tra esclusività e meraviglia, l’arte del viaggio si eleva: ogni rotta è un gesto di stile. Ogni arrivo, un nuovo inizio.

Suggestiva aurora boreale o silenzioso deserto...

... la magia non ha confini

Cè un momento, quando il portellone si chiude e il rumore del mondo resta fuori, in cui tutto diventa personale. Volare con Air-Dynamic è questo: un gesto intimo, una libertà su misura. Nessun orario, nessuna coincidenza da rincorrere.

Ogni viaggio nasce da un desiderio. Raggiungere Kittilä per inseguire l’aurora boreale, Salalah per respirare l’Oceano, Al-’Ula per scoprire la bellezza silenziosa del deserto. Non ci sono scali, né attese: solo la continuità di un sogno che parte da terra e vola alto.

E poi ci sono le storie. Come quella del cliente con così tanti bagagli da richiedere un secondo jet solo per loro. O quella della viaggiatrice che, mentre sfogliava un magazine di moda sul suo yacht in Croazia, innamorandosi di una borsa di un noto marchio haute couture ha deciso di volare a Roma per comprarla nell’iconica boutique. E poi, la coppia che ha attraversato il cielo per il suo caviale preferito, servito con lo champagne perfetto, a Parigi. A bordo, talvolta, gli ospiti sono ancora più speciali: un cavallo diretto a Palma

In apertura, la Finlandia con la sua aurora boreale. Sopra, il deserto in cui è incastonata Al-’Ula, sulla via dell’incenso, nel nord-ovest dell’Arabia Saudita. Destinazioni dal fascino ipnotico.

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Un impatto salutare

Nel riconoscere l’importanza per un’organizzazione ospedaliera non solo di garantire l’eccellenza delle cure ai pazienti, ma di confrontarsi con il proprio impatto economico, ambientale e sociale sul territorio e sul sistema sanitario, il primo Rapporto di sostenibilità dell’Eoc attesta l’impegno dell’Ente per un’integrazione responsabile dei principi Esg nelle sue scelte cliniche e organizzative

Per un’istituzione la cui attività incarna la cura della persona e il benessere della comunità in cui opera, adottare e promuovere i principi della sostenibilità nella propria realtà aziendale appare logico. Eppure, malgrado in Svizzera negli ultimi anni la rendicontazione Esg sia in crescita anche in ambito ospedaliero, rimane limitato il numero di strutture che si cimentano nell’esercizio, al di fuori di grandi ospedali universitari, come a Ginevra e Berna, o cantonali, quali Lucerna e San Gallo. Dopo aver in passato riservato all’argomento focus tematici all’interno del suo Rapporto annuale, l’Ente Ospedaliero Cantonale (Eoc) ha voluto scalare marcia e dedicargli una pubblicazione a sé stante, appena presentata a fine ottobre. «Non solo perché la sostenibilità è inscritta nei valori che sorreggono la nostra missione, a partire dal rispetto verso pazienti e collaboratori, ma in quanto come secondo datore di lavoro del Cantone, con un valore economico generato che si avvicina al miliardo di franchi, oltre 41mila ricoveri e 668mila consulti ambulatoriali nel solo 2024, siamo consapevoli del nostro peso

specifico. Numeri che suggeriscono anche come per far crescere ulteriormente il nostro impegno occorra un approccio chiaro e strutturato, che possa essere sia condiviso interamente all’organizzazione, sia comunicato a tutti i nostri portatori di interesse», esordisce il direttore generale dell’Eoc Glauco Martinetti.

Un progetto che ha comportato quasi due anni fra raccolta dei dati, definizione e approvazione degli obiettivi e revisione del Rapporto, coordinato da un nucleo centrale supportato dalla società di consulenza Esg ticinese Positive Organizations e da svariati referenti interni alle varie entità centrali e locali dell’Ente.

Proprio la sua struttura multisito diffusa sull’intero territorio cantonale con otto sedi ospedaliere ha comportato una prima sfida. Ulteriore fattore di complicazione, la grandezza dell’Eoc che per dimensioni si gioca la settima posizione con Lucerna dietro solo ai cinque ospedali universitari e a quello cantonale di San Gallo. «Il che testimonia come il Ticino sia stato capace, 40 anni fa, di promuovere un raggruppamento di forze che in tantissimi altri cantoni non è ancora

avvenuto, tanto da contare oggi su scala nazionale oltre 550 stabilimenti e più di 260 ospedali», sottolinea Glauco Martinetti. Una frammentazione additata fra le principali cause della spesa in ascesa del sistema sanitario svizzero, per cui proprio le prestazioni ospedaliere rappresentano la prima voce, con oltre un terzo dei 97 miliardi di franchi totali. Ecco che, a maggior ragione in un periodo dell’anno in cui l’ennesimo annuncio dei rincari dei premi malattia tende a evidenziare più i difetti che i pregi del sistema sanitario, facendo reclamare a gran voce soluzioni urgenti, il primo Rapporto di sostenibilità presentato dall’Eoc offre l’occasione di approfondire come un’organizzazione complessa e di grandi dimensioni cerchi di rispondere a una visione di una sanità pubblica di qualità, attenta a persone, ambiente ed economia, sviluppando una gestione integrata e responsabile.

«A riprova della qualità dell’offerta, abbiamo oggi una percentuale tra le più basse in assoluto di residenti curati in ospedali fuori cantone, appena il 5,6% nel 2023, solo dopo Ginevra (4,6%) e Berna (5,4%), mentre il nostro vicino Uri arriva al 60%. Sono finiti i tempi in cui in Ticino si diceva che il miglior medico fosse il treno per Zurigo (peraltro al 10,5%). Pur condiviso con le altre strutture sul territorio e al netto della barriera linguistica e geografica, questo risultato testimonia il lavoro compiuto dall’Eoc per accrescere qualità e quantità dell’offerta. Con l’eccezione di pochissimi interventi, come trapianti di cuore e polmoni o grandi ustionati, ormai copriamo tutte le casistiche. In ottica di sostenibilità, ne consegue non soltanto un minor impatto ambientale degli spostamenti, ma soprattutto economico, considerato che putroppo le tariffe dell’Ente ospedaliero cantonale sono sotto la media svizzera», evidenzia il direttore generale.

Far di necessità virtù. Garantire la sostenibilità economica e, al contempo, assicurare la qualità delle cure con continui investimenti in infrastrutture, strumentazione, personale, formazione e ricerca non è certo un esercizio semplice, come confermano i bilanci della maggior parte delle strutture ospedaliere nazionali. Dopo un 2023 chiusosi in profondo rosso, accusando la crescita dei costi per l’effetto inflazionistico, in particolare con l’impennata dei costi dell’energia da una parte e l’adeguamento al carovita del 2,5% secondo le disposizioni applicate ai dipendenti dello Stato, nel 2024 l’Eoc è riuscito a tornare nelle cifre nere, generando un valore economico di circa 961 milioni Chf, con un Ebitda al 4,6%. Tuttavia, al di là della solidità della gestione amministrativa, il risultato poggia su un terreno fragile. «Ci troviamo penalizzati dallo svantaggio strutturale di dover offrire le medesime prestazioni, con gli stessi standard di qualità degli altri ospedali acuti svizzeri, ricevendo rimborsi sistematicamente inferiori. Addirittura va peggio a livello di prestazioni ambulatoriali, dove il Ticino percepisce la seconda tariffa più bassa riconosciuta in questo ambito (0,83 Chf), che per giunta è nettamente inferiore - unicum in Svizzera - a quella applicata agli studi medici (0,93), quando è evidente che un ospedale debba sostenere costi maggiori. Situazione che, stante la forte crescita di volumi delle cure ambulatoriali, si traduce per noi in una netta perdita», evidenzia Glauco Martinetti, ricordando come inoltre il Canton Ticino, sia in termini assoluti sia pro capite, elargisca il minor volume di Prestazioni di interesse generale (Pig): 9,5 milioni nel 2022 sui 2,2 miliardi erogati a livello nazionale. «Ad esempio, a fronte di oltre 300 assistenti medici in formazione percepiamo un finanziamento di 15mila franchi a testa, laddove gli altri cantoni riconoscono almeno il doppio. Non va meglio nemmeno sul fronte della ricerca,

Nel 2024 l’EOC ha generato 961 mio Chf di valore economico, il 71% in Ticino (salari e fornitori), con oltre 90 milioni investiti in strutture e innovazione, confermandosi motore dello sviluppo territoriale, malgrado il difficile contesto per gli ospedali (tariffe basse e prestazioni generali da parte dello Stato ampiamente insufficienti).

«In qualità di secondo datore di lavoro del Cantone e con un ritmo di investimenti elevato, siamo un distributore di ricchezza importante nel Cantone. Se l’Eoc chiudesse, raddoppierebbe di colpo il tasso di disoccupazione. Con un’economic foot print di 961 milioni di franchi, quasi il 3% del Pil cantonale, abbiamo un impatto sistemico»

Glauco Martinetti, Direttore generale dell’EOC

L’impatto generato oltre il settore sanitario

Prestazioni di interesse generale

Confronto fra Cantoni, 2023

Per una sanità pubblica più sostenibile

Il primo Rapporto di Sostenibilità segna una tappa chiave del percorso avviato dall’Eoc nel 2021 per integrare la sostenibilità nella gestione aziendale. «Negli ultimi due anni abbiamo investito tempo e risorse nella raccolta dei dati, nella definizione degli obiettivi e nella revisione del Rapporto. Coordinare i dati Esg di una rete multisito - energia, rifiuti, acquisti, mobilità, persone - e renderli omogenei è stata una sfida importante, così come stabilire obiettivi credibili confluiti nel Piano di decarbonizzazione con target su Scope 1, 2 e 3», spiega

Jelena Veljkovic, Risk Officer dell’Eoc, responsabile del progetto.

Passaggio cruciale è stata l’Analisi di Materialità Esg, con mappatura degli impatti e coinvolgimento di stakeholder interni ed esterni: «Un esercizio che ci ha permesso di identificare i temi materiali più rilevanti su cui costruire la strategia e gli indicatori che hanno dato forma al Rapporto di sostenibilità», prosegue la Risk Officer dell’Eoc. Quadro metodologico di riferimento, gli standard internazionali della Gri (Global Reporting Initiative).

Alla luce di questo primo bilancio, quali azioni e risultati più significativi emersi? «Sul fronte ambientale l’Eoc ha completato gli inventari di gas serra (Scope 1, 2 e 3) e tradotto i dati nel Piano di decarbonizzazione 2023-2050, approvato e sussidiato dall’Ufficio Federale dell’Energia. Il dato più significativo del 2024 riguarda la diminuzione del 49% delle emissioni totali, in particolare grazie a contratti di fornitura che garantiscono l’origine rinnovabile dell’energia elettrica, grazie a elettricità rinnovabile al 99%», sottolinea Jelena Veljkovic. Le maggiori criticità su cui lavorare, come per molti ospedali, restano gli impatti indiretti (Scope 3), legati ad acquisti, beni capitali, pendolarismo e rifiuti.

«Sul versante sociale e clinico, oltre agli indicatori su persone e formazione, l’Eoc conferma il proprio impegno in qualità e sicurezza con progetti come il Patient Blood Management e il modello I-Pass per facilitare la comunicazione per il trasferimento. Investimenti rilevanti sono stati intrapresi anche in prossimità (nuovo Pronto Soccorso di Bellinzona), presa a carico e digitalizzazione con l’App paziente, EocNet e il nuovo Erp Sap per integrare finanza, logistica e Risorse umane», prosegue la Risk Officer dell’Eoc.

Guardando avanti, l’Eoc punta a ridurre ulteriormente le emissioni entro il 2030, consolidare gli sforzi per garantire benessere e sviluppo professionale dei collaboratori, rafforzare i sistemi di misurazione e trasparenza dei dati Esg, efficientare processi e infrastrutture in ottica circolare, integrando sempre più i principi Esg nelle scelte cliniche e organizzative. «Questi impegni, che il Rapporto rende pubblici e verificabili, guideranno l’azione dell’Ente negli anni a venire e i prossimi Rapporti di sostenibilità, dando conto in modo chiaro e misurabile dei progressi verso una sanità pubblica più resiliente, equa e sostenibile», conclude la responsabile Jelena Veljkovic. Considerato l’impegno di un lavoro di questa portata, le edizioni successive verranno realizzate con cadenza quadriennale, in linea con la revisione della strategia aziendale, mentre i progressi della transizione sostenibile saranno rendicontati ogni anno nel Rapporto di attività.

dove tutto ricade sulla nostra capacità di attirare finanziamenti, per noi essenziali considerato l’obiettivo di affermarci come ospedale universitario, oggi anche grazie alla collaborazione con la Facoltà di Scienze Biomediche dell’Usi. Nonostante il contesto sfavorevole, gli 801 articoli scientifici sottoposti a peer review dai nostri ricercatori nel 2024 sono testimonianza di un’attività intensa e di alta qualità, che ci permette di finanziare gran

parte della ricerca, soprattutto clinica, in prima battuta grazie al contributo dell’industria, aziende del Pharma e del Techmed che si mettono in fila per collaborare. Inoltre i nostri ricercatori vincono ogni anno grant nazionali o internazionali, per un valore complessivo di un milione di franchi che ne sostiene l’attività. Più difficile per la ricerca traslazionale dove stiamo lavorando su modelli alternativi con l’inclusione di sostegni finanziari da

parte di privati: famiglie abbienti particolarmente riconoscenti e interessate alla ricerca e fondazioni svizzere con scopi di sostegno alla ricerca», illustra Glauco Martinetti. Ricordando - da ex presidente della Cc-Ti - le potenzialità di un settore strategico per la futura competitività del cantone, un comparto che già oggi fra industria farmaceutica, Biotech e Medtech nel complesso vale attorno al 20% del Pil cantonale. Proprio di questi giorni, l’annuncio dell’accordo quadro sottoscritto con il Politecnico di Zurigo per sviluppare in modo congiunto la ricerca biomedica. Il valore aggiunto oltre la sanità. Dal canto suo, l’Eoc è un distributore di ricchezza importante in Cantone. Uno studio di Bak Basel dello scorso anno ne fotografa l’impatto sistemico sull’economia cantonale: l’economic foot print superava i 940 milioni (961 nel 2024), quasi il 3% del Pil, tra il valore aggiunto lordo diretto (674 mio.) e quello generato presso altre aziende (272 mio.), la maggioranza fornitori ticinesi. Complessivamente tra il 2013 e il 2022 l’Eoc ha investito oltre 440 mio. (circa il 6,1% del fatturato del periodo), la maggior parte in ambito edile (ca. 60%), il resto soprattutto per l’acquisto di attrezzature. I 6.930 posti di lavoro Etp (diretti e indiretti) generati corrispondono a circa il 3,3% della manodopera ticinese. «Detto in altri termini: se chiudessimo avremmo di colpo un tasso doppio di disoccupazione. Eroghiamo stipendi per 54 milioni di franchi al mese. Numeri che dovrebbero far riflettere», avverte il direttore generale dell’Eoc. Curare le proprie risorse. Licenziato il primo Rapporto di sostenibilità (vedi Box) si tratta ora di renderne pratica quotidiana le raccomandazioni. «Tendenzialmente questa prima iniziativa è stata top-down, ma sappiamo che è fondamentale promuovere la cultura della sostenibilità fra tutti i collaboratori. Ad esempio, a seguito della pubblicazione abbiamo organizzato sessioni di formazione interna sulla sostenibilità Esg dedicate ai quadri», osserva il direttore generale. I collaboratori sono d’altronde un fattore essenziale del successo e della qualità delle cure. «Poniamo particolare attenzione alla centralità del collaboratore, unitamente a quella del paziente, come attesta il Contratto collettivo in vigore, addirittura preso d’esempio a livello sindacale verso altre istituzioni operanti nei settori delle cure o vicini. D’altra parte stiamo migliorando la con-

ciliabilità lavoro-famiglia, il sostegno agli spostamenti sostenibili, che incorre nella sfida di una turnistica su 24 ore e 365 giorni l’anno, insieme al miglioramento delle condizioni retributive nei festivi e durante la notte. Il tasso di fluttuazione del personale al 4% è un ottimo segnale, considerato che per gli altri grandi ospedali nazionali il turnover si aggira tra il 10 e il 15%», afferma Glauco Martinetti.

Non va dimenticato inoltre il grande impegno formativo dell’Eoc, suggellato l’anno scorso dal “Premio nazionale della formazione” assegnato dalla Hans Huber Stiftung e dalla Fondazione Fh Schweiz, in sinergia con le Scuole universitarie professionali svizzere. Ogni anno l’Ente accoglie una novantina circa di apprendisti, in 13 indirizzi differenti, ma forma anche medici assistenti, infermieri e tutte le altre figure del settore socio-sanitario: «Un impegno di cui beneficia l’intero cantone, penso ad esempio proprio agli infermieri: secondi solo a Basilea, ne formiamo il triplo del nostro fabbisogno, mettendo il cantone al riparo dalla carenza prevista in Svizzera per i prossimi anni», commenta il direttore generale.

Nei giochi si inserisce anche la digitalizzazione: se da un lato il progresso tecnologico obbliga a investimenti sempre più frequenti e importanti, quindi a un indebitamento maggiore, d’altro canto a livello di processi, sia amministrativi puri che clinico-amministrativi, promette una diminuzione dei costi. «Purtroppo il sistema sanitario svizzero è molto lento in questo processo e, se già siamo in ritardo sulla digitalizzazione, bisogna stare molto attenti a non accusare un ulteriore gap con l’intelligenza artificiale, consapevoli che rappresenta una leva strategica per potenziare la qualità delle cure, l’efficienza operativa e la sicurezza dei pazienti, a partire dal tempo liberato da dedicare loro», afferma il direttore generale dell’Eoc. Nel 2024 sono state attivate già alcune inizia-

Efficienza energetica, riduzione dell’impronta climatica, benessere dei collaboratori, impegno in ricerca e formazione: sono alcuni degli impegni misurati dal Primo rapporto di sostenibilità dell’Eoc che ne attestano lo sforzo verso la comunità e il territorio, come attore responsabile nel sistema sanitario ticinese. Fondamentale l’analisi di materialità Esg allineata agli standard Gri.

«Organizzare la raccolta dei dati Esg su una rete multisito e farli parlare lo stesso linguaggio è stata una sfida, così come definire obiettivi credibili e condivisi del nostro Piano di decarbonizzazione. Grande anche l’impegno per strutturare un sistema di rendicontazione durevole, in linea con le responsabilità definite dal Rapporto di sostenibilità»

Jelena Veljkovic, Risk Officer e referente Sostenibilità EOC

Consumi energetici più green

Consumo annuale, GWh % per fonte, 2024

In un anno -49,6% emissioni totali

■ Elettricità Rin

■ Elettricità Non Rin

■ Resto energia Rin

■ Resto energia Non Rin

■ Elettricità

Teleriscaldamento

Cogenerazione AIL

Gas naturale

Gpl

Fonte: EOC, Rapporto di sostenibilità 2024

Finanziamento attività di ricerca Provenienza fondi (351 progetti al 31.12.24)

Ricerca clinica (cerchio ext) 8,8 mln Chf Ricerca traslazionale (cerchio int) 3 mln Chf

Industria Confederazione Fondazioni Altri programmi CH Programmi UE e internaz.

Fonte: EOC

tive per consolidare l’utilizzo dell’Ia, ad esempio a supporto alla ricerca clinica e alla gestione dei dati e farmacovigilanza.

Con la pubblicazione del suo primo Rapporto di sostenibilità, l’Eoc diventa uno dei precursori in ambito ospedaliero svizzero ed europeo, implementando le migliori pratiche nazionali e internazionali. Progressi, ma pure nuove prove di certo non mancheranno, a fronte di un sistema sanitario che nel trovare la pro-

Rotazione del personale 2024

Assunti > 50 anni

Assunti 30-50 anni

Assunti < 30 anni

Dimissionari > 50 anni

Dimissionari 30-50 anni

Dimissionari < 30 anni

Fonte: EOC

pria, di sostenibilità, si confronta a una sfida ancor più grande, ma inaggirabile. Il risultato delle recenti votazioni cantonali e la proposta di una cassa malati unica per chi percepisce indennità non sono che un assaggio delle riforme ben più strutturali richieste. Ricordando che il settore è vitale per il benessere di pazienti, popolazione, territorio ed economia.

Susanna Cattaneo

Fonte: EOC, Rapporto di sostenibilità 2024

Alleati per la salute pubblica

Con un modello unico che riunisce le competenze interdisciplinari di 14 atenei e 260 professori, in vent’anni la Ssph+ si è affermata a livello internazionale fra le istituzioni dedicate al cruciale settore della salute pubblica.

Il modello della Swiss School of Public Health (SSPH+)

14 Università svizzere HES-SO e ETHZ nuovi membri 2024

17 Soci onorari 2 nuovi soci onorari nel 2024

Istituti (con > 2 membri di facoltà) e >70 istituti con 1 membro di facoltà

>260

>20 Membri della facoltà interuniversitaria affiliati alle scienze della salute pubblica

400 Insegnamento & Formazione

Dottorandi in Public health sciences

Fonte: SSPH+, dati 2024

Accesso equo e universale alle cure, prevenzione delle malattie e coordinamento delle emergenze sanitarie, promozione del benessere della popolazione, economie di scala di fronte ai costi della salute in esplosione: il ruolo della sanità pubblica è sempre più cruciale per affrontare le sfide sociali ed economiche legate alla salute e garantire quello che dovrebbe essere un bene comune non orientato al profitto. Un settore che deve integrare un vasto spettro di discipline accademiche tra cui medicina, epidemiologia, demografia, economia, sociologia, antropologia, scienze infermieristiche, scienze politiche, management e diritto. In un paese piccolo come la Svizzera, nessuna singola istituzione disporrebbe della massa critica necessaria per coprire tutte le aree rilevanti. Per rispondere a questa sfida vent’anni fa è nata la Swiss School of Public Health (Ssph+). Un modello unico nel suo genere nel panorama formativo superiore nazionale, una sorta di “facoltà interuniversitaria virtuale” che

85 I tre pilastri strategici

Programmi

MAS/DAS/CAS diretti da membri della SSPH+

Traslazione da scienza a politica, pratica professionale e ai cittadini Ricerca interuniversitaria

riunisce le competenze di 14 istituzioni accademiche: 8 università (tra cui l’Usi), 4 Scuole universitarie professionali (tra cui la Supsi) e i due Politecnici federali. Partecipano alle sue attività 260 professori, un bel numero di postdoc e circa 400 dottorandi afferenti a 40 diverse discipline. Con un budget contenuto grazie alla struttura snella che non prevede edifici e infrastrutture propri, può concentrarsi su contenuti accademici e la promozione di collaborazioni, formazione e intermediazione fra scienza e pubblico, permettendo a tutti i partner di contribuire in virtù della propria eccellenza e indipendentemente dalle loro dimensioni, a fornire un valore aggiunto in termini di scambio scientifico e apprendimento permanente. Ormai la Ssph+ è una realtà affermata nel panorama accademico svizzero e internazionale, come conferma anche il “Public Health Academic Ranking 2025” presentato alcune settimane fa a Ginevra. Confrontando gli indici bibliometrici di 145 scuole di salute pubblica dei 5 continenti nel quadriennio 2019-2023, ha

Luca Crivelli, direttore del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Supsi e dal 2012 co-direttore accademico della SSPH+. Notevole la crescita della Scuola in 20 anni di attività, che la vede 17esima al mondo e quinta in Europa, secondo il “Public Health Academic Ranking 2025”.

permesso di valutare e comparare produttività scientifica, qualità, impatto in termini di citazioni, collaborazione in consorzi internazionali di ricerca e accessibilità delle pubblicazioni realizzate dalle varie istituzioni. Pesando i punteggi ottenuti nei singoli indicatori, è stato calcolato uno score complessivo e stilata una classifica da cui si evince che la Ssph+ occupa il diciassettesimo posto assoluto, rispettivamente il quinto rango a livello europeo (dietro le 4 migliori scuole del Regno Unito e davanti al Dipartimento di salute pubblica globale della famosa Karolinska University, l’università svedese che assegna il Nobel per la medicina). Un risultato eccellente raggiunto in due soli decenni. Più precisamente, la storia della Ssph+ ha inizio nel 2002, quando la Conferenza Universitaria Svizzera (Cus) decise di stanziare un contributo di 2 milioni di franchi all’anno per tre anni, per dare vita a due reti accademiche: la prima dedicata alla salute pubblica, la seconda incentrata sull’economia sanitaria. Le due discipline erano uscite a mani vuote dal primo bando di concorso per la creazione di Poli nazionali di ricerca, lanciato nel 2000 dal Fondo Nazionale. In quella prima tornata vennero approvati 14 Poli in aree scientifiche emergenti quali l’oncologia, il clima, la finanza, la genetica, le

nanotecnologie, le neuroscienze, la fotonica. La medicina sociale e preventiva e gli economisti sanitari si presentarono al concorso separatamente e ciò indebolì entrambi i consorzi, che non vennero considerati una priorità. Questo insuccesso finì con il creare una “finestra di opportunità”, facendo scattare nei decisori della politica universitaria una sorta di compensazione nei confronti della salute pubblica. Il convinto sostegno dell’allora segretario generale per la formazione e la ricerca Charles Kleiber (che prima di assumere questo incarico aveva profondamente segnato la salute pubblica del Canton Vaud), fu fondamentale per convincere i rettori e la Cus a sostenere queste reti nazionali e a decretarne il finanziamento. Ma nel contratto dei due consorzi l’astuto Kleiber inserì una clausola: le due reti avrebbero potuto sollecitare ulteriori finanziamenti negli anni successivi a condizione di fondersi in un’unica istituzione e di assumere in tempi ragionevoli la veste giuridica della fondazione.

La Ssph+ vide così la luce il primo gennaio 2005 come società semplice (l’Usi fu un socio fondatore) e si trasformò in

fondazione nel febbraio 2008, con sede a Zurigo. Di proprietà delle università a essa associate, è governata da un Consiglio di fondazione (nel quale siedono due rappresentanti di ogni istituto universita-

«Il modello della Swiss School of Public Health (Ssph+) è unico nel panorama formativo superiore nazionale. Una sorta di “facoltà interuniversitaria virtuale” che riunisce le competenze di 14 istituzioni accademiche, 260 professori, centinaia fra postdoc e dottorandi afferenti a 40 diverse discipline, permettendo di coprire tutte le aree rilevanti della salute pubblica»

rio) ed è diretta da un collegio composto da cinque co-direttori accademici al 20% (uno dei quali assume il ruolo di primus inter pares per un anno) e da un direttore amministrativo.

Un impulso importante alla Ssph+ lo ha dato la pandemia. Per l’Ufficio federale di sanità pubblica e per le autorità sanitarie cantonali è stato fondamentale trovare sotto lo stesso tetto le competenze di medici, epidemiologi, virologi, economisti sanitari, esperti di etica e scienziati sociali. Nello spazio di poche settimane fu lanciato il progetto Corona Immunitas, che ha ottenuto finanziamenti pubblici e privati per oltre 15 milioni di franchi e ha permesso di raccogliere in tutte le regioni del paese, compreso il Ticino (grazie alla collaborazione tra Usi e Supsi), il sangue di oltre 60mila soggetti monitorati nel tempo, per verificare la formazione di anticorpi nella popolazione, la disponibilità dei cittadini a seguire le raccomandazioni di politica sanitaria, l’evoluzione della salute mentale a seguito dalle misure di contenimento e, da fine 2020, anche di osservare lo stato vaccinale dei cittadini.

Il consorzio di esperti della Ssph+ è stato inoltre all’origine di numerose analisi della letteratura sulle tematiche più svariate, fornendo ai decisori politici le indicazioni necessarie per introdurre misure basate su evidenze scientifiche.

PROSEGUR

SOCIETÀ DI VIGILANZA

A cura di Susanna Cattaneo

Interpretare il contesto

Automazione non significa ancora autonomia. L’IA, soprattutto quella generativa, promette sistemi in grado di adattarsi al contesto e di prendere decisioni strategiche, ma resta a oggi lontana dalla duttilità delle capacità cognitive umane. Se l’intelligenza linguistica o logico-matematica possono essere replicate dalle macchine, più difficilmente lo saranno empatia, creatività, leadership e consapevolezza. Più che tecnologica, la sfida è culturale: in finanza, industria o marketing, il valore non nasce dalla potenza di calcolo, ma dalla capacità di calare i nuovi strumenti nel contesto e interpretarne le potenzialità. Nelle prossime pagine, l’esempio di chi già oggi traduce l’innovazione in scelte coerenti, responsabili e orientate al futuro.

p. 50

Blockchain: trasparente senza esporre i segreti

p. 53

L’open source rivoluziona l’ERP

p. 54

A misura di finanza: sicurezza, controllo e valore

p. 56

Ragionare come Wall Street

p. 57

Il plus di un approccio consulenziale all’IT

p. 58

Architettura della coerenza

Blockchain: trasparente

Tracciabilità, trasparenza e circolarità sono i tre principali obiettivi del nuovo Regolamento europeo Ecodesign, con cui dovrà fare i conti anche l’esportatrice Svizzera. Ma se i consumatori esultano, non mancano le sfide per implementarne lo strumento chiave: il passaporto digitale del prodotto (Dpp). A risolvere il dilemma fra accessibilità delle informazioni e tutela della proprietà intellettuale delle aziende e dei loro segreti industriali, la blockchain.

Quale viaggio ha compiuto per arrivare alla mia tazzina il caffè senza il quale non posso iniziare (bene) la mia giornata? Le mie scarpe sono davvero “Made in Italy” o sono state esternalizzate e solo rifinite in Italia? Quanto è davvero pulita la mia nuova auto elettrica?

Dichiarazioni su etichette, siti e social aziendali possono rassicurare, tuttavia si sa che se fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Ma la responsabilità di smascherare pratiche opache o coinvolgimenti nascosti non può ricadere solo sui consumatori più attenti, né restare esclusivamente nelle mani delle autorità.

Un passo decisivo verso una maggiore trasparenza, responsabilità e sostenibilità nel commercio online e tradizionale è stato fatto grazie al nuovo Regolamento sulla progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili dell’Unione Europea (Espr, UE 2024/1781), uno degli strumenti legislativi più ambiziosi del Green Deal e del Piano d’azione per l’economia circolare. Entrato in vigore nel luglio 2024, stabilisce un quadro normativo generale che tutti i prodotti devono soddisfare per essere commercializzati sul mercato unico europeo. L’applicazione sarà progressivamente delineata attraverso successivi piani di lavoro e atti delegati, prodotto per prodotto o per gruppi di prodotti simili.

Favorire il passaporto, prego. Sebbene l’esatta attuazione del Regolamento possa variare nella pratica, alcuni componenti

chiave saranno richiesti per tutti i prodotti. Fra questi, di primaria importanza il passaporto digitale del prodotto (Digital Product Passport, Dpp), un insieme strutturato di dati su un prodotto, accessibile in formato elettronico attraverso mezzi quali codici a barre, codici Qr o altri sistemi di identificazione automatica più sofisticati, che fornirà informazioni complete e tracciabili sul suo intero ciclo di vita, facilitandone l’identificazione e contribuendo a garantire trasparenza, sicurezza, ma anche a prendere decisioni sostenibili e ad aumentare l’efficienza.

L’obbligo riguarderà tutti i prodotti finiti e intermedi (non i singoli componenti) distribuiti e commercializzati nell’Unione Europea, indipendentemente dall’ubicazione (o dall’origine) dell’azienda e dalle sue dimensioni. Anche la Svizzera, che ha nell’Ue il suo partner commerciale di gran lunga più rilevante, destinatario del 51% dell’export elvetico - in prospettiva destinato ad assumere ulteriore peso a fronte dei dazi statunitensi - e con Pmi fortemente integrate nelle catene di approvvigionamento europee, dovrà fare i conti con l’obbligo. Viceversa, è molto probabile che elementi chiave del Dpp saranno implementati o richiesti anche in Svizzera, tramite accordi bilaterali o standard di mercato volontari.

Tra i settori prioritari indicati rientrano materiali e beni di largo consumo e ad alto impatto, come tessili, mobili, prodotti Ict, acciaio e alluminio, pneumatici, detergenti, vernici, lubrificanti e prodotti

Frank Pagano, azionista di Tokenance e Senior Partner di Jakala.

senza esporre i segreti

Ilaria Carli, avvocato, Senior Counsel di WST, specializzata in proprietà intellettuale e nuove tecnologie.

chimici, … Solo con l’adozione dei singoli atti delegati sarà possibile avere un quadro completo delle categorie e delle rispettive tempistiche di introduzione.

Gli atti delegati definiranno inoltre: i dati obbligatori; le opzioni sul tipo di soluzione hardware da utilizzare (ad esempio, codice Qr, link, ecc.); la collocazione del marcatore hardware (etichetta, imballaggio, certificato, ecc.); il livello di applicazione del Dpp (modello, singolo articolo, lotto di produzione, ecc.). Il dilemma. Se le intenzioni sono nobili, l’implementazione pone però due principali sfide che potrebbero avere una soluzione comune nelle blockchain (al plurale, poiché probabilmente sarà necessaria più di una blockchain per gestire il nostro mondo futuro, attraverso i suoi molteplici mercati e settori).

Primo: considerando il regolamento Espr e la sua attuazione, è chiaro che sia necessaria una soluzione tecnologica dinamica. L’infrastruttura Dpp che emerge sia dalle bozze normative che dai primi progetti pilota, non è limitata a uno specifico stack tecnologico. È modulare, aperta e progettata per supportare l’interoperabilità tra componenti centrali e decentralizzati. La blockchain, se applicata in modo corretto, grazie alle sue caratteristiche specifiche può fungere da abilitatore essenziale, assicurando la coerenza dei dati in questa infrastruttura.

Esistono diversi progetti pilota che ne dimostrano la capacità di fornire un valore tangibile in contesti reali. Le iniziative di

Circularise (plastica e batterie), Digimarc con Iota (mobilità elettrica) e Holzweiler (moda) o Tokenance (immobiliare, moda, produzione B2B) utilizzano tutte la blockchain per migliorare la tracciabilità, fornire tracce di audit immutabili e consentire un accesso differenziato ai dati sensibili.

Per fare un altro esempio, l’introduzione obbligatoria dei requisiti Dpp nel mondo dei beni di lusso è stata a lungo anticipata dall’adozione volontaria di strumenti di tracciamento della catena di fornitura digitale o di certificazioni di autenticità digitale basate sulla blockchain. Uno degli casi di maggior successo e diffusione è il Consorzio Aura Blockchain, creato dal Gruppo Lvmh, Prada e Otb. La blockchain è già la soluzione ideale per proteggere il fattore “X” e i segreti dei marchi che ne fanno parte, garantendo al contempo la fiducia dei fan e creando un ambiente trasparente per le autorità e le organizzazioni dei consumatori, su tutti i potenziali controlli e verifiche.

Oltre alla provenienza e alla tracciabilità, la blockchain affronta infatti uno degli aspetti potenzialmente più spinosi del regolamento - e qui sta la seconda sfida: la protezione dei dati e della privacy. Lo fa bilanciando la conformità ai requisiti normativi con la protezione dei dati sensibili di un’azienda. Se i consumatori sono ansiosi di godere i benefici che il regolamento offre, a preoccupare le aziende non sono solo gli oneri aggiuntivi ma a maggior ragione la tutela del loro

L’impatto del Dpp sulla catena end-to-end

• Produttore: deve garantire che i prodotti siano accompagnati dal Dpp all’immissione sul mercato.

• Importatore: deve assicurare che i prodotti provenienti dai Paesi di origine abbiano il Dpp, anche se le normative dei produttori possono essere meno severe. Se l’importatore modifica il prodotto o lo commercializza con il proprio marchio, assume il ruolo e le responsabilità del produttore.

• Distributore : prima di rendere disponibile un prodotto sul mercato o al proprio pubblico deve verificare la presenza del Dpp. Le piattaforme online sono state esplicitamente chiamate in causa come attori che devono contribuire a prevenire la vendita di prodotti non conformi sui loro siti. Ciò è fondamentale per sradicare il commercio di prodotti contraffatti o non autorizzati all’interno dell’Ue e per sanificare il mercato dell’usato, riducendo al minimo le frodi.

• Altri attori : anche i riparatori professionisti o gli operatori indipendenti coinvolti nella manutenzione, nel ricondizionamento o nel riutilizzo di un prodotto possono avere un ruolo attivo e un impatto sulla gestione del Dpp.

• Sanzioni: La violazione degli obblighi citati comporterà sanzioni stabilite a livello nazionale che dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Possono includere multe, in base a natura e gravità della violazione; la sua durata; la situazione economica del trasgressore, chiunque sia nella catena del valore end-to-end; i benefici economici ottenuti a causa della violazione.

Laura

know-how e del loro vantaggio competitivo. Il regolamento stabilisce infatti il principio secondo cui il Dpp deve essere liberamente consultabile non solo dalle autorità competenti, ma da tutti gli attori della filiera: consumatori, produttori, importatori, distributori, dettaglianti, riparatori e altre parti interessate. A tal

Come prepararsi al Dpp? Raccomandazioni per le imprese

Identificare i segreti industriali (tecnici e commerciali) all’interno dell’organizzazione e della rete di fornitori.

Procedere con audit interni, finalizzati alla mappatura dei dati, alla loro pulizia, classificazione e collocazione in un data lake praticabile e facilmente accessibile (e internazionale). Tutti sono pronti per il futuro, tranne i vostri dati.

Istituire una cultura della protezione dei dati e delle informazioni a livello aziendale, in cui sia data visibilità, se necessario, a fan, fornitori, distributori, ecc. e, naturalmente, alle autorità.

Adottare progressivamente soluzioni avanzate di sicurezza digitale, sperimentando nuovi stack tecnologici, come la blockchain, per servire al meglio gli obiettivi aziendali.

Esplorare nuove partnership e collaborazioni con fornitori, enti normativi e associazioni di categoria per stabilire standard di sicurezza e interoperabilità a livello di mercato, categoria e nazionale.

gestito dalla Commissione europea, per consentire a chiunque di cercare, esplorare e confrontare le informazioni contenute in tutti i Dpp. In questo modo però, informazioni riservate interne all’azienda (su processi produttivi, composizione dei materiali, elenco completo dei fornitori, ecc.) sarebbero potenzialmente accessibili anche a concorrenti, altri fornitori e nuovi operatori del mercato, nonché ad associazioni dei consumatori e lobby politiche. È pertanto fondamentale che nel processo di individuazione di tutti gli obblighi di divulgazione che avverrà con gli atti delegati, il legislatore fornisca suggerimenti concreti per l’adozione di protocolli tecnologici in grado di salvaguardare i segreti commerciali, garantendo un accesso differenziato alle informazioni. La soluzione. Fortunatamente è qui che le blockchain possono fare la differenza. Un registro pubblico e completamente decentralizzato costruito su blockchain può assicurare la trasparenza, la tracciabilità e la sostenibilità dei prodotti (obiettivi principali del Dpp), proteggendo al contempo i dati sensibili (attraverso un accesso limitato o altri mezzi). Questo perché la blockchain è a prova di qualsiasi manomissione, matematicamente impossibile da violare e pubblica, per definizione. Alcuni esempi:

• All’interno di Cardano (e anche di altre blockchain) esistono già soluzioni tecnologiche per offuscare le informazioni riservate, creando al contempo passaggi per concedere l’accesso alle autorità pubbliche, quando e dove necessario, come in caso di un controllo o di un procedimento legale. Un esempio di questo tipo, attualmente disponibile e utilizzabile, è il protocollo crittografico zero-knowledge-proof (alias Zkp), che consente a un attore (il prover) di confermare a un’altra parte (il verificatore) che le informazioni fornite sono vere, senza dover fornire altre informazioni riservate al di fuori di quella specifica dichiarazione.

vento o controllo o modifica, che viene registrato su blockchain.

• L’architettura della blockchain si basa su componenti resolver che collegano gli identificatori di prodotto con le fonti di dati. Queste fonti possono essere centralizzate, come i sistemi di gestione delle informazioni sui prodotti (Pim), ma possono anche includere registri decentralizzati come le blockchain. La loro capacità di garantire la verificabilità e la divulgazione selettiva li rende i mattoni ideali per un ecosistema Dpp verificabile e pronto per il futuro.

• I circuiti di pagamento programmabili tipici delle blockchain permetteranno di eseguire l’intero processo su scala globale con sanzioni, pagamenti e ricompense automatizzabili.

• Lo stesso principio si applica anche ai dati o alle informazioni personali dei consumatori o degli appassionati di prodotti, nel caso del Gdpr. Anche se l’elenco riportato non è esaustivo, dimostra chiaramente quanto forte possa essere una soluzione blockchain sia per l’attuazione di questo regolamento, sia per gli interessi di imprese e consumatori: la più adatta a sradicare il mercato delle merci contraffatte, a sostenere un mercato dell’usato efficiente e trasparente e a ridurre al minimo il margine di manovra dei malintenzionati nella produzione, commercializzazione e distribuzione delle merci all’interno dell’Ue. Il tutto risolvendo il dilemma fra protezione della proprietà intellettuale dei brand e pieno accesso, laddove necessario, alle specifiche di prodotto, in modo esponenzialmente migliore di qualsiasi tecnologia Web 1.0 o 2.0.

fine è prevista la creazione di un database centralizzato che raccoglie tutti gli identificatori univoci dei prodotti distribuiti e commercializzati sul mercato, facilitando i controlli da parte delle autorità (registro Dpp) e di un portale web pubblico,

• La natura immutabile della blockchain massimizzerà la velocità e l’accuratezza di qualsiasi indagine o controllo, la risoluzione dei conflitti e la caccia ai malintenzionati, proteggendo al contempo consumatori, produttori, fornitori e distributori virtuosi, con livelli successivi di accesso, controlli e bilanciamenti, con ogni singolo inter-

Se si terrà conto di questi aspetti nel suo sviluppo e nell’implementazione, il Passaporto digitale dei prodotti potrà trasformarsi in uno strumento strategico. Offrendo inoltre ai marchi una preziosa opportunità per costruire una base di consumatori/fan attiva e consapevole. Le aziende che abbracciano pienamente il regolamento creeranno infatti un dialogo intimo e rafforzeranno l’ engagement, trasformando così il Dpp in una piattaforma di relazioni più profonde con le loro comunità di utenti. Sta ora a legislatori, imprese e tecnologia portare avanti la discussione, per soddisfare pienamente i principi e le direttive dell’Espr.

L’open source rivoluziona l’ERP

Senza vincoli di licenza né dipendenza da fornitori, completamente personalizzabile e scalabile, il gestionale open source SoledeERP cresce insieme all’azienda e ne diventa un asset strategico. Con un ROI misurabile non solo in termini di costi ridotti, ma soprattutto di valore creato.

Adottare un software ERP non è solo una scelta tecnologica: è una decisione strategica che può trasformare il modo in cui un’azienda opera, gestisce le informazioni e prende decisioni. Centralizzare i dati, automatizzare i processi e integrare i reparti in un unico ecosistema digitale significa avere una visione completa e in tempo reale del business, diventare più agili, competitivi e pronti ad affrontare i cambiamenti del mercato.

Nonostante gli evidenti vantaggi, per molte piccole e medie imprese, la prospettiva di implementare un ERP resta complessa. Le soluzioni tradizionali, spesso pensate per grandi gruppi con team IT dedicati, comportano costi elevati, licenze rigide e poca flessibilità. «SoledeERP è la nostra risposta alle esigenze reali delle PMI. Basato su ERPNext, uno dei gestionali più completi e avanzati al mondo, introduce un nuovo paradigma: un software open source che offre la stessa profondità funzionale dei grandi sistemi proprietari, ma libero da vincoli di licenza e dipendenza dai fornitori», spiega Lorenzo Caldara, fondatore di Solede SA. Partner ufficiale di ERPNext l’azienda basata a Chiasso si affianca alle imprese accompagnandole passo dopo passo con il suo team di sviluppatori e consulenti certificati nella transizione: analisi dei bisogni, installazione, formazione, supporto.

Attenzione: chi pensa che open source significhi funzionalità limitate si inganna. Solido, scalabile e modulare, ERPNext integra contabilità, vendite, acquisti, magazzino, produzione, risorse umane, CRM e molto altro, con una flessibilità che lo rende ideale tanto per realtà strutturate quanto per imprese di dimensioni minori. «Senza licenze perpetue, vendor lock-in, costi nascosti di manutenzione o upgrade forzati, le aziende possono destinare il budget liberato a ciò che crea valore: personalizzazioni, integrazioni, formazione e sviluppo di nuovi moduli. Il

grande vantaggio è che l’azienda non paga più per il permesso di usare un software che la vincola al fornitore senza mai possedere realmente gli strumenti su cui si basano le sue operazioni quotidiane, ma finalmente investe nello sviluppo di un asset strategico che le appartiene davvero e che può essere riutilizzato, esteso e migliorato nel tempo», sottolinea Lorenzo Caldara.

Si può infatti adattare ogni modulo, automatizzare processi specifici, integrare strumenti esterni e creare report su misura o sviluppare nuove funzionalità: una flessibilità particolarmente utile per PMI come quelle svizzere, con processi unici o in continua evoluzione. «Nei sistemi proprietari ogni modifica richiede l’intervento del vendor o di suoi partner certificati, tempi lunghi e costi elevatiper di più con il rischio che le personalizzazioni vadano perse o creino conflitti al successivo aggiornamento del sistema. Al contrario, con un software open source il codice sorgente è visibile e accessibile, quindi ispezionabile e modificabile», commenta il fondatore di Solede.

L’open source introduce un nuovo equilibrio nei rapporti tra cliente e fornitore, “obbligato” a lavorare bene. Con un sistema aperto, l’azienda infatti se non è soddisfatta può rivolgersi a un altro partner implementativo, senza ripartire da zero. Libertà che non esiste in un ERP proprietario: cambiare fornitore significa affrontare costi di migrazione elevatissimi e rinunciare agli investimenti già fatti. «I vendor lo sanno bene, e questa asimmetria di potere si riflette nei prezzi e nelle condizioni contrattuali», osserva Lorenzo

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Caldara. Inoltre con l’open source non sono richieste licenze aggiuntive per nuovi utenti o moduli, rendendo la crescita aziendale sostenibile dal punto di vista dei costi IT.

Costruito su Frappe Framework e dotato di un’interfaccia utente intuitiva, tecnologie web standard e un’architettura che facilita la personalizzazione e l’integrazione con altri sistemi, ErpNext inoltre beneficia di un ritmo di innovazione continuo, alimentato da una community globale di sviluppatori: un modello collaborativo che assicura migliorie e nuove funzionalità con una velocità che poche software house proprietarie possono eguagliare.

Da giugno, l’ecosistema di Solede si è arricchito di un nuovo “collega”: Solede Bot, un assistente digitale intelligente sempre disponibile che integra la documentazione tecnica, le policy interne e i manuali operativi dell’azienda. In grado di rispondere a domande, guidare gli utenti nei processi, automatizzare compiti e generare analisi personalizzate, riduce fino al 95% i tempi operativi, diminuisce dell’80% gli errori manuali e aumenta la produttività fino al 300%.

Un’ulteriore dimostrazione di come Solede interpreta la trasformazione digitale: non vendere un software, ma accompagnare le aziende in un percorso di crescita su misura e sostenibile, anche per chi parte da zero, dove la tecnologia resta sotto controllo e il valore in casa.

Partner ufficiale ERPNext

Sviluppatori e consulenti certificati Via Motta 18, 6830 Chiasso Tel. +41 91 239 1283 info@solede.com solede.ch

A misura di finanza: sicurezza, controllo e valore

L’intelligenza artificiale porta nuove opportunità alla finanza, ma anche sfide di sicurezza e integrazione. Forte di oltre trent’anni di esperienza nel software per banche e fiduciarie, Apsoft sviluppa soluzioni su misura e sotto pieno controllo, per un’adozione dell’AI consapevole e sostenibile.

Come conferma anche un recente sondaggio della Finma, cresce l’interesse degli istituti finanziari per l’intelligenza artificiale. Banche, fiduciarie e società di gestione patrimoniale svizzere iniziano a sviluppare soluzioni proprie o a rivolgersi a fornitori specializzati. Ma al di là dell’hype, ciò che serve davvero sono partner competenti, capaci di tradurre il potenziale dell’IA in applicazioni concrete, sicure ed efficaci, rispettando i rigidi requisiti di un settore in cui la protezione dei dati e la stabilità operativa sono imprescindibili.

«Si tende a figurarsi l’intelligenza artificiale, a maggior ragione quella generativa, come un oracolo in grado di rispondere a qualsiasi domanda, ma bisogna ricordarsi che si tratta in realtà di uno strumento, come tale con i suoi pregi e i suoi difetti. Se usato bene può avere un valore aggiunto notevole, però va innanzitutto conosciuta», sottolinea Alessandro De Pellegrin, direttore di Apsoft SA. Forte del know-how specialistico maturato in 35 anni di consulenza e sviluppo di soluzioni IT su misura per gli intermediari finanziari svizzeri, l’azienda ticinese unisce ora la sua expertise bancaria e fiduciaria con le più recenti tecnologie dell’IA. Obiettivo, accompagnare gli in-

termediari finanziari a cogliere le nuove opportunità tecnologiche garantendo ciò che nel settore più conta: sicurezza, controllo e valore.

«Quando si parla di intelligenza artificiale, si tende a dar per scontato il ricorso al cloud. Ma per i nostri clienti far uscire i dati dall’azienda non è di solito

un’opzione», sottolinea Daniele Picciaia, software architect di Apsoft: «Da qui nasce FinMedIAtor, la nostra piattaforma modulare on-premise, basata su LLM locali e architettura multi-agent, in grado di operare senza uscire dai sistemi interni». Oltre a garantire la completa riservatezza, l’approccio di Apsoft si contraddi-

La piattaforma

GenIA on-premise di Apsoft garantisce controllo totale dei dati senza cloud. Permette agli intermediari finanziari di effettuare ricerche semantiche su documenti, automatizzare processi come la classificazione delle fatture, generare report e integrarsi con Office.

stingue per la capacità di integrare l’IA con infrastrutture legacy o proprietarie senza richiederne la sostituzione, che comporterebbe ingenti investimenti. «Un nostro punto di forza risiede proprio nella capacità di adattarci ai sistemi esistenti dei clienti, facendoli interfacciare con la tecnologia cutting edge dell’intelligenza artificiale, in particolare generativa, senza richiedere la modifica delle loro infrastrutture informatiche, ma fornendo funzionalità aggiuntive e la possibilità di scalare in funzione della crescita del loro volume del business», evidenzia Alessandro De Pellegrin.

Grazie all’architettura modulare, Apsoft è in grado di fornire soluzioni opera-

Accanto, da sinistra, Alessandro De Pellegrin, direttore di Apsoft SA, e il software architect Daniele Picciaia, mente umana dietro FinMedIAtor, la soluzione IA progettata dalla azienda ticinese per banche, fiduciarie e gestori patrimoniali.

tive in tempi rapidi e a costi sostenibili. La piattaforma può essere personalizzata con plug-in dedicati, adattandosi alle esigenze specifiche di ciascun cliente e ai diversi contesti operativi del mondo finanziario.

Tra le prime applicazioni spicca la ricerca semantica che, agganciandosi alle fonti che alimentano i processi informatici di una banca o una fiduciaria, permette di interrogare in tutta sicurezza documenti aziendali e normativi in diverse lingue e in diversi formati, come ad esempio PDF, Word, immagini... ma anche database relazionali oppure repository di fatture. Il sistema consente non solo di cercare termini, ma di formulare vere e proprie domande in linguaggio naturale. «La sostanziale differenza però rispetto a ChatGpt, oltre al fatto di offrire una soluzione in locale, risiede nella pertinenza delle informazioni con cui alimentiamo e aggiorniamo dinamicamente il sistema. Per garantire la massima trasparenza e verificabilità, ogni risposta è accompagnata da una stima indicativa di accuratezza e dal collegamento diretto alle fonti: un aspetto chiave per la compliance e la qualità dei dati in ambito finanziario», commenta Daniele Picciaia.

L’accesso avviene tramite web application locale, con la possibilità di creare ambienti multiutente, permessi differenziati e contesti di lavoro separati con accesso a informazioni segregate. Grazie ai plug-in integrabili con suite come Microsoft Office, l’IA può anche generare testi all’interno di email, documenti Word, presentazioni, ecc. Nonostante l’hardware contenuto, per chi ne necessitasse è possibile arrivare a eseguire modelli fino a 120 miliardi di parametri, garantendo prestazioni elevate anche on-premise.

L’IA di Apsoft apprende nel tempo grazie al feedback degli utenti e può essere ulteriormente personalizzata dai suoi sviluppatori per aderire ai workflow specifici di ciascun cliente. Affinché l’adozione dell’intelligenza artificiale sia realmente efficace, è prevista anche una formazione mirata. La Gen-AI, infatti,

semplifica l’interazione grazie a interfacce conversazionali sempre più naturali, ma richiede comunque consapevolezza d’uso: la qualità delle risposte dipende in modo diretto da come si formulano le domande.

«La roadmap futura punta a sviluppare ulteriori servizi basati su questa architet-

«Un nostro punto di forza risiede nella capacità di adattarci ai sistemi informatici esistenti dei clienti, facendoli interfacciare con la tecnologia cutting edge dell’IA senza richiederne la sostituzione, ma fornendo funzionalità aggiuntive e la possibilità di scalare in funzione della crescita del loro volume del business»

tura, interfacciabile verso sistemi esterni e che può essere utilizzata per realizzare agent sempre più complessi, abilitando scenari di nuova generazione per il settore finanziario oltre alla ricerca semantica e Q&A su documenti aziendali: analisi automatizzata di contratti e compliance, supporto decisionale per analisti e gestori, automazione intelligente di processi, … nuove idee possono nascere anche nella pratica, dalla realizzazione dei prototipi dimostrativi che presentiamo a clienti o potenziali tali per testare concretamente il valore dell’IA nei loro flussi operativi quotidiani», anticipa il software architect. Accanto ai nuovi progetti di intelligenza artificiale, Apsoft continua a consolidare e potenziare le soluzioni sviluppate nei suoi ormai quasi 35 anni di attività, che

festeggerà l’anno prossimo. Un knowhow specialistico che dal core banking si è arricchito di nuove applicazioni e prodotti IT per gli intermediari finanziari svizzeri, dal Cash Desk Management (eTeller) alla gestione delle operazioni societarie (INCA - Income & Corporate Actions), fino ai sistemi di Front Asset Management (FAM) e analisi della redditività aziendale (ProMIS - Profitability Management Information System). Un ecosistema software che testimonia la profonda conoscenza delle logiche operative e regolamentari del settore.

In un mercato dominato da aggiornamenti pressoché quotidiani, Apsoft sceglie una via diversa: l’innovazione stabile. «Il nostro obiettivo non è inseguire ogni nuova feature dei modelli LLM, ma offrire ai clienti soluzioni solide e affidabili, sulle quali costruire valore nel lungo periodo», conclude Alessandro De Pellegrin.

Competenza, rigore e visione: è questa l’intelligenza - umana - che permette di portare quella artificiale nel cuore dei sistemi finanziari svizzeri, con la sicurezza, l’attenzione e la sensibilità che il settore richiede.

Via Livio 7, 6830 Chiasso Tel. +41 91 922 71 18 info@apsoftsa.ch apsoftsa.ch

Ragionare come Wall Street

L’intelligenza artificiale sta progressivamente facendo il suo ingresso nel mondo della finanza, ma con risultati discontinui. Il problema non è l’IA in sé, ma il modo in cui viene utilizzata.

Salutati come la nuova frontiera del trading e delle previsioni, i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) non hanno ancora mantenuto le loro promesse in finanza. Per chi non avesse familiarità con questa tecnologia: gli LLM sono sistemi di IA addestrati su enormi quantità di dati testuali per comprendere e generare un linguaggio simile a quello umano. Alimentano strumenti come ChatGPT e hanno dimostrato notevoli capacità di scrittura, ragionamento e analisi. Il settore della finanza ne ha subito intuito il potenziale per analizzare i dati di mercato, prevedere le tendenze e informare le decisioni di trading.

Ma il divario tra aspettative e applicazione ha suscitato un crescente scetticismo. I critici sono pronti a liquidare gli LLM come “modelli sapientoni che producono previsioni di seconda categoria”. Non hanno torto, ma considerano la questione da una prospettiva sbagliata. Il vero problema non è se l’IA possa aiutare a prevedere i mercati, ma se i modelli giusti vengano applicati nel modo giusto.

Prendiamo ad esempio GPT-5. Questo modello esemplifica sia la potenza che i limiti dell’IA generica: sa un po’ di tutto, ma non conosce abbastanza le specificità dei mercati finanziari. Aspettarsi che ne preveda i movimenti è come pretendere che un coltellino svizzero esegua un intervento chirurgico.

Il paradosso conoscitivo. Una buona previsione non consiste nel sapere tutto, ma nel sapere le cose giuste al momento giusto. I modelli LLM tradizionali vengono addestrati su decenni di dati, creando un problema di “onniscienza”. Se si chiede loro di fare previsioni per il 2018, avendo già visto il 2019 e il 2020, introdurranno un bias di anticipazione. Questo rende il backtesting - ovvero il processo

«I critici liquidano in finanza gli LLM come “modelli sapientoni che producono previsioni di seconda categoria”. Considerano però la questione da una prospettiva sbagliata. Il vero problema non è se l’IA possa aiutare a prevedere i mercati, ma se i modelli giusti vengano applicati nel modo giusto»

Stefan Klauser, CEO e cofondatore di Aisot Technologies

di valutazione di una strategia di trading sulla base di dati storici per testarne l’efficacia - essenzialmente privo di significato. È come sostenere un esame quando si conoscono già le risposte.

La soluzione sono i modelli time-boxed, addestrati esclusivamente sulle informazioni disponibili in un determinato momento storico. Ogni modello “sa” solo ciò di cui un gestore di portafoglio poteva essere al corrente in quel giorno. Più che formulare previsioni dirette, questi modelli eccellono nell’estrarre segnali dai

testi finanziari - segnali che possono poi alimentare strumenti di previsione specializzati, come i modelli di serie temporali o i framework cross-sezionali.

Parlare la lingua della finanza. Gli LLM generici sono costruiti per comprendere il linguaggio, come le parole si collegano e cosa significano le frasi. Ma i mercati finanziari non funzionano come il linguaggio. Seguono regole e modelli diversi che evolvono nel tempo a modo loro.

I modelli addestrati e perfezionati sui dati finanziari sviluppano un tipo diverso di interpretazione. Imparano a riconoscere i pattern rilevanti nei mercati: come le notizie influenzano i prezzi, come gli effetti si manifestano su diversi orizzonti temporali e quali segnali meritano attenzione a seconda delle condizioni. È la differenza tra leggere di musica e saperla suonare.

Il futuro è ibrido. Non si tratta di sostituire i metodi quantitativi tradizionali, ma di creare combinazioni intelligenti. Utilizzate modelli linguistici per il riconoscimento di pattern e per l’elaborazione delle notizie di mercato. Abbinateli a modelli di serie temporali progettati per sistemi finanziari dinamici e a modelli trasversali che forniscano linee guida robuste.

I critici hanno ragione sui limiti dei modelli generici nelle previsioni dirette, ma sottovalutano il potenziale di questo approccio.

La lezione è chiara: la finanza non ha bisogno di un’intelligenza artificiale onnisciente, ma di modelli che sappiano le cose giuste al momento giusto, sostenuti dalla disciplina temporale richiesta da previsioni rigorose.

Il plus di un approccio consulenziale all’IT

Un servizio rapido, affidabile e su misura qualifica Tesyr come partner informatico strategico per le PMI che cercano soluzioni efficienti, personalizzate e sicure, dal cloud al body rental.

La trasformazione digitale corre veloce e cresce la complessità delle scelte IT: per molte realtà, capire quali soluzioni adottare è diventato tutt’altro che scontato. «Non basta la competenza tecnica: occorre comprendere il modo di lavorare e le esigenze di ogni singola azienda per proporre soluzioni che ne semplifichino l’operatività e ne migliorino le prestazioni, garantendo infrastrutture efficienti e sicure, dall’impresa di due persone a realtà con decine di collaboratori», osserva Antonello Tilotta, fondatore della società di consulenza informatica Tesyr, a Lugano. Con un’esperienza professionale di 40 anni nel settore, lavorando anche come consulente Apple, ha maturato le competenze e la sensibilità che oggi trasferisce nella sua attività, ben radicata nel territorio. Se quando ha iniziato con i sistemi di rete tutto era ancora analogico, oggi l’adozione del cloud è imprescindibile per migliorare la produttività aziendale e favorire la collaborazione fra dipendenti in sede e da remoto, mantenendo i più elevati standard di sicurezza. Tesyr è certificata per supportare le imprese con le soluzioni Cloud Microsoft, che consentono di accedere ovunque ai programmi Office e ai documenti aziendali, condividere file in tempo reale tramite OneDrive, organizzare riunioni virtuali e anche integrare software di parti terze: un ventaglio di opzioni che richiede chi sappia garantirne la configurazione ottimale. «Lavorare in cloud permette di accedere ai propri dati ovunque, eliminando costi e complessità dei server on-premise, dunque liberando risorse per il core business. Sempre più aziende, complice anche il cambio generazionale, ne comprendono i vantaggi, anche in termini di sicurezza. L’esternalizzazione in cloud, con backup geo-ridondanti, garantisce rapidità di ri-

pristino e riduce la vulnerabilità agli attacchi informatici, sempre più sofisticati», sottolinea Antonello Tilotta.

Oltre alle garanzie offerte dai partner, Tesyr cura la protezione perimetrale e infrastrutturale dei clienti e organizza anche momenti formativi. «L’utente resta il punto più vulnerabile. Per questo sensibilizziamo al riconoscimento di phishing e, più di recente, delle manipolazioni vocali generate dall’IA».

Telefonia, gestionali, dati e siti web aziendali sono ormai sempre più spesso ospitati su server. Gold Partner di Swisscom , Tesyr funge da interfaccia tra le aziende e l’ecosistema per le PMI dell’operatore nazionale, progettando infrastrutture virtuali su misura collegate ai data center Swisscom Tier 4, massimo livello di sicurezza e continuità operativa.

A chi preferisse mantenere la gestione locale dei dati, Tesyr propone soluzioni on-premise basate su Proxmox, piattaforma open source di virtualizzazione dei server che assicura continuità operativa e disaster recovery (iperconvergenza) con costi minimi rispetto alle licenze dei competitor (in particolare verso VMware, che col nuovo modello di licensing imposto da Broadcom è diventato molto costoso).

La tecnologia trasforma anche il tradizionale centralino telefonico, sostituito da sistemi IP come 3CX, software leader per la gestione delle comunicazioni proposto da Tesyr. Installabile in sede o in cloud, si interfaccia con provider nazionali ed esteri. Grazie all’app mobile, è possibile ricevere ed effettuare ovunque chiamate con il numero aziendale. Le funzionalità avanzate permettono di generare report per monitorare qualità del servizio e performance, oltre all’integrazione con il CRM. «La telefonia in entrata è il biglietto da visita per un’azienda: un sistema da noi configurato, in dialogo

Antonello Tilotta, fondatore e titolare di Tesyr, basata nel Luganese.

con il gestionale del cliente, consente di smistare i flussi di chiamate e accedere alle informazioni sui contatti in tempo reale, garantendo risposte rapide e personalizzate. È un servizio essenziale per fidelizzare i clienti e convertire i lead», sottolinea il titolare di Tesyr.

Il suo portfolio di clienti comprende: studi legali, medici, architetti e realtà produttive del Luganese e ticinesi che ne apprezzano la consulenza su misura, le soluzioni scalabili e l’assistenza rapida, con interventi da remoto che riducono tempi e costi. A completare l’ approccio di vicinanza operativa, Tesyr offre il servizio di body rental, dedicando alle aziende un referente IT con presenza programmata - da mezza giornata all’intera settimana. «Una formula flessibile per beneficiare delle competenze di un nostro esperto che conosce molto bene l’infrastruttura del cliente senza dover assumere un nuovo collaboratore ed evitando di affidare mansioni tecniche a figure non qualificate», conclude Antonello Tilotta.

In un mercato orientato alla standardizzazione, Tesyr rappresenta dunque un modello alternativo che riflette la passione del suo fondatore: una realtà capace di personalizzare la tecnologia in funzione dei processi aziendali, con un approccio consulenziale fondato su ascolto, competenza e continuità.

Via al Fiume 1

6929 Gravesano

Tel. +41 91 994 10 80

info@tesyr.ch

Architettura della coerenza

Integrare l’IA nei processi di branding, marketing e comunicazione non è solo una sfida tecnologica: è un lavoro di design cognitivo, per dare forma al pensiero aziendale e connettere i dati in una sintassi coerente. Un esercizio di intelligenza progettuale in cui

Ander Group accompagna i brand, creando esperienze digitali che riflettono la loro identità, imparano dalle interazioni e accelerano il raggiungimento degli obiettivi strategici.

Qualche mese fa un cliente ci ha chiesto di implementare un sistema di intelligenza artificiale per “migliorare le decisioni commerciali”. Aveva dati, aveva budget, aveva urgenza. Quando abbiamo iniziato a porre domande - quali decisioni volete migliorare, chi le prende oggi, in base a che criteri e con quali strumenti - è emerso che nessuno lo sapeva con precisione. Il problema non riguardava la tecnologia, ma la capacità di definire che cosa, per loro, significasse “decidere bene”. Questo episodio ha messo a fuoco una verità spesso trascurata. L’intelligenza artificiale non ripara le organizzazioni: le rivela. Amplifica ciò che è coerente e fa emergere ciò che è disallineato. Ogni modello intelligente, prima ancora di generare valore, riflette la qualità del pensiero che lo ha originato. Dove le relazioni tra dati, processi e persone risultano fragili,

«L’intelligenza artificiale non ripara le organizzazioni: le rivela. Amplifica ciò che è coerente e fa emergere ciò che è disallineato. Ogni modello intelligente, prima ancora di generare valore, riflette la qualità del pensiero che lo ha originato»

la tecnologia non costruisce ponti: ne illumina le fratture.

Se ci pensiamo, un’impresa è un sistema cognitivo. Vive di connessioni, linguaggi e decisioni che, nel loro insieme, definiscono la sua intelligenza naturale. Quando questi elementi non comunicano, la conoscenza si disperde e il processo decisionale si riduce a un insieme di reazioni episodi-

che. In uno scenario del genere l’IA fatica a produrre risultati, non per limiti tecnici, ma per carenza di struttura mentale.

Da questa consapevolezza nasce l’approccio di Ander Group. Prima di introdurre modelli o algoritmi, verifichiamo la capacità dell’organizzazione di pensare in modo sistemico. Un’impresa che sa apprendere da sé è anche quella che può dialogare con l’intelligenza artificiale senza snaturarsi.

Progettare ecosistemi grazie all’IA, per noi, significa dar forma alla conoscenza. È un lavoro di design cognitivo che porta alla luce le regole implicite del pensiero aziendale - come si prendono le decisioni, quali informazioni orientano le priorità, quali connessioni generano valore. Non si tratta di accumulare dati, ma di dotarli di una sintassi. In questa fase, branding, architettura informativa e tecnologia si intrecciano: un brand coerente non è soltanto una somma di segni visivi, è la manifestazione di un modo di ragionare. Quando dati e comunicazione rispondono alla stessa logica, la tecnologia smette di apparire come una sovrastruttura e diventa parte del metabolismo dell’impresa. Negli ultimi anni la retorica della “democratizzazione dei dati” ha incoraggiato una fiducia quasi ingenua nell’accesso indiscriminato all’informazione. Anche noi, in qualità di partner HubSpot, abbiamo sostenuto questa visione. L’esperienza diretta ci ha mostrato il suo lato meno produttivo. Un cliente, ad esempio, aveva reso accessibili a tutti i team i risultati delle campagne marketing con l’obiettivo di aumentare trasparenza e responsabilità. I numeri erano condivisi, ma le interpretazioni divergenti: il reparto vendite parlava di lead di scarsa qualità, il marketing di lead ignorati. Nessuno aveva torto, ma nessuno riusciva ad avanzare. Le informazioni erano molte, mancava la grammatica che le rendesse comprensibili.

Da allora abbiamo maturato una convinzione netta: la conoscenza non coincide con l’accesso. Serve una cultura capace di leggere, contestualizzare e collegare. L’intelligenza realmente distribuita non si misura in quantità di dashboard, ma nella consapevolezza con cui ogni funzione sa utilizzare le informazioni di sua pertinenza. È un equilibrio delicato fra apertura e competenza, fra libertà interpretativa e responsabilità decisionale. L’IA è utile quando diventa un’estensione del pensiero, non un sostituto del giudizio.

Quando questa armonia si realizza, la tecnologia smette di occupare spazio e, paradossalmente, lo restituisce. È quanto abbiamo sperimentato collaborando con un importante player del settore Healthcare del territorio. Il sistema conversazionale (chatbot) sviluppato interpreta il linguaggio naturale degli utenti, restituisce risposte accurate e aggiornate citando le fonti ufficiali e si integra con rigore nell’identità digitale dell’organizzazione. La sua efficacia risiede nella discrezione: accompagna l’utente, non lo distrae. È un esempio concreto di come l’intelligenza artificiale possa rafforzare la fiducia invece di pretenderla.

Lo stesso principio orienta l’adozione interna dell’IA in Ander Group. Non un esperimento parallelo, ma un elemento organico del lavoro quotidiano. La fase di analisi preliminare di un brief - ricerca di dati di settore, benchmarking competitivo, individuazione di trend - richiedeva in media giornate intere di lavoro. Oggi gli strumenti di IA completano l’elaborazione in poche ore, liberando tempo per l’interpretazione strategica e la costruzione di ipotesi creative. Il cambiamento più significativo riguarda la qualità del tempo. Le attività ripetitive a basso contenuto cognitivo, un tempo affidate a schiere di stagisti, vengono assorbite dal sistema; i professionisti possono concentrarsi sulle decisioni che incidono davvero.

Per Ander Group l’intelligenza artificiale rappresenta un’evoluzione naturale del metodo. Dopo anni di integrazione tra strategia, design e tecnologia, la nuova frontiera è costruire organizzazioni che imparano da ciò che fanno e che trasformano ogni interazione in apprendimento. Le opportunità non emergono da singoli strumenti, ma da architetture intelligenti capaci di adattarsi e rigenerarsi nel tempo. Continueremo a portare l’IA nei processi di branding, marketing e comunicazione

«Progettare ecosistemi grazie all’IA, per noi, significa dare forma alla conoscenza. È un lavoro di design cognitivo che porta alla luce le regole implicite del pensiero aziendale - come si prendono le decisioni, quali informazioni orientano le priorità, quali connessioni generano valore. Non si tratta di accumulare dati, ma di dotarli di una sintassi»

Florian Anderhub, Fondatore e Chief Vision Officer di Ander Group

Dalla costruzione di un brand forte alla generazione di lead qualificati

Panoramica sui servizi di Ander Group

Brand Strategy, Design& Experience

Diamo forma al valore delle aziende unendo Storytelling e Design. Perché un’identità ben articolata è alla base di ogni relazione duratura con clienti, stakeholder e collaboratori.

Performance Marketing

Coniugando creatività e analisi traduciamo l’essenza dei brand in campagne mirate per raggiungere il pubblico giusto al momento giusto, massimizzando l'engagement e il ROI

Sofware, AI & Data Engineering

Grazie a GoodCode, la nostra software house, integriamo strategia, sviluppo di soluzioni digitali ad alte prestazioni, IA e ingegneria dei dati, creando strumenti sicuri e scalabili Business Process Mangament

Formalizziamo processi aziendali di marketing, vendita e post-vendita in modo efficace e misurabile, per garantire efficienza, qualità e coerenza nei flussi operativi

HubSpot Customer Platform

per creare esperienze digitali capaci di riflettere l’identità dei brand e, soprattutto, di aiutarli a raggiungere ancora più rapidamente i propri obiettivi strategici. In parallelo, proseguiremo nell’utilizzo interno come leva di efficienza e come moltiplicatore del giudizio umano.

Resta aperta una domanda essenziale: fino a che punto un’organizzazione può delegare il proprio discernimento senza perdere identità. L’IA consente di automatizzare decisioni, prevedere comportamenti, rispondere ancor prima che la domanda venga formulata. È una conquista straordinaria, ma può trasformare la coerenza in rigidità e rendere invisibili le eccezioni. Governare questo rischio richiede scelte precise: stabilire cosa automatizzare e cosa lasciare fluido, dove privilegiare la previsione e dove accettare l’imprevisto, quando amplificare e quando contenere.

L’intelligenza artificiale non si manifesta come minaccia alla creatività né

come orizzonte di automazione cieca. È una grammatica del pensiero che spinge le organizzazioni a chiarire il proprio scopo, a definire i criteri della propria logica, a riconoscere i limiti entro cui agire. In quello spazio, tra la visione e il dubbio, tra l’intelligenza delle macchine e quella delle persone, continueremo a muoverci. Non perché possediamo tutte le risposte, ma perché abbiamo compreso che le domande giuste valgono più delle soluzioni premature.

Via Cantonale 4

6928 Manno Trichtenhausenstr. 58

8053 Zürich

Tel. +41 91 966 99 66 welcome@ander.group

Creare ricordi luminosi

Icona dello Swiss Made, da oltre 110 anni Caran d’Ache crea nei suoi atelier ginevrini strumenti che accendono la creatività dei piccoli e ispirano il genio dei grandi. Carole Hubscher, quarta generazione della Maison, racconta la sfida di perpetuarne savoir-faire e magia, anche innovando.

Per me, la “magia Caran d’Ache” corrisponde a un ricordo sensoriale preciso, condiviso da milioni di persone: l’emozione della prima scatola di matite ricevuta in regalo, nel mio caso quella di Prismalo decorata dall’immagine del Cervino. Avrò avuto 4 o 5 anni. Aprendola, il profumo unico e confortante del legno di cedro si mescola ai colori, svelando un arcobaleno. Un momento intenso, che resta per sempre. Questa è la nostra magia: creare ricordi luminosi.

Anche la scrittura a mano fa da sempre parte del mio mondo e le sono rimasta fedele. Usare un’agenda cartacea mi aiuta a visualizzare il tempo e a strutturare le idee. In un’epoca dominata dal digitale e dall’intelligenza artificiale, sono convinta che il gesto della mano che ‘pensa’ sulla carta sia un modo per preservare una forma di creatività e autenticità che ci è propria.

Come rappresentante della quarta generazione, la motivazione a perpetuare l’impegno e l’eredità della nostra azienda familiare è profonda e va oltre la gestione patrimoniale. Prima di entrare a farne parte nel 2012, ho voluto mettermi alla prova da sola. Queste esperienze, in particolare negli Stati Uniti, mi hanno confrontata con altre culture aziendali e insegnato l’importanza cruciale dell’orientamento al cliente. Quando sono tornata, è stato per scelta e ho potuto portare più strumenti e una nuova prospettiva per valorizzare i punti di forza della nostra Maison e capire in cosa migliorare.

Il mio approccio è stato guidato da una convinzione: abbiamo una storia e dei valori straordinari, ma dobbiamo farli conoscere. Mio padre Jacques ha sempre privilegiato la discrezione, ma credo che un know-how unico come il nostro meriti di essere raccontato. Oggi proponiamo oltre 3.500 referenze e 400 sfumature in 90 paesi. Dietro ogni creazione si cela il

Carole Hubscher, Presidente di Caran d’Ache. L’azienda si è qualificata seconda al Prix SVC Genève 2021.

savoir-faire dei nostri artigiani, che perpetuano gesti meticolosi con pazienza, maestria e passione. Per una sola matita occorrono circa 50 ore di lavoro e 35 fasi, molte ancora manuali. I nostri 300 dipendenti riuniscono più di 90 professioni sotto lo stesso tetto. Questa ricchezza umana è al centro della nostra eccellenza, conferendo a ogni strumento il suo carattere, la sua autenticità e la sua anima.

Ho quindi investito molte energie nel condividere i nostri valori. Internamente, ho voluto abbattere i silos. Credo nel “management by walking around”: essere sul campo, parlare con tutti. E nello spirito collaborativo: il mio motto è “Da soli si va più veloci, insieme si va più lontano”.

La passione è il motore di tutto. Senza, non si trasmette nulla. Poi serve una visione a lungo termine. Come azienda familiare non siamo guidati dai risultati trimestrali, ma pensiamo alla generazione successiva. Ciò richiede pazienza, resilienza, curiosità e umiltà per sapersi circondare di talenti, oltre a un profondo rispetto per chi ogni giorno fa di Caran d’Ache ciò che è.

Vedo ogni nuovo investimento come un impegno verso il futuro della creatività e della scrittura a mano: dalla ricerca di nuovi colori allo sviluppo di gamme alla costruzione della nuova manifattura di Bernex. Questo progetto costituisce sicuramente la nostra sfida più significativa degli ultimi anni. Con oltre mezzo secolo, il sito attuale non è più adeguato. Costruire un nuovo stabilimento in Svizzera è però una grande sfida finanziaria e umana, che abbiamo affrontato collettivamente, condividendone il senso con tutti i collaboratori. Rappresenta il nostro futuro: sarà lo scrigno del nostro savoir-faire e il fulcro delle future innovazioni. Incarnerà i nostri valori, soprattutto la sostenibilità, con standard ecologici molto elevati. Caran d’Ache ha sempre privilegiato un’economia circolare e di prossimità.

Scrivere nuovi capitoli preservando l’eccellenza artigianale e la magia di un “love brand” significa evitare di musealizzarsi. Bisogna continuare a creare prodotti eccezionali ma in sintonia con il presente. Innovare è una sfida continua: non accontentarsi mai del bene quando si può fare meglio, per trasmettere un’eredità solida.

Il passaggio di consegne è un pensiero costante, ma senza pressioni. Ho tre figli, e mia sorella altrettanti. Il messaggio è chiaro: la porta è aperta, ma senza obblighi. Devono seguire le loro passioni e costruire la propria strada. La priorità è la continuità dell’azienda, qualunque forma essa assuma.

Se fossi un colore tra le nostre 400 tonalità? Sarei il rosso: pieno di energia e passione, non lascia indifferenti. È il colore del marchio “Swiss Made” che garantisce la nostra qualità, ma simboleggia anche la vita e la determinazione. È con questa energia che cerco di guidare la nostra Maison ogni giorno.

In collaborazione con Swiss Venture Club (SVC)

ESPERIENZA CHE GUIDA

I TUOI INVESTIMENTI

STRATEGIE INDIPENDENTI

E DI NICCHIA DAL 1971

Decarbonizzare con profitto

Con il suo innovativo marketplace, una start up luganese punta a ridefinire il rapporto tra imprese e produzione green, rendendo profittevole e accessibile la sostenibilità per aziende europee di grandi e medie dimensioni.

Per la maggior parte delle imprese, il consumo di elettricità rappresenta la principale voce delle proprie emissioni indirette di gas serra derivanti dall’energia acquistata (Scope 2). Tuttavia investire in impianti rinnovabili on-site per aumentare l’autoproduzione carbon free richiede capitali elevati e tempi di ritorno lunghi, senza coprire che una percentuale irrisoria del fabbisogno di aziende energivore come nell’industria pesante, chimica o nell’It, mentre i Power Purchase Agreement (Ppa) comportano contratti pluriennali, lunghi processi di negoziazione e volumi minimi di acquisto rilevanti (spesso oltre 20 GWh/anno). Rimane la via delle Garanzie di Origine (Go), un sistema di certificati disgiunto dalla distribuzione fisica della corrente, utilizzati per attestare la provenienza dell’elettricità da fonti rinnovabili. «Acquistare questi certificati emessi da un ente nazionale, Pronovo in Svizzera, significa però per le aziende sostenere costi aggiuntivi, ricorrenti ed estremamente volatili, il tutto generando un impatto poco comunicabile. Secondo noi è invece giusto che chi consuma energia verde sia ricompensato, ottenendo anche un vantaggio economico. Per questo abbiamo sviluppato un marketplace che ribalta le logiche del mercato delle energie rinnovabili», afferma Nicola Scarinzi. Un’idea che, alla start up da lui cofondata con Manuel Bonù, suo compagno di studi all’Università della Svizzera italiana, è valso il terzo posto nella categoria “Finanza e Assicurazioni” a >>venture>>, principale competizione per imprendi-

tori emergenti in Svizzera. «Dal primo abbozzo sui banchi di un esame di economia aziendale, l’impostazione è evoluta molto, soprattutto grazie al supporto di un Advisory Board di professionisti con grande esperienza nel mercato dell’energia e in certificati green che hanno da subito creduto nel nostro approccio», spiega Nicola Scarinzi.

Unicum a livello globale, la piattaforma digitale della start up ticinese permette alle aziende consumatrici di contrattualizzare impianti fotovoltaici dislocati sul territorio svizzero e italiano. Le Go prodotte da questi ultimi vengono cancellate sui registri ufficiali da Dec Energy, consentendo alle imprese di comunicare il proprio consumo di elettricità come green. L’energia prodotta dall’impianto non viene trasferita all’azienda - che può continuare a far capo al proprio fornitore - ma è venduta in comunità locali, generando impatto sociale e profitti distribuiti all’azienda a

fine anno, comportando una riduzione indiretta dei costi energetici fino al 17%.

«Attualmente nella nostra deal pipeline abbiamo una trentina di provider, per una potenza complessiva installata di oltre 1 GW, fra cui cinque impianti già pubblicati in piattaforma. In particolare ci rivolgiamo a proprietari di portafogli come fondi di investimento o produttori indipendenti, interessati ad accelerare la crescita del proprio portafoglio di assets. La vera sfida è però stimolare la domanda. Siamo riusciti già a mettere in piedi una struttura di vendita performante: 600 le aziende contattate negli ultimi 8 mesi tra Italia e Svizzera, con un tasso di risposta superiore al 50%. Ne abbiano incontrati più di 60 per approfondire i vantaggi dell’adozione della nostra soluzione», evidenzia il Ceo. Come prevedibile, fra i settori più ricettivi l’industria pesante, siderurgica e chimica, ma anche It e, a sorpresa, i servizi finanziari, molto sensibili alla tematica.

Dania Piccioli, GO & Sustainability

« La visione di Dec Energy è potente e semplice. In pratica, si prendono due piccioni con una fava: decarbonizzare e risparmiare, con un approccio snello e accessibile. La proposta supera le complessità burocratiche e le lunghe pratiche amministrative tipicamente legate ai tradizionali Ppa, aprendo così la partecipazione a consumatori di ogni dimensione. Per noi di Nvalue, è un passo entusiasmante verso un futuro energetico più pulito ed efficiente, un’opportunità per ampliare le soluzioni all’avanguardia con cui da ormai quasi 18 anni accompagniamo i nostri clienti nei loro percorsi di decarbonizzazione, garantendo l’approvvigionamento in elettricità rinnovabile »

Anche >>venture>>, radar per eccellenza delle start up svizzere più promettenti, ha premiato la rivoluzionaria piattaforma per la produzione di energia rinnovabile sviluppata da DEC Energy. Accanto, i due cofondatori: da destra, Nicola Scarinzi (Ceo) e Manuel Bonù (Coo).

«Al contempo, come player nuovo in un mercato particolarmente tradizionalista è per noi fondamentale poter contare anche su gruppi di consulenza Esg, Energy, o Sustainability, che proponendoci fra le opzioni del loro portafoglio ci aiutano indirettamente a entrare in contatto con le aziende, come è il caso di Nvalue, trader di certificati green svizzero, tra i più importanti a livello europeo», osserva Nicola Scarinzi. Il processo di vendita di Dec Energy prevede una parte di education molto importante per spiegare il suo modello altamente innovativo al cliente finale: «Le medie e grandi aziende che sono il nostro target, con migliaia di dipendenti, non decidono su due piedi di cambiare sistema. Si deve passare dall’energy management, superare un assessment tecnico, fino a convincere Cfo e proprietà. Iniziare già durante gli studi universitari è stato altamente formativo, sia come imprenditori emergenti che come persone», spiega Nicola Scarinzi. Mentre lui si de-

dica alle relazioni commerciali, con fornitori e investitori, Manuel coltiva prodotto e sviluppo tecnologico della piattaforma, affiancati da tre altri collaboratori.

Oltre alla componente tecnologica, anche il costrutto legale di Dec è all’avanguardia per garantire fluidità e trasparenza. La durata contrattuale prevista è decennale: un equilibrio tra le esigenze dei fornitori, che grazie al pagamento anticipato una tantum dell’affitto liberano subito parte del capitale, e quelle dell’azienda, che mantiene flessibilità con la possibilità di recesso previ 12 mesi di preavviso.

Ma non c’è il rischio che optando per questa soluzione le aziende si preoccupino meno di abbattere le loro emissioni alla fonte? «Siamo i primi a incoraggiarle all’autoproduzione. Senza volersi sostituire la nostra soluzione è complementare, coprendo la parte di consumo che resta energivora dopo l’installazione di impianti propri», chiarisce Nicola Scarinzi.

Il terzo piazzamento a >>venture>> oltre alla soddisfazione e al grant da 10mila

Paolo Rossi, Strategy & Energy

« Grazie alla prospettiva fresca e dinamica dei suoi due giovani fondatori, Dec dimostra la capacità di sintesi tra mondi diversi: produttori che cercano un rapido ritorno sull’investimento e consumatori, desiderosi di accedere in modo flessibile a energia verde e certificati CO2. L’idea innovativa è sostituire la spesa corrente in certificati con formule di affitto di rami d’impresa fotovoltaici, trasformando un costo in partecipazione attiva. La piattaforma riduce tempi e costi di scouting e due diligence, aprendo nuovi orizzonti di mercato. Dec segna il passaggio del fotovoltaico da strumento passivo a industria attiva: un ecosistema digitale che connette bisogni, persone e sostenibilità »

franchi, ha offerto alla start up ottime occasioni di networking con C-Level delle principali aziende svizzere e internanazionali. Prossimo obiettivo: raggiungere 100mila franchi di fatturato, prevedibilmente nel primo trimestre 2026, per poi aprire un round di finanziamento tra 1 e 1,5 milioni di franchi. «Con limitati costi fissi, il nostro non è un prodotto capital intensive, però è chiaro che a una realtà ambiziosa come la nostra raccogliere finanziamenti esterni permette di accelerare la crescita. Soprattutto cerchiamo investitori che possano garantirci anche un valore aggiunto in termini di esperienza manageriale e, in particolare, di supporto commerciale», sottolinea Nicola Scarinzi, contento ora, da poco archiviati gli studi universitari, di potersi dedicare al 100% al progetto. «Conciliare studio e lavoro non è stato semplice. D’altro canto con una start up ti trovi ad affrontare situazioni molto complesse tutti i giorni, per cui gli esami diventano quasi facili», conclude Nicola, pronto ad affrontarne tante altre di prove, con l’energia per renderle sostenibili.

Andrea Moroni Stampa, Startup & Tech

« Fra le realtà emergenti nell’ecosistema dell’innovazione Svizzera, Dec Energy spicca per solidità del modello e visione sistemica: non una semplice start up green, ma una piattaforma che ridefinisce il rapporto tra imprese e produzione energetica, trasformando il costo dei certificati CO2, in un investimento redditizio, con una partecipazione diretta alla transizione energetica. In un contesto in cui la Svizzera dipende ancora in larga misura dalle importazioni energetiche, questo progetto rappresenta un cambio di paradigma concreto: energia come asset strategico, accessibile, trasparente e decentralizzato. Una visione che unisce innovazione tecnologica e impatto reale sul territorio »

Flessibilità o innovazione?

Laddove non esista una complementare cultura aziendale, lavorare con flessibilità rischia di diventare un occulto modello 996 cinese, negativo per collaboratori e azienda.

Quale conviene di più?

Due modelli aziendali a confronto

Modello 996

9 am – 9 pm, 6/7 giorni

Modello sostenibile

Orari definiti + rigenerazione

Alta produttività iniziale Produttività costante nel tempo

Burnout, turnover, assenze Retention, creatività engagement

Leadership autoritaria Leadership distribuita

Focus su quantità di ore

IFocus su qualità e senso

l modello 996 cinese, ossia 9 am9 pm, sei giorni su sette, non è solo un eccesso lavorativo, è un campanello d’allarme per ogni azienda che parla di flessibilità senza cultura.

Nonostante le proteste, il 996 approda nella Silicon Valley mentre molti in Europa celebrano smart working, settimana corta, ‘remote-first’. Senza una leadership che comunica, connette e coordina, la flessibilità si trasforma in un 996 mascherato: tante ore, poca struttura, nessun senso e costi invisibili per l’azienda.

Nato come tributo alla dedizione estrema nella Tech cinese, il 996 promette sprint produttivo, ma in cambio sacrifica salute, creatività e talenti. Studi recenti rivelano che troppe ore colpiscono proprio la produttività, alimentano il burnout e compromettono la retention.

Infatti, Swiss Risk & Care stima circa 8,3 giorni di assenza per dipendente all’anno in Svizzera e un costo annuo dell’assenteismo superiore a 4 miliardi di franchi. A questi costi diretti (salario dell’assente, reclutamento, formazione, salario del sostituto) si aggiungono costi

indiretti (perdita di produttività, disorganizzazione del team, ritardi, peggioramento delle condizioni di lavoro) pari a da tre a cinque volte quelli diretti.

Il lavoro distribuito funziona solo se governato. Senza regole chiare e connessioni reali, genera isolamento e disorientamento. Uno studio europeo su 3.400 lavoratori dimostra che il telelavoro non migliora automaticamente la salute mentale: la cultura che lo accompagna è ciò che fa la differenza.

La leadership distribuita. Per trasformare la flessibilità in strategia servono essenzialmente tre leve:

- Comunicare. Non basta un messaggio Slack alle 22: serve chiarezza su ruoli, aspettative e tempi;

- Connettere. I team remoti hanno bisogno di rituali, incontri fisici, workation intelligenti per generare comunità;

- Coordinare. Autonomia sì, anomia no: servono obiettivi visibili, feedback costanti, fiducia misurabile.

Una meta-analisi sul telelavoro evidenzia che ‘lavorare da ovunque’ non basta: bisogna progettare esperienze

Francesca Prospero Cerza, fondatrice di coworkingbar.ch. A lato, il modello classico 996 presenta tutta una serie di svantaggi e costi spesso nascosti.

che supportino autonomia, competenza e relazioni. Le aziende vincenti non accumulano ore, ma rendono sostenibile il lavoro, mettendo benessere ed energia produttiva al centro.

Checklist per agire entro 90 giorni:

- C’è una policy scritta per il lavoro ibrido con limiti e momenti di rigenerazione?

- I manager sono formati a gestire team distribuiti, non solo a misurare ore?

- Si monitorano engagement, benessere e retention oltre alle ore?

- Si è provato un ‘ritiro’ o una workation per riallineare cultura e connessione?

La flessibilità è una leva strategica, non un lusso. Ma senza leadership distribuita e senso condiviso, rischia di tornare alla forma più primitiva del lavoro: ore infinite e innovazione che si brucia.

Il futuro non sarà ‘fare più ore ovunque’, ma fare meglio, insieme, ovunque. Un off-site o business retreat, progettato come esperienza completa, è il laboratorio della nuova leadership rigenerativa. Cosa costa di più? Una cultura 996 che dissipa energia o off-site periodici che costruiscono senso di appartenenza?

Per un’azienda di 50 persone in Ticino, l’assenteismo può costare fino a 700mila franchi l’anno. Nel 2025 il vantaggio competitivo è avere team affidabili, connessi e motivati, non solo ‘sempre disponibili’. Un Manager Hr o C-level che firma policy Wfa (Work From Anywhere), dovrebbe chiedersi sempre: sto creando vera flessibilità o solo mascherando un 996 con nomi più moderni?

Fonte: SwissRisk&Care
Costi occulti
I costi invisibili del modello 996 in Svizzera
Caso azienda tipo (50 dipendenti)
Costo indiretto stimato minimo
Costo diretto
Costo indiretto stimato massimo
Fonte: Ndr

Se l’algoritmo è all’opera

È ormai corrente usare l’intelligenza artificiale per scrivere testi, creare immagini, cercare informazioni o semplificare il lavoro.

Ma quali diritti ha l’utente sul contenuto generato?

Chi può essere considerato legittimo proprietario dei contenuti generati dall’intelligenza artificiale? Il ramo del diritto più adatto per tentare di rispondere alla domanda è quello d’autore, in riferimento alla legge statunitense.

Secondo la Costituzione e la legge sul copyright degli Stati Uniti, la protezione del diritto d’autore non si estende a qualsiasi creazione. Affinché un’opera sia tutelata, devono essere soddisfatti tre requisiti: l’autorship, ovvero la presenza di un autore; l’originalità, che implica una creazione indipendente dotata di un minimo livello di creatività; e infine la fissazione, requisito cardine, poiché il copyright non protegge idee astratte, ma solo quelle espresse in una forma tangibile.

Se applichiamo questi requisiti ai contenuti generati dall’Ia, notiamo che l’originalità e la fissazione sono soddisfatte facilmente. L’intelligenza artificiale lavora in modo indipendente e non copia da altri, e i risultati sono leggibili o visibili, quindi anche la fissazione è data. Il problema principale è l’autorship, poiché né la Costituzione né la Legge sul copyright definiscono chiaramente cosa sia un “autore”. Non è dunque chiaro se il ruolo possa esser attribuito all’Ia o allo user.

Mi sono quindi rivolto all’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti (Usco), che ha affrontato per la prima volta un caso del genere nel 2018 con il Dr. Thaler. Quest’ultimo aveva creato uno strumento Ia che era in grado di generare automaticamente immagini. L’Ufficio ha rifiutato la registrazione dell’opera perché mancava di un autore umano, non riconoscendo quindi l’utente come autore dell’opera e negando la possibilità di attribuire diritti d’autore all’intelligenza artificiale.

Il motivo risiede nel modo in cui l’intelligenza artificiale lavora durante la generazione dell’output. L’Ia, oltre che sul nostro input, basa la sua risposta anche su un qualcosa chiamato “random seed”: una sorta di “punto di partenza”. Anche se l’utente inserisce più volte lo stesso prompt, l’Ia può produrre risultati diversi a causa di queste condizioni di partenza casuali, programmate proprio per evitare che lo strumento dia sempre la stessa risposta. Questa variabilità sottolinea che l’utente non ha controllo definitivo sul risultato dell’Ia e non può essere considerato l’autore del lavoro. Questa posizione è rimasta coerente in tutti i casi successivi. Le decisioni dell’Ufficio del Copyright

«La giurisprudenza emergente dimostra un approccio coerente: senza un contributo creativo umano, le opere generate dall’Ia non rientrano nell’applicazione della protezione del diritto d’autore»

possono però essere oggetto di ricorso in Tribunale. Poiché l’ultima parola spetta al giudiziario, per avere un’immagine completa sul problema, è necessario analizzare come quest’ultimo affronta questo tipo di problematica. A seguito dell’ennesimo rifiuto dell’Ufficio di registrare la sua immagine generata dall’intelligenza artificiale, nel 2022 Dr. Thaler ha intentato causa presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia contro l’Ufficio. Nelle sue considerazioni il Tribunale ha confermato la decisone dell’Usco, sottolineando che la legge sul copyright è radicata nell’autorship

umana. Anche il Tribunale d’appello ha in seguito (marzo 2025) confermato questa decisione, aggiungendo che vi sono molte disposizioni nella legge sui diritti d’autore che presuppongono un autore umano, come la necessità di una firma per trasferire i diritti.

Il trattamento giuridico delle opere generate dall’intelligenza artificiale è ancora agli inizi. Sebbene la conferma in appello attribuisca un peso significativo al requisito dell’autore umano, altre controversie, come Allen v. Perlmutter (Théâtre d’Opéra Spatial), rimangono pendenti e potrebbero fornire ulteriori indicazioni.

Ciononostante, la giurisprudenza emergente dimostra un approccio coerente: senza un contributo creativo umano, le opere generate dall’intelligenza artificiale non rientrano nell’ambito di applicazione della protezione del diritto d’autore.

Diverso è invece il caso dei lavori in cui il contributo dell’utente riveste un ruolo significativo. L’Ufficio ha accennato a un possibile allentamento del proprio approccio, ma in questo ambito mancano ancora decisioni dei tribunali.

Anche in Svizzera l’approccio è simile: l’art. 2 cpv. 1 Lda chiarisce che le opere devono essere delle “creazioni dell’ingegno”. La dottrina giuridica svizzera concorda sul fatto che solo gli esseri umani possono realizzare una tale creazione intellettuale. Pertanto, i contenuti generati interamente dall’Ia, senza alcun contributo creativo umano, non possono essere considerati “opera” ai sensi della Lda e non possono quindi essere protetti dal diritto d’autore.

Luca Brochetta, studente di Diritto all’Università di Zurigo (Uzh).

Eclettiche linee di metamorfosi

Tra passato e futuro, materia e pixel, un linguaggio che unisce estetica e pensiero. Una ricerca, sospesa tra arte classica e intelligenza artificiale, che esplora il concetto di bellezza contemporanea come trasformazione costante dell’essere umano nell’era tecnologica.

In un’epoca in cui la realtà si fonde con il digitale, l’arte di Andrea Crespi si distingue per la capacità di dialogare con entrambi i mondi, trovando nella linea la chiave di un linguaggio visivo e concettuale unico. «La mia ricerca si costruisce su un gioco di linee infinite che riempiono lo spazio senza mai incontrarsi. È una cifra estetica riconoscibile, pensata per attrarre lo sguardo e allo stesso tempo destabilizzarlo. Invito chi osserva a cambiare prospettiva: avvicinarsi e allontanarsi dall’opera per scoprire il messaggio o la figura custodita tra le linee», sintetizza l’artista. Questa tensione tra vicinanza e distanza diventa metafora della condizione umana contemporanea: «Quando siamo

troppo dentro le situazioni, rischiamo di non vederle davvero con chiarezza. Solo facendo un passo indietro, prendendo un po’ di distanza, possiamo cogliere il quadro completo e affrontare tutto con maggiore lucidità», nota Andrea Crespi, la cui ricerca si concentra oggi sull’analisi della società e sul modo in cui la tecnologia ne sta ridefinendo l’identità. «Ogni mia opera, sia fisica che digitale, nasce da uno sguardo critico rivolto alla società contemporanea. Spesso affronto queste esplorazioni partendo dal passato, attingendo alla storia dell’arte classica come chiave per interpretare e comprendere ciò che stiamo vivendo. La mia arte cerca di aprire molteplici riflessioni e domande in chi la osserva. Una delle tematiche

più evidenti è quella della metamorfosi: mi interessa indagare come la tecnologia stia entrando sempre più profondamente nelle nostre vite, trasformando il nostro modo di percepire, comunicare e persino di esistere». Andrea Crespi costruisce così un equilibrio tra estetica e riflessione sociale, in cui la bellezza diventa strumento di pensiero. «Credo che l’arte, oltre a generare bellezza, abbia il compito di stimolare nuove domande. Ogni mio lavoro nasce da un pensiero critico, da un’osservazione attenta della società in cui viviamo. L’estetica, per me, è il linguaggio attraverso cui rendere accessibile la riflessione: la forma attrae, ma è il contenuto a trattenere lo sguardo. In questo equilibrio tra armonia visiva e profondità

© Courtesy of the Artist.

Nella pagina accanto, Andrea Crespi, accanto alla sua opera Amore & Psiche/Artificial & Physical, resina, 2024, attualmente esposta alla Fabbrica del Vapore di Milano, dove è in corso la sua mostra Artificial Beauty

Sotto, a sinistra, Robot of the year, olio e acrilico su tela, 2025 e, a destra, Head of Aphrodite, marmo di Carrara, 2024.

concettuale si colloca la mia ricerca, dove la bellezza diventa il punto di partenza per interrogare la realtà».

Artificial Beauty è il nuovo grande progetto a cui sta lavorando Andrea Crespi ed è, infatti, il titolo della sua più recente mostra, attualmente in corso alla Fabbrica del Vapore di Milano, dove Andrea esplora la trasformazione del concetto di bellezza tra mondo fisico e digitale. «Artificial Beauty rappresenta un’indagine sul concetto di bellezza, dalle sue origini classiche fino alla nuova era tecnologica. Una delle serie che ha maggiormente influenzato la mia ricerca è Ex Human, in cui utilizzo l’Ia per indagare la metamorfosi dell’essere umano nell’era digitale, esplorando il confine sempre più sottile tra naturale e artificiale. È un dialogo continuo tra canoni estetici consolidati e nuovi paradigmi in trasformazione».

La filosofia creativa dell’artista si esprime in una parola: Neosintesi, che lui stesso così spiega: «Significa mettere in connessione il passato e il futuro, la tradizione e l’avanguardia, attraverso un linguaggio minimalista e contemporaneo. In un mondo saturo di immagini e informazioni, la mia ricerca si propone di rappresentare la complessità del presente in forme semplici, capaci di coinvolgere lo spettatore in modo immediato ma profondo».

L’uso della linea diventa per l’artista una forma naturale di sintesi visiva, che prende le mosse dalla lezione di Bruno Munari: «L’idea di semplificazione teorizzata da Munari è stata un riferimento fondamentale: mi ha spinto a interrogarmi sull’essenza delle cose, eliminando il superfluo per arrivare all’essenziale». Parallelamente, Andrea lavora su due fronti - fisico e digitale - considerandoli complementari e inseparabili. «Amo sperimentare. Mi interessa esplorare materiali e tecnologie diverse, perché ogni

medium genera sensazioni proprie e apre nuove possibilità creative. Il digitale rappresenta l’origine di ogni mia creazione, anche quando l’opera si concretizza in una forma fisica».

Dopo anni di creazione bidimensionale, caratterizzati da sperimentazione su tela e in digitale, ha scelto di confrontarsi anche con la tridimensionalità della scultura. «Con la testa di Afrodite ho intrapreso un viaggio di sperimentazione materica: partendo da resina e marmo, per poi evolvere verso il bronzo e la galvanizzazione. Ogni scelta materiale diventa parte integrante della narrazione estetica e concettuale dell’opera».

La relazione tra reale e artificiale attraversa anche le sue collaborazioni con il mondo del lusso, come quella con Montblanc per la nuova boutique di Lugano in via Nassa. «Ogni collaborazione nasce da una condivisione di valori, con l’obiettivo di generare una creazione capace di unire la mia visione artistica all’identità del brand, dando vita a un

dialogo autentico tra arte e impresa. Per Montblanc ho voluto creare un’opera che rendesse omaggio alla città di Lugano, scegliendo come soggetto la Porta al Lago di Villa Ciani, un luogo iconico e poetico. Per la prima volta ho realizzato un lavoro utilizzando esclusivamente la penna stilografica Montblanc, trasformando uno strumento di scrittura in gesto artistico, dove la parola lascia spazio all’immagine e la precisione del segno diventa forma di espressione visiva».

Alla Fabbrica del Vapore, la mostra Artificial Beauty si presenta come un percorso nella poetica dell’artista, un’esplorazione attraverso diversi medium, con opere emblematiche come The Artist & The Thief. «La mostra gioca sull’ambiguità: chi è oggi l’artista? L’uomo o la macchina? Colui che genera l’idea o colui che la realizza?». Intanto, l’arte digitale e gli Nft hanno cambiato la percezione dell’opera d’arte e, per Andrea Crespi, rappresentano un linguaggio destinato a rimanere. «Lavoro tra arte digitale e arte fisica da più di cinque anni, e non riesco a immaginare un futuro che non nasca dall’incontro tra queste due dimensioni. Macchina e uomo, fisico e digitale, sono ormai intrecciati in un abbraccio eterno». Questa fusione si concretizza in Future Reflections - una delle opere principali della mostra in corso a Milano fino al prossimo 25 gennaio -, una rivisitazione ultracontemporanea di Amore e Psiche di Canova, dove specchi, luci e suoni proiettano lo spettatore nel cuore

della relazione tra umano e tecnologia. Un equilibrio tra tradizione e sperimentazione, tra la forma e il pensiero: è l’immagine perfetta dell’universo creativo di Andrea Crespi, il cui sguardo è già rivolto ai prossimi progetti e alle nuove opere che presenterà con la propria galleria Zanini Arte. «La ricerca continua, perché l’arte, come la vita, non conosce mai un punto d’arrivo», conclude l’artista.

Simona Manzione

Scacchi reloaded: il Ticino si muove

Un universo fatto di silenzi pensanti, decisioni ragionate e gesti misurati: il gioco degli scacchi, che sta vivendo una stagione di rinnovata energia, anche alle nostre latitudini. Dai circoli storici alle iniziative per i più giovani, passando per la formazione di arbitri e l’organizzazione di tornei locali e nazionali, la Federazione Scacchistica Ticinese si muove con visione e pragmatismo.

Nati oltre mille anni fa come simulazione strategica della guerra, oggi rappresentano molto più di un passatempo. Nella loro apparente immobilità, infatti, gli scacchi racchiudono un dinamismo mentale straordinario, una battaglia silenziosa dove ogni mossa è decisione, previsione e rischio calcolato. Giocare a scacchi significa allenare la mente a pensare in prospettiva, a imparare dai propri errori. È un esercizio di pazienza e di immaginazione insieme, in cui la strategia si intreccia con l’empatia, e la disciplina con la creatività. Non a caso, grandi pensatori, matematici, scienziati e artisti li hanno considerati come una metafora della vita: sulla scacchiera, come nella realtà, si vince solo comprendendo il valore di ogni scelta e la forza del tempo.

In Ticino, questa tradizione antica continua a rinnovarsi grazie all’impegno dei circoli e della Federazione Scacchistica Ticinese, che da decenni promuove il gioco fra giovani e adulti.

Pier Paolo Pedrini, che dal 2021 è presidente della Federazione, racconta come gli scacchi stiano vivendo una nuova stagione di entusiasmo e partecipazione, anche grazie alla loro eterna capacità di insegnare a pensare. «Attualmente lo stato di salute degli scacchi in Ticino è molto buono; la partecipazione alla vita dei circoli è florida e diversi tornei animano il territorio». A contribuire a questa rinascita, secondo lui, è stato anche il successo della serie Netflix La regina degli scacchi, che «ha aumentato di molto l’interesse, soprattutto dei giovanissimi, verso questo gioco».

E proprio sui giovani, buona parte dei dieci circoli attivi nel nostro Cantone concentra la propria attività. «Penso alle Aquile di Lugano, alla Swiss Chess Academy di Paradiso, al Collegio Papio di Ascona, a Bellinzona e a Tre Valli», elenca Pedrini. «Il Mendrisio, invece, si concentra sulla prima squadra per renderla competitiva, con risultati altalenanti vista la crescente concorrenza a livello svizzero». Un impegno che ha portato risultati notevoli: «Dal 1995 ad oggi abbiamo giocato venti campionati a squadre in serie A e nel 2007 siamo addirittura stati campioni svizzeri».

Sebbene il numero degli iscritti ai circoli ticinesi superi di poco le trecento unità, gli appassionati reali sono molti di più. «Gli scacchi sono un gioco molto popolare, anche se non tutti i giocatori si iscrivono a un circolo. Negli Stati Uniti per esempio è stato calcolato che se si sommano il numero dei giocatori di golf con quello dei giocatori di tennis non si raggiunge il numero degli scacchisti. Secondo una stima della Fédération Internationale des Échecs (Fide), nel mondo ci sarebbero circa sessanta milioni di giocatori regolari, ma altre dicono che i giocatori oscillano tra i due- e i trecento milioni. Come accade in tanti altri ambiti, moltissimi preferiscono giocare online».

A livello cantonale, la Federazione punta molto sui giovani: «Diversi circoli organizzano corsi per principianti e per iniziati, e alcune scuole propongono gli scacchi nel doposcuola», racconta il presidente della Federazione. Ma c’è ancora margine per crescere: «Nonostante l’U-

nione Europea ne promuova la diffusione, nelle nostre scuole l’insegnamento degli scacchi è ancora limitato». Tra le iniziative in corso, spicca la seconda tappa del QualiTurnier svizzero, a Lugano dal 7 al 9 novembre in collaborazione con le Aquile di Lugano: «È un torneo importante, con diverse categorie, che seleziona i migliori giovani. Di solito partecipano oltre trecento ragazzi, anche ticinesi».

Come convincere un giovane ad avvicinarsi alla scacchiera?: «Gli direi che la vita stessa è una partita a scacchi, e sulla scacchiera impari le strategie per affrontarla».

Un messaggio che riflette anche il valore educativo del gioco: «Gli scacchi rendono riflessivi, rinforzano la memoria, l’abilità nello studio e la capacità di prendere decisioni. Ma servono anche fantasia, creatività e psicologia: non è mai troppo tardi per imparare», aggiunge Pier Paolo Pedrini.

La formazione, però, non riguarda solo i giocatori: «È importante e necessario formare istruttori e arbitri locali», precisa. «La Fide richiede arbitri qualificati per ogni torneo, e avere i nostri ci permette di ridurre i costi e garantire standard elevati.

Qui vince chi dà di matto

Gli scacchi si giocano su una scacchiera 8x8, composta da 64 caselle alternate tra chiare e scure. Ogni giocatore ha 16 pezzi: un re, una regina, due torri, due alfieri, due cavalli e otto pedoni. L’obiettivo è dare scacco matto al re avversario, cioè metterlo sotto attacco senza possibilità di fuga.

• Disposizione Iniziale

La scacchiera va orientata con una casella bianca in basso a destra.

La seconda fila (riga 2 per il Bianco, riga 7 per il Nero) è occupata dai pedoni.

Nella prima fila: torre-cavallo-alfiere-regina-re-alfiere-cavallo-torre.

La regina va sempre sulla casella del proprio colore (bianca su bianca, nera su nera).

• Movimento dei pezzi

Re: una casella in ogni direzione.

Regina: qualsiasi numero di caselle in linea retta (orizzontale, verticale o diagonale).

Torre: linee rette, solo orizzontali e verticali.

Alfiere: solo in diagonale.

Cavallo: movimento a “L” (due caselle in una direzione + una perpendicolare); può saltare sopra altri pezzi.

Pedone: in avanti di una casella (due al primo movimento), cattura in diagonale.

• Scacco e Scacco matto

Un pezzo può dare “scacco” al re avversario se lo minaccia direttamente.

Lo “scacco matto” avviene quando il re è minacciato e non ha alcuna mossa legale per salvarsi. In quel momento, la partita finisce.

• Mosse speciali

Arrocco: il re si sposta di due caselle verso una torre, e la torre lo scavalca. È legale solo se re e torre non si sono mai mossi, non ci sono pezzi fra di loro, il re non è sotto scacco e non attraversa una casella sotto attacco.

En passant: un pedone può catturare un pedone avversario che ha appena fatto due passi dalla sua casella iniziale, come se ne avesse fatto solo uno. Vale solo subito dopo quella mossa.

Promozione: quando un pedone raggiunge l’ottava traversa, può essere promosso (quasi sempre a regina).

• Finale di partita

Vince chi dà scacco matto.

La partita è patta (pareggio) se:

- Nessuno può dare scacco matto (materiale insufficiente).

- Si verifica stallo (è il turno di un giocatore che non ha mosse legali ma non è sotto scacco).

- Si ripete tre volte la stessa posizione.

- Si fanno 50 mosse senza muovere un pedone, dare uno scacco o fare una cattura.

Pier Paolo Pedrini, Presidente della Federazione Scacchistica Ticinese (Fsti).

Per questo organizziamo corsi di formazione specifici».

Diverse le attività promosse dalla Fsti, tra cui spiccano i campionati ticinesi lampo, semilampo e a cadenza normale, sia individuali che a squadre. A livello nazionale e internazionale, i club ticinesi partecipano regolarmente ai tornei più importanti, spesso con risultati di rilievo. La Federazione sostiene in particolare i giovani: «Grazie allo Sport Toto riusciamo a offrire contributi alle spese di partecipazione ai tornei, e stiamo lavorando perché non siano solo simbolici», aggiunge Pedrini.

Le sfide, tuttavia, non mancano. «Anche noi risentiamo della crisi economica», ammette il presidente. «Gli scacchi non sono uno sport spettacolare per il grande pubblico: la bellezza di una mossa è apprezzata solo dagli intenditori. Nonostante ciò, i simboli degli scacchi sono ovunque - nelle pubblicità, nella politica - ma è sempre più difficile trovare sponsor privati». Eppure, il Ticino può vantare nomi di spicco: «Elena Sedina è stata due volte campionessa svizzera, Fabrizio Patuzzo ha vinto il titolo U16, Aurelio Colmenares e Gabriele Botta hanno ottenuto titoli nazionali», aggiunge Pedrini, che conclude con una riflessione sul fascino eterno di questo gioco millenario: «Gli scacchi non sono solo competizione: sono un linguaggio universale di logica, intuizione e creatività. In fondo, come nella vita, ogni mossa è una scelta che può cambiare il corso della partita».

In un mercato da 1,5 trilioni di dollari, l’industria del lusso vive una trasformazione profonda. Dalle auto di alta gamma all’ospitalità esperienziale, il luxury evolve come ecosistema interconnesso e innovativo. Tra intelligenza artificiale, mercati emergenti e nuovi consumatori digitali, cambia la geografia del valore e della competitività.

Alexander Chetchikov, presidente della World Luxury Chamber of Commerce, sintetizza le dinamiche che stanno ridisegnando l’economia del desiderio. Sotto la lente, prospettive e sfide del prossimo decennio.

Il lusso come motore globale

Da sempre simbolo di eccellenza, maestria artigianale e valore culturale, il lusso negli ultimi anni si è trasformato in un dinamico specchio del cambiamento globale. Dalla crescita dei valori legati alla sostenibilità e all’innovazione digitale, fino all’evoluzione demografica dei consumatori e all’emergere di nuovi mercati, l’industria del lusso continua a ridefinire sé stessa. Ne abbiamo parlato con Alexander Chetchikov, presidente della World Luxury Chamber of Commerce (Wlcc), per esplorare le forze che plasmano il presente e gettano le basi per il futuro del settore. Fondata ufficialmente l’8 ottobre 2024, la World Luxury Chamber of Commerce affonda le proprie radici nel 2008, anno in cui sono stati istituiti i Luxury Lifestyle Awards.

Oggi rappresenta la più grande e influente piattaforma unificante globale del lusso. «La nostra comunità, composta da oltre cinquecento tra le principali aziende e i marchi più prestigiosi di più di sessanta Paesi, costituisce la solida base delle nostre attività. Non ci limitiamo a riunirli: agiamo come una voce unica, autorevole e potente sulla scena internazionale, rappresentandone efficacemente gli interessi, promuovendo valori condivisi e favorendo un dialogo costruttivo con i principali attori globali», nota Chetchikov.

Tra le principali iniziative promosse dall’organizzazione, si distinguono i Luxury Lifestyle Awards, prestigioso programma globale, identificano e promuovono i migliori beni e servizi di lusso, fungendo da affidabile parametro di qualità per i consumatori.

Gli altri progetti chiave includono il World Luxury Day, celebrato ogni anno l’8 ottobre, che rende omaggio ad artigianalità, innovazione e patrimonio culturale, riconoscendo le persone che stanno dietro al lusso e promuovendo la consapevolezza di pratiche etiche e sostenibili. Ne fanno parte inoltre il Luxury Education Hub, piattaforma educativa che offre ai professionisti una selezione di proposte per arricchire la comprensione strategica dell’industria, e il Luxury People Magazine, pubblicazione ufficiale concepita come una piattaforma di leadership intellettuale.

Sopra, auto di lusso, seguite da beni personali di alto valore e ospitalità esclusiva, sono i settori che generano maggiore ricchezza a livello globale.

Il valore complessivo del Total Luxury Market secondo le stime della Wlcc è intorno a 1,5 trilioni di dollari, includendo beni personali, arte, automobili, yacht, jet privati ed esperienze esclusive. «Se consideriamo invece il Personal Luxury Goods Market (abbigliamento, accessori, gioielli, orologi), il valore ha raggiunto nel 2023 un livello record, superando i 389 miliardi di dollari», sintetizza il presidente della Wlcc.

A crescere più rapidamente rispetto ad altri comparti è il settore dell’ospitalità di lusso. «Una dinamica alimentata principalmente dalla domanda repressa ed esplosa nel periodo post-pandemico: la fine delle restrizioni ai viaggi ha generato un’ondata di spostamenti internazionali. Un secondo potente motore è la diffusione del lavoro da remoto, che consente a molti individui benestanti di conciliare attività professionali e viaggi in ogni parte del mondo», commenta Chetchikov.

I settori che generano maggiore ricchezza a livello globale includono automobili di lusso, beni personali di alto valore e ospitalità esclusiva, con una crescente attenzione alle esperienze rispetto ai beni materiali. Nel lusso contemporaneo, «il concetto di valore si è radicalmente trasformato. Se in passato l’obiettivo principale era ostentare lo status attraverso il prezzo o la rarità, oggi questi aspetti passano in secondo piano. I fattori determinanti sono l’unicità del prodotto o del servizio, la risonanza emotiva che suscita e il senso di appartenenza a una comunità esclusiva: elementi che trasformano l’acquisto in un’esperienza personale, irripetibile e carica di significato identitario», prosegue Chetchikov. Questa trasformazione riflette il passaggio da una mera ostentazione materiale “Che cosa posso mostrare?”, a un’esperienza valoriale e personale “Come posso esprimere me stesso e quali esperienze mi permettono di farlo?”. Si tratta di una trasformazione che introduce una base etica e culturale più significativa. Le generazioni più giovani stanno accelerando questi cambiamenti. «La Gen Z è la prima a essere cresciuta in un ambiente interamente digitale. Per loro, la perfetta funzionalità online - un sito veloce, un’app intuitiva, un’assistenza immediata - non è un valore aggiunto, ma un requisito fondamentale, anche per i marchi di lusso. Si aspettano un’esperienza fluida e coerente su tutti i canali (omnichannel), dal social media all’acquisto, fino al servizio post-vendita. I grandi Gruppi del lusso

stanno investendo in piattaforme digitali e metaverso. Tuttavia, nel complesso, il ritmo di adattamento del settore rimane lento: la forte adesione alla tradizione, che costituisce il fascino stesso del lusso, spesso rallenta l’adozione delle tecnologie più innovative», aggiunge Chetchikov.

Anche la sostenibilità è ormai un valore centrale, guidato dai consumatori più giovani. «La sostenibilità nel lusso rappresenta un equilibrio fra valore reale e strumento narrativo, ma la pressione dei consumatori la sta trasformando in principio fondante. Sempre più marchi integrano criteri Esg per garantire una crescita durevole. In pratica, ciò significa filiere trasparenti, materiali innovativi ed etici, riduzione dell’impronta di carbonio e pratiche di lavoro eque», prosegue l’intervistato.

I mercati emergenti come India, Sudest asiatico e Africa non solo consumano, ma contribuiscono a ridefinire tendenze e codici culturali, stimolando i marchi a strategie più locali e rilevanti. «Esercitano un’influenza trasformativa, fungendo da motori di crescita grazie all’espansione di una classe media giovane e facoltosa. Non si limitano a consumare i beni di lusso esistenti: contribuiscono attivamente a ridefinire i trend, promuovendo la localizzazione di design e comunicazione. Così facendo, inducono i marchi globali a ripensare le proprie strategie, riconoscendo l’importanza della rilevanza culturale locale». Lusso digitale, beni virtuali, Nft e metaverso si rivelano strumenti strategici per attrarre pubblico giovane e generare nuove fonti di ricavo. «Il lusso digitale rappresenta un’opportunità strategica di lungo periodo. Gli Nft agiscono come “chiavi digitali” che danno accesso a esperienze e comunità esclusive, fondendo mondo virtuale e reale in un unico ecosistema esperienziale».

Qual è oggi l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’industria del lusso? «L’adozione dell’Ia sta potenziando soprattutto personalizzazione ed efficienza. Le applicazioni più rilevanti includono personalizzazione dell’esperienza cliente (raccomandazioni individuali, assistenti virtuali); impiego di Ia generativa per accelerare lo sviluppo dei prodotti e la creazione di contenuti di marketing; ottimizzazione delle filiere produttive e logistiche. Mentre le boutique fisiche stanno ripensando il proprio ruolo, trasformandosi da semplici punti vendita a centri esperienziali e identitari del marchio. Nell’era digitale,

Sopra, Alexander Chetchikov, presidente della World Luxury Chamber of Commerce.

restano insostituibili per l’interazione sensoriale con il prodotto e la dimostrazione della maestria artigianale. Fungono da flagship store emotivi, offrendo un servizio “white-glove” che integra la dimensione online».

Guardando al futuro, i principali rischi e opportunità, individuati dalla Wlcc, con cui nei prossimi cinque anni si confronteranno i marchi di lusso riguardano l’instabilità economica (inflazione, rallentamento della crescita) che incide sulla domanda, le interruzioni delle catene di approvvigionamento, l’aumento dei costi di produzione e le tensioni geopolitiche che generano incertezza nei mercati chiave; mentre le opportunità risiedono nell’uso di tecnologie avanzate, come l’Ia per l’iper-personalizzazione e la robotica per l’ottimizzazione produttiva, nonché nella digitalizzazione dei canali di vendita e nell’accesso diretto a clienti globali, che garantiscono resilienza e competitività.

«La World Luxury Chamber of Commerce sostiene l’industria offrendo ricerche esclusive, seminari specialistici e occasioni di collaborazione internazionale, aiutando i marchi a orientarsi in un panorama di valori in evoluzione. Con il World Luxury Day si valorizzano non solo i prodotti, ma anche la comunità professionale di esperti e artigiani, rafforzando l’immagine, l’etica e la sostenibilità dell’industria del lusso, stimolando i marchi a innovare e a riflettere collettivamente sul futuro del settore», conclude Alexander Chetchikov.

Simona Manzione

Le domande che contano

Dopo un anno all’insegna dell’euforia portata dall’intelligenza artificiale, per il marketing è tempo di confrontarsi con i nuovi interrogativi che possono renderlo più rilevante e consapevole.

La European Marketing Agenda 2025 ha segnato l’inizio di un rinnovamento. “Intelligenza artificiale” è stata la parola chiave dell’anno, simbolo del profondo cambiamento che ha ridefinito marketing e vendite in tutta Europa. Per la prima volta è diventato chiaro che la tecnologia non è più uno strumento, ma una forza trainante strategica. Ora, all’euforia segue una fase di riflessione. Chi nel 2025 ha puntato sulla velocità, nel 2026 si muoverà alla ricerca di una direzione.

La prossima edizione dell’Agenda, che verrà pubblicata a gennaio 2026, è emblematica di questo processo di maturazione. Ancor prima dell’avvio dello studio, le nuove domande rivelano un cambiamento di prospettiva. Invece di chiedere quali strumenti vengono utilizzati, la nuova domanda guida è: Quale atteggiamento dobbiamo adottare per rendere il marketing responsabile? Questo cambiamento, dal reagire al riflettere, sta caratterizzando il dibattito a livello europeo e oltre. Dal reagire al riflettere. L’Agenda 2026 non si concentra più principalmente su canali o budget, ma sul grado di maturità, su responsabilità e impatto. Temi come l’etica dei dati, la fiducia nei sistemi di intelligenza artificiale, la sostenibilità, la collaborazione tra marketing, vendite e It e la formazione continua definiscono la nuova logica delle domande. L’attenzione si sposta dalla performance a breve termine a una strategia di mercato a lungo termine e riflessiva.

Si delinea così un cambiamento di paradigma: il futuro del marketing non sta tanto nel “di più”, quanto nel “più consapevole”. La tecnologia rimane centrale, ma al servizio di uno scopo più alto: comprendere, connettere e costruire fiducia.

È proprio qui che si capisce se il marketing punta alla crescita o al senso: non più soltanto misurare, ma comprendere; non soltanto più reagire, ma plasmare. Domande specchio del progresso. Ciascuna delle nuove domande rivela qualcosa sullo stato della disciplina. Quando ai leader del marketing vengono poste domande sull’integrazione dei dati, l’utilizzo di Ia-agent o la collaborazione con l’It, emerge una nuova consapevolezza: il marketing non è una torre d’avorio, ma una rete neurale che collega tutte le funzioni.

«Si delinea un cambiamento di paradigma per il marketing: il futuro non sta tanto nel “di più”, quanto nel “più consapevole”. La tecnologia rimane centrale, ma al servizio di uno scopo più alto: comprendere, connettere e costruire fiducia. È proprio qui che si capisce se il marketing punta alla crescita o al senso: non più soltanto misurare, ma comprendere; non soltanto più reagire, ma plasmare»

Allo stesso tempo, le domande riflettono anche l’incertezza di un settore che si trova nel mezzo di una trasformazione. Automazione e creatività possono convivere? Come ottenere personalizzazione senza oltrepassare i limiti? E in che modo la fiducia diventa la nuova moneta nel trattamento dei dati?

Un pensiero attraversa come un fil rouge tutta questa evoluzione: “Porre le domande giuste è il primo passo verso un marketing davvero rilevante”. Perché

ci ricordano che il progresso non nasce solo dalle risposte, ma dalla capacità di mettersi in discussione - come team, organizzazione e intera disciplina. Il ruolo della Svizzera . In qualità di membro della European Marketing Confederation, Swiss Marketing partecipa attivamente alla definizione dell’Agenda. La Svizzera apporta una prospettiva particolare: l’equilibrio tra eccellenza tecnologica, realtà dell’economia di mercato e comprensione dei valori umanistici. Dal dialogo con i responsabili del marketing, emerge chiaramente quanto questa triade sia in cerca di un equlibrio e quanto siano preziose le piattaforme che favoriscono confronto e riflessione.

È quindi chiaro che la forza del marketing svizzero non risiede solo nell’uso delle tecnologie più avanzate, ma anche nella capacità di pensare in modo contestuale. Swiss Marketing si considera una piattaforma di orientamento e sviluppo, un luogo in cui ricerca, pratica e formazione si incontrano per trovare insieme risposte condivise. Qui si crea un ponte tra uomo e macchina, tra strategia e responsabilità.

Prospettive. Le domande di oggi sono le risposte di domani. Chi le prende sul serio capisce che non si tratta più di reach e clic, ma di rilevanza, fiducia e impatto. La nuova Agenda ci ricorda che il progresso non consiste nel fare tutto più velocemente, ma nel fare le cose giuste in modo più consapevole. È proprio qui che risiede il compito del marketing e l’opportunità per un’intera generazione di professionisti di contribuire a plasmare il futuro.

Un ponte fisico-virtuale

Le applicazioni di Intelligenza Artificiale dell’industria videoludica potrebbero portare presto interessanti novità anche per il resto dell’economia. Gli investitori ci credono.

Ha sede a Ginevra e New York, è una start up, attiva nel settore dell’Intelligenza Artificiale, e quest’anno ha già raccolto 134 milioni di dollari, circa 114 milioni di euro, in un round di finanziamento. È General Intuition, ma a non essere trascurabile è la cifra raccolta, che rappresenta uno dei più importanti investimenti di Venture Capital di fase seed nel settore dell’Ia dell’intero 2025.

Un passo alla volta! La società è nata come spin off della piattaforma olandese di condivisione video Medal e si concentra sullo sviluppo di agenti intelligenti capaci di ragionare in ambienti tridimensionali, utilizzando dati visivi per apprendere comportamenti complessi.

In sostanza, una tecnologia che riguarda non solo il mondo virtuale ma anche quello fisico. Utile, per esempio, nell’ambito dei videogiochi Vr ‘full-room’, dove il giocatore dotato di un visore non sta solo fermo o seduto, ma si muove fisicamente nello spazio con i movimenti che vengono tradotti all’interno del mondo virtuale. Senza scordare il comparto robotica e droni, sviluppando agenti in grado di navigare autonomamente in ambienti complessi, come nel caso di droni per operazioni di ricerca e salvataggio.

I fondi raccolti nel round di finanziamento, che è stato guidato da Khosla Ventures e General Catalyst, con la partecipazione di Rain, serviranno soprattutto per potenziare e migliorare lo sviluppo della sua tecnologia, utilizzando un ragionamento spazio-temporale addestrato su centinaia di milioni di video di giochi che, secondo General Intuition, offrono un set di dati superiore rispetto a piattaforme come YouTube o Twitch.

“Quando giochi ai videogiochi, essen-

zialmente trasferisci la tua percezione, solitamente attraverso una visuale in prima persona della telecamera, in ambienti diversi”, ha dichiarato Pim de Witte, Ceo di Medal e General Intuition, a TechCrunch. Il manager ha poi osservato che i giocatori che caricano clip tendono a pubblicare esempi molto negativi o positivi: questi costituiscono casi limite che sono anche quelli più utili per l’Ia. “Si ottiene questo bias di selezione proprio verso il tipo di dati che si desidera effettivamente utilizzare per il lavoro di addestramento”, ha aggiunto de Witte.

«General Intuition, Start up di intelligenza artificiale con sedi a New York e Ginevra, ha raccolto quest’anno circa 134 milioni di dollari in un round di finanziamento. Una cifra che rappresenta uno dei più importanti investimenti di Venture Capital di fase seed nel settore dell’Ia del 2025»

Tale patrimonio di dati è ciò che, secondo quanto riferito, ha attirato l’attenzione di OpenAi, che alla fine dello scorso anno avrebbe tentato di acquisire Medal con un’offerta da 500 milioni di dollari, secondo The Information (né OpenAi né General Intuition hanno voluto commentare l’indiscrezione).

Sebbene la start up stia costruendo modelli di mondo su cui addestrare i propri agenti, tali modelli non costituiscono il prodotto. Si tratta di una differenziazione importante: mentre altri produttori come DeepMind e World Labs vendo-

Alessandro Beggio, Ceo e fondatore di Vector Wealth Management.

no rispettivamente i propri modelli per l’addestramento di agenti e la creazione di contenuti, General Intuition si concentra, soprattutto nel settore videogame, sulla creazione di bot e personaggi non giocanti in grado di superare i tradizionali ‘bot deterministici’, ovvero personaggi pre-programmati che producono sempre lo stesso risultato. Quando un giocatore umano si trova davanti a un personaggio virtuale, l’esito deve essere variabile e imprevedibile, andando verso una percentuale di vittorie che massimizzi il coinvolgimento.

Sul piano commerciale, General Intuition prevede di lanciare entro la prima metà del 2026 personaggi non giocanti (Npc) e strumenti di simulazione basati sull’Intelligenza Artificiale.

Altro punto da non trascurare: la società è strutturata come una public-benefit corporation e mira a potenziare, e soprattutto a non sostituire, i ruoli creativi nell’industria del gaming.

A titolo di confronto, la maggior parte delle start up europee attive in embodied Ai ha raccolto importi notevolmente inferiori rispetto a General Intuition.

Ad esempio, la tedesca Energy Robotics ha ottenuto 11,5 milioni di euro per sviluppare il proprio software di ispezione autonoma per robot e droni. Allo stesso modo, sempre in Germania, Unchained Robotics ha raccolto 8,5 milioni per rendere più accessibile l’automazione industriale. Invece, in Italia, Cyberwave ha chiuso un round da 7 milioni per costruire un sistema per connettere agenti Ia con macchine e sensori reali.

La via dell’export finanza /analisi

Anche le Pmi ticinesi trovano spesso all’estero importanti mercati di sbocco e business.

Bisogna attrezzarsi però per evitare che un’opportunità diventi solo una grande incognita.

Il ruolo giocato dalle esportazioni nei molti successi che l’economia svizzera ha saputo raggiungere nel corso degli ultimi decenni è stato determinante, nonostante le molte difficoltà che la perdurante forza del franco nei confronti dell’euro, e delle altre valute forti, ha certamente sollevato. Eppure, come spesso accade, relazionarsi con l’estero, specie nel caso degli Stati più piccoli, è una chiara necessità per crescere o anche solo sopravvivere, pur non essendo agevole né particolarmente immediato.

«L’elevata specializzazione del capitale umano, e il concentrarsi della produzione su prodotti a elevato valore aggiunto costringe molto spesso le aziende svizzere, grandi e piccole, a cercare nuove opportunità oltre i confini nazionali, dunque in Europa, o anche oltre. Pharma, orologiero e agroalimentare sono solo alcuni dei settori più votati all’export. Anche a livello locale, guardando al Ticino, si conferma tale evidenza, con le Pmi del territorio che ricoprono un ruolo attivo nelle catene del valore globali», riflette Alan Sussegan, Consulente per la clientela aziendale di Banca Raiffeisen Losone Pedemonte e Vallemaggia. Quando però i mercati esteri diven-

tano una necessità, e non un lusso, ecco che anche le imprese coinvolte cambiano rapidamente di dimensioni. «La nostra è una società di progettazione, che ho fondato nel 2007, e che nel corso degli anni è andata accumulando un importante know-how nel trattamento di materiali pericolosi e nella decontaminazione di materiali inerti ed edili. Sono nel settore da oltre 30 anni, dunque poco dopo il completamento degli studi in ingegneria all’Eth di Zurigo, e guido oggi una piccola azienda familiare, con 7 collaboratori, che continua a crescere ma sempre più trainata dall’export. Ad oggi il 50% del fatturato è già realizzato all’estero, con la Germania quale primo mercato, e in prospettiva prevediamo arriverà a essere il 70%, da qui l’estrema sensibilità che abbiamo per la materia», rileva Bruno Rosenberger, Ceo e fondatore della locarnese Inerta Umwelttechnik.

Come sovente accade, a grandi opportunità si accompagnano anche significativi rischi che, in una qualche maniera, è necessario attrezzarsi per risolvere o almeno gestire. «Andare all’estero può rivelarsi un affare complesso, e oneroso, oltre che verosimilmente lucrativo, soprattutto per le aziende più piccole e meno strut-

Da sinistra, Bruno Rosenberger, fondatore di Inerta Umwelttechnik; sopra, uno degli impianti, di trattamento per materiali particolari, realizzati dalla società.

turate. Tra i diversi servizi necessari, un partner bancario solido e affidabile può contribuire a ridurre i significativi rischi finanziari dell’espansione estera, dall’anticipo di acconti a copertura dei costi di produzione, fino alla garanzia di consegna. Gli strumenti di mitigazione di tali rischi in Raiffeisen li definiamo ‘garanzie d’esportazione’: è il nostro contributo, rapido, competente e completo, all’auspicabile successo delle imprese», prosegue il consulente.

Una prima domanda lecita da porsi è dunque perché proprio la Germania, ancor più del Ticino o della Svizzera. «Si parla spesso della locomotiva tedesca, ma senza mai scendere nel dettaglio. Il maxi piano d’investimenti pubblici varato dal nuovo cancelliere è la necessaria risposta ai molti problemi di un settore, l’edilizia, che in Germania è tecnologicamente rimasto indietro. I nostri impianti di trattamento dei materiali (acqua, sabbia, ghiaia,

fanghi…) al momento hanno pochissima concorrenza, e risolvono l’annoso problema delle discariche, consentendo di riciclare buona parte dei materiali di scarto, decontaminandoli, riducendo dunque i costi di smaltimento, laddove non anche aumentando i ricavi, derivanti dalla loro vendita», nota il Ceo.

Sono molti i rischi nell’andare all’estero, ed è anche per questo che spesso la decisione è sofferta, e facilmente si conclude in un nulla di fatto, se non un fiasco. La peggiore delle soluzioni?

L’improvvisazione. «Sono sei i principali rischi da tenere sempre a mente, e monitorare attivamente. Il rischio di cambio e di delcredere, rischio politico e di forza maggiore, rischio di trasporto e legale. Si tratta di rischi che se non gestiti potrebbero mettere in seria difficoltà l’azienda esportatrice, ma che sono invece affrontabili rivolgendosi ai partner giusti, quindi banche, assicurazioni e Stato, ricorrendo a strumenti efficienti e ampiamente rodati, com’è nel caso della collaborazione tra Raiffeisen e la Serv, organizzazione della Confederazione, sotto la Seco, che copre i rischi politici e commerciali», evidenzia Sussegan. Prim’ancora dei rischi, subentrano però le consuetudini del come fare affari, e come regolare i rapporti tra aziende. E Paese che vai, prassi che trovi. «Operiamo in Germania per il tramite di un piccolo ufficio che abbiamo aperto vicino al Lago di Costanza. Tra aziende tedesche è prassi sottoscrivere fideiussioni dietro il pagamento dell’anticipo richiesto all’acquirente. I nostri impianti possono arrivare ad avere dimensioni notevoli, 50 metri, e dunque anche valori importanti, per diversi milioni di franchi. Chiediamo solitamente il 30% del valore del contratto quale anticipo, il 60% all’atto dell’installazione, e l’ultimo 10% successivamente alla messa in funzione. Lavoriamo con Raiffeisen da oltre 20 anni, e tra i molti servizi ci offrono anche assistenza in tale ambito, supportandoci in un’attenta pianificazione della liquidità per la riuscita di ogni progetto, solitamente tra 3 e 6 anni», sintetizza Rosenberger.

Ma da quali rischi può effettivamente tutelare un istituto di credito, sufficientemente attrezzato da affrontare l’estero? «La nostra offerta si articola in due garanzie principali: quella di restituzione dell’acconto, e quella del credito di fabbricazione. Nel primo caso riusciamo

«Andare all’estero può rivelarsi un affare complesso, e oneroso, oltre che verosimilmente lucrativo, soprattutto per le aziende più piccole e meno strutturate. Tra i diversi servizi necessari, un partner bancario solido e affidabile può contribuire a ridurre i significativi rischi finanziari»

Alan Sussegan, Consulente clientela aziendale di Banca Raiffeisen Losone Pedemonte Vallemaggia

Fragilità industriali

Affanni svizzeri

Andamento dell’indice Pmi delle Pmi svizzere (in bp)

Nel corso del mese di ottobre l’indice Pmi delle Pmi svizzere è tornato a contrarsi leggermente, pur restando in territorio di espansione, passando dai 50,5 di settembre, a 50,2 punti.

Fonte: Raiffeisen

A trascinare a un pur modesto ribasso hanno contribuito in misura significativa gli ordinativi, con il portafoglio ordini che è andato alleggerendosi, dai 52,6 a 50,0 punti. Analogamente la componente occupazionale, che è invece tornata in negativo, scendendo dai precedenti 51,1 a 48,3 punti. Un migliore sfruttamento delle capacità produttive ha invece consentito di ottimizzare i tempi di consegna, pur comportando anche una diminuzione significativa delle scorte, scese in profondo rosso, attestandosi a 45,6. Stabili le condizioni dichiarate dalle Pmi concentrate sul mercato interno, più in affanno quelle esposte ai mercati esteri.

a dare maggior credibilità all’azienda all’atto delle trattative con il cliente estero, garantiamo infatti, previa attenta analisi, la restituzione dell’intero importo in caso di mancata consegna. Nel secondo finanziamo la produzione del bene destinato all’esportazione, sostenendone i costi, sino al momento della consegna e dell’incasso, consentendo all’impresa di preservare la sua liquidità, rispettando i tempi e gli impegni con i partner esteri. Si tratta di due servizi fondamentali e concreti per supportare le Pmi anche all’estero», chiarisce il consulente.

Facilitazioni non sempre però così facili da ottenere, o comunque scontate, pur con l’aiuto di Berna. «Quando siamo arrivati in Ticino sono stati i primi a darci

fiducia. Certo, non è una banca propensa ad assumersi rischi, spesso necessari per andare all’estero o per crescere, ma c’è sempre stata un’efficace collaborazione improntata sulla fiducia. Sono veloci, e l’interazione è semplice, senza giri di parole. Sono entrato in questa nicchia di mercato perché volevo fare concretamente quella di cui tutti parlano e basta, la sostenibilità, dando così il mio contributo all’ambiente, e anche grazie a loro ci sono riuscito. Ed è questo che continuo ad apprezzare del mio lavoro», conclude il fondatore di Inerta Umwelttechnik L’estero rimane dunque un’interessante alternativa, pur con qualche rischio.

Achille Barni

Le abitudini fanno la differenza

In un mercato conservativo come quello dei servizi finanziari è spesso l’immobilismo il principale ostacolo da affrontare. La gradualità è la migliore alleata, meglio se accompagnata da un quid di istituzionalità, come ha scoperto un’innovativa realtà bancaria svizzera.

Ottobre

Incubazione e creazione della società

Inoltro della richiesta di licenza bancaria

TConcessione della licenza bancaria

Apertura sul mercato, conto multi-valuta, carta di debito e gestione patrimoniale personalizzata da 30k

Transizione del ruolo di Ceo da Schuyler Weiss a Gianmarco Bonaita

Lancio del servizio di Advisory

Possibilità di richiedere American Express Platino

Lancio del servizio di Gestione Patrimoniale da 2k

Entrata di Alpian nel gruppo Intesa Sanpaolo

Lancio della nuova versione della App e raggiungimento soglia 25mila clienti

entativi, esperimenti, coincidenze, casualità, genialità, follia… ovviamente anche un po’ di fortuna. Sono molte le vie che possono portare il più improbabile ‘qualcosa’ a diventare un’abitudine, un rituale, parte della quotidianità delle persone, di una nicchia di mercato o di milioni di affezionati ‘consumatori’. La principale delle barriere? La pigrizia, fisica o mentale, delle persone, del potenziale target. Esistono rare eccezioni e pochi ambiti in cui tale fenomeno non possa essere applicato. Del resto, smuovere lo zero è sempre la più grande delle sfide. «A seconda del punto di vista, le abitudini sono una montagna da scalare per qualunque outsider con delle ambizioni, o la migliore delle protezioni per chi il consumatore l’ha già conquistato. Per fare un esempio banale, ogni qual volta si decida di cambiare telefono, altrettanto velocemente si insinua una domanda: perché cambiare brand, e partire da zero, se non mi trovo poi così male con l’attuale? Certo, in presenza di problemi gravi tutto cambia, ma non è certo la regola, essendo un mercato ormai maturo. Nel caso dei servizi finanziari valgono gli stessi principi, e dunque: perché dovrei cambiare fornitore?», esordisce così Gianmarco Bonaita, Ceo di Alpian dal 2023.

Abitudini e pigrizia mentale sono facce della stessa medaglia, che negli ambiti più sensibili del vivere umano assumono una connotazione ancor più radicale, il che in molti casi sfocia nell’immobilismo. «Quando si parla di salute o finanza tutto si complica, decidere di cambiare richiede molta forza di volontà, e la presenza di un problema, la cui consapevolezza non può essere data per ovvia. Sono ambiti complessi, specialistici, dalle conseguenze potenzialmente significative, dunque perché cambiare? Tra tanti, la previdenza è un buon esempio. Sappiamo tutti che presto o tardi arriverà la pensione, in tanti casi l’orizzonte è però molto lontano, dunque non è un problema urgente, ci sarà tempo e modo in futuro. Preso atto che in effetti sia un problema, iniziano le resistenze: sono molti i freni al fare qualcosa, non è sufficiente volerlo fare, qualcuno deve guidarmi e offrirmi degli strumenti comprensibili per agire», riflette il Ceo.

Al netto della teoria, e di tutto il suo fascino, è poi nella pratica che ci si confronta con i problemi reali. È lì dove ad esempio il ‘modello di Porter’, e le sue forze, assumono un tangibile significato. «Sin dalla nascita della nostra idea, dunque fondare una banca che fosse solo digitale e da mobile, ci siamo trovati a confrontarci con problemi sostanziali. Partiti alla fine del

Le principali tappe della breve storia della prima banca mobile digitale Svizzera. Un’avventura iniziata solo nel 2019, e che prosegue.

2019, già nel 2020 avevamo fatto richiesta di licenza bancaria, che ci è poi stata concessa nel 2022, ed è a ottobre dello stesso anno che è stato aperto il primo conto corrente al pubblico. Volevamo essere una banca solo digitale, ma che ponesse al centro la relazione tra persone, consulenti e clienti. Sin dal principio abbiamo puntato sulle tecnologie più avanzate, sviluppando una piattaforma propria che lo rendesse possibile», racconta Bonaita.

Se in molti progetti l’emergenza pandemica ha rappresentato uno stop più o meno definitivo, nel caso di altri è stato un potente acceleratore di trend che sarebbero comunque emersi, ma non alla stessa velocità. «Se nel 2019 era un’idea rivoluzionaria, dopo due anni di Covid le persone erano molto più pronte quanto meno a valutarci. L’utilizzo dei canali digitali, anche in ambito finanziario, è infatti esponenzialmente cresciuto, in Svizzera come in Europa, proprio in quei mesi, radicandosi nelle nuove abitudini di un importante bacino di potenziali clienti, dunque affluent tra i 18 e i 45 anni, un seg-

mento dall’alto potenziale, e contendibile secondo le nostre valutazioni. Da subito abbiamo quindi attribuito alla tecnologia un ruolo chiave, allo stato dell’arte, accompagnato da una veste estremamente istituzionale, che ci garantisse la massima fiducia nei confronti del mercato. Tra gli elementi che contraddistinguono la nostra istituzionalità c’è sicuramente il nostro azionista di maggioranza, il Gruppo Intesa Sanpaolo per il tramite di Fideuram», prosegue il Ceo. Piano, non troppo. Ma come si entra in un mercato già saldamente presidiato, altamente competitivo, in un’industria tra le più conservatrici? La sfida risulta anche vista dall’esterno particolarmente impegnativa. «La chiave della crescita che abbiamo riportato negli ultimi anni, abbiamo raggiunto circa di 25mila clienti, con un tasso in costante positiva evoluzione, è la gradualità. Abbiamo ‘sbloccato’ via via nuovi servizi, e nuovi prodotti. Tra i primi oltre al conto multivaluta e un unico Iban per diverse valute, abbiamo aperto a soluzioni personalizzate di gestione patrimoniale già a 30mila franchi, e l’anno seguente un servizio di advisory già a 10mila. In termini di know-how facciamo leva anche sul Gruppo Intesa, il che ci consente di creare valore aggiunto per il nostro correntista, continuando a espandere l’offerta di servizi, ma tenendo la professionalità quale bussola della nostra evoluzione», nota Bonaita.

Gradualità quindi, ma le sorprese non sono comunque finite. «Siamo nuovi sul mercato, e consapevoli di non poter sbagliare, garantendo sempre un’elevatissima qualità del servizio, superiore nelle intenzioni a quella della concorrenza. Quest’anno abbiamo ampliato l’offerta con un nuovo importante aggiornamento grafico dell’app, e stiamo lanciando in questa parte finale dell’anno una soluzione di III Pilastro ed eBill. L’anno prossimo aggiungeremo all’offerta Twint e conti cointestati per l’unità familiare. Nel 2022 abbiamo definito le nostre aree Core, in cui vogliamo offrire servizi direttamente, e altre in cui invece appoggiarci su fornitori top di gamma esterni, come American Express nel caso delle carte di credito», chiarisce il Ceo.

È però altrettanto importante che domanda e offerta evolvano insieme, stimolandosi reciprocamente meglio, ma che in ogni caso a trainare sia una domanda reale, e non solo teorica, come invece

«Quello che noi abbiamo a disposizione non sono sedi dove si respirano storia e tradizione, e di base nemmeno schermi da 20-30 pollici. Il canale privilegiato con cui ci interfacciamo con il cliente, e in cui dobbiamo costruire tutto, è lo schermo di un telefono. Gli siamo vicinissimi, ma a maggior ragione bisogna essere attentissimi»

Gianmarco Bonaita, Ceo di Alpian

Aumenta la clientela

Distribuzione per cantone del numero di clienti (in mia)

Strategie a confronto

Tra i primi servizi introdotti: soluzioni personalizzate di gestione patrimoniale

spesso accade. «Sono convinto che in questi casi uno dei principali rischi sia scadere nel mero ‘esercizio di stile’, ossia fornire servizi o prodotti con un’ottima qualità tecnica, che però non rispondono alle esigenze del cliente. La gradualità con cui stiamo procedendo è strumentale anche a dialogare con la clientela, e soprattutto ascoltare, per poi attivarci. Anche il cliente ci approccia gradualmente, iniziando con

Prosegue la penetrazione del mercato svizzero da parte della giovane realtà bancaria sui generis. A fare la differenza servizi competitivi, nuove modalità di approcciare la clientela, solo tramite App, e un’evoluzione anche culturale del modo di far banca. La strada è ancora lunga, ma può contare su un mercato potenziale di due milioni di persone.

Fonte: Alpian 2025
Ginevra
Friburgo Berna Vallese
Ticino
Zurigo
Vaud
Fonte: Alpian 2025 (30-XII-22: 100)
Alpian Balanced strategy
Performance Watcher mid-risk index

Agli inizi, dunque nel 2019, la giovane start up poteva contare su un team di sette persone, qualche anno più tardi hanno superato il centinaio, anche grazie all’azionista.

un servizio, testandolo, per poi adottare nel tempo nuove funzioni. Possiamo essere la banca principale, dobbiamo però prima diventare un’abitudine, e guadagnarci la fiducia, e crescere. Siamo spesso contattati da non residenti in Svizzera, che al momento non possiamo servire, mentre intercettiamo ottime opportunità per tutte le persone da poco stabilitesi nel Paese», evidenzia Bonaita.

La dimensione internazionale. Avere ‘le spalle coperte’ è certamente uno degli ingredienti fondamentali di questa storia, e del successo che sta riportando. Si tratta infatti di una start up, dopo tutto, con tutti i pro e i contro che una pagina bianca reca in dote. «Siamo parte di un grande Gruppo europeo, in cui storicità

e tradizione sono componenti identitarie fondamentali, ma ci inseriamo in un alveo strategico, da un lato di internazionalizzazione, dall’altro di digitalizzazione dell’offerta. Siamo la risposta alle esigenze di domani, un piede in quello che sarà il business di un futuro ormai non troppo lontano, quello del Digital Wealth Management. In termini tecnologici siamo Top of the Art, un livello che nessun istituto che abbia storicità alle spalle potrebbe raggiungere, sia per limiti dettati dall’operatività quotidiana, sia per le complicazioni esponenziali che un grande istituto crea. Grazie alle nostre competenze, collaboriamo con il Gruppo nello sviluppo di progetti strategici a livello europeo, in chiave futura», chiarisce il Ceo.

In questa dimensione Svizzera, Italia, Europa non presentano sostanziali differenze, sono una regione molto uniforme, anche e soprattutto in termini culturali, uno dei principali e ricorrenti scogli dell’industria finanziaria. «Nonostante la natura digitale e mobile che ci siamo dati sin dal fiorire dell’idea, siamo con-

vinti che nel nostro settore a fare la differenza restino le persone, e continueranno a farlo anche in futuro. La relazione con il cliente sarà sempre più ibrida, e con una crescente componente digitale, ma il rapporto di fiducia non può prescindere dal cliente e dal consulente. In molti casi è anche solo la ‘possibilità’ di potersi rivolgere in qualunque momento e per qualunque necessità a ‘qualcuno’ che fa la differenza, circostanza che magari si concretizzerà molto raramente, in un momentum di mercato diffile, come il Liberation Day quest’anno, o mai. Evidentemente non tutti i clienti sono uguali, e le abitudini cambiano, noi dobbiamo essere bravi a diventarla, un’abitudine», nota Bonaita. Ma su cosa si basa dunque il vantaggio competitivo, laddove la preminenza sia ancora in mano alle persone, e non alla tecnologia? «Sono convinto la nostra cifra distintiva sia la qualità del servizio che offriamo, e che chiunque può toccare ogni giorno. Quando decidiamo di aggiungere una tessera al mosaico significa che abbiamo già allineato la qualità di quel nuovo servizio a quella degli altri, il personale è formato e disponibile, raggiungibile digitalmente sempre. Ad aver fatto la differenza, sin dagli inizi, è essere una boutique, facente parte di un Gruppo votato all’International Private Banking, ed è un imprinting che ci ha segnato. A nostra volta siamo una banca, abbiamo ottenuto licenza bancaria in Svizzera, e abbiamo una nostra Governance. È uno di quei casi in cui in effetti la Cultura fa la differenza», rileva il Ceo.

La relazione umana. Il rapporto tra persone è dunque destinato a rimanere il nocciolo duro di una delle industrie più conservatrici ancora in servizio. Ma come può una banca dichiaratamente mobile e digitale ‘incontrare’ le persone, e dunque trovare nuovi proseliti? «Una parte importante dei nostri sforzi in questo ambito è raggiungere e relazionarci con i professionisti in entrata che non hanno ancora una banca, e in quel caso si tratta dunque di diventare noi dal principio la loro banca di riferimento. Esiste poi un mercato potenziale di oltre due milioni di persone in Svizzera, i mass affluent, che sono il nostro vero target. In questo secondo caso si tratta di raggiungerli tramite la classica brand awareness, e con eventi, dunque la sponsorizzazione di iniziative organizzate da nostri partner. La proattività necessaria a ottenere

Fonte: Alpian 2025 Il

buoni risultati passa poi anche dal sito, la nostra principale vetrina, aggiornandolo regolarmente», illustra Bonaita.

E nella migliore delle tradizioni del settore, l’altro fondamentale canale restano i clienti stessi. «Abbiamo sviluppato un meccanismo di benefici per quei clienti che ci portano nuova clientela. Negli ultimi mesi fino al 30% dei nuovi conti sono stati aperti proprio grazie a questo canale, su cui stiamo lavorando alacremente. Si tratta di fare bene il nostro mestiere, offrire un servizio che soddisfi la clientela, tastando il polso della situazione con una certa metodica frequenza. I migliori ambasciatori del nostro brand sono i clienti soddisfatti, che spendono una buona parola, a volte anche incidentalmente, presso amici e conoscenti, come spesso avviene in altri ambiti. Questo ci è utile in più d’un senso, cresciamo, ci rafforziamo per visibilità e posizionamento, diventiamo abitudine capitalizzando la fiducia del cliente, e incassiamo il risultato del lavoro degli ultimi anni», prosegue il Ceo. La strategia sta evidentemente dando i suoi frutti, come testimoniano dati più che incoraggianti. Il mercato esiste, e risponde positivamente agli stimoli. Scontato? Mai. «Dopo un’iniziale fase di rodaggio dei sistemi interni, siamo partiti nel 2023, chiudendo l’anno con 1800 clienti, l’anno scorso abbiamo toccato i 17mila, e abbiamo superato ora i 25mila. C’è ancora molta strada da fare, ma la direzione è quella giusta, fermo restando gli investimenti in tecnologia. Pur avendo iniziato nel 2020, l’obsolescenza che hanno le piattaforme oggi è quasi immediata, in un attimo puoi risultare datato, e il pericolo è dietro l’angolo. Dobbiamo restare alla frontiera tecnologica, dimostrando più degli altri, continuando ad alzare l’asticella, in termini di user experience, interfaccia grafica… è anche per questo che è stata da poco rilasciata la nuova versione della piattaforma», chiarisce Bonaita.

Un dettaglio: non solo tecnologia, digitale sì, ma mobile. A contare sono dunque le dimensioni. «Quello che noi abbiamo a disposizione non sono sedi dove si respirano storia e tradizione, e di base nemmeno schermi da 20-30 pollici. Il canale privilegiato con cui ci interfacciamo con il cliente, e in cui dobbiamo costruire tutto, è lo schermo di un telefono. Siamo incredibilmente vicini al cliente, più di chiunque altro, ma proprio per questo bisogna essere attentissimi. La semplicità è sempre

Fonte: Alpian 2025

Alpian 2025

a doppio taglio. La mia tesi di Master era sul turismo invernale italiano, il che mi aveva portato a fare una riflessione: le località di maggiore successo sono spesso quelle meno accessibili, più distanti dalle grandi città. Arrivarci è più complicato, e deve dunque valerne la pena, ma una volta che sei lì ci rimani. Una località vicina è semplice da raggiungere, dunque anche da abbandonare. Alpian deve essere brava a declinare semplicità e successo, ed è possibile farlo solo attraverso la soddisfazione del cliente», rileva il Ceo.

Dunque un delicato esercizio perché non diventi di semplice ‘stile’, ma che resti di attento equilibrismo. Onori eventuali, oneri garantiti, dalla cuspide alla base della piramide. «Si sottovaluta spesso il mondo che possano racchiudere tre semplici lettere: Ceo. A livello operativo non c’è nessuno sopra di te, al tempo stesso riassumi la maggior eterogeneità dei compiti, devi avere una certa carica emotiva, e sei primo ambasciatore dell’azienda. Non ti puoi mai fermare, sei sempre alla prova, il che nel mio caso è estremamente moti-

Alla base del successo di questi primi anni, la gradualità di approccio che banca e cliente stanno avendo, oltre all’introduzione crescente di nuovi servizi e funzionalità.

vante. All’inizio eravamo 7 colleghi, oggi siamo 110. Tre anni fa progettavamo un edificio, che fosse perfetto, oggi abbiamo 25mila inquilini, dobbiamo fare posto per gli altri, ma tenendo bene a mente in ogni momento le esigenze di chi già c’è. Devi tenere fermo il timone, e non perdere la bussola, salvo dover decidere a ogni bivio dove svoltare. Nel tempo diventa un’abitudine, la nostra stessa grande ambizione: diventare abitudine per milioni di soddisfatti clienti», conclude Gianmarco Bonaita, Ceo di Alpian.

In un mercato dove tradizione e cultura sono da sempre il cuore, la storia di questa giovane realtà segna uno spartiacque: qualcosa è forse davvero cambiato?

Federico Introzzi

Fonte:

Robotics 10x

Essere pionieri presenta rischi, ma anche molti vantaggi. Si colgono opportunità e si capiscono logiche, si raccolgono molti successi, quando anche il mercato accende la luce.

Questione di costo

Evoluzione del costo del lavoro nei diversi Paesi (2000: 100)

La corsa dei robot

Installazione di robot ogni 10mila collaboratori nel manifatturiero per Paese

In pochi anni molte delle certezze passate sono prima sbiadite, poi del tutto scomparse. Una delle principali è la conclamata fine della globalizzazione, e un controverso inizio di una fase segnata da profonda incertezza, e ondivaghe decisioni, in balia di un quadro geopolitico frammentato e instabile. Evidenze che anche in ambito d’investimenti danno ragione a chi si era mosso per tempo: i pionieri. «Già nel 2015 si stavano delineando trend che lasciavano supporre si stesse aprendo una nuova era industriale, il che solitamente si traduce anche in interessanti opportunità d’investimento per chi sa coglierle. La demografia avversa, dunque l’invecchiamento

della popolazione, e il calo dei tassi di produttività erano segnali molto forti di quella che sarebbe seguita, una significativa domanda di automazione, dunque robotica industriale e intelligenza artificiale, le logiche risposte per aumentare produttività, mobilità e sicurezza per il personale, fronteggiando la crescente scarsità di manodopera», rileva Peter Lingen, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management.

Il dibattito dell’epoca era saldamente incentrato sui data, gli allora Big Data, era ancora presto per porsi la domanda immediatamente successiva: cosa farne? «Sfruttando i dati, l’Ia e le piattaforme cloud, eravamo certi che i robot sarebbero

L’evoluzione del costo del lavoro negli Emergenti, e quello nei Paesi avanzati, sono la miglior garanzia della domanda di robot industriali.

diventati velocemente parte integrante di fabbriche intelligenti e interconnesse, con nuovi principi al loro centro: manutenzione predittiva, produzione adattiva e collaborazione senza soluzione di continuità uomo-macchina. Ossia quello che oggi tutti vedono. Grazie a un approccio tematico collaudato abbiamo disegnato una strategia bottom-up, senza vincoli e indipendente da settore, stile e area geografica, concentrata su aziende con un alto grado di purezza, la Pictet Robotics, che in un decennio ha raccolto 9,5 miliardi di franchi di masse», evidenzia il gestore. Se l’idea era certamente buona, anche l’attualità dell’ultimo decennio ha contribuito in misura sostanziale ad accentuare il trend, allora ancora sottotraccia. «Gli ultimi 8 anni sono stati segnati da ricorrenti tensioni commerciali, attriti geopolitici e ora dazi, che hanno sottoposto le catene di approvvigionamento globali a forte stress. Aziende e Governi hanno risposto accrescendo gli sforzi in near-shoring e friend-shoring della produzione, il che ha dato ulteriore vigore alla domanda di robotica e automazione. Il nostro interesse rimane concentrato nell’individuare leader di mercato in nicchie emergenti, con una chiara leadership tecnologica. Crescita e innovazione sono il binomio alla base del successo delle aziende di domani, ma se in alcuni casi si tratta di player facilmente riconoscibili, in molti altri il mercato non ne ha ancora saggiato il potenziale, ed è lì dove si fa la differenza», prosegue Lingen.

Facile a dirsi, un po’ più difficile a farsi, a meno di non conoscere da dentro gli equilibri instabili di un mercato in forte espansione. «Avere l’innovazione incisa nel proprio Dna è il miglior viatico perché

un’impresa possa continuare a crescere, avendo il coraggio di investire in sé stessa, in un contesto di crescita trascurabile che segnerà le economie avanzate nel prossimo futuro. Nel 2016, ad esempio, abbiamo investito in un leader globale nel controllo dei processi e yield management nella produzione di semiconduttori. Da allora il suo valore è continuato a crescere, penetrando nuove nicchie e imponendosi nei chip logici avanzati e nelle memorie ad alta larghezza di banda, grazie soprattutto all’R&D», sintetizza il gestore.

Spesso alla base di un successo duraturo si può individuare una mossa iniziale frutto del caso, ma ricca di addentellati e fortunate ricadute di lungo termine, altrimenti impossibili. «Una delle nostre riunioni, ormai qualche anno fa, si è tenuta in un ex cantiere navale del Gruppo Maersk, a Odense. Questa piccola cittadina danese è uno dei principali poli della robotica mondiale, vi hanno infatti sede Universal Robots e Mobile Industrial Robots, due giganti. Negli anni Novanta per fronteggiare la concorrenza asiatica in questo cantiere era iniziato un ambizioso programma, grazie alla collaborazione con la University of Southern Denmark, per sviluppare sistemi di saldatura robotizzati, per efficientare la produzione navale. È stato l’inizio dello sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali, e un intero ecosistema di talenti, start up e innovazione oggi più vivo che mai», chiarisce Lingen.

Gestire attivamente una strategia impone di riservare molta attenzione alla scelta del team e alle sue dinamiche. «Nella gestione del team applico da sempre un approccio molto scandinavo, incentrato sulla collaborazione, dando a tutti la libertà di contribuire, imparare e crescere. Gli errori devono sempre essere opportunità di apprendimento; il mio compito oltre a definire la strategia complessiva e tracciare la rotta, è anche più sottile, miro ad allineare crescita individuale e successo del team. Ogni membro si occupa delle proprie aree di competenza, ma solo lavorare a stretto contatto e condividere nuove idee fa la differenza», nota il gestore.

E poi giunse l’elefante nella stanza, ribaltando forse molti equilibri del settore. «La GenAi ha trasformato il modo in cui i robot apprendono e interagiscono con l’ambiente circostante, ha abbreviato il ciclo di R&D di robotica e automazione, migliorando l’analisi dei dati, le capacità

«Nella gestione del team applico da sempre un approccio scandinavo, incentrato sulla collaborazione, dando a tutti la libertà di contribuire, imparare e crescere. Gli errori devono sempre essere opportunità di apprendimento, si tratta però anche di allineare crescita individuale e successo del team»

Peter Lingen, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management

Da oggi al 2030

Investimenti annui attesi per settore in industria 4.0 (dati in mld usd)

I semiconduttori

Evoluzione attesa del mercato entro il 2030 (dati usd mld)

predittive e le simulazioni virtuali, punti cardine della fase di progettazione. L’Ia ha portato la velocità nei processi, spianando la strada alle sue prossime evoluzioni, l’Ia agentica (servizio clienti, e marketing), e l’Ia fisica (robotaxi, veicoli autonomi, robot umanoidi), oltre che nella stessa progettazione e produzione di microchip sempre più avanzati», conclude Lingen. In un mondo che corre la velocità è

Si prevedono forti investimenti in robotica nei prossimi anni, trend condiviso dai semiconduttori.

certo un valore, e l’Ia promette faville in tal senso, al tempo stesso la differenza sarà riuscire a gestirla, e dominarla.

Giulio De Biase

Fonte: Pictet
Fonte: Pictet 2025
Valore complessivo atteso del mercato, Cagr 2021-2030: 7%
Contributo dei singoli settori 2021-2030

Osservatorio

Avanti calmi

Proseguono le ottime performance dei mercati che trainano il gestito dei fondi svizzero d’investimento, ma emerge qualche difficoltà in termini di raccolta.

Il terzo trimestre dell’anno per l’industria svizzera dei fondi d’investimento si è chiuso con masse in gestione in significativo spolvero, con una crescita rispetto ai dati di agosto superiore a 28,2 miliardi di franchi, in larga misura frutto dell’ottimo andamento dei mecati azionari, che continuano a tenere botta, e a un piccolo sussulto di bond e materie prime, entrambi a +5 miliardi. Le masse in gestione si portano dunque a 1,66 trilioni di franchi, rispetto a 1,52 trilioni di non meno di 12 mesi fa.

In termini di net new money la situazione è leggermente più complessa, con risultati tra flussi e deflussi in sostanziale pareggio (+126 milioni), appesantita da deflussi da monetari e azionari, controbilanciati da materie prime e bond.

Il mese di settembre è stato tutto sommato molto generoso anche rispetto alle performance dei principali mercati azionari, con il Nasdaq 100 ancora una volta in territorio fortemente positivo (+5,03%), trainato ovviamente dall’ottimo risultato della solita Nvidia, in crescita del 5,57. Di riflesso anche lo S&P 500 prosegue al rialzo del 2,94%. Contrastata l’Europa, con l’EuroStoxx50 che sale di oltre il 2%, con però in controtendenza il Dax tedesco, che arretra dell’1,62%, mentre sorprende lo slancio del Cac 40, nonostante la maretta che si registra in Francia, sempre più preda dell’instabilità politica, e senza particolari speranze di riuscire a cavarsela in tempo molto brevi.

Lo Smi scende a sua volta dell’1,39% ancora sulle spine per l’andamento delle trattative sui dazi che qualora entrassero in effettivo vigore qualche problema ulteriore potrebbero crearlo. Prosegue l’arretramento del dollaro sul franco, che perde un ulteriore 0,34% che porta la perdita annua del biglietto verde a varcare la sbalorditiva soglia del 12%. Certamente il taglio di 25 bps in settembre dei tassi da parte della Fed non ha aiutato.

Il mercato svizzero dei fondi (Dati Morningstar in mln di franchi)

Categoria fondi

Fondi azionari

Fondi obbligazionari

misti

Raccolta per Asset class (in milioni di franchi)

Osservatorio 4.0

Caro lettore,

L’Osservatorio sta infine sfondando la famosa terza dimensione, l’online, per essere sempre più completo e aderente all’evoluzione vorticosa dei mercati finanziari, tenendo il passo. Una parte dei contributi dei numerosi Partner che da anni contribuiscono alla sua ricchezza, e che molti apprezzano, inizieranno a essere web-only, specie per quelle tematiche molto più ‘liquide’. Buona meta-lettura FI

L’Angolo dell’investitore: (Ia, Financials, Space Economy; Isin):

▲ Apple (US0378331005)

▲ Alphabet (US02079K1079)

▲ Oracle (US68389X1054)

▲ Goldman Sachs (US38141G1040)

▲ Banco Santander (ES0113900J37)

▲ Jp Morgan (US46625H1005)

▲ Airbus (NL0000235190)

▲ Boeing (US0970231058)

▲ Lockheed Martin (US5398301094)

Successi non solo sportivi

Spesso sottovalutato, anche lo sport è un universo d’investimento interessante, e ricco di opportunità, in forte crescita da oltre mezzo secolo. Ma come fare?

L’industria dello sport sta vivendo una crescita significativa, trainata da streaming sportivo, pubblicità più efficace, sponsorizzazioni basate sui dati e una platea di spettatori sempre più ampia e diversificata. Salute, fitness, scommesse sportive ed e-sports alimentano la domanda e attraggono Private Equity ed investitori. Diritti e pubblicità. La domanda di contenuti sportivi cresce grazie ai ‘pacchetti skinny’ e allo streaming diretto, che stanno rivoluzionando la Tv. I principali provider hanno ottenuto accordi sui diritti, facendo salire le valutazioni: negli Stati Uniti i rinnovi hanno registrato aumenti medi annui tra 2,1 e 2,9 volte.

Il valore globale dei diritti media sportivi ha superato i 62 miliardi di dollari nel 2024 (+12% y/y). I progressi tecnologici migliorano le esperienze pubblicitarie e la raccolta dati, aumentando il valore delle sponsorizzazioni. L’Asia è il motore, con India e Arabia Saudita che registrano re-

cord di partecipazione e ricavi, mentre il mercato Asia-Pacifico dovrebbe raggiungere i 47 miliardi di dollari entro il 2032. I nuovi fan. Documentari, reality e talk show stanno creando una nuova generazione di appassionati, rendendo lo sport strategico per Media e Tech. I giovani preferiscono contenuti dietro le quinte, streaming live e formati interattivi, mentre la Gen Z consuma più highlight che non live. E a cambiare sono anche i luoghi. Tendenza wellness. Il benessere è diventato una componente fondamentale dello sport, che oggi viene considerato non solo come attività fisica, ma come elemento chiave per la salute generale, la resilienza mentale, la nutrizione e il recupero. Questa evoluzione riflette la crescente attenzione dei consumatori verso stili di vita sani e attivi, specie tra i più giovani. Secondo McKinsey, la maggioranza dei consumatori in Stati Uniti, Cina e Regno Unito considera il wellness una priorità importante. Il mercato globale delle at-

Luca Henzen, Derivatives Analyst Cio di Ubs Global Wealth Management.

trezzature sportive sta crescendo rapidamente, passando da 331 miliardi di dollari nel 2021 a stimati 579 entro il 2030, grazie all’adozione diffusa di dispositivi indossabili. I ‘wearable’, ormai utilizzati sia da professionisti che da amatori, hanno favorito lo sviluppo di piattaforme di fitness connesse che integrano hardware, contenuti digitali e abbonamenti. Anche il recupero fisico e mentale è diventato centrale, con prodotti come pistole massaggianti, crioterapia e saune a infrarossi che passano dal mondo degli atleti d’élite al mainstream. La nutrizione si espande con la domanda di bevande funzionali, integratori proteici e personalizzati. Lo sport giovanile e amatoriale registra una crescita significativa, con sempre più investimenti di Private Equity. Sempre più premium. Lo sport sta attraversando una fase di premiumizzazione, con accesso, esperienze e servizi sempre più esclusivi e costosi. I diritti di trasmissione sono diventati centrali, e per seguire le competizioni principali spesso sono necessari abbonamenti a più piattaforme. Questa tendenza ha aumentato la monetizzazione dei fan disposti a pagare per un accesso completo, come dimostrano i diritti Ufc su Paramount venduti per 7,7 miliardi di dollari fino al 2033. Le leghe stanno sviluppando offerte direct-to-consumer, come Nba League Pass e F1Tt, che permettono di accedere a prodotti digitali premium con prezzi elevati.

Anche i prezzi degli stadi sono aumentati, con club che investono in esperienze di luxury hospitality come sky box, lounge aziendali e posti a bordo campo,

© Kanchanara / Unsplash

mentre i biglietti standard continuano a salire. Collaborazioni tra club sportivi e brand di lusso sono sempre più frequenti. La crescita di brand di abbigliamento e attrezzature sportive di lusso riflette la disponibilità dei consumatori a investire in prodotti di alta qualità che uniscono performance e lifestyle. I principali brand sportivi puntano su linee premium e collaborazioni con designer che portano la categoria verso il segmento moda di lusso. Il panorama degli investitori. Investire nello sport, un tempo riservato a ricchi e celebrità, è oggi sempre più istituzionalizzato grazie all’ingresso dei principali fondi di Private Equity nelle franchigie sportive. Le leghe statunitensi hanno aperto agli investimenti Pe, permettendo acquisizioni di minoranza su più squadre e leghe. Oltre un terzo delle squadre delle principali leghe nazionali americane ha ora coinvolgimento di Pe. Gli asset sportivi sono apprezzati per la loro scarsità, ricavi resilienti e flussi di cassa diversificati. Non tutti hanno subito rialzi di prezzo, offrendo potenziale di efficienza e crescita. Secondo il Ross-Arctos Sports Franchise Index, il valore delle franchigie sportive è cresciuto del 13% annuo negli ultimi 60 anni, dimostrandosi investimenti solidi anche in periodi di crisi. Il 2024 ha visto un record di operazioni M&A sportive, con il 45% guidate da sponsor Pe e un aumento dei fondi dedicati all’ecosistema sportivo. Gli investimenti non si limitano più a quote nei club, ma includono finanziamenti strutturati su tutta la filiera, con interesse crescente per stadi e sviluppi immobiliari. Nuovi stadi multifunzionali vengono costruiti per diversificare i ricavi. Come investire. L’industria dello sport è diventata un tema d’investimento ampio e dinamico, che ora include media, diritti di trasmissione, scommesse, dati, fitness, eventi live ed e-sports. Le opportunità d’investimento si trovano sia nei mercati pubblici che privati. Nel settore Media e intrattenimento, i grandi gruppi e le Big Tech competono per i contenuti sportivi premium, facendo salire il valore dei diritti e sfruttando i propri ecosistemi digitali. Nei mercati privati, Private Equity e Venture Capital puntano su aziende con tecnologia over-the-top (Ott) e piattaforme globali che trasmettono sport online. Le franchigie e le leghe sportive offrono esposizione a brand iconici e ricavi stabili, con la proprietà privata in forte

Coinvolgimento degli investitori privati nello sport

Il settore sportivo americano

crescita, soprattutto negli Stati Uniti. Le leghe sportive, spesso possedute da fondi di Pe, sono considerate attraenti per la loro posizione quasi monopolistica e la minore dipendenza dai risultati sportivi.

Abbigliamento e attrezzature sportive restano segmenti accessibili, sia nel pubblico che nel privato, con brand globali sfidati da nuovi player. L’ecosistema fitness e wellness si è evoluto oltre le palestre, includendo salute, tecnologia e wearable, con esposizione tramite catene di palestre e fornitori di attrezzature.

Gli investimenti in infrastrutture ed eventi riguardano arene, stadi e piattaforme di ticketing, all’incrocio tra real estate e intrattenimento. Il lending su asset sportivi cresce rapidamente, con lender alternativi che offrono soluzioni flessibili e sono sostenuti dal Private Equity.

Gli asset sportivi sono complessi e richiedono analisi approfondite. Gli investimenti possono essere influenzati dalla passione personale, quindi è importante distinguere tra investimenti emotivi e quelli ottimizzati per ritorno finanziario. Squadre e leghe hanno modelli di busi-

Il settore sportivo americano offre interessanti opportunità, a rischi contenuti, considerati i cicli degli ultimi anni. Grossi fondi specializzati di Private Equity sono spesso i più attrezzati e interessati.

ness e rischi diversi; una maggiore diversificazione dei ricavi rende il modello più resiliente. Il rischio reputazionale è pure elevato, soprattutto per club e brand associati a decisioni impopolari. Le valutazioni sono salite rapidamente, quindi è fondamentale procedere con cautela.

Il settore sportivo e dell’intrattenimento vale circa 3 trilioni di dollari e offre opportunità grazie a ricavi crescenti, investimenti strategici e engagement globale dei fan. La diversificazione dei ricavi e delle aree di investimento, come lo sport giovanile e le attrezzature, aumenta la resilienza del settore. Investitori e istituzioni finanziarie sono a conoscenza di queste dinamiche e con molta probabilità ben posizionati per cogliere le opportunità offerte da questo mercato in espansione.

Record di emissioni

Alcuni elementi stanno incidendo ormai da qualche anno sui delicati equilibri del mondo obbligazionario, seminando rischi e incertezza. La geopolitica certamente non aiuta.

La correlazione nei portafogli

Correlazioni tra asset class con rolling a 3 mesi (dati ultimi 10 anni)

Suparna Sampath, Fixed Income Investment Product Specialist, di Vanguard Europe. Diversificare è sempre la chiave di volta del successo di un portafoglio, anche per quelli più conservativi, come per i bond.

Obbligazioni

Fonte: Vanguard 2025

Le recenti ondate di emissioni obbligazionarie hanno messo alla prova la capacità di assorbimento dei mercati, mentre la resilienza dell’economia statunitense, le tensioni commerciali e l’incertezza politica in Europa continuano a influenzare il quadro dei rendimenti. In un contesto in cui i tassi rimangono elevati e la volatilità persiste, la diversificazione globale si conferma un elemento chiave. Emissioni e domanda in evoluzione. All’inizio di settembre si è osservato un forte aumento delle emissioni obbligazionarie globali, sia in Europa che negli Stati Uniti. Questo picco di offerta, tipico del post Labor Day, ha incontrato una domanda molto elevata, con sottoscrizioni da due a 15 volte superiori l’offerta. Tuttavia, i rendimenti hanno continuato a salire, segnalando un equilibrio fragile tra l’abbondanza di nuove emissioni e l’appetito degli investitori.

Il mercato resta in grado di assorbire i volumi, ma l’entità dell’offerta mette alla prova la sua tenuta, in particolare in una fase in cui gli operatori valutano con pru-

denza le prospettive dei tassi e l’impatto di ulteriori collocamenti.

Resilienza americana e dilemma per la Fed. L’economia statunitense continua a mostrare notevole solidità: la crescita del secondo trimestre è stata rivista al rialzo e il mercato del lavoro rimane robusto. Questa forza sostiene un’inflazione stabile intorno al 3%, un livello che complica le decisioni della Federal Reserve.

Nonostante la tenuta, il mercato prezza aspettative di tagli dei tassi nei prossimi mesi, spinto da segnali di rallentamento nel mercato del lavoro. La Fed si trova così in una posizione difficile, dovendo mantenere la stabilità dei prezzi ed evitare una relativa eccessiva stretta monetaria. Dazi e pressioni strutturali. L’aumento dei dazi e le tensioni commerciali internazionali hanno riacceso i timori inflazionistici, ma l’impatto sui prezzi al consumo appare graduale. Le imprese americane hanno reagito con strategie di adattamento, accumulando scorte e diversificando i fornitori per ridurre la dipendenza da Paesi soggetti a tariffe più alte, come la Cina. Questo processo di riorientamento

commerciale contribuisce a contenere l’aumento dei prezzi, ma segnala anche l’emergere di pressioni strutturali di medio periodo, legate a un mercato del lavoro teso e a politiche fiscali espansive. Il Vecchio Continente. In Europa, l’obbligazionario deve fare i conti con un contesto politico e fiscale incerto. Nel Regno Unito i rendimenti a lungo termine restano ai massimi da quasi tre decenni, mentre cresce l’attesa per la legge di bilancio di novembre. In Germania, l’aumento delle emissioni porta a un riprezzamento dei Bund e a una riduzione degli spread, mentre in Francia l’instabilità politica mantiene alta l’attenzione degli investitori. Nel complesso, le prossime tornate di emissioni saranno un test importante per valutare la solidità della domanda e il grado di fiducia verso i debiti sovrani europei. Il valore strategico della diversificazione. In un contesto di volatilità e incertezza macroeconomica, la diversificazione globale rimane uno strumento essenziale per la gestione del rischio obbligazionario. Nessun singolo mercato mostra una sovraperformance costante nel tempo, mentre l’esposizione a più aree geografiche e settori consente di ridurre la volatilità complessiva e il rischio idiosincratico.

Un’allocazione ampia a livello globale, soprattutto nel segmento governativo, aiuta a bilanciare le correlazioni con l’azionario e a migliorare la resilienza dei portafogli nel lungo periodo.

Pechino alla guida

Tornano a segnalarsi i mercati emergenti, con la Cina in uscita dal pantano post-Covid. Crescita in rialzo, inflazione al ribasso e fiducia dei consumatori potrebbero spingere il Dragone.

La Cina riparte

Lo scenario economico globale, pur in un contesto di elevato rischio geopolitico, si sta stabilizzando con un tasso di crescita prossimo al 3% annuo sia per il ‘25 che per il ‘26. Va segnalato che il contributo dei Paesi Emergenti a tale dinamica è tornato ai livelli pre-pandemia. All’interno di questo universo permangono però sostanziali differenze, con la Cina che sta tornando a segnalarsi.

Gli interventi di stimolo decisi e attuati da Pechino hanno contribuito alla stabilizzazione del quadro economico per contrastare il rallentamento seguito alla crisi immobiliare e alla lenta uscita dal Covid. Il 15esimo Piano quinquennale per lo sviluppo economico e sociale (2026-30) esaminato a fine ottobre ha rivolto il focus su tre aspetti principali:

- Sono state approvate misure volte al riequilibrio delle relazioni tra potere esecutivo e mercato con lo scopo di ridurre la regolamentazione eccessiva e diminuire la frammentazione del mercato;

- L’innovazione scientifica e la formazione per favorire l’incremento della pro-

duzione manifatturiera vengono assunti ufficialmente come ‘new quality productive forces’. Viene confermato e rafforzato il focus sulla crescita produttiva trainata da innovazione tecnologica, uso di Ia e una sempre maggiore robotizzazione. In tal senso formazione, talento creativo e ricerca vengono considerati essenziali; - Il miglioramento dei servizi pubblici attraverso maggiori investimenti per la persona viene considerato fattore anticipatore di una fase di common prosperity.

Le stime di crescita cinese per il 2025 sono state alzate al 4,7% mentre l’inflazione è stata rivista al ribasso, +0,2% nel 2025, e +0,6 nel 2026. Il processo disinflattivo in corso permetterà ulteriori misure di stimolo monetario e fiscale a sostegno della crescita. Le autorità cinesi si muoveranno in varie direzioni: fornire migliori servizi e approvare riforme economiche e sociali a livello domestico, rafforzare le relazioni con i partners commerciali a livello esterno.

La ripresa nella dinamica dei consumi interni è confermata dal trend dei trasporti (il numero di voli domestici ha

Livio Dalle, Responsabile Portfolio Management di Indosuez Wealth Management. A lato, le diverse componenti alla base della ripresa cinese nella difficile fase post Covid.

raggiunto il massimo storico assoluto); il weekend di fine settembre ha segnato un record storico di passeggeri (Golden week travel rush) confermando che l’economia delle vacanze sta diventando un driver vitale per la crescita economica. Gli indicatori di fiducia confermano il buono stato di salute tendenziale di tutte le economie emergenti (indice Pmi dell’area a 52,6 con l’India a 61). Nell’insieme quindi lo scenario caratterizzato da ripresa dei consumi, assenza di pressione inflattiva (specie nell’area cinese) con crescita economica molto positiva si presenta come un’opportunità per gli investitori. Anche la debolezza del dollaro americano rafforza la propensione per gli investimenti nell’area dei Paesi Emergenti. Ad aumentare l’attrattività per gli investitori va segnalato il fatto che le valutazioni fondamentali degli Emergenti presentano livelli storicamente inferiori alle medie di lungo periodo. Nel corso del 2025 gli indici azionari hanno complessivamente performato molto bene, pur senza raggiungere livelli massimi né dal punto di vista valutativo né da quello grafico-tecnico (salvo alcune eccezioni tra cui spicca il mercato Indiano). L’indice Shenzhen 300 (il più importante indice azionario Cinese) presenta una formazione grafica molto interessante dopo una lateralità pluriennale, mentre l’attrattività delle valutazioni fondamentali è confermata da una crescita degli utili aziendali prevista per il 2026 superiore al 10%.

Costi oggi, profitti... poi

L’Intelligenza Artificiale è una rivoluzione ormai in atto, ma dai risultati ancora difficilmente immaginabili, gli investitori dovrebbero però porsi altre domande, più importanti.

Le principali sfide

Quali sono le sfide dei prossimi anni nell’introdurre l’Ia in azienda?

Cybersecurity e preoccupaz. etiche

Incertezza regolatoria

Limitato supporto dei leader

Integrazione con i sistemi It

Scarsa qualità dei dati

Roi incerto e business case

Mancanza di strategia o roadmap

Scarsezza di talenti tecnici

Fonte: McKinsey 2025

Il costo reale dell’Ia non risiede in quanto spendono le aziende, ma nel tempo necessario agli investitori per riceverne i relativi profitti. L’intelligenza artificiale domina sia i titoli dei giornali che la capitalizzazione di mercato. I ‘Magnifici 7’, i giganti tecnologici statunitensi, rappresentano ora oltre il 30% dello S&P 500. Gli investitori si trovano di fronte a un dilemma: acquistare alle valutazioni odierne o rischiare di perdere una trasformazione generazionale?

Un Cio dovrebbe però leggere la domanda in un altro modo. L’Ia non è un investimento a breve termine. È una forza strutturale che sta ridefinendo la produttività, la strategia aziendale e, alla fine, i prezzi degli asset. Quello che una volta era definito ‘settore tecnologico’ è diventato un motore di produttività trasversale a tutti i settori. Pur nel disappunto di molti investitori, l’Ia ora sfuma i confini tra i settori e, con essi, la logica tradizionale della costruzione del portafoglio. La sfida è dunque riuscire separare narrativa ed utili, trattando l’Ia come un’allocazione strategica, e non semplice ‘momentum’.

Dove siamo? Lo studio State of Ai 2025 di McKinsey rileva che meno dell’1% delle aziende ha effettivamente integrato completamente l’Ia nelle proprie operation. La maggior parte sta ancora sperimentando o conducendo piccoli progetti pilota. Se ne parla molto, non è ancora così scalata, ma quasi tutte le aziende prevedono di aumentare la spesa, tra infrastruttura, talenti e formazione. I risultati tardano, ma l’entusiasmo non manca.

Il divario tra investimenti e impatto è ampio. Leader come Nvidia monetizzano la domanda, mentre la maggior parte delle aziende rimane in fase pilota. Gli investitori dovrebbero aspettarsi una curva di adozione lunga e sorprese sugli utili.

Il collo di bottiglia non è più l’ambizione, ma l’esecuzione. Molte aziende non dispongono ancora delle risorse necessarie ad adottarla con profitto, il che spiega i modesti guadagni in produttività sino a ora registrati. L’innovazione è molto visibile, l’integrazione molto meno. Una spesa massiccia in Ia non garantisce rendimenti. L’era delle dot-com ricorda a molti che la costruzione di infrastrutture

Giovanni Miccoli, Cio di Colombo Wealth. Quali sono le barriere nell’adozione dell’Ia per le imprese?

spesso ha arricchito i fornitori più degli utenti. Due rischi principali spiccano: l’Ia washing, ovvero le aziende che rinominano software in realtà datati, e i beneficiari nascosti, quei settori non tecnologici che aumentano la produttività grazie all’Ia. Pertanto, la diversificazione lungo la catena del valore dell’Ia è essenziale. Analogamente al settore energetico, l’Ia ha una propria catena del valore. A monte (estrazione) si trovano i fornitori di chip (Nvidia); a metà (elaborazione) si trovano le piattaforme cloud (Oracle); a valle (distribuzione) si trovano gli utilizzatori, dunque dell’automazione, della sicurezza informatica e dell’analisi dei dati.

Una questione importante è come l’Ia si trasformi in profitti sostenibili. Per giustificare le attuali valutazioni, le aziende devono trasformare gli investimenti in utili sostenibili. Ciò può essere ottenuto con efficienza operativa, l’espansione dei margini e il potere di determinazione dei prezzi, il vantaggio competitivo o la resilienza. Le aziende che riusciranno a farlo durevolmente sosterranno la creazione di valore al di là dell’hype momentanea. Oltre ai costi, una sfida aggiuntiva spesso sottovalutata è la sicurezza. Più l’Ia si integra nei processi aziendali, maggiore è l’esposizione a dati sensibili. I modelli addestrati su set di dati aperti o condivisi rischiano la fuga di informazioni e la perdita di proprietà intellettuale. Crittografia, sicurezza e compliance stanno dunque diventando fondamentali quanto la potenza di calcolo. Con l’ascesa di piattaforme aperte come OpenAi, la prote-

zione dei dati aziendali e dei clienti non è facoltativa, ma strategica. Si tratta dunque di opportunità d’investimento essenziali, ma spesso trascurate.

La spesa in Ia incide oggi sul conto economico, ad esempio con contratti cloud o assunzioni di talenti a costi elevati, mentre il ritorno sull’investimento potrebbe richiedere anni. Anche Nvidia deve affrontare un aumento vertiginoso delle spese in conto capitale; Cambricon deve ancora crescere prima che i margini si stabilizzino. Le spese sono tutte ora, i ricavi restano una promessa, da qui la necessità degli investitori di cautelarsi.

L’industria finanziaria non è immune, l’Ia sta già ridefinendo molti equilibri: il machine learning la modellizzazione del rischio, mentre i modelli di linguaggio naturale analizzano gli annunci degli utili e il sentiment. Dal perfezionamento dei modelli di trading intraday, ho potuto constatare sia la precisione che la fragilità dell’Ia. I modelli rivelano micro-modelli, ma si adattano rapidamente quando i regimi cambiano. La supervisione umana rimane indispensabile, per il momento. I mercati finanziari stessi assomigliano sempre più a sistemi adattivi complessi. Gli algoritmi apprendono dai dati e ottimizzano per obiettivi simili. Quando molti perseguono contemporaneamente la soppressione della volatilità o il momentum, le correlazioni aumentano e la diversificazione si erode. Come osserva Max Tegmark nel suo libro Life 3.0, il pericolo dell’Ia risiede spesso meno nell’ostilità che nel disallineamento degli obiettivi, nei sistemi che ottimizzano per fini sbagliati. Lo stesso vale per gli investimenti: i portafogli, i modelli di trading e le strategie in Ia delle aziende devono rimanere allineati con gli obiettivi di lungo termine determinati dalle persone. La tecnologia amplifica tutto ciò che le viene detto di ottimizzare; definire correttamente questi obiettivi è fondamentale almeno quanto l’innovazione stessa. Negli ultimi anni, gli investitori hanno collegato sempre più l’industria della Difesa all’Ia. Con le crisi geopolitiche in corso, le applicazioni militari dell’Ia stanno diventando centrali, dai sistemi autonomi alla cyber-defense all’intelligence, e anche l’aggiornamento degli obiettivi di spesa Nato fornirà supporto ai grandi del settore, specie in Europa. Questo dovrebbe garantire utili con cicli più lunghi e meno correlati, un utile complemento.

Nasdaq o diversificazione? Il Nasdaq 100 offre un’esposizione immediata all’Ia, con Nvidia, Microsoft e Oracle, ma con una forte concentrazione: sette nomi generano un terzo dei rendimenti. Un approccio migliore sarebbe quello di abbinare l’esposizione al Nasdaq con la tecnologia asiatica e la Difesa europea, declinando sia innovazione che geopolitica.

Il problema dell’Europa è che deve affrontare venti contrari strutturali: dimensioni, ostacoli normativi, finanziamenti Vc limitati e scalabilità transfrontaliera. Tuttavia, ci sono punti positivi, come Asml nella litografia, la robotica svizzera e i campioni della Difesa. L’Europa offre opportunità di nicchia, ma un’esposizione azionaria ampia difficilmente consentirà di ottenere una sovraperformance guidata dall’Ia. Pertanto, in Europa la selettività delle posizioni è determinante. A quale prezzo? Il Nasdaq viene scambiato a un P/E forward di circa 27-30x rispetto al 20x dell’S&P 500, un premio record. Nvidia rimane sopra 35x, Oracle a 20x, mentre gli operatori asiatici come Cambricon sono ancora abbordabili.

Esporsi all’Ia in termini di investimento è un’operazione interessante, ma anche rischiosa se non fatta nei giusti termini. Nasdaq e Difesa sono due alternative.

L’Ia è un trend secolare, ma non a qualsiasi prezzo. Aumentare l’esposizione sui ribassi, diversificare a livello globale e ribilanciare spesso è una ricetta sostenibile. La storia dimostra che l’elettricità e l’informatica hanno impiegato decenni per aumentare la produttività. Il crollo delle dot-com ha distrutto molte aziende, ma ha costruito le infrastrutture per l’economia digitale. L’Ia potrebbe fare lo stesso. Come ha scherzato Charlie Munger: “Mi piaceva l’Ia perché siamo così a corto di quella vera”.

Per gli investitori, la lezione più grande è l’umiltà. L’adozione, la regolamentazione e l’adattabilità umana decideranno chi ne beneficerà e quando. Trasformare i costi di oggi in profitti di domani richiederà pazienza, disciplina e una visione realistica di ciò che l’Ia può, e non può, offrire.

Fonte: Nato 2025
Polonia Uk Francia Germania Italia Spagna
Fonte: Factset earnings 2025
Il tema delle valutazioni
P/E forward di alcuni indici a confronto

Il valore della pazienza

Il Private Equity, e in generale i mercati privati, restano al centro dell’interesse e degli investimenti dei Family Office. Cruciali il lungo periodo, ma anche l’esperienza dei gestori.

Gli Alternativi ieri

Principali motivazione della smobilitazione di alcune posizioni (ultimi 12 mesi)

■ Ribilanciamento del portafoglio

■ Delusione delle performance e assenza di Dpi

■ Risk Management

■ Bisogni supplementari di liquidità

■ Altro

In un mondo dominato dal breve termine, i Family Office spesso pensano con orizzonti temporali più lunghi. È questa la lente con cui bisogna leggere i dati del Family Office Investment Insights Report 2025 di Goldman Sachs, un’indagine su 245 Family Office globali che racconta come i grandi patrimoni familiari stiano riposizionando le proprie strategie in un contesto economico che cambia.

Al centro di questo scenario c’è il Private Equity (Pe), regina delle asset class alternative. Tra il 2023 e il 2025, l’allocazione media in Private Equity è scesa dal 26% al 21%. Questa asset class, comunque, non vive isolata; fa parte di un universo più ampio di investimenti alternativi che, nel complesso, rappresentano il 42% circa dei portafogli dei Family Office. Il Pe rimane la parte più dinamica, orientata alla crescita di valore e all’espansione patrimoniale nel lungo termine.

La contrazione menzionata non sarebbe però un segnale di disaffezione, bensì il riflesso di un contesto complesso. Negli ultimi anni, infatti, diversi fattori hanno

spinto gli investitori a ribilanciare i portafogli. Sebbene la maggior parte dei Family Office (61%) non abbia ridotto le proprie allocazioni in alternativi, per quelli che lo hanno fatto la motivazione principale è stata il ribilanciamento del portafoglio (22%), anche a causa del divario tra mercati pubblici e mercati privati, seguito dalla mancanza di capitale restituito o dalla delusione per la performance (14%).

Vi sono poi altri motivi per cui investitori scelgono di rimanere fuori da questo mondo. La scarsa liquidità è il primo: il denaro investito resta bloccato per anni, spesso in assenza di un mercato secondario efficiente. Il secondo fattore critico è il rischio operativo: non tutte le aziende finanziate riescono a crescere o a generare valore, e alcune possono fallire. I costi di gestione, poi, sono tra i più elevati del panorama finanziario. A questo si aggiunge un livello di trasparenza chiaramente inferiore rispetto ai mercati pubblici.

Il quadro, però, non è negativo. La ‘convinzione’ di lungo periodo sul Private Equity è infatti intatta. Dopo un paio di anni di prudenza, i Family Office sono

Paola Nisoli, Analyst di Lagom Family Advisors. A lato, la decisione di alcuni Family Office di smobilitare le posizioni in alternativi nell’ultimo anno deriva spesso da motivazioni che esulano dalla performance.

tornati a guardare al Pe con ottimismo, seppure con uno stile diverso, più selettivo, analitico e consapevole. Il 2025 sembra infatti segnare l’inizio di un nuovo ciclo di entusiasmo e si evidenzia come il 39% dei Family Office analizzati preveda di aumentare la propria allocazione al Pe entro 12 mesi, più di ogni altro segmento. Dietro questo cambio di passo ci sono diversi fattori:

- Il mercato delle Ipo e dell’M&A sta riprendendo vigore. Le condizioni di finanziamento si stanno stabilizzando;

- Le valutazioni sono tornate su livelli più ragionevoli;

- L’età media delle aziende ‘private’ continua a crescere. Nel 2014 si quotavano dopo 6,9 anni; nel 2024 il dato è salito a 10,7. Ciò significa che la fase di creazione di valore avviene sempre più spesso prima della quotazione, ed è lì che i Family Office vogliono essere presenti;

- La domanda di capitale privato è in aumento. Molte aziende innovative preferiscono restare ‘private’ più a lungo, cercando partner pazienti e competenti. Il risultato è un misurato ottimismo, che si concretizza in investimenti più selettivi, focalizzati su qualità, governance e potenziale di crescita.

Ma come investire in Pe? Il modo più comune per accedere a questa asset class è attraverso fondi primari specializzati, gestiti da società professionali. L’investitore contribuisce con il proprio capitale

Fonte: Goldman Sachs 2025

senza partecipare alla gestione operativa. Le soglie d’ingresso sono elevate e ciò limita l’accesso a investitori qualificati o ad alta disponibilità patrimoniale.

Un’alternativa è rappresentata dai fondi di fondi, che investono a loro volta in più veicoli di Private Equity. Si tratta di strumenti più diversificati, che presentano però costi di gestione più alti a causa della doppia struttura commissionale.

Alcuni investitori preferiscono un approccio più diretto, finanziando imprese non quotate o attraverso Club Deal. In questi casi è possibile influenzare attivamente la gestione, ma ciò richiede spesso competenze specifiche e capitale elevato.

Negli ultimi anni, l’evoluzione normativa e tecnologica e l’innovazione delle strutture hanno aperto la strada a ulteriori soluzioni d’investimento. I fondi evergreen semiliquidi, ad esempio, rappresentano una nuova soluzione che consente agli investitori di accedere a un universo tradizionalmente riservato ai grandi istituzionali, con maggiore trasparenza, rendicontazione più frequente e finestre di liquidità periodica. Dunque una soluzione intermedia, ideale per investitori con orizzonte lungo ma che desiderano più controllo e flessibilità. Per i Family Office, che uniscono visione di lungo termine e necessità di gestione dinamica della liquidità, tali fondi possono essere uno strumento strategico per diversificare l’esposizione ai mercati privati, senza rinunciare del tutto ai margini di manovra. Negli ultimi anni, è inoltre esplosa la crescita dei mercati secondari del Private Equity. Nel 2025, il 72% dei Family Office investe in ‘secondaries’, contro il 60% del 2023. Il motivo è semplice: i secondari offrono accesso a portafogli di asset già maturi, con durata residua più breve e rendimenti più prevedibili. Questo approccio permette di mitigare la J-curve, in particolare la fase iniziale, in cui i rendimenti dei fondi Pe tendono a essere negativi prima di risalire. I secondari sono visti come porta d’ingresso al Pe che consente di diversificare il portafoglio, testare gestori e strategie, e mantenere una certa flessibilità nel tempo. Ma come costruire un portafoglio e avvicinarsi al Pe? Non ci sono formule predefinite. Occorre comprendere le esigenze dell’investitore, il profilo di rischio e le aspettative di ritorno. La regola aurea rimane sempre quella della diversificazione, tra strategie d’investimento e aree

Gli Alternativi domani

Intenzioni di investimento per i prossimi 12 mesi

Gli Alternativi domani

Quali settori dovrebbero essere sovraponderati nei prossimi 12 mesi?

geografiche, settori, tipologia d’investimento, dimensioni e annate. Distribuire gli impegni nel tempo, diversificando per vintage, permette di mantenere un’esposizione stabile e un flusso regolare di rendimenti. Fondamentale è infatti la gestione della liquidità dato che i fondi ‘classici’ richiamano il capitale in più fasi e serve una pianificazione attenta per evitare squilibri di cassa.

Cruciale è anche la scelta dei gestori. La due diligence deve valutare competenze, trasparenza e allineamento di interessi. Molti Family Office iniziano con fondi di fondi, per poi passare nel tempo a investimenti diretti o co-investimenti.

Alcuni player, internamente o attraverso collaborazioni qualificate, hanno la competenza per scegliere attentamente investimenti diretti. Spesso si opta per un modello ibrido: una parte di capitale gestita internamente, con pieno controllo sulle decisioni strategiche, e una parte affidata a partner di fiducia, scelti per track record e allineamento di valori.

Guardando al futuro, il Private Equity dei Family Office sarà sempre più seletti-

Guardando al prossimo anno dovrebbe tornare a registrarsi un certo interesse, soprattutto in ambito tecnologico, dove la maggior parte degli intervistati segnala l’intenzione di trovare un’ulteriore esposizione. A seguire i settori più tradizionali.

vo e tematico. Goldman Sachs evidenzia l’attenzione a settori come tecnologia, salute ed energia. Spesso si scelgono investimenti che rispecchiano i valori della famiglia stessa. Anche la componente Esg e la sostenibilità economica sono criteri importanti, non tanto per moda, quanto per allineamento con la visione intergenerazionale che caratterizza questi investitori. In diversi casi, i Family Office preferiscono progetti che uniscano ritorno finanziario e valore sociale, con un legame diretto tra capitale e identità familiare.

Il Private Equity diventa quindi uno strumento di espressione e continuità, oltre che di rendimento, un’estensione della filosofia familiare, un modo per creare valore e un ponte tra le generazioni.

Fonte: Goldman Sachs 2025
Salute
Energia e materiali
Finanziari Immobiliare Industriali
Fonte: Goldman Sachs 2025

Un universo da scoprire

L’economia spaziale si segnala sempre più per essere un settore in enorme espansione, e con effetti positivi a cascata sull’intera popolazione. A trainarla le aziende private.

Alessandro Valentino, Product Manager di VanEck. L’universo d’investimento è ampio e molto ben diversificato.

Il settore spaziale è oggi un motore chiave di innovazione e di sicurezza, con un potenziale di trasformazione considerevole: dalla connettività globale alla Difesa e all’osservazione della Terra. Tuttavia, questa dinamica resta frenata da costi elevati, da una forte dipendenza dai finanziamenti e da tensioni geopolitiche, fattori che occorre gestire per sostenere una crescita duratura. L’accelerazione. Un tempo riservata all’esplorazione scientifica, nel 2024 il suo valore è stato stimato in circa 596 miliardi di dollari, di cui ben 219 miliardi provenienti dalle applicazioni di Posizionamento, Navigazione e Sincronizzazione (Pnt), e altri 89 miliardi dalla vendita di dispositivi Gps.

Questa espansione potrebbe rallentare per effetto di politiche monetarie più restrittive, dell’aumento dei costi assicurativi e delle tensioni geopolitiche. Tuttavia, secondo McKinsey, l’economia spaziale potrebbe triplicare entro il 2035, raggiungendo 1,8 trilioni di dollari. Lontano dalla fantascienza, le tecnologie spaziali, dalle comunicazioni satellitari alla Difesa

e all’osservazione della Terra, stanno diventando motori di progresso. La rivoluzione della connettività. Il settore dei satelliti è la principale componente dell’economia spaziale e risponde a esigenze in forte crescita, dalla videoconferenza ai giochi online.

Le costellazioni in orbita bassa si moltiplicano: da 3.300 nel 2020 a oltre 11.500 nel 2024, e forse 27mila entro il 2030. La loro vicinanza alla Terra riduce la latenza e amplia la copertura, offrendo una soluzione ideale per internet a banda larga e la connettività nelle aree isolate. Questi sistemi contribuiscono inoltre a colmare il divario digitale, soprattutto in Africa, Asia meridionale e America Latina.

Un nuovo fronte strategico. La crescita degli investimenti pubblici evidenzia la dimensione geopolitica dello spazio. Nel 2024 la spesa governativa ha raggiunto 135 miliardi di dollari, un record, con una quota crescente destinata alla Difesa. Comunicazioni sicure, sistemi Gps, sorveglianza avanzata e difesa antimissile sono ormai priorità strategiche. Paesi come Cina, Russia, Stati Uniti ed Europa

hanno creato comandi militari dedicati. Nel 2025 l’Unione europea ha introdotto l’Eu Space Act per rafforzare la cybersicurezza delle infrastrutture spaziali, definire standard comuni e migliorare la resilienza contro interferenze e crisi. L’innovazione privata in prima linea.Le imprese private sono ormai attori centrali del settore. Stanno sviluppando tecnologie all’avanguardia, come costellazioni di satelliti, radar ad apertura sintetica e sistemi modulari per una sorveglianza continua, aprendo nuove prospettive in campi che spaziano dall’agricoltura di precisione alla logistica, dalla finanza alla gestione energetica, fino al monitoraggio ambientale.

Una crescita promettente ma esposta ai rischi. Nonostante le prospettive positive, l’economia spaziale resta vulnerabile. Molte aziende, ancora in fase di crescita ad alta intensità di capitale, faticano a raggiungere la redditività.

La concentrazione dei ricavi, i vincoli normativi e le tensioni geopolitiche, soprattutto sulle tecnologie a duplice uso, ne limitano lo sviluppo. Il settore è inoltre sensibile ai cicli dell’innovazione e alle condizioni finanziarie globali, in particolare ai tassi d’interesse, che ne aumentano la volatilità.

Nel 2025, tuttavia, le società della Difesa e dello spazio hanno beneficiato di un rinnovato ottimismo, sostenuto dai progressi tecnologici, dalla ripresa delle Ipo e da una politica americana più favorevole al comparto.

Fonte: VanEck 2025
dell’universo (usd mld)
Fonte: VanEck 2025

Tutto il peso della scelta

Se da un lato i mercati privati hanno molto da offrire, dall’altro il successo dell’investimento è quasi sempre determinato dalla capacità di individuare il gestore giusto.

Mathias Niederhauser, Managing Director, Digital Solutions Petiole Asset Management. A lato, l’estrema dispersione dei rendimenti.

attese senza una facile via d’uscita;

• Effetto J-Curve: i gestori forti si riprendono dai rendimenti negativi iniziali, quelli deboli spesso non ci riescono mai;

• Costo opportunità: anni persi in cui il capitale avrebbe potuto lavorare.

Nei mercati pubblici, la maggior parte degli investitori ottiene rendimenti quasi identici per via dei fondi indicizzati, con obbligazioni e azioni pubbliche (la cui performance è spesso modesta) che costituiscono un importante pilastro in tutti i portafogli.

I mercati privati raccontano una storia molto diversa. Qui, la dispersione dei risultati è molto più ampia, e le scelte pesano. La distinzione è chiara: nei mercati pubblici, la partecipazione determina i rendimenti. Nei privati, il successo dipende dallo scegliere il gestore giusto.

La dispersione è opportunità. I mercati pubblici sono come una ‘vetta’, dove si concentra il rendimento, quelli privati assomigliano a un ampio altopiano, dove la bravura del singolo fa la differenza. Secondo Cambridge Associates, il divario tra i fondi di Private Equity buyout del quartile superiore e inferiore è in media di circa 14 punti percentuali nell’Irr annuale, mentre nel Venture Capital può raggiungere i 18 punti. Dispersione che nell’arco di un decennio si amplia ancora.

Cosa li distingue? Non tutti i gestori ottengono gli stessi risultati. I migliori combinano accesso, competenze e disciplina:

• Ricerca di opportunità: sfruttamento di reti e relazioni proprietarie per assicurarsi opportunità d’investimento inaccessibili ad altri investitori;

• Creazione di valore operativo: promozione della crescita attraverso il miglioramento della leadership, delle operazioni e della direzione strategica all’interno delle società in portafoglio;

• Disciplina: applicazione di metodi di valutazione rigorosi e pianificazione dell’uscita indipendente dal ciclo;

• Gestione del rischio: evitare pagamenti eccessivi, utilizzare la leva finanziaria con prudenza e diversificare.

È così che i migliori gestori generano costantemente alpha e perché la selezione dei gestori è fondamentale. Il costo di una scelta sbagliata. I mercati privati comportano impegni a lungo termine, solitamente di 7-10 anni. Una scelta sbagliata può significare:

• Blocco del capitale: rimanere bloccati in fondi con performance inferiori alle

Uno studio globale su oltre 6mila fondi privati (dal 1980 al 2022) illustra il divario: i fondi di Venture Capital di alto livello hanno raggiunto un Tvpi (Total Value to Paid-In Capital) di 4,24x, mentre quelli di basso livello hanno reso solo 0,36x.

La selezione. Dietro ogni fondo privato ci sono professionisti che danno risultati, a differenza dei mercati pubblici non esiste un indice che garantisca un ‘rendimento medio’, l’alpha è creato da abilità, esperienza e selettività del gestore.

La selezione dei gestori non è una fase operativa, ma è il nucleo strategico dell’investimento, quello determinante il risultato di lungo termine, molto meno dipendente dalle dinamiche dei mercati.

Gli investitori che si avvalgono costantemente di gestori esperti con solide reti di sourcing, rigorosi standard di sottoscrizione ed efficaci strategie di creazione di valore hanno maggiori probabilità di ottenere risultati stabili e superiori. Scegliere bene fa bene al capitale, e limita il rischio.

I mercati privati offrono il potenziale per rendimenti migliori e una maggiore diversificazione, oltre a una performance non legata a timing o asset allocation.

A essere determinante è la capacità di individuare e impegnarsi con i migliori gestori, è la pietra angolare del successo.

Nuova corsa allo spazio

Gli Stati Uniti guidano l’innovazione, la Cina costruisce un ecosistema basato su dati e politiche pubbliche. La vera domanda è però: quale modello prevarrà?

L’arena dei chatbot Lmsys

Performance dei modelli di Stati Uniti e Cina a confronto

Gen2024Feb2024aMar2024Apr2024Mag2024Giu2024Lug2024Ago2024Set2024Ott2024Nov2024Dic2024Gen2025Feb2025 1,100 1,150 1,200

Per anni la sfida tecnologica si è misurata nei nanometri dei chip, oggi si gioca sugli exaflop di calcolo e nella capacità di integrare l’Ia nella vita reale. In questo scenario, Stati Uniti e Cina percorrono strade diverse, con enormi implicazioni. L’innovazione dal basso verso l’alto. Negli Stati Uniti, l’Ia è trainata dal settore privato, sostenuta da capitali di rischio, università d’élite (Mit, Stanford) e Big Tech (Google, Microsoft, Meta, OpenAI).

• Vantaggio: leadership nella ricerca fondamentale. I modelli più avanzati (Gpt-4, Claude, Llama) nascono in laboratori americani, frutto di grandi investimenti e libertà d’iniziativa.

• Focus: piattaforme universali e flessibili. L’obiettivo è sviluppare ‘Ia generali’ (Agi) per prodotti e servizi globali.

• Sfida: assenza di una regolamentazione unitaria. Privacy, etica e potere delle Big Tech restano aree grigie. L’implementazione dall’alto verso il basso. In Cina, lo Stato è il regista. Il piano Made in China 2025 e l’obiettivo di leadership Ia al 2030 orientano la collaborazione

di Governo, aziende e università.

• Vantaggio: scala e velocità. Con 1,4 miliardi di cittadini digitalizzati, la Cina ha accesso a quantità enormi di dati. Baidu, Tencent e Alibaba integrano già l’Ia nei loro processi aziendali.

• Focus: applicazioni concrete per produttività, crescita e stabilità sociale.

• Sfida: autonomia tecnologica. La dipendenza da chip esteri e le sanzioni americane sono colli di bottiglia critici. L’isolamento dall’ecosistema open-source globale può rallentare l’innovazione. Convergenze. Nonostante le differenze, i due modelli condividono tratti cruciali:

• Investimenti colossali in R&S;

• Concentrazione del potere: poche grandi aziende dominano l’ecosistema;

• Sfide comuni: entrambi devono affrontare questioni etiche spinose, come bias negli algoritmi, impatto sul lavoro, uso militare e/o repressivo.

Verso un mondo bipolare dell’Ia? È improbabile che un modello prevalga in assoluto. Più realistico è l’emergere di due ecosistemi paralleli, in parte scollegati. Cina? Il suo futuro sarà plasmato dalla

Pascal Cortesi, analista finanziario e Presidente della Ticino Finance Association (Tifa). A lato, uno degli ambiti di Ia in cui in pochi mesi la Cina ha raggiunto gli Stati Uniti.

capacità di raggiungere l’autosufficienza tecnologica. Se riuscirà a sviluppare una filiera dei chip indipendente, il suo modello basato su dati, implementazione rapida e controllo statale potrebbe renderla imbattibile in settori come robotica industriale, smart city e logistica.

Stati Uniti? Manterranno probabilmente il primato nella ricerca pura e nella creazione delle piattaforme software. La sfida sarà trasformare l’innovazione in vantaggi economici su larga scala, oltre a trovare un equilibrio tra libertà d’impresa e regole condivise.

Investitori e imprese. Per la comunità finanziaria e imprenditoriale internazionale, comprendere tale dicotomia è cruciale:

• Diversificazione: le opportunità non si limitano alla Silicon Valley. Anche l’Asia offre casi di successo nell’Ia applicata;

• Due mercati, due regole: operare globalmente richiederà adattamento a due standard normativi e tecnologici diversi;

• Europa e Svizzera come Terzo Polo? L’Ue, con l’Ai Act, punta a creare uno standard etico globale. L’Ia affidabile può rappresentare una nicchia in cui aziende svizzere potrebbero eccellere.

La corsa all’Ia non è uno sprint, ma una maratona. Mentre l’America sogna di creare una mente artificiale, la Cina sta costruendo un corpo artificiale per la sua società. Il futuro dell’economia globale potrebbe dipendere da quale di questi due approcci riuscirà a creare il sistema più resiliente, efficiente e... redditizio.

Fonte: Artificial Intelligence Index Report 2025

cultura /alta orologeria

Due mondi diversi, un battito unico

Tra il ticchettio di un calibro e il rombo di un motore pulsa lo stesso impegno verso l’eccellenza: precisione, ingegneria e cura artigianale si incontrano in ogni dettaglio. In un incrocio di realtà, l’orologeria di lusso non è solo un simbolo di status, e l’auto non è solo un mezzo: insieme sono un’autentica celebrazione della creatività e della maestria tecnica, dove ogni dettaglio è pensato per spingersi oltre i limiti.

Nel mondo del lusso, pochi dialoghi sono tanto potenti quanto quello tra l’orologeria d’alta gamma e l’automobile sportiva. Entrambi nascono da una stessa tensione: la ricerca assoluta della performance, della precisione e della bellezza tecnica. Che si tratti del battito costante di un tourbillon o del ruggito calibrato di un motore V12, questi due universi parlano la stessa lingua: quella della meccanica portata al suo vertice artistico.

Negli ultimi anni, alcune delle collaborazioni più affascinanti tra maison orologiere e marchi automobilistici hanno ridefinito i confini dell’artigianato e dell’innovazione.

A sinistra, Pascal Raffy, proprietario del Marchio orologiero BOVET, e, sotto, una delle auto più costose al mondo: Rolls-Royce Boat Tail, il cui cruscotto include un orologio di lusso firmato Bovet. Per un collezionista, le due Maison hanno collaborato, progettando e realizzando su misura l’auto e due esclusivi segnatempo BOVET (nella pagina accanto, foto in basso): uno per sé e l’altro per la moglie, da indossare oppure, trasformati istantaneamente, da inserire nell’auto come orologi da cruscotto.

Nell’incontro di BOVET con Rolls -Royce l’orologio diventa parte della macchina; il lusso sta nell’unicità. «La collaborazione tra BOVET e Rolls-Royce è nata da un desiderio, più che da un progetto industriale. Il desiderio di un collezionista visionario che voleva due orologi, uno per sé e uno per la moglie, da poter montare nel cruscotto della sua Rolls-Royce Boat Tail», spiega Pascal Raffy, proprietario di BOVET, «Abbiamo lavorato con Rolls-Royce e con il collezionista nell’arco di tre anni per realizzare i suoi sogni orologieri». Il risultato è un orologio che non è più solo

Queste partnership rappresentano un’evoluzione del concetto di lusso, unendo tecnologie all’avanguardia, design esclusivo e una ricerca costante dell’eccellenza in due ambiti che, pur essendo distinti, condividono una missione: quella di superare i limiti della performance e dell’estetica.

Maison orologiere di alta gamma come BOVET, Richard Mille, IWC Schaffhausen e Roger Dubuis, si sono da sempre distinte per la loro capacità di creare pezzi unici, segnatempo realizzati con savoir-faire artigianale, precisione, tecnica e arte. E quando queste Case incontrano i colossi dell’automobilismo, come Ferrari, Rolls-Royce, Lamborghini e Mercedes-Amg, nasce una sinergia che promuove, amplificandole, innovazione tecnica, ricerca di materiali all’avanguardia e ottimizzazione dei processi produttivi. Così, quando un orologio viene concepito in sinergia con un’auto sportiva, l’obiettivo non è solo creare un oggetto esteticamente affascinante e tecnicamente evoluto, ma anche garantire performance che siano sinonimo di perfezione ingegneristica.

un accessorio, ma un’esperienza multisensoriale e multiuso: un segnatempo che si trasforma, si adatta, vive insieme all’automobile. Grazie al sistema brevettato Amadeo, l’orologio può essere indossato su entrambi i lati, utilizzato come pendente, come orologio da tavolo o inserito nel

Sopra, Alexandre Mille, direttore commerciale del marchio orologiero Richard Mille.

Accanto, la leggendaria Ferrari Testarossa.

Sotto, Richard Mille RM 43-01 Tourbillon Cronografo Sdoppiante Ferrari, il potente secondogenito della partnership tra la Casa di Maranello e la Maison orologiera con sede a Les Breuleux, fondata nel 2001 da Richard Mille e Dominique Guenat.

cruscotto: «Come il 30-35% della nostra intera produzione, questa collaborazione è stata personalizzata, quindi intrinsecamente emozionante. Un lato degli orologi aveva un quadrante realizzato con il legno della Boat Tail, mentre l’altro lato nell’orologio da uomo aveva una mappa celeste del giorno della nascita del suo proprietario, mentre l’orologio da donna aveva un dipinto in miniatura di fiori, un richiamo ai nostri orologi storici. Entrambi avevano sculture dell’auto incise e dipinte a mano, oltre a sculture incise a mano dello Spirit of Ecstasy», prosegue Pascal Raffy, che sintetizza: «I valori di Rolls-Royce e di BOVET sono perfettamente allineati, poiché entrambi ci concentriamo sulla lavorazione artigianale, sull’innovazione e sul vero lusso, che dal nostro punto di vista è possedere un segnatempo che nessun altro ha».

Se si dovesse trovare una definizione per la collaborazione tra Richard Mille e Ferrari, questa sarebbe certamente ‘l’ingegneria come arte della leggerezza’. Nel laboratorio di Richard Mille, infatti, la collaborazione con la Casa di Maranello è una fusione naturale tra arte e ingegne-

Sopra, Excalibur Spider Revuelto Flyback Chrongraph e la rivoluzionaria Lamborghini Revuelto, a cui è ispirato: il calibro RD780 offre una riserva di carica di 72 ore e dispone di un cronografo completamente integrato con ruota a colonne visibile. Insieme a un inaspettato Contatore dei Minuti Rotante a 120°, l’ingegneria include una frizione verticale per una maggiore precisione e un Second Braking System per garantire stabilità aggiuntiva nella lancetta dei secondi del cronografo. Dai colori alle curve aerodinamiche, è un orologio intriso di velocità.

ria. Come spiega Alexandre Mille, direttore commerciale della Maison: «Il processo di co-creazione è molto organico. Partiamo da un’idea di movimento e di complicazione, poi lavoriamo con Ferrari, cercando ispirazione sia nei codici tecnici che in quelli visivi dei due marchi. Un processo che può durare da 2 a 5 anni». Questa sinergia ha dato vita a capolavori tra cui sicuramente RM UP-01, l’orologio meccanico più sottile al mondo, e RM 4301, segnatempo del 2025. «Volevamo che il nostro primo modello con Ferrari fosse completamente diverso dall’immagine che i clienti potevano avere di una tale collaborazione», prosegue Mille. «Questo andare controcorrente è stato molto apprezzato: dimostra che i nostri clienti, e quelli di Ferrari, si aspettano di essere sorpresi». Ogni orologio è la traduzione al polso dello spirito Ferrari: potenza,

innovazione e audacia, con una costante spinta a reinventare la tradizione.

In una relazione inaugurata nel 2013, che ha visto IWC Schaffhausen diventare “Official Engineering Partner” di Mercedes-Amg Petronas Formula One Team, il marchio orologiero IWC Schaffauhen e il team ufficiale di Formula Uno della celebre casa automobilistica hanno molto in comune: «Al cuore della nostra collaborazione con la squadra c’è una passione condivisa per l’eccellenza ingegneristica, le prestazioni, la precisione e l’innovazione», spiega Franziska Gsell, direttore marketing di IWC Schaffhausen, che prosegue: «Entrambi i brand operano in ambienti dove frazioni di secondo e millimetri di tolleranza possono fare una differenza significativa. Che si tratti del mondo dei motori o dell’alta orologeria, l’obiettivo è sempre quello di alzare l’asticella. Questa mentalità comune di miglioramento continuo e ricerca della perfezione è ciò che ci unisce. Per quanto riguarda il design dei prodotti, abbiamo collaborato a stretto contatto con il team e i suoi piloti in molte occasioni. Gli orologi ufficiali della squadra che abbiamo creato, ad esempio, incorporano materiali ad alte prestazioni come il titanio grado 5 e il Ceratanium, insieme a elementi di design accattivanti nel caratteristico verde della squadra. Un recente pezzo di rilievo è il Big Pilot’s Watch Shock Absorber Xpl Toto Wolff x Mercedes-Amg Petronas Formula One™ Team, un’edizione speciale che presenta una molla ammortizzatrice Bmg rivestita con Super-LumiNova® verde Petronas». Il dialogo con Mercedes si traduce an-

che in esperienze uniche per i clienti: «La nostra partnership ci permette di andare oltre la tradizionale orologeria, offrendo esperienze immersive come l’accesso ai paddock, tour dietro le quinte e visite alla nostra Manifattura a Schaffhausen. Queste esperienze permettono agli ospiti di esplorare da vicino le molteplici analogie tra la Formula 1 e l’orologeria. Sul fronte digitale, le nostre collaborazioni attorno ai lanci di prodotto e ai contenuti legati alle gare permettono agli appassionati di motorsport o di orologeria di interagire e connettersi con entrambi i brand in modi dinamici e nuovi. Le esperienze che creiamo insieme stabiliscono connessioni emozionali profonde, trasformando la nostra passione condivisa per l’ingegneria e le prestazioni in qualcosa di tangibile e memorabile per gli appassionati dei Marchi», nota Gsell. Inoltre: «Ambasciatori come i piloti George Russell e Kimi Antonelli svolgono un ruolo cruciale nel dare vita alla nostra partnership: rappresentano precisione, prestazioni e ricerca dell’eccellenza, vale a dire gli stessi valori che definiscono IWC Schaffhausen e Mercedes», aggiunge la CMO della Maison orologiera.

È invece un incontro che si potrebbe definire all’insegna della doppia A: adrenalina e avanguardia, quello di Roger Dubuis con Lamborghini: l’alta orologeria si veste di fibra di carbonio e si muove al ritmo del V12. «Il dialogo creativo inizia sin dall’avvio del progetto, quando incontriamo il team di Lamborghini Squadra Corse per condividere le nostre idee di design», spiega il team prodotto della

Maison. «Ci scambiamo anche informazioni sui loro piani, sui lanci che stanno preparando, sui colori che intendono evidenziare e su come stanno facendo evolvere il motorsport. È una dinamica molto produttiva, le due parti conoscono e riconoscono reciprocamente le competenze. Ci siamo ispirati alla loro estetica (costruendo i nostri calibri a forma di V, come il loro motore), abbiamo utilizzato il carbonio, materiale chiave nel motorsport, ma anche Alcantara. Tutto ruota attorno allo scambio». Il risultato sono orologi che incarnano la velocità e l’energia del mondo automobilistico, pur restando fedeli all’identità Roger Dubuis. Le sfide tecniche non mancano: «Il tipo di carbonio utilizzato su una vettura, mas-

A destra, Franziska Gsell, CMO di IWC Schaffhausen, Casa orologiera pioniera dell’innovazione da centocinquanta anni. Sotto: l’interazione tra tecnologia innovativa e piloti di talento ha portato a successi eccezionali nella storia delle corse Mercedes. In basso, orologio Big Pilot’s Watch Shock Absorber XPL Toto Wolff x Mercedes-AMG PETRONAS Formula One™ Team: il segnatempo creato da IWC Schaffhausen per celebrare la stagione 2025 di Formula Uno. La cassa di 40 millimetri è realizzata in titanio grado 5, leggero e al contempo estremamente resistente.

siccio nelle proporzioni, non è necessariamente adatto a un oggetto miniaturizzato come un orologio», spiegano gli esperti. Anche se: «I nostri ingegneri sono riusciti a creare l’Excalibur Spider Aventador utilizzando esattamente lo stesso materiale del telaio Lamborghini. Essere una Manifattura integrata ci permette di essere agili nei processi di R&D e nei test: i nostri ingegneri possono verificare facilmente le idee dei designer perché lavoriamo tutti nello stesso edificio. Roger Dubuis è anche una manifattura di movimenti: produciamo quasi tutti i componenti dei nostri calibri internamente, li decoriamo e assembliamo. Infine, non esitiamo a spingere l’innovazione sempre più avanti: la nostra collezione Chronograph, lanciata nel 2023, include due brevetti in attesa di approvazione, tra cui un Second Braking System creato per aumentare significativamente la stabilità della lancetta dei secondi del cronografo e ridurne il tre-

molio». L’audacia si accompagna sempre alla funzionalità: ergonomia, leggibilità e prestazioni restano prioritarie. I dettagli si caricano di significato, oltre la prestazione tecnica.

Per concludere, dunque: le quattro collaborazioni tra gli universi auto e orologio, diversi ma con tratti comuni, non sono semplici esercizi di stile. Rappresentano invece la capacità di trasformare tempo e velocità in emozione, di unire l’arte della mano all’ingegno della macchina. Che si tratti di un orologio integrato nel cruscotto di una Rolls-Royce, di un cronografo ispirato a una Ferrari o di una cassa in carbonio Lamborghini, il messaggio è uno solo: il lusso non è mai statico. È movimento, è tensione, è ricerca. Come direbbe un collezionista, il tempo non si guarda: si vive, un secondo alla volta, al massimo dei giri.

Simona Manzione

La sala dedicata alle indagini diagnostiche sul Riposo durante la fuga in Egitto del Caravaggio (1597), fra gli otto capolavori ‘approfonditi’ dalla mostra multimediale Art from Inside di Fondazione Bracco, a Palazzo Reale di Milano fino al 6 gennaio 2026.

Diagnostica applicata ad arte

Cosa si cela dietro - e dentro - un’opera d’arte? Dove si fermano l’occhio umano, il lavoro dei restauratori e gli studi degli storici dell’arte, le tecniche di imaging possono supplire, svelando il processo creativo degli artisti e le vicissitudini dei loro lavori. Uno scambio di conoscenze che aiuta a interpretare, tutelare e valorizzare le opere, oltre la superficie. E come nell’arte, così anche nella tecnica l’Italia fa scuola.

Che l’arte possa essere terapeutica e contribuire al benessere suscitando meraviglia, stimolando la curiosità, il confronto con l’altro, l’incontro fra mondi diversi, o semplicemente infondendo una percezione di sicurezza fisica e serenità, è sempre più riconosciuto, anche dai musei stessi che includono attività dedicate nella loro programmazione di mediazione culturale. C’è persino chi dell’esperienza

Scienza illuminata

Presidente e amministratore delegato del Gruppo Bracco, Diana Bracco ne guida anche la Fondazione.

Leader mondiale nella diagnostica per immagini, Gruppo Bracco sviluppa e offre un ampio portafoglio di prodotti farmaceutici per l’imaging diagnostico: mezzi di contrasto per raggi X, Tomografia Computerizzata e Risonanza Magnetica, oltre a microbolle per l’Ecografia con Mezzo di Contrasto e per l’Imaging Molecolare attraverso traccianti radioattivi e nuovi agenti per la Pet, insieme a dispositivi medici specializzati e servizi correlati. Dalla sua fondazione, nel 1927, è cresciuto fino a contare oltre 3.900 dipendenti e un fatturato di 2 miliardi di euro, l’88% sui mercati esteri, presente in più di 100 paesi, con head quarter a Milano.

Vanta un patrimonio di oltre 2.200 brevetti, che continua ad ampliare investendo ogni anno oltre l’8% del fatturato in attività di R&D, con i due principali centri a Ginevra (dove è presente da quasi 40 anni e ha appena rafforzato anche la produzione del suo mezzo di contrasto per ecografia) e a Ivrea (Colleretto Giacosa), oltre a strutture di ricerca nel Regno Unito, Germania, Usa e Cina.

Dal patrimonio di valori maturati in quasi un secolo di storia della Famiglia e del Gruppo, è nata anche Fondazione Bracco, che si propone di creare e diffondere espressioni della cultura, dell’arte e della scienza per migliorare la qualità della vita e la coesione sociale, con una specifica attenzione alle donne e ai giovani. Fra le iniziative, particolare cura viene dedicata alla valorizzazione del patrimonio artistico italiano, ad esempio attraverso la diagnostica applicata al restauro delle opere e la promozione della cultura musicale, sia in Italia sia all’estero, di cui la presente mostra a Palazzo Reale è uno dei frutti.

© Photo Carlotta Coppo

La perfezione del Ritratto di giovane donna del Pollaiolo (1470-75) cela una complessa storia di conservazione. Il recente restauro promosso dal Museo Poldi Pezzoli di Milano si è avvalso di Fondazione Bracco per la campagna di indagini diagnostiche avanzate, coordinate dalla Prof.ssa Isabella Castiglioni (sopra). In particolare, la Tac ha rivelato tarli e traverse inserite nel dopoguerra. La sottile fenditura sul volto è stata stabilizzata con un sistema flessibile che consente alla tavola di adattarsi ai cambiamenti ambientali.

estetica ha dimostrato le basi neurali e cognitive, come il neurobiologo Semir Zeki, professore all’University College London, fondatore della neuroestetica.

A parti invertite, possono invece essere le tecnologie nate per la cura del corpo umano a diventare strumenti per prendersi cura delle opere d’arte, permettendo di conoscere quanto all’occhio, che ne ammira la superficie, è precluso: il processo operativo sottostante, ma anche ciò che sovrapposizioni, ripensamenti o lo scorrere del tempo hanno cancellato.

Raggi X, infrarossi e ultravioletti, Tac, imaging iperspettrale possono dire molto anche quando il paziente è un dipinto: «La diagnostica per immagini è fra le tecniche più interessanti per studiare le opere

senza manipolarle né effettuare prelievi, rispettando un approccio conservativo al restauro come quello in Italia. Irraggiando semplicemente un dipinto, consentono di ottenere informazioni complementari in modo non invasivo a seconda della frequenza, sfruttando l’interazione fra le onde e la materia biologica. Inoltre, integrate alle analisi storico-documentali sulla provenienza dell’opera stessa, possono fornire un valido aiuto agli esperti nel rispondere ad alcuni interrogativi chiave, sia per la conservazione e il restauro, sia per la sua interpretazione, nonché un im-

portante contributo alla valorizzazione dell’opera, per la sua presentazione agli esperti e al grande pubblico», spiega Isabella Castiglioni, Professoressa Ordinaria di Fisica Applicata presso l’Università Milano-Bicocca e Direttore scientifico Centro Diagnostico Italiano-Cdi (oltre che imprenditrice con DeepTrace Technologies, spin-off dell’Università di Pavia). È lei ad aver coordinato il team che ha offerto la consulenza scientifica per la mostra Art from Inside. Capolavori svelati tra arte e scienza, in corso a Palazzo Reale fino al prossimo 6 gennaio. Un progetto espositivo innovativo che coniuga arte, ricerca e alta divulgazione, frutto dell’impegno della Fondazione del Gruppo Bracco, leader mondiale nella diagnostica per immagini. «Arte e scienza sono per noi espressione dello stesso amore per il sapere e il bello che, da sempre, accende il desiderio degli uomini di esplorare, comprendere e rivelare. Siamo convinti, infatti, dell’importanza e della forza generativa dell’incontro tra saperi diversi», commenta Diana Bracco, Presidente della Fondazione e del Gruppo. «Il progetto espositivo che presentiamo a Palazzo Reale offre un’occasione unica per riscoprire

La mappa in pseudo-colori ottenuta con radiazioni nell’ultravioletto, nel visibile e nell’infrarosso rappresenta scientificamente la distribuzione dei pigmenti usati dal Beato Angelico in un’anta dell’Armadio degli Argenti, suo ultimo apolavoro, rivelando la complessità della sua tavolozza.

© Photo Carlotta Coppo

capolavori dell’arte tra Quattro e Settecento da una prospettiva inedita. Grazie alle più avanzate tecniche diagnostiche vengono svelati dettagli invisibili, pentimenti, stratificazioni, ma anche intuizioni e segreti che ci avvicinano in modo sorprendente al gesto creativo dei grandi maestri della pittura italiana», prosegue Diana Bracco.

Nessuna opera originale, ma per una volta non ci si trova di fronte alla solita esposizione immersiva con tanti pixel e poca sostanza. Concepita come un viaggio in otto tappe, avvalendosi anche della curatela dello storico dell’arte Stefano Zuffi, la mostra illustra con rigore scientifico e potenza multimediale i risultati delle indagini condotte grazie a una piattaforma integrata di strumenti hardware e software, che combina sistemi di diagnostica per immagini e analisi spettrali all’avanguardia con algoritmi di ultima generazione per l’elaborazione avanzata dei dati.

Ad esempio, i raggi X possono rivelare i dettagli dei supporti, la presenza di gallerie scavate dai tarli in legni antichi o parti di dipinti poi coperti per diverse ragioni nelle opere che ci sono giunte. L’infrarosso, che ha riservato alcune delle scoperte più importanti, consente di svelare disegni soggiacenti la pittura e di distinguere tra la mano dell’artista dagli interventi dei collaboratori nella sua bottega. Le immagini

di fluorescenza stimolata da luce ultravioletta, di solito impiegate per identificare tessuti sani e patologici, individuano pigmenti di origine organica e inorganica.

Grazie a tecniche basate su luce visibile, come la fotografia ad alta risoluzione o la videomicroscopia ottica si ottengono ingrandimenti addirittura di punti della superficie pittorica, mentre la diagnostica per immagine iperspettrale, la spettroscopia di riflettanza mediante fibra ottica e quella mediante fluorescenza stimolata da radiazione X permettono di distinguere i pigmenti pittorici di superficie realizzati con diversi materiali e miscele.

«Sfruttando le immagini digitali nel visibile e nel non visibile è stato possibile realizzare delle stratigrafie che consentono di entrare virtualmente nelle opere e di generare dei gemelli digitali unici, che ci riportano nelle botteghe al momento della loro realizzazione e ce ne raccontano le vicende fino ai giorni nostri», precisa Isabella Castiglioni.

Fra gli otto capolavori sotto esame, opere del Beato Angelico (assoluto protagonista di questa stagione espositiva anche con i suoi originali eccezionalmente riuniti a Firenze), Piero della Francesca, il Pollaiolo, Giovanni Antonio Boltraffio, Caravaggio e Giovanna Garzoni, una delle pochissime artiste affermate nel Seicento: «Anche in questo, l’esposizione rende visibile ciò che spesso è rimasto invisibile: l’autorialità femminile, troppo a lungo sottovalutata, negata o dimenticata. Scegliere un’opera di Giovanna Garzoni come immagine guida della mostra è un omaggio alla libertà creativa e un riconoscimento al suo straordinario lavoro, in linea con

In questi due ritratti su pergamena di Carlo Emanuele I e di suo figlio Emanuele Filiberto, realizzati tra 1632 e 1637, la diagnostica per immagini fa emergere anche i tratti più leggeri, nascosti sotto la pittura, restituendo la mano di Giovanna Garzoni, precisa e infallibile, ad esempio nei contorni delle orecchie o nei baffi disegnati con minuscole pennellate. Un omaggio di Fondazione Bracco a una delle poche pittrici affermate del XVII per ricordare l’arte delle donne, anch’essa a lungo invisibile.

l’impegno di Fondazione Bracco per valorizzare le competenze femminili, dare spazio a nuove prospettive e promuovere una cultura della parità anche attraverso i linguaggi dell’arte e della scienza», sottolinea Diana Bracco.

Un grande progetto reso possibile dalla collaborazione tra fisici, chimici, storici dell’arte, esperti di imaging, restauratori, ingegneri, tecnologi, comunicatori,... «Un lavoro corale che testimonia quanto l’interdisciplinarità sia oggi una leva indispensabile non solo per comprendere meglio il patrimonio culturale, ma anche per costruire nuove strade di formazione, ricerca e cittadinanza consapevole», conclude la Presidente di Fondazione Bracco. Ragion per cui si è voluta rendere la visita gratuita e aperta a tutti.

Un invito, nella nostra epoca satura di immagini riproducibili all’infinito e di stimoli frenetici, a rallentare e osservare. Dimostrando che quella stessa tecnologia arma di distrazione di massa può essere usata invece per andare in profondità. E ricordandoci che un dipinto non è solo un’immagine (ormai sempre più riprodotta su uno schermo), ma che è anche un oggetto materiale e tangibile: disegnata e dipinta con diversi pigmenti e leganti su uno specifico supporto, frutto di competenze specialistiche e vicissitudini storiche che ne hanno segnato il destino. In grado di parlare della sua epoca e dei suoi autori non solo attraverso ciò l’occhio percepisce, ma anche attraverso quanto sta sotto la superficie e altre frequenze possono portare alla luce. Aiutando a prendersi cura di ciò che di più umano abbiamo: la creatività, fatta di materia quanto di spirito.

Susanna Cattaneo

© Marco Gargano, Laboratorio DIART, Università Studi di Milano
© Marco Gargano, Laboratorio DIART, Università Studi di Milano

Un incredibile

Una serie di 10 libri ispirata alle immagini di una collezione privata di oltre mezzo secolo de La Domenica del Corriere

Già disponibili su Amazon i primi quattro: Anno 1900, 1901,1902 e 1906

Versione italiana

Eva & Ettore Accenti Viaggio nel tempo

English edition

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Travel through time

Ciclopico nel reale, record nel virtuale

Il Panorama della battaglia di Morat rivive in 1,6 trilioni di pixel, che ne fanno la più grande immagine di un singolo oggetto fisico digitalizzata. Affidato al laboratorio

eM+ dell’Epfl, il progetto segna un punto di svolta nelle tecnologie di imaging e nei modelli immersivi di valorizzazione del patrimonio culturale.

Monumentale lo è già l’originale: un dipinto panoramico che si estende su oltre 1.000 metri quadrati (10 x 100 m). Non è da meno il suo gemello virtuale: con 1,6 trilioni di pixel, è la più grande immagine digitale mai realizzata di un singolo oggetto. Ogni minimo dettaglio del Panorama della Battaglia di Morat di Louis Braun è restituito con precisione tale da consentire ingrandimenti fino al diametro di un capello - una definizione ben lontana da quella concessa ai visitatori della Rotonda di Zurigo, che dovevano osservarla a una decina di metri di distanza quando fu presentato tra il 1894 e il 1897, in seguito esposto anche a Ginevra. Confinata in deposito dall’ascesa del cinema, ha fatto una breve apparizione soltanto durante Expo.02, quando fu restaurata e messa in gloria nel monolite progettato da Jean Nouvel proprio sul lago di Morat.

Per restituirle visibilità, la Fondazione proprietaria si è rivolta al Laboratorio di museologia sperimentale (eM+) del Politecnico federale di Losanna, diretto dalla professoressa Sarah Kenderdine, pioniera nel campo delle tecnologie digitali e immersive a servizio delle istituzioni culturali. Ex archeologa marittima, approdata al web a inizio anni Duemila, è specializzata fra l’altro nella virtualizzazione dei formati panoramici.

Sostenuto dal Fondo nazionale svizzero e da altri mecenati, il progetto di digitalizzazione ha coinvolto un team multidisciplinare di ingegneri, specialisti di imaging, storici, restauratori e studenti dell’eM+. In tre anni di lavoro, dalla verifica dello stato di conservazione al lancio della piattaforma Terapixel Panorama lo scorso 22 giugno (anniversario della battaglia), è nato un progetto titanico sotto ogni aspetto. Trasportare i tre rotoli di tela che compongono l’opera - 1,5 tonnel-

Sopra, il gemello digitale dell’opera di Louis Braun proposta nelle mostre immersive grazie al sistema Panorama+.

late di peso - è stato solo il primo passo. Per ottenere un’immagine di 1,6 terapixel a 1.000 dpi con alta fedeltà cromatica è stato necessario costruire un impianto di imaging su misura, in grado di compensare le irregolarità della superficie e la forma iperboloide del dipinto, concepito per essere montato verticalmente in una rotonda. La tela è stata ‘avvolta’ su un substrato per garantire la stabilità durante la scansione, sviluppando algoritmi di correzione per restituire la curva originale nel rendering 3D senza distorsioni. All’arrivo del Panorama nei laboratori dell’Epfl, nell’estate 2022, è stata realizzata una piattaforma di ispezione ad hoc e, in parallelo, sono stati condotti i necessari interventi di conservazione.

Battaglia e Panorama

L’evento. Tema del panorama è la vittoria della “Confederazione degli Otto” nella battaglia di Morat (22 giugno 1476), scontro decisivo nelle guerre di Borgogna (1474-1477) che posero fine al ducato di Carlo il Temerario, modificando l’assetto geopolitico europeo e decretando la fama dei mercenari svizzeri, che divennero un volano di sviluppo dell’economia elvetica.

L’opera. Prima del cinema, i dipinti panoramici raffiguranti città, paesaggi o battaglie attiravano folle e investitori. Tra questi, il Panorama della Battaglia di Morat è uno dei soli quindici del XIX secolo conservatisi (fra cui, in Svizzera, anche il Wocher di Thun e il Bourbaki di Lucerna).

Fu commissionato nel 1893 dalla Società dei panorami dei fratelli Gyr al pittore tedesco specializzato Louis Braun, per la considerevole somma di 173.500 franchi. Realizzato in appena 7 mesi con una quarantina assistenti, fu inaugurato a Zurigo il 27 agosto 1894 e in seguito esposto anche a Ginevra. Donato nel 1924 alla città di Morat, oggi è conservato dalla Fondazione divenuta sua proprietaria, arrotolato in un deposito militare, che ha lasciato solo in rarissime occasioni, come durante Expo.02 o per gli interventi di restauro e digitalizzazione.

Il cuore del progetto è stato il processo di scansione, durato quattro mesi: grazie a una fotocamera da 150 megapixel e un obiettivo da 72 mm forniti da Phase One, sono state catturate 27mila immagini, poi unite in un’unica da 3,8 milioni di pixel per 425mila di altezza. Nemmeno i più avanzati progetti museali - come la Ronda di notte di Rembrandt del Rijksmuseum di Amsterdam (717 gigapixel, 2022) - si erano avvicinati a una tale qualità. Ricerche e sperimentazioni condotte in questa fase hanno inoltre generato contributi scientifici nei campi della data science, della conservazione e dei panorami storici, con approfondimenti ad esempio, sulle tecniche di post-editing e sull’archiviazione digitale.

Sopra, il Panorama della Battaglia di Morat di Louis Braun, olio su tela, 10×100 m. Sotto, il processo di scansione nel Laboratorio di museologia sperimentale eM+ dell’Epfl, che ha permesso di digitallizzarlo con una risoluzione di 1000 dpi.

Una parte del lavoro è stata dedicata anche alla rilettura critica del dipinto, che, realizzato quattro secoli dopo i fatti, reinterpreta liberamente la battaglia medievale come fondamento simbolico della nascente identità nazionale svizzera che si stava costruendo a fine Ottocento. Così, nella versione di Braun, le truppe confederate appaiono più eroiche e animate da patriottismo di quanto non lo fossero gli otto cantoni uniti nel XV da alleanze difensive più che da una visione politica comune. Anche la tenda da campo di Carlo il Temerario si trasforma in un sontuoso castello, a enfatizzare il mito del nemico sconfitto. Questi dettagli - insieme a molte altre curiosità - sono ora svelati sulla piattaforma Terapixel Panorama, che permette di interagire con la versione digitale del Panorama, restituendo un racconto stratificato e multisensoriale grazie anche a contenuti aggiuntivi: video volumetrici, modelli 3D provenienti dalle collezioni del Museo Nazionale di Zurigo e del Museo di Storia di Berna, motion capture di scene tratte dal dipinto e un paesaggio sonoro basato su cronache, lettere e documenti d’archivio.

L’esperienza prosegue nel mondo reale con una serie di mostre immersive dove l’approccio a 360 gradi si completa di un’ulteriore dimensione: muniti di una “collana olfattiva” (sviluppata da

dsm-firmenich e ScentRealm) i visitatori vengono avvolti dagli odori della battaglia - cavalli, sudore, sangue, …coordinati al punto di osservazione. Si può ad esempio già sperimentare al Museum für Gestaltung di Zurigo, all’interno della mostra Museum of the Future (fino al prossimo 1 febbraio) e sarà una delle chicche delle commemorazioni del 2026 per i 550 anni dalle guerre di Borgogna (al Castello di Grandson, al Museo di Morat e al Museo di Storia di Berna). Sempre accessibile, invece, la versione online (terapixelpanorama.ch), che include anche una sezione scientifica con fonti originali, i disegni preparatori di Louis Braun e gli archivi relativi alla produzione del Panorama.

Insignita dell’Optimus Agora 2024 - il premio del Fns che supporta i progetti di comunicazione volti a promuovere un dialogo diretto tra scienza e società - la digitalizzazione del Panorama della Battaglia di Morat rappresenta un importante progresso nella ricerca sulle tecnologie di imaging e sulla conservazione digitale, lasciando in eredità non solo un’attrezzatura capace di scansionare immensi dipinti, ma anche un modello di embodiment virtuale per la valorizzazione e la condivisione del patrimonio culturale.

Eloquenti dettagli

Cappelli, borse, scarpe, guanti, bastoni, ombrelli, parasole, fazzoletti, ventagli, spille, gioielli, … immancabili complementi all’abbigliamento, declinati in infinite fogge, che da sempre contribuiscono a esprimere stile e identità di chi li indossa. Alcuni cadono in disuso, altri tornano in auge, come vuole la moda, che si innova ripetendo e interpretando l’evoluzione sociale e culturale, basti l’esempio del bastone da passeggio che ha spopolato al Met Gala 2025, anche in un’epoca in cui gli accessori sono sempre più digitali. A diverse riprese, negli ultimi anni la Pinacoteca Züst si è già confrontata con la relazione fra arte e moda, privilegiando però la figura femminile. Questa volta, già l’immagine guida scelta per la sua nuova esposizione, in programma fino al prossimo 22 febbraio - l’elegante ritratto del pittore Carlo Silvestri, firmato dall’amico Eliseo Sala (1850) - esplicita come si sia voluto dare spazio anche al mondo maschile, che di accessori ha sempre fatto sfoggio: protagonista assoluto il cappello, ma fino al Novecento anche il ventaglio non era prerogativa femminile, per non dire delle diverse paia di guanti

A dispetto del termine che li definisce, gli accessori rivestono da sempre un ruolo di primaria importanza, connotando status e stile di chi li indossa e utilizza. Fra arte e moda, la nuova mostra della Pinacoteca Züst ne illustra l’evoluzione dal 1830 al 1930.

In questo ritratto di Carlo Silvestri (1850) del pittore Eliseo Sala, sono gli accessori a parlare: la giacca posata sulla spalla e la variante estiva in paglia a tesa larga del cilindro creano un’atmosfera en plein air, mentre il plastron rosso ne testimonia la passione politica indicando l’appartenenza alla Brigata Savoia.

prescritte al gentiluomo da alternare a seconda dell’occasione, oltre a spille e fermacravatte, in una infinita gamma di motivi, materiali e cesellate lavorazioni. Con l’approccio interdisciplinare richiesto da una materia ibrida come questa, che tocca storia, arte, moda, artigianato e costume, in mostra viene proposto un confronto serrato, ma mai banalmente didascalico, fra un’ampia raccolta di manufatti e la loro rappresentazione in dipinti e sculture tra gli anni Trenta dell’Ottocento e i primi tre decenni del Novecento. Ne emerge chiaramente che se “accessori” questi oggetti nascono per la funzione ausiliaria loro assegnata in origine, molto spesso vengono poi investiti da una connotazione simbolica che li rende marchio di appartenenza

Con cappello e guanti, nel XIX secolo il bastone da passeggio diventa un must del guardaroba maschile. Accanto, un esemplare della Collezione Luciano Cattaneo, 1800-30, con l’impugnatura scolpita in avorio a foggia di gatto che ghermisce un topino.

a un determinato ceto sociale e, al contempo, personalissimi segni distintitivi, chiamati a rispecchiare l’unicità dei loro proprietari. Un paradosso su cui si regge il fenomeno stesso della moda, che appaga sia il bisogno di appartenenza sociale che di differenziazione individuale, secondo quanto acutamente osservava un padre della sociologia come Georg Simmel. Curata con grande competenza e passione dalla storica dell’arte e della moda Elisabetta Chiodini in collaborazione con Mariangela Agliati Ruggia (che, dopo 34 anni alla guida della Pinacoteca, ha appena passato il testimone al nuovo direttore Elio Schenini), come tradizione della Züst la mostra non manca di guardare anche al territorio ticinese, per cui il settore dell’abbigliamento ha rappresentato un ramo economico di particolare rilevanza - primo per personale occupato dal 1929 al 1956. Già nel 1911, le 14 aziende attive di abbigliamento e confezioni davano lavoro a 368 addetti, le 7 aziende nel ramo di cuoio e scarpe a 140 e tre fabbriche di cappelli a 189. La maggior parte si insediarono a Lugano, principale centro urbano del Cantone che, anche grazie ai suoi alberghi e ai nascenti grandi magazzini, permetteva di raggiungere i turisti e la più agiata clientela locale. Quasi tutte erano realtà familiari che si tramandavano atelier e negozi di genitori in figli. Nel suo bel saggio in catalogo, lo storico Marco Marcacci rievoca alcuni nomi ben impressi nella memoria di molti luganesi, come Patuzzo, Fumagalli, Riva-Pinchetti, Macconi e, unici due ancora attivi, Poggioli e Poretti, il primo nato come atelier di selleria e articoli da viaggio, che ormai alla quarta generazione festeggia 120 anni, mentre il secondo, di una generazione più giovane, si

Parasole con bastone da passeggio, 1840-60, seta, legno, avorio, manifattura europea.

Guanti femminili da giorno, 1840 ca., mussola di cotone ricamata in bianco, Manifattura italiana.

Calzatura femminile da sera in pelle di capretto, 1925-28 circa, Produzione: Alfred Argance (Parigi).

Sopra, tre tipici accessori femminili: parasole e guanti deputati per etichetta ottocentesca a preservare il candore della carnagione delle dame dell’alta borghesia; mentre le calzature sono assurte a fortuna con l’accorciarsi delle gonne nel Novecento. Ai manufatti in mostra sono affiancate opere d’arte, come il bel Ritratto di Leonilde Imperatori di Giacomo Balla, 1911 ca., olio su tela (sotto).

è specializzato in abbigliamento maschile dopo l’esordio come cappellificio. Proprio ai cappelli è riservato un posto d’onore in mostra, in considerazione della rilevanza nella moda dell’Ottocento, tanto maschile quanto femminile - gli uni rigorosi nella loro codificazione, gli altri esuberanti nella varietà di decorazioni. In Ticino la loro produzione fu precoce, addirittura è probabile che la manifattura a vapore impiantata da un immigrato genovese a Penate, non lontano da Rancate dove ha casa la Pinacoteca, sia stato il primo nel suo genere in Svizzera, in grado di produrre 100 cappelli in feltro al giorno. In seguito si svilupparono soprattutto nel Bellinzonese e poi nel Luganese, finché il calo della domanda nel secondo dopoguerra decretò la chiusura per chi non riuscì a convertirsi. Ben precedente, radicata già nel Seicento, viene ricordata anche l’industria della paglia della Valle Onsernone, con una selezione di cappelli, cestini, borse, attrezzi per la produzione, documentazione originale e fotografie dell’epoca. Probabile che sia stata importata da qualche emigrante locale di ritorno dal Centro Italia. È interessante osservare, come menzionato nel saggio in catalogo di Mattia Dellagana, curatore del Museo Onsernonese di Loco da cui provengono molte delle testimonianze esposte, che non si trattava di una sem plice attività artigianale, ma di un sistema industriale ante litteram. Tanto che nel 1870-71 le vendite dei prodotti di paglia onsernonesi valevano 347mila franchi, fra Italia (35%), Svizzera (25,4%), Francia (15,6%), Germania (12,3%) e America (11,7%). Già all’epoca fatali furono le barriere commerciali: a poco servirono le suppliche dei cappellai onsernonesi a fronte dei dazi quadruplicati nel 1804 dal

Strumento di comunicazione non verbale e di seduzione, nell’Ottocento il ventaglio diventa popolare dopo esser stato oggetto prezioso accessibile a pochi, come questo esemplare in mostra, omaggio della regina Margherita di Savoia a Sofia Incisa della Rocchetta, sua dama d’Onore.

vicino Stato preunitario e, successivamente, della paralisi degli scambi con la Lombardia con cui l’Austria puniva l’appoggio dei ticinesi agli indipendentisti. Da principale, l’attività divenne allora ‘accessoria’ nel senso deteriore del termine.

Tra gli oltre 200 oggetti esposti in mostra sono presenti anche una sessantina di opere fra dipinti e sculture, con nomi prestigiosi di area sia italiana che ticinese, da Giacomo Balla e Giovanni Boldini a Filippo Franzoni e Luigi Rossi. Di grande valore anche manufatti come il ventaglio piumato e il fazzoletto ricamato in seta della contessa Maraini o i bastoni della Collezione Luciano Cattaneo, ma si potrebbe dire che altrettanto valore, per la loro rarità odierna, lo abbiano oggetti più prosaici come copricapi femminili, scarpe, guanti, abiti borghesi, già di per sé più deperibili e spesso tramandati con minor attenzione. Di qui l’invito alle famiglie che ne fossero ancora in possesso a rivolgersi al Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona.

Ultima menzione per Elsa Barberis, sulla cui rievocazione si chiude la mostra. Una stilista nostrana che seppe conquistare addirittura il jet set internazionale proponendo lo stile perfetto per la donna moderna e indipendente che lei stessa incarnava. Senza mai dimenticare le sue origini, reinterpretando anche lavorazioni e materiali locali in chiave innovativa, oltre a omaggiare le località del territorio nei nomi con cui battezzava i suoi abiti.

Un capitolo a parte si potrebbe aprire su un altro grande classico svizzero, qui assente: l’orologio, l’accessorio di classe per eccellenza. Tempo al tempo, potrebbe essere lo spunto per un futuro appuntamento.

© Aleph Fotografia, Como Musei Civici “L. Barni”, MIC-Museo Vigevano
© Centro di dialettologia e di etnografia, Bellinzona, Foto Elizabeth La Rosa
© Aleph Fotografia, Como / Palazzo Morando/Costume Moda Immagine, Milano
MartArchivio fotografico
Mediateca
Collezione VAF-Stiftung
© Foto Studiopagi, Lugano-Pregassona
Collezione Litta, Vedano al Lambro

Vitra Design Museum Catwalk. The Art of the Fashion Show

Non durano che pochi minuti, ma le loro immagini fanno il giro del mondo: le sfilate di moda sono spettacoli mediatici, rituali sociali e statement di stile. Nate intorno al 1900 come presentazione per pochi intimi nei Salons parigini sono evolute fino a diventare un evento globale in cui architettura, scenografia, coreografia, luci, suoni e abiti si fondono in uno spazio narrativo stratificato.

Il Vitra Design Museum ne illustra storia e significato culturale: pezzi da collezioni originali, materiale fotografico e video, oggetti di scena ridanno vita a più di un secolo di storia della moda in passerella: Azzedine Alaïa, Balenciaga, Chanel, Dior, Gucci, Maison Martin Margiela, Prada, Viktor & Rolf, Louis Vuitton, Yohji Yamamoto e molti altri ancora.

Fino al 15 febbraio 2026

Sopra, La scala a specchio dell’atelier Chanel di Parigi, 1930 ca. Al centro, lo stile di Giorgio Armani e, sullo sfondo, la Predica di San Marco in una piazza di Alessandria d’Egitto (1504-07) dei fratelli Bellini, alla Pinocoteca di Brera. A destra, in alto, una veduta della mostra dedicata dal V&A South Kensington alla ‘sovrana’ della moda, Maria Antonietta. Sotto, un’illustrazione da Le Moniteur de la Mode (1876) e scarpe con plateau in stile anni ’70 (da uomo) testimoniano l’evoluzione degli accessori di moda.

Pinocoteca di Brera

Giorgio Armani: Milano, per amore

«La Moda intesa come Arte decorativa viene accolta a Brera. Un unicum: un dialogo fra Giorgio Armani, il museo e il patrimonio artistico custodito, restituito attraverso una selezione di sue creazioni»

Chiara Rostagno

Vicedirettrice della

Pinacoteca di Brera

MILANO

La Pinacoteca di Brera ricostruisce il percorso di stile tracciato da Giorgio Armani attraverso una selezione di abiti allestiti nelle sue prestigiose sale, fra le opere che raccontano l’arte italiana dal Medioevo all’Ottocento. Pensata prima della sua scomparsa per celebrarne i 50 anni di attività, l’esposizione rende omaggio allo stilista nel cuore del quartiere che aveva scelto per vivere e lavorare. Più di 120 creazioni provenienti da Armani/Archivio offrono un dizionario concettuale che racconta e definisce mezzo secolo di coerenza ed evoluzione, evidenziando il ruolo della moda nella costruzione degli immaginari estetici e culturali. Fino all’11 gennaio 2026

V&A South Kensington

Marie Antoinette Style

È stata la regina più alla moda, più discussa e controversa della storia: Maria Antonietta. Il suo nome evoca sia immagini di eccessi che oggetti e interni di grande bellezza. La mostra al V&A South Kensington - prima dedicata nel Regno Unito all’arciduchessa austriaca divenuta regina di Francia - ne illustra l’enorme impatto su oltre 250 anni di design, moda, cinema e arti decorative, attraverso un’ampia selezione dei raffinati oggetti appartenuti alla sovrana, insieme alle più belle creazioni che la sua eredità ha ispirato.

Fra i 250 pezzi, eccezionali prestiti dal Castello di Versailles, tra cui capi di moda storica e contemporanea, insieme a installazioni audiovisive e una curatela immersiva per esplorare come e perché Maria Antonietta abbia fornito una fonte costante di ispirazione. Fino al 22 marzo 2026

Museo nazionale di Zurigo Accessori - Oggetti del desiderio

Non solo la Pinacoteca Züst di Rancate, ma anche il Museo nazionale di Zurigo guarda in questi mesi agli accessori. Spaziando sull’arco di quattro secoli, la sua mostra getta uno sguardo poliedrico sul ruolo degli accessori nella vita quotidiana, nella cultura e nella politica, illustrando il modo in cui testimoniano dello status, dell’identità e del cambiamento sociale: molto più di un ornamento alla moda, ci raccontano “dalla testa ai piedi”. Esposti 200 oggetti, fra cappelli, foulard, ventagli, borse e scarpe e molti altri oggetti che rendono unica la vita di tutti i giorni. Fino al 12 aprile 2026

LONDRA
ZURIGO

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Il Mito

Semplicemente. Autorevolmente. Porsche 911. L’Auto.

Ci siamo arrivati, finalmente. Eccoci ad affrontare il difficile compito di raccontare l’automobile sportiva più importante di sempre. Personalmente, anche la più amata. Ogni appassionato di motori credo custodisca il ricordo della 911 fissato in due momenti importanti: la prima volta che ne ha vista una e la prima volta che l’ha guidata. Per quanto mi riguarda sono ricordi indelebili.

Il progetto nasce nel lontano 1960, quando il modello 356 era nel pieno della sua brillante carriera e il costruttore di Stoccarda pensava già al successivo. Il primo prototipo, noto come “Type 7”, prevedeva una vettura a quattro posti, meno sportiva, ma già anticipava alcune soluzioni stilistiche e progettuali, della nuova 911 che nel 1964 venne presentata a Francoforte, con una linea modernissima e inedito motore 6 cilindri boxer. Sono note le vicende legali che costrinsero Porsche a cambiare la sigla 901, già brevettata da Peugeot, ma pochi ricordano come i primi modelli, oggi molto ricercati, fossero caratterizzati da una finitura quasi lussuosa, con plancia e volante in legno, strumenti con numeri verdi e sedili in “Principe di Galles” che identificavano la vettura esattamente come lo è oggi; l’auto sportiva ed elegante per eccellenza. Fiumi d’inchiostro sono stati riversati per illustrarne le caratteristiche nel corso della sua lunga vita, ma nessuno è riuscito a descrivere il segreto grazie a cui una 911, di qualsiasi epoca, passando per strada

viene immediatamente identificata anche dall’osservatore meno esperto. Ed è grazie allo stesso segreto che chi ne ha guidate diverse, ritrova sempre lo stesso feeling, che sia una classica o una moderna. L’evoluzione tecnica iniziò poco dopo la presentazione, portando il propulsore da 2000cc a 2200cc e poi a 4000cc, aggiungendo anche un turbocompressore, nel 1975, e poi un secondo vent’anni dopo, abbinando anche la trazione integrale.

«È l’automobile sportiva più importante di sempre. Ogni appassionato di motori credo custodisca il ricordo della 911 fissato in due momenti importanti: la prima volta che ne ha vista una e la prima volta che l’ha guidata. Per quanto mi riguarda sono entrambi indelebili»

A metà anni ’90, quando le 911 avevano raggiunto il massimo della loro evoluzione, pur mantenendo praticamente inalterata la linea (la geometria delle superfici vetrate era rimasta identica per oltre tre decenni), Porsche rischiò però il fallimento a causa degli eccessivi costi di produzione del modello che non veniva più apprezzato dal mercato. Oggi quella serie, denominata 993, è una delle 911 più amate dai collezionisti che la considerano

l’ultima delle classiche. Ma fu sostituita in fretta da un modello, interamente nuovo e con il motore raffreddato ad acqua, che rappresentò la più grande scommessa industriale della Casa tedesca, con nuove soluzioni di produzione integrata studiate con una squadra di ingegneri della giapponese Toyota: nasceva la seconda progenie della sportiva più famosa del mondo, arrivata ai giorni nostri.

La carriera sportiva è stata spettacolare e ha visto la 911 trionfare in diverse specialità, dal Rallye di Montecarlo, alla massacrante Paris-Dakar, così come in pista vincendo la 24 Ore di Le Mans e diventando una delle vetture preferite dai piloti gentleman driver per la sua proverbiale affidabilità. Le tante vittorie con le bellissime livree degli sponsor più famosi hanno contribuito a costruire l’immagine nella quale l’appassionato si è sempre identificato e che anche il cinema ha saputo cogliere regalando apparizioni memorabili con gli attori più famosi, da Steve McQueen a Robert Redford, affezionato cliente Porsche, da Will Smith con la sua 911 Turbo nera fino a Jeff Bridges nel memorabile inseguimento sulle strade della California in Against All Odds. È così che, in una lunga sequenza di modelli, innovazioni, colori, immagini, ma soprattutto di sogni, la Porsche 911 si è rinnovata negli anni arrivando fino a oggi più bella e desiderata che mai.

Il mito.

Testo e foto di Marco Betocchi

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Zero emissioni, pieno di emozioni

Raramente su un’elettrica dopo pochi chilometri si dimentica che lo è. Questi tre modelli invece sanno subito regalare potenza e non poche emozioni tra accelerazione, stabilità eccezionale e piacere di guida puro. E grazie ad autonomia e rapidità di ricarica, il divertimento è assicurato.

Audi S6 e-tron Avant

L’Audi S6 Avant e-tron conquista per l’autonomia assai elevata e la potenza di ricarica rapida. Davvero eccezionale anche per accelerazione e stabilità grazie alla trazione integrale elettrica quattro. Linee pulite, coda da coupé e un Cx di 0,21, il migliore mai ottenuto dall’Audi su un modello di questa categoria, la scolpiscono nei suoi 4,93 metri di carrozzeria, facendone un’auto elegante ma discreta nell’impatto visivo. La cornice perimetrale sotto il bordo del tetto enfatizza l’inconfondibile profilo Avant. L’inserto in nero al di sopra delle minigonne laterali sottolinea l’avanguardistico design e-tron che simboleggia la batteria agli ioni di litio da 800 V integrata nel sottoscocca, cuore pulsante di questo modello.

All’interno, materiali sostenibili e tanta tecnologia, ma senza esagerazioni.

Il palcoscenico digitale è composto da tre display, uno per il passeggero, e da un head-up display con realtà aumentata, tutto integrato con logica e misura. L’infotainment è rapido e intuitivo. L’assistente vocale, potenziato da ChatGpt, risponde anche alle richieste più insolite. La panca posteriore può essere ribaltata completamente o con un frazionamento 40: 20: 40, aumentando così il volume del bagagliaio da 502 a 1422 litri.

La versione S offre ben 503 Cv rispettivamente 551 con il booster e autonomia fino a 675 km. Una vettura pensata per viaggiare in pieno relax, senza però perdere il tradizionale tocco dinamico Audi, capace all’occorrenza di scattare da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi, sfruttando la coppia immediata di 565 Nm, per poi raggiungere - ove consentitouna velocità massima di 240 km/h. Le

Audi S6 e-tron Avant

stazioni Hpc ricaricano la batteria ad alto voltaggio dell’Audi A6 Avant e-tron performance dal 10% all’80% in circa 21 minuti: in circa 10 minuti di carica si raggiunge già un’autonomia di 295 chilometri. Per la ricarica domestica sono disponibili i modelli della wallbox Audi o il sistema di ricarica e-tron compatto con potenza di 11 kW. In listino a partire da 104.850.- franchi.

Alpine A290 GTS

Dal 1955 il marchio Alpine, entrato nel 1973 nel Gruppo Renault, sta per auto sportive e anche la nuovissima Alpine A 290, Car of the year 2025, non fa eccezione, se non per carrozzeria e motorizzazione. Infatti è una Citycar 4 porte a trazione elettrica. Riprende piattaforma, carrozzeria e tecnologia della nuovissima Renault 5, ma profondamente modificata, a partire dai due faretti con punti luce a X nel frontale. La lunghezza resta 3,99 metri, mentre le careggiate sono state allargate di 6 cm per ospitare i freni maggiorati Brembo e i cerchi 19 pollici. Sotto la carrozzeria cambia la sezione anteriore con ammortizzatori idraulici e una struttura in alluminio per alloggiare il motore, a vantaggio del peso di 1479 kg perfettamente distribuiti, pochi per un’elettrica, che ne fanno un’auto sportiva, scattante e divertente nell’affrontare le curve.

Quattro le versioni: Gt e Gt Premium da 180 Cv, Gt Performance e la top di gamma Gts da 220 Cv, con un’autonomia tra 360 e 380 km a seconda della motorizzazione. Il sistema di ricarica supporta fino a 100 kW e lo scatto da 0 a 100 avviene in 6,4 secondi fino a una massima di 160-170 km/h. Gli input al volante

vengono recepiti rapidamente dalle ruote anteriori con l’aiuto della funzione torque vectoring. Gli interni sono in tipico stile Alpine per eleganza e materiali soft-touch rivestono il nuovo volante sportivo, i sedili e la parte inferiore della plancia. Buona l’abitabilità davanti, discreta dietro, mentre il bagagliaio arriva a 1106 litri a schienale ribaltato. In listino a partire da Chf 37.700.- per la Gt e 45.100.- per la Gts.

Hyundai IONIQ 5N

La Ioniq 5N è la versione tutta grinta della squadrata, personale e accogliente crossover elettrica della coreana Hyundai. L’ha realizzata il comparto sportivo N, con una gran quantità di modifiche rispetto alle ‘sorelle’ più tranquille, scocca irrigidita con saldature aggiuntive, sterzo più diretto e sospensioni a gestione elettronica rendono più precisa la guida e tengono i 650 cavalli a bada, il doppio della seconda versione più potente N Line.

La trazione è integrale, garantita da due motori, anteriore da 238 Cv e posteriore da 412 Cv, abbinato a un differenziale autobloccante che aiuta a scaricare la potenza sull’asfalto e uscire rapidissimi dalle svolte. La ricarica può essere molto rapida (18 minuti per il 10-80%), ma solo alle rare colonnine ultraveloci, e che l’autonomia è di 399 km. Lo stile, lineare e moderno, è reso più sportivo da una serie di modifiche. Subito evidente il volante a tre razze con comandi aggiuntivi per regolare le funzionalità di guida, compresa la modalità N-eShift, che simula spinta e rombo di un 2.0 Turbo, ritmati da cambiate rapidissime, rendendola l’unica elettrica al mondo che non solo emana il tipico rombo delle Hyundai N all’interno dell’abitacolo ma che offre pure 8 marce finte, con tanto di boato e limitatore di giri oltre i 7mila: non sembra davvero di guidare un’auto elettrica in questa modalità. In listino a partire da 74.900.- Chf, è un’auto cara? In rapporto alla dotazione e alle emozioni che sa fornire no, poiché lo scatto 0-100 km/h avviene in 3,4 secondi fino a una massima di 260 km/h con un’autonomia che arriva a 448 km.

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