Ticino Management Donna: Inverno 2022

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FESTIVITÀ

Il gusto unico di un tempo ritrovato

FOCUS

Orizzonti

spirituali

PROFILI Protagoniste, charme e brio

PERCORSI

Per momenti di sano egoismo

N. 91 • Inverno 2022/2023 - Fr. 12 / Euro 12

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CHIUSURA REDAZIONALE: 2 dicembre 2022

RITROVARE I COLORI

Viva Magenta. È il colore Pantone designato per il 2023. Una tonalità nuova, non convenzionale per un tempo non convenzionale, che vibra di vivacità e vigore. Rosso carminio con sfumature violacee, è un colore coraggioso, la cui esuberanza promuove una celebrazione gioiosa e ottimista. Il colore giusto, in un tempo che non risparmia le incertezze, ma che offre anche molte opportunità di cambiamento. Energizzante, il ‘Viva Magenta’ si fa pretesto e, anzi, ci induce a ripensare la nostra personalissima cartella cromatica.

Di che colore sono i nostri giorni?

Siamo sollecitati a rivalutare, in questo momento di bilanci, se i nostri pensieri, le priorità che ci diamo, le relazioni che intrecciamo e le azioni che compiamo siano della sfumatura giusta. E se la risposta non ci soddisfa, si passa alla nuance successiva.

In questo numero di Ticino Management Donna, prendendo il via dai colori tradizionalmente associati alle Festività di fine anno, il rosso e il verde, l’oro e l’argento, si anima una galleria policroma di mondi, personaggi, storie e stili di vita.

Le pagine raccontano i colori audaci delle scelte coraggiose e quelli rassicuranti delle relazioni sincere, fatte di rispetto della diversità, di gesti solidali e altruistici. I colori vividi delle grandi passioni, che si tratti di arte o di teatro.

Vivere l’armonia di un quotidiano dai colori più giusti - in fondo - dipende da noi, dalla consapevolezza con cui viviamo e dalla disponibilità che abbiamo nell’individuare orizzonti nuovi verso cui allineare le nostre scelte.

Simona Manzione
EDITORIALE

Using EIDOS colors

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EIDOS GRAY #8a8d8e C:0 M:0 Y:0 K:57 R:137 G:140 B:142 PANTONE 877 EIDOS RED #e4002b C:0 M:100 Y:80 K:0 R:228 G:0 B:43 PANTONE 185

Trascendente immanenza

Gli edifici di culto fanno emergere gli elementi fondativi della sintassi architettonica.

Fare

Luciana Vaccaro, dalla fisica ai vertici della formazione. Leadership e ascolto.

Diverse eppure

Il ruolo delle donne nelle tre grandi religioni monoteiste.

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L'incanto del

Armonia, bellezza e unità dell’universo, una melodia segreta.

Dio è nel cervello?

I meccanismi neurali attivati dall’esperienza spirituale.

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Abolire ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne.

A supporto dell'altro

Il rapporto tra donne e filantropia assume nuove connotazioni.

Tacheles, basta tergiversare

Studiare le differenze per combattere le disparità.

Madame Clicquot

L’affascinante storia della donna che ha inventato lo champagne.

PROTAGONISTI Un affare di donne A 40 anni dalla fondazione, il Business and Professional Women Club Ticino. 22
Signore del cioccolato
Le
Tre interpreti del settore raccontano tutto il gusto della loro professione.
i numeri
uguali
12 28
cosmo
34
40 FOCUS SOCIETÀ
Convenzione ai fatti
Dalla
32
38 46
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POLIFORM
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HERMÈS MAISON

STILI E TENDENZE

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L'arte della mise en place

La ricetta dell'allestimento: ingredienti di qualità, creatività e armonia.

A festa!

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Classica, gioiosa, romantica, audace. Stili diversi per la femminilità.

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Bellezza oltre l'apparenza

Valorizzare la propria unicità, con un approccio olistico.

Minimal chic

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Dal naturale al glamour. Per essere la migliore versione di sé stesse.

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Doni di natura

Purissime gemme preziose arricchiscono le giornate invernali di vivida bellezza.

Tempo prezioso

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Segnatempo straordinari da indossare in occasioni speciali.

Jeanne Toussaint, la Panthère

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L’affascinante storia che si cela dietro l’animale iconico di Cartier.

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Il calore del Nord

Avvolto dal paesaggio dell’Engadina, uno chalet in armonia con la natura.

Design iconico

PERCORSI

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Accenti cromatici

Le grandi mostre di questo inverno, attraverso il prisma dei colori.

Nuoni paradigmi teatrali

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Un’urgenza di autenticità amplia la gamma di linguaggi da sperimentare.

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Rigenerare corpo e anima

La simbiosi perfetta fra Spa e grande tradizione alberghiera svizzera.

L'inverno si fa strada

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Nei mesi più freddi, sicurezza e confort alla guida al centro.

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Sì, viaggiare

Libertà mentale, ancor prima che di spostamento. Scoprire nuovi orizzonti.

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Pezzi di arredo che hanno riscritto il nostro modo di abitare.

BVLGARI
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We make your festive season sparkle.

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Quale spazio per la dimensione spirituale, quando nell’epoca del virtuale tutto viene smaterializzato solo per diventare ‘dato’ - misurabile, categoralizzabile e tracciabile, da elaborare e, possibilmente, da monetizzare?

Quale tempo nella frenesia del quotidiano per il silenzio e il raccoglimento imprescindibili per coltivare una riflessione che vada oltre l’hic et nunc?

Certo, se ci si limita a ridurre la meditazione a un hobby per scaricare la tensione fisica ed emotiva si va poco lontani.

Eppure, qualsivoglia forma assuma, l’anelito all’assoluto è insito dell’uomo: fede religiosa, ricerca filosofica, indagine scientifica, etica laica oppure, oggi, sempre più una sensibilità ecologica che recupera per via razionale l’afflato panteistico.

Mentre si amplia il nostro raggio delle conoscenze astrofisiche di un macrocosmo cui specularmente corrisponde l’affondo nel microscopico della meccanica quantistica, impossibile non interrogarsi sul ruolo dell’uomo nell’universo.

Irrisolvibile, il dilemma fra caso e necessità oppone il caleidoscopio di un multiverso di cui non rappresenteremmo che un fortuito lancio di dadi alla scommessa di chi pensa il cosmo (parola che non a caso si richiama etimologicamente a ordine, armonia e bellezza) predisposto dalle origini in

maniera estremamente precisa per l’apparizione della vita e della coscienza. Certo, non inquadreremo mai Dio all’altro capo del cannocchiale, né lo emuleremo in un acceleratore di particelle. E per quanto le conoscenze della scienza progrediscano anche in direzione della neuroteologia, un conto è analizzare l’attività cerebrale durante la meditazione o un’esperienza mistica, un altro ricondurre la pulsione religiosa esclusivamente a biologia e chimica.

Quella della sacralità è una dimensione universale, che travalica il piano strettamente confessionale della religiosità, legato al rispetto di norme, liturgie, modelli e riti. Da qui prende le mosse il Focus di questa edizione, con il racconto di tre donne che, immerse nella tradizione millenaria delle tre grandi religioni monoteiste, vivono la loro vocazione confrontandosi con il complesso dibattito sul ruolo femminile.

Complementarmente, astrofisica, medicina e architettura portano le loro visioni e i loro interrogativi sul sacro, risuonando all’unisono negli esiti più alti delle loro ricerche: il disegno dell’universo con le sue leggi, la mappa neurale della nostra mente e gli edifici di culto nell’essenziale tensione dei loro elementi costitutivi, sono certo espressioni della progressione delle capacità tecniche e delle conoscenze scientifiche dell’uomo, ma possono essere lette al contempo come esiti di quella pulsione che dalla finitezza della condizione terrena obbliga l’uomo ad alzare sguardo e pensiero a un infinito che lo trascende.

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FOCUS LO SPAZIO DELLA SPIRITUALITÀ
Switzerland Tourism / Photo: Martin Maegli

Celebrating 200Yearsof

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DIVERSE EPPURE UGUALI

Si tende a credere che le religioni siano responsabili di buona parte dei pregiudizi nei confronti delle donne. Eppure nell’ambito delle tre grandi monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, le Sacre Scritture in realtà non sembrano asserire una distinzione tra i sessi tale da comprometterne l’uguaglianza.

‘Dio creò gli esseri umani a sua somiglianza. Li creò uomo e donna’, recita la Bibbia, che non fa riferimento invece ad una gerarchizzazione. Ma questa ontologia egualitaria, presente pure in alcuni versetti del Corano, è contraddetta dalla realtà. Nella pratica, infatti, l’esclusione delle donne dai territori del sacro rivela una gerarchia dei sessi in campo religioso. In tutte e tre le religioni la figura stessa di Dio - anche quando non viene rappresentata, come nella tradizione ebraica e musulmana - è in realtà maschile. Così, per molti secoli, le donne sono state escluse dai posti di comando nelle rispettive tradizioni e in parte lo sono tuttora. Qualcosa però si muove.

Oggi nell’Ebraismo, nel Cristianesimo e nell’Islam, esistono donne che guidano delle comunità religiose: rabbine, donne pastore, responsabili di comunità monastiche, donne imam.

«Quando si parla di ebraismo e di studio dei testi ebraici, bisogna distinguere accuratamente tra narrativa e normativa»,

esordisce Miriam Camerini, allieva rabbina ortodossa, regista, sceneggiatrice, attrice. «Da una parte, ci riferiamo alla Tanakh, la Bibbia ebraica, dall’altra al Talmud, che contiene il commento alle norme etiche, giuridiche e rituali del popolo ebraico. È il rabbino a interpretare i testi sacri per renderli applicabili nel quotidiano, tanto che si parla di ebraismo rabbinico o talmudico. Accanto alla puntuale interpretazione talmudica, l’ebraismo contempla un’altra forma di interpretazione dei testi sacri, il midrash, che è invece narrativa. Mentre nel Talmud le donne sono ritenute oggetto della normativa, nell’interpretazione narrativa le donne sono soggetti, protagoniste della propria storia. Fin dal racconto della creazione, quando a Eva si manifesta il serpente. L’animale la provoca con la domanda (retorica) ‘Ma Dio vi ha davvero proibito di toccare l’albero?’, la quale aggiunge il divieto

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Le religioni sono considerate come sistemi di conservazione delle tradizioni, ma nella storia sono state anche spunto di rinnovamento sociale. Qual è oggi il ruolo delle donne?
SOPRA, IL PANTHEON A ROMA, TEMPIO DEDICATO A TUTTE LE DIVINITÀ, PRESENTI, PASSATE E FUTURE

di toccare, che la Divinità non aveva espresso. Di fatto, applicando una regola ancora più rigorosa. E proprio in questo passaggio - nell’interpretazione più rigorosa - risiede il fanatismo. Eva comunque a questo imperativo risponde con una ‘disubbidienza creativa’, e da quel momento, tutti i personaggi femminili del Tanakh saranno figlie di Eva, dalla moglie di Abramo a Rebecca e Rachele: usano disobbedienza, creatività e astuzia per cercare di erodere uno status quo, una norma che le vorrebbe oggetto, soggiogate al potere. Ricorrono all’intelligenza invece che alla forza. C’è quindi una forte discrepanza tra come le donne vengono narrate e come vengono regolate nella legge. Ma la religione è anche un fatto culturale, che evolve; e anche questa situazione è destinata a cambiare con l’evolversi dell’umanità», nota Miriam Camerini. E in effetti dei cambiamenti sono già intervenuti, tanto che oggi, per esempio, anche le donne

nato in Germania l’ebraismo riformato - poi diffusosi -, e furono proprio i riformati ad ammettere le donne al rabbinato. Era il 1972», conclude Miriam Camerini. Oggi ci sono alcune scuole e, nel mondo, le rabbine donne ortodosse sono circa un centinaio. Al termine dei tre anni di studio, alcune vengono assorbite a capo di una comunità (ed è la comunità a scegliere la sua guida). Qual è la realtà della donna nell’Islam? «Le tre religioni monoteiste sono fortemente androcentriche. È indubbio, tutto il racconto delle religioni monoteiste si basa sulla parola uomo, l’Islam non sfugge a questa regola», esordisce Maryan Ismail, Imama (Murshida), antropologa, prima donna Imam in Italia, «a ben vedere, tuttavia, qualche traccia di interpretazioni diverse o comunque un racconto diverso viene dal Corano; per esempio, parlando di Adamo e Eva, non dice di lei che è nata da una costola di Adamo, bensì da un impasto di fango e soffio vitale di Allah. I due

possono studiare per diventare rabbino: «Nulla lo impedisce. Nell’Ebraismo come nell’Islam, le donne semplicemente non sono state ammesse a studiare oltre un certo livello fino alla fine dell’Ottocento, quando nacquero le ‘Case di Giacobbe’, in cui potevano ricevere una cultura più alta. Poco prima era

IN ALTO, DA SINISTRA VERSO DESTRA, MIRIAM CAMERINI, ALLIEVA RABBINA; MARYAN ISMAIL, PRIMA DONNA IMAM (IMAMA) IN ITALIA; MADRE CRISTIANA DOBNER, PRIORA DEL MONASTERO DI CLAUSURA CARMELITANO DI CONCENEDO (LECCO). RELATRICI, IN AUTUNNO, DI UN EVENTO ORGANIZZATO DALLA GOREN MONTI FERRARI FOUNDATION. LA CONFERENZA DAL TITOLO ‘LE SIGNORE DELLO SPIRITO – DONNE E POTERE NELLE COMUNITÀ EBRAICA, CATTOLICA, ISLAMICA’, SI È SVOLTA NELL’AMBITO DEL CICLO ‘EVA E LE ALTRE’

nascono come coppia e, senza distinzione di gerarchia tra maschio e femmina: nel Corano si parla sempre di coppia, da cui discenderanno una moltitudine di uomini e di donne. Inoltre, l’Islam ha 99 nomi diversi per citare Allah, che vengono recitati dopo la preghiera o durante il giorno. Di essi, un titolo attribuito a Dio è il ‘misericordioso’, parola la cui radice deriva dal termine ‘utero della donna’».

Anche nell’Islam, la scrittura sacra, il Corano, non sanciva la differenza dei sessi e la subordinazione del ruolo della donna. È l’interpretazione del testo sacro, la Shari’a, ad avervi invece fatto allusione.

«Esiste una divergenza tra ciò che vediamo nella rappresentazione dell’Islam e della donna nell’Islam», prosegue l’Imama. «Secondo il Corano ‘gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle’. In realtà l’idea di ‘preposto’ va letta nelle due direzioni: come tale, è l’uomo a dover

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CON
COVER LO SPAZIO DELLA SPIRITUALITÀ DI SIMONA MANZIONE IN COLLABORAZIONE
LA GOREN MONTI FERRARI FOUNDATION
© PaolaCazzaniga

fare lo sforzo maggiore rispetto alla donna. Allah nell’ambito della sura per le donne, dice che per lui uomini e donne sono sullo stesso piano».

E allora, qual è il dilemma? «La parità ontologica assoluta è chiara, ma la reinterpretazione ha creato disparità anche giuridica. L’esegesi è sempre stata maschile, con le conseguenze che la donna subisce su questioni molto importanti (testimonianza, eredità, matrimonio, …)», spiega l’Imama, che conclude: «L’imamato femminile non è una questione di oggi, ma nasce nel settimo secolo, quando una cugina del Profeta divenne la prima donna a guidare le preghiere miste nella casa del Profeta, proprio perché conosceva profondamente il Corano». Oggi come prima Imam donna in Italia, Maryan Ismail rappresenta un nuovo orizzonte.

La realtà del cattolicesimo? Non è diversa. «Tutta la letteratura e la filosofia che hanno costituito il bagaglio culturale della mia crescita, hanno sempre parlato di uomo, tralasciando puntualmente la donna», esordisce Madre Cristiana Dobner, priora del monastero di clausura carmelitano di Concenedo in provincia di Lecco, teologa, saggista e traduttrice: «Eppure esiste una fitta schiera di donne, figure emblematiche, che nella storia si sono distinte e alle quali, per ragioni ideologiche, non sono state riconosciute le loro qualità». Elisabetta Sirani (1638-1665), ad esempio, «Oggi riconosciuta come pittrice barocca degna di menzione ma a suo tempo identificata come ‘la putta molto valente che dipinge da omo’. Oppure Caritas Pirckheimer (1467-1532), entrata sedicenne in monastero e diventatane abbadessa nel 1503, «alla quale fu impedito l’uso del latino, negli scambi epistolari con i grandi intellettuali del tempo, proprio per evitare che si sentisse loro pari», aggiunge Madre Cristiana Dobner, che prosegue «È peraltro interessante notare che chi guida la comunità delle monache viene detta Abbadessa o Badessa, nome che viene dall’aramaico, e vuol dire Padre… e perché non direttamente Madre?», prosegue la priora.

«E poi Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684), l’oblata benedettina che nel 1678 fu insignita all’Università di Padova del dottorato in filosofia. Suo

padre aveva richiesto all’Università di riconoscere alla figlia la laurea in Teologia, ma allora la risposta del Vescovo Barbarigo fu: ‘È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo’». Dal Seicento in poi, le donne hanno avviato un processo di emancipazione. Per esempio, le due sorelle Sarah (1792-1873) e Angelina Grimké (1805-1879) denunciarono pubblicamente la schiavitù e, uscendo dagli stretti confini riservati alle donne, parlarono in pubblico. Ad Angelina si deve poi il primo manifesto del femminismo protestante contemporaneo (Letters on the Equality of the Sexes, 1863): ‘Non è soltanto la causa degli schiavi che noi difendiamo, ma quella della donna come essere morale e responsabile. Lucy Stoine, invece, fu la prima donna a voler frequentare il College per poter studiare l’ebraico e il greco, così da tradurre la Bibbia senza distorsioni nel testo. Infine, con Elisabeth Cady Stanton, organizzatrice della prima Convenzione del diritto delle donne (Seneca Falls Convention) ebbe inizio il movimento femminista americano, che portò a una Dichiarazione dei diritti e dei sentimenti, rivendicando l’eguaglianza della donna in quasi tutte le sfere pubbliche. Traguardi importanti, se si considera che «per secoli, dalla prima proclamazione di Gregorio Magno nel 1298 a Dottore della Chiesa, si sono susseguiti ben trentun uomini santi proposti ai cristiani quali Dottori per la luce della loro dottrina e per l’adesione al Vangelo. Ma solo nel 1979 vennero dichiarate dottoresse due donne, Teresa di Gesù e Caterina da Siena. Teresa di Gesù Bambino. Una dimostrazione, anche da parte della Chiesa come istituzione, che la dottrina, il dono dello Spirito che illumina l’intelligenza e rende la fede riflessa, non è solo appannaggio maschile ma realtà appartenente alla conoscenza e alla trasmissione alle donne».

La cultura femminile è mutata. «Curvarsi sulla Scrittura è, per le donne, la sfida a creare nuovi orizzonti di senso che non ricerchino il potere nel dominio e nella sopraffazione, ma che sappiano invece usare il loro potenziale per incidere sulla vita non solo dei credenti ma di ogni persona pensante. Una donna lascia dietro di sé traccia di un sentiero utile alle donne che seguiranno», conclude Madre Cristiana Dobner.

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Switzerland Tourism / Photo: Philipp Haefeli

L’INCANTO DEL COSMO

Armonia, bellezza e unità dell’universo sembrano suggerire una melodia segreta in cui tutto, dalle origini, pare predisposto per l’apparizione della vita e della coscienza umana

Da quando Galileo ha puntato il suo cannocchiale verso il cielo, scalzando l’uomo dalla posizione centrale che gli aveva assegnato il modello aristotelico-tolemaico, la vertigine della conoscenza ha aperto lo sguardo a uno spazio potenzialmente infinito. Sono circa 200 i miliardi di galassie che si è arrivati attualmente a individuare nel raggio di 47 miliardi di anni luce dell’universo

osservabile. Ognuna contiene 100 miliardi di stelle come il Sole. Ma la materia luminosa non ne costituisce che lo 0,5%; aggiungendo la massa ordinaria di protoni e neutroni che non brilla si arriva al 5%. Il restante è ancora ignoto: la cosiddetta materia esotica, non composta da neutroni, elettroni o protoni, e l’energia oscura, ovvero la forza antigravitazionale che causa l’accelerazione dell’espansione dell’universo a partire dal momento del Big Bang, 13,8 miliardi

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di anni fa. Origine a cui ci avvicinano le prime immagini catturate dall’occhio spalancato del James Webb Space Telescope. Progressi che entusiasmano ma che pongono al contempo ineludibili questioni filosofiche e metafisiche. Di fronte a questa immensità che relativizza la posizione dell’uomo, quale può essere il suo ruolo? Come può conciliarsi la dimensione spirituale alle evidenze della scienza? L’universo avrebbe un senso se non ci fosse una coscienza umana a rifletterlo e interpretarlo, a coglierne la bellezza? Grandi interrogativi che, se non possono trovare risposta, sono però al centro di un’eccezionale serie di incontri proposti dell’Università di Ginevra per la serie À Ciel Ouvert - Science et Spiritualité che, superando la consueta compartimentazione tra riflessione scientifica, teologica e filosofica, trova proprio nell’interazione dei loro approcci complementari una risorsa essenziale per comprendere l’essere umano nell’universo. Ospite ricorrente è una personalità eccezionale come l’astrofisico Trinh Xuan Thuan. Specializzato in astronomia extragalattica e buddista: due dimensioni solo in apparenza inconciliabili. Il suo percorso di vita si gioca alla confluenza fra tre culture: quella vietnamita in cui è cresciuto, immerso nei valori del buddismo e del confucianesimo; l’educazione francese al liceo di Saigon; studi universitari e carriera di ricercatore negli Stati Uniti, dapprima al California Institute of Technology, poi a Princeton per il dottorato e, a seguire, cattedra all’Università della Virginia, da cui si è appena ritirato. Si è distinto inoltre per le sue straordinarie doti di divulgatore, dando alle stampe libri che hanno saputo parlare

anche al grande pubblico dei mondi lontani che studia (per riprendere il titolo della sua ultima pubblicazione, Mondes d’ailleurs, non ancora non tradotta in italiano) e della melodia segreta (titolo invece della sua prima opera, pubblicata nel 1987, con grandissimo successo) che sembra reggere l’armonia dell’universo. «Il mio scopo non è rendere la scienza mistica, né giustificare la spiritualità attraverso la scienza. Sono due magisteri differenti, ma nonostante le divergenze credo che possa esserci un punto di incontro fra due sistemi di pensiero rigorosi e coerenti. Entrambi contemplano il reale, ma la scienza osserva e misura con strumenti estremamente sofisticati il mondo esterno, usa l’intelletto e la ragione per categorizzare, analizzare, comparare, cercando di trovare le leggi fisiche che colleghino fenomeni in apparenza non correlati - oggi la grande sfida è conciliare la meccanica quantistica che regola l’infinitamente piccolo alla teoria della relatività generale che descrive il macrocosmo.

17 FOCUS LO SPAZIO
DELLA SPIRITUALITÀ DI SUSANNA CATTANEO
IN QUESTE PAGINE, LA PERFEZIONE DELLA NATURA, CON LE SUE GEOMETRIE, I SUOI PRODIGI E LE LEGGI CHE LA REGOLANO, SEMBRA RIMANDARE A UN SENSO SEGRETO CHE RIVERBERA NELL’ARMONIA DEL COSMO

La spiritualità invece guarda al mondo interiore e cerca di comprendere il meccanismo di pensieri e sentimenti, cosa dia gioia, cosa causi sofferenza e come eliminarla. Procede per intuizione, contempla più che osservare. Mentre la scienza usa un linguaggio matematico e riduce la realtà ai suoi elementi più semplici, il buddismo fa un discorso qualitativo, con uno sguardo olistico. Ma al di là di alcuni punti di divergenza, ci sono diverse corrispondenze», osserva l’astrofisico. In particolare concetti tipici del buddismo come quello dell’interdipendenza - per cui niente esiste in sé o è sua propria causa e nulla è definibile se non in relazione all’altro - o il principio dell’impermanenza - secondo cui tutto evolve e si muove - si ritrovano in tutte le esperienze fisiche moderne. Certo, rimangono importanti divergenze, ad esempio nel modo in cui viene interpretata la coscienza: mentre per certi neurobiologi ‘emerge’ dalla sola materia, quando le reti neuronali raggiungono un certo grado di complessità, invece secondo una visione come quella buddista coesiste con la materia sin dalle sue origini, passando come un flusso da un supporto materiale all’altro nel corso di molti cicli di vita e di morte. «Sin dalla mia prima osservazione del cielo, a fine anni Sessanta, con il telescopio Palomar in California, allora il più grande al mondo, ho avvertito una sensazione di connessione cosmica e ancora oggi, dopo oltre quarant’anni di studi da molti osservatori in tutto il mondo, provo la stessa profonda emozione davanti alla straordinaria bellezza dell’universo, all’armonia delle leggi che lo governano e alla sua unità. La stessa che può colpirci davanti a una rosa, a un arcobaleno e al cielo al tramonto. Per cui mi oppongo alla negatività di un Nobel come Steven Weinberg, che diceva “Più sappiamo dell’universo, più ci appare senza senso”. Io credo invece che l’astrofisica abbia rinnovato il nostro incanto per il cosmo. Oggi sappiamo che l’uomo è polvere di stelle: il Big Bang infatti ha prodotto solo elio e idrogeno, mentre è dalla fusione dei nuclei delle stelle che provengono gli elementi pesanti alla base della vita e della coscienza», spiega Trinh Xuan Thuan, che invita a considerare come a tutto paia sotteso un principio antropico. «L’universo sembra essere predisposto dalle sue origini in maniera estremamente precisa per l’apparizione della vita e della coscienza. Le sue proprietà sono determinate da una quindicina di costanti fisiche e da condizioni iniziali, come la quantità complessiva di materia ed energia. Se la densità fosse troppo grande, l’universo imploderebbe in un

A SINISTRA, LE STRAORDINARIE IMMAGINI CATTURATE DAL JAMES WEBB SPACE TELESCOPE GENERANO ASSOCIAZIONI MENTALI: IN ALTO, GLI SPETTACOLARI “PILASTRI DELLA CREAZIONE”, AL CUI INTERNO SI STANNO FORMANDO I NUOVI ASTRI. A DESTRA, LA CLESSIDRA COSMICA GENERATA DA UNA PROTOSTELLA, CHE ILLUMINA GAS E POLVERI CIRCOSTANTI

A DESTRA, ANCHE HUBBLE REGALA ANCORA EMOZIONI, COME LA RECENTE FOTO DELLA GALASSIA A SPIRALE NGC 1961, CON UN DIAMETRO DI CIRCA 200MILA ANNI LUCE

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©
© Science:
StScl
Science: Nasa, Esa, Csa, StScl
Nasa, Esa, Csa,

Big Crunch, se fosse troppo piccola non ci sarebbero stelle, né galassie, dunque niente vita. Parliamo di una precisione nell’ordine di grandezza di 10-60», sottolinea. Si pone dunque il grande dilemma: caso o necessità? Perché le leggi fisiche sono queste e non altre? «Io ‘scommetto’, per dirla con Pascal, su un principio regolatore, che per me non è un Dio barbuto che si occupa dei nostri affari dal cielo, né Buddha, che in realtà è una persona come voi e me che ci mostra il cammino per l’Illuminazione. Condivido invece la visione di Einstein, il mio eroe scientifico, e prima ancora di Spinoza. Credo in un principio panteistico manifesto nelle stesse leggi che regolano armonia e bellezza della natura e che plasmano la realtà insieme ai principi del caos e dell’incertezza quantistica del vuoto», dichiara Trinh Xuan Thuan. Se è indiscutibile che la scienza possa darci una serie di informazioni e conoscenze che sono la vetta dell’intelletto dell’uomo, altrettanto lo è che per quanto ci renda più sapienti non comporti alcuna virtuosa trasformazione interiore. «Ho studiato con insegnanti che erano luminari della scienza, anche diversi premi Nobel, ma mi sono presto reso conto che non erano moralmente ed eticamente superiori ai comuni mortali. Sono persuaso che gli esseri umani abbiano bisogno della spiritualità per svilupparsi e guidare le loro azioni. Nella scienza sono molti i casi dove emerge con evidenza: il nucleare, l’ingegneria genetica, la salvaguardia del pianeta, … il genio scientifico non aiuta in queste decisioni, ma la spiritualità sì, ed è il segno distintivo dell’umanità», ricorda l’astrofisico. Parole che riecheggiano l’alleanza tra senso e spirito auspicata da Einstein: “La religione del futuro dovrà essere una religione cosmica, che trascenda il Dio personale ed eviti dogmi e teologie. Dovrà abbracciare la sfera naturale e quella spirituale, basandosi su un senso religioso che nasca dal

Sin dalla mia prima osservazione del cielo, ho avvertito una sensazione di connessione cosmica e ancora dopo oltre quarant’anni di studi di astrofisica, provo la stessa profonda emozione davanti alla straordinaria bellezza dell’universo, all’armonia delle leggi che lo governano e alla sua unità.

sentire tutte le cose naturali e spirituali come un’unità carica di senso”, diceva il grande fisico. Proprio Einstein ha ispirato il diciannovenne Trinh Xuan Thuan, arrivato in America con l’idea di studiare l’infinitamente piccolo della fisica delle particelle, a rivolgere il suo sguardo all’infinitamente grande dell’astrofisica: «Un mistero che non mi sono mai stancato di indagare, anche se è chiaro che non inquadreremo mai Dio all’altro capo del cannocchiale, né mai dimostreremo la sua esistenza con un’equazione. La ‘melodia dell’universo’ rimarrà segreta, non saremo mai in grado di sollevare tutti i pezzi del mistero», conclude.

A ciascuno fare la propria scommessa, fra caso e necessità, nichilismo e fede: una scelta che, come insegna Trinh Xuan Thuan, può conciliare scienza e spiritualità. L’armonia cosmica è lì a ricordarcelo.

« » FOCUS LO SPAZIO DELLA SPIRITUALITÀ
Trinh Xuan Thuan astrofisico e buddista © Stephane Remael © Nasa, Esa, J. Dalcanton , R. Foley; G. Kober

DIO È NEL CERVELLO?

La descrizione dei meccanismi neurali attivati dall’esperienza spirituale offre interessanti prospettive di interazione fra le diverse religioni, scienza, medicina e discipline umanistiche

Chiamata anche neuroscienza della spiritualità, la neuroteologia è una nuova scienza interdisciplinare che convoca tutti i campi che si occupano dello studio del cosiddetto ‘cervello spirituale e religioso’: neurobiologia, genetica, brain imaging, neurologia, psicologia della religione, psichiatria, ma anche antropologia, storia, mitologia e teologia. L’obiettivo è comprendere l’impatto della spiritualità e delle sue pratiche, quali meditazione e preghiera, non solo sull’attività cerebrale, ma a discendere sulla salute fisica e il benessere emotivo. Non si tratta quindi di sezionare i meccanismi che generano la coscienza religiosa, né di criticare le pratiche di una o dell’altra dottrina. Per fare chiarezza, occorre innanzitutto distinguere fra spiritualità e religione: la prima è infatti un bisogno naturale e universale di tutti gli esseri umani in cerca di connessione e significato, che siano o meno credenti. La religione rappresenta invece la risposta culturale, tradizionale e istituzionale a questo bisogno, con grandi Mediatori e una componente mistica più o meno pronunciata.

Le origini della neuroteologia risalgono alla seconda metà del XX secolo, con lo studio della dominanza emisferica nel cervello, che colloca le attività spirituali e religiose esclusivamente nell’emisfero destro. In seguito, studi elettroencefalografici hanno dimostrato l’impatto della spiritualità e delle pratiche meditative sui ritmi delle onde cerebrali, con un effetto di rilassamento. Ma è con l’avvento dell’imaging cerebrale funzionale, che permette di vedere il cervello in attività, che sono stati fatti progressi decisivi negli anni Duemila. Sono stati gli neuroscienziati del prestigioso Mind and Life Institute, fondato dal Dalai Lama, a mostrare le prime immagini di monaci buddisti in meditazione profonda, indicando modificazioni oggettive dell’attività corticale, essenzialmente frontale e temporale profonda, ma anche parieto-temporale. Queste regioni sono coinvolte nell’orientamento spazio-temporale, nell’astrazione e nell’integrazione cognitiva e affettiva.

Il primo vero e proprio neuroteologo è stato il Professor Andrew Newberg, Cattedra di Neurologia e Neuroradiologia dell’Università di Filadelfia, che ha fondato la metodologia di ricerca nel campo combinando scienze naturali e umanistiche. Nel suo saggio

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FOCUS LO SPAZIO DELLA SPIRITUALITÀ DI JACQUES BESSON

A SINISTRA, LE NEUROSCIENZE MOSTRANO

LA PREGHIERA APPARTENGA AL REGISTRO DIALOGICO, MOBILITANDO LE AREE CORTICALI RESPONSABILI DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI. LA MEDITAZIONE STIMOLA INVECE LA FLESSIBILITÀ COGNITIVA ED EMOTIVA

divulgativo Perché Dio non scomparirà ha presentato i circuiti neurocognitivi coinvolti nelle rappresentazioni e nelle credenze spirituali. Il suo lavoro prosegue attualmente con scanner di ultima generazione, come la Pet a emissione di positroni, per studiare le alterazioni della coscienza come l’estasi, la trance o l’illuminazione. Risultato è una nuova comprensione dei livelli di coscienza costitutivi l’essere umano.

Le scoperte della neuroteologia confermano la separazione concettuale tra spiritualità e religione: infatti i meccanismi centrali di tutte le religioni hanno la stessa origine nel cervello, nei circuiti della coscienza profonda, a distanza da quelli spazio-temporali, in quello che possiamo chiamare il ‘cervello del significato’. La forma di meditazione più praticata in Occidente è la mindfulness. Derivata dalla pratica buddista, mira principalmente a ridurre stress, ansia, dolore e malattie. Un gruppo di ricerca ha dimostrato come una sessione di meditazione, simile a una ginnastica mentale, attivi molti circuiti cerebrali a partire dalla focalizzazione su un oggetto, come la respirazione. A seconda della motivazione, delle aspettative e delle intenzioni, si raggiungerà un livello più o meno intenso di meditazione. Il praticante acquisisce una flessibilità cognitiva ed emotiva che porta a una coscienza non giudicante e, a sua volta, a una maggiore capacità di autonomia, accompagnata da benessere fisico e psicologico. Tutte le fasi possono essere documentate da immagini funzionali.

La preghiera appartiene invece a un altro registro, quello dialogico e relazionale. Mobilita infatti le aree corticali responsabili delle relazioni interpersonali, come conferma il neuroimaging. Non è un processo unitivo come la meditazione, ma dialogico, con una terza istanza, vissuta come assoluta e ultima. Pertanto permette di liberarsi delle costrizioni quotidiane, esterne e personali; apre uno spazio di metacomunicazione con il dialogo interiore ordinario. Le neuroscienze dimostrano dunque che una relazione personale con un oggetto spirituale è possibile. Non forzatamente religiosa, la neuroteologia apre prospettive importanti per la modernità, rendendo possibile il dialogo tra fede e scienza. Illustra il ‘come’ e non

Le scoperte della neuroteologia confermano la separazione concettuale tra spiritualità e religione: infatti i meccanismi centrali di tutte le religioni hanno la stessa origine nel cervello, nei circuiti della coscienza profonda, a distanza da quelli spazio-temporali

il ‘perché’. Lascia spazio alla metafisica: Dio è un’invenzione o una scoperta? Impossibile rispondere, come lo è per la fisica. Mostrando tutto ciò che accomuna le diverse religioni, la neuroteologia è inoltre un fondamentale vettore di avvicinamento. E offre una via ecologica, sostenibile per la globalizzazione, perché, come dice il Dalai Lama, non ci sarà globalizzazione senza spiritualizzazione. Infine, la neuroteologia apre nuove vie di ricerca in medicina: è il nuovo campo della cura spirituale, in pieno sviluppo negli ospedali svizzeri, con un approccio interdisciplinare che, dopo quello somatico e quello psicosociale, mette in campo un terzo ordine di medicina, quello spirituale, domandandosi come accompagnare i pazienti a migliorare il loro funzionamento psichico e il loro benessere interiore durante le cure, con un vero e proprio sforzo di concettualizzazione per pensare alla dimensione spirituale nella pratica clinica.

COME
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Professore Onorario della Facoltà di Biologia e medicina dell’Università di Losanna
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TRASCENDENTE IMMANENZA

Chiamati a dar forma a uno spazio di raccoglimento, preghiera e celebrazione del mistero della fede, gli edifici di culto fanno emergere nella loro essenzialità gli elementi fondativi della sintassi architettonica, richiamando ai valori più profondi del vivere individuale e collettivo. Contro la smemoratezza del contemporaneo

L’indicibile, l’incommensurabile, l’insopprimibile. L’infinito che trascende la nostra finitezza di uomini. Un anelito all’assoluto radicato in ogni tempo e cultura. Quella della sacralità è una dimensione universale che travalica il piano strettamente confessionale della religiosità, legato al rispetto di norme, liturgie, modelli e riti. Un bisogno ancestrale di interrogarsi sul senso stesso del nostro essere uomini, su questa terra, che si scontra oggi però con le contraddizioni e le distrazioni del contemporaneo. «Siamo frastornati da problemi e angosce di un presente impensabile anche solo fino a pochi anni fa: prima la pandemia, ora la guerra tornata in Europa, che chiama vittoria le sue logiche di annientamento del nemico… Dall’altra parte viviamo la vacuità di un imperante narcisismo individuale, che vede improntare ogni comportamento all’azione strettamente utilitaristica, soccombendo ai modelli imposti dal mercato.

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FOCUS LO SPAZIO DELLA SPIRITUALITÀ DI SUSANNA CATTANEO

FOCUS LO SPAZIO DELLA SPIRITUALITÀ

GEOMETRIE, MATERIALI, LUCE, DIALETTICA DEGLI ELEMENTI ARCHITETTONICI, PER GLI EDIFICI SACRI DISEGNATI DA MARIO BOTTA. A DESTRA, IL SUO PRIMO PROGETTO LEGATO AL SACRO, LA CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA, (MOGNO, 1986-96) A SINISTRA, IL DODECAEDRO DELLA CAPPELLA GRANATO (ZILLERTAL, AUSTRIA, 2011-13)

Ecco, mi sembra che di fronte a questo gran correre che viene presentato come il benessere e la modernità del vivere, ma non è che il sintomo della “smemoratezza del contemporaneo” della fragilità della cultura attuale, proprio nel sacro si possa trovare la misura che richiami all’ordine», osserva Mario Botta. Del sacro l’architetto ticinese è grande interprete: la progettazione di luoghi di culto ha incontrato la sua carriera sin da quando nel 1986, poco più che quarantenne, si cimentò con la chiesa di Mogno, dopo che una tragica valanga ne aveva lasciato il solo profilo disegnato al suolo. Rispondendo alla richiesta degli abitanti che volevano fosse ricostruita, ancor prima che per la sua funzione liturgica, per riscattare la memoria collettiva connessa a quel luogo centrale per la comunità, Botta avvertiva per la prima volta il significato dello spazio sacro nella sua trascendente immanenza. Da allora ha lavorato a oltre una ventina di edifici di culto, una rara opportunità in una società sempre più secolarizzata, consumistica e individualista. Chiese e cappelle soprattutto, ma anche una sinagoga a Tel Aviv e una moschea in costruzione in Cina. Un’eterogeneità confessionale che gli ha permesso, al di là delle contingenti esigenze di organizzazione dello

Di fronte al gran correre che viene presentato come il benessere e la modernità del vivere, ma non è che il sintomo della “smemoratezza del contemporaneo”, della fragilità della cultura attuale, proprio nel sacro mi sembra che si possa trovare la misura che richiami all’ordine

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© Flor Garduño © Enrico Cano

spazio ecclesiale, di meditare più ampiamente sulle ragioni primarie del costruire e di riscoprire gli elementi fondativi del fatto architettonico: luce e ombra, gravità e leggerezza, muro e trasparenza, percorso e soglia, finito e infinito. Binomi che descrivono una tensione progettuale che Mario Botta ha fatto propria anche della sua produzione ‘profana’ laddove costruire, per l’architetto ticinese, è sempre un gesto sacro, in quanto atto di creazione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura. Quando l’architettura non si limita a soddisfare presunte necessità indotte dal mercato, ma risponde ai principi che dovrebbero originarla, garantendo la qualità del vivere per l’uomo e per il cittadino, è una delle forme espressive che, come la poesia, la musica e l’arte in generale, può contrastare la frenesia e la precarietà odierne, interpretando valori spirituali antitetici agli atteggiamenti consumistici che ci ven-

gono somministrati. «Anche se oggi per la maggior parte delle persone è solo un’eco lontana, il sacro non ci ha mai abbandonati, anzi è sempre lì a riproporre con continuità, sebbene nella forma nuova propria di ogni epoca, il bisogno di immensità che è parte delle aspirazioni dell’uomo. Quando progetto edifici di culto, dunque destinati a una comunità che del sacro condivide, oltre alla dimensione interiore, anche l’esperienza collettiva, cerco di far sì che lo spazio ponga l’uomo tra la terra e il cielo, escludendo le interferenze della vita quotidiana. La rarefazione generata dalla luce è l’obiettivo di queste archietture; le forme sono declinate in maniera diversa a partire dagli stimoli del paesaggio e dei materiali», spiega Mario Botta. L’idea del sacro non chiama ovviamente in causa la sola architettura. «Alcuni grandi pensatori e artisti, anche in tempi relativamente recenti, hanno avuto il merito di averla avvertita e affrontata con un impegno

TRE ESEMPI DI ARTISTI CHE

SI SONO CONFRONTATI A LORO MODO CON L’IDEA DEL SACRO: SOPRA, ANSELM KIEFER CON

LA SUA RECENTE INSTALLAZIONE

A PALAZZO DUCALE, A VENEZIA

A SINISTRA, ALBERTO GIACOMETTI IMPEGNATO A MODELLARE UN VOLTO NELL’ATELIER DI STAMPA

NELLA PAGINA ACCANTO, LOUIS KAHN E UNO DEI SUOI CAPOLAVORI, IL SALK INSTITUTE FOR BIOLOGICAL STUDIES (LA JOLLA, CALIFORNIA, 1959-65)

Photo: Georges Poncet Courtesy Gagosian and Fondazione Musei Civici Venezia © Anselm Kiefer © 2016 Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurigo

e una qualità che sa interpellare anche i più scettici», osserva l’architetto, portando tre esempi per lui particolarmente signi ficativi, non solo architetti: «Partirò dal più recente, Anselm Kiefer, con la sua straordinaria presenza a Venezia, dove il problema dell’equilibrio ambientale, del sussistere dell’an cestrale rapporto fra uomo e natura, è diventato il tema dei dipinti realizzati appositamente per l’installazione a Palazzo Ducale. Il suo ‘sondaggio’, che acquista una personalissima forma espressiva, parla di questo conflitto altrettanto sacrale tra bene e male, tra l’uomo e il suo simile», illustra Mario Botta. Venezia torna anche quando indica Louis Kahn, ar chitetto americano suo grande maestro: là si sono incrociate le loro strade nel 1969, un incontro messianico per l’allora giovane Botta. «Kahn suggeriva di interpretare “il passato come amico”, ponendo esplicitamente l’indagine del “terri torio della memoria” al centro del suo operato di architetto, quale unico possibile antidoto all’appiattimento della società dei consumi e a uno sviluppo tecnologico di cui vedeva le potenzialità ma anche i limiti». Terzo esempio, un grande artista svizzero, Alberto Giacometti, «il cantore che più di altri, e in maniera più pertinente, ha saputo indagare il volto umano e della donna, della madre, riconoscendovi l’espressione di un mistero vivente, a tal punto da lavorarvi tutta la vita pur sapendo che mai sarebbe arrivato a capire il fondo del problema», ricorda l’architetto.

Con maggior evidenza di altri, gli edifici di culto sollecitano gli aspetti primigeni della sintassi architettonica, congeniali a esprimere le loro funzioni di pausa, contemplazione e celebrazione. Non occorre essere fedeli per avvertire questa forza quando si varca la soglia di una chiesa o di un altro spazio sacro. Con la sua sintesi progettuale, all’architetto è richiesto dunque di costruire un luogo di identità e di immagine che preservi e comunichi la tradizione di una storia millenaria, in dialogo però con la sensibilità del presente, essendo l’architettura tanto sedimentazione del passato quanto specchio

del proprio tempo, con i suoi materiali, le sue tecniche e la sua cultura. «Nelle condizioni di distacco e meditazione che sono proprie di uno spazio sacro - il silenzio, la sosta, il raccoglimento, la preghiera o la contemplazione - storia individuale e memoria collettiva si incontrano e interpenetrano. Riecheggia allora un insegnamento che ci si rivela anche se non appartiene al nostro diretto vissuto: il bello, il giusto e il vero, per i quali vale la pena di scommettere sulla vita», dichiara Mario Botta, che lamenta per contro l’omologazione di tanta della odierna produzione architettonica, che ormai a ogni latitudine reitera gli stessi modelli, non certo orientati al soddisfacimento di bisogni sacrali che anche nella laica quotidianità l’architettura dovrebbe interpretare. Un abisso rispetto alla qualità della ricerca delle avanguardie dell’inizio dello scorso secolo. Tornano alla mente, con chiarezza rivelatrice, le parole di Le Corbusier, altro nume tutelare sotto cui si è compiuto il percorso di Mario Botta: “Lo spazio è dentro di noi, l’opera può evocarlo ed esso può rivelarsi a coloro che lo meritano, a chi entra in sintonia con il mondo creato dell’opera, un vero altro mondo. Si spalanca allora un’immensa profondità che cancella muri, scaccia le presenze contingenti, compie il miracolo dello spazio indicibile”. Una transustanziazione che eleva il finito a infinito, in una dialettica degli opposti che, umanissima e divina al contempo, porta nella dimensione terrena l’inestinguibile anelito all’assoluto della spiritualità.

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IFARE

Dalla fisica, sua grande passione, ai vertici della formazione. Presidente entrante di swiussuniversities, Luciana Vaccaro offre l’esempio di una leadership improntata all’ascolto.

Partecipazione ai programmi di ricerca europei, sostegno alla qualità del sistema universitario e il dialogo con politica e società i temi forti in agenda

Rettrice della più grande Scuola universitaria professionale elvetica, quella della Svizzera occidentale (Hes-So), con quasi 22mila studenti, dal prossimo febbraio Luciana Vaccaro assumerà anche l’incarico di presidente di swissuniversities, prima donna a essere scelta per rappresentare a livello nazionale e internazionale gli interessi della Conferenza dei rettori delle università svizzere. Un’apripista in un mondo come quello accademico che ai livelli dirigenziali è restato finora sostanzialmente conservativo, se si escludono le Alte Scuole pedagogiche, più propense per natura ai profili femminili. ‘Fare i numeri’, d’altronde, è da sempre la

sua cifra. Cresciuta nella Napoli che porta nel sangue, ma cittadina del mondo, Luciana Vaccaro ha compiuto tutta la sua carriera professionale in Svizzera, dove è arrivata grazie a una borsa di studio al Cern, per poi svolgere il dottorato in microottica all’Epfl. Le barriere di genere non l’hanno mai condizionata. Mai ha pensato che ci fossero professioni destinate a uomini e altre a donne. La scienza l’aveva già nel Dna e di sicuro ha contribuito vivere in un ambiente maschile, rimasta dopo il divorzio dei genitori con il padre, professore universitario e ricercatore di livello internazionale che nella fisica era immerso quotidianamente. «A sei anni sapevo fare le divisioni a due cifre. Sono sempre stata affascinata dal mondo della matematica che secondo me descrive in modo perfetto ed elegante la realtà. Addirittura a scuola

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NUMERI

fui punita perché avevo capito come si facevano le operazioni con le frazioni prima che lo spiegasse la maestra, che mi accusò di essermelo fatto dire da mio padre. Ma per me era del tutto logico, mentre invece ho imparato a leggere solo dopo i nove anni, scoprendo poi che soffrivo di una forte forma di dislessia», racconta. Obbligata comunque a frequentare il liceo classico, come esigeva una formazione di alto profilo, ha imparato da subito a confrontarsi con le sfide - e ancora oggi è una grande amante della cultura classica e legge il greco antico. Potersi finalmente dedicare alla sua passione è stata però una liberazione. Nella Napoli della fisica delle particelle ha svolto i suoi studi universitari alla Federico II per poi arrivare, passo dopo passo, alla sua attuale posizione. A partire dal dottorato. «Volevo viaggiare all’estero. Erano i primi anni in cui si cominciava a postulare online. Così senza muovermi da casa ottenni la borsa di studio al Cern. Devo ammettere che una volta a Ginevra mi sentii un po’ persa: non conoscevo nessuno, non parlavo francese e il Cern non è certo un ambiente giovane, come quello che ho poi trovato all’Epfl.

Se come ricercatrice di microottica facevo cose di estrema precisione, ora sono diventata una generalista, trovandomi come rettrice a interfacciarmi con dipartimenti molto diversi. Chiedo quindi sempre ai miei interlocutori di spiegarmi il loro mondo e le loro esigenze

Luciana Vaccaro rettrice della HES-SO e presidente entrante di swissuniversities

Ho scelto l’ambito della microottica e non quello delle alte energie, scontato per chi veniva da Napoli, perché si tratta di un campo della fisica in cui convivono la parte teorica e quella sperimentale, che mi permetteva dunque di continuare a fare matematica al posto di affidarmi alla simulazione con i computer. Studiavo come costruire dei microscopi ottici con una risoluzione più elevata della lunghezza d’onda, con tutta

IN APERTURA , RIUSCIRE A VINCERE LE BARRIERE DI GENERE SARÀ UNO DEI PASSI FONDAMENTALI PER RISPONDERE NON SOLO ALLE ESIGENZE DEL MERCATO DEL LAVORO, MA PER GARANTIRE UNA GIUSTA COMPLEMENTARIETÀ. INTANTO IL MONDO ACCADEMICO STA COMPIENDO I PRIMI PROGRESSI

una serie di applicazioni alla medicina, alla biologia o anche alla fisica della materia», spiega ancora entusiasta.

Già, ma da qui a funzione manageriale top level come quella che ricopre, alla testa di una Scuola universitaria professionale con dipartimenti che spaziano dall’economia aziendale alla musica, come si arriva? E perché? «Ho sempre avuto uno spiccato interesse per la dimensione sociale, per la politica e la storia contemporanea, … Dopo il dottorato mi sono trasferita all’Università di Neuchâtel come ricercatrice e ho iniziato a maturare l’idea di fare dei progetti attorno all’insegnamento.

Erano gli anni della Riforma di Bologna: la Svizzera entrava allora di diritto a far parte dei progetti europei, al contrario di quanto accade adesso. Sono stata fra primi a coordinarne uno nel campo della formazione: avevo solo 35 anni e nessuna esperienza di quel tipo, ma fui tra quelli finanziati su oltre 250 candidature: pensare che la conferma arrivò il giorno dopo aver dato alla luce la mia seconda figlia, vidi la mail nella sala computer della clinica!», ricorda Luciana Vaccaro. Il salto definitivo lo ha spiccato tre anni dopo, con l’incarico di gestire il Grants Office dell’Epfl, che voleva un interlocutore credibile per ricercatori ma che avesse delle capacità manageriali. Così si è trovata a gestire budget annuali di 200 milioni di franchi. Finché le è capitato sotto gli occhi l’annuncio per il ruolo di rettore all’Hes-So: anche in questo caso si è buttata e ha centrato l’obiettivo. «A dispetto dalle mie origini partenopee, sono sempre stata molto organizzata e strutturata, dunque questo aspetto non mi spaventava. La mia vita privata è invece molto cambiata. Inoltre bisogna imparare a gestire l’esposizione pubblica, dimostrarsi sempre competenti e affidabili. Se in laboratorio sa-

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© Hes-So, Photo Guillaume Perret
SUSANNA CATTANEO

Le priorità in calendario per swissuniversities

Operativa dal 2015 con l’entrata in vigore della Legge federale sulla promozione e sul coordinamento del settore universitario svizzero, swissuniversities è la Conferenza dei rettori che riunisce le Scuole universitarie, le Scuole universitarie professionali e le Alte scuole pedagogiche della Svizzera, di cui rappresenta gli interessi sul piano nazionale e internazionale. Quattro i punti focali in calendario e il primo non poteva che riguardare la ricerca, che vede la Svizzera ostaggio dell’impasse sull’Accordo quadro. «Continuerò a insistere sulla necessità per la Svizzera di partecipare ai programmi europei a pieno titolo e non da Paese terzo al quale è stata adesso declassata. Altro aspetto fondamentale sono i finanziamenti federali ai diversi tipi di scuole di grado terziario in vista del prossimo messaggio sulla promozione dell’educazione, della ricerca e dell’innovazione (2025-28) in un contesto economico senza precedenti, che potrebbe indurre a un taglio di finanziamenti. Anche in questo caso, per restare competitivi e difendere la nostra qualità non possiamo fare passi indietro», puntualizza la presidente entrante di swissuniversities. Terzo aspetto è la promozione del dialogo fra università, politica e società, che si è visto essere fondamentale durante la pandemia per orientare decisioni e informare la popolazione, e un ruolo altrettanto essenziale lo giocherà nella crisi energetica, per cui andrebbe sistematizzato e agevolato, rendendolo più rapido, efficiente e coordinato per rispondere alle sfide immediate. Quarta priorità, ovviamente, garantire la prossima generazione di accademici, scienziati e professionisti: un traguardo che parte dalla qualità dell’esperienza educativa di ciascuno.

pevo fare delle cose di estrema precisione, ora sono diventata una generalista, il che richiede di informarsi, leggere tantissimo, moltiplicare gli interessi. All’interno della Scuola mi trovo a interfacciarmi con dipartimenti molto diversi. Il mio atteggiamento è sempre quello di chiedere ai miei interlocutori di spiegarmi il loro mondo e le loro esigenze, con un rapporto di rispetto reciproco», sottolinea Luciana Vaccaro.

Inutile mentire: a questi livelli alla fine bisogna sopportare una certa solitudine: «Ascolto sempre l’équipe di direzione, che conta due altre vicerettrici, un vicerettore e un segretario generale, ma sono una persona che non si tira indietro quando deve decidere assumendomi le mie responsabilità: non c’è peggior leader di quello che si sottrae a questo compito». La sua recente nomina a presidente di swiussuniversities completa un percorso esemplare (nel frattempo è stata anche membro del Comitato del Consiglio di Fondazione del Fns e vicepresidente del CdA di Innosuisse). Una sana interpretazione del concetto di ambizione, come motore di cambiamento positivo. Dal 2000 a oggi la percentuale di studentesse nelle Scuole universitarie professionali è aumentata dal 26 al 49%.Tuttavia alcuni ambiti tecnici e scientifici rimangono ancora a predominio maschile e viceversa, ad esempio nel sanitario o nell’educazione. «Le Sup sono ancora ampiamente tributarie degli apprendistati da cui proviene la maggior parte dei loro studenti, per cui se non c’è una ragazza che vuole fare il polimeccanico non ne avrò poi una che si iscrive a ingegneria civile o meccanica, mentre invece con la maturità si può accedere in pratica a qualsiasi percorso universitario, il che ha permesso ai politecnici di avere un miglior gender balance. Siamo in una generazione di transizione, ma colgo i segnali di un cambiamento, anche se è importante che la politica e chi presiede al mondo dell’istruzione facciano proprio questo approccio», illustra la rettrice dell’Hes-So.

Anche a livello dirigenziale si nota uno sforzo. Certi bias nel recruitment iniziano a essere superati: ad esempio, l’anno scorso il 60% di nuovi professori assistenti assunti dall’Epfl sono state donne. «Penso che bisognerà però aspettare ancora una ventina d’anni prima di una parità di fatto. Sono invece del tutto contraria a quote vincolanti. Una volta mi è capitato di essere selezionata in un gremio solo per il mio genere e non per le mie competenze. Nessuna donna dovrebbe mai accettarlo», conclude Luciana Vaccaro. La sua nomina a presidente di swissuniversities o quella recentissima della Professoressa Luisa Lambertini, esperta di finanza internazionale, macroeconomia ed economia politica, che il prossimo luglio entrerà in carica come nuova rettrice dell’Università della Svizzera italiana, danno dei segnali più che incoraggianti. Perché alla fine quello che conta non è un gioco di percentuali per accontentare le rivendicazioni di genere, ma l’espressione piena di una qualità che sappia premiare il meglio, a maggior ragione in un settore sensibile come quello della formazione da cui letteralmente passa il futuro.

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dalla Convenzione ai fatti

Impegnarsi per abolire ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne.

Dalla

Èdal 1997 che la Svizzera ha ratificato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (Cedaw). Da allora regolarmente sottopone i propri rapporti sullo stato dell’attuazione al comitato competente dell’Onu. Quello presentato a fine ottobre ha raccolto i complimenti per i progressi compiuti, in particolare con la revisione della Legge federale sulla parità dei sessi e con la decisione in favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ma sono anche state formulate una settantina di raccomandazioni. L’accento va sulla necessità di creare uffici cantonali per l’uguaglianza, l’estensione della parità salariale a tutti i datori di lavoro, una maggiore autonomia economica delle donne per prevenirne la povertà in età avanzata e, non da ultimo, sull’approfondimento delle ragioni delle forti differenze nei tassi di condanna per violenza carnale tra i Cantoni.Il comitato chiede infine, per soddisfare gli standard internazionali, di

attuati e nuovi obiettivi

definire la fattispecie di violenza carnale sulla base della mancanza di consenso della vittima. La modifica del diritto penale sui reati sessuali è in corso di trattazione in Parlamento. La petizione “Solo Sì significa Sì”, lanciata da Amnesty International e Opération Libero, è stata consegnata a Berna il 21 novembre dopo aver raccolto 40mila firme e l’appoggio di 50 organizzazioni, fra cui FaftPlus.

Lo scorso giugno, il Consiglio federale ha inoltre adottato 44 misure nel piano di azione nazionale che mira a un calo della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica e all’aumento della sicurezza personale della popolazione.

In calendario, il 27 giugno 2023, anche la Conferenza nazionale della Parità 2030, che offrirà l’occasione per presentare lo stato di attuazione della prima strategia nazionale per l’uguaglianza fra donna e uomo, discutendo i successivi passi per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Un altro aspetto essenziale è la partecipazione paritaria alla vita politica e pubblica, requisito fondamentale per la piena attuazione della Cedaw e per una società moderna e democratica.

Per il comitato dell’Onu bisogna adottare quote minime per la rappresentanza di donne e uomini nelle assemblee legislative a livello federale, cantonale e comunale, oltre a condurre campagne di sensibilizzazione e, naturalmente, a proteggere politiche e candidate da ogni forma di molestia e violenza di genere, compresa quella online e l’incitamento all’odio, fornendo un risarcimento efficace alle vittime. Insieme, per il futuro, si può.

32 L’OPINIONE
Natascia Caccia Membra del Comitato FAFTPlus 2022-2023
protezione dalla violenza, alla parità di chance, alla partecipazione politica, fra progressi

«Compreremo mai casa?»

Potete parlarci di tutto. Anche di questioni fondamentali. Quali che siano le vostre domande su nanze o sul comprare casa, analizziamole insieme per trovare la soluzione più idonea. Di persona, presso la nostra liale di Lugano. La signora Annalisa Distinto sarà a vostra completa disposizione.

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AFFARE

Un DONNE

A quarant’anni dalla sua fondazione, il Business and Professional Women Club

di

Nel 1930, quando l’avvocato americano Lena Madesin Phillips ha dato vita al Business and Professional Women International, l’intento era, in una fase di difficoltà economiche e politiche, mettere in contatto tra loro donne di tutto il mondo. Il livello di emancipazione politica e civile era molto diverso a seconda dei Paesi, ma fare rete, mettendo a fattor comune le loro capacità e competenze fu premiante. Attualmente del Bpw International fanno parte trentamila donne, in cinque continenti. È la più grande rete di donne al mondo ad esprimere i valori della responsabilità personale, dell’indipendenza e dell’autodeterminazione.

Ticino ribadisce il proprio impegno con una serie di nuove iniziative per le donne, in sinergia con diverse istituzioni del territorio. Al via una collaborazione con la Supsi

La Svizzera vi aderì nel 1947. Oggi Bpw-Business and Professional Women Switzerland rappresenta gli interessi delle donne professioniste che ne fanno parte, con lo scopo di migliorarne la partecipazione economica e politica. Le duemilatrecento socie rivelano quanto è grande il potenziale delle donne in posizioni di conduzione. L’associazione riunisce imprenditrici, donne quadri e manager provenienti dai settori dell’economia, della politica, della cultura, delle attività pubbliche, delle organizzazioni non profit, delle scienze e dei media. «Nel corso del 2022, per celebrare i settantacinque anni di Bpw Switzerland, ed il suo impegno per l’uguaglianza e la visibilità delle donne nella politica, negli affari e nella società, sono stati organizzati diversi eventi, anche in Ticino», esordisce Monica Pugnaloni, co-presidente di Bpw 34

NELLA PAGINA ACCANTO, IL BPW INTERNATIONAL È UNA REALTA CHE CONTA OGGI TRENTAMILA ASSOCIATE IN QUESTA PAGINA, DA SINISTRA, MONICA PUGNALONI E LAURA INCANDELA, CO-PRESIDENTI DEL BUSINESS AND PROFESSIONAL WOMEN CLUB TICINO, CHE NEL 2023 FESTEGGIA QUARANT’ANNI

Club Ticino, uno dei quaranta club regionali svizzeri facenti parte di Bpw Switzerland. Il Bpw Club Ticino è stato fondato nel 1983 a Lugano, da Alma Bacciarini. «Conta attualmente ottanta socie che rappresentano, anche a livello cantonale, un ampio ventaglio di ambiti e figure professionali», nota Laura Incandela che, con Monica Pugnalo ni ne è co-presidente. «L’impegno del club ticinese si concretizza durante l’anno in attività ed eventi che riguardano tra l’altro, il networking, la formazione, il mentoring».

Il mentoring, una delle colonne portanti di questa attività, è volto ad accrescere ulteriormente la professionalità e la leadership delle donne in Ticino.

«Il programma di mentoring offerto da Bpw è uno scambio stimolante ed esigente tra una persona con esperienza in un settore, la mentore, e una persona meno esperta, la mentee. La mentee beneficia dell’esperienza della mentore, che a sua volta si arricchisce mediante la condivisione di conoscenze ed esperienze», nota Laura Incandela. «In collaborazione con l’Usi-Università della Svizzera italiana, da quattro anni portiamo avanti un progetto di mentoring che coinvolge venticinque ‘mentori’, tutte nostre socie, e venticinque ‘mentee’, studentesse dell’Usi.

In parallelo, dal 2023 partirà un progetto analogo in collaborazione, questa volta con la Supsi», spiega Laura Incandela, «un progetto pilota coinvolgerà dieci mentori e dieci mentee». Quanto alle modalità, «Si inizia sempre con un colloquio introduttivo con le responsabili del gruppo mentoring Bpw Ticino, che all’Usi sono Beatrice Engeler, Ana de Las Heras e Flavia Gonçalves, mentre alla

Supsi saranno Maria Gabriella Mammana, Flavia Milani ed Elisabetta Cogotzi», spiegano le co-presidenti di Bpw Club Ticino. «Dopo aver chiarito gli obiettivi, il Bpw troverà la mentore più adatta alla persona che ne avrà fatto richiesta. Di norma, la mentore si mette a disposizione per incontri bimestrali per un periodo che può variare da quattro mesi fino ad un massimo di un anno». Accanto a questi progetti diretti alle giovani che frequentano il terzo ciclo di studi, «nel 2022 abbiamo sperimentato una novità destinata invece alle ragazze delle scuole medie del Ticino, avente ad oggetto la promozione delle Steam, le discipline scientifico-tecnologiche che includono scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. In collaborazione con Alma Impact e Supsi e con il supporto di Ubs e Ibsa, sono stati organizzati cinque workshop, nel corso di un’intera giornata, per mettere le giovani in condizione di esplorare tali discipline, àmbiti in cui la presenza femminile registra ancora numeri bassi. Si è trattato della prima edizione, alla quale ne seguiranno altre, una volta all’anno», fanno sapere le co-presidenti.

E, restando in tema di giovani e anche di mentoring, «I membri di Bpw fino all’età di 35 anni fanno parte automaticamente del gruppo Young Bpw, a livello svizzero, avvalendosi di una piattaforma creata per loro e, nel contempo, possono godere della pluriennale esperienza di altre socie professioniste sotto forma di mentoring», aggiunge Monica Pugnaloni, introducendo un altro tema caro all’associazione: «La questione della parità salariale tra donne e uomini è fortemente sentita; un tema a cui dedichiamo ampio spazio, anche con l’appuntamento annuale dell’Equal Pay Day, una giornata nazionale per richiamare l’attenzione sul divario salariale tra uomini e donne, incoraggiando misure volte a ridurre il gap che oggi è, ancora, del 14.4%», nota Monica Pugnaloni, «Dal 2009, ogni anno a febbraio, a livello nazionale, l’Equal Pay Day è dedicato ad un tema in particolare che, nel 2023, sarà la differenza tra uomo e donna in tema di pensioni», anticipano le co-presidenti di Bpw Club Ticino. Con l’ottenimento di condizioni quadro migliori per le donne attive professionalmente, si vuole lasciar loro la scelta di occupare posizioni di rilievo tanto quanto gli uomini e alle stesse condizioni dal punto di vista dell’assunzione di responsabilità, del godimento di prestigio e privilegi, alle stesse condizioni salariali e con le stesse possibilità decisionali.

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A SUPPORTO DELL’ALTRO

Il rapporto tra donne e filantropia assume nuove connotazioni. Non solo personaggi famosi e ricche ereditiere, a fare del bene sono sempre più spesso imprenditrici e professioniste indipendenti

Parlando di filantropia, uno dei luoghi comuni più diffusi è che sia un ambito a predominanza maschile; con uomini potenti che destinano in beneficenza parte delle loro fortune. Negli ultimi anni, anche in linea con l’accresciuto potere economico femminile, in realtà il paradigma è cambiato. In particolare, la percentuale di donne imprenditrici è cresciuta del doppio rispetto a quella dei colleghi maschi, e di pari passo la loro propensione a occuparsi di cause nobili. Secondo il Centre on Wealth and Philanthropy del Boston College, si sta affermando una nuova generazione di ‘givers’, donne professionalmente attive, imprenditrici piuttosto che pigre ereditiere, impegnate a favore dell’ambiente, dei diritti, dell’istruzione, nelle cause globali ma con un approccio, parrebbe, decisamente più altruistico rispetto a quello maschile. A dirlo sono i ricercatori del Women’s Philantropy Institute dell’Indiana University, che sottolineano ‘un’inclinazione femminile distintiva verso i servizi sociali’. Le donne sarebbero inoltre più propense a dare il proprio contributo per favorire il cambiamento sociale o aiutare i meno fortunati, e a cercare un livello più profondo di coinvolgimento e connessione con le cause che sostengono.

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Photo by A.Zveiger

«A Ginevra quest’anno, in occasione del Nansen Refugee Arward - premio assegnato annualmente dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) a coloro che si distinguono per la dedizione e l’impegno eccezionale nel sostenere le persone rifugiate -, si è svolto per la prima volta il progetto Women Philanthropy. Per dare continuità allo stesso, a novembre a Lugano, si è tenuto un evento dedicato alla filantropia al femminile», esordisce Andrea Cameroni, imprenditrice, che ha organizzato questo primo appuntamento. «È stato un momento di incontro di donne leader in settori diversi e filantrope, che condividono un interesse a guidare il cambiamento sistemico, promuovere l’uguaglianza e la leadership come elementi fondamentali, pilastri per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Un’occasione per proporre e avviare azioni concrete di aiuto», racconta l’imprenditrice.

Ticinese nata in Messico, Andrea Cameroni ha vissuto anni negli Stati Uniti prima di trasferirsi in Svizzera. «Aver lavorato al Dipartimento degli Affari esteri, a Berna, e aver conosciuto la realtà di tante ambasciate, mi ha reso attenta alle diversità e alle diverse necessità. A cominciare da quelle di chi si trasferisce da un Paese all’altro: non solo coloro che, in situazioni di difficoltà, vi sono costretti, ma anche coloro che, in situazioni di grande privilegio, si spostano, per lavoro o per scelte personali». Se il confronto con le situazioni di necessità ha fatto germogliare l’impegno solidale verso chi è in difficoltà, «dal confronto - diametralmente opposto - con le esperienze di chi cambia vita e Paese per scelta, è nato il mio progetto imprenditoriale», si racconta Andrea Cameroni. Un progetto nel quale sono confluite esperienza internazionale, empatia nelle relazioni interpersonali, ma anche la passione e le competenze in tema di real estate e di arte, sviluppate nel corso di decenni. Da imprenditrice, l’orizzonte professionale di Andrea Cameroni è ampio, non solo geograficamente. Tra l’Europa e l’America, in ambiti che spaziano da real estate e relocation ad arte, viaggi, eventi. «La definizione, onnicomprensiva, è lifestyle management», sintetizza l’imprenditrice, che quest’anno festeggia un traguardo importante: «Ho iniziato ad occuparmi di lifestyle management vent’anni fa, sull’onda di una tendenza che si stava affermando nel mondo anglosassone».

Che cosa ha in comune questa attività professionale con la filantropia? La persona, con le sue necessità, seppur in contesti opposti. «Come lifestyle manager, mi sono sempre occupata di persone facoltose che arrivando in Svizzera, iniziano una nuova vita, e ne affidano a un manager l’organizzazione, dalla

casa alla scuola per i figli, dalla scelta del medico fino all’auto», nota Andrea Cameroni. L’arte, oltre a essere un interesse personale, «è il corollario delle attività di management svolte per questi clienti, che non di rado necessitano di un art advisor, perché appassionati d’arte o interessati a investirvi».

La capacità di ascolto, la sensibilità e l’intuito, l’intraprendenza e l’abnegazione rendono le donne capaci di ottenere qualunque risultato, personale e professionale, individuale e sociale. «Bisogna essere audaci e rompere le barriere, uscire dalla comfort zone e non avere paura degli ostacoli. Esiste uno specifico femminile, nel lavoro, nella creatività, nell’approccio alle piccole e alle grandi cause che ha un grande potere. La nuova consapevolezza e la capacità di fare rete permettono alle donne di raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi, definendo i contorni di una società che, nonostante tutto, e grazie alla loro forza, ha ancora speranza di migliorare», conclude Andrea Cameroni.

IN QUESTE PAGINE, ANDREA CAMERONI, LIFESTYLE MANAGER E FILANTROPA
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In yiddish esiste una parola che rappresenta l’espressione della chiarezza e della sintesi. Questa parola è tacheles e riassume lo spirito pratico che porta a raggiungere un obiettivo. Tacheles interrompe spesso un ragionamento troppo complesso e invita l’interlocutore a stringere e concentrarsi sulla soluzione del problema. A non fossilizzarsi sui princìpi continuando a spiegare gli ovvi perché. È uno stato mentale che mira all’efficienza della comprensione. Ed è la parola che vorrei usare per arrivare alla conclusione dei miei quattro interventi sulla sex and gender medicine.

Quando qualche anno fa si è incominciato a parlarne in modo più approfondito anche nel Canton Ticino, alcuni colleghi scrissero una lettera chiedendo chiarimenti sul suo fondamento. Un argomento con trent’anni di storia, sviscerato nel mondo occidentale, pressoché sconosciuto da noi. Troppo facile però pensare che i medici non si informino su ciò che non interessa direttamente il loro campo. Oppure insinuare che al termine ‘genere’ vengano attribuiti significati equivoci e politicamente scorretti. Quando un argomento fallisce nella sua diffusione non è sempre colpa del tema, ma spesso di chi lo comunica, semplificandolo nell’illusione di favorirne la comprensione. Ma alla base della comprensione vi è la chiarezza, e non la scorciatoia.

Tacheles,

basta tergiversare

È proprio parlando chiaramente - e con un po’ di fortuna - che la sex and gender medicine dall’esser relegata nell’ambito delle diversità, con riferimento alle donne e ai gruppi emarginati, è entrata nelle nostre Facoltà di medicina, con il bellissimo progetto di insegnamento “Profiles” (Principal Relevant Objectives and Framework for Integrative Learning and Education in Switzerland) che copre non solo le nozioni mediche, ma integra anche quelle comunicative, professionali, collaborative e analitiche per formare bravi medici secondo tutti i punti di vista. Accanto è nata “Gems” (Gender Education in Medicine for Switzerland), una piattaforma online dalla quale i docenti possono attingere informazioni e materiali. Alle nuove generazioni, che dell’argomento sanno molto più delle vecchie, si insegnerà come adeguare la medicina al sesso del paziente e come, studiando le differenze, si possa procedere per evitare disparità. Credo che in futuro ci ritroveremo attoniti di fronte a giovani molto preparati ad affrontare la vita sapendo che le diversità vanno combattute. Tacheles è anche riconoscere che chi ancora discute è fuori tempo massimo e che una generazione di mezzo rischia di ridurre il tutto a delle ovvietà. Tacheles significa smettere di tergiversare e procedere rapidamente, adattandosi ai tempi degli altri, non perseverando nei propri.

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di Cardiologia, Unità malattie cardiovascolari rare, Istituto Cardiocentro Ticino, Lugano Medico accreditato presso la Clinica Sant’Anna, Sorengo
Studiare le differenze per combattere le disparità. La sex and gender medicine come approccio fondante per la nuova generazione

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Le SIGNORE del CIOCCOLATO

Esclusivo e popolare al contempo. Classico e innovativo: il cioccolato è il magico ingrediente delle feste e il tocco che addolcisce la quotidianità. Appannaggio sin dalle origini di geniali imprenditori e maître chocolatier, il settore conta ancora poche donne ai vertici. Tre di loro si raccontano

François-Louis Cailler, Rodolphe Lindt, Johann Rudolf Sprüngli, Philippe Suchard, Jean-Samuel Faverger, Aquilino Maestrani, Johann Gerog Munz, Jean e Theodore Tobler, Robert e Max Frey, … Sono tutti maschili i grandi nomi dei pionieri che hanno fatto la storia l’industria cioccolatiera svizzera, a partire dall’invenzione del cioccolato al latte e di quello fondente, che rivoluzionarono immagine e gusto di quello che fino a metà Ottocento era semplicemente venduto come ricostituente o smerciato come preparato solubile. Sempre al maschile si trova declinato l’appellativo di maître chocolatier, corroborato anche dall’immaginario pubblicitario che non vede mai modellare sfoglie, praline & Co. a donne.

Nell'atelier della maître chocolatière. Fra le prime a veder riconosciuto il suo talento creativo e la sua competenza tecnica, è stata Géraldine Müller Maras, che nel 2015 è riuscita nell’exploit di incassare il titolo di miglior confiseur svizzero dell’anno e a piazzarsi prima donna alla finale dei World Chocolate Master di Parigi. Nata a Flims, nei Grigioni, era da poco rientrata in Svizzera dopo oltre dieci anni all’estero, che l’hanno portata anche in luoghi esotici, a partire da un’esperienza a bordo della Ms Hanseatic, per i mari del mondo dai Caraibi all’Antartico, per poi trascorrere otto anni a Sydney, dove ha conosciuto il futuro marito con il quale è infine rientrata in patria, ormai anche con nazionalità australiana. Di ritorno dai suoi viaggi, riscopre uno spirito autenticamente svizzero e inizia a lavorare per la Maison Cailler, che presto la nomina a capo del suo laboratorio dimostrativo di Broc, dove la fabbrica di cioccolato ha sede dal 1898. Con in media oltre 400mila visitatori all’anno, la Maison è tra le destinazioni museali più frequentate di Svizzera. «Aver viaggiato e

lavorato in tante realtà, anche lontane, mi ha permesso di fare esperienze molto interessanti per arricchire le mie competenze tecniche, la sensibilità e l’approccio creativo. Sono felice che oggi siano invece persone da tutto il mondo a raggiungerci per scoprire l’universo del cioccolato e i segreti della sua fabbricazione, dal tempérage alla ganache perfetta, partecipando ai corsi che creo per rendere ogni visita alla Maison Cailler indimenticabile», commenta Géraldine. Saranno le endorfine che libera il cioccolato, sarà la sua arte creativa, quella capacità di continuare a rinnovarsi pur lavorando con un ingrediente fisso: «In realtà il cioccolato offre una moltitudine di possibilità. E anche per i professionisti che come me lo gustano e lavorano tutti i giorni continua a mantenere un gran fascino. Non a caso in svizzero-tedesco

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DA SINISTRA, GÉRALDINE MÜLLER MARAS (MAISON CAILLER, BROC), LISA PERICOLI (LINDT ITALIA) E ALESSANDRA ALBERTI (CHOCOLAT STELLA, GIUBIASCO)
DI SUSANNA CATTANEO

Il cioccolato offre una moltitudine di possibilità. E anche per i professionisti che come me lo gustano tutti i giorni continua a mantenere un gran fascino. Lavorarlo esige però precisione svizzera: seguire fasi prestabilite, impiegare tecniche specifiche. Vietate le scorciatoie

Géraldine Müller Maras chocolatière en chef della Maison Cailler

il termine Schoggijob, dove Schoggi significa cioccolato, è il modo in cui si definisce un lavoro d’oro!», sottolinea Géraldine. Figlia di un cuoco e nipote di uno chef pâtissier che nella sua carriera ha gestito diverse pasticcerie a Zurigo, ha ereditato la passione. «Quando ancora andavo a scuola ho deciso di fare una prova di una settimana in una pasticceria di Coira. Poi a 15 anni ho iniziato il mio apprendistato come pasticcere. Il piacere di imparare facendo, viaggiando per il mondo, ha fatto il resto», racconta. «Lavorare con il cioccolato esige grande precisione svizzera: seguire fasi prestabilite, impiegare tecniche specifiche. Vietate le scorciatoie. La mia missione però è rendere tutto il più semplice possibile, dando del mio meglio».

La sua creazione più folle? Una pralina con un cuore di note di fieno ideata per un concorso.

Dal salato al dolce, l'ousider. Di creazioni azzardate, che accostano sapori in apparenza estranei, è protagonista Lisa Pericoli. O Lisa Dangers, come vuole il nome di ‘battaglia’ che si è data sui social. Praline profumate al fungo porcino, alla cipolla, con i ceci, l’alga nori, spezie di oriente… Spericolata? «Quanto basta», risponde lei. Che è poi la misura della sua filosofia in cucina, dove a guidarla prima ancora di grammi e ricette è l’intuito. Da outsider è riuscita a imporsi nel mondo del cioccolato. Proprio il suo animo poliedrico, lo spirito innovatore e la grande creatività hanno conquistato la giuria di “Maître Chocolatier, Talenti in Sfida”, il primo talent show italiano dedicato a questo mondo, voluto da Lindt che in premio ha accolto la vincitrice nel suo team Italia. Un’immensa soddisfazione per chi per formazione non partiva favorita. «Non chiedetemi di fare un dolce tradizionale! Abbinare dolce e salato per me è una necessità e mi è venuto spontaneo. Da buona toscana, mia nonna mi ha insegnato le basi della cucina. Stare ai fornelli mi ha sempre dato gioia, ho sempre amato il mondo delle eccellenze, dei presidi slow food, e anche mangiare. Così, dopo aver realizzato che gli studi accademici non facevano per me, mi sono iscritta all’Università dei Sapori di Perugia. Lavorando poi in una pizzeria gourmet, mi sono trovata responsabile della panificazione e della piccola pasticceria, un settore in cui mi sono lanciata da autodidatta, supportata e sopportata dal mio responsabile

SOPRA, GÉRALDINE MÜLLER MARAS DELIZIA I VISITATORI DELLA

MAISON CAILLER DI BROC, CANTON FRIBURGO

IN ALTO A DESTRA, LA LIMITED EDITION CREATA DA LISA PERICOLI, VINCITRICE DEL TALENT "MAÎTRE CHOCOLATIER, TALENTI IN SFIDA"

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© Nestlé Suisse S.A.

Gabriele Consorti», sorride. Ma è merito anche del ‘suo babbo’ che a casa aveva una strumentazione di tutto punto acquistata con l’intenzione di dedicarsi in pensione all’hobby del cioccolato. Grazie a Lisa non è finita in soffitta. Poi per approfondire si è iscritta all’Accademia dei Maestri Cioccolatieri di Angela de Luca a Belluno. «Ho potuto studiare tutte le possibili e immaginabili tecniche, dall’aerografia alla scultura a scalpello alla pralineria a strati. Il mio punto forte però non è la manualità, sono troppo nervosa, mi tremano le mai, un disastro», esagera. «Quello che più mi ha appassionato è il percorso from bean to bar, dalla fava alla tavoletta. Tentare nuovi abbinamenti, affinare i bilanciamenti, lasciandomi però sempre guidare dall'intuito».

Quello che più mi appassiona è il percorso from bean to bar. Tentare nuovi abbinamenti, affinare i bilanciamenti, lasciandomi però sempre guidare dall'intuito

Le sue creazioni stupiscono. Ad esempio: una pralina a due strati, uno al fungo porcino e uno al liquore di erbe dei frati camaldolesi. Alla prima puntata del talent, ha deliziato la giuria. «L’ispirazione me l’ha data un libro di fiabe della mia infanzia, Le novelle della nonna di Emma Perodi, racconti a tinte gotiche scritti a fine Ottocento, ambientati nella mia campagna del Casentino», spiega. Grazie al talent ha anche potuto creare la sua prima Limited edition, che Lindt Italia ha lanciato sul mercato: ispirata alla Via della Seta, include quattro praline alle spezie - pepe di Sichuan, paprika, lemongrass e zafferano. Le spezie sono la sua grande passione, insieme a viaggi e musica. Influenze che si colgono nella sua originalità. Impegnatissima nel nuovo ruolo presso Lindt Italia affianca trasferte, presentazioni, dimostrazioni al lavoro dietro le quinte, nel reparto R&D. Non può svelare di più, ma è lecito attendersi presto novità sugli scaffali.

Innovativa, sostenibile, irresistibile. Fra le prime donne a dirigere un’azienda produttrice di cioccolato in Svizzera, dal 1999, è stata una ticinese, Alessandra Alberti, a capo di Chocolat Stella di Giubiasco. A questo mondo si è avvicinata con in tasca una laurea come ingegnere alimentare. «Era una formazione, all’epoca proposta solo dal Politecnico di Zurigo, che mi permetteva di combinare la passione per la cucina a studi di economia e scienze, ambiti che mi attiravano entrambi», spiega. Dopo alcune prime esperienze lavorative, è stata scelta come responsabile di qualità e acquisti da Chocolat Stella. Tre anni dopo, nel 1999, è arrivato l’incarico di direttrice. «Ringrazierò sempre la lungimiranza e l’apertura mentale dell’allora direttore Arco Devittori e di Adelbert Müller, presidente della nostra casa madre, Chocolat Bernrain, che hanno scelto di dare fiducia a una giovane donna, riconoscendo la passione e l’impegno a 360 gradi che dimostravo. Ma se poi siamo passati dai 26 dipendenti dell'epoca, con una produzione di 600 tonnellate di cioccolato all’anno, agli attuali 64 per 1800 tonnellate, è stato soprattutto grazie al grande lavoro di squadra, insieme alla decisione strategica di proiettarci a livello internazionale», precisa Alessandra Alberti.

Oggi Chocolat Stella è presente in 52 Paesi, fra cui Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone, dove vende le sue creazioni ma anche soluzioni personalizzate private label per clientela B2B che rivende a marchio proprio, che rappresenta ben l’80% del volume d’affari. L’attività prosegue ormai anche nei mesi estivi, quando ad esempio si lavora per il mer-

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team Maîtres Chocolatiers di Lindt Italia

cato asiatico, e non solo in preparazione della festività natalizie fino a quelle pasquali.

Fondata nel 1928 dalla famiglia Vanotti a Lugano, non essendoci più eredi interessati, nel 1988 Chocolat Stella è stata acquisita da Chocolat Bernrain di Kreuzlingen, trovando una perfetta sintonia con la famiglia Müller nel comune richiamarsi a valori etici e tipicamente svizzeri, che hanno spinto in anticipo sui tempi ad abbracciare una sostenibilità a 360 gradi: economica, ambientale e sociale. Le due aziende sono state pioniere del biologico e dell’equo solidale: «Acquistiamo le nostre fave da piccole cooperative della zona equatoriale, attribuendo grande importanza alla tracciabilità della filiera con una trasparenza molto apprezzata dai clienti», sottolinea Alessandra Alberti. Negli anni sono cresciute le sfide e la complessità per soddisfare le legislazioni dei diversi Paesi e gli audit di qualità. Al pari, aumentano le competenze necessarie per gestire produzioni sempre più innovative e diversificate. «Non potendo competere sulla quantità con le multinazionali del cioccolato, ci siamo specializzati in nicchie di mercato: all’epoca lo era il biologico, adesso sta emergendo il vegano insieme a prodotti per intolleranti, senza lattosio o senza zuccheri aggiunti. Ad esempio, produciamo una variante con una fibra vegetale e farina d’avena, insieme a cacao e zucchero, ingredienti che non avremmo mai pensato qualche anno fa di unire», racconta la direttrice.

Stando sul tradizionale, grandi protagonisti anche gli ingredienti locali - ad esempio, frolle di Bedretto, amaretti o pane del Ticino - ma si sperimentano anche

Non potendo competere sulla quantità con le multinazionali del cioccolato, ci siamo specializzati in nicchie di mercato: all’epoca lo era il biologico, adesso stanno emergendo il vegano e prodotti per intolleranti. Ad esempio, produciamo una variante con una fibra vegetale e farina d’avena

Alessandra Alberti

Ceo di Chocolat Stella

note esotiche, con sali speciali, pepe, ... Innovazione vuol dire nuove ricette, ma anche altri formati e nuovo packaging, che oltre al design cerca di rispondere a criteri crescenti di sostenibilità e biodegradabilità. «Ogni venerdì mattina abbiamo una riunione con la casa madre per discutere dei progetti di sviluppo: se in questi trent’anni il mio entusiasmo non è mai calato, malgrado il lavoro sia stato sempre tanto, è perché c’è stata la possibilità di continuare a crescere insieme, investendo in nuove idee, ampliando l’attività e la sede», sottolinea Alessandra Alberti, orgogliosa anche di essersi vista riconfermare il mandato per la produzione del leggendario cioccolato dell’esercito svizzero, che ormai dal 2017 resta in Ticino con Chocolat Stella. Con un perfetto equilibrio di genere nel suo organico, l’azienda di Giubiasco è un esempio anche di pari opportunità, nella convinzione che la complementarietà sia la miglior soluzione.

Il tutto in maniera autentica, senza calare quote rosa dall’alto. Anche la direttrice di Chocolat Bernrain, e presidente del CdA di Chocolat Stella, Monica Müller, è una donna.

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SOTTO, UN 'ASSAGGIO' DEL VASTO ASSORTIMENTO DELLE CREAZIONI DI CHOCOLAT STELLA
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L’affascinante

lo champagne.

Senza nulla togliere all’abate Dom Pérignon

reatività, fermezza e spirito imprenditoriale con una visione decisamente moderna. Siamo in Francia. È il 1805. Lei ha ventisette anni, sposata da sei con François Clicquot che, improvvisamente, la lascia vedova. Alla Veuve Clicquot non resta che rimboccarsi le maniche. Non si perde d’animo, anzi. In un mondo fatto dagli uomini e per gli uomini, non deve essere stato facile per Barbe Nicole - nata Ponsardin - prendere le redini dell’azienda del suocero

Philippe Clicquot, che l’aveva fondata nel 1772. Anche tenendo conto del fatto che il marito François, fino ad allora, aveva ottenuto risultati alquanto modesti. In quel momento la Maison produceva circa centomila bottiglie. Figlia di un ricco barone, divenuto sindaco di Reims grazie all’appoggio di Napoleone Bonaparte, Barbe Nicole - per tutti, la Veu-

CLICQUOT, L’HERITAGE DI UN’AUDACE

ve - è determinata, non si scoraggia, anche se i primi anni sono tutt’altro che facili. Madame Clicquot non si limita alla gestione dell’azienda, è ambiziosa e si adopera tanto sul miglioramento qualitativo del ‘prodotto’ che sulla sua promozione (quello che oggi definiamo marketing).

Lo Champagne è già noto e conosciuto fuori dalla Francia, ma prima di Madame Clicquot è ancora un vino torbido. Capisce che l’impatto visivo è importante tanto quanto il gusto e lavora per renderlo più limpido. Inventa una tecnica, il remuage, che le consente di eliminare i depositi presenti nella bottiglia al termine del processo di rifermentazione e affinamento sui lieviti. Non solo, studia diverse ricette per la liqueur d’expedition a seconda dei mercati cui sono destinate le bottiglie. Negli Stati Uniti preferiscono champagne più secchi, in Inghilterra apprezzano quelli più morbidi e dosati.

Il proposito era chiaro: “Voglio che il mio marchio sia il numero 1, da New York a San Pietroburgo”, aveva sentenziato Madame Clicquot.

Nel 1810 produce il primo Champagne Millesimato e cambia nome all’azienda. Nasce la Veuve Clicquot. L’anno successivo, un’annata eccezionale, ricordata per il passaggio della Cometa sui cieli della Champagne, produce ‘Le vin de la Comète’, che tre anni dopo le servirà per lanciare il suo marchio in Russia.

Il passaggio della cometa fu un evento strabiliante, e Lev Tolstoj in Guerra e Pace così lo descrive: “Quasi nel mezzo di quel cielo, circondata da ogni parte e tempestata di stelle ma distinguendosi da tutte per la sua vicinanza alla terra, per la sua luce bianca e la sua lunga coda rivolta verso l’alto, si dispiegava quella enorme e brillante cometa del 1811 …”. Da quell’evento memorabile e mirabilmente fissato nella celebre opera dallo scrittore russo, sono passati sette anni. È il 1818: l’anno del primo Champagne Rosé, una specialità di Madame Clicquot. Fino ad allora infatti il Rosé era ottenuto con l’aggiunta di bacche di sambuco alla cuvée.

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storia della donna che ha inventato
IN ALTO, UN DIPINTO RAFFIGURANTE BARBE NICOLE - NATA PONSARDIN, PASSATA ALLA STORIA COME VEUVE CLICQUOT
Madame SOCIETÀ DI ELEONORA VALLI 46

Alla Veuve Clicquot si deve il rosé ottenuto invece con l’assemblaggio di vino rosso alla base spumante. La capacità di rischiare tipica dell’imprenditore, Madame Clicquot la dimostra ulteriormente nel 1814 quando fa arrivare 10mila bottiglie a San Pietroburgo. L’aristocrazia russa era un mercato di riferimento importantissimo per lo Champagne e Barbe Nicole era riuscita a mantenere sempre ottimi rapporti con la Russia. Anche grazie alla collaborazione di Luis Bohne, tedesco nato a Mannheim, che fu l’agente di vendita di Veuve Clicquot: le sue gesta durante l’invasione francese della Russia e la successiva caduta di Napoleone aumentarono notevolmente la popolarità dello Champagne. Questa audacia è comprensibile soltanto se contestualizzata storicamente. Napoleone Bonaparte nel 1804 si incorona imperatore e comincia un’operazione di espansione che porta a otto anni di guerre totali, note come Campagne o Guerre Napoleoniche. La Campagna di Russia del 1812 si concluse con la totale disfatta di Napoleone che abdica nel 1814.

Guerra e Pace di Lev Tolstoj è uno dei romanzi corali più belli per conoscere questo periodo e anche per approfondire i rapporti tra l’aristocrazia russa e la figura di Napoleone Bonaparte, con diversi richiami proprio allo Champagne.

Torniamo alla nostra Madame, che nel frattempo ha acquistato molti altri vigneti, cominciando a distinguerli in base al loro valore (diventeranno poi Gran Cru) e intorno al 1814 produce circa 175mila bottiglie. La Grande Dame de la Champagne si ritira a vita privata nel 1841, lasciando la sua azienda a Edouard Werlé, con il quale ebbe una lunga e scandalosa relazione perché ben vntitré anni più giovane di lei. Quando muore, il 29 luglio 1866 a 89 anni, la Veuve Clicquot Ponsardin produce e vende 775mila bottiglie di champagne all’anno.

Quando si parla della nascita dello champagne c’è sempre un riferimento all’abate Dom Pérignon. E se, certo, il celebre celliere dell’Abbazia di Hautvillers ha dato un notevole contributo alla storia dello champagne, alla giovane Veuve vanno diversi meriti. Dalla determinazione alla modernità di pensiero e di azione, che ne ha supportato lo spirito appassionatamente imprenditoriale.

Ha così contribuito alla nascita del Metodo Classico così come lo conosciamo oggi.

Ambiziosa, capace, resistente. Indipendente. Madame Clicquot agì tutta la vita inseguendo, e poi realizzando il suo ideale: “Una sola qualità, la primissima”. Un bell’esempio per le successive generazioni di donne che, oggi come allora, possono trarne ispirazione.

Un premio effervescente

La Maison Clicquot deve ancora oggi molto all’audacia e alla capacità imprenditoriale di Barbe Nicole Ponsardin. Proprio per tributarle omaggio, nel 1972 la Masion ha creato un Premio – il Bold Woman Award – destinato ad imprenditrici che si distinguono per talento, forza e personalità. Il Premio, che quest’anno compie 50 anni, è stato assegnato per il 2022 ad Antonella Santuccione Chada (in foto), miglior imprenditrice svizzera 2022. «La leadership? La persona leader è intraprendente, accetta il rischio e le sue conseguenze, puntando a raggiungere uno scopo che giudica superiore e meritevole pertanto di una dedizione assoluta», nota la dottoressa Santuccione Chada, fondatrice del Women Brains Project, che si occupa delle specificità femminili nelle malattie del cervello, l’Alzheimer in particolare. Oggi Chief Medical Officer di Altoida, start up svizzero-americana.

Nel 2018 considerata tra le Top 100 business women in Svizzera, è stata eletta donna dell’anno nel 2019 e donna dell’innovazione nel 2020. All’eredità morale di Madame Clicquot viene dato il meritato seguito dalle donne che, in epoche e condizioni diverse, sono accomunate dalla capacità di fissare la meta e tenere la rotta. Con testa e cuore. E una grande, coraggiosa e inossidabile, voglia di fare.

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l’arte DELLA MISE

EN PLACE

Perfetto equilibrio tra bon ton e tendenza, l’allestimento è come una ricetta: occorrono ‘ingredienti’ di qualità, creatività e armonia.

Noto gastronomo francese, J ean-Anthelme Brillat-Savarin affermava che invitare qualcuno nella propria casa, significa prendersi cura di lui. Una tavola ben apparecchiata è il primo segno di un’accoglienza adeguata.

«Con il termine mise-en place si intende la disposizione di tutti gli oggetti sulla tavola, a partire dalla tovaglia», esordisce Claudio Recchia, eletto Maître svizzero dell’anno 2022, «la quantità di elementi da disporre dipende dal menu che si vorrà servire e dal tono, elegante o informale, che si vorrà dare al pasto». La mise en place risponde a regole ben precise; flessibili quanto ai dettagli, ma che non mutano nella sostanza.

E, finalmente, il piacere del convivio
SOCIETÀ DI SIMONA MANZIONE 48

«Ineludibili le regole per il posizionamento di posate, bicchieri, eventuali sottopiatti, centrotavola», prosegue Claudio Recchia, Maître di Villa Principe Leopoldo a Lugano. «Sottopiatti e bicchieri di cristallo conferiscono sempre un tocco di classe alla tavola; ciò non toglie che anche una versione meno istituzionale, ma pur sempre apparecchiata correttamente, risulti a sua volta chic». Insomma, la mise en place ideale non è, naturalmente, solo regole di bon ton, apparentemente rigide, ma lo stile autentico e personale che si può dare a una tavola, secondo il proprio gusto e la circostanza.

«Il centrotavola è una scelta per le occasioni importanti, ma può essere scomposto in più elementi ed essere distribuito sulla lunghezza del tavolo, tra gli ospiti. Brocche, ménage, fiori e candele completano la rappresentazione estetica della tavola, in linea con le ceramiche e i tessili».

NELLA PAGINA ACCANTO, DALL’ALTO, L’ICONICO VASO VENINII ‘FAZZOLETTO’, BICCHIERI NASONMORETTI E STOVIGLIE BALCON DU GUADALQUIVIR (HERMÈS MAISON). IN QUESTA PAGINA, IN ALTO, MISE EN PLACE NATALIZIA E CON CANDELE ACQUA DI PARMA A DESTRA, DECORAZIONI BACCARAT

A DESTRA, COLLEZIONE MOSAIQUE DI HERMÈS MAISON IN ALTO, RUNNER SHINE DI GABEL SOTTO, MAURIZIO ROMANO, DI DAHRA LUGANO, ESPERTO DI DECORAZIONI E, ACCANTO, UNA SUA REALIZZAZIONE. IN BASSO A DESTRA, SET DI CARAFFA E BICCHIERI TANK (TOM DIXON)

«Tra le tendenze décor per questa stagione, il bianco e l’argento o il bronzo e bordeaux sono quelle dominanti», esordisce Maurizio Romano, titolare di Dahra, a Lugano. «La bellezza di una decorazione deriva anche da come essa si inserisce in uno specifico contesto. La bellezza è data dall’armonia dell’insieme», nota Maurizio Romano, che conclude: «un elemento che a me piace molto sono i segnaposti personalizzati, da abbinare rigorosamente alla tavola.

La mise en place tiene conto di come viene servito il pasto. Alla russa o alla francese? Il modo in cui oggi sono serviti i pasti lo si deve a Alexander B. Kurakin, un ambasciatore russo presente a Parigi nel secondo decennio dell’Ottocento. Un personaggio entrato nella storia della gastronomia, in quanto - sembra - è a lui che si deve l’introduzione in Francia del servizio detto ‘alla russa’ (mentre secondo altri studiosi fu lo stesso Napoleone a far conoscere a tavola il metodo alla russa dopo averlo sperimentato ed apprezzato in questo Paese). Fino ad allora, anche nelle corti italiane, si utilizzava il servizio detto ‘alla francese’, adottato anche nei banchetti rinascimentali. Le vivande preparate e da gustare durante tutto il pranzo, all’ingresso dei commensali, dovevano trovarsi già pronte in sala, comprese quelle calde, appoggiate sugli scaldavivande. Durante i suoi ricevimenti Kurakin faceva invece portare in tavola direttamente dalla cucina le specialità

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SOPRA, CLAUDIO RECCHIA, MAÎTRE SVIZZERO DELL’ANNO 2022. A SINISTRA, DALL’ ALTO, ALZATINA GUCCI, CIOTOLA BASH (TOM DIXON), POSATE SAMBONET

SOPRA, PIATTI BITOSSI IN ALTO A SINISTRA E QUI ACCANTO, BACCARAT IN BASSO A SINISTRA ALLESTIMENTI NATALIZI A VILLA PRINCIPE LEOPOLDO, LUGANO

secondo l’ordine ed il momento richiesto dal menu programmato. Grazie a questo servizio le vivande arrivavano ai commensali appena preparate, guadagnandone in aroma, profumo e freschezza di aspetto. Oggi il servizio alla russa è quello generalmente usato tanto in ambito privato che in quello della ristorazione. E si tende quindi ad allestire tavole con apparecchiature individuali e con gli oggetti disposti nella giusta sequenza di utilizzo.

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STILI E TENDENZE
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AGENZIA PETRA PETER’S EVENTS

STYLING MARGHERITA SULMONI

HAIR & MAKE UP SILVIA FERRARA, MUAH STUDIO, VEZIA

LOCATION

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Abito lungo Alberta Ferretti by NASSADONNA

la

BELLEZZA oltre l’apparenza

Valorizzare la propria unicità, nella percezione di sé e nella relazione con gli altri. Un approccio olistico e, per cominciare, una peonia…

STILI E TENDENZE DI SIMONA MANZIONE 62

una raccomandabile attitudine. Non solo vezzo e vanità. Prendersi cura di sé crea le condizioni per un benessere profondo e fa emergere la nostra vera essenza.

«È un processo virtuoso. Dedicarsi al proprio aspetto esteriore genera soddisfazione, che condiziona positivamente l’umore, aumenta l’autostima e la voglia di fare, dispiega effetti sulle relazioni con gli altri e sulla propria affermazione personale», esordisce Oriella Page, fondatrice dell’omonimo ‘brand’, a cui fanno capo oggi cinque centri di bellezza, a Lugano, Bellinzona, Locarno e Breganzona. «Insomma, anche se non siamo (solo) il nostro aspetto, è importante che il nostro aspetto esteriore sia armonioso e gratificante; è fondamentale sentirsi belli per essere veramente belli», prosegue la giovane imprenditrice, specializzata a Parigi all’École de Maquillage Fleurimon. «Occuparsi della propria bellezza non vuol dire mascherarsi, ma mettere in valore le proprie specificità», nota Oriella Page, che ha lavorato diversi anni come make up artist tra Londra e Parigi.

La bellezza è ben più dell’apparenza. «La qualità estetica è determinata anche dai pensieri, dalle emozioni e da uno stile di vita sano; dalla capacità che abbiamo di rimanere connessi con noi stessi e di ascoltare i nostri bisogni, assecondandoli. La bellezza non è codificata, derivando invece da un insieme di elementi... fascino e personalità, consapevolezza e armonia», prosegue Oriella Page.

L’affermarsi di una visione ‘olistica’ considera oggi la cura di sé come parte integrante della salute psicofisica della persona. «Il ‘Bell’essere’ si traduce in un benessere», sintetizza l’esperta di bellezza, che prosegue: «Proprio per questo, sono convinta che qualunque trattamento di bellezza non deve essere somministrato come

NELLA PAGINA ACCANTO, COLORI, FORME, MATERIALI... IL BENESSERE NASCE

DALL’ARMONIA A DESTRA, ORIELLA PAGE, FONDATRICE DELL’OMONIMO BRAND, A CUI

FANNO CAPO CINQUE CENTRI DI BELLEZZA E

UNA NUOVA LINEA COSMETICA, DEFINITA PER UNA BELLEZZA ONNICOMPRENSIVA

semplice ‘servizio’ ma come ‘esperienza’, affinché - in chi lo riceve - la sensazione di benessere permanga, e il più a lungo possibile, anche a trattamento finito», prosegue la giovane imprenditrice, che così racconta la sua ‘impresa’: «I centri Oriella Page Life Embellisher nascono nel 2018 a Lugano, dove, nel frattempo, è stata aperta anche una seconda sede. Sono specializzate l’una nell’estetica avanzata per il viso e per il corpo e nel trucco permanente, l’altra nella cura di unghie e ciglia. La presenza di un chirurgo estetico e di esperti di nutrizione e tatuaggio rende possibile la soddisfazione di esigenze specifiche; mentre la Life Embellisher Academy propone settimanalmente numerosi corsi di formazione continua», aggiunge l’imprenditrice, che prosegue: «I cinque centri, tre dei quali in franchising, occupano oggi circa quaranta collaboratori, professionisti che esprimono le diverse figure e competenze legate al mondo del beauty».

È
STILI E TENDENZE 63

Punta di diamante della proposta globale è il trucco permanente, un settore che negli ultimi anni ha conosciuto una costante crescita: «È una tecnica con la quale si introducono pigmenti colorati nel derma, al fine di migliorare l’aspetto esteriore del viso, in particolar modo occhi, labbra e sopracciglia. Il trucco permanente è il termine con il quale più comunemente si tende a chiamare il trattamento della dermopigmentazione», sintetizza l’esperta, che si è formata come dermopigmentista alla Maison Academy di Verona, tra le migliori accademie di trucco permanente oggi attive. La pelle è l’involucro che ci protegge da tutto quanto ci circonda. L’attenzione alla qualità dei prodotti usati è fondamentale. «Le esperienze maturate nel settore dell’estetica e il vissuto personale mi hanno incoraggiata a realizzare una linea di prodotti nel segno della qualità, oltre che della sostenibilità e di un

FOTO IN ALTO, LA BELLEZZA? È

ONNICOMPRENSIVA. ESTERIORE E INTERIORE, NON INFLUENZATA DA GIUDIZI, STEREOTIPI O DA CANONI ESTETICI IMPOSTI DALLA SOCIETÀ. È ACCETTARSI SENZA GIUDICARSI. È VALORIZZARSI, AMANDOSI

lusso accessibile. È nata così ‘LaPage Cosmetics’, una combinazione di valori profondi, come la tolleranza assoluta verso ogni bellezza e genere, l’accettazione di sé senza giudizio e l’importanza di amare la propria unicità, con una qualità intrinseca di formulazioni ‘clean’ caratterizzate dall’uso di conservanti senza perturbatori endocrini».

Quando si parla di bellezza, infatti, non c’è solo la componente estetica: la bellezza è anche scienza. E la qualità dei prodotti che applichiamo sul viso e sul corpo va ben oltre le profumazioni e le consistenze. «Nel tempo ho maturato la mia idea di prodotto. E, dopo una fase di ricerca e sperimentazione per accertarne efficacia e sicurezza, ne è scaturita questa nuova linea di prodotti, appena lanciata. Le formulazioni scelte includono alcune tra le migliori sostanze funzionali, come i Pre/Post Biotici, la Vitamina C giapponese e la peoniflorina», spiega l’esperta. Quest’ultimo, è un principio attivo derivato dalla peonia. Un fiore che, dotato di innumerevoli proprietà, è un ingrediente cosmetico particolarmente apprezzato. «La peonia è anche il mio fiore preferito, una costante fin da quando ero bambina. Un fiore generoso di bellezza, ma bisognoso delle giuste cure, grazie alle quali riesce a esprimere la sua splendida unicità, diffondendo

benessere», conclude Oriella Page.

STILI E TENDENZE 64

MINIMAL CHIC

Bellezza allo stato puro, dal naturale al glamour. Per essere, soprattutto nei giorni di festa, la migliore versione di sé stesse

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DI JOLIE ZOCCHI
STILI E TENDENZE
MODELLA ELAINE WINSLOW MAKE UP ARTIST SVITLANA PROZORT

Sguardi magnetici

STILI E TENDENZE

Rosa d’incanto

68 STILI E TENDENZE
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Rosso seducente
1. Collezione Holiday 2022, polvere illuminante CHANEL 2. Collezione Holiday 2022, ombretti CHANEL 3. Stylo Correct, stilo-correttore SISLEY 4. So Intense Deep Back, mascara SISLEY 5. Poudre d’Orfèvre, Illuminante viso e occhi, Ed. lim. HERMÈS 6. Rouge Hermès, opaco, Ed Limitata, Rouge Cinabre HERMÈS di Jolie Zoccchi
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DONI DI NATURA

Purissime gemme preziose arricchiscono le giornate invernali di vivida bellezza

Rubini, smeraldi, diamanti e altre gemme esuberanti, rare e preziose, che la maestria artigianale ha trasformato in gioielli dal fascino avvolgente. Degno del suo antico nome sanscrito, ‘Ratnaraj’, il rubino è il ‘re delle gemme’, simbolo di passione e amore. In tonalità cremisi chiare e vellutate, con sfumature rosa e viola. Particolarmente preziosi e rari sono i rubini noti in commercio come rosso sangue di piccione.

IN ALTO, DUE SMERALDI COLOMBIANI 4,97 CARATI E 5,39 CARATI A GRADINI ADORNANO GLI ORECCHINI CHANDELIER THE PALM IN ORO BIANCO

SOTTO, ANELLO TOI ET MOI IN ORO BIANCO

SOTTO A SINISTRA, PROTAGONISTA DI QUESTO ANELLO È UN RUBINO BIRMANO DI 1,71 CARATI, CON ENTOURAGE DI DIAMANTI IN UN SOFISTICATO MIX DI TAGLI (GÜBELIN)

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SOTTO

(GÜBELIN)

Difficile non lasciarsi incantare dallo smeraldo, di cui nessun’altra definizione è riuscita a cogliere l’anima: “I giardini dello smeraldo risvegliano il desiderio di vagare a piacimento, deliziandosi eternamente della fantastica e sempre diversa ricchezza di disegni nelle loro volte sempreverdi” (Eduard Josef Gübelin).

Incoraggiate dallo smeraldo, sedotte dal rubino, attratte dal magnetismo dei diamanti sfaccettati che riflettono bagliori onirici. Nessuna può resistere... è il bello della natura!

© Xxxxxxx © Xxxxxxx STILI E TENDENZE DI SIMONA MANZIONE
IN ALTO A DESTRA, LA TORMALINA VERDE TAGLIO CABOCHON, NELL’ANELLO LILY DEW IN ORO ROSSO, ATTIRA A SÉ TORMALINE VERDI E ROSA SFACCETTATE E DIAMANTI TAGLIO BRILLANTE , ORECCHINI CHANDELIER SPARKS OF FIRE
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TEMPO PREZIOSO

Segnatempo straordinari da indossare in occasioni speciali. Oggetti d’alta gamma che combinano il design più sofisticato con una maestria artigianale senza pari. Sono un trionfo di pietre preziose, di dimensioni e tagli differenti, anche tra loro magistralmente abbinati: diamanti - come farne a meno! -, e poi zaffiri, smeraldi, rubini, ... gemme composte in rituali cromatici di grande eleganza. Una creatività vibrante e gioiosa che attribuisce allo scorrere del tempo una grazia squisitamente femminile. Orologi gioiello, preziosi alleati per risplendere nelle serate di festa.

IN FOTO, ELEGANZA

A QUALSIASI ORA

DEL GIORNO E DELLA NOTTE: IL SEGNATEMPO

TWENTY~4 “BRACCIALATO”

AL QUARZO IN ACCIAIO

CON QUADRANTE ‘SOLEIL’ (PATEK PHILIPPE)

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STILI E TENDENZE

DI ELEONORA VALLI

IN BASSO, IN SENSO ORARIO, BLOOMING BEAUTY E EMERALD VENUS, OROLOGI GIOIELLO DELLA COLLEZIONE

EDEN THE GARDEN OF WONDERS (BVLGARI); ORO GIALLO PER OMEGA E VAN CLEEF & ARPELS AL CENTRO, UN PARTICOLARE DI BLOOMING BEAUTY (BVLGARI)

Una delle immagini che con maggior frequenza vengono alla mente quando si pensa a Cartier è con ogni probabilità la pantera. Un emblema, un oggetto del desiderio dal fascino magnetico, che emana un’idea di raffinata determinazione.

Per oltre un secolo infatti, il sensuale felino ha ispirato lo spirito creativo della Maison, declinandosi in una varietà di forme molto diverse tra loro, naturalistiche, scultoree, grafiche o ancora astratte.

Se tutto ciò è risaputo, meno lo è il fatto che dietro a questa creatura leggendaria si celi una donna, Jeanne Toussaint, la sola e unica, nella storia della gioielleria, a essere lei stessa soprannominata ‘La Panthère’. Donna di stile e carattere, si annovera sicuramente tra quelle

JEANNE TOUSSAINT, LA PANTHÈRE

L’affascinante - e non a tutti nota - storia che si cela dietro l’animale iconico di Cartier, che ne simboleggia la femminilità: elegante, indomabile, libera

che si sono distinte nel corso del XX secolo, arrivando a occupare una posizione degna di nota nella storia della gioielleria e in quella di Cartier in particolare. Libera, unica ed ‘engagée’, considera i gioielli un emblema di indipendenza.

Rappresentante della Parigi creativa e mondana, Jeanne Toussaint incrocia Louis Cartier prima del Primo conflitto mondiale. Già allora veniva denominata “La Panthère”, per il suo spirito acuto e la sua tenace determinazione.

Tra gli accessori che l’accompagnavano in quel periodo, si ricorda un prezioso astuccio porta-sigarette decorato con una pantera posizionata tra due cipressi, offertogli dall’esponente della famiglia Cartier nel 1917.

STILI E TENDENZE DI ALESSANDRA OSTINI

Questa è la prima apparizione figurativa del felino nell’universo Cartier, a cui fino ad allora esisteva soltanto un richiamo attraverso l’effetto maculato ottenuto, con onici e diamanti, in un segnatempo realizzato nel 1914.

Cinque anni più tardi, la stessa Toussaint commissiona a Cartier un ‘vanity case’ in oro e smalto Pékin nero raffigurante nuovamente la pantera; un gesto con il quale si appropria dell’animale, che diventerà la sua firma personale. Gusto e originalità della dama colpiscono Louis Cartier a tal punto da invitarla a raggiungere la Maison parigina per creare delle borse prima e poi ogni genere di accessorio. Nel 1924, Louis le affida la responsabilità del nuovo ‘dipartimento S’, che sta per ‘Silver’ e propone delle collezioni ‘boutique’, maggiormente accessibili alla clientela. Da allora Jeanne Toussaint si dedica sempre più alla creazione di gioielli. Nel 1933, accede alla direzione della creazione degli atelier di Rue de la Paix.

Disegnatori, artigiani gioiellieri, incastonatori, … Jeanne Toussaint dirige un mondo fatto di soli uomini. Nominata da Louis Cartier in persona, è una delle prime donne a raggiungere un tale livello di responsabilità in questo prestigioso ambito. Nel periodo in cui occupa

NELLA PAGINA ACCANTO, IN ALTO, L’ODYSSÉE DE CARTIER - CAPITOLO 1 E, IN BASSO, JEANNE TOUISSANT E LA PANTERA IN QUESTA PAGINA, A DESTRA, SPILLA A FORMA DI PANTERA, CARTIER PARIS, 1949. PLATINO, ORO, DIAMANTI, ZAFFIRI, UNO ZAFFIRO DEL KASHMIR 152,35 CARATI, VENDUTO ALLA DUCHESSA DI WINDSOR

questa posizione, collabora con il disegnatore Pierre Lemarchand, il quale è solito visitare lo zoo di Vincennes; assieme, forgiano una nuova silhouette scultorea, la pantera forte e fiera degli anni ’40 del secolo scorso. Il motivo è sviluppato dai due in modo tale da farne uno dei gioielli più evocativi del XX secolo. L’audacia di Jeanne Toussaint non si espri me però soltanto per mezzo della storica pantera cui è legato il suo nome. Per citare un aneddoto, durante gli anni dell’Occupazione, la donna provoca le autorità germaniche realizzando una spilla a forma di gabbia nella quale è rinchiuso un uccellino, dagli occhi

Vincent Wulveryck, Collezione Cartier © Cartier
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IN QUESTA PAGINA, COLLANA HINDOU, CARTIER PARIGI, 1936.

ORDINE SPECIALE. TRASFORMATO NEL 1963.PLATINO, ORO, DIAMANTI, ZAFFIRI, TRA CUI DUE 50,80 E 42,45

CARATI, SMERALDI E RUBINI

IN BASSO, SPILLA A FORMA DI PANTERA, CARTIER PARIGI, 1948.

SMALTO NERO E ORO SU UNO SMERALDO CABOCHON DI OLTRE 116 CARATI. ORDINE SPECIALE PER LA DUCHESSA DI WINDSOR

nella quale, in una posizione dominante su di un impressionante cabochon di smeraldo di oltre 116 carati, la pantera si impone con tutta la sua forza. L’anno successivo, è Jeanne Toussaint stessa a prendere l’iniziativa di creare una nuova spilla Panthère in zaffiro, che pure sarà acquistata dai Windsor. C’è chi ama le pantere, ma pure chi preferisce loro tigri o leopardi. Il denominatore comune? Uno chic folle, l’audacia, la libertà e la scelta di una gioielleria di carattere. Come quella per cui optano le clienti di Jeanne Toussaint, tra le quali si annoverano donne di primo piano che vogliono decidere loro stesse i gioielli, come pure dove, come e quando indossarli.Donne tra le quali, oltre alla già citata Duchessa di Windsor, l’attrice Jacqueline Delubac che fa l’apparizione al ballo Surrealista al Castello di Ferrières nel 1972 portando al collo la sua spilla Geco in

tristi. L’esposizione di questo “Uccello in gabbia” nelle vetrine di Rue de la Paix le costa una convocazione da parte della Gestapo. Ciononostante, il giorno successivo alla liberazione di Parigi, Toussaint realizza la stessa spilla con la gabbia aperta, dandole il nome di “Uccello liberato”.

Tornando all’animale-simbolo

oro e diamanti, e ancora l’ereditiera Daisy Fellowes con il suo collier Indù indossato in occasione del ballo di Charles de Besteigui nel 1951. Nei decenni successivi, la Panthère viene riconosciuta come l’apice della virtuosa lavorazione artigianale di Cartier. Oggi il felino icona della Maison si ritrova nei suoi gioielli, orologi, come pure nella pelletteria e nei profumi, e viene scelto da una comunità di donne forti ed eleganti, come fu la stessa Jeanne Toussaint, per l’espressione della sua fiera femminilità, impressa in modo indelebile negli oggetti in cui è rappresentato.

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Nils Herrmann, Collezione Cartier @ Cartier
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IL CALORE DEL NORD

Avvolto dall’ incantevole paesaggio dell’Engadina, forme archetipe ed elementi moderni definiscono il tratto di uno chalet in armonia con la natura e con lo spirito del luogo

ABITARE DI
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SIMONA MANZIONE FOTO LAURA RIZZI

Rigenerante. Un angolo di pace immerso nella cornice alpina dell’Engadina. Questo cottage di montagna dall’impronta contemporanea esprime appieno il senso del genius loci particolarmente caro al suo progettista, il celebre architetto e interior designer Matteo Thun. La cui filosofia progettuale predilige la semplicità allo Zeitgeist, all’ipertecnologico e valorizza il patrimonio del luogo, definisce sistemi semplici e affidabili che funzionano a basso impatto ambientale.

Caratterizzato dall’uso di materiali naturali di provenienza locale, su tutti la pietra e il legno, l’esterno dell’edificio - qui protagonista - diventa parte del paesaggio. Il design dell’architettura si basa su forme tradizionali. Le proporzioni delle finestre, le capriate e i volumi a sbalzo - un incontro di forme archetipiche con elementi moderni - creano suspense visiva.

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SOPRA, MATTEO THUN ARCHITETTO E DESIGNER, PIONIERE DELL’ARCHITETTURA SOSTENIBILE

Situato su una base di pietra, lo chalet engadinese si svolge su quattro piani, due dei quali si estendono al livello sotterraneo. Ed è proprio per la distribuzione su più piani che il volume della villa con la sua terrazza in pietra si integra perfettamente nella collina. Un’interazione armonica tra i materiali naturali e le ampie parti vetrate delle facciate crea un dialogo tra l’interno dell’edificio e la natura circostante. Gli spazi interni riflettono la semplicità della costruzione con un mix di materiali naturali e superfici neutre, enfatizzato dalla qualità della luce naturale che penetra negli ambienti e attira l’attenzione su panorami mozzafiato.

Un camino aperto nella zona giorno e i pannelli in legno contrastano le superfici neutre degli interni. Pioniere dell’architettura sostenibile, Matteo Thun ha firmato alcuni dei progetti green più all’avanguardia soprattutto - ma non solo - in Europa. Allievo di Oskar Kokoschka ed Emilio Vedova all’Accademia di Salisburgo, con Ettore Sottsass, nel 1981, ha co-fondato il celebre gruppo Memphis.

Per diversi anni professore di design della ceramica all’Università di Arti Applicate di Vienna e creatore di pezzi che hanno segnato un’epoca, l’architettto e designer ha fondato il suo studio di design omonimo nel 1983, dove si è affermato come una delle voci e dei talenti più influenti della sua generazione.

IN ALTO, LA CAMERA PADRONALE

A DESTRA, LE AMPIE VETRATE DELLO CHALET RENDONO

POSSIBILE L’INTERCONNESSIONE TRA GLI SPAZI INTERNI

DELL’ABITAZIONE E IL SUGGESTIVO CONTESTO ALPINO NEL QUALE È INSERITA LA VILLA

A SINISTRA, IL LIVING, CON IL CAMINO

Matteo Thun è stato direttore artistico di Swatch e collabora numerosi brand internazionali tra i quali Artemide, Flos, Illy, Philips, Fontana Arte, Porsche Design, Coca Cola, Lavazza, Campari.

Innumerevoli le realizzazioni architettoniche che recano la sua firma, in tutto il mondo. Alla coerenza estetica e capacità di interagire con il contesto circostante si abbina il concetto-cardine di durabilità. Tanto nell’architettura quanto nel design, i progetti firmati da Matteo Thun sono fatti per durare.

ABITARE 83

IN APERTURA 2 FAUTEUIL GRAND CONFORT, PETIT MODÈLE, DEUX PLACES DI LE CORBUSIER, PIERRE JEANNERET, CHARLOTTE PERRIAND, ADATTAMENTO CHARLOTTE PERRIAND PER CASSINA NEL 1978 – COLLEZIONE CASSINA I MAESTRI SOPRA TULIP (EERO SAARINEN, KNOLL INTERNATIONAL 1956), CON L’INCONFONDIBILE BASE A CALICE A DESTRA, MASTERS (PHILIPPE STARCK & EUGENI QUITLLET, KARTELL, 2010)

FASCINO ICONICO

Il design immediatamente riconoscibile di pezzi di arredo che hanno riscritto il nostro modo di abitare

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Le loro inconfondibili silhouette sono immediatamente riconoscibili. Sono considerati grandi classici per quella loro capacità di andare oltre le mode e gli stili. Sono imitati e desiderati, capaci di diffondere sempre un’allure di contemporaneità. Sono le icone che hanno segnato la storia del design, cambiando per sempre alcuni aspetti dell’abitare, grazie alle innovazioni introdotte sul piano funzionale, estetico o dei materiali usati. Come tutti

IN ALTO, GLO-BALL SUSPENSION 2

(JASPER MORRISON, FLOS, 1998)

IN ALTO A DESTRA, SOFT BIG EASY (RON ARAD, MOROSO, 1991)

A DESTRA, BARCELONA® CHAIR (LUDWIG

MIES VAN DER ROHE, KNOLL INTERNATIONAL, 1929)

SOTTO, UP (GAETANO PESCE, B&B ITALIA, DAL 1969)

gli oggetti atemporali, questi pezzi d’arredo hanno una moderna versatilità e si adattano a tutti gli stili e a tutti gli spazi: privati o pubblici, di piccole o di grandi dimensioni, sfarzosi o minimal. Ai loro designer spetta il merito di aver saputo guardare avanti, anticipando tendenze, gusti e stili di vita. Valori come atemporalità, organicità e sostenibilità ne hanno ispirato la progettualità. In alcuni casi una reinterpretazione dei materiali e dei processi produttivi ne ha aggiornato la praticità d’uso senza per questo alterarne la cifra stilistica. Non di rado anche la loro riedizione riesce a diventare iconica.

ABITARE DI ELEONORA VALLI
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© Courtesy of Knoll, Inc.
Rancate (Mendrisio), Cantone Ticino, Svizzera La mostra si svolge nell’ambito del progetto Agora del Fondo Nazionale Svizzero, promosso dall’Archivio del Moderno E la collaborazione di Fondazione Archivio del Moderno Fondazione per la ricerca e lo sviluppo dell’Università della Svizzera italiana Tel. +41 (0)91 816 47 91 www.ti.ch/zuest decs-pinacoteca.zuest@ti.ch 27.11.2022 19.02.2023 Mostra promossa da In partenariato con Con il patrocinio di Con il sostegno di Domenico Fontana e i suoi cantieri 1543 1607

accenti CROMATICI

Dalla smagliante tavolozza dei grandi maestri all’essenzialità atemporale del bianco e nero. Sublime, lo splendore dell’oro.

Le grandi mostre di questo inverno, attraverso il prisma dei colori

PERCORSI DI MIRTA FRANCESCONI 87

AFFINITÀ TONALI

Il grande maestro dell’impressionismo e una delle rappresentanti più originali dell’espressionismo astratto d’oltreoceano: Claude Monet e Joan Mitchell. La Fondation Louis Vuitton di Parigi propone un confronto inedito fra due icone della pittura del XX secolo, esplicitando i fertili legami che si sono creati tra questi due artisti in apparenza estranei, e più in generale tra Francia e Stati Uniti, in un frangente cruciale dell’arte moderna.

Il trasferimento di Joan Mitchell nel 1968 in una proprietà vicina alla casa che Monet aveva occupato a Vétheuil dal 1878 al 1881 è all’origine del mito di questa ‘corrispondenza’. Entrambi si immergono nel paesaggio in cui l’Île-de-France incontra la Normandia, sulle rive della Senna, nutrendo la loro arte di un rapporto fusionale con la natura. Nel ciclo tardivo delle Ninfee (in prestito eccezionalmente dal Museo Marmottan Monet e presentate senza cornice per rendere ancor più immersiva la percezione), le prospettive vertiginose e i riflessi vaporosi in cui Monet fonde acqua e

cielo rivelano tutta l’acutezza d’avanguardia della sua opera tardiva. Parimenti, nel suo corpo a corpo con la tela, in formati monumentali dalla gestualità liberata, Mitchell condivide la sua visione poetica del mondo, lontana dall’approccio pop e concettuale dei suoi contemporanei americani. Per la prima volta in Francia, vengono ricomposti i tre pannelli del trittico Agapanthus di Claude Monet (1915-26), acquistati da tre musei americani. Come controparte di questo ensemble, Joan Mitchell offre lo spettacolare ciclo de La Grande Vallée (1983-84). L’artista americana è anche protagonista in parallelo di una retrospettiva personale, voluta dalla Fondation Louis Vuitton per farne scoprire l’opera al pubblico europeo. Fino al 27 febbraio

SOPRA, DA SINISTRA, CLAUDE MONET, NYMPHÉAS, 1916-19, OLIO SU TELA, 200 × 180 CM

JOAN MITCHELL, QUATUOR II FOR BETSY JOLAS, 1976, OLIO SU TELA, 279,4 × 680,7 CM

Parigi
© The Estate of Joan Mitchell
PERCORSI 88
© Musée Marmottan Monet, Parigi

SMALTI RILUCENTI Ginevra

Prende le mosse dalle porcellane smaltate cinesi dei regni Kangxi (1662-1722), Yongzheng (1723-35) e Qianlong (173695), gioielli della sua collezione, la mostra con cui la Fondazione Baur di Ginevra esplora i ‘segreti del colore’. La seconda sezione fa tappa, un secolo dopo, presso la manifattura di Sèvres in Francia, dove i colori cinesi erano ambiti per la loro brillantezza. Missionari, chimici e consoli francesi in Cina si impegnarono per svelarne le tecniche di produzione. Si conclude con ricerche più contemporanee sul colore, come quella di Fance Franck, sulle tracce del ‘rosso fresco’ o ‘rosso sacrificale’ padroneggiato dai vasai di Jingdezhen secoli prima. Fino al 12 febbraio

SFOLGORANTI VISIONI Milano

Il suo linguaggio di visioni oniriche e mondi curiosi, incendi, creature mostruose e figure fantastiche, ha scatenato le più ardite interpretazioni. Ma Jheronimus Bosch (1453-1516) non era ancora stato presentato come emblema di un Rinascimento ‘alternativo’, lontano dal mito della classicità. Lo fa Milano, sotto la direzione artistica di Palazzo Reale, sede dell’esposizione, e del Castello Sforzesco, rendendo omaggio al grande genio fiammingo e alla sua fortuna nell’Europa meridionale con un progetto inedito. Spiccano alcuni dei più celebri capolavori di Bosch, raramente visibili, e opere derivate da soggetti del Maestro, mai presentate insieme prima d’ora in un’unica mostra. Fino al 12 marzo

A DESTRA, VASO YANGCAI, PORCELLANA, SMALTI E ORO, CINA, EPOCA QIANLONG © Fondation Baur, Genève, Photo Marian Gérard SOPRA, BOTTEGA DI BOSCH, LA VISIONE DI TUNDALO, 1490-1525, OLIO SU TAVOLA, MADRID, MUSEO LÁZARO GALDIANO
PERCORSI 89
© Museo Lázaro Galdiano, Madrid

Dalla prima collezione che firmò a suo nome, nessuna stagione di Yves Saint Laurent sfugge al suo tocco d’oro. Tutti i materiali si prestano a questo scintillio: broccati, pizzi, lamé, paillettes, pelle, ricami... tessuti, gioielli, profumi, ... L’oro, il più regale e divino dei colori, viene celebrato dal Museo Yves Saint Laurent dedicandogli una mostra a sessant’anni esatti dalla sfilata della primavera-estate 1962 dello stilista di casa in cui fecero la loro comparsa i primissimi bottoni dorati dei cappotti,

ben presto diventati un marchio di fabbrica, per arrivare agli abiti interamente gold, come quello gioiello realizzato per la collezione autunno-inverno del 1966 e fotografato da David Bailey. Una quarantina di capi haute couture e prêt-à-porter, una selezione di accessori, oggetti e vetrine interamente composti da gioielli, elementi essenziali della silhouette di una donna elegante, sicura di sé e divinamente moderna proposta da Yves Saint Laurent. Fino al 14 maggio

SOGNI D’ORO
AUTUNNO-INVERNO 1966
SOPRA, COLLEZIONE HAUTE COUTURE
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© David Bailey / Vogue Paris

SOPRA, VESTITO COLLEZIONE HAUTE COUTURE PRIMAVERA-ESTATE 1995

A DESTRA, UN’ISTANTANEA DALL’ESPOSIZIONE

SCHIZZO E GIACCA COCKTAIL, COLLEZIONE HAUTE COUTURE AUTUNNO-INVERNO 1988

© Musée Yves Saint Laurent Paris © Matthieu Lavanchy © Thibault Voisin © Musée Yves Saint Laurent Paris © Matthieu Lavanchy
PERCORSI 91
© Yves Saint Laurent

OMBRE CINESI Parigi

DALL’ALTO, MA DESHENG, SENZA TITOLO, 1991, INCHIOSTRO SU CARTA, 121 X 198 CM

CHANG DAI-CHIEN, LOTO SOTTO IL VENTO (DETTAGLIO), 1955, INCHIOSTRO SU CARTA, 184,4 X 96,2 CM

Autentica perla, il museo parigino Cernuschi, dedicato alle arti dell’Estremo Oriente, continua a offrire una serie di mostre di grande raffinatezza e interesse culturale. Per la prima volta, focus sui dipinti contemporanei cinesi, di cui possiede una delle più importanti collezioni europee, fra le poche a conservare opere di maestri attivi in Cina, oltre che dei maggiori esponenti della diaspora. Di pari passo con i cambiamenti dalla fine dell’Impero all’apertura degli anni ’80, la pittura cinese è in perenne movimento reinventandosi attraverso il contatto con nuove tecniche ma anche attraverso la riscoperta del proprio passato. Il viaggio degli artisti svolge un ruolo trainante in questo rinnovamento. Per tutto il secolo, la pittura a inchiostro è stata al centro di dibattiti teorici, sia sulla definizione di pittura nazionale, sia sulla questione del realismo o dell’astrazione. La presentazione di questi fragili tesori fatti di inchiostro e carta, che non possono essere esposti in modo permanente alla luce, è un raro evento. Fino al 19 febbraio

© Paris Musées / Musée Cernuschi © The Estate of Chang Dai-chien (Zhang Daqian) © Paris Musées / Musée Cernuschi
PERCORSI 92
© Ma Desheng

Inquieto, riservato, indubbiamente geniale, nelle sue celebri incisioni e litografie, Escher (1898-1972) crea un mondo unico, immaginifico, fondendo scienza e natura, matematica e magia, rigore analitico e capacità contemplativa. Il visionario artista olandese, figura sui generis del panorama della storia dell’arte, è protagonista di una grande esposizione antologica al Museo degli Innocenti di Firenze, ospitato dallo splendido complesso disegnato dal Brunelleschi. Oltre duecento opere ne illustrano la genialità: insieme alle più iconiche, anche una sezione specificamente dedicata al suo viaggio in Italia, dove soggiornò a lungo. Fino al 26 marzo

A SINISTRA ESCHER, VINCOLO D’UNIONE (DETTAGLIO),1956, LITOGRAFIA, 25,3 X 33,9 CM, COLLEZIONE MAURITS, BOLZANO

SOFFUSA ARMONIA Zurigo

Moderna, ma senza tempo, l’arte sensuale di Aristide Maillol (1861-1944) incarna i valori della chiarezza e dell’equilibrio delle forme della statuaria classica. È stato il più importante scultore francese della prima modernità dopo Rodin. Il Kunsthaus di Zurigo propone un giro di orizzonte sulla sua straordinaria produzione, che include, oltre ai più noti capolavori, dipinti di alta qualità. Fino al 22 gennaio

A DESTRA ARISTIDE MAILLOL, MEDITERRANEA, 1905, MODELLO, GESSO, 111 X 80 X 116 CM

OSCURI ENIGMI Firenze
@ All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company
© Paris. galerie
PERCORSI 93
Dina Vierny

Teatro, regno della finzione? Tecnicamente sì, se si vuole considerare la momentanea sospensione dell’incredulità, alla base del patto implicito che intercorre fra lo spettatore da una parte e, dall’altra, regista, autore e attori. Finto, ma non falso. Anzi. La nuova scena drammaturgica, in particolare, si dimostra alla ricerca di una rinnovata autenticità, che non significa autoreferenzialità, ma la volontà di servirsi degli strumenti del teatro per affrontare le grandi domande del presente e le sfide del futuro. Esplorando anche nuovi linguaggi - verbali, visivi, sonori e performativi - senza cadere nel compiacimento virtuosistico, ma instaurando un dialogo onesto con il pubblico.

Un’apertura e una profondità che trovano testimonianza anche nel percorso di due talenti la cui strada si è incrociata con la stagione teatrale del LAC, sempre più non solo palcoscenico per grandi compagnie, ma anche promotore di nuove drammaturgie. Catherine Bertoni de Laet, classe 1994, dopo essersi fatta apprezzare come interprete, ha esordito anche come regista e autrice con Bogdaproste - che dio perdoni le tue morti, presentato lo scorso ottobre nell’ambito del Fit Festival che proprio alle scritture femminili ha dedicato la sua 31esima edizione. Un lavoro, quello di Catherine, che si confronta con questioni di identità e appartenenza fondanti, a partire da una personalissima, per quanto universale negli esiti, rielaborazione del mito di Medea, nella sua dialettica tra forza creatrice e annientatrice. È invece la libertà, con le sue aporie, il tema al centro degli ultimi lavori di Francesca Garolla, anche lei in più occasioni al LAC. Dal suo esordio come dramaturg nel 2004, ha inaugurato una carriera estremamente interessante affermandosi anche come autrice, regista, direttrice artistica del Teatro i di Milano, in un arricchimento reciproco tra i suoi diversi ruoli che comprendono anche quello di formatrice. Per entrambe, l’approdo al teatro è stato dettato da un ineludibile bisogno esistenziale. L’inizio di un viaggio appassionante quanto esigente.

«Non avrei mai pensato che il teatro sarebbe diventato la mia scelta professionale e di vita, anche se da quando sono andata in collegio a Perugia a 11 anni fino alla maturità ho sempre frequentato dei corsi, respirandone tutto il fascino grazie al Teatro della Sapienza che si trova in quella struttura storica. Un percorso scientifico mi dava però l’impressione di soddisfare meglio la mia urgenza di risposte. Ma quando sono tornata in Belgio, mio paese di origine, a studiare

medicina, ho capito che non le avrei trovate in un ambiente così asettico e razionale: dovevo accettare il rischio di lanciarmi in un’indagine più antropologica e umana, che toccasse anche le questioni del mito», confessa Catherine Bertoni de Laet.

Mamma belga e papà genovese, ha svolto la sua formazione artistica a Roma, per poi diplomarsi alla Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano. Sul suo percorso ha incontrato Carmelo Rifici, direttore artistico del LAC, con il quale ha poi collaborato in diverse occasioni, come attrice e

94 PERCORSI DI SUSANNA CATTANEO

assistente alla regia. La abbiamo appena vista fra i protagonisti di Processo Galileo, diretto a quattro mani da Rifici con Andrea De Rosa, che ha debuttato a Lugano a inizio novembre, dove interpreta Angela, giovane ricercatrice che si scontra con la difficoltà di conciliare quanto le trasmette la tradizionale religiosa contadina da cui proviene con le chiavi di lettura del mondo odierno che le offre un progresso tecnico e scientifico non privo di minacce. Un ruolo perfetto per lei. Perché la ricerca è la sua vocazione e, seppur così giovane, l’ambizione e la maturità del suo primo lavoro

da autrice e regista, Bogdaproste, lo confermano. «Non nego una matrice biografica nella mia predisposizione ad aprirmi a linguaggi meno immediati e confrontarmi con questioni come il tempo, la morte e la violenza. Il teatro dà la possibilità di entrare in dialogo con quei ‘fantasmi’ che a loro modo abitano ciascuno di noi», osserva Catherine. Il lavoro a quattro mani con il collega Francesco Maruccia è stato fondamentale per costruire una struttura drammaturgica che la aiutasse a canalizzare questi impulsi. «Inizialmente non avevamo intenzione di ribaltare il mito di Medea, ma il

PARADIGMI TEATRALI

Nuovi
La nuova scena drammaturgica sembra sempre più animata da un’urgenza di autenticità, che risponde alla necessità di indagare i significati più profondi del vivere, le sue contraddizioni e le sue incognite, ampliando la gamma di linguaggi da sperimentare
PERCORSI

Da sempre la parola è per me il principale strumento di dialogo con l’altro e con altri tempi, attraverso la letteratura teatrale e non. Ma desidero anche esplorare ulteriori linguaggi per una prossima opera, in cui più che un mito, mi piacerebbe ribaltare me stessa

desiderio di partire da questa figura di donna-madre, custode di una sapienza occulta, magica, pericolosa. Una violenza primigenia e creatrice su cui, dal presente, portano lo sguardo i quattro figli, facendo i conti con le ferite che ha lasciato impresse nella carne delle loro esistenze», spiega la regista. Essere a sua volta attrice le permette di dirigere con sensibilità, consapevole di quanto ci si senta esposti in scena. La parola è la grande protagonista. «Da sempre è per me il principale strumento di dialogo con l’altro e con altri tempi, attraverso la letteratura teatrale e non. Ci siamo spinti anche in una zona più onirica, facendo un uso simbolico della parola per evocare immagini in apparenza prive di senso logico: un incastro di tentativi di dare forma a ricordi, violenze, giocando su diversi livelli di significato». C’era inoltre in scena un pianoforte, altra sua passione, elemento centrale anche in Processo Galileo. «Quando concluderò i miei attuali impegni ho già previsto un periodo a Bruxelles, non solo per salutare i nonni, ma anche per avere il tempo di esplorare ulteriori linguaggi e trovare ispirazione per una prossima opera, in cui più che ribaltare un mito, mi piacerebbe ribaltare me stessa», anticipa Catherine Bertoni de Laet.

Che Francesca Garolla prima di dedicarsi al teatro abbia avuto una parentesi di studi in filosofia emerge con chiarezza dalla sua scrittura che si può definire ‘politica’: non tanto perché vicina al teatro civile di denuncia, ma nella sua vocazione a provocare una riflessione nello spettatore, mettendo in crisi i principi acquisiti sfruttando la dimensione del possibile che il teatro offre. Lo illustra chiaramente la sua trilogia dedicata alla libertà: «È un concetto complesso che mi interessava indagare nelle sue molteplici implicazioni. Cosa significa infatti essere liberi? Poter fare qualsiasi cosa? È lecita dunque anche una libertà ‘crudele’?

Quali sono i condizionamenti che ci limitano? In Se ci fosse luce, lavoro che arriverà al LAC il prossimo 23 aprile, analizzo ad esempio il tema del libero arbitrio e delle sue conseguenze partendo dalla famosa telefonata tra Valerio Morucci e Francesco Tritto, che annuncia la morte di Aldo Moro. Attraverso una struttura che trasfigura le fasi di un processo, cerco di comprendere cosa accade dopo una libera scelta: quando delle idee rimangono fatti e degli atti rimangono le conseguenze, tra responsabilità individuale e collettiva», illustra Francesca Garolla.

Dopo aver mosso i primi passi prestando la sua penna agli altri, in particolare come dramaturg, una figura che si colloca tra il testo e la messa in scena cercando di coadiuvare il regista, ha deciso di dar voce

SOPRA, DA SINISTRA, LE DUE ANIME DI CATHERINE BERTONI DE LAET: INTENSA INTERPRETE IN PROCESSO GALILEO DI ANDREA DE ROSA E CARMELO RIFICI, E AUTRICE E REGISTA DI BOGDAPROSTE, PRESENTATO IN ANTEPRIMA AL LAC PER IL FIT FESTIVAL A DESTRA, UN MOMENTO DI TU ES LIBRE, OPERA IN CUI L’AUTRICE E REGISTA FRANCESCA GAROLLA RIFLETTE SULLA LIBERTÀ E LE SUE IMPLICAZIONI

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© LACFoto Masiar Pasquali
© LACFoto Luca Del Pia

alla sua passione per la scrittura e ai suoi studi in regia all’Accademia d’arte drammatica Paolo Grassi, lavorando a opere sue. «Il mio primo lavoro ha trovato un’accoglienza fredda, ma non mi sono fatta abbattere. Un traduttore francese, colpito dalla mia seconda opera, l’ha proposta al progetto Face à face, un programma di promozione del teatro italiano in Francia. Da qui si è aperta la possibilità di usufruire di residenze artistiche come le diverse che ho svolto alla La Chartreuse - Centre National des écritures du spectacle di Villeneuve Lez Avignon, dove ho scritto sia Tu es libre, fra il 2016 e il 2017, che parla di una libertà assoluta, sia Per la Vita, che ha concluso nel 2022, dove invece la libertà è volontariamente rinnegata. Nel corso degli anni, tutti i miei testi sono stati tradotti in francese e ho avuto la grande soddisfazione di vedere alcuni miei lavori segnalati dalla Comédie Française. Una strada inaspettata, che mi ha permesso di accedere a una drammaturgia anche molto diversa da quella italiana per temi, forme e scrittura, legittimandomi a sperimentare e a capire meglio il mio processo creativo», sottolinea.

Processo che, al contrario di quanto consueto, per Francesca Garolla è innescato dall’identificazione di un tema su cui riflettere, come è stato il caso della libertà, per poi individuare la formula che le permette di esplicarlo e portarlo in scena.

Parte integrante del suo impegno è la scoperta di autori e registi ai margini della scena, con l’obiettivo di

dare visibilità a un immenso patrimonio sommerso. Un intento che ha animato la sua direzione artistica al Teatro i, legato per vocazione alla promozione della drammaturgia contemporanea. In quest’ottica è attiva anche come formatrice, sia di aspiranti autori e registi, sia di professionisti, aiutando ciascuno a identificare il ‘suo possibile’. «Grazie alla mia visione sull’evoluzione della scena drammaturgica anche più marginale rispetto alle grandi produzioni, ho potuto osservare come negli ultimi anni si sia sviluppata anche in Italia una grande varietà di forme e linguaggi, mentre prima la scrittura era molto più convenzionale, dialogica, spesso ripiegata su un microcosmo familiare. Paradossalmente questa diversificazione mi sembra aumentata dopo la pandemia. Pur rinchiusi nei nostri universi domestici, abbiamo vissuto una rara esperienza collettiva che sembra aver stimolato la necessità di astrarsi dalla propria condizione per proiettarsi su altre tematiche, ampliando l’orizzonte di indagine. Lo si coglie anche dal punto di vista formale, con spazio a forme non canoniche: il frammento, il flusso di coscienza, la poesia… Proprio da questa possibilità di sperimentare la gamma di infinite possibilità che il teatro offre, viene una grandissima creatività che mi auguro si sviluppi ulteriormente», conclude Francesca Garolla. Un teatro dunque sempre più luogo dei possibili, da intendersi come spazio di pluralità espressiva in cui interrogarsi e interrogare, innescando un processo che possa sfondare la quarta parete e dal palcoscenico portare la potenza di riflessioni che mettano in discussione la rappresentazione convenzionale a cui, in questa nostra epoca, la vita troppo spesso finisce per assomigliare.

Quello della libertà è un concetto complesso, che con la mia trilogia ho voluto indagare nelle sue molteplici implicazioni.
In “Se ci fosse luce”, lavoro che arriverà al LAC il prossimo 23 aprile, analizzo il tema del libero arbitrio e delle sue conseguenze
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Francesca Garolla autrice, dramaturg e regista teatrale
© Laila Pozzo
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© Foto Luca Del Pia

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Un concetto di salute olistico: fisica, psicologica, sociale e spirituale. È questa la dimensione del benessere, corpo e anima, a 360 gradi. Che acquisisce sempre più importanza, mentre la sensibilità verso i temi della sostenibilità e della qualità di vita fanno breccia non solo nelle nuove generazioni. Per una società sempre più stressata e china sugli schermi delle sue tecnologie, diventa essenziale poter ristabilire l’equilibrio, decontrarsi dalle tensioni quotidiane, ritrovare la tonicità fisica e mentale.

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E STILE, CON GLI ELEGANTI INTERNI

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STORICO VICTORIA-JUNGFRAU GRAND HOTEL

©
di
PERCORSI 100
Kulm Hotel
St. Moritz
© Victoria-Jungfrau Grand Hotel & Spa © Victoria-Jungfrau Grand Hotel & Spa © Tamina Therme

IN QUESTA PAGINA, THE CHEDI ANDERMATT, APPENA NOMINATO MIGLIOR HOTEL INVERNALE

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© The Chedi Andermatt 102
© The Chedi Andermatt

speciali per migliorare la circolazione, aumentare l’idratazione intensiva e attivare i processi di disintossicazione per ottenere una pelle vellutata, soda e profondamente idratata. Bagni di erbe o alghe, ricche di potenti antiossidanti e minerali, possono aiutare a rilasciare le tossine, tonificare e alleviare fastidi muscolari. Sempre di ispirazione rimane l’Oriente, sia per le cure beauty che per i massaggi, ad esempio i movimenti fluidi ispirati ai metodi di guarigione polinesiani, con oli caldi e profumati, o le tecniche più energiche come il tradizionale massaggio tailandese che stimola i flussi energetici lungo i meridiani di collegamento del corpo. Sempre validi il classico drenaggio linfatico e la riflessologia plantare. Allo stato dell’arte anche l’offerta fitness con sessioni di personal training, attrezzature di ultima generazione e gli immancabili pilates e yoga che aprono alla mindfulness. A conquistare è l’aspetto esperienziale e la qualità medicale, che raggiunge i migliori risultati - e i più piacevoli - quando la simbiosi fra Spa e struttura alberghiera è perfetta, coniugando l’offerta benessere ai servizi di hôtellerie cinque stelle, come accade nelle località sciistiche più famose, St. Moritz in testa. Altrettanto importante è la qualità architettonica, dalla scelta dei materiali all’uso della luce. Tutto all’insegna della sostenibilità, che di questo genere di struttura è la filosofia di ispirazione: stabilire una connessione con il paesaggio, valorizzando l’energia del luogo. Immense vetrate creano un’osmosi tra interni ed esterni per favorire la circolazione spirituale. Grandi classici come Baden, con il nuovo Fortyseven disegnato da Mario Botta, Leukerbad, Bad Ragaz o l’elegantissimo il Victoria-Jungfrau Grand Hotel & Spa, nel cuore dell’Oberland bernese, con oltre 150 anni di storia e un’area wellness di 5.500 mq in stile boudoir degli anni ’40. Molto più recente, ma già in grado di issarsi ai vertici, The Chedi Andermatt, il cinque stelle

IN QUESTA PAGINA, SOTTO VOLTE SECOLARI, L’AREA TERMALE DELL’HÜRLIMANNBAD & SPA DI ZURIGO, APPENA RINNOVATA. LE SUE SALE RIEVOCANO IL PASSATO DI EX BIRRERIA

© Aqua Spa Resorts © Aqua Spa Resorts
PERCORSI

lusso del Canton Uri che, a nemmeno un decennio dall’inaugurazione, ha appena arricchito il suo palmarès con il titolo di miglior hotel invernale della Svizzera attribuito dalla celebre classifica della Sonntagszeitung. È considerato uno dei migliori Spa hotel in Svizzera, con un’ampia piscina, saune e Tibetan Relaxation Lounge. Progettare una Spa richiede grande competenza. Così il magnifico resort cittadino The Dolder Grand sullo Zürichberg, con vista su città, lago e Alpi, quando nel 2004 ha deciso di rinnovare la sua Spa si è affidato a una delle più note designer specializzate, Sylvia Sepielli, americana di origini siciliane. Situata in una delle nuove ali progettate da Lord Norman Foster, con la sua Spa è riuscita nella sfida di interpretare il connubio fra la tradizione di questo ottocentesco castello da favola e la sua offerta all’avanguardia. Sylvia si è ispirata al Giappone, dove ha trascorso un intero decennio, che ha contribuito a plasmare la sua concezione di benessere, il suo senso estetico e la ricerca della mindfulness. Seconda musa, ovviamente, la Svizzera. Sempre a Zurigo, una scoperta è l’Hürlimannbad & Spa, appena riprogettato. Suggestiva l’area termale sotto volte secolari. Le sale rievocano il passato di ex birreria, la piscina sul tetto offre una spettacolare vista panoramica sulla città.

Fra le strutture firmate da grandi architetti, un gioiellino sono le terme di Vals: il verde delle 60mila lastre di quarzite locale impiegate si fonde con i riflessi dell’acqua e i giochi di luce naturale, trasformando le 7132 Therme in un mistico luogo di pace, tra i più rappresentativi dell’architetto svizzero Peter Zumthor. Appartiene sempre alla categoria degli Spa hotel design un’altra creazione del ticinese Mario Botta, il Tschuggen Bergoase, punto di riferimento del Grand Hotel Tschuggen e di Arosa. Incastonate sulle pendici della montagna tra cielo e terra, le sue vele filigranate di vetro e acciaio inondano i quattro piani di luce e prospettive panoramiche. Leggerezza, comfort, lusso non ostentato e design armonioso si fondono con l’aura della pietra e dell’acqua invitando al relax.

IN QUESTA PAGINA, IL MAGNIFICO RESORT CITTADINO THE DOLDER GRAND SULLO ZÜRICHBERG. LA SPA ISPIRATA ALL’ESTETICA GIAPPONESE PROGETTATA DALLA DESIGNER SYLVIA SEPIELLI SI INSERISCE NELLA STRUTTURA DEL CASTELLO OTTOCENTESCO, RINNOVATO DA LORD NORMAN FOSTER

©The Dolder Grand Hotel ©The Dolder Grand Hotel
PERCORSI

Sono solo alcune delle tante possibili destinazioni del benessere premium in Svizzera. Per momenti di sano egoismo. Le vacanze in Spa sono diventate di tendenza anche fra i Millennial, oggi che il wellbeing viene messo al centro di vita professionale e privata. Un mainstream che però deve rimanere sempre esclusivo per mantenere il suo appeal.

IN QUESTA PAGINA, HOTEL E DESIGN SOPRA, INCASTONATE SULLE PENDICI DELLA MONTAGNA TRA CIELO E TERRA, LE VELE IN VETRO E ACCIAIO DEL TSCHUGGEN BERGOASE DI AROSA, PROGETTATO DA MARIO BOTTA A SINISTRA, LA QUARZITE LOCALE SI FONDE CON I RIFLESSI DELL’ACQUA NELLE TERME DI VALS, CREAZIONE DELLO SVIZZERO PETER ZUMTHOR. FANNO PARTE DEL COMPLESSO 7132 THERME, TEMPIO DEGLI AMANTI DELL’ARCHITETTURA

© Tschuggen Bergoase
© Global Image Creation – 7132 Hotel, Vals
PERCORSI

Subaru Solterra

Suv di dimensioni importanti, la Subaru Solterra è alta abbastanza da affrontare con nonchalance anche tratti impegnativi in fuoristrada. Le forme morbide e muscolose di paraurti e mascherina garantiscono una bella presenza. Accattivanti i fari con le luci diurne led a forma di C e caratteristiche le protezioni in plastica che corrono lungo la carrozzeria: si capisce subito che all’evenienza è pronta a sporcarsi le ruote. Al centro della consolle, lo schermo dell’infotainment da 12,3” raccoglie tutte le informazioni relative alla multimedialità e alla navigazione, con una superficie in piano black curata. I materiali di rivestimento sono tutti di buona fattura, così come è ottima l’organizzazione degli spazi. Tantissimo spazio per cinque passeggeri. Il bagagliaio ha una capacità minima di 421 litri, che salgono abbattendo gli schienali posteriori. Il sistema X-Mode, in base al terreno su cui si procede, gestisce la ripartizione della coppia per avere sempre la massima presa. Nelle discese e nelle salite più impegnative, molto utile il Grip Control, che può essere impostato su cinque livelli permettendo al guidatore di concentrarsi solo sullo sterzo e non su acceleratore e freno.

L’INVERNO si fa STRADA

Nei mesi più freddi dell’anno, sicurezza e confort alla guida diventano ancora più importanti. E anche l’offerta di motorizzazioni alternative, sostenibili e che ottimizzino i consumi in questo periodo emergenza energetica
PERCORSI DI CLAUS WINTERHALTER 106

Kia EV6

Premiata “Auto dell’anno 2022”, la Kia EV6 cattura lo sguardo con un’estetica mozzafiato che combina i tratti di un crossover rialzato con le sportive di un certo livello. All’interno, digital cockpit e schermo dell’infotainment da 12,3” sono inglobati in un unico display curvo e sono abbinati all’head-up display per il parabrezza e a diverse funzionalità.

Toyota Corolla Cross

Completano

l’atmosfera i rivestimenti dei sedili in plastica riciclata, che sposano la strategia green di questo modello e del marchio Kia. Offre possibilità di ricarica ultra-veloce, che sfrutta le colonnine da 400V in grado di ripristinare 100 km di autonomia in soli cinque minuti. Il posto guida è confortevole con una strumentazione avvolgente e completa senza essere ridondante. Visibilità perfetta e lo spazio è davvero generoso sia davanti che dietro.

La nuova Toyota Corolla Cross, Suv pratico e compatto è l’ideale per affrontare la quotidianità familiare. Fari anteriori sono bi-Led di serie su tutti gli allestimenti; fanali posteriori con disegno a effetto tridimensionale tra il portellone e le fiancate. La quinta generazione della propulsione ibrida che debutta ssu questo modello migliora prestazioni e consumi, con un’esperienza di guida più fluida e ri-

lassante. Il sistema fa lavorare di più il motore elettrico e sfrutta in maniera più precisa la decelerazione per recuperare energia, interpretando meglio le intenzioni di chi guida. Dotata di software aggiornati allo stato dell’arte, strumentazione digitale, multimedia e infotainment, monta anche nuove telecamere e radar, per un campo visivo più largo e profondo e maggior più velocità nelle reazioni a corto raggio. Esclusiva la nuova garanzia gratuita di 10 anni, incluso pacchetto aggiuntivo Assistance 24/7.

PERCORSI 107

SÌ, VIAGGIARE

Una libertà mentale, ancor prima che di spostamento. Con entusiasmo, si è tornati a viaggiare: per scoprire nuovi orizzonti e per riscoprirsi

Viaggiare per: evadere dalla quotidianità, rilassarsi e ricaricare le pile; vivere una nuova esperienza di vita, scoprire culture diverse e arricchirsi incontrando altre realtà e persone; andare alla ricerca dell’avventura e dell’adrenalina, lasciarsi sorprendere, vivere più vite o ritrovare la propria identità… infinite sono le motivazioni per mettersi in viaggio, come le possibili destinazioni e quasi sempre si scoprirà che non sono le persone a fare i viaggi, ma i viaggi che fanno le persone. Dopo essere stati fortemente limitati nelle scelte delle destinazioni per un paio di anni, in questo 2022 si è iniziata a ritrovare una libertà che, ancor prima che di spostamento, è mentale. Scegliere e assaporare.

«Sono molti gli svizzeri che desiderano trascorrere le proprie vacanze all’estero. La voglia di scoprire nuovi Paesi e culture, di sentire la sabbia calda sotto i piedi o semplicemente vedere qualcosa di diverso dai pur bellissimi paesaggi di casa è sicuramente presente. In particolare, di recente abbiamo notato un aumento della domanda di viaggi a lungo raggio, pur non essen-

do ancora tornati ai livelli antecedenti la pandemia», commenta Nicole Pfammatter, Ceo di Hotelplan Suisse, il più grande tour operator svizzero, con 83 succursali sul territorio. Tuttavia, la domanda non è ancora allo stesso livello del 2019. «Attualmente, le destinazioni lontane più popolari sono le Maldive, Mauritius, Phuket e Punta Cana. Anche Costa Rica e Tanzania sono in cima alla lista. Questi due Paesi hanno registrato un’impennata di interesse proprio durante la pandemia, dal momento che hanno posto meno restrizioni sugli ingressi e ora stanno consolidando il favore acquisito. Per le prossime vacanze invernali sono molto richieste le Canarie, Egitto, Stati Uniti e Tailandia, destinazioni da sempre di grande moda», spiega la Ceo di Hotelplan Suisse che riscuote anche molto interesse per i suoi pacchetti sciistici in Svizzera - una combinazione di hotel e skipass.

È presto per capire in quale misura l’inflazione, lla crisi energetica o l’incerto sviluppo della pandemia influenzeranno la prossima stagione, con prenotazioni che rimangono ancora prudenti per le mete più lontane. Da coloro che non cercano solo vacanze al mare, sono sempre più apprezzate proposte all’insegna

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del contatto autentico con la natura: avventure in camper, viaggi lenti e sostenibili oppure la ricerca di un’esperienza unica, il “viaggio di una vita”, che poi per ciascuno corrisponde a un diverso sogno: visitare le vaste distese artiche della Groenlandia dove regna solo il silenzio, nuotare con le megattere delle 172 isole del regno di Tonga, in Polinesia, fare trekking sull’Himalaya, un safari aereo nel paradiso naturale del Botswana… Il lusso, alla fine, sta nel momento presente e nella felicità che porta con sé. «Che per me, è vicino a casa. Amo trascorrere ogni anno del tempo sulle montagne svizzere. Dopo Natale vado sempre per quindici giorni a Bettmeralp, stazione di villeggiatura alle porte del ghiacciaio dell’Aletsch, in Vallese. Trascorro la prima settimana di pure vacanze, la seguente lavoro di mattina e scio nel pomeriggio. La mia meta di viaggio preferita all’estero è invece la Grecia, con la sua ricchezza storica e le diverse isole con le bellissime spiagge sabbiose e le baie romantiche», conclude Nicole Pfammatter, proponendo quattro suggerimenti di destinazioni nelle prossime festività: da Vienna con la magnificenza imperiale dei suoi monumenti ai lussureggianti parchi naturali del Costa Rica; dall’atmosfera autenticamente natalizia della Lapponia ai safari nel cuore africano della Tanzania.

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SOPRA, PAESAGGI MOZZAFIATO ANCHE PER LA SVIZZERA, CON LA SONTUOSA ALETSCH ARENA SOTTO, NICOLE PFAMMATTER, CEO DI HOTELPLAN SUISSE © Aletsch Arena, Photo Frédéric Huber

VIENNA, VALZER IMPERIALE

Sono trascorsi 150 anni dall’Esposizione Universale del 1873, ricorrenza che Vienna festeggerà in grande stile con una serie di inaugurazioni e riaperture da tempo attese di luoghi iconici, mostre e appuntamenti lungo tutto il 2023. Malgrado le varie difficoltà che segnarono all’epoca l’evento, a partire dal temporale che ne compromise la cerimonia di inaugurazione, per la capitale imperiale l’Esposizione rappresentò il motore che ne fece una metropoli cosmopolita diventando un punto focale della modernità economica, culturale, politica, sociale e tecnica. Fu anche l’inizio del moderno turismo cittadino, con un boom di hotel, tuttora di grande fascino, simile a quello che si sta vivendo oggi, con innumerevoli nuove aperture.

L’anno di celebrazioni partirà in primavera con la nuova attrazione Panorama Vienna, dove saranno messe in mostra opere d’arte sotto forma di enormi panorami analogici a 360 gradi. Reinterpreta la tradizione delle rotonde del Prater, edifici rotondi all’interno dei quali venivano organizzati spettacoli per il popolo. Quella in cui si tenne l’Esposizione Universale era all’epoca, con un diametro di 108 metri, l’edificio a cupola più grande del mondo, poi distrutto da un incendio nel 1937.

L’anno di festeggiamenti si concluderà a dicembre con la riapertura in grande stile del Wien Museum dopo diversi anni di ristrutturazione e ampliamento. La sua collezione fu avviata proprio in vista dell’Esposizione Universale di Vienna. Festeggia 150 anni anche un’altra istituzione viennese, il Café Landtmann, fra i pochi dei leggendari 27 che originariamente costeggiavano la Ringstrasse. Quando venne costruito, fu una scommessa visto che la strada era ancora solo un cantiere: ma lungo gli oltre 5 chilometri del suo anello sarebbero sorti i palazzi più stupefacenti e maestosi d’Austria in un valzer di stili architettonici che ancora oggi lascia senza fiato.

LAPPONIA, LA MAGIA DEL NORD

Fra Svezia, Finlandia, Norvegia e la penisola di Kola, in Russia, la Lapponia ha un’anima nordica che si tinge di diverse identità.

È la terra dei Sami, allevatori di renne, suddivisi nelle quattro nazioni in cui vivono. Una terra leggendaria, all’interno del Circolo Polare Artico, dove si passa dalle 24 ore di luce di giugno alla notte perenne nel mese di dicembre. Il silenzio delle foreste innevate, mari e laghi ghiacciati, le rapsodie delle aurore boreali… sembra di ritrovarsi in una boule à neige, di quelle che a scuoterle ti cade addosso l’infanzia.

Se poi si fa un salto al Santa Claus Village di Rovaniemi, capoluogo in area finlandese, l’immersione è totale. Nella patria di Babbo Natale sono questi invernali, malgrado temperature che possono arrivare a meno 40 gradi, i mesi più amati: quelli dei mercatini, del profumo speziato del glögg accompagnato dai biscotti allo zenzero, alle finestre i tipici candelabri dell’avvento.

Da Rovaniemi partono i safari artici pianure innevate lapponi: l’ebbrezza di sfrecciare in un paesaggio da fiaba su una slitta trainata dagli husky - o in motoslitta per i meno romantici. Splendida, sempre nella Lapponia finlandese, la zona attorno al villaggio di Inari, una delle destinazioni migliori al mondo per ammirare lo spettacolo dell’aurora boreale. Per approfondire la storia e la cultura sami, di cui a Inari si parlano ben tre varianti, e il suo unico legame con la natura, è d’obbligo una visita al Museo Siida, che ospita anche il Centro Naturalistico della Lapponia settentrionale. Per concludere? Niente di meglio che una bella sauna. Un rituale essenziale per i lapponi, che spesso ne hanno anche una in casa o nei loro cottage estivi. Per i turisti ci sono proposte imperdibili: dalla tradizionale a fumo, in legno con fangoterapia, fra pareti di ghiaccio e neve, alla variante in funivia… per ritemprarsi dalle rigide temperature esterne in tutto relax.

TANZANIA, LA NATURA DÀ SPETTACOLO

Nazione povera e travagliata, la Tanzania offre però alcuni angoli di natura tra i più ricchi del continente africano.

L’ecosistema Parco Nazionale del Serengeti, che nella lingua dei masai significa “pianura sconfinata” è uno dei più antichi del mondo, senza eguali per la sua bellezza naturale e il suo valore scientifico. Sui suoi quasi 15mila chilometri quadrati, conta due siti del patrimonio mondiale e due riserve della biosfera. Qui si svolge il più grande spettacolo di fauna selvatica sulla terra: la grande migrazione di gnu e zebre, oltre 1 milione di animali in transito, dalle colline settentrionali alle pianure meridionali in autunno, verso ovest e nord dopo le lunghe piogge primaverili. Da osservare anche dall’alto, grazie alla possibilità di un volo in mongolfiera.

Safari, trekking e splendidi viaggi naturalistici anche nel Parco Nazionale del Kilimangiaro: situato a nordest della Tanzania, grazie alla varietà delle sue quattro zone (foresta pluviale, brughiera, deserto l’alta quota, sommitale) ospita migliaia di specie animali e vegetali. Oltre ad essere la montagna più alta dell’Africa, con i suoi 5896, è anche uno dei vulcani più elevati del mondo. La scalata, che richiede almeno 5 giorni, deve essere compiuta con guida e sherpa, ma in teoria è accessibile a tutti a patto di una buona condizione fisica. Un altro must è il Cratere del Ngorongoro, estesa e ininterrotta caldera vulcanica, popolata da un’incredibile varietà di animali simbolo del continente.

Tutti i voli internazionali per la Tanzania atterrano a Zanzibar City, capitale dell’omonimo arcipelago. Prima di lanciarsi alla scoperta della natura, si può cominciare da qui, con una visita a Stone Town, il quartiere più antico, un intrico di stradine estremamente suggestivo con il suo mix di influenze culturali: tratti africani, mediorientali, persiani e asiatici, tracce della colonizzazione portoghese e britannica.

Emblematici della cultura locale, i portoni in legno splendidamente intarsiati, secondo alcune stime, oltre 500. Una sorta di enciclopedia dell’arcipelago la offre il museo collocato nel Palazzo delle Meraviglie, la più grande struttura architettonica di Zanzibar, direttamente affacciato sul mare vicino al Forte arabo.

COSTA RICA, PARADISO TERRESTRE

Scenari unici e incontaminati: i parchi nazionali in Costa Rica offrono un paradiso terrestre. Foresta pluviale, una vegetazione tropicale rigogliosa, animali di ogni specie, … Il ritorno a una natura primigenia. Non solo da ammirare e fotografare.

Il Parco nazionale Arenal offre un’incredibile varietà di attività: zip-line, rafting, canoa o canyoning oltre che, naturalmente, visitare le terme, le cui acque sono riscaldate dal vulcano Arenal.

Uno degli hot spot mondiali della biodiversità è la Riserva di Monteverde, con oltre 100 specie di mammiferi, 400 di uccelli, 6000 di insetti e 2500 specie vegetali. Poi, il Parco Nazionale Cahuita, l’oasi selvaggia dell’Isola del Coco, Patrimonio naturale dell’Umanità, il Parco Nazionale Manuel Antonio, a Quepos, … Tra i più emozionanti, il Parco del Corcovado, che occupa buona parte di una penisola in provincia di Punta Arenas: si può percorrere solo a piedi, attraversando paludi, boschi e una foresta tropicale in cui vivono formichieri, felini e gufi dagli occhiali e la più maggioree colonia costaricana di pappagalli Ara Macao. Lungo la costa caraibica, il Tortuguero National Park è tra i più visitati in Costa Rica, in particolare per assistere alla nidificazione delle tartarughe marine. Uno dei più giovani Parchi nazionali del Paese è quello di Tenorio all’interno della catena montuosa vulcanica di Guanacaste. Flora a fauna prorompenti, ma la principale attrazione è il punto di congiunzione del Rio Buena Vista con il Quebrada Agria, che si uniscono per creare il Río Celeste dalle acque di un intenso colore azzurro. La leggenda racconta che quando Dio terminò di dipingere il cielo, sciacquò i suoi pennelli in un fiume, dando così il colore del Río Celeste. Dall’acqua al fuoco, con i vulcani. Imperdibili sulla Cordigliera vulcanica centrale, il Poás, uno dei crateri geiser più grandi del mondo, circa 1,32 km di diametro, e l’Irazù: dall’alto dei suoi 3.432 metri, quando il tempo è sereno, permette di vedere i due Oceani. Ma il Costa Rica è altrettanto spiagge meravigliose, in parte affacciate sulle acque cristalline del Mar dei Caraibi, in parte lungo la costa dell’Oceano Pacifico. Fra queste l’ormai mitica Playa Tamarindo, la più nota per il surf e per la fama di località festaiola.

MODA E ACCESSORI

5 Progress, Alberta Ferretti, Antonio Valenti, D. Pancheri, Daniela Drei, Manuel Del Rei, Nervure, THEMOIRè

OROLOGI & GIOIELLI

Bvlgari, Breguet, Damiani, Gübelin, Omega, Patek Philippe, Piaget, Scavia, Van Cleef & Arpels

BEAUTY

Chanel, Hermès, Sisley

ABITARE

Acqua di Parma, B&B Italia, Baccarat, Bitossi, Cassina, Flos, Gabel, Gucci, Hermès Maison, Kartell, Knoll, Moroso, NsonMoretti, Poliform, Rugiano, Sambonet, Tom Dixon, Venini

BOUTIQUE & PUNTI DI VENDITA

Aimo Room, Contrada di Sassello, Lugano • Arredo Più International, Via F. Pelli 5, Lugano • Bucherer, Via Nassa 56, Lugano

Cartier, Piazzetta Emilio Maraini 1 • Dahra, Via della Posta 2/3, 6900 Lugano • Delcò Mobili, Via Gorelle 1, Sant’Antonino

Gold Time, Via Luvini 4, Lugano e Piazza Indipendenza, Chiasso • Gübelin, Via Nassa 27, Lugano • Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano

Irina Schrotter, Via Nassa 64, 6900 Lugano • King Boutique, Via Nassa 54, 6900 Lugano Kurz, Via Nassa 5, Lugano • Mersmann, Via Nassa 5, Lugano Monn, Chiasso, Lugano, Bellinzona, Locarno • Nassadonna, Piazza Luini, 6900 Lugano • Rocca 1794, Via Nassa 4, Lugano

Rugiano Showroom, Via Pelli, 12, Lugano

Salvioni Lugano, Via Pelli 2 e Via Trevano 15, Lugano • Scavia, Via Nassa 29, Lugano

Nadja Kovacevic

Photography

Giorgia Ghezzi Panzera

Produzione

PetraPeter.com

Styling

Margherita Sulmoni Make

Silvia Ferrara,

CHI • COSA • DOVE IMPRESSUM

Editore

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Redazione via lavizzari 4 - 6900 lugano

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Gioielli Damiani

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