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In Italia l’inflazione vola al 3,2%, al top da 9 anni, ma per l’alimentare e il non food gli effetti li vedremo da gennaio, quando verranno rinnovati i contratti tra industria e distribuzione. A ottobre l’indice Istat relativo ai soli beni nel carrello (cioè alimentari più prodotti per la cura della persona e della casa) è salito di poco più dell’1% su base annua. L’industria ha notificato da tempo alla grande distribuzione le richieste di aumenti per il 2022 che comprendono tutte le componenti della produzione. Dal loro canto, i retailer hanno aperto la porta alla discussione, ma hanno anticipato che molte richieste sono speculative. Esselunga ha fatto di più: ha dichiarato che non aumenterà i prezzi nei prossimi 12 mesi (specie quelli ingiustificati) e anzi li taglierà per 1.500 prodotti. Con o senza la collaborazione dei fornitori. Intanto gli italiani hanno messo mano al portafogli per maggiori esborsi per carburanti (+25% su base annuale), bollette delle utenze domestiche e i beni più sensibili alla variazione dei prezzi. Il Codacons stima per l’anno prossimo una stangata di 922 euro su base annua per la famiglia tipo. Il rialzo dei prezzi al dettaglio dei beni di prima necessità eroderà il potere d’acquisto delle famiglie determinando tagli nella spesa di ogni giorno.

SOS CONFCOMMERCIO

Secondo Confcommercio, la corsa dei prezzi negli ultimi mesi di quest’anno potrebbe ridurre i consumi delle famiglie con il rischio di impattare anche gli acquisti di Natale e rallentare la crescita nel 2022. Infatti, nell’ipotesi di un aumento medio dei prezzi del 3% si perderebbero circa 2,7 miliardi di euro di consumi che potrebbero arrivare fino a 5,3 miliardi con un’inflazione al 4%. Che fare? Centromarca e Ibc, per l’industria, e Coop-Conad e Federdistribuzione, per i distributori, hanno chiesto al Governo un tavolo di filiera che individui strumenti per mitigare l’aumento dei prezzi. Per esempio, misure fiscali, provvedimenti per la salvaguardia della competitività delle imprese e del potere d’acquisto delle famiglie, sostegno alla dinamica della domanda interna. Non risulta però arrivata nessuna convocazione. Lo scorso novembre, Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione, in una audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato ha chiesto vari provvedimenti: sostegno per le famiglie con figli piccoli introducendo una detrazione Irpef del 20% sull’acquisto dei prodotti per l’infanzia; mantenimento del cashback, rimodulandolo per i redditi medio bassi, con Isee inferiore a 40 mila euro, così da incentivare i consumi e favorire la tracciabilità dei pagamenti. Infine, Frausin ha sollecitato un intervento sul cuneo fiscale, una leva importante per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie. Il Governo ha risposto con un alleggerimento diffuso delle aliquote Irpef che dovrà essere approvato dal Parlamento.

BOMBA INFLAZIONE

Il detonatore dell’inflazione è stata la ripresa bruciante dell’economia mondiale avviata dalla scorsa estate: ha fatto impennare i costi dell’energia e delle materie prime con rincari a cascata nei trasporti. E, soprattutto, ha generato strozzature diffuse nelle filiere produttive. Il fenomeno ha dimen-

sioni internazionali, tali che nell’Eurozona l’inflazione è salita al 4,2% e negli Stati Uniti addirittura al 6%. NielsenIQ individua tra le cause dell’inflazione l’interruzione della supply chain globale, che ha causato un aumento nei costi di spedizione (+300% l’anno) senza precedenti, un’impennata dei prezzi delle materie prime (+33%) e l’aumento dei costi dell’energia (+20%). Secondo NielsenIQ questi aumenti dei costi di produzione spingeranno l’industria del largo consumo ad aumentare i prezzi a livelli mai sperimentati in oltre 20 anni. Dal loro canto, le autorità monetarie, la Banca centrale europea e la Federal Reserve, sostengono (per non alzare i tassi d’interesse e frenare la ripresa) che l’impennata dei prezzi sia un fenomeno temporaneo, ma la dichiarazione lascia perplessi gli operatori, anche perché il picco del trend rialzista dei prezzi ancora non si vede e non escludono che l’inflazione possa scappare di mano. La fiammata dei prezzi, insieme alle incertezze del futuro e alla ripartenza della pandemia, alimentano il ricordo degli anni ’70, quando l’inflazione galoppava a doppia cifra negli Stati Uniti e in Europa. Tuttavia la Bce prevede una riduzione dell’inflazione già l’anno prossimo, anche se il ritorno dei prezzi su livelli accettabili sarà più lungo di quanto previsto in precedenza. Comunque, il tasso d’inflazione, al netto dei prodotti alimentari ed energetici è sempre piuttosto basso nella zona euro, intorno al 2,1% annuo, rispetto al 4,6% degli Stati Uniti. Federdistribuzione ha chiesto sostegno per le famiglie con figli piccoli; mantenimento del cashback, rimodulandolo per i redditi medio bassi, così da incentivare i consumi e favorire la tracciabilità dei pagamenti.

I PRODUTTORI, AUMENTI INSOSTENIBILI

Per Coldiretti, i rincari sui costi di produzione sono a cascata: negli imballaggi riguardano la plastica per i vasetti dei fiori, l’acciaio per i barattoli, il vetro per i vasetti, il legno per i pallet da trasporti e la carta per le etichette dei prodotti come latte, bottiglie per olio, succhi, passate e retine per gli agrumi. Lo scorso novembre al ministero delle Politiche agricole è stato

raggiunto un accordo, tra allevatori, industria della trasformazione e grande distribuzione, per alzare il prezzo del latte di 4 centesimi. E funziona così: la grande distribuzione si impegna a riconoscere un premio “emergenza stalle” all’industria che, a sua volta, lo gira integralmente agli allevatori, sino a 3 centesimi di euro al litro di latte. Le industrie riconoscono agli allevatori un premio aggiuntivo di 1 centesimo di euro al litro di latte entro la soglia dei 41 centesimi. Dal fronte degli industriali, il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio sottolinea che «nessun rincaro è ingiustificato, ma solo la conseguenza di una situazione drammatica: l’industria alimentare non può, da sola, caricarsi di tutti gli aumenti delle materie prime. Solo per fare qualche esempio: il grano è aumentato del 100% in due anni, il mais e la soia del +70% ma intanto l’energia elettrica e il gas sono raddoppiati, i noli triplicati nell’ultimo anno». Vacondio poi aggiunge: «Finora ci siamo fatti carico del problema, ma non possiamo continuare a farlo da soli. Di questi aumenti deve farsene carico tutta la filiera alimentare affinché diventino un problema condiviso». Federalimentare ritiene inoltre che l’insufficiente e tardivo riconoscimento da parte della distribuzione moderna dei maggiori costi di produzione, legati a materie prime ed energia, comprima i margini di contribuzione dell’industria. Sul fronte operativo, l’impennata dei prezzi ha scosso persino un prodotto alimentare stabile da molti anni come il provolone. Libero Stradiotti, presidente Nessun rincaro è ingiustificato, ma solo la conseguenza di una situazione drammatica: l’industria alimentare non può, da sola, caricarsi di tutti gli aumenti delle materie prime.

del Consorzio del provolone Valpadana, lamenta che «i prezzi di mercato del nostro provolone sono fermi da anni e solo nelle ultime settimane hanno guadagnato 20 centesimi al chilogrammo a compensazione degli aumenti dei costi più recenti. I contratti con la grande distribuzione sono bloccati fino a tutto dicembre e solo nel 2022 speriamo ci riconoscano l’aumento reale dei maggiori costi. Quanto? Sarebbe già un successo se ci concedessero il 5%». Centromarca, che rappresenta l’industria di

I contratti con la grande distribuzione sono bloccati fino a tutto dicembre e solo nel 2022 speriamo ci riconoscano l’aumento reale dei maggiori costi.

marca, scrive che «è improprio e fuorviante sostenere genericamente che eventuali aumenti di listino sono ingiustificati. Riteniamo, invece, che la moderna distribuzione dovrebbe porre la massima attenzione agli effetti negativi che questa straordinaria anomalia dei mercati internazionali genera su un sistema produttivo strategico per il paese».

I RETAILER, ARGINI ERETTI

Pronta la risposta di Frausin: «È improprio che l’industria di marca cerchi di attribuire al mondo della distribuzione responsabilità sugli effetti degli aumenti dei prezzi che hanno investito alcune materie prime e l’energia. Abbiamo ribadito ripetutamente che occorre un impegno comune, con un senso di responsabilità condiviso tra tutti gli attori della filiera, per evitare il più possibile aumenti che graverebbero pesantemente sulle tasche degli italiani, in un contesto economico ancora difficile e nel quale i segnali di ripresa sono ancora deboli». E diversi distributori puntano il dito sul divario di redditività scavatosi negli ultimi dieci anni fra industria e retailer: l’ultimo rapporto Mediobanca segnala che la redditività media dell’industria alimentare è del 4,7% contro l’1,5% della distribuzione. Tra i retailer, porte sbarrate agli aumenti da parte di Esselunga, campione di efficienza e redditività (vedi servizio a parte). Mentre Giuseppe Spadaro, direttore generale del gruppo siciliano New Fdm, associato Crai-Coop, lamenta: «Siamo bombardati da richieste di aumenti dei prezzi da parte dei fornitori: +20%, +30%, +50%. A volte dicono che il prezzo lo potranno comunicare solo all’atto dell’ordine. E sempre che il fornitore abbia realmente disponibile la merce. Insomma, si tratta di contenere l’incontenibile Esamineremo una per una le richieste e vedremo se gli aumenti richiesti siano davvero rispondenti alla dinamica dell’aumento delle materie prime e dei servizi». Contro gli aumenti gonfiati di qualche fornitore, che intende approfittare Siamo bombardati da richieste di aumenti dei prezzi da parte dei fornitori: +20%, +30%, +50%. A volte dicono che il prezzo lo potranno comunicare solo all’atto dell’ordine.

della situazione per speculare, si schiera Lino Stoppani, presidente della Federazione pubblici esercizi. «Le nostre imprese – avverte – segnalano forti tensioni sui prezzi di acquisto delle materie prime e in taluni casi difficoltà di approvvigionamento. È pertanto necessario un attento presidio da parte del Governo proprio per contrastare eventuali fenomeni speculativi». Dalla super centrale d’acquisto Esd Italia, il consigliere delegato Maniele Tasca commenta: «Faremo fronte alla congiuntura con mercati internazionali divorati dalla febbre dei prezzi delle materie prime. Il ruolo della nostra centrale è di assorbire, per quanto possibile, questi rincari al fine di salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie proprio nella fase di ripartenza dei consumi. La via per centrare questo risultato è di condividere gli aumenti di listino con l’industria». Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, è dell’avviso che non si possano scaricare gli aumenti dei costi soltanto sul consumatore finale. Segnala che «ci sono fornitori che chiedono ritocchi di 4-5 punti e altri che arrivano fino a 20 punti. A volte per uno stesso prodotto, a parità di materie prime alimentari utilizzate, c’è chi chiede un aumento del 5% e chi del 15%». Secondo il manager Coop se la distribuzione dovesse trasferire gli aumenti richiesti fino allo scaffale una famiglia media spenderebbe 500 euro in più all’anno. Con la conseguenza che «si avrebbe anche un impatto negativo sull’attrattività delle grandi marche. E più consumatori andrebbero nei discount e sulle marche private».n A volte per uno stesso prodotto, a parità di materie prime alimentari utilizzate, c’è chi chiede un aumento del 5% e chi del 15%.

ESSELUNGA ABBASSA I PREZZI E ALZA LA COMPETIZIONE. SCORDAMAGLIA: STRATEGIA IRRESPONSABILE

Gabriele Villa, dg di Esselunga. Prezzi roventi, salasso per le famiglie e fuga verso il discount? Esselunga ha messo tutti d’accordo (si fa per dire) l’11 novembre scorso, con una mossa a sorpresa ha lanciato la campagna con il claim: “Il carovita sale? Noi abbassiamo i prezzi”. In un momento in cui le quotazioni di materie prime, energia, trasporti mandano in tilt industrie e distributori, il dg di Esselunga Gabriele Villa ha dichiarato a un quotidiano che «per rispondere alle esigenze delle famiglie, abbiamo individuato un paniere di 1.500 prodotti, dalla pasta al riso fino alle passate e ai prodotti per l’igiene i cui prezzi saranno tagliati fra il 4 e l’8%. Per gli altri in assortimento bloccheremo i prezzi. L’onere assunto da Esselunga è fino a 140 milioni per calmierare i prezzi nei prossimi 12 mesi. Vorremmo che tutta l’industria ci seguisse, in special modo quella grande. Noi andiamo avanti comunque, anche a costo di lasciare indietro qualcuno». Esselunga ha 5.500 fornitori ed è anche un produttore con i suoi stabilimenti di Pioltello, Biandrate e Parma. Villa ha infine rilevato di aver ricevuto richieste di aumenti del 30% per la pasta secca e dell’8% per quella fresca, del 15% per caffè e biscotti, del 10% per latte e biscotti e del 7% per lo zucchero. «Dal nostro punto di vista ingiustificati» ha concluso

C’è chi dice no L’iniziativa di Esselunga, realizzata nel pieno rispetto delle regole di mercato e della concorrenza, ha alzato l’asticella della competizione. Potendo anche contare su vendite per mq e redditività aziendale al top del settore. Ciò però ha suscitato qualche malumore. Per Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Fondazione Filiera Italia, emanazione di Coldiretti, tuona: «Grave e irresponsabile ergersi a paladini antinflazione dichiarando, attraverso campagne mediatiche, che si abbasseranno ulteriormente i prezzi di vendita, in un momento difficile per tutti, in cui le filiere agroalimentari italiane vanno incontro a un aumento di tutti i principali costi di produzione». E poi ha aggiunto: «Facile per quelle catene distributive che sostituiscono prodotti italiani con prodotti provenienti dall’estero a più basso prezzo. Auspichiamo che i consumatori non cadano in questa trappola e capiscano che il riconoscimento di un prezzo giusto consente di mantenere delle filiere nazionali in cui l’origine italiana è da sempre garanzia di maggiore qualità, sicurezza e sostenibilità». E.S.

NEGOZIAMO GLI AUMENTI OGGETTIVI, STOP AI FURBI. ESSELUNGA AGGRESSIVA

Retailer bombardati dalle richieste di aumenti da parte dei produttori, dopo le tensioni sui prezzi delle materie prime e di molti servizi. «Giusto negoziare con i fornitori gli aumenti oggettivi delle commodity – premette Marco Bordoli, amministratore delegato di Crai Secom – ma vanno anche concordati i meccanismi di revisione al ribasso qualora le quotazioni delle materie prime invertissero marcia nel corso dell’anno».

Quante richieste di aumenti avete ricevuto?

Tantissime. La stima provvisoria delle richieste di aumenti di listino vede una media ponderata generale intorno al 9%. Con punte del 15-18% e altre del 2-3%. La media ponderata mette insieme la carta igienica con i detersivi, l’olio con i surgelati e così via. Questo ci preoccupa, perché aumentare i prezzi al pubblico è un esercizio complesso. Quindi?

Stiamo ragionando su tutte le richieste: perché alcune sono legittime, altre fanno sorgere il dubbio che qualcuno voglia fare il furbo. A volte, per le stesse categorie merceologiche ci sono fornitori che chiedono 3 punti di aumento, altri 12. Alla base potrebbero esserci delle scelte di marketing piuttosto che il desiderio di guadagnare spazio competitivo, ma 4 volte tanto fanno pensare. Impensabile scaricare tutta l’inflazione sugli scaffali. Chi si farà carico dell’altra parte?

È chiaro che non diremo mai ai fornitori che non intendiamo parlare di ritocchi, sarebbe anche scorretto, ma ne stiamo parlando. Cercheremo di dividerci l’onere. E mi sembra che l’industria intelligente manifesti disponibilità a ragionarci insieme. Poi c’è un tema negoziale che valuteremo. Quali le categorie più impattate dagli aumenti, il drug o il food?

Sicuramente il food. Nel drug ci sono problemi di rincari su carta, alluminio ed energia che è trasversale. Ora si negoziano i rialzi e se nel 2022 i prezzi delle commodity invertissero la rotta, come sostengono le banche centrali?

Va deciso già oggi con l’industria. I rialzi non possono funzionare a senso unico, come le accise sulla benzina per la ricostruzione del Belice che resistono dopo oltre 50 anni dal terremoto. Quindi se a giugno gli aumenti rientrassero in larga parte ci metteremo al tavolo per riadeguare il listino al ribasso. La recente strategia tagliaprezzi di Esselunga è una condotta sleale?

Non direi sleale. Conosco la serietà delle persone che guidano l’azienda. È però evidente che si tratta di una mossa molta aggressiva, che mira a sparigliare le carte sul mercato. L’impennata dei corsi internazionali di materie prime, noli ed energia non è un’invenzione. Per questo dico che chi abbassa i prezzi è il player che ha più fieno in cascina e ha più spazio per giocare la partita sulla competizione. Bisogna però capire come reagirà l’industria all’invito di Esselunga, stante il fatto che un retailer che ha pagato la merce può praticare i prezzi che crede. E.S.

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