Up Climbing #36 - Social Climbing

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Dalla carta all’etere Dalle riviste… a Instagram! / L’assassinio della lontananza / Cinquant’anni di carta stampata verticale: quale futuro? / Alp / Andrea Gennari Daneri ITW / Meridiani Montagne / Climb&MediaMetamorfosi di uno sport ribelle / Tra carta stampata e social media alla ricerca di un limite / 8a.nu: un riferimento del web da oltre 25 anni La rivoluzione social oggi Brocchi sui Blocchi / NoGrip / Magnus: il più celebre youtuber dell’arrampicata! / Climbing Radio / Vertigini, il Podcast di Montagna e di AlpinismoTestimonianze di “socialità” Stefano Ghisolfi / I social nell’alpinismo di frontiera / Federica Mingolla / Will Bosi / Raduni: Melloblocco e Valle Orco / Daniel, El Rey Social: problemi e prospettive Social Media: Luci e Ombre / Delle comete e di quello che ne rimane / I trend attuali e futuri dei social / Arrampicarsi sugli specchi: narcisismo in verticale Aziende e Social Media Dalle aziende alla comunità Proposte Arrampicare in Kazachistan Personaggi Katherine Choong ITW Jollypower Intensità, passione, e costanza, valgono di più del protocollo Il graffio Video kill the onsight stars

SUD

Scialpinismo Primavera… la stagione dello scialpinismo in quota Indoor Indoor move: il cowboy

Spectra® è un filato realizzato in polietilene ad altissimo peso molecolare, 15 volte più resistente dell’acciaio.

Altamente resistente a strappi e abrasioni ma anche elastico e leggero, non assorbe l’acqua ed è molto traspirante favorendo la naturale termoregolazione corporea.

Queste caratteristiche tecniche lo rendono il materiale perfetto per capi ultra-leggeri ma robusti, in grado di supportare climber e alpinisti nel ripetuto e continuo contatto con la roccia.

Sommario

005 Editoriale di Alberto Milani

DALLA CARTA ALL’ETERE

006 Dalle riviste… a Instagram! Come è cambiata la comunicazione in arrampicata? di Alberto Milani

010 L’assassinio della lontananza di Franco Brevini

012 Cinquant’anni di carta stampata verticale: quale futuro? di Eugenio Pesci

016 Alp di Enrico Camanni

018 Andrea Gennari Daneri ITW a cura di Eugenio Pesci

020 Meridiani Montagne di Marco Albino Ferrari

024 Climb&Media - Metamorfosi di uno sport ribelle di Massimo Cappuccio

026 Tra carta stampata e social media alla ricerca di un limite di Alessandro Gogna

030 8a.nu: un riferimento del web da oltre 25 anni Intervista al fondatore Jens Larssen a cura di Alberto Milani

LA RIVOLUZIONE SOCIAL OGGI

032 Brocchi sui Blocchi - Il coraggio di essere mediocri di Amedeo Cavalleri

036 NoGrip - Dalla passione per l’arrampicata a YouTube di NoGrip

038 Magnus: il più celebre youtuber dell’arrampicata! Intervista al climber norvegese Magnus Midtbø a cura di Alberto Milani

044 Climbing Radio - La reazione a catena delle idee di Roberto Capucciati

048 Vertigini Il Podcast di Montagna e di Alpinismo di Matteo Pilon e Alessandro Zanchetta

TESTIMONIANZE DI “SOCIALITÀ”

050 L’ironia di Stefano Ghisolfi Intervista a @steghiso a cura di Alberto Milani

054 I social nell’alpinismo di frontiera Iker e Eneko Pou e la loro visione dell’alpinismo in un mondo sempre più “social” di Eneko e Iker Pou

058 Federica Mingolla ITW a cura di Eugenio Pesci

062 Will Bosi - Tra dirette, vlog, 9a bloc e 9b+ in falesia… a cura di Alberto Milani

064 Raduni: Melloblocco e Valle Orco Tra feste e incontri per condividere passione e cultura a cura di Alberto Milani

070 Daniel, El Rey Quattro chiacchiere con Dani Andrada a cura di Alessandro Palma

SOCIAL: PROBLEMI E PROSPETTIVE

072 Social Media: Luci e Ombre - L’impatto sulla comunicazione e sulla cultura dell’arrampicata di Alberto Milani

076 Delle comete e di quello che ne rimane di Riki Felderer

080 I trend attuali e futuri dei social di Claudia Colonia

084 Arrampicarsi sugli specchi: narcisismo in verticale di Luca Luigi Ceriani

AZIENDE E SOCIAL MEDIA

086 Dalle aziende alla comunità di Roberto Capucciati

PROPOSTE

094 Arrampicare in Kazachistan di Massimo Cappuccio

PERSONAGGI

100 Katherine Choong ITW a cura di Eugenio Pesci

JOLLYPOWER

106 Intensità, passione, e costanza, valgono di più del protocollo di Alessandro “Jolly” Lamberti

IL GRAFFIO

109 Video kills the onsight stars di Andrea Gennari Daneri

SCIALPINISMO

110 Primavera… la stagione dello scialpinismo in quota di Omar Oprandi

INDOOR

116 Indoor move: il cowboy - Affrontare e tracciare il movimento base della new school di Alessandro Palma

VETRINA

118 Proposte prodotti

Editoriale

Come sarebbe il nostro modo di interagire e comunicare se i social media non esistessero? E se non esistesse nemmeno Internet?

Anche nello specifico ambito dell’arrampicata, domande come queste non avrebbero senso per gran parte dei climber moderni. Internet e, per i più giovani anche i social media, sono sempre stati presenti nella loro vita ed è quindi assurdo immaginarne l’assenza. Con il nuovo millennio la rete ha stravolto il nostro mondo in ogni ambito e l’evoluzione tecnologica che l’ha accompagnata l’hanno resa sempre più fondamentale nella nostra vita, in tutte le potenzialità e gli strumenti che ha da offrire, social inclusi. Infinite potenzialità comunicative, un’immediatezza e fruibilità completa delle informazioni, tante possibilità per tutti per far sentire la propria voce. Tutto è cambiato anche nella trasmissione della cultura, e il mondo verticale non è stato certo esente da questa rivoluzione, con tutti i pro e contro che questi media hanno comportato. Per questi motivi, dopo il numero 34 sul presente e futuro delle falesie, riproponiamo un numero concettuale qui dedicato al tema della comunicazione e all’importanza che ha nel condizionare il modo di fare informazione e cultura stessa dell’arrampicata. Abbiamo voluto trattare questa tematica partendo dalla realtà stessa di cui facciamo parte, la carta stampata, un tempo l’unico strumento di informazione quando il web e i social media ancora non esistevano. A parlarne saranno personaggi autorevoli che hanno giocato un ruolo di primo piano nel contesto delle riviste di montagna, e non solo. Da lì ci sposteremo ad analizzare

cosa ha comportato l’avvento di internet, tra siti web, podcast e infine i social media, nelle loro molteplici espressioni. Specialmente in tale ambito saranno proprio gli artefici di realtà “social” di successo a parlarci della loro storia e dei loro intenti, spaziando tra Facebook, Instagram, Youtube.... Non mancherà poi la voce di diversi climber di riferimento, sia giovani che meno giovani, intervistati a proposito del loro rapporto con questi strumenti mediatici. Punti di vista anche molto diversi, a dare quindi una prospettiva ampia su come questi strumenti vengano usati e percepiti dai professionisti dell’arrampicata.

Importante per i temi trattati è anche il ruolo delle aziende, altrettanto fondamentale nel polarizzare la comunicazione sia presente che futura delle discipline verticali e di cui ci abbiamo chiesto un parere ai rappresentanti di alcuni famosi brand.

A condire tutto ciò saranno poi diversi articoli di discussione generale su cosa i social media comportano nel bene e nel male, per l’informazione e la stessa cultura verticale. Insomma, una discussione a 360 gradi sulla comunicazione dell’arrampicata e dell’alpinismo, per prendere consapevolezza delle potenzialità e delle problematiche di strumenti che possono davvero condizionare la nostra percezione di questo mondo, determinando come verranno trasmesse le conoscenze e di conseguenza indirizzando anche il modo in cui andremo a mettere in pratica la nostra passione per l’arrampicata.

Foto: Redazione Up Climbing

Dalle riviste… a Instagram! Come è cambiata la comunicazione in arrampicata?

In principio fu la carta. Tornando agli anni ’90 ricordo la trepidante attesa del postino, che ogni due mesi consegnava la copia di Pareti O le visite alla storica sede del Longoni Sport, dove con il catalogo dei prodotti veniva talvolta regalata una copia di Alp. Pagine che divoravo fino a consumarle, con gli occhi luccicanti per le fotografie riportate, che facevano vagare la mente in tanti sogni verticali.

PSempre social anche nell’arrampicata!

Foto: Coll. Milani

er decenni le riviste hanno rappresentato la principale fonte di comunicazione e di cultura dell’arrampicata: dal resoconto degli exploit più rilevanti, alle relazioni di nuove vie, ad articoli di approfondimento. L’attualità, l’educazione e la cultura dell’arrampicata passavano per la carta stampata. A fornire queste informazioni erano normalmente climber competenti riciclatisi a “giornalisti”, in grado di selezionare ciò che era meritevole di pubblicazione e di raccontarlo adeguatamente. Informazioni quindi “filtrate”, selezionate, criticamente analizzate. Uno strumento che aveva

anche limiti, poiché l’informazione minore o locale, per quanto interessante, non poteva trovare spazio in una rivista a diffusione nazionale e restava quindi sconosciuta ai più.

Dalla seconda metà degli anni ‘90 partì però la rivoluzione che ha cambiato drasticamente la nostra vita e di cui sarebbe ora assurdo immaginare l’assenza. In quasi tutte le case Internet fece la sua apparizione, sconvolgendo modi e tempi con cui le conoscenze potevano essere reperite. Con il web si svilupparono i primi siti di arrampicata e alpinismo.

Alcuni erano la controparte digitale delle riviste: siti “professionali” dedicati all’informazione e alla cultura verticale, curati da individui competenti. Per conoscere avvenimenti o quant’altro, però, non fu più necessario attendere l’arrivo di una rivista: in pochi giorni qualunque news diventava di dominio pubblico e qualunque articolo poteva essere letto l’istante dopo la sua pubblicazione online.

Tutto ciò… gratuitamente!

Con il web si ampliò poi la possibilità di condivisione e di partecipazione: sorsero tanti siti “amatoriali”, gestiti da appassionati che di tasca loro pagavano i domini e li costruivano artigianalmente. La motivazione era unicamente la voglia di condividere conoscenze e esperienze con l’intera comunità dell’arrampicata. Si amplificò così il ruolo attivo che chiunque poteva avere nel trasmettere conoscenza e cultura, indipendentemente dalle doti giornalistiche e dalle risorse di cui poteva disporre. Come controparte, l’attendibilità dei contenuti non fu più certa, perché la competenza degli autori non veniva garantita da nessuno.

I siti web non si posero in antitesi con la rivista cartacee ma ne furono uno strumento complementare per diffondere quanto non poteva trovare spazio sulla carta. Anzi, per certi versi ciò diede ancora più importanza alle riviste, percepite dal pubblico come la fonte di riferimento per selezionare le conoscenze più rilevanti rispetto alla marea di informazioni che internet offriva.

Nell’ambito della realtà web, specialmente nel primo decennio del 2000, si sviluppò anche un altro mezzo per chi desiderava condividere il proprio punto di vista, esperienza o storie: il blog. Dando voce a chi ritenesse di avere contenuti interessanti da condividere, i blog si sono rivelati un ottimo strumento di approfondimento, spesso di alto livello culturale e in grado di autoregolarsi nel far emergere chi aveva davvero contenuti di valore da trasmettere. Uno strumento tuttora presente e valido, seppur soverchiato dall’imporsi dei social.

Dalla carta all'etere Cinquant’anni di carta stampata verticale: quale futuro?

Alp

Nel 1984 troviamo l’editore: Giorgio Vivalda. Si parte con la nuova rivista, il primo mensile di montagna italiano. Dopo molto discutere scegliamo l’abbreviazione “Alp”, che sta per Alpeggio e Alp-inismo, si pronuncia d’un fiato e graficamente consente soluzioni d’avanguardia perché è una parola affilata come un dardo.

La direzione artistica è affidata a Pier Vincenzo Livio e al suo geniale apprendista Francesco Santullo, che hanno una visione europea dell’impaginazione. Sono capaci di tutto, anche di appendere uno scalatore al logo di copertina.

Per prima cosa giro l’Italia a caccia di corrispondenti. Trovo un entusiasmo inaspettato e allungo la lista di nomi eccellenti. Poi passo ai capirubrica, esperti delle diverse discipline: alpinismo, arrampicata, speleologia, escursionismo, ambiente, libri, consigli tecnici, novità del mercato. Ho imparato che nell’esigentissimo mondo della montagna bisogna essere più autorevoli di Dio per ottenere informazioni. Al primo sospetto di incompetenza gli alpinisti si barricano nei loro segreti e ti trovi in ostaggio della congrega. Non ho nessuna intenzione di fare un giornale per gli scalatori, i montanari, il Club Alpino o qualunque categoria che ami essere coccolata, viziata e perdonata. Per trascinare la montagna fuori dal cenacolo intendo ignorare i precetti della comunità verticale, ispirandomi semplicemente alle

regole dell’informazione: riportare i fatti con buone penne e in piena autonomia di giudizio. Non occorre essere grandi alpinisti o grandi camminatori per fare un buon giornale di montagna: bisogna essere buoni giornalisti. La sfida è chiara, avvincente e improba: scrivere di una scalata come di una riunione politica, un matrimonio, la partita di calcio o la lite di condominio. Anteporre le fonti al racconto. Pensare al lettore, non al soggetto dell’articolo: gli piacerà, non gli piacerà? Curare la semplicità espressiva. Scrivere per farsi capire, non per procurarsi degli amici. Amici non me ne faccio quando regalo una copia de Il buon giornale di Piero Ottone ai corrispondenti e ai redattori di Alp, e naturalmente anche a me stesso. I suggerimenti di Ottone sono una pillola amara perché sarebbe molto più facile andare sulla strada di sempre, continuare a usare gli scalatori per scrivere di alpinismo e gli ambientalisti per commentare le speculazioni d’alta quota, mentre Ottone sostiene che un giornalista di parte è un pessimo professionista e che la passione non basta: ci vuole il mestiere. Ma come si fa a suggerire obiettività e rigore a un alpinista che versa narcisismo da ogni poro? Semplice: si fa scrivere a un altro. Per una rivista di montagna è la rivoluzione copernicana, ed è anche l’unico modo per fare un giornale che ricordi il National Geographic, Airone e i mensili della nuova generazione. A dirla tutta, trovo Airone fin troppo patinato e salottiero, quindi penso di aggiungerci del pepe, e so bene che sarà un salto mortale: se atterro in piedi sopravvivo, altrimenti prendo le mie cose e sparisco. Cresce l’attesa. Aumentano i contatti. Viaggio vorticosamente. Torino, Milano e altre città italiane vengono tappezzate di gigantografie con un piccolo alpinista appeso a una cascata di ghiaccio. “Anche lui è un lettore di Alp” promette la didascalia. Sono i manifesti che annunciano l’arrivo del nuovo mensile di “Vita e avventura in montagna” e ogni volta che scendo alla Stazione centrale Alp è lì che mi aspetta. Sui muri c’è già. Il primo maggio 1985 ottantamila copie ammiccano nelle edicole dello stivale. Per la copertina abbiamo scelto uno scatto di David Belden sull’Éperon sublime, con uno scalatore appeso alla gola del Verdon. Vuoto allo stomaco, adrenalina

pura. Nelle prime righe dell’editoriale, tanto per ammazzare i nostalgici scrivo che «Alp non è il solito mondo al di fuori dal mondo, dove i cittadini buoni rincorrono antichi sentimenti e i poveri montanari, gli ultimi, custodiscono le loro secolari tradizioni. Alp è la montagna degli anni Ottanta, quella dei grandi exploit alpinistici, dell’arrampicata a tempo pieno, dell’appassionata e competente evasione, del sacrosanto bisogno di natura e di avventura».

Con Vincenzo Pasquali raccontiamo le magie di Alp in una multivisione che riempie due volte il Teatro Nuovo di Torino e molte altre sale d’Italia, sollevando entusiasmi da concerti rock. Come il dottor Frankenstein mi spavento della mia creatura, quando 2000 ragazzi della mia età si schiacciano per entrare a teatro e poi si accampano pazientemente in strada nell’attesa del secondo spettacolo. Avvolto in quell’impasto di profumi e musiche, immagini e speranze, mi chiedo se sia merito di Alp o colpa della primavera. Come abbiamo fatto?

E soprattutto, con quali responsabilità?

Quando si spengono le luci e i 2000 testimoni del battesimo della rivista escono in strada inebriati, penso che siamo stati dei buoni traduttori. Ogni epoca posa parole nuove sulle vecchie emozioni, immagini non viste sui sentimenti di prima, e noi siamo riusciti a dire quelle cose con la lingua del nostro tempo. Una traduzione assai riuscita.

Che cosa è cambiato in quarant’anni. Tutto, direi. Quella nostra sete di notizie e immagini è stata totalmente saziata, fino alla bulimia.

Quell’orgasmo da carta stampata è stato sostituito dall’assuefazione virtuale, che vuol dire informazione a oltranza e in tempo quasi reale, a scapito dell’attesa e dell’emozione. Un desiderio placato in ogni istante si indebolisce, è inevitabile. A chi mi chiede se ci sia ancora bisogno di una rivista come Alp, rispondo di no perché ogni invenzione è figlia del suo tempo. E una rivista di montagna diversa, basata sulla critica e l’approfondimento?

Forse sì, ma devono pensarci i giovani.

Enrico Camanni Torino, 1957), è approdato al giornalismo attraverso l’alpinismo. È stato caporedattore della Rivista della Montagna e direttore del mensile “Alp” e del semestrale internazionale “L’Alpe”. Ha curato i musei del Forte di Bard e ha scritto molti libri sulle terre alte (tra cui “La nuova vita delle Alpi”, “Alpi ribelli”, “Storia delle Alpi”) e dieci romanzi. L’ultimo è “La bandita” (Mondadori 2025). È vicepresidente di Dislivelli.

La prima storica copertina di Alp

Dalla carta all'etere Cinquant’anni di carta stampata verticale: quale futuro?

Andrea Gennari Daneri ITW

a cura di Eugenio Pesci

Come è nata l’esperienza editoriale di Pareti? Quali sono state le difficoltà che hai incontrato all’inizio del progetto? È nata a Parma, stanchi di comprare Alp per una sola risicata paginetta curata da Flaviano Bessone che tentava di parlare di climbing dentro a un tripudio di monasteri, colline e boschi innevati. Partito col piede giusto, Alp aveva mollato il colpo verticale, che noi (il primo anno eravamo in quattro) volevamo riprendere e anzi totalizzare con una rivista che fosse 100% scalata. L’ovvia difficoltà erano i soldi per stampare e diffondere, all’inizio solo in abbonamento postale. Ce li mise Piero Amighetti, all’epoca editore della Rivista del Trekking, della quale uscimmo come supplemento per i primi numeri. Lavoravamo gratis, il che provocò il rapidissimo abbandono di Maspes, Giordani e Righetti e così rimasi solo, fondando la Pareti e Montagne Edizioni, guadagnando sponsor grazie a Stefano Moreno, il miglior specialista del settore, e continuando a lavorare gratis per diverso tempo, finché non è diventato un business per davvero.

Sotto un profilo strettamente mediatico, come venne accolta la rivista nei suoi primissimi anni di vita? Ed inoltre quale tipo di pubblico iniziò a seguire la rivista?

Il primissimo numero andò alla grande, visto che era gratis, spedito a casa a un floppy disk di tremila indirizzi raccolti

in falesia, presso i rifugi, le sedi Cai... Attenzione, va tutto contestualizzato pensando che internet non esisteva. Di quei 3000, due terzi si abbonarono e tutto prese subito un senso: se volevi sapere qualcosa di scalata in Italia dovevi avere in mano Pareti; ancora un anno e andammo in edicola e il pubblico era sicuramente un mix di alpinisti e climbers, roccia e ghiaccio ripido, le gare e la plastica interessavano poco, mentre i gattonatori delle normali e dei 4000 rimasero ancora Alp e la Rivista della Montagna.

Sono passati ormai parecchi anni dal debutto di Pareti: hai notato delle differenze nell’evoluzione del pubblico? E, se se sì, quali?

Ventotto anni sono l’equivalente che è trascorso dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale al concerto di Woodstock e il mondo è cambiato con altrettanta velocità nei 28 anni di Pareti. Abbiamo fatto di tutto perché la scalata invece non cambiasse, perché l’etica di Moffat e di Edlinger restasse intatta e l’alpinismo glorioso restasse simile a quello di Casarotto. Un po’ ci sono, ci siamo riusciti, e un po’

no, specie negli ultimi dieci anni con il transfert fuori controllo dalle sale alle rocce e tutti i compromessi, le facilitazioni, gli ammorbidimenti richiesti da una popolazione più agiata, più molle e che sta perdendo affezione al valore delle regole e delle questioni di principio in generale. Per questo motivo il mio pubblico è invecchiato con me: alla fine del 2024 di lettori ventenni ne avevo davvero pochi.

Come vedi la situazione mediatica attuale, quantomeno in Italia, con le enormi difficoltà della carta stampata e lo spostamento del baricentro verso l’effimero mondo dei social?

Dal 1996, anno di nascita di Pareti, ad oggi, più della metà delle edicole d’Italia ha chiuso. Il restante chiuderà tra dieci anni al massimo e magari ancora prima, dovesse salire al potere un governo intenzionato a tagliare i finanziamenti pubblici all’editoria grazie al quale sopravvivono tutti i quotidiani d’Italia. È stato bello e motivo d’orgoglio tenere in piedi una rivista senza un euro di aiuti e chiudere quando, forte di 2000 abbonati rimasti fedeli, avrebbe ancora avuto un senso economico mandarla in stampa. In generale è bello concludere qualcosa per scelta e non perché costretto.

Da recenti ricerche sembra che addirittura i siti stiano entrando in una fase instabile, se non di declino mediatico. Talora si ha l’impressione che nel caso dell’arrampicata si vada verso una generazione di praticanti del tutto disinteressati a ciò che succede intorno. Cosa ne pensi?

È verissimo. Col mio sito Pareti.it ho fatto la scelta di rendere visibile a tutti il numero delle letture di ciascun articolo. Da lì si vede che gli articoli che superano le tremila letture sono quelli che toccano nervi profondi del sistema-arrampicata. I pezzi sull›ennesimo 9a e persino su pregevoli salite alpinistiche non superano mai i mille, e i lettori arrivano comunque più da Facebook che da Instagram. Il che significa soprattutto due cose: a leggere gli articoli dei siti sono ancora una volta gli over-40;

e che la gente si accontenta di Instagram per le storie spicciole. I giovani pensano di essere esaustivamente informati da un video e da dieci righe scritte grosse. Magari hanno ragione loro, perchè se basterà a tutti sarà comunque sufficiente per campare da cittadini del 2050.

Un tasto dolente è il rapporto attuale tra sponsor e media... qual è il tuo parere al proposito?

Trent’anni fa, quando avevamo cominciato, le decisioni aziendali, per la maggior parte, erano ancora gestite da persone che facevano parte del nucleo centrale delle aziende familiari che ancora contraddistinguono il mondo della produzione degli articoli per l’alpinismo e per l’arrampicata. Col tempo quelle aziende si sono allargate e molto spesso hanno inglobato al loro interno, talvolta in posizioni chiave come il marketing, figure estranee al nostro mondo e anzi spesso provenienti dalla realtà aziendali molto differenti e con un pubblico totalmente diverso da quella della scalata. Per non parlare poi del fatto che spesso questi “esperti” sono troppo giovani per apprezzare il valore della carta stampata e persino delle parole scritte slegate da un video. 2 + 2 fa sempre 4 e quindi adesso vendere una pagina tabellare su una rivista è diventato un lavoro per supereroi.

A livello previsionale, come vedi il futuro mediatico dell’alpinismo e dell’arrampicata?

Gli esperti, di cui parlavo prima, da tempo stanno anche tagliando i budget per i loro stessi atleti, accusati di postare sui social troppo poco, spostando soldi

invece gli influencer senza curriculum e senza capacità, ma con molti followers. Il che mi sembra demenziale, a meno che l’obiettivo non sia incrementare le vendite nel brevissimo periodo senza investire in credibilità. Il che però ci sta, considerato il tempo che i responsabili marketing cercano di passare in una azienda prima di catturare un’offerta migliore. Quindi il futuro mediatico lo vedo male fintanto che le aziende non sapranno riequilibrare i loro assetti in questo campo. È proprio un problema di singoli bimbiminchia messi nel posto sbagliato. Sul fronte più generale, adesso ci sono anche gli educational su youtube su come allenarsi, scalare e persino cacare nei boschi; roba per lo più prodotta da gente che cerca a tentoni di collegare il proprio portafoglio alla passione, il che di per sé è legittimo, ma difficilmente produce professionalità durature. In futuro, insomma, vedo molta confusione tra chi merita davvero e chi fa la mossa, conseguenza diretta della sparizione delle figure di filtro come la mia e la tua.

sempre rivelato un pubblico attento alla salvaguardia dell’ambiente: perché quando i frequentatori di un certo ambiente crescono esponenzialmente diventano “fruitori” che non hanno più valori comuni da rispettare. “In questo senso il giornalismo di montagna ha sempre avuto e sempre avrà la responsabilità di ribadire l’importanza di tali principi e di diffonderli continuamente e il più possibile (Sofia Parisi)”.

COMPRENSIONE

È ragionevole mirare a una completa trasmissione di fatti, imprese, commenti, riflessioni che riguardano il mondo della montagna, dell’alpinismo e dell’arrampicata odierni. Ma è anche importante riscoprire vecchi scritti e riproporli per il valore che conservano dopo tanti anni, dall’impresa al racconto autobiografico, fino all’esposizione monografica di una certa zona. La cosa che più dovrebbe attrarre il comunicatore è il tentativo di spingere il suo lettore nella direzione della comprensione. Evitando però di ritenere o far pensare di esserne egli stesso padrone. Non è un hobby ma qualcosa di ben più importante, perché fonte di ispirazione, creatività ed esperienza. Personalmente, la tematica principale che vorrei comunicare è la voglia di spingere quante più persone sia possibile all’autocoscienza, alla consapevolezza di ciò che stanno facendo, all’importanza del proprio inserimento in un contesto sociale, alla sostenibilità. Oggi alpinismo e arrampicata per migliorare hanno bisogno di prese di coscienza. È un tentativo per spostare il fuoco dell’attenzione su quanto di importante ci sia ancora da scoprire, su quanto comodità e tecnologia abbiano nascosto e quanto ci stiano ancora nascondendo; questo per togliere tutto il velo di incomprensione e di ignoranza che è stato apposto all’esperienza dell’alpinismo con la tecnologia. Il valore di trovare un percorso lo si scopre solo ed esclusivamente se non si hanno né bussola, né guida, né gps. Sfruttare tutti i moderni ausili equivale a essere automi che evitano le difficoltà che la natura stessa oppone e non uomini che entrano in contatto con l’ambiente. La natura deve essere partner e non sfondo delle nostre imprese.

DOCUMENTAZIONE

Se uno si porta dietro un po’ di tecnologia, possiamo sapere parecchio di lui e di cosa fa, se arriva in cima o se non arriva, quanto tempo impiega. La documentazione, se prima serviva a trasmettere un’esperienza, oggi è diventata più importante dell’esperienza stessa. La documentazione è più esaminata della stessa impresa alpinistica, cioè la “prova” è più importante del fatto. A questa distorsione c’è da ribellarsi: vale più la

documentazione o l’ascensione? Perché ci sono degli effetti drammatici. Abbiamo visto Ueli Steck arrivare in cima alla Sud dell’Annapurna, lo abbiamo visto indagato sulla verità di ciò, lo abbiamo visto cadere in depressione. Non ne ha fatto un dramma pubblico, ma c’era il dramma privato. Ed è finita come è finita.

LIMITE ALLA TECNOLOGIA

La rinuncia totale alla tecnologia è un estremo ben rappresentato dal free solo, disciplina evidentemente non certo per tutti. La soluzione può essere quella, ma non per la maggioranza. Si può adottare un tasso di tecnologia inferiore al livello di guardia, evitando le esagerazioni odierne. Ma altrettanto importante è non stabilire regole, la libertà prima di tutto. Se cominciamo a dire “qui questo si può fare, là no”, è già finita in partenza. Si avranno solo grandi discussioni che, invece di essere canti di diversità, sono solo sterile noia. Meno male che la comunità alpinistica è sempre stata abbastanza restia ad accettare decaloghi e codici vari. Ma con l’aumento della tecnologia questa difesa

naturale potrebbe essere azzerata. Le precise norme che regolano l’arrampicata sportiva, per esempio quando occorra definire con precisione se un tiro è stato “chiuso”, possono ispirare il moderno alpinismo, ma non possono essere codificate in quell’ambito, pena la morte dell’alpinismo stesso e della sua creatività.

LIMITE INDIVIDUALE E COLLETTIVO

Sarebbe un grande obiettivo se il comunicatore (il protagonista, non il giornalista) si ponesse la domanda di quanta ambizione sta contaminando la sua genuina passione per questo gioco che ci appassiona tutti; se proseguisse poi indagando su quale sia la differenza tra il suo iniziale approccio libero e scanzonato a questa disciplina e quello suo attuale (più o meno professionale) in cui, giorno dopo giorno, i suoi exploit determinano un interesse pubblico sempre maggiore. Le risposte nel tempo dovrebbero portarlo a riflettere se ha raggiunto o meno il picco oltre il quale il voler dimostrare di essere ancora e sempre a quel livello diventa rischioso, al di là di ogni discorso sulle difficoltà e sui pericoli. Qual è dunque il mio limite? Qual è il nostro limite? Dove cessa il mio rispetto per il drago? Dove uccidiamo definitivamente il sacro? Se ci rivolgiamo seriamente queste domande, e se ne tentiamo una risposta sincera con noi stessi, passano in secondo piano quelli che superficialmente

ci appaiono i responsabili del disagio mediatico: sponsor, media, spettacoli organizzati, competizioni. La loro importanza e la loro influenza decrescono di pari passo con il nostro disinteresse, mentre al contrario crescono smisuratamente con la nostra incapacità di tenerli lontani e, soprattutto, a bada.

Alessandro Gogna in arrampicata ad Agaro, Valdossola. Foto: Arch. Gogna

I social nell'alpinismo di frontiera

Iker e Eneko Pou e la loro visione dell’alpinismo in

un

mondo

sempre

più “social”

Testo Eneko e Iker Pou

Quando abbiamo iniziato a livello professionale, la cosa più importante era l’attività stessa. Prima scalavi, superavi sfide vere e solo poi, se ne valeva la pena, raccontavi la storia. Ora l’ordine è stato invertito: l’avventura viene raccontata ancor prima che accada. E molte volte, quella presunta impresa non è né nuova né difficile, e nemmeno reale. È solo marketing. Si

vende l’illusione di una sfida per catturare l’attenzione del pubblico e degli sponsor, anche quando chi la promuove non ha nemmeno il livello per realizzarla. I social media hanno trasformato l’arrampicata in una vetrina dove ciò che conta non è l’essenza dell’attività ma l’immagine che viene proiettata. Più follower significano più rilevanza, indipendentemente dal

merito atletico o dall’autenticità dell’avventura. Questo fenomeno sta creando una frattura tra il mondo reale e quello digitale. L’immediato ha la precedenza sul profondo, lo spettacolare sull’autentico. E quel che è peggio è che le persone non sanno più distinguere tra una ripetizione e una prima salita, tra una vera conquista e una semplice strategia di marketing.

Viviamo la montagna e l’arrampicata come una passione che riempie ogni cosa. Intorno ad esso ruota il nostro essere: il lavoro, il tempo libero, la famiglia, il modo in cui affrontiamo la vita ogni giorno. Fin da bambini le montagne ci hanno chiamato con la loro bellezza e il loro silenzio imponente, con la loro maestosa immensità. Ma negli ultimi anni tutto è cambiato drasticamente. Ciò che una volta era questione di impegno, innovazione e scoperta è ora condizionato dall’immediatezza e dalla necessità di generare impatto sui social media.

Abbiamo condiviso bivacchi su pareti ghiacciate, sentito il vuoto sotto i piedi su vie dove un errore costa caro. In quei momenti i social media non esistevano. C’erano solo la roccia e il ghiaccio, il compagno di corda e la voglia di andare avanti. Ma in questo mondo di “like” e “follower” ci imbattiamo in situazioni surreali: alpinisti con migliaia di follower che non hanno mai aperto una

Iker e Eneko Pou nel 2021 sulla via Leire nella Cordillera Blanca. Foto: Alexander Estrada

Aziende e Social media Dalle aziende alla comunità

numeri, ma nella qualità delle esperienze vissute. Tenere viva un’identità mentre il mondo cambia non è facile. Ma credo sia necessario. E se E9 può essere, nel suo piccolo, un segnale, una voce, un’idea che resiste… allora sono felice di portarla avanti, con passione, con coerenza, sempre con il cuore rivolto verso la pietra.

Vittorio Barrasso (La Sportiva)

Sei uno dei responsabili marketing con più esperienza nel nostro settore, vieni da mondi alieni e giganteschi rispetto al nostro. Frequenti la montagna più dei seminari di marketing. La Sportiva è un marchio che nasce

Siamo chiamati come praticanti, come madri e padri, come professionisti del settore a una riflessione profonda sulla reiterabilità del modello nel quale siamo cresciuti, tanto quanto a non restare miopi verso il potenziale del cambiamento. Hai citato la natura di insider di La Sportiva, e questo affonda le radici nella storia e nel DNA di questa marca e impone di confrontarsi con questi temi: la prossimità quasi quotidiana alle comunità di atleti e professionisti non può che tradursi in un assorbimento delle preoccupazioni che emergono da chi vede tutti i giorni la montagna e le sue discipline cambiare e crescere, combattute tra l’equilibrio conservativo (dello spirito e dell’ambiente) e la propulsione al cambiamento, che da sempre ha caratterizzato la ricerca di nuovi orizzonti verticali. Da qui la scelta di tenere gli atleti e la tecnicità al centro del racconto di marca, perché è il legame autentico con chi ha la stessa luce negli occhi che

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col movimento e fino ad ora ha aiutato a crescere atleti, editoria ed eventi. Quando ho saputo del tuo arrivo temevo che la missione fosse traghettare l’azienda fuori dal nostro mondo, con immenso piacere ho visto i fatti smentire le paure. Ti senti un po’ responsabile verso il futuro dell’arrampicata? Credo che noi tutti siamo responsabili e anche un po’ incerti, non solo sul futuro dell’arrampicata, ma dell’attività in montagna in generale.

permette alle marche di restare dentro ai mondi che vogliono servire, è una relazione molto delicata, fatta di una fiducia da non tradire ma anche di forza di pensiero indipendente, un punto di vista profondo, libero da protezionismi o falsi ideologici che si costruisce stando “dentro” la montagna come luogo privilegiato per continuare ad esserne parte autentica e vera. Io sono ottimista: il futuro è radioso se la comunità degli appassionati, in tutti i suoi ruoli, resta

Allie Oaks su Incredible HulksSawtooth RangeHigh Sierra (CA) per la campagna di lancio della linea
abbigliamento Helixir
Alpine Tech.
Arch. La Sportiva

appoggiata a dei valori tra cui il primo è il dialogo la voglia di esplorare, il rispetto dell’ambiente e di chi lo ha conservato e protetto prima di noi e quel pizzico di follia che porta a vedere la roccia come una compagnia da cui non ci si può separare.

In La Sportiva diamo un peso rilevante alla responsabilità: responsabilità di fare scelte giuste, soprattutto nel lungo periodo, scelte che possano servire arrampicatori e alpinisti con i migliori attrezzi, che siano forieri di nuovi traguardi e che portino a nuovi stimoli.. questo è un circolo virtuoso! Ci sentiamo responsabili di formare: formare generazioni di appassionati alla montagna che possano nel prossimo futuro dare continuità e nuovi impulsi a questo impegno, ci sentiamo responsabili di preservare e tutelare un ambiente delicato. La nostra risposta sta nei valori, fare le scelte giuste diventa più facile se ti assicuri ai valori che hanno fatto grande questa marca piuttosto che alla convenienza di breve.

Nicola Faccinetto (Ande)

Hai vissuto la realtà di un’azienda molto grande che, anche per il tipo di prodotto, è sempre stata ai margini del movimento. Un’azienda che hai visto fare il salto verso mercati che voi umani ecc. Da poco sei approdato ad Ande, storico marchio lecchese, nato dall’alpinista Aldo Anghileri, che è rimasto per ora molto legato al nostro mondo. Come vedi questo tema? Si può ancora ragionare su una comunicazione che non sia di superficie? Ritengo sia fondamentale mantenere quest’etica, per una questione di immagine, se vogliamo dirla in maniera superficiale, o meglio ancora, perché se nel DNA di un’azienda c’è la montagna diventa un atto di coerenza, dal quale staccarsi sarebbe un atto immorale. Fino a qualche anno fa, probabilmente il mercato outdoor aveva come obiettivo quello di perseguire una crescita che si sperava fosse senza limiti, ma semplicemente perché era l’ondata culturale che ancora derivava dal boom economico degli anni 80/90 e i manager di allora non avevano idee chiare o ritenevano che il fine giustificasse i mezzi, oppure perché i decisori aziendali avevano, come dici tu correttamente, una visione da membro del gruppo e davano per scontati alcuni aspetti culturali, non dando la giusta interpretazione al rischio di far diventare una cosa main stream. Va da sé che per fortuna c’è stato un vento di

cambiamento, come cantavano gli Scorpions, di tutta la società e l’etica è riaffiorata diventando un valore comune su cui continuare a basare la propria filosofia. Quello che vedo e che cerco di sostenere attraverso la comunicazione del brand è che, dato che le aziende italiane sono ancora in parte a conduzione famigliare, siamo ancora in tempo per raddrizzare il tiro e dare i nostri “due cents” per mantenere l’etica della disciplina e non uso questo termine a caso, preferendolo alla parola “sport”, per mantenerne intatta la bellezza, l’emozione, che ce ne ha fatto innamorare. Diventa quindi un compito fondamentale di tutti gli stakeholder coinvolti, di condividere e portare avanti questa visione comune, mantenendo un equilibrio sano, cercando il continuo miglioramento, ma con una certa coerenza.

D’altronde noi crediamo che tutto si racchiuda nel nostro pay off “questione di equilibrio”, claim che si può applicare a tutto, anche a questo aspetto.

Aldo Anghileri posa per una campagna pubblicitaria anni 80. Foto: Archivio Ande

La Sportiva Helixir

Tecnologia, resistenza e massima libertà di movimento si fondono nella nuova frontiera dell’alpinismo tecnico: La Sportiva lancia il completo Helixir, composto da guscio e pantalone progettati per chi intende affrontare le sfide a stretto contatto con la roccia, senza scendere a compromessi. Pensato per le grandi scalate su big wall e itinerari multi-pitch, Helixir incarna l’essenza dell’innovazione di casa La Sportiva e fa parte della nuova collezione Alpine Tech. Al centro del progetto la scelta di materiali e tecnologie all’avanguardia come la Spectra® Fiber, un filato leggero ad altissima tenacità che, a parità di peso, risulta quindici volte più resistente dell’acciaio, offrendo una protezione estrema da strappi e abrasioni mantenendo al tempo stesso leggerezza e comfort senza precedenti. Helixir Shell Jkt è un guscio a tre strati che rappresenta lo stato dell’arte nelle giacche da alpinismo tecnico. Con una resistenza pari a 20.000mm di colonne d’acqua e un’elasticità senza paragoni garantita dal tessuto 4 Way Stretch, offre performance senza compromessi durante le attività outdoor più intense. Il design presenta un taglio ergonomico, maniche e spalle preformate e un cappuccio compatibile con il casco per una protezione a 360°. A completare l’outfit il pantalone Helixir Pants, disponibile in versione lungo o corto, per il massimo comfort e libertà di movimento in ogni fase della scalata.  www.lasportiva.com

E9

BLAT3

Pantalone da uomo pensato per l’arrampicata che combina funzionalità e stile, realizzato in cotone organico stretch per offrire massimo comfort e libertà di movimento in ogni sessione. Le tasche in due colori a contrasto aggiungono un tocco di personalità, arricchite dal logo ricamato sulla tasca posteriore. La vita regolabile con elastico interno personalizzato garantisce una vestibilità impeccabile, mentre il taglio slim assicura un fitting comodo e performante. Made in Italy, rappresenta l’equilibrio perfetto tra praticità, attenzione ai dettagli e stile, ideale per gli appassionati di climbing che cercano qualità senza compromessi.  www.e9planet.com

E9

MAFALDA

Pantalone donna pensato per l’outdoor e l’arrampicata, realizzato in robusta gabardina di cotone organico. Il nuovo design della cintura, elastica e regolabile, assicura comfort e vestibilità ottimale anche durante le sessioni più intense. Dettaglio in ecopelle sulla tasca sinistra aggiunge un tocco di stile, mentre il ricamo sul retro valorizza il dettaglio artigianale. Il fondo gamba regolabile permette di adattare la vestibilità alle diverse esigenze di movimento. Il taglio slim garantisce il massimo del comfort, ideale per chi cerca performance senza rinunciare al design. Made in Italy, qualità e sostenibilità si incontrano in questo pantalone versatile e funzionale. www.e9planet.com 

Manodicarnevale

La Sfibbiata

La prima e unica cinghia senza la fibbia!

Scegli la taglia (S-M-L), fissala al bottone e dimenticati il fastidio alla “panza” causato dalla fibbia. La Sfibbiata è elastica e si adatta a tutti i tipi di pantaloni rendendoli pratici da mettere e da togliere in ogni situazione di emergenza o d’intimità. Indicata per tutte le attività sportive e d’intrattenimento in cui la fibbia risulta un inutile impiccio. www.manodicarnevale.com 

Bender è l’innovativo e sostenibile travetto portatile a una mano. Ricavato a partire da legno riciclato, attentamente controllato e testato, che ti seguirà in ogni avventura. Presenta una pinza da 7cm e 4 tacche diverse, regolabili grazie ad uno spessore magnetico: 20, 15, 12 e 7mm. Pesa solamente 150g (varia a seconda del legno utilizzato), versatile, piccolo ed ergonomico diventerà sicuramente il tuo miglior amico. Allenati a casa o in palestra sollevando pesi da terra, appendilo per fare sospensioni, riscaldati prima del blocco o della via, infine se malauguratamente capitasse, riabilita l’infortunio utilizzando Bender e seguendo un protocollo di riabilitazione fornito da un esperto. Bender è il travetto all round, pratico e leggero ma soprattutto amico dell’ambiente! www.wh-ise.it 

Climbing Technology

Morfo BG

Morfo BG è il moschettone ergonomico, dal design dinamico e moderno, in lega leggera ideato da Climbing Technology con sistema di chiusura BriLock (BG). Leggero e forgiato a caldo, è ideale per la costruzione di soste, per il collegamento alle stesse e per le connessioni più critiche. Morfo BG è dotato dell’innovativo sistema di chiusura BriLock (BG) che unisce la semplicità d’uso di una ghiera a vite alla sicurezza supplementare di un bloccaggio automatico. Nella modalità Neutral il connettore è chiuso e la ghiera è libera di ruotare su sé stessa senza che la leva si apra mentre nella modalità Open la ghiera rimane aperta per facilitare l’esecuzione di manovre. La sezione di Morfo BG è variabile per un eccellente rapporto peso/resistenza ed i profili esterni ed interni non presentano discontinuità per evitare incastri. Peso: 50g.  www.climbingtechnology.com

J-POP

The Climber

The Climber è un manga seinen basato sul romanzo omonimo di Jiro Nitta; scritto da Yoshirō Nabeda e Shin’ichi Sakamoto e illustrato dallo stesso Shin’ichi Sakamoto (che, dal volume 5 in poi, ne segue anche la sceneggiatura), è composto da 170 capitoli raccolti in 17 volumi. The Climber racconta le vicende dell’introverso Buntaro Mori il quale, durante il suo primo giorno nella nuova scuola, viene spinto dal compagno Miyamoto a scalare l’edificio. Sebbene l’impresa si rivelerà essere più pericolosa del previsto, l’emozione provata durante la scalata fa sentire il ragazzo “vivo” come mai prima d’ora… L’incontro con il climbing cambierà per sempre il suo destino!

 j-pop.it/it/fumetti/manga/the-climber.html

MARMOLADA

BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO

Maggio 2025. Anno VI. Numero 36

Direttore responsabile

Richard Felderer

Direzione editoriale

Eugenio Pesci

Alberto Milani

Redazione

Tommaso Bacciocchi

Roberto Capucciati

Matteo Maraone

Samuele Mazzolini

Marco Pandocchi

Damiano Sessa

Copertina

Marco e Giorgio all’opera per il loro canale NoGrip. Foto: © Coll. NoGrip

Grafica

Tommaso Bacciocchi

Correzione di bozze

Fabrizio Rossi

Hanno collaborato

Impaginazione

Francesco Rioda

Disegni Eugenio Pinotti

Alberto Milani, Alessandro Gogna, Alessandro Lamberti, Alessandro Palma, Alessandro Zanchetta, Matteo Pilon / Vertigini, Amedeo Cavalleri/Brocchi sui blocchi, Andrea Gennari Daneri, Catherine Choong, Claudia Colonia, Climbing Radio, Dani Andrada, Enrico Camanni, Eugenio Pesci, Federica Mingolla, Francesca Benedetti (Camp), Franco Brevini, Iker e Eneko Pou, Jens Larssen, Luigi Ceriani, Magnum Midtbø, Marco Albino Ferrari, Massimo Cappuccio, Mauro Calibani (E9), Nicola Faccinetti (Ande), No Grip, Oliviero Gobbi (Grivel), Richard Felderer, Roberto Capucciati, Stefano Ghisolfi, Vittorio Barraso (La Sportiva), Will Bosi

Versante Sud Srl

Via Rosso di San Secondo, 1 – 20134 Milano tel. +39 02 7490163 versantesud@versantesud.it info@up–climbing.com

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Stampa

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Distribuzione per l’Italia

PRESS-DI-Distribuzione stampa e multimedia s.r.l. via Mondadori 1 – 20090 Segrate (MI) – Tel. 02 75421

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Registrazione al Tribunale di Milano n. 58 del 27/02/2019

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