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COSA DIMOSTRA L’ACCORDO UE SUL PRICE CAP PER IL GAS RUSSO
by Economy
Dopo l’accordo raggiunto sul price cap sul petrolio russo, il 2022 si è concluso con un’altra importante decisione che ha arricchito ulteriormente l’azione economica dell’Europa contro Mosca. Gli Stati membri hanno finalmente trovato un’intesa per l’approvazione del tetto al gas proveniente da Mosca. Secondo quanto deliberato da Bruxelles, il meccanismo di protezione scatterà qualora il prezzo del gas dovesse superare i 180 euro al megawattora, sebbene sia necessario che si realizzi anche una seconda condizione. Per la sua attivazione, infatti, si prevede che lo spread tra il prezzo del gas sull’indice di riferimento Ttf di Amsterdam e il prezzo medio sugli altri mercati globali superi i 35 euro per tre giorni lavorativi consecutivamente.
Sebbene l’accordo registri politicamente il significativo cambiamento di posizione della Germania, che si era da sempre mostrata molto restia alla misura, esso evidenzia comunque il persistere di una divergenza di fondo tra i Paesi membri. Infatti, il price gap sul gas è stato approvato a maggioranza, con il voto contrario dell’Ungheria e l’astensione dell’Austria e dell’Olanda. Questo dimostra, ancora una volta, quanto l’Unione europea (Ue) si approcci in maniera frammentata dinnanzi al dossier della guerra, soprattutto da un punto di vista economico. Una frammentazione che, sebbene apparentemente ricomposta con l’approvazione del price cap su petrolio e gas russi, rischia di prestare il fianco il Cremlino, e che quest’ultimo è pronto a sfruttare per aumentare il suo potere ricattatorio.
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L’ipotesi del price cap sul gas è stata lungamente dibattuta in sede europea, nel tentativo di appianare le divergenze tra i Paesi membri e superare le perplessità di una misura del genere che costituisce un inedito e che, come tale, comporta una serie di difficoltà tecniche di implementazione e di incognite sulla sua efficacia. A incidere sui tempi di approvazione del price cap è stata la volontà di ridurre il rischio inflazionistico. Infatti, i governi europei temevano che un tetto al prezzo dei beni energetici potesse far salire vertiginosamente il prezzo del gas e del petrolio, esacerbando così la già molto alta spinta inflazionistica. Il tempo impiegato nelle negoziazioni ha fatto sì che questa decisione giungesse tardiva, ovvero nel momento in cui l’Ue era già riuscita a ridurre significativamente le importazioni di gas dalla Russia, che sono al momento allo stesso livello dell’Algeria. Per l’Italia, invece, le importazioni di gas algerino rappresentano al momento la prima fonte di approvvigionamento, seguita dal Gnl. La portata effettiva dell’accordo è ancora tutta da valutare, in quanto sarà opportuno constatare quanto spesso scatteranno le condizioni necessarie per l’attivazione del price cap (nel 2022 questo è accaduto circa quaranta volte) e, una volta attivato, per quanto tempo i Paesi saranno disposti a mantenerlo in vigore per non compromettere la sicurezza delle forniture. l price cap potrebbe indebolire la forza negoziale dell’Europa e ridurre la fiducia nei mercati europei, andando a compromettere la sicurezza delle forniture. A ciò si aggiunga che i contratti di Gnl, che di solito contengono clausole di rinegoziazione in caso di cambiamento dei benchmark, potrebbero essere rivisti, aumentando così il potere contrattuale dei Paesi esportatori.
Il price cap non risolve strutturalmente il problema della carenza di gas in Europa, anzi rischia di essere controproducente. La questione può essere approcciata in maniera più strutturale su due versanti: da un lato, riducendo la domanda, come auspicato al piano europeo di “save gas for save winter” e facilitato dall’inverno mite; dall’altro lato, aumentando l’offerta di gas da produttori alternativi. In questo senso, se il prezzo europeo di acquisto dovesse essere inferiore al prezzo globale, l’aumento dell’offerta rischierebbe di non concretizzarsi.
L’accordo sul price cap giunge in concomitanza con l’approvazione del nono pacchetto di sanzioni, che non introduce elementi significativi di novità, ma solo varie integrazioni per rendere più ampia la portata delle restrizioni. Bruxelles ha infatti previsto l’aggiunta di quasi 200 persone ed entità all’elenco delle persone sottoposte al congelamento dei beni, e ha inserito ulteriori divieti di esportazione dell’Ue sulle tecnologie avanzate e a duplice uso che potrebbero contribuire alle capacità militari e al potenziamento tecnologico della Russia. Sono stati introdotti altresì ulteriori divieti di transazione per le banche russe e, oltre al divieto già in vigore di investire nel settore energetico in Rus sia, sono stati vietati anche nuovi investimenti dell’Ue nel settore minerario russo, a eccezione di alcune materie prime.