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NEL BELPAESE. MA IL DISASTRO SI PUÒ ANCORA EVITARE
by Economy
di Giuseppe D’Orta
Scioperi di massa oltralpe contro l’età di pensionamento a 64 anni, mentre in Italia si continuano a evitare interventi. Ma i nodi stanno venendo al pettine: il sistema pensionistico può reggere qualche anno ancora, poi imploderà. E allora ecco cosa fare con urgenza per evitare il peggio
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«Dobbiamo fare come in Italia». La frase è stata pronunciata da Emmanuel Macron pochi giorni prima delle elezioni presidenziali francesi dello scorso aprile. Si riferiva all’innalzamento dell’età minima pensionabile, attualmente in Francia pari a 62 anni e che è stato previsto passi a 64 (in prima stesura 65). Un’affermazione rischiosa da parte del presidente ricandidato in una consultazione il cui esito non appariva scontato, e che sotto questo aspetto dimostra la differenza con le campagne elettorali del nostro Paese.
L’innalzamento dell’età pensionabile sta costando a Macron le proteste di una nazione, con l’intero Paese bloccato dall’astensione dei lavoratori di ogni comparto. Francia dove la pensione minima è di 1.200 euro mensili e dove - cosa non meno importante - il potere di acquisto è superiore all’Italia. Nel nostro Paese, dove 1.200 euro li sognano in tanti, l’età pensionabile per vecchiaia è ora poco sopra i 67 anni come in Francia, ma l’età effettiva è attualmente inferiore ai 63 anni e rischia di esserlo per un bel po’ di tempo.
Sistemi Pensionistici Con Le Ore Contate
Una realtà - la nostra - difficile da com- prendere appieno perché per farlo non si può prescindere da una serie di dati, spesso prospettici, di cui pochi sono realmente consapevoli. Le proteste, in Francia come in Italia, possono essere giustificate ma provengono da lavoratori che vedono, e soprattutto “hanno in testa”, il sistema pensionistico che ha retto lo Stato dal dopoguerra a oggi, in un’irripetibile fase storica trascorsa sotto il segno della pace ed una contemporanea fase economica sotto il segno di una notevolissima prosperità. Un sistema però che ha ancora poco tempo davanti a sé per molti motivi. La speranza di vita aumenta più o meno rapidamente da decenni. La pandemia ha alquanto sconvolto le statistiche, ma il dato di fondo resta. Basti pensare che quella di un neonato è ormai di cento anni. Gli attuali e i prossimi nuovi pensionati hanno davanti a sé, per loro fortuna, oltre due decenni di vita. Un impiegato sessantatreenne che va ora in pensione, è nato nel 1960, e ben difficilmente ha patito la fame, come invece a tanti connazionali è accaduto nel dopoguerra. Ha iniziato a lavorare negli anni ‘80 del secolo scorso ed ha potuto godere di tutta una serie di “benefit” che la storia gli ha offerto. Ed ora va in pensione con una attesa di vita ultraventennale e un importo spesso non corrispondente, per difetto, ai contributi versati. Qualcosa, storicamente ed economicamente, non torna. Diverso è il discorso per chi ha svolto lavori usuranti, ci mancherebbe.
Pensioni In Italia Sostenibili Fino Al 2030
Concentrando il discorso sull’Italia, si stima che le attuali regole siano economicamente sostenibili fino alla fine del decennio. Un battito d’ali, ragionando da attuari. Si è sempre parlato molto, e male, della riforma Fornero ma quasi mai si spiega che, nonostante sia in vigore da undici anni, lo è solo in parte vista l’età effettiva di chi va in pensione. Si può affermare che se non fosse avvenuto il pasticcio degli “esodati”, a oggi quasi nessuno nominerebbe quella riforma in relazione a fatti concreti. Cosa accadrà tra “un battito d’ali” lo sanno ancora in pochi, anche perché molti cittadini preferiscono non saperne molto per non doversi adoperare troppo. Meglio, in apparenza, un “chissà come la metteremo” facendo spallucce rispetto a un “qui bisogna darsi una mossa e alla svelta”.
NIENTE INTEGRAZIONE AL MINIMO COL METODO CONTRIBUTIVO
Cosa ci aspetta? Tante regole oggi sconosciute perché non ancora applicate, ma che da tempo sono in vigore. Quasi nessuno per esempio è al corrente che le pensioni erogate col metodo contributivo, spettanti a chi ha iniziato a versare contributi dopo il 1995 (anno della riforma Dini), non godranno dell’integrazione al minimo, un istituto che oggi salva numerosi pensionati dalla povertà, e che tra circa un decennio non sarà più applicato. Il sistema contributivo introdotto dalla riforma Dini fu presentato come in grado di rendere sostenibile il sistema pensionistico. In realtà da allora in poi si è intervenuto poco e si sono sempre rinviati interventi necessari a un futuro indefinito che però ormai è arrivato.
LO SCOGLIO DEI PARASUBORDINATI, CHE GRANA PER L’INPS

La stessa riforma Dini affidava all’Inps la gestione previdenziale dei lavoratori parasubordinati, con lo scopo di rendere poco convenienti i contratti di lavoro cosiddetti “Co.co.co.” e “Co.co.pro.” che ai tempi andavano per la maggiore. Con il tempo, in tale gestione, sono stati fatti confluire i sempre più numerosi appartenenti alle nuove professioni, che si ritrovano a versare contributi elevati ma con regole di funzionamento molto penalizzanti. Basti pensare che non è previsto un importo minimo di contribuzione con questa conseguenza: se in un determinato anno non si versa un importo corrispondente all’imponibile-base previsto per commercianti ed artigiani, i dodici mesi di contribuzione vengono proporzionalmente ridotti, creando buchi contributivi. E così, mentre politici e sindacati periodicamente si accapigliano su “scaloni” e “scalini” per i pensionati di questo decennio, quasi nessuno si occupa della vera e propria montagna da scalare che attende gli attuali under 40, e in non pochi casi anche under 50 ed oltre, destinati a pensioni di importo basso e non certo alle età attuali.
Il Disastro Ancora Evitabile
Cosa si può fare per evitare il disastro? Molto. Il guaio è che chi dovrebbe e potrebbe non se ne occupa. Da più parti si richiede un nuovo periodo di adesione ai fondi pensione tramite il silenzio-assenso, analogo a quello avvenuto nel 2007. Non sono poche le voci che suggeriscono di obbligare al versamento del Tfr nella previdenza integrativa anche perché questo non si può sospende- il sistema dei fondi pensione va migliorato subito per non aggravare il problema delle pensioni insufficenti per vivere re, a differenza dei contributi liberi. Anche rivedere il meccanismo dell’opzione per l’incasso del capitale al posto della rendita è opportuno. Con le regole attuali, che consentono il ritiro dell’intero montante se la conversione in rendita di almeno il 70% di esso non supera la metà dell’assegno sociale, in troppi evitano la rendita che è invece lo scopo per cui i fondi pensione nascono e sono in varie maniere agevolati. Un cambiamento così significativo dovrebbe essere accompagnato da un maggior numero di opzioni per gestire al meglio la propria previdenza e quindi sarebbe necessario consentire di trasferire al fondo pensione anche il Tfr pregresso, così come si dovrebbe consentire di versare all’Inps la posizione nel fondo pensione, per evitare di incappare in rendite penalizzanti.
Il Lato Oscuro Dei Prodotti Previdenziali
Anche in Italia i pensionati sono pronti a tornare in piazza
Le rendite non sono infatti tutte uguali, e rappresentano il vero lato oscuro dei prodotti previdenziali. I coefficienti di conversione sono stabiliti da una convenzione tra il fondo pensione e la compagnia di assicurazione delegata, con quest’ultima che ha facoltà di variarli se ne sussistono le condizioni (salvo nei primi 3-5 anni dalla sottoscrizione e nei tre anni prima dell’erogazione della rendita). A differenza delle normali polizze però non esiste possibilità di recesso non solo per il fondo pensione, ma nemmeno per il singolo aderente. Non stupisce, quindi, la diffidenza verso il secondo e il terzo pilastro, che sono invece tanto più indispensabili quanto più si è lontani dalla pensione.
