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QUI CI VUOLE UN FONDO DAVVERO INNOVATIVO di Sergio

Luciano

il segretario generale della first-cisl riccardo colombani ha lanciato una vera crociata per l’istituzione del «finer», il «fondo nazionale economia reale». Uno strumento con garanzia pubblica per schiodare dai conti correnti una parte dei troppi soldi accumulati dai piccoli risparmiatori

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Il nome funziona: Finer. E l’acronimo si scioglie chiaramente: fondo investimento nazionale economia reale. L’idea è di Riccardo Colombani, segretario generale della First Cisl, la confederazione che nella grande casa del sindacato moderato da sempre più attento alla partecipazione dei lavoratori alla proprietà delle imprese, rappresenta i lavoratori delle banche, delle assicurazioni e dei servizi finanziari. L’idea è semplice, e quindi ha le gambe per camminare. Si tratta di convincere le famiglie italiane a dirottare una parte, piccola, dell’enorme ammontare dei loro risparmi lasciati a fare polvere nei conti correnti bancari senza essere in alcun modo investiti, verso appunto investimenti in economia reale, quindi essenzialmente in imprese sane che possano crescere.

Ne ha parlato formalmente Colombani a fine 2022, al congresso nazionale della confederazione, in un evento che ha riunito al tavolo il presidenre dell’Abi Antonio Patuelli e dell’Ania Bianca Maria Farina col professor Stefano Zamagni, “economista morale” e presidente della Pontificia Accademia di scienze sociali. Tutti d’accordo con l’idea di “spietrificare” quell’enorme massa di risparmi – chi dice 1250, chi 1550 miliardi di euro – contenuta sterilmente nei conti correnti, tanto sterilmente che nemmeno le banche sanno cosa farsene.

Già: va bene spietrificare una parte di quei soldi. Ma come convincere i loro possessori a farlo? E dove indirizzare tutti quei denari?

«È il momento di pensare a un Fondo di investimento nell’economia reale alimentato dal risparmio degli italiani e gestito con forme di partenariato pubblico-privato», dice Colombani. «Le banche conoscono l’economia dei territori e vanno coinvolte e incentivate sul piano fiscale ad adottare modelli di servizio coerenti con questo obiettivo, a cominciare da un modello di consulenza aperto, non limitato ad un numero ridotto di strumenti finanziari come avviene oggi. Anche i risparmiatori vanno incentivati: lo strumento giusto è la garanzia integrale del capitale investito, con limiti temporali e di ammontare definiti ex ante».

E dunque? Dunque il progetto – sostenuto naturalmente da tutta la confederazione e dal suo capo, Luigi Sbarra – punta innanzitutto a far sì che questo fondo Finer sostenga la transizione ecologica delle Pmi esistenti e crei delle start-up pienamente sostenibili nelle aree più svantaggiate dell’Italia, contribuendo alla trasformazione del sistema produttivo nazionale e a ridurre i perduranti divari territoriali. Convogliarvi tra i 70 e i 100 miliardi di euro – quanto una seconda Cassa Depositi e Prestiti – sarebbe un’impresa enorme, eppure corrisponderebbe ad appena l’1,5-2% della ricchezza finanziaria delle famiglie (circa 5 mila miliardi di euro).

Attenzione, però: l’adesione al fondo dovrebbe essere esclusivamente e meramente volontaria. I risparmiatori andrebbero convinti, non certo costretti.

E per convincerli ci vorrebbe una parola magica: “garanzia”. Già: nel progetto First-Cisl, il Finer dovrà prestare una garanzia statale integrale su di un ammontare massimo (per evitare speculazioni) ad una certa scadenza, ferma restando la possibilità di realizzare plusvalenze.

Domanda di blocco: ma non è che uno strumento del genere rischierebbe di essere impallinato da Bruxelles come “aiuto di Stato” sotto mentite spoglie?

Qui sopperisce la prudenza politica della Cisl, mutuata forse – diciamolo! – dalla vecchia scuola democristiana. Le verifiche prudenziali in tal senso sono state già fatte e la risposta è stata rassicurante. Sicura al 100% no, rassicurante sì.

Il complesso della normativa europea vigente sugli aiuti di Stato, unitamente alla ratio che l’anima (ribadita anche negli obiettivi del processo di riforma) dovrebbe senza dubbio consentire l’avvio di un’iniziativa come quella del Finer che è sicuramente indirizzata ad obiettivi di comune interesse (in particolare sul terreno dello sviluppo sostenibile), e che, date le cifre ipotizzate, avrebbe anche un impatto relativamente poco significativo sul complesso del mercato interno della gestione del risparmio. Quindi con tutta probabilità il Finer non costituirebbe violazione della normativa sugli aiuti di Stato (perché verrebbe regolato sul modello del Fon- do italiano per il clima).

Il risparmio raccolto dovrebbe essere vincolato per un congruo periodo di tempo (lockup 3-5 anni) durante il quale risparmiatore non ha la disponibilità sui fondi stessi. Ma sarebbe prevista la creazione un mercato secondario delle quote del Finer per consentire la liquidabilità delle quote. Un po’ come i fondi comuni d’investimento quotati che hanno come sottostante quote di fondi di private equity in sé e per sé illiquide.

E chi dovrebbe gestire un simile poderoso strumento? Il soggetto ideale – per affidabilità e forza operativa – sarebbe la stessa Cassa Depositi e Prestiti con forme di partenariato con banche e assicurazioni aderenti al progetto (partenariato pubblico-privato).

Il Finer potrebbe prevedere più linee di investimento (cluster di imprese esistenti sulla base del rischio di transizione e start up). Al fine di incentivare i soggetti collocatori dovrebbe essere prevista una retrocessione di commissioni di gestione.

Il Finer non nascerebbe adulto: dovrebbe crescere, aiutato da una serie di soggetti collocatori che lo offrirebbero sul mercato come un qualsiasi prodotto finanziario: Bancoposta, banche e assicurazioni.

«Il Finer sarebbe un propulsore potente per lo sviluppo forte e sostenibile dell’Italia. Riscontrerebbe», sostiene

Colombani, supportato anche da una ricerca della Fondazione Fiba, «ampio favore tra i risparmiatori: i più recenti studi svolti nell’ambito dell’educazione finanziaria evidenziano un’asseverata positiva attenzione a favore di investimenti che proteggano le famiglie rispetto a fenomeni di volatilità e che siano chiaramente indirizzati a favorire una crescita economica sostenibile». E allora addentriamoci in qualche dettaglio. La sottoscrizione delle quote del fondo dovrebbe avere un taglio minimo di 1000 euro, molto accessibile. Per mobilitare un numero il più elevato possibili di risparmiatori privati che hanno l’esigenza di proteggere i propri risparmi. Il riferimento potrebbe essere quello richiesto per la sottoscrizione di un titolo di Stato (1.000 euro): il gradimento degli italiani per gli investimenti garantiti e di taglio accessibile è stato recentemente confermato dall’esito dell’emissione dell’ultimo Btp Italia (titolo che ha scadenza nel 2028 ed una cedola fissa dell’1,6% con la possibilità di un rendimento extra parametrato all’inflazione e un premio di fedeltà per chi lo detiene sino a scadenza), che ha avuto luogo dal 14 al 16 novembre 2022, per il quale sono stati sottoscritti da oltre 255 mila soggetti 7,3 miliardi (il secondo miglior risultato di sempre dopo un simile collocamento del 2020), con un importo medio sottoscritto di poco inferiore ai 30.000 euro.

Il taglio massimo investibile da un singolo potrebbe essere determinato sia in valore assoluto, sia in percentuale del patrimonio detenuto dal risparmiatore presso l’istituzione finanziaria incaricata del collocamento e/o anche come multiplo del reddito dichiarato in media nel triennio precedente (considerando che la ricchezza netta delle famiglie è pari a 8,2 volte il reddito disponibile, tale multiplo potrebbe essere compreso tra due e tre volte il reddito). In definitiva, la proposta per un Fondo di Investimento Nazionale nell’Economia Reale va nella giusta direzione: è uno strumento innovativo di finanza sostenibile, verso il quale è lecito pensare che ci possa essere un atteggiamento favorevole da parte dei risparmiatori. Il governo è informato: c’è solo da sperare che trovi il tempo di occuparsene.

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