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ITALIA HUB NEL MEDITERRANEO? SÌ, MA
by Economy
ANCHE DELLE MERCI, E NON SOLO DEL GAS
Èun’idea giusta quella manifestata dal governo di fare del Canale di Sicilia l’asse della nuova politica mediterranea. Bisogna però occuparsi anche di Suez e di Gibilterra. Una politica mediterranea orientata soltanto all’approvvigionamento di energia e non anche, sul fronte petrolifero, alla gestione della raffinazione e su quello macroeconomico dei traffici mercantili sarebbe monca.
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L’auspicabile recupero di centralità del Mediterraneo, e dell’Italia al centro di esso, transita infatti anche per l’offerta di un vantaggioso transito per l’Italia alle merci in arrivo sulle navi che attraversano il canale di Suez, rendendo conveniente per esse attraccare nei nostri porti del Sud per poi inoltrare le merci in intermodalità verso Nord, senza transitare per Gibilterra verso Rotterdam col paradosso di dover far poi rientrare una parte di quelle stesse merci verso il Mediterraneo appena attraversato. Dunque l’Italia va vista come un hub non soltanto del gas ma anche delle merci, riparando agli errori strategici commessi in passato dagli esecutivi dell’Ulivo, quando si puntò sull’alta velocità nella costiera tirrenica e non adriatica, per poi comunque fermarla a Salerno isolando Gioia Tauro, e scegliendo di potenziare Malpensa e non Verona; di fatto scoraggiando l’afflusso di merci sul nostro territorio,. Puntare strategicamente, e non solo per il gas, sul Mediterraneo darebbe alla strategia politica del governo Meloni quella dignità storiografica che legittimerebbe il parlare di un “nuovo piano Mattei”, cioè di una nuova proiezione dell’Italia verso l’Africa con la valorizzazione del nostro ruolo nell Mediterraneo.
Ben venga quindi, in questo quadro e in quest’ottica, l’idea di un metanodotto dall’Algeria per la Sardegna e poi per la costa e di un contemporaneo elettrodotto, collegati a grandi impianti per la cattura della CO2, con grandi parchi eolici e fotovoltaici.
Il cerchio si chiuderebbe se a tutto questo fosse congiunta una ripresa della capacità di raffinazione, riscattando dal declino l’impianto di Priolo e collegandolo con Cagliari, il che darebbe a entrambi gli impianti un grande futuro.
Sarebbe bello ma non sarà facile. Per riuscirci, per compiere questo vero salto di qualità, per diventare veramente un hub energetico e commerciale rilanciando la raffinazione, il governo italiano dovrebbe capire che è necessario tenere la schiena dritta con i francesi, senza peraltro litigarci troppo. Ma l’occasione va colta, e non prendendo il toro dalla coda, ma dalle corna, e quindi affrontando e risolvendo organicamente tutti i problemi per trasformarli in opportunità: approvvigionamenti, merci, raffinazione.
Come riuscirci sul piano della politica internazionale? Come dare organicità al nuovo rapporto con l’Algeria e a quelli con i vari poteri libici? Bisogna avere la consapevolezza che è necessario usare lo scudo americano contro la Francia, la Gran Bretagna e anche la Germania che, se il progetto dovesse prendere corpo nella sua organicità, proverebbero sicuramente a tagliarci la strada; ma nello stesso tempo dovremo essere così bravi a continuare a mantenere comunque buoni rapporti anche a francesi, inglesi e tedeschi. Se fossi nei panni della premier Meloni farei delle visite diplomatiche ufficiali su questo tema a francesi, inglesi e tedeschi presentando il piano come una strategia globale del Paese.
In questo contesto lo sviluppo delle energie rinnovabili va perseguito, ma tenendo presente i loro limiti. Non dimentichiamo che la gran parte dei nostri problemi per cercare alternative al gas e al petrolio russi è derivata dal fatto che abbiamo dietro noi mesi e mesi di caduta semitotale del vento nelle regioni del Mare del Nord, il che ha provocato un crollo della produzione di energia eolica. È sbagliato quindi continuare a pensare alle rinnovabili come ad energie alternativa: sono integrative, invece. Occorre perciò mettere tutti gli attori coinvolti attorno a un tavolo e capire che i megawatt elettrici di cui abbiamo bisogno non possono essere prodotti solo col sole o col vento ma anche con il petrolio e con il gas e, come pare ci si avvii a fare a passi veloci, anche con l’idrogeno, che l’Algeria sta progettando con grandi ambizioni. Puntando poi ad avere in linea produttiva tra vent’anni il nucleare sicuro.
Dunque per restituire centralità geoeconomica all’Italia nel Mediterraneo abbiamo bisogno di fare tutte queste cose, e farle in un quinquennio. Questi sono i tempi della politica economica seria. Proviamo a lasciar lavorare il governo e diciamo basta a questo radicalismo ecologico velleitariamente alternativista. Sulla base di questo ragionamento, anche le valutazioni sull’operato del governo vanno fatte tenendo conto, in retropettiva dei trent’anni di errori accumulati dal nostro Paese. Se da trent’anni noi non cresciamo e gli altri sì, la colpa sarà ben stata di qualcuno. E cioè di chi ha gestito la nostra politica economica in Europa vivendo un’europeizzazione subalterna, a differenza di altri Paesi, come la Spagna e anche il piccolo Portogallo, che pur partendo da un Pil molto inferiore al nostro, hanno vissuto un’europeizzazione attiva.