Ingegneria Alimentare - Settembre-Ottobre 2023

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Anno 20 - numero 113 SETTEMBRE-OTTOBRE 2023

Bimestrale di aggiornamento su tecnologie e processi di trasformazione e di commercializzazione delle carni

ATTUALITÀ

La Dichiarazione di Dublino

FOCUS PROTEINE Alimenti proteici

La nuova frontiera della ricerca alimentare. Un mercato in crescita, degno di attenzione e approfondimento

SICUREZZA ALIMENTARE Alimenti di origine animale e salute

LA PAROLA ALL’ESPERTO Dalle parole ai fatti


Passione

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in ogni piatto.



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NEWS

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ATTUALITÀ: La Dichiarazione di Dublino

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TREND CARNI&SALUMI

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FOCUS PROTEINE: Alimenti proteici

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LA PAROLA ALL’ESPERTO: Dalle parole ai fatti

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MARKETING, DISTRIBUZIONE E CONSUMATORI: Il brand nella carne: missione impossibile?

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RICERCA SCIENTIFICA: Sottoprodotti della filiera agroalimentare: tante opportunità da studiare e sviluppare

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SICUREZZA ALIMENTARE: Alimenti di origine animale e salute

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MONDO AZIENDE: Handtmann Italia - Partner unico per il comparto food

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RELAZIONE SCIENTIFICA: Bioaerosols negli ambienti di produzione degli alimenti

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FIERE ED EVENTI: Cibus Tec, 53° edizione

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AZIENDE E INFORMATICA: CSB-System - My ERP. Food Management Made Easy

Direttore Responsabile: Cristina Filetti Direttore Commerciale: Luca Codato - codato@ecod.it Redazione: Marina Caccialanza - redazione@ecod.it Grafica e Impaginazione: Sabrina Zampini - grafica@ecod.it Hanno collaborato: Stefania Balzan; Aniello Laurito; Carlo Meo; Angela Mucciolo; Claudio Mucciolo; Giuseppe L. Pastori. Il contenuto della rivista non può essere riprodotto, salvo espressa autorizzazione. Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie.

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ASSOCIATO A:

SOMMARIO

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news

STOP ALLA PLASTICA? FORSE

FUTURE OF FOOD, COME SARÀ DOMANI IL CIBO “Future of Food” di Tbwa elabora 42 osservatori culturali in tutto il mondo e un sondaggio di circa 8.000 partecipanti in 18 Paesi. Quattro i punti salienti emersi dal report. 1. Cibo al microscopio In Italia l’81% (e il 79% nel resto dei Paesi) degli intervistati ritiene importante essere in grado di prendere decisioni sulla salute e il proprio corpo ed è importante non solo ciò che mangiamo, ma anche perché lo mangiamo. Mentre la nutrizione personalizzata e le diete antistress stanno elevando il ruolo del cibo a medicina, d’altronde, si producono sempre più farmaci in grado di consentire alle persone di continuare a mangiare male.

Gli scienziati dell’università di Hong Kong hanno sviluppato un materiale commestibile, trasparente e biodegradabile che ha rivelato un notevole potenziale nella produzione di imballaggi per alimenti. Il nuovo packaging al vaglio sarebbe composto di cellulosa batterica che, a differenza della cellulosa che si ricava dalle pareti cellulari delle piante, può essere prodotta attraverso la fermentazione microbica, senza dover impiegare piante e vegetali. Oltre a favorire la tutela dell’ambiente, evitando la deforestazione, questo nuovo imballo allo studio fornirebbe una valida alternativa alla plastica in quanto potrebbe degradarsi completamente nel giro di un paio di mesi e non necessiterebbe di particolari condizioni di compostaggio industriale. Inoltre, essendo commestibile per tartarughe e altri animali marini non causerebbe tossicità acquatica nell’oceano. I ricercatori stanno studiando le potenzialità di questo materiale nella speranza che in futuro possa contribuire a ridurre l’uso di plastiche monouso.

FABBRI E BIZERBA, COLLABORAZIONE STRATEGICA Bizerba, produttore a livello mondiale di soluzioni di pesatura per il settore industriale e della vendita al dettaglio, e Gruppo Fabbri, specialista internazionale di sistemi automatici per il confezionamento degli alimenti, hanno annunciato l’avvio di una nuova collaborazione strategica. Obiettivo dell’operazione è lo sviluppo di una nuova gamma di macchine per l’imballaggio combinate e integrate, che saranno offerte in combinazione con materiali d’imballaggio di alta qualità, oltre a un servizio completo di assistenza tecnica e ricambi, attraverso un unico fornitore. Unendo le competenze di entrambe le aziende, nascono soluzioni all’avanguardia per il settore del food retail: ad esempio, le confezioni stretch ibride basate sull’utilizzo di film monomateriale riciclabili, tutti prodotti da Gruppo Fabbri, rendono il packaging più sostenibile. Bizerba completa la macchina di confezionamento basata sulla tecnologia di avvolgimento con film estensibile con soluzioni combinate per la pesatura, la prezzatura e l’etichettatura. Le prime soluzioni congiunte saranno disponibili in paesi selezionati nell’autunno del 2023. Il lancio ufficiale sul mercato italiano ed europeo avverrà durante la fiera Cibus Tec, che si terrà a Parma (Italia) alla fine di ottobre 2023.

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2. Cibo sotto esame Proteggere la biodiversità e intraprendere azioni per aiutare la natura a prosperare è la categoria che si posiziona al primo posto nella classifica del settore food & beverage, in Italia. Al terzo posto a livello globale, con il 56% degli intervistati che lo ritiene importante, l’attitudine a spendere soldi in modo sostenibile. La ricerca del cibo “buono” si traduce in una ricerca di cibo etico, sostenibile e inclusivo. Questo porterà a un aumento dei prodotti con etichetta sulle emissioni, restrizioni più severe sulla carne bovina e una rinnovata popolarità per i piatti tradizionali. 3. Oltre il consumo Il 64% dei consumatori italiani (e il 60% a livello globale) ha dichiarato di riconoscere l’importanza di modificare il proprio stile di vita in risposta alla scarsità di risorse. Finita l’era del consumismo sfrenato, gli individui stanno reimparando a procurarsi il cibo, a coltivare i propri prodotti e a ridistribuire le eccedenze alle persone bisognose alla ricerca di stabilità. 4. La cucina tecnologica Poco meno della metà, 49% degli intervistati in Italia e 46% a livello globale, concorda sull’importanza di cibi lab-made (creato in laboratorio). Tra coloro attenti alla sostenibilità, la sua influenza sta crescendo, rendendolo un fenomeno da non sottovalutare per il futuro. Il ruolo della tecnologia nell’alimentazione viene valorizzato. Le narrazioni culturali di lunga data ci spingono a scegliere alimenti “completamente naturali” ma il bisogno di innovazione sta spingendo verso una diversa tendenza e apre la porta a una maggiore accettazione delle proteine prodotte in laboratorio, che non sono “sintetiche” ma “coltivate”, in alternativa al prodotto “allevato”, delle innovazioni antispreco e di ingredienti suggeriti dall’intelligenza artificiale.


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news

PLASTICA E PACKAGING, L’ALLEANZA TIENE ARRIVA POSITIVE FOOD, ETICHETTA DI SOSTENIBILITÀ Milan Center for Food Law and Policy presenta Positive Food, il primo Sistema di etichettatura alimentare che fornisce informazioni anche sulla sostenibilità dei prodotti, nato in Italia come certificazione per sensibilizzare i consumatori a una nutrizione consapevole. Il progetto, sviluppato con l’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è una novità assoluta a livello mondiale. Positive Food, infatti, è la prima etichetta che basa la valutazione di un alimento in un’ottica multifattoriale, andando oltre al contenuto di informazioni nutrizionali. La certificazione verrà rilasciata alle aziende su base volontaria e ha la finalità di descrivere un prodotto alimentare nel modo più completo possibile e fornire al consumatore un insieme di informazioni utili a nutrirsi in modo consapevole. L’etichetta è stata elaborata partendo da 4 indici: • ambiente: un alimento deve essere prodotto in armonia col pianeta e le sue risorse ed è necessario che il suo impatto sia dichiarato • persone: ogni alimento deve rispondere a canoni di sostenibilità sociale ed economica, ossia al benessere delle persone che l’hanno prodotto (condizioni di lavoro sane, sicure, giuste ed eque) • filiera: territorialità, tracciabilità, promozione sociale; innovazione, economia circolare e benessere degli animali come indicatori degli impatti sociali, opportunità e sfide nella produzione • nutrienti: informazioni nutrizionali per un’alimentazione corretta e completa, varia e di qualità per la salvaguardia della salute. Positive Food prevede un punteggio da 0 a 5.

Il recente scenario analizzato da Bonfiglioli Consulting sui dati previsionali 2021-2026 conferma che plastica rigida, metallo rigido e carta e cartone sono i materiali più usati per imballaggi dalla produzione industriale. Fra questi, spicca ancora la plastica, che occupa oggi da sola il 36,4% del mercato e continuerà a dominare fino al 2026, con una crescita prevista del 2,3%, grazie soprattutto al basso costo e al peso leggero. Tuttavia, la crescente eco-consapevolezza dei consumatori sta esercitando pressioni sui produttori affinché ne riducano l’uso, il che potrebbe avere un impatto sulla crescita del materiale. Il successo dell’imballaggio flessibile, nuovi materiali sostenibili e plastica riciclata, in particolare rispetto alla plastica rigida, si rileva soprattutto nel settore alimentare, che da solo rappresenta circa la metà del volume d’affari dell’industria del packaging, con una preferenza attestata da una quota del 39,3% nel 2021, e che si prevede in crescita, fra le più elevate previste per gli imballaggi, con un CAGR ( Compounded Average Growth Rate, tasso annuo di crescita) del 2,3% nel periodo 2021-26. Sempre in tema di materiali ecosostenibili e riciclabili il vetro si conferma la scelta privilegiata per le bevande alcoliche, con una quota dell’80,7% nel 2021, in crescita verso l’81,9% nel 2026. La carta è invece la prima scelta per la produzione industriale del tabacco e altri tipi di produzione industriale, con una crescita prevista in particolare per i prodotti per la casa (CAGR 2.0% entro il 2026). In generale, l’industria nazionale del packaging lascia prevedere un trend di crescita circa del 2% entro il 2026.

F.LLI PAGANI - STESSA RESA, UN PLUS IN PIÙ Attraverso una partnership esclusiva sugellata con l’Azienda Caber s.r.l., la linea Gustosì® Pagani Chef sarà arricchita grazie a un ingrediente salutare e di grande valore. Il sale alimentare Presal® è difatti l’unico sale con iodio protetto e studi clinici pubblicati (approvato da AME, Associazione Medici Endocrinologi) che agisce positivamente sulla salute dell’uomo. Nelle fasi di lavorazione, lo iodio protetto di Presal® - anche quando utilizzato come ingrediente - è garantito nel tempo e resiste ai processi tecnologici, alle stagionature e alle cotture senza dispersione (persino alle alte temperature di frittura). Inoltre, il tenore di iodio ionico è costante e garantito durante tutta la shelf-life dei prodotti.

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Presal® contribuisce al normale funzionamento del sistema nervoso; è componente essenziale per il buon funzionamento della tiroide; è importante per le donne in gravidanza e allattamento; contribuisce alla crescita normale dei bambini. Il nuovo ingrediente manterrà intatti gusto, texture e performance del prodotto. L’iconica bottiglia della linea Gustosì®, inoltre, ha da oggi una nuova veste grafica: una evoluzione moderna e pulita che non snatura l’animo storico del marchio. Ogni etichetta è stata studiata ad hoc, preservandone la propria unicità. Il marchio “Gustosì® Pagani” si tinge di color oro brillante e incarna lo spirito dell’azienda: la ricerca costante di ingredienti preziosi e l’offerta di soluzioni di altissima qualità.



attualità

Dichiarazione di DUBLINO

La Più di 1.000 scienziati si pronunciano a favore della zootecnia tradizionale e di un consumo di carne equilibrato

Dott. Giuseppe L. Pastori – Tecnologo Alimentare

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l dibattito sull’alimentazione in questi anni si è molto polarizzato e ideologizzato mettendo soprattutto in contrapposizione tra loro il mondo della carne con quello vegetale. Paradossalmente quando si vogliono mettere in relazione i mali del mondo, dall’alterazione climatica (con tutte le sue implicazioni: dell’emissione di gas serra, del consumo di suolo o dell’impronta idrica della produzione zootecnica) ai problemi di salute legati all’aumento di malattie cardiovascolari, dell’obesità e di forme tumorali, si dà la colpa alla carne. Taluni prefigurano così un mondo più orientato a diete esclusivamente vegetali perché in apparenza più salubri, senza tenere conto del valore nutrizionale di diete più equilibrate che contengono alimenti di origine animale. Gli sforzi per sostenere le diete vegetali sono dettati da una piccola minoranza di scienziati che le promuovono come superiori rispetto a quelle in cui è presente come complemento anche la carne. E le loro idee vengono supportate dai mezzi di comunicazione più generalisti (diverse testate giornalistiche sia in Italia che nel mondo), dando l’impressione che la scienza sia univocamente d’accordo nel proporre regimi alimentari senza carne per il bene del pianeta. Spingono altresì le autorità a implementare menù ad esclusiva base vegetale in ospedali e scuole, a soggetti che avrebbero bisogno invece di alimenti più ricchi di nutrienti. A ciò si aggiungono, nel novero degli antagonisti degli alimenti di origine animale, altre proteine alternative come gli insetti, le micoproteine e la carne coltivata. Sebbene l’Italia ne abbia posto dei paletti circa la produzione sul suolo nazionale, rimane sempre un’alter-

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La Dichiarazione di Dublino, un progetto di ricerca globale che ha l’obiettivo di raccogliere letteratura scientifica in grado di sottolineare i benefici nutrizionali, economici e ambientali della produzione di carne, dando voce alla scienza

nativa che in alcuni Paesi è già autorizzata al consumo: allo stesso modo potrebbe esserlo anche in Europa e magari sui mercati nazionali. Tutti vorrebbero cantare il de profundis della zootecnia, dell’industria della carne e dei suoi derivati sostituendosi completamente a questa filiera. Le evidenze scientifiche che scoraggiano il consumo di carne e promuovono le diete

vegane, sono oggi però frutto più di ideologia che di riscontri oggettivi. Parimenti a studi scientifici che hanno posto in relazione i consumi di carni rosse e derivati con l’insorgere di malattie. Molti documenti a supporto di queste tesi risultano essere alla fine approssimati, limitati a una lettura parziale nella diffusione dell’informazione che poi non viene rettificata. È il caso dello studio dello IARC del 2015 che anticipava che ci sono “prove sufficienti negli esseri umani per la cancerogenicità del consumo di carni lavorate”. Tuttavia questa affermazione non è stata suffragata quando il rapporto è stato pubblicato tre anni dopo, mentre nuovi studi scientifici pubblicati in letteratura hanno dimostrato invece che ci sono prove limitate negli esseri umani per la cancerogenicità del consumo di carne rossa.


attualità

LA DICHIARAZIONE DI DUBLINO DEGLI SCIENZIATI SUL RUOLO SOCIALE DEL BESTIAME

Uno studio di Nature Medicine afferma “che ci sono prove deboli di associazioni dannosi tra il consumo di carne rossa non trasformata e il rischio di cancro del colon retto” [1]. Anche la dieta per la salute planetaria esclusivamente vegana promossa da EAT-Lancet è stata contestata quando si sono dimostrati i suoi limiti, dal momento che le carenze di vitamine e minerali sono dovute alle basse quantità di alimenti di origine animale raccomandati. Bisogna tenere conto che il bestiame è stato per millenni il fulcro dell’alimentazione umana (aspetti anatomici, digestivi e metabolici, indicano una dipendenza e una compatibilità evolutiva con l’assunzione di carne) e che l’apporto di proteine di alta qualità e vari nutrienti, alcuni dei quali non sono sempre facilmente ottenibili con diete prive di carne, è considerato essenziale per il nostro benessere. Secondo un articolo riportato dalla rivista Animal Frontiers, sebbene la carne rappresenti una piccola parte (<10%) della massa alimentare e dell’energia globale, fornisce la maggior parte dell’apporto globale di vitamina B12 e svolge un ruolo sostanziale

Scopo di questa Dichiarazione I sistemi di allevamento devono progredire sulla base dei più elevati standard scientifici. Sono troppo preziosi per la società per diventare vittime della semplificazione, del riduzionismo o del fanatismo. Questi sistemi devono continuare a essere incorporati e avere un’ampia approvazione da parte della società. Per questo, agli scienziati viene chiesto di fornire prove attendibili dei loro benefici nutrizionali e per la salute, della sostenibilità ambientale, dei valori socio-culturali ed economici, nonché delle soluzioni per i numerosi miglioramenti necessari. Questa dichiarazione mira a dare voce ai numerosi scienziati di tutto il mondo che ricercano diligentemente, onestamente e con successo nelle varie discipline al fine di raggiungere una visione equilibrata del futuro dell’agricoltura animale. Sfide per il bestiame I sistemi alimentari di oggi devono affrontare una doppia sfida senza precedenti. C’è un appello per aumentare la disponibilità di alimenti di origine animale (carne, latticini, uova) per aiutare a soddisfare i bisogni nutrizionali insoddisfatti di circa tre miliardi di persone, per le quali le carenze nutrizionali contribuiscono a rachitismo, deperimento, anemia e altre forme di malnutrizione. Allo stesso tempo, alcuni metodi e scala dei sistemi di produzione animale presentano sfide per quanto riguarda la biodiversità, i cambiamenti climatici e i flussi di nutrienti, nonché la salute e il benessere degli animali all’interno di un ampio approccio One Health. Con una forte crescita della popolazione concentrata in gran parte tra le popolazioni urbane e vulnerabili dal punto di vista socio-economico, e dove gran parte della popolazione dipende dal bestiame per il proprio sostentamento, Bestiame e salute umana Gli alimenti derivati ​​dal bestiame forniscono una varietà di nutrienti essenziali e altri composti che promuovono la salute, molti dei quali mancano nelle diete a livello globale, anche tra le popolazioni con redditi più elevati. Gli individui con risorse adeguate possono essere in grado di raggiungere diete adeguate limitando fortemente carne, latticini e uova. Tuttavia, questo approccio non dovrebbe essere raccomandato per la popolazione generale, in particolare non per quelle con esigenze elevate, come bambini e adolescenti, donne in gravidanza e in allattamento, donne in età riproduttiva, adulti più anziani e malati cronici. I più alti standard di prove bioevolutive, antropologiche, fisiologiche ed epidemiologiche sottolineano che il consumo regolare di carne, latticini e uova, come parte di una dieta ben bilanciata, è vantaggioso per gli esseri umani. Bestiame e ambiente Gli animali allevati e al pascolo sono insostitui-

bili per mantenere un flusso circolare di materiali in agricoltura, riciclando in vari modi le grandi quantità di biomassa non commestibile che si generano come sottoprodotti durante la produzione di alimenti per la dieta umana. Il bestiame è posizionato in modo ottimale per riconvertire questi materiali nel ciclo naturale e contemporaneamente produrre cibo di alta qualità. I ruminanti in particolare sono anche in grado di valorizzare terreni marginali non adatti alla produzione alimentare umana diretta. Inoltre, sistemi di allevamento ben gestiti che applicano principi agroecologici possono generare molti altri benefici, tra cui il sequestro del carbonio, il miglioramento della salute del suolo, la biodiversità, la protezione dei bacini idrografici e la fornitura di importanti servizi ecosistemici. Allevamento e socio-economia Per millenni, l’allevamento del bestiame ha fornito all’umanità cibo, vestiti, energia, letame, occupazione e reddito, nonché beni, garanzie, assicurazioni e status sociale. Gli alimenti di origine animale sono la fonte più facilmente disponibile di proteine ​​di alta qualità e diversi nutrienti essenziali per il consumatore globale. La proprietà del bestiame è anche la forma più frequente di proprietà privata di beni nel mondo e costituisce la base del capitale finanziario della comunità rurale. In alcune comunità, il bestiame è uno dei pochi beni che le donne possono possedere ed è un punto di accesso verso l’uguaglianza di genere. I progressi nelle scienze animali e nelle tecnologie correlate stanno attualmente migliorando le prestazioni del bestiame lungo tutte le dimensioni di salute, ambiente e socio-economia sopra menzionate più velocemente che in qualsiasi momento della storia. Prospettive per il bestiame* La civiltà umana è stata costruita sul bestiame dall’inizio dell’età del bronzo più di 5.000 anni fa fino a diventare il fondamento della sicurezza alimentare per le società moderne di oggi. Il bestiame è il metodo collaudato da millenni per creare un’alimentazione sana e mezzi di sussistenza sicuri, una saggezza profondamente radicata nei valori culturali ovunque. Il bestiame sostenibile fornirà anche soluzioni per l’ulteriore sfida di oggi, per rimanere all’interno della zona operativa sicura dei confini del pianeta Terra, l’unica Terra che abbiamo. Per le prove scientifiche, fare riferimento alle registrazioni della presentazione del Summit internazionale del 19/20 ottobre 2022 sul ruolo sociale della carne. Le prove saranno pubblicate anche nel numero speciale di marzo 2023 di Animal Frontiers. * La formulazione di questo paragrafo è tratta dal Solution Cluster on Sustainable Livestock al vertice del sistema alimentare delle Nazioni Unite 2021.

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attualità

nell’apporto di altre vitamine del gruppo B, retinolo, acidi grassi omega-3 a lunga catena, diversi minerali in forma biodisponibile (ad esempio, ferro e zinco) e una varietà di composti bioattivi con potenziale di miglioramento della salute (ad esempio, taurina, creatina e carnosina) [2]. A livello dietetico la carne funge da elemento chiave dell’alimentazione per migliorare lo stato nutrizionale di individui che necessitano di un supporto proteico adeguato (e che sono sottonutriti), nonché per rinforzare la dieta di popolazioni che vivono in regioni che dipendono in larga misura dai cereali di base. È la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) che considera il contributo degli alimenti di origine animale a diete sane come fondamentale nel raggiungere gli obiettivi nutrizionali e di salute di intere popolazioni, coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite [3]. Gli sforzi per ridurre l’assunzione di carne a livello globale, per motivi ambientali o di altro tipo, oltre una soglia critica, possono ostacolare i progressi verso la riduzione della denutrizione e gli effetti che questa ha sui risultati fisici e cognitivi, soffocando così lo sviluppo economico. Questo è particolarmente preoccupante per le popolazioni con maggiori esigenze e nelle regioni in cui gli attuali livelli di assunzione di carne sono bassi, il che non è pertinente solo per il Sud globale, ma è importante anche per i Paesi ad alto reddito (per quella fascia di popolazione più povera, con limitate risorse economiche e che non ha una sufficiente conoscenza per integrare una dieta a base vegetale con altri elementi rinforzanti). In piena sintonia con gli obiettivi dell’ONU, centinaia di scienziati in tutto il mondo stan-

no sostenendo il dibattito affinché le diete globali tengano conto dei benefici che la carne porta in tavola, poiché affermano che la narrativa verso diete più verdi e vegane potrebbe essere andata troppo oltre. Molti ricercatori – anche alcuni di quelli che hanno firmato in passato documenti discutibili – mirano a indirizzare il dibattito scientifico sull’idoneità della carne come parte integrante di diete equilibrate. Affrontando vari argomenti (in un summit internazionale che si è tenuto a Dublino nel 2022 [4]), come l’insieme delle prove sul ruolo della carne nell’evoluzione umana, le diete ottimali in tutte le fasi della vita, la biodiversità e la salute del suolo, l’impatto ambientale e le emissioni di gas serra, la crescita economica e i mezzi di sussistenza e le diverse culture, gli accademici hanno ampiamente concordato sul fatto che i sistemi di allevamento devono progredire sulla base dei più elevati standard scientifici e che sono necessarie ulteriori ricerche in tutti gli aspetti della scienza della carne.

Più di 1.000 scienziati (ricercatori e accademici) hanno firmato finora la Dichiarazione di Dublino [5], un progetto di ricerca globale che ha l’obiettivo di raccogliere letteratura scientifica in grado di sottolineare i benefici nutrizionali, economici e ambientali della produzione di carne, dando voce alla scienza che troppo spesso viene messa a tacere. L’ultimo paragrafo della Dichiarazione di Dublino pone le prospettive del bestiame del futuro e fa suo il testo finale del vertice del sistema alimentare delle Nazioni Unite del 2021: “La civiltà umana è stata costruita sul bestiame dall’inizio dell’età del bronzo più di 5.000 anni fa fino a diventare il fondamento della sicurezza alimentare per le società moderne di oggi. Il bestiame è il metodo collaudato da millenni per creare un’alimentazione sana e mezzi di sussistenza sicuri, una saggezza profondamente radicata nei valori culturali ovunque. Il bestiame sostenibile fornirà anche soluzioni per l’ulteriore sfida di oggi, per rimanere all’interno della zona operativa sicura dei confini del pianeta Terra, l’unica Terra che abbiamo”. 

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

BIBLIOGRAFIA

1. Lescinsky, H., Afshin, A., Ashbaugh, C. et al. (2022). Health effects associated with consumption of unprocessed red meat: a Burden of Proof study. Nat Med 28, 2075–2082. https://doi. org/10.1038/s41591-022-01968-z 2. Leroy F., Smith N. W., Adesogan A. T., Beal T., Iannotti L., Moughan P. J., Mann N. (2023). The role of meat in the human diet: evolutionary aspects and nutritional value. Animal Frontiers 13 (2), 11-18. https://doi.org/10.1093/af/vfac093 3. FAO (2023). Contribution of terrestrial animal source food to healthy diets for improved nutrition and health outcomes – An evidence and policy overview on the state of knowledge and gaps. Rome, FAO. https://doi.org/10.4060/cc3912en / https://doi.org/10.4060/ cc3912it 4. International Meat Summit: The Societal Role of Meat – What the Science Says. Dublin (IRL), 19-20 October 2022. https://www.teagasc.ie/food/research-and-innovation/researchareas/food-quality-and-sensory-science/meat-technology/international-meat-summit/ 5. The Dublin Declaration of Scientists on the Societal Role of Livestock (2022). https://www. dublin-declaration.org/

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NUOVA PIC 99 DRW

NUOVO SISTEMA DI INSACCO IN BUDELLO E RETE C O N CA M B I O T U B O AU T O M AT I C O E S I S T E M A D I P E S O E P R E PA R A Z I O N E D E L P R O D OT TO Con PIC 99 DRW (con stampo da 1100) è possibile posizionare e assemblare pezzi interi o muscoli siringati all’interno di un volume che riproduce lo stampo di produzione. È possibile controllare il peso complessivo dei pezzi inseriti grazie ad un sistema di pesatura con celle di carico ad elevata precisione e un display. Questo permette di ottenere barre insaccate di lunghezza costante.

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CARNI & SALUMI

TREND i m u l a s & i n r ca Novità e conferme, l’impegno per la sostenibilità e il rispetto del benessere animale, fantasia in cucina e attenzione alla salute. Il comparto conserva la sua vivacità e supera la calda estate con intenti propositivi e la cura di sempre per la qualità: guarda al domani.

Essere Animali premia Fumagalli per il suo rispetto del benessere dei suini Fumagalli Industria Alimentare ha ottenuto da parte dell’associazione Essere Animali il pieno riconoscimento sui criteri di valutazione riguardo all’impegno adottato per migliorare le condizioni di allevamento di scrofe e suini, nel corso della campagna SOSpig avviata dall’associazione. I criteri adottati da Essere Animali erano incentrati su: gabbie per le scrofe, arricchimenti ambientali e comfort, mutilazioni, utilizzo di antibiotici, oltre a certificazioni che comprendano numerosi standard migliorativi. Tra le aziende valutate, la lombarda Fumagalli Industria Alimentari che, da oltre dieci anni, attua un protocollo che prevede più spazio per i suini all’ingrasso, maggior comfort con lettiere in paglia, un sistema ruspante con l’eliminazione delle gabbie e di fattori di stress, oltre all’allattamento libero e allo svezzamento rigorosamente tardivo, ovvero non prima di un minimo di 4 settimane. L’associazione, nota per le sue denunce volte a porre fine immediata alle pratiche di allevamento crudeli, sensibilizzando milioni di persone ha effettuato la valutazione su ben 11 criteri, tutti legati alla campagna SOSPig. L’analisi ha verificato l’impegno di alcuni grandi produttori di salumi nel miglioramento delle condizioni di allevamento di scrofe e suini per la produzione di carne, partendo dall’eliminazione delle cause di maggior sofferenza. Delle otto aziende valutate, Fumagalli è stata l’unica a ottenere un pieno punteggio, di undici su undici, dimostrando così il suo impegno concreto nell’eliminazione di determinate pratiche: tra queste, ad esempio, l’allevamento delle scrofe in gabbia, sia durante la gravidanza che durante l’allattamento, il taglio e la limatura dei denti oppure la mutilazione della coda. Fumagalli ha anche dimostrato di impegnarsi a fornire arricchimenti ambientali adeguati a tutti i maiali e alle scrofe, una lettiera confortevole, e di utilizzare responsabilmente gli antibiotici.

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Gli Italiani le preferiscono “bianche”

Un fatturato industriale pari a 7 miliardi circa; un comparto che conta 64 mila addetti; una produzione di 1,22 milioni di tonnellate di carne avicola e 11,8 miliardi di uova. Le carni bianche italiane mantengono il loro primato di gradimento malgrado il leggero calo nei consumi riscontrato (-4,3% in prevalenza carni di tacchino). In particolare, l’avicoltura italiana rimane un modello virtuoso a livello internazionale. Secondo la FAO la produzione avicola italiana emette circa il 50% in meno di Co2 rispetto agli standard internazionali. Inoltre, apprezzabile il fatto che oltre il 60% della produzione italiana riporti in etichetta informazioni aggiuntive a tutela del consumatore e che riguardano: uso di luce naturale, densità inferiore ai limiti di legge, il 6% di allevamento di razze a lento accrescimento, rispondenza a standard di maggiore benessere. Anche per le uova, Unaitalia diffonde dati confortanti: aumento di produzioni cage free e grandi risorse dedicate alla formazione e alla ricerca.


CARNI & SALUMI

TREND

Gli Italiani riducono i consumi

Salumi e frutta, connubio perfetto: parola di Citterio Citterio, storica realtà di salumi, con il supporto scientifico di Nutrition Foundation of Italy, associazione che promuove informazione ed educazione nutrizionale, propone l’accoppiata salumi e frutta. In un’alimentazione equilibrata la frutta, così come la verdura, ricopre un ruolo cruciale. Composti prevalentemente da acqua, gli alimenti appartenenti a questa categoria si caratterizzano per la bassa densità energetica e per l’elevato apporto di vitamine, minerali e antiossidanti. Anche le fibre, elemento fondamentale nel mantenimento di salute e benessere, sono presenti in concentrazioni complessivamente elevate. Le Linee Guida italiane per una sana alimentazione raccomandano, pertanto, il consumo di 2-3 porzioni di frutta al giorno (ed altrettante di verdura), dove una porzione è rappresentata da circa 150g, equivalenti a 1 frutto medio o 2 piccoli. Livelli di consumo che vengono difficilmente raggiunti nella vita di tutti i giorni. Per esempio, secondo i risultati dello studio EPIC (European Prospective Investigation Into Cancer and Nutrition), meno

di una persona su cinque in Europa assume regolarmente la quantità ottimale di frutta e verdura. Il connubio coi salumi diventa un ottimo suggerimento nutrizionalmente equilibrato con la linea Tagliofresco in Leggerezza Citterio. Il Prosciutto Crudo Taglio fresco in Leggerezza, che mantiene tutto il gusto con una quantità di grassi e sale inferiore rispetto al Prosciutto Crudo Nazionale (fonte: CREA), è ideale da abbinare con la frutta più dolce (melone, fragole o fichi). Così come il Petto di Tacchino al Forno Taglio fresco in Leggerezza, ottenuto da petto intero selezionato, senza glutammato e addensanti, che con il suo sapore avvolgente si abbina perfettamente a prugne e susine, grazie al contrasto tra la polpa dolce e il gusto acidulo della buccia, oppure per un gusto più esotico al mango. Con il Prosciutto Cotto Taglio fresco in Leggerezza Citterio, dal gusto unico e delicato, con un apporto di grassi più che dimezzato rispetto al Prosciutto Cotto Nazionale (fonte: CREA) si può creare il giusto equilibrio di sapori abbinandolo al gusto dolce delle pesche o dell’anguria. Da provare anche l’avocado, un frutto dal gusto più morbido e cremoso.

L’analisi di NielsenIQ (NIQ) sull’andamento dei consumi e delle abitudini di acquisto delle famiglie italiane ha recentemente rivelato che continuano a ridurre i prodotti nel carrello della spesa malgrado il calo dell’inflazione al 14,1%. L’indagine condotta da NIQ evidenzia che l’indice di inflazione teorica nel Largo Consumo Confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, a maggio è scesa al 14,1%, in calo rispetto al valore registrato il mese di aprile (14,4%). La variazione reale dei prezzi invece è pari al 12,4%, con una riduzione dell’1,7% del mix del carrello della spesa. Questo dato evidenzia come le variazioni di scelta dei consumatori sui prodotti e sulle quantità acquistate incidano sull’importo finale della spesa. Per quanto riguarda i canali distributivi, tutti registrano un trend positivo rispetto allo stesso periodo del 2022. Nello specifico, a maggio la crescita è guidata da Supermercati e Superstore (+9,4%), seguiti dai Discount (+9,1%), Iper >4.500mq (+8,4%), Liberi Servizi (+7,8%) e Specialisti Drug (+6,6%). Ma cosa mettono gli Italiani nel carrello della spesa? In ascesa i prodotti per animali domestici e i cibi confezionati; il Fresco (Peso Fisso + Peso Variabile) risulta in crescita in tutti i format distributivi; a livello di categoria, Formaggi (+17,9%) e Pane & Pasticceria & Pasta (+17,1%) sono quelle più dinamiche, mentre Salumeria (+4,5%) e Frutta e Verdura (+4%) registrano i trend di crescita più bassi.

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focus proteine

La nuova frontiera della ricerca alimentare sono gli alimenti ad alto contenuto proteico. Un mercato in crescita, degno di attenzione e approfondimento

G

li alimenti proteici sono sempre più numerosi sugli scaffali della distribuzione. Una tendenza in crescita: 2 milioni di famiglie italiane acquistano prodotti ad alto contenuto proteico oltre 15 volte l’anno (Gfk Italia). Prima erano barrette energetiche, oggi la gamma è ampia e variegata, dai latticini ai prodotti da forno, dai biscotti alle gallette fino alla polenta e al riso. Che l’abitudine derivi dalla necessità di integrare la propria dieta giornaliera per sopperire a mancanze dovute al consumo ridotto o addirittura azzerato di proteine di origine animale, o sia dettata da motivazioni di origine etica o ambientale, poco importa. Gli alimenti proteici sono ampiamente diffusi e riscuotono sempre maggiore interesse nel consumatore. In occasione della 24ª edizione del Brands Award di Mark Up e GDOWeek, i Tramezzini Proteici Good Choice di ALDI, disponibili in tre varianti, si sono aggiudicati il premio nella categoria “Piatti Pronti”. Due fette di pane e in mezzo gusto e benessere. Disponibili nelle tre varianti Pollo e Curry, Cotto e Paprika e Tonno ed Erba cipollina, garantiscono un elevato apporto proteico grazie al sapiente utilizzo di ingredienti, come il mix di farine di grano tenero e integrale, i semi di girasole, di sesamo e la granella di soia. Ma gli esempi sarebbero molti: Yomo offre High Protein Kvarg, un formaggio fresco, ad alto contenuto proteico e senza lattosio, Cameo propone mousse e creme spalma-

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Alimenti PROTEICI

bili, Valfrutta i frullati arricchiti con proteine vegetali ricavate dal frumento, Eurovo una bevanda a base di albume d’uovo integrato con fibre e vitamine. E poi, la piadina Loriana con farina di ceci, le gallette Fiorentini con lenticchie rosse e così via. L’elenco sarebbe lungo.

ALIMENTI HIGH TECH, LA NUOVA FRONTIERA

Superfood, proteine vegetali e la nuova frontiera degli insetti commestibili; e non dimentichiamo la carne coltivata: il processo alimentare tra innovazione e tradizione è un tema che impegna aziende e governi, tra polemiche e discussioni, evidenze scientifiche o, piuttosto, mancanza di evidenze rilevanti in grado di rassicurare il consumatore e indurlo a scegliere consapevolmente. In un contesto dove i cambiamenti climatici rendono impellenti le misure per la tutela delle risorse terrestri, una gestione intelligente della chimica e il potenziamento della di-

A cura della Redazione

gitalizzazione delle filiere potrebbero fornire supporto ad agronomi e scienziati favorendo lo sviluppo di “smart agricolture” e della produzione di “proteine alternative”, grazie all’innovazione food tech. Una piccola rivoluzione verso i superfood l’ha attuata, per esempio, Noberasco: dalla frutta fresca e secca ha puntato alla destagionalizzazione dei consumi creando nuovi prodotti e, soprattutto, un nuovo servizio al consumatore in grado di dare valore aggiunto al prodotto: le bustine da 40g, facilmente trasportabili e consumabili, un esempio illuminante che dagli anni 2000 hanno contribuito a raddoppiare il volume di produzione e vendita dell’azienda. Il trend delle proteine vegetali, inoltre, ha indirizzato la ricerca verso prodotti misti, con ingredienti vari, che incontrano il favore del pubblico. Un’alternativa sono le alghe, sapide e croccanti; i semi di canapa o girasole; le erbe come la chia, la moringa o i funghi shitaki. Le farine di insetti, definite da alcuni il cibo


focus proteine

del futuro, come quelle utilizzate per i prodotti della start up Small Giants sono la testimonianza dell’innovazione che guarda al futuro. Se la produzione di carne ha un peso oneroso sul pianeta, le proteine sostenibili degli insetti possono fornire la soluzione. Un cracker a base di farina di grillo ha l’80% di contenuto proteico, vit B12 e ferro, ha un basso costo ambientale e un alto valore nutrizionale. Un mercato che guarda a una categoria di consumatori attenti alla salute, consapevoli e informati, curiosi verso il nuovo.

CARNE COLTIVATA, SARÀ QUESTO IL DOMANI?

Aleph Farms, azienda israeliana che produce carne coltivata, ha chiesto l’approvazione della Svizzera per la commercializzazione della sua carne coltivata. Potrebbe essere il primo passo verso la diffusione del prodotto in Europa? L’azienda ha già instaurato rapporti con i principali marchi di grande distribuzione svizzeri e, quindi, in un prossimo futuro l’ipotesi potrebbe diventare realtà. Secondo i sondaggi, il 74% dei consumatori

interpellati sarebbe disponibile ad assaggiare i nuovi prodotti. Tra le motivazioni addotte: curiosità, desiderio di contribuire a ridurre l’impatto ambientale, aspirazione a una dieta più sostenibile. L’Europa agisce con lentezza, forse con cautela. Spagna e Olanda stanno investendo molte risorse in questa attività ma l’Efsa non ha ancora sdoganato il prodotto a livello di sicurezza alimentare e questo ne frena l’accettazione. Resta il fatto incontestabile – anche se alcuni ci provano senza successo – che la nostra specie di Homo sapiens o Cro-Magnon, più o meno come l’altra specie nostra cugina di Neanderthal con la quale ci siamo ibridati, è carnivorana e tale rimarrà nel futuro, come afferma il Prof. Giovanni Ballarini sul Notiziario dell’Accademia dei Georgofili: “L’essere carnivorani fa parte del cespuglio evolutivo dal quale proveniamo e che in noi è presente e ineliminabile nella conformazione anatomica e funzionale dell’apparato digerente, nel nostro metabolismo e soprattutto nei nostri comportamenti che si manifestano nella “fame di carne” che ci caratterizza. Que-

sta fame specifica in modo inequivocabile si manifesta negli aumenti dei consumi di questo alimento ogni qual volta ve ne sia la possibilità per disponibilità economica e con le regole imposte dalle diverse società umane”. Produrre carne sintetica, dunque, sarebbe solo un modo per soddisfare questa nostra aspirazione e mettere a tacere, contemporaneamente, i nostri rimorsi per il danno prodotto al pianeta nei secoli. Non resta che attendere gli sviluppi.

Il mondo delle proteine alimentari Giuseppe L. Pastori – Tecnologo Alimentare

Q

uando si parla di proteine, spesso il dibattito è polarizzato solo sulla macro questione della loro provenienza, contrapponendo quelle di origine animale (contenute nelle carni, nel latte, nelle uova e nei loro derivati) a quelle di origine vegetale, fungina o derivate dalle alghe. Ne viene fatto un caso di rilevanza climatica e di sostenibilità, prima ancora di declamare la loro funzionalità per l’organismo umano e di discutere delle loro proprietà reologiche nella produzione degli alimenti. Per l’organismo umano le proteine sono un macronutriente essenziale comunemente contenuto in molti alimenti animali, vegetali, funghi, insetti e microalghe. Le consideriamo come i mattoni del nostro corpo perché servono a costruire le strutture cellulari, a mantenerle plastiche e a ricostruirle in caso di danni e lesioni. Ogni alimento contiene una quantità e qualità unica di proteine che possono essere più o meno utili a seconda della nostra salute. Abbiamo bisogno delle proteine perché da esse ricaviamo gli ammi-

noacidi, che utilizziamo per sintetizzarne di nuove: 20 amminoacidi sono coinvolti nella sintesi delle proteine, 11 di questi possono essere sintetizzati dalle persone adulte, ma 9 (fenilalanina, treonina, triptofano, istidina, metionina, lisina, leucina, isoleucina e valina) devono essere assunte necessariamente con la dieta. Parliamo in questi casi di amminoacidi essenziali che l’organismo umano non è

in grado di sintetizzare da sé. Senza le proteine sintetizzate dagli amminoacidi non potremmo vivere, perché sono una componente fondamentale di molte parti del corpo: le troviamo nei muscoli (mioglobina), nei capelli, nelle ossa, nel sangue (emoglobina), come costituenti degli ormoni che sono dei messaggeri chimici prodotti dalle ghiandole. Anche gli enzimi che regolano molte reazio-

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focus proteine

Il prossimo anno, dal 28 al 30 maggio si svolgerà alla Fiera di Milano Rho l’esposizione Meat Tech, il tradizionale appuntamento dedicato alle tecnologie di processo e confezionamento per il mondo delle proteine tradizionali e innovative. È la fiera specializzata per la filiera di salumi, delle carni, dei formaggi a pasta dura, del pesce, del pollame, dei piatti pronti, del pet food, delle proteine alternative e degli snack proteici. Troveranno spazio in esposizione linee complete, tecnologie, materiali e soluzioni intelligenti per la lavorazione, la trasformazione e il confezionamento, ma anche aromi, spezie e ingredienti. La rassegna si avvale di partner strategico come UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il Confezionamento e l’Imballaggio) e ASSICA (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi). Nell’edizione 2024 di Meat Tech verrà introdotto un nuovo salone tematico, PRO-TECH, che ha l’obiettivo di fornire un focus sulle proteine alternative, sugli alimenti a base vegetale, sui cibi ad alto contenuto proteico e sugli snack proteici (anche per il mondo del pet food). L’innovazione è al centro del progetto. PRO-TECH si prefigge di diventare il punto di riferimento in Italia della tecnologia e degli ingredienti dedicati alla produzione di alimenti proteici alternativi a quelli tradizionali. Nello specifico, l’obiettivo è quello di creare una piattaforma integrata tra una proposta consolidata come Meat Tech e l’innovazione di PRO-TECH – senza arroccarsi in difesa di un settore tradizionale come quello delle carne e derivati, importante per l’Italia. Il punto di contatto sono le tecnologie ma soprattutto l’innovazione di prodotto che abbraccia l’impiego di ingredienti alternativi e soluzioni specifiche per i mercati emergenti. L’evento è rivolto a tutti gli operatori professionali, compresi gli specialisti del marketing e gli esperti nello sviluppo di prodotti innovativi, che si potranno interfacciare con i fornitori di soluzioni tecnologiche e di ingredienti sia per il mondo proteico “tradizionale” (carne e derivati, prodotti lattiero-caseari, pesce) sia per il mondo delle “nuove proteine” (prodotti plant based o che impiegano farine di insetto, microalghe e miceli fungini).

ni nel nostro corpo sono di natura proteica: perché l’organismo possa utilizzare gli amminoacidi presenti nelle proteine della dieta è indispensabile che queste vengano degradate. È dunque necessario l’intervento di enzimi in grado di rompere i legami peptidici prima nello stomaco e poi nell’intestino tenue, liberando gli amminoacidi. Questi ultimi potranno così essere assorbiti dalle cellule della mucosa intestinale e rilasciati quindi nel flusso sanguigno. Le proteine che assumiamo con il cibo sono sia facilmente assorbibili che digeribili, il che le rende l’alimento ideale per le persone che stanno cercando di incrementare il loro apporto proteico. Le proteine di origine animale sono complete, poiché contengono tutti e 9 gli amminoacidi essenziali, il che significa che non abbiamo bisogno di combinare fonti diverse di proteine per ottenere l’intera gamma. La

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carne magra, ad esempio, è una delle migliori fonti di proteine di origine animale, oltre a contenere vitamine del complesso B (non presente nei vegetali), vitamina A, grassi omega 3 e minerali come ferro e zinco.

Le proteine di origine vegetale sono generalmente insufficienti in alcuni amminoacidi essenziali quindi è necessario combinare diversi alimenti vegetali per ottenere i benefici nutrizionali. I legumi, i cereali integrali, la soia e la quinoa sono alcuni esempi di fonti di proteine di origine vegetale. I funghi sono una buona fonte di proteine completa. Contengono numerosi nutrienti e alte quantità di fibre, oltre a vitamina B, calcio e ferro. Tuttavia a meno che le proteine non le si estraggano, le si concentrino e le si coagulino tra loro per ottenere un altro prodotto, è impensabile consumare da sola una quantità sufficientemente elevata di funghi. Anche se gli insetti sono stati introdotti da tempo nella dieta di alcune popolazioni, solo di recente sono stai presi in considerazione dai paesi occidentali come fonte di proteine di notevole rilevanza. Sono ricchi di più di 30 nutrienti preziosi, tra cui vitamine del gruppo B, ferro, magnesio, fosforo e selenio. Le microalghe sono un’altra fonte potenziale di proteine. Sono ricche in proteine, amminoacidi, vitamine e minerali. Rappresentano anche una buona fonte di antiossidanti e possono aiutare a prevenire le malattie croniche. Negli ultimi anni, inoltre, ci sono stati significativi progressi nella produzione di alimenti ad alta percentuale proteica e arricchiti di nutrienti, come ad esempio le barrette energetiche, i cereali istantanei proteici, le bevande a base proteica o preparati in polvere da diluire. Sono le scelte di alcuni sportivi o di chi segue diete iperproteiche con finalità dimagranti (NB: se sono diete seguite da un nutrizionista possono anche andare bene, ma se sono una moda e si fa una dieta iperproteica “fai da te” consumando troppi di questi prodotti, rinunciando a carboidrati e non assumendo abbastanza acqua, si rischia l’opposto e può anche aumentare il rischio cardiovascolare). Questi prodotti sono solitamente realizzati con proteine isolate derivate da soia, latticello, uova o con altri contenuti


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di proteine concentrate. Oltre ad essere arricchiti con diversi nutrienti, prevedono spesso l’aggiunta di aromi, zucchero ed erbe per migliorarne il gusto. I prodotti proteici ad alto contenuto nutrizionale sono concepiti per fornire al corpo nutritivi ben equilibrati con un apporto calorico limitato, offrendo così un’opzione di alimentazione molto più sana. Le proteine a livello industriale vengono utilizzate per molti scopi perché hanno particolari proprietà chimico-fisiche tali da de-

terminare alcuni caratteri organolettici degli alimenti che le contengono o a cui vengono aggiunte (aspetto, consistenza ecc.) e il loro comportamento nel coadiuvare trasformazioni alimentari più complesse (assorbimento di acqua, rigonfiamento, formazione di gel, schiume ecc.). Tre sono i comportamenti fondamentali da considerare: • la capacità di interagire con l’acqua (miglioramento dell’idratazione e solubilità); • l’attitudine a interagire con altre proteine

(gelificazione, precipitazione); • la capacità di modificare le proprietà di superficie (tensioattive) formando schiume ed emulsioni. Per ottenere le proteine pure (evitando l’interazione che altri componenti possono avere riducendone l’efficacia, diluendone la concentrazione o interferendo con la trasformazione) occorre effettuare dei trattamenti industriali. L’obiettivo è quello di ottenere un’assimilazione migliore, una maggiore efficacia o semplicemente di isolare degli amminoacidi più interessanti rispetto ad altri. Da questi trattamenti derivano una serie di prodotti come proteine totali, proteine isolate, concentrato di proteine, proteine idrolizzate, proteine texturizzate, peptidi o amminoacidi puri. Il processo di produzione delle proteine si compone di diversi passaggi che dipendono dalla matrice alimentare da cui vengono estratte. In generale, prima di effettuarne l’estrazione bisogna lavorare le matrici alimentari (come i cereali, le verdure, la soia, la carne, le uova, i latticini e/o certi sottoprodotti tipo il siero di latte) in modo da creare una forma più gestibile, come ad esempio un macinato o una farina. Il prodotto così ottenuto viene sottoposto a processi di disidratazione (se occorre) con l’obiettivo di mantenere le proprietà bioattive delle proteine. A questo punto, le proteine possono essere estratte dalle farine separandole e purificandole da altri componenti indesiderati come grassi, fibre e zuccheri (che seguono una loro via di produzione con altri sistemi), trattandole con un estrattore meccanico (decanter o centrifuga) o con processi chimici. I passaggi che seguono possono dipendere dalla matrice alimentare utilizzata. Ad esempio, le proteine estratte da carne e pesce possono essere solubilizzate per mezzo di soluzioni chimiche o con l’aiuto di un processo di microfiltrazione. Le proteine estratte da legumi (soia, pisello, ecc.) si ottengono usando

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focus proteine

centrifughe o centrifughe decanter, per ottenere prodotti diversamente concentrati. Infine, la polvere di proteine viene sottoposta a un processo di agglomerazione per ottenere delle particelle con dimensioni e forma predeterminate. Ogni matrice alimentare può richiedere un processo leggermente diverso a seconda delle specifiche proprietà nutritive

desiderate dal prodotto finale. Una volta che le proteine sono state isolate, possono essere ulteriormente purificate attraverso una serie di tecniche note come la cromatografia, l’elettroforesi e per affinità oppure ulteriormente digerite per separare i singoli amminoacidi. Ciascuna di queste tecniche è progettata per allontanare o selezionare particolari pro-

teine a seconda della loro struttura, proprietà o funzione. Le aziende che si occupano della vendita e distribuzione di queste proteine sono le stesse aziende produttrici o quelle concessionarie che trattano ingredienti e semilavorati, che possono offrire consulenza sulle modalità di impiego per la realizzazione dei diversi prodotti alimentari. 

CARNE ROSSA PER LA DIETA DEGLI SPORTIVI Bord Bia, l’ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari irlandesi, suggerisce un approfondimento sul ruolo della carne rossa nell’alimentazione di chi pratica sport, con la consulenza di Giorgio Donegani, famoso tecnologo alimentare ed esperto di nutrizione. Questo alimento, infatti, se prodotto seguendo buone pratiche di allevamento - come nel caso della carne irlandese - e se integrato in un regime alimentare completo e bilanciato, risponde perfettamente alle specifiche necessità dello sportivo ed è altresì prezioso per sostenere la pratica di una sana e regolare attività fisica. Bruciare energie facendo sport aiuta a ridurre il rischio di malattie. Per produrre effetti positivi, occorre però che l’attività sportiva sia sostenuta da un’alimentazione adeguata a soddisfare i particolari bisogni che la stessa attività fisica induce nell’organismo. “Ciò che è importante considerare è quel che effettivamente avviene nel fisico sotto sforzo e, di conseguenza, capire l’importanza di alimenti ricchi delle sostanze più utili a sostenere l’affaticamento” spiega Giorgio Donegani. I carboidrati e i grassi sono, infatti, per lo sportivo le più importanti fonti energetiche, l’acqua l’elemento fondamentale per mantenere l’efficienza dell’organismo, mentre un adeguato apporto proteico è necessario per lo sviluppo e la riparazione dei muscoli, il ferro per l’ossigenazione del sangue e per la produzione di energia a livello cellulare, le vitamine per la produzione dei globuli rossi e per ottimizzare la sintesi delle proteine. L’alimento per eccellenza naturalmente ricco di tutti questi nutrienti utili al corpo dello sportivo (e non) è la carne rossa di manzo, specialmente quando deriva da bovini allevati con un’alimentazione grass fed come quelli irlandesi, liberi di pascolare. “Un animale libero di pascolare nutrendosi di erba fresca, assume da questa una serie di sostanze che, oltre a dare alla carne profumo e gusto, le conferiscono anche maggiori qualità nutrizionali. È dimostrato che la carne degli animali allevati al pascolo è sette volte più ricca di betacarotene,

tre volte più ricca di Vitamina A e di Vitamina E, e fino a 5 volte più ricca dei preziosi acidi grassi Omega 3” conferma l’esperto. Entrando nello specifico delle proprietà nutritive della carne, la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) raccomanda un consumo giornaliero di 0,9 g di proteine per ogni kg di peso corporeo di un adulto che svolge una normale attività fisica, mentre per l’atleta che pratica endurance il fabbisogno quotidiano sale a 1,2 – 1,4 g per kg di peso, e può arrivare fino a 1,8 g per chi si dedica a sport di forza. In tal senso, la carne rossa di manzo non solo contiene un’elevata quantità di proteine (in media tra il 20% e il 25% secondo i tagli), ma quelle della carne sono proteine “nobili”, ricche di tutti quei 9 amminoacidi chiamati “essenziali” perché il nostro organismo non riesce a sintetizzarli da solo e deve introdurli per forza con il cibo. In particolare, tra gli amminoacidi essenziali della carne rossa di manzo, spicca l’alto contenuto di quelli cosiddetti “ramificati”, leucina, isoleucina e valina, che sono particolarmente importanti perché sono coinvolti nella preservazione della massa muscolare durante lo sforzo intenso e possono essere utilizzati essi stessi come fonte di energia durante l’attività fisica, oltre alla creatina, un amminoacido che svolge un ruolo chiave nel sistema energetico. È infatti coinvolta nel processo di rigenerazione dell’adenosina trifosfato (ATP), la principale fonte di energia utilizzata dalle cellule muscolari durante l’attività fisica ad alta intensità e breve durata. Per gli sportivi, gli effetti positivi della creatina presente nella carne rossa sono importanti: • Può produrre un aumento della forza e della potenza muscolare. • Può migliorare le prestazioni in attività come il sollevamento pesi, gli sprint o gli sport di resistenza ad alta intensità. • Può aiutare a ridurre i danni muscolari indotti dall’esercizio fisico intenso e accelerare il recupero muscolare. • Può stimolare l’aumento della dimensione e del volume dei muscoli.

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LOXER FARINA DI GRILLI, SANA E SOSTENIBILE Loxer S.A.R.L da oltre 25 anni commercializza ingredienti e additivi per l’industria alimentare, nutra farmaceutica e cosmetica.

Grazie a solide relazioni con partners certificati europei e internazionali, la società con sede a Monaco ha sviluppato un ampio

portfolio di prodotti che esporta in tutto il mondo. Loxer ha recentemente introdotto nel suo catalogo uno dei “novel food” per eccellenza: la farina di grilli. Quali sono i vantaggi del consumo della farina di grilli? • È un’ottima fonte proteica, contiene infatti oltre il 65% di proteine; • Contiene pochissimi grassi e numerose sostanze nutritive, tra cui vitamine, fibre, minerali, calcio, sodio; • Può essere impiegata per la produzione di pasta, pane, dolci, snack; • È priva di glutine; • Riduce l’impatto ambientale legato al consumo di carne; • Viene prodotta da grilli appositamente allevati e nutriti con mangimi vegetali e sotto stretti controlli sanitari.

L’innovazione del prodotto, oltre all’alta qualità di tutte le materie prime, è la versatilità d’uso in diverse preparazioni gastronomiche:

non solo meat-repalce (burger, salsicce, wurstel), ma anche pasta ripiena, snack, salse e condimenti.

TEC AL ZERO CARNE Tec-Al srl ha sviluppato dai legumi, il nuovo mix per burger, polpette e macinati (ragù, sughi e ripieni per la pasta), totalmente senza allergeni, senza OGM e senza glutine, appositamente pensati per la produzione di alimenti alternativi alla carne. “Quella degli alimenti plant-based e clean label non è più vista come una nicchia di mercato o un semplice strumento di marketing – precisa Cristian Mazza, responsabile R&D e Regulatory Affairs –. Storicamente, in Italia siamo sempre un “po’ scettici” verso ciò che è alternativo alla tradizione, ma l’evoluzione della società e il cambiamento delle abitudini alimentari ci confermano che i tempi sono maturi per alimenti plant-based buoni, salutari e sostenibili”. Tec-Al srl propone un preparato pronto (preparato a freddo) composto da • Proteine di pisello. • Farina di lenticchie rosse. • Stabilizzanti. • Farina di mais. Il prodotto può essere neutro (senza nessuna aromatizzazione) oppure aromatizzato al gusto di pollo o manzo. Si tratta di un preparato di facile utilizzo, pronto all’uso dopo semplice idratazione con acqua ed olio vegetale.

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focus proteine

LEBEN INGREDIENTS ISOLATO PROTEICO DI PISELLO L’isolato proteico di pisello Empro® E 86, estratto dal pisello giallo, è una materia prima 100% naturale e di rigorosa provenienza UE, ipoallergenico e soprattutto a basso contenuto di fattori con attività enzimatica responsabili della degradazione della struttura proteica. Tali caratteristiche lo rendono particolarmente digeribile e assimilabile, lasciando intatte le proprietà tecniche. La gamma EMPRO® di Emsland Group, per la quale LEBEN Ingredients è distributore ufficiale, è sinonimo di isolati proteici funzionali di pisello ad alto valore nutrizionale, anallergici e non OGM, e può essere utilizzata come fonte proteica o come ingrediente funzionale in varie applicazioni alimentari. L’isolato proteico del pisello di Emsland Group ha un titolo proteico minimo dell’84%, valore particolarmente elevato rispetto ad altri isolati proteici vegetali. In particolare, nelle applicazioni nel settore carni, le proteine vegetali vengono impiegate sia come base per la produzione dei

sostitutivi della carne, sia direttamente nella produzione dei semilavorati a base carne, in forte crescita da parecchi anni: le previsioni parlano di un rapido incremento sia in termini quantitativi che qualitativi, per la qualità delle proprietà nutrizionali e funzionali e per il basso impatto ambientale, essendo coltivate in piena sostenibilità . Il loro utilizzo al posto delle proteine animali consente un notevole risparmio di emissioni di CO₂ e un accorciamento della filiera produttiva che, in tal modo, può essere meglio controllata e garantita. Le proteine vegetali, infatti, costituiscono la base di partenza per ottenere un risultato strutturale che mima l’effetto delle fibre e della consistenza della carne stessa. TVP ed HME, lavorati e trasformati, sono la base per ottenere i vari tipo di sostituti della carne, come hamburger, salsicce e nugget. La gamma Empro® E 86 è disponibile in 4 versioni; al prodotto standard si affianca una versione a basso contenuto di ceneri, in

particolare bassa in cloruri, una con granulometria extrafine ed una ad alta attività viscosizzante. L’alta percentuale di amminoacidi ramificati presenti nelle EMPRO consente di ottenere ottimi risultati nel processo di testurizzazione, senza dimenticare l’aspetto organolettico. Infatti tutti i prodotti della gamma Empro hanno un sapore non invasivo e non chelante della frazione aromatica.

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la parola all’esperto

Dalle

PAROLE ai fatti

Giuseppe L. Pastori - Tecnologo Alimentare

Il Senato approva il Disegno di Legge che vieta l’uso di termini che richiamano il “meat sounding” per i prodotti a base vegetale

L

o scorso anno, il Rapporto del Censis “Per il buon uso del recovery fund nel rilancio delle filiere della carne” [1], realizzato per ASSICA e UnaItalia, rispettivamente l’Associazione industriale della filiera della carne suina e dei salumi e l’Associazione della filiera avicunicola e delle uova, dava un’idea di come gli italiani vedono il mondo delle carni soprattutto in relazione alle proposte alternative di prodotti a base vegetale, della carne coltivata e della liberalizzazione degli insetti come alimenti. Secondo gli Italiani, le carni e i prodotti da loro derivati rimangono un alimento importante e fondamentale nella buona dieta. Bianca o rossa, in quantità appropriate, i consumatori non sono affatto convinti che le carni debbano essere escluse da una dieta sana. Mangiano carne non tanto come abitudine consolidata ma perché la ritengono una componente fondamentale di una buona dieta, cioè la dieta mediterranea che l’82,5% del campione

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intervistato dichiara di cercare di praticare nel quotidiano. Così, nonostante continue campagne di comunicazione che, in nome di una maggiore sostenibilità ambientale o di una maggiore tutela della salute, promuovono la riduzione drastica del suo consumo, la quasi totalità degli Italiani (il 96,5%) dichiara di mangiare carne; sono soprattutto i giovani (18-34 anni) a consumarla con regolarità (62,8%), più di anziani e adulti. Per quanto riguarda le alternative alla carne (i prodotti veggie o plant based meat, quelli a base di insetti o la carne “sintetica” ovvero coltivata), gli Italiani non le gradiscono allo stesso modo ma soprattutto non le vogliono confondere con la carne vera da agricoltura e allevamenti tradizionali e con i prodotti da essa derivati. Coloro che sono convinti che le preparazioni a base di vegetali non possano essere considerate carne sono il 79,9%; l’83,9% degli intervistati non è convinto dei prodotti realizzati con gli insetti e non è disposto a mangiarli; l’85,6% dichiara di non volere cibi fatti in laboratorio. Sappiamo bene che il mercato delle alternative vegetali ha assistito in questi ultimi cinque anni a una progressiva espansione, anche perché fino ad oggi i produttori di

alimenti vegetariani e vegani hanno beneficiato di vuoti legislativi (in Europa non esistono leggi che definiscono cosa sia vegano o vegetariano) per presentarsi con nomi che richiamano la carne o prodotti a base di carne come “hamburger”, “bistecca”, “mortadella” e altre simili descrizioni che “suonano” come la carne. Tuttavia pare che ora il settore stia attraversando una forte crisi (per gli altri nuovi comparti della carne coltivata e delle proteine da insetti è presto per fare qualunque

Bianca o rossa, in quantità appropriate, i consumatori non sono affatto convinti che le carni debbano essere escluse da una dieta sana

previsione), con aziende che chiudono o ridimensionano i loro business. E questo perché i consumatori iniziano a rendersi conto che le alternative alla carne non sono più salutari o meno dispendiose di energia della carne stessa e comunque sono molto più costose. Leggendo l’etichetta dei prodotti vegetariani che richiamano la carne, si scopre un lungo elenco di ingredienti, mentre il tenore di sale e di grassi è spesso elevato al pari se non di più di prodotti a base di carne, che non soddisfano le esigenze nutrizionali di una dieta sana e nemmeno il gusto. Venduti come alternativa più salutare rispetto alle carni rosse e trasformate (che sono state collegate al cancro e ad altre malattie di tipo cronico), i prodotti plant based meat a matrice vegetale sono alimenti che rientrano nel novero dei cibi ultraprocessati (cibi che secondo la classificazione Nova [2] registrano l’aggiunta di diversi additivi come stabilizzanti o conservanti e sono frutto di trasformazioni industriali ottenute con cinque o più ingredienti e che


la parola all’esperto

Per il 94,1% degli Italiani deve essere esplicito il confine tra carne da allevamento agricolo e altre modalità di produzione di surrogati

subiscono lavorazioni particolari oltre la cottura e la conservazione, come ad esempio la texturizzazione1 delle proteine vegetali, il cui scopo è quello di imitare qualità sensoriali di cibi meno elaborati). Infine, sempre secondo il Rapporto Censis, per il 94,1% degli Italiani deve essere esplicito il confine tra carne da allevamento agricolo e altre modalità di produzione di surrogati, tanto da ritenere ormai indispensabile ricevere indicazioni sulla provenienza delle carni (e in genere dell’ingrediente caratterizzante) e il benessere degli animali. Il 90,9% del campione ritiene importante che anche le etichette e i canali informativi diano notizie più precise, trasparenti, verificabili e affidabili, in merito alla funzionalità degli alimenti secondo esigenze individuali e indichino le percentuali di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale apportati dalle singole porzioni come quota della quantità giornaliera raccomandata. In ogni caso, il 64,9% dichiara che non si fa assolutamente condizionare dalle informazioni negative che capita di sentire o leggere sulla carne. Sorge però un dubbio: di fronte all’offerta di prodotti che nella loro presentazione e nella denominazione commerciale richiamano analoghe specialità del mondo delle carni: i consumatori sono consapevoli che si tratta di prodotti differenti? Oppure sono spinti a credere che in fondo hanno le stesse proprietà nutrizionali della carne vera? È su questo presupposto che il marketing aggressivo delle aziende specializzate in alternative vegetali punta per vendere di più i propri prodotti, anche se lo fa in modo ingannevole: questo fenomeno prende il nome di “meat

sounding”, cioè di denominazioni commerciali che nel nome richiamano specialità a base di carne.

LA QUESTIONE DEL MEAT SOUNDING

I prodotti a base vegetale hanno guadagnato costantemente popolarità nel corso degli ultimi anni, in particolare con il lancio di proposte alimentari che nella forma e nella sostanza si sono presentati come analoghi della carne per il loro elevato contenuto proteico. Sebbene vegetariani e vegani costituiscono insieme molto meno del dieci percento della popolazione mondiale (scelta da rispettare, senza alcun dubbio!), l’intento delle industrie di prodotti vegetali è sempre stato quello di presentarsi ad un numero maggiore di persone incoraggiando i consumatori di tutto il mondo ad essere meno dipendenti della carne rossa. L’obiettivo è quello di inserirsi in un contesto più ampio, in cui entrano in gioco anche la salute degli individui (perché gli alimenti vegetali sono presentati come alimenti più sani), la sostenibilità ambientale (perché la filiera zootecnica è ritenuta responsabile di effetti negativi sul clima) e il benessere degli animali (quest’ultimo in particolare è un argomento bipartisan, caro anche agli allevatori.

Tuttavia le lobby vegane lo ritengono carente – nonostante l’Europa abbia una legislazione sull’argomento tra le più avanzate – influenzando a proprio favore l’opinione pubblica). Detto questo, c’è spesso confusione e incomprensione sulle fonti di queste proteine vegetali e su quanto siano effettivamente sane. Anche se le alternative alla carne ricche di

C’è spesso confusione e incomprensione sulle fonti di queste proteine vegetali e su quanto siano effettivamente sane proteine sono disponibili e consumate da centinaia di anni (si pensi al tofu e al seitan), i prodotti moderni si basano sull’impiego primario di fagioli di soia, pisello e altre leguminose, che vengono texturizzati per assomigliare di più alla carne. Questo ha dato origine a prodotti che sono presentati come “carne senza carne” e che richiamano nel termine un prodotto a base di carne che non la contiene: molte volte non si abusa più solo di un nome generico come “hamburger”, “chorizo” o “bacon”, ma si utilizzano anche nomi come “bresaola vegana” o “mortadella veggie” che sono specifici di prodotti a denominazione protetta. Questo fenomeno, ha portato a un cambiamento di marketing che prende il nome di “meat sounding”, ovvero il creare un prodotto che sembra carne solo nel nome ma non nella sua sostanza. Si badi che le industrie di prodotti vegetali hanno tentato anche di usare denominazioni di prodotto che riguardano il latte e i suoi derivati (ad esempio latte di cocco, burro di 1

La texturizzazione è un processo di estrusione/cottura che migliora le caratteristiche reologiche, nutrizionali e organolettiche di proteine di origine vegetale, come i legumi. Questo processo aumenta la durezza delle proteine vegetali, facendole sembrare più simili a carne ed essendo quindi più adatte ad essere utilizzate in una varietà di prodotti alimentari. Può anche aumentare la solubilità delle proteine, facendo sì che siano più facili da mescolare con altri ingredienti

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la parola all’esperto

Non si mette in discussione che le aziende di finta carne a base vegetale possano vendere legittimamente i loro prodotti, ma si evidenzia come l’utilizzo di una denominazione propria della carne porti ad ingannare i consumatori

arachidi, formaggio di mandorla, ecc.), su cui però si è espressa la Corte di Giustizia Europea [3], pronunciando una sentenza che afferma che i prodotti vegetali non possono essere commercializzati con denominazioni come latte, crema di latte o panna, burro, formaggio e yogurt, che la normativa dell’Unione europea riserva ai prodotti di origine animale. La Corte ha aggiunto che il divieto vale anche nel caso in cui la denominazione di prodotto sia completata da implicazioni esplicative o descrittive che indichi l’origine vegetale del prodotto in questione. La legislazione europea definisce quindi i prodotti caseari come alimenti a denominazione legale, ossia con una definizione chiara e precisa che nei Paesi membri della UE devono essere seguite. Ciò significa che il latte (che per definizione è esclusivamente il prodotto della secrezione mammaria normale) e i prodotti caseari sono soggetti a obblighi specifici in materia di etichettatura, qualità, sicurezza e produzione [4]. La stessa cosa non è avvenuta per la carne e i suoi derivati, che vengono regolamentati dalla legislazione alimentare generale, senza specifici obblighi in termini di qualità e sicurezza. La carne può soddisfare requisiti generali relativi all’etichettatura, alla sicurezza e alla produzione, ma non è soggetta a obblighi specifici come quelli imposti ai prodotti caseari. Detto ciò, il Parlamento Europeo nel 2020 si è pronunciato contro alcuni emendamenti che avevano lo scopo di limitare l’uso delle

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denominazioni della carne esclusivamente ai prodotti di origine animale, ritenendo quindi legittimo definire “carne” i prodotti di origine vegetale. La stessa Commissione europea ritiene che ai sensi del Reg. (UE) n. 1169/2011 i consumatori sono adeguatamente informati e in grado di comprendere la distinzione tra carne o prodotti di carne e prodotti di origine vegetale: però è un dato di fatto che i prodotti vegetali che si richiamano alla carne hanno formulazioni e valore biologico ben diversi dalla carne vera.

PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI CONTRO NOMI CHE RICHIAMANO LA CARNE PER I SOSTITUTI VEGETALI

I produttori industriali di carne e quelli che sostengono diete a base vegetale sono impegnati da tempo in battaglie legislative e legali. Sul fronte normativo, le aziende del settore hanno cercato di proibire ai produttori di alimenti vegetariani e vegani di commercializzare le loro proposte alternative alla carne con la stessa denominazione, come “ham-

burger a base vegetale”, “salsiccia vegana” o “cotoletta vegetariana”. L’aspetto curioso è che i produttori di alimenti plant based meat vegetali, mentre si oppongono alle iniziative dei produttori di vera carne e ne parlano male per i motivi cui abbiamo già accennato, fanno un’azione spregiudicata di marketing sfruttando al massimo l’abbinamento dei nomi che richiamano i prodotti carnei con quelli vegetali. E questo implica più di un paradosso

Sia alla Camera che al Senato sono state presentate due distinte proposte di legge che mirano a regolamentare la denominazione dei prodotti a base di proteine vegetali

che confonde le idee al consumatore: perché da un lato si utilizzano gli stessi termini che si riferiscono alla carne (che si vuole contestare) per vendere prodotti surrogati al posto di quelli autentici, dall’altro si vuole presentare i propri prodotti a base vegetale come autenticamente sani e simili nell’aspetto e nel contenuto nutrizionale anche se diversi. Allevatori e produttori di carne e loro derivati sottolineano tutta la stessa questione: non si mette in discussione che le aziende di finta carne a base vegetale possano vendere legittimamente i loro prodotti, ma si evidenzia come l’utilizzo di una denominazione propria della carne porti ad ingannare i consumatori, che non sono a conoscenza del dibattito riguardanti le definizioni legali e gli aspetti tecnici della produzione. Il potenziale inganno, secondo il comparto dei produttori di carne, non sta nemmeno nell’acquisto erroneo di un prodotto sbagliato ma nel presupposto che i produttori di hamburger e polpette vegane insinuano che il valore nutrizionale del loro


la parola all’esperto

prodotto è identico a quello di un prodotto Louisiana, l’Arkansas e alcuni altri stanno per delle carni mirano a chiarire che questi proa base di carne. Gli acquirenti possono anche approvare specifici provvedimenti, specie alla dotti sono alimenti vegetariani, non alimenti sapere che stanno mangiando un prodotto a luce dell’autorizzazione per le carni coltivate. di carne. base vegetale e non carne, ma il marketing Anche se queste leggi statali non prevedoMa non è tutto. Il Dipartimento sudafricano aggressivo di questi prodotti omette di chiano una forte pena per la violazione, possono dell’Agricoltura, della Riforma Agraria e dello rire che mangiare una fetta di prosciutto (di avere un effetto positivo a livello locale per Sviluppo Rurale (DALRRD) ha vietato l’uso di maiale) non è la stessa cosa che mangiare una garantire che i prodotti plant based meat venomi simili alla carne. Descrizioni come “bilfetta dell’omonimo prodotto tutto vegetale. getali non siano erroneamente associati alla tong vegetariano” (il biltong è un piatto tipico Non sono pochi però coloro che dopo aver carne vera. Le leggi che regolano specificatadella cultura afrikaner fatto di carne essiccata, provato un hamburger o affettato vegetale, mente il caso dei prodotti vegetali sostitutivi marinata, speziata e tagliata a strisce sottili), con lunga lista di ingredienti, lo ritengono poco salutare e poco gustoso, quindi ritornano ce 1960 h tech sin a consumare prodotti di vera g i h gh carne (che tra l’altro costano hrou t y t li molto meno in rapporto all’uqua p o nità prezzo al kilo). T Entrambi gli schieramenti chiePAD. 06 - Stand C059 dono iniziative legislative per tutelare i propri legittimi intezangola/marinatrice da tavolo ressi, chi contro e chi a favore del “meat sounding”. E non solo in Europa. Vuoti legislativi infatper laboratori e ti sono comuni anche in altre piccole produzioni parti del mondo e diversamente regolati. Negli Stati Uniti d’America, le leggi federali emanate dalla FDA (Food & Drug Administration) non trattano in modo specifico la questione dei prodotti alimentari senza carne: richiedono solo che i prodotti alternativi siano etichettati in modo siringatrice tale da non indurre il consumatore ad associare falsamente i loro nomi ai prodotti alimentari con carne. Più restrittivi appaiono i provvedimenti di singoli Stati che compongono forni di cottura/affumicatura, di la federazione americana, che arrostimento o di essicazione hanno legiferato in modo specifico per far sì che i prodotti plant based meat vegetali non possano assumere denominatelecontrollo e zioni correlate a quelle di carne Industria 4.0 vera. Ad esempio in Illinois, le vasche di cottura con agitatore leggi statali richiedono che tali ribaltabili o fisse prodotti siano etichettati come “sostituti di carne vegetale” o “imitazione di carne”. La legislaI nostri prodotti: zione dello stato del Missouri implica che i prodotti plant based meat siano etichettati come “prodotti di sostituzione vegetale” al posto di “prodotti di carne”. L’etichetta deve anche specificare che il prodotto non è “carne” o “carne tritata”. Altri Stati che hanno legiferato in materia sono il Mississippi, la

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“polpette a base vegetale” e “crocchette vegane” sono state vietate perché non soddisfano la definizione di “carne lavorata” ai sensi del regolamento sudafricano n. R.1283 [6]. Il dipartimento ha affermato che nomi come “nuggets”, “salsicce vegetariane”, “costolette” e “stile pollo” sono “prescritti e riservati ai prodotti a base di carne lavorata” e non devono essere utilizzati dai produttori a base vegetale per commercializzare le loro alternative. In Svizzera entro la fine dell’anno in corso, la Corte Suprema deciderà se i sostituti della carne prodotti nella Confederazione potranno continuare a essere etichettati come “pollo” o “maiale” vegani [5]. L’attuale legislazione in vigore in Svizzera non fornisce chiarezza sulla corretta denominazione degli alimenti di origine vegetale. “La legge è molto astratta e generica. I prodotti non sono regolamentati nel dettaglio”, afferma Fabio Versolatto, avvocato specializzato in proprietà intellettuale presso lo studio Rentsch Partner di Zurigo. La disputa vede contrapposta l’azienda Planted Foods con il Dipartimento Federale dell’Interno (DFI). L’azienda afferma che una diversa denominazione renderebbe difficile per il pubblico capire che il prodotto è un sostituto della carne, mentre l’Ufficio Federale sostiene che l’etichettatura dei sostituti vegani della carne, come quella di tutti gli altri prodotti alimentari, dovrebbe consentire ai consumatori di identificare il tipo di alimento e non confonderlo con altri. La Francia è stato il primo Paese dell’UE a emanare una legge nazionale che vietasse l’uso dei termini tradizionalmente utilizzati per descrivere i prodotti a base di carne come “bistecca”, “pancetta” o “salsiccia” applicate agli alimenti a base vegetale, ad eccezione della parola “hamburger” (agendo ai sensi dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – versione consolidata

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è stata posta la salvaguardia del cibo tradizionale valorizzando i numerosi prodotti a tutela garantita presenti sul territorio, contro l’omologazione alimentare, la produzione del cibo sintetico in Italia, i sistemi di etichettatura fuorvianti (primo fra tutti il Nutriscore), il tentativo di imitazione e contraffazione del cibo italiano. In questo contesto, il mondo della carne e dei salumi aveva inviato un promemoria al nuovo governo su temi di interesse cruciale per il comparto tra cui quello relativo al “meat sounding”, una battaglia culturale e di metodo (come l’ha sempre definita ASSICA) con la richiesta di vietare l’utilizzo di nomi che fanno riferimento alla carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. Le Associazioni di settore hanno affermato che le denominazioni di carne sono profondamente 2016 [7]). Le Autorità hanno affermato che radicate nel patrimonio culturale europeo ed non sarebbe stato più possibile utilizzare la italiano. Nomi come “pancetta”, “prosciutto”, terminologia settoriale tradizionalmente as“carpaccio”, “bistecca”, “filetto”, “cotoletta” e “sasociata alla carne e al pesce per designare lame” sono tutte denominazioni tradizionali prodotti che non appartengono al mondo che sono state plasmate nel tempo dal duro animale e che, nella sostanza, non sono comlavoro di allevatori e macellai con differenze parabili. Tale normativa sui nomi associati alla piuttosto marcate tra le regioni, che le rendocarne si applica ovviamente solo ai prodotti no così uniche. Se tali denominazioni sono fatti e commercializzati sul territorio francese state protette a livello europeo con una spe[8]; i prodotti importati dall’UE non rientrano cifica regolamentazione delle produzioni a nel campo di applicazione della legge. Le asIndicazione Geografica (DOP e IGP), allora per sociazioni francesi dell’industria alimentare e coerenza si devono proteggere anche le dedella carne hanno acnominazioni di prodotti colto con favore l’agpiù comuni che sono Non si vuole ostacolare giornamento, che unianch’essi il risultato di il consumo dei surrogati tamente ai decreti sulla questo patrimonio. della carne, ma si vuole impedire dichiarazione d’origine Il Parlamento ha recedi identificarli con loro nome delle materie prime copito questa istanza e, che non abbia come riferimento il termine “carne” stituisce un passo in sia alla Camera che al avanti in termini di traSenato, sono state presparenza delle informasentate due distinte zioni fornite ai consumatori. A questo decreto proposte di legge che mirano a regolamensi sono opposte invece diverse associazioni tare la denominazione dei prodotti a base di vegetariane che sostengono che il provveproteine vegetali. dimento è in contrasto con il diritto della UE. Alla Camera sul finire del 2022 è stata presenPerciò il Conseil d’Etat francese (l’equivalente tata una proposta di legge, la n. 746 intitolata del nostro Consiglio di Stato) ha deciso di ri“Disposizioni in materia di denominazione dei volgersi alla Corte di Giustizia europea, prima prodotti alimentari contenenti proteine vegetadi esprimere il proprio parere. Al momento, li” [9]. dunque, il decreto francese è sospeso. Agli inizi del 2023 al Senato è stato presentato il DDL n. 651 recante “Disposizioni in materia di IL DIVIETO AD USARE NOMI divieto di produzione e di immissione sul mercaPROPRI DELLA CARNE PER to di alimenti e mangimi sintetici”, al cui interno I PRODOTTI VEGETALI DIVENTA è stato approvato un emendamento specifico LEGGE ANCHE IN ITALIA per inserire anche il “divieto di denominazione Il Governo Meloni l’aveva promesso. A codi carne per i prodotti trasformati contenenti minciare dalla nuova denominazione del proteine vegetali”. Il DDL n. 651 è stato infine Ministero dell’Agricoltura che ora è anche approvato in data 19 luglio 2023 [10] e l’artidella “Sovranità alimentare”, riconosce il diritcolo 3 stabilisce che: to come nazione di tutelare il proprio sistema 1. Al fine di tutelare il patrimonio zootecnico alimentare e decidere quale modello produtnazionale, riconoscendo il suo elevato valotivo applicare. Tra i paletti di questo governo re culturale, socio-economico e ambientale,


la parola all’esperto

nonché un adeguato sostegno alla sua valorizzazione, assicurando nel contempo un elevato livello di tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini che consumano e il loro diritto all’informazione, per la produzione e la commercializzazione sul territorio nazionale di prodotti trasformati contenenti esclusivamente proteine vegetali è vietato l’uso di: a) denominazioni legali, usuali e descrittive, riferite alla carne, ad una produzione a base di carne o a prodotti ottenuti in prevalenza da carne; b) riferimenti alle specie animali o a gruppi di specie animali o a una morfologia animale o un’anatomia animale; c) terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria; d) nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non precludono l’aggiunta di proteine vegetali, aromi o ingredienti ai prodotti di origine animale. 3. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano quando le proteine animali sono prevalentemente presenti nel prodotto contenente proteine vegetali e purché non si induca in errore il cittadino che consuma sulla composizione dell’alimento. 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle combinazioni di prodotti alimentari di origine animale con altri tipi di prodotti alimentari che non sostituiscono né sono alternativi a quelli di origine animale, ma sono aggiunti ad essi nell’ambito di tali combinazioni. 5. Con decreto del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è adottato un elenco delle denominazioni di vendita degli alimenti che se ricondotte a prodotti vegetali possono indurre il cittadino che consuma in errore sulla composizione dell’alimento. L’approvazione della legge al Senato che vieta di usare denominazioni tipiche della carne e suoi derivati per definire i prodotti trasformati di finta carne di origine vegetale, rappresenta un passo importante per l’Italia, che si fa promotore della tutela del cibo tradizionale e made in Italy, che salvaguarda l’intero comparto zootecnico e rende più chiaro ed esplicito per i consumatori il concetto che i prodotti vegetali non hanno un equivalente valore nutrizionale, perché sono cibi ultraprocessati. Non si vuole ostacolare il consumo dei surrogati della carne, ma si vuole impedire di identificarli con loro nome che non abbia come riferimento il termine “carne”. Ora il testo passa alla camera dei Deputati, dove affronterà l’iter in Commissione e poi in aula per essere approvato definitivamente.

CONCLUSIONI

La legge italiana sulle denominazioni dei prodotti alimentari contenenti proteine vegetali è a un passo cruciale verso la regolamentazione del fenomeno del meat sounding. Di fondamentale importanza è che lo spirito di questa legge nasce con l’intento di essere uno strumento di corretta informazione dei consumatori, per la tutela della salute pubblica e la prevenzione delle frodi alimentari. Si è consapevoli che i consumatori sanno distinguere un prodotto di origine vegetale da uno di origine animale ma si vuole impedire l’in-

BIBLIOGRAFIA

ganno che i prodotti vegetali, che si propongono come alternativi, siano ritenuti uguali a quelli di carne, quando hanno un processo produttivo, un profilo nutrizionale e una lista di ingredienti che nulla ha a che fare con gli originali da cui copiano il nome. Sicuramente sarà importante trovare un equilibrio tra la tutela dei consumatori e la libertà di scelta dei produttori e dei consumatori stessi, ma l’approvazione di questa legge mira anche a riprendere il dibattito in Europa e l’Italia si fa promotore di nuove iniziative a riguardo. 

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

1. Censis (2022). Per il buon uso del Recovery Fund nel rilancio delle filiere della carne. https://www.carnisostenibili.it/wp-content/uploads/2022/04/Per-il-buon-uso-del-recoveryfund-nel-rilancio-delle-filiere-della-carne.pdf (consultato online il 25 agosto 2023). 2. Monteiro CA, Cannon G, Levy RB et al. (2016). NOVA. The star shines bright. [Food classification. Public health] World Nutrition (7), 1-3: 28-38. 3. Corte di Giustizia dell’Unione europea – Sentenza della Corte (Settima Sezione) del 14 giugno 2017. Causa C-422/16. 4. Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio. GU L 347 del 20.12.2013, pagg. 671–854. 5. https://www.swissinfo.ch/ita/la-disputa-sul--pollo-vegano--in-svizzera-potrebbe-creareun-precedente-in-europa/48254206. (consultato online il 26 agosto 2023). 6. Regulation regarding the Classification, Packing and Marking of Processed Meat Products intended for sale in the Republic of South Africa R 1283. https://sampa.org.za/wp-content/ uploads/formidable/2/No-R-1283-of-04-October-2019-Regulatons-of-Processed-MeatProducts.pdf 7. Trattato sull’Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (versione consolidata 2016). GU C 202 del 7.6.2016. 8. Ministère de l’Économie. des Finances et de la Souveraineté Industrielle et Numerique. Décret n. 2022-947 du 29 juin 2022 relatif à l’utilisation de certaines dénominations employées pour désigner des denrées comportant des protéines végétales. 9. Camera dei Deputati. Proposta di legge n. 746, presentata il 29 dicembre 2022. Prima firma On. Carloni. https://www.camera.it/leg19/126?tab=&leg=19&idDocumento=746&sede =&tipo= 10. Senato della Repubblica. DDL n. 651 del 19 luglio 2023. Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01383457.pdf

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marketing, distribuzione e consumatori

brand nella carne: missione impossibile? Il

Carlo Meo, sociologo dei consumi ed esperto di comportamenti e strategie di acquisto e vendita, fondatore di Marketing&Trade

I

l mondo del marketing, food e non food, funziona per marchi che erano in origine garanzia di qualità e sicurezza per i consumatori ma che, negli ultimi anni, si trasformano in portatori di valori ed esperienze, stili di vita e cultura, che vanno ben oltre i prodotti per cui tali aziende sono conosciute. Il “gioco” del mondo postmoderno è proprio questo: fare affezionare il cliente finale ai brand creando un’intimità che va oltre il bieco rapporto commerciale, che però rimane sempre il fine ultimo di questa relazione: pensate ad Apple, Ferrero, Barilla, Gucci, o a Google o Facebook (questi ultimi che addirittura apparentemente non producono né vendono nulla)… Capitalismo e marketing negli anni 2000 seducono il consumatore piuttosto che costringerlo a comprare: non pensate che il processo di branding sia facile, infatti se ci pensate bene di “veri” brand in giro non ce ne sono poi così tanti. Il mondo del fresco è da sempre un-branded, ovvero senza brand: l’idea che un prodotto della natura, sia esso vegetale o animale, possa essere brandizzato era una contraddizione in termini: la mela resta una mela, il branzino idem, la fiorentina anche. Ma anche

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qui le cose cambiano: proprio nelle mele una decina di anni fa il caso Pink Lady è diventato uno dei primi esempi di mela-brand, seguito poi da altri (kiwi e pere per esempio), merito di una geniale intuizione australiana. Ma nella carne è possibile creare dei brand riconoscibili, valoriali e contemporanei? Qua e là qualche tentativo, mi permetto di dire anche maldestro, di brand della carne è stato tentato, appunto con risultati non soddisfacenti, sia per colpa degli imprenditori sia per le resistenze dei canali di vendita, che sono comunque una condizione del mercato di cui tenere conto. Tanto per sgombrare il campo da equivoci, vorrei fare un ragionamento sulla carne in generale, banco assistito o libero servizio, ed evitare preparati e soluzioni pronte già presidiate da anni in Italia da marchi specializzati. Proviamo quindi a fare un ragionamento sulle possibili leve su cui si potrebbe costruire un brand nel mondo carne e sulle sue implicazioni positive e negative.

LE LEVE DI BRAND NEL MONDO CARNE

• Brand allevatore Un’opzione ragionevole che giustifica la

qualità e la provenienza della carne ma che si scontra con un dato di fatto: quanti allevatori sono oggi pronti a crearsi una propria identità e investire sul proprio marchio? Temo pochi. Dall’altra parte quale potrebbe essere la notorietà di un singolo allevatore sul grande pubblico? Sicuramente rilevante a livello locale, ma poco scalabile a livello nazionale. La dimensione locale riporterebbe comunque al canale macelleria di prossimità e quindi sorge spontanea la domanda: ma ancora prima dell’allevatore il brand non è la macelleria. Ci ritorniamo più avanti. • Brand-provenienza Non c’è dubbio che negli anni la provenienza della carne, intesa come tipologia di animale, abbia un suo ruolo. La Wagyu e la Angus per esempio svolgono il ruolo di brand sul mercato e superano la questione di chi ci sia dietro (inteso come allevatore) e di chi la venda (macellaio o Gdo); sono marchi legati a una percezione di qualità e sicurezza, ma limitati a un certa tipologia di prodotti “bistecche e hamburger” soprattutto. La Scottona è un altro caso eclatante, pur venendo identificata dal grande


marketing, distribuzione e consumatori

pubblico come una razza/taglio è invece la femmina del bovino di età compresa tra i 18 e i 24 mesi che non ha mai partorito. • Brand-consorzio È un ulteriore evoluzione di quanto sopra: il Consorzio garantisce qualità e origine del prodotto, “firma” la carne. Una fiorentina di Chianina o un bollito di Bue grasso di Carrù, nomen omen…non si può sbagliare! È certo che la forza sul mercato del brand-consorzio-provenienza è indiscutibile e supera quella di altri prodotti, pensate per esempio al Parmigiano Reggiano o al Prosciutto di Parma, ormai brand che identificano un primo livello di scelta del consumatore ma dove poi la differenza nella qualità del prodotto la fa il singolo produttore. L’opzione di brand-consorzio è molto adatta al canale ho.re.ca, dove la firma sul menù è un codice fondamentale di posizionamento di qualità.

Non che sia impossibile creare un marchio da zero nella carne ma è un esercizio sofisticato più semplice se applicato a preparati di carne, precotti e simili. Delicatesse per esempio è un brand di riferimento, venduto anche in Esselunga, specializzato nelle preparazioni come il pulled pork, ribs e pastrami. • Il brand commerciante Alla fine, nel commercio dei freschi, senza togliere nulla a provenienza e consorzi, il brand per eccellenza, quello primario e spendibile sul mercato non è il commerciante, macellaio dietro l’angolo o insegna Gdo tanto per fare un esempio? La fiducia

per il consumatore e la garanzia del prodotto sono sempre passati per macellaio, tant’è che nel settore, ancor prima di quello pasticceria o pizzeria (escludendo gli chef che son stati i primi), già da tempo esistono i testimonial di riferimento, i Dario Cecchini del caso. La macelleria come artigiano specializzato è brand quando diventa consapevole che la sua identità è riconoscibile e memorabile dai clienti, quelli che negli anni lo hanno capito sono i macellai di successo di oggi. Per la Gdo il discorso è lo stesso: da sempre il consumatore vede nell’insegna una garanzia di qualità e sicurezza in generale, ma non tutte le insegne trattano allo stesso modo gli stessi prodotti specialmente di questi tempi. Anche se i freschi sono il comparto che oggi tiene a galla i conti, c’è chi investe ed è più forte su frutta-verdura e chi su altre categorie. La carne, ne abbiamo già parlato in altri articoli, è generalmente piuttosto trascurata, scompaiono i banchi assistiti per lasciare tutto a libero servizio, ma dal nostro punto di vista del brand il discorso non cambia. Nella tua scelta imprenditoriale spendere il brandinsegna è indipendente dall’avere o no il macellaio, anzi non averlo riconduce il prodotto carne a un significato di consumo più simile ad altri prodotti: scelgo-valuto-compro davanti a uno scaffale. In questo contesto proporre un prodotto generico in termini di identità complessiva o proporre un brand è ben altra cosa. La costruzione di un’identità di marca passa sia attraverso un posizionamento strategico sia rispetto ad elementi concreti come logo, packaging, visual merchandising e gamma prezzi. 

• Il brand-tout court Ovvero un brand di un’azienda o di un operatore che decidono di creare un marchio di carne per il mercato, è un’opzione in teoria viabile ma di verificato poco successo. Ci hanno provato in tanti, tra trasformatori e industria; le difficoltà vengono dalla debolezza della proposta: chi sei tu nuovo brand e che valori proponi sul mercato rispetto alla provenienza di cui sopra o alla reputazione del macellaio o della gdo? Se il nuovo brand “Pippo” punta comunque sull’hamburger di Angus e la costata di Chianina…chi è più importante Pippo o Angus Chianina? Oppure sei un selezionatore, e quindi non un brand.

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Sottoprodotti della filiera agroalimentare: tante opportunità da studiare e sviluppare Stefania Balzan, Dipartimento di biomedicina Comparata e Alimentazione - Università degli Studi di Padova Corso di laurea in Sicurezza Igienico-sanitaria degli Alimenti

Chi opera nel settore agroalimentare da sempre ha messo in atto strategie per utilizzare gli scarti e i sottoprodotti che si generano come conseguenza di uno specifico processo produttivo. L’uso del siero di latte per l’alimentazione dei suini o i gusci della frutta secca impiegati per produrre energia, sono alcuni esempi delle numerose azioni messe in atto. Da vari anni l’aumentata consapevolezza dell’impatto sull’ambiente, le ricerche e i costi, hanno spinto a valutare le potenzialità di tali matrici e a identificare delle soluzioni per il loro utilizzo. In questa disamina saranno presentati, seppur in modo non esaustivo, alcuni aspetti che riguardano l’utilizzo in un’ottica di economia circolare dei sottoprodotti della filiera agroalimentare. Per ragioni di brevità non sarà trattato il loro impiego per l’alimentazione animale o la produzione di packaging. GERARCHIA DEI RIFIUTI E UPCYCLING Secondo alcune stime la filiera agroalimentare produce a livello mondiale oltre 190 milioni di tonnellate/anno di sottoprodotti1, costituiti da materie prime danneggiate, sanse, foglie, semi, gusci, crusche, panelli di semi oleosi, parti di carcassa e molto altro. Vi sono numerose pubblicazioni scientifiche in materia di impiego dei sottoprodotti nel settore alimentare e le ricerche interessano molti Paesi, sovente con normative diverse in ambito di rifiuti e sottoprodotti2 derivanti dalla filiera agroalimentare. Tali ri-

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cerche sono fondamentali perché identificano varie possibilità di recupero e utilizzo di matrici e composti ad alto valore biologico che, altrimenti, andrebbero persi. Senza entrare nel merito della complessa normativa in materia di rifiuti e sottoprodotti, è però opportuno ricordare il concetto gerarchia dei rifiuti, definito nell’Art. 4 della Direttiva 2008/98/CE2, che indica un ordine di priorità nella prevenzione e gestio-

ne dei rifiuti; dall’opzione più preferibile a quella che dovrebbe essere la meno applicata, le azioni sono: 1. prevenzione; 2. preparazione al riutilizzo; 3. riciclaggio; 4. recupero di altro tipo (per esempio il recupero di energia); 5. smaltimento (Figura 1). L’azione preferita e prioritaria è quella della

Figura 1 - Gerarchia dei rifiuti secondo la Direttiva 2008/98/CE2


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prevenzione: è fondamentale identificare e mettere in atto delle strategie per diminuire la produzione di rifiuti e di eccedenze in tutte le fasi della filiera agroalimentare. La preparazione al riutilizzo (indicato anche come riuso) è vista in un’ottica di ridistribuzione e donazione di alimenti ancora adatti al consumo umano che, quando necessario, trovano un’ulteriore possibilità d’impiego nell’ambito dell’alimentazione animale. Il riciclaggio vede ad esempio la possibilità di produrre compost, biogas e biodiesel. L’incenerimento, con o senza il recupero di energia, e il conferimento in discarica rappresentano il livello più basso nella scala delle priorità3. Negli ultimi anni si è diffuso il concetto di upcycling, un termine che unisce upgrading (aggiornamento, miglioramento) e recycling (riciclo). È il recupero creativo di qualcosa che dovrebbe essere gettato e, invece, viene trasformato in un prodotto di maggior valore. Secondo Wegener4, con l’upcycling ciò che è vecchio trova nuova vita e la sua essenza costituisce il valore aggiunto del prodotto in cui è stato utilizzato. È un termine che si lega all’economia circolare, che sta guadagnando popolarità perché associato a un comportamento di consumo più green5. L’upcycing è applicato in diversi campi, dalla moda al settore alimentare, dove si parla di upcycled food (letteralmente alimenti riciclati), per il quale non c’è una definizione univoca. Upcycled food può indicare alimenti che contengono ingredienti che non possono essere destinati al consumo umano (es. sottoprodotti e scarti della lavorazione degli alimenti) ma alcuni Autori includono anche le eccedenze alimentari6,7. Dal punto di vista della gerarchia dei rifiuti l’upcycling permette di portare il “rifiuto” a un livello più alto

tra le azioni preferite, aumentando il suo valore (tra il riutilizzo e il riciclaggio). L’utilizzo dei fondi del caffè come ingrediente di biscotti e dolci8 o dei cereali esausti del processo di birrificazione (in genere destinati all’alimentazione animale) nella produzione del pane9 sono esempi di upcycled food. I benefici nutrizionali e/o gli effetti tecnologici costituiscono il valore apportato dall’ingrediente a cui viene data nuova vita. Il nuovo utilizzo però non riduce l’uso di energia, acqua e quanto necessario per la produzione dell’alimento a cui sarà aggiunto, ma evita lo spreco di risorse6. Alcuni Autori5 distinguono ulteriormente gli upcycled food in due gruppi: upcycled food in alternative use sense e upcycled food in a novel use sense; nel primo caso gli alimenti da salvare sono ancora potenzialmente edibili (es. superamento del TMC) e diventerebbero rifiuti se non riutilizzati, mentre nel secondo caso uno scarto o un sottoprodot-

to non edibile o che normalmente non viene consumato diventa alimento (es. fenoli recuperati dalle acque di vegetazione del frantoio addizionati a salsicce10). L’utilizzo nell’ambito dell’alimentazione animale non è upcycling in quanto sempre inteso per il consumo umano5. SOTTOPRODOTTI DELL’INDUSTRIA ALIMENTARE E PROPRIETÀ Carboidrati, proteine, lipidi e molti composti ad alto valore biologico sono presenti in numerosi sottoprodotti della filiera agroalimentare. Le caratteristiche quali-quantitative di tali componenti dipendono dalla natura del sottoprodotto (es. specie botanica o animale, varietà, parte utilizzata, ecc.), dai processi produttivi e di estrazione11,12. Le applicazioni, già in essere o in fase di studio riguardano il loro impiego per aspetti salutistici (es. apporto di vitamine, fibre,

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ecc.), tecnologici (azione sul colore, attività antiossidante, azione antimicrobica, azione sulla texture, uso come additivi alimentari, ingredienti, ecc.) anche in ambiti diversi da quello alimentare. Tali componenti possono essere utilizzati attraverso l’aggiunta del sottoprodotto all’alimento (in genere previo trattamento tecnologico) o essere estratti attraverso varie tecniche e quindi addizionati1,11,12. Un elenco non esaustivo è riportato in Tabella 1. Diversi studi hanno valutato gli effetti dell’aggiunta di vari sottoprodotti della filiera agroalimentare sulla sicurezza e qualità delle carni fresche, preparate e dei prodotti trasformati, al fine migliorarne la shelf life, le caratteristiche nutrizionali, identificare delle alternative agli additivi alimentari convenzionali, ecc. Le bucce di pomodoro disidratate (0,6-9%) sono state aggiunte come ingrediente nella produzione di salsicce di pollo, suino e bovino evidenziando l’aumento dell’intensità del colore rosso, della consistenza (per la presenza di fibre e idrocolloidi) e la diminuzione dei processi ossidativi durante la conservazione (verosimilmente per la presenza di licopene)13. Altri Autori14 hanno addizionato vinacce e bucce d’uva (0,5-4%) in polvere ad hamburger, paté e salsicce di pollo, suino e bovino evidenziando un aumento della quantità di fibre, dell’intensità del colore (per la presenza dei flavonoidi), la diminuzione dell’ossidazione dei lipidi e delle proteine (dovuta ai composti fenolici) e, in certi casi, aumento della consistenza e della water holding capacity del prodotto (attribuibile all’elevato contenuto di fibre). Anche il siero di latte arricchito di colture starter, scarti liofilizzati della produzione di succhi di mela e ribes, aggiunti singolarmente o in combinazione alla marinatura di carne di agnello hanno mostrato un miglioramento della conservabilità e del gradimento della carne15. L’aggiunta di composti fenolici derivati dalle acque di vegetazione del frantoio a salsicce di suino ha evidenziato una riduzione dei processi ossidativi della componente lipidica anche durante la cottura10. Vi sono però diversi fattori che devono

essere tenuti in considerazione per il loro potenziale utilizzo. L’impatto sulle caratteristiche sensoriali a causa del sapore o della variazione del colore14 che ne può condizionare alcuni effetti-dose dipendenti (es. azione antimicrobica); l’interazione con componenti o processi dell’alimento1 e la variabilità delle caratteristiche del sottoprodotto o degli estratti dovuta alla variabilità della matrice di origine (varietà, zona di produzione, tecniche di lavorazione, maturazione, stabilizzazione) e alle metodologie impiegate (estrazione con solventi, metodi fisici, ecc.)12. Inoltre la possibilità di utilizzare i sottoprodotti, oltre alla loro caratterizzazione, richiede anche lo studio della produzione e della disponibilità, della modalità di stabilizzazione, dell’applicazione di tecniche adeguate per l’estrazione dei composti d’interesse, la loro conservazione e sicurezza per il consumatore1,11,16. Ciò deve tenere anche in considerazione la sostenibilità economica11. In alcune applicazioni i sottoprodotti alimentari sono impiegati dopo un trattamento di disidratazione che

Tabella 1 - Esempi di composti bioattivi e macromolecole che possono essere recuperati dai da sottoprodotti di origine alimentare (elenco non esaustivo)16,1,11 Categoria Antiossidanti

Composti bioattivi o macromolecole Vitamina C, polifenoli, vitamina E, licopene, carotenoidi

Fibra alimentare

Cellulosa, chitina, fruttani, lignina, gomma di guar, emicellulosa, pectina

Proteine, idrolizzati proteici, peptidi

Collagene, elastina, proteine plasmatiche, condroitina solfato, cheratina peptidi antimicrobici, enzimi Strutto, sego, olio di pesce

Oli e grassi

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Sottoprodotti Buccia di agrumi, acque di vegetazione del frantoio, vinacce d’uva, bucce e semi del pomodoro, sottoprodotti tostatura del caffè, germe di grano, sottoprodotti molitura olive Bucce e scarti lavorazione frutta e vegetali, buccia legumi, sottoprodotti tostatura del caffè, scarti lavorazione funghi, carapace crostacei Scarti lavorazione settore ittico e industria macellazione, sangue, penne, piume, cute, siero Tessuti suino, bovino, fegato pesce

permette anche la loro stabilizzazione13,14, in altri casi si utilizzano i composti ad alto valore biologico estratti a seguito di trattamenti di tipo chimico, fisico e biochimico10. Attualmente una delle criticità segnalate riguarda le tecniche di estrazione: in certi casi è necessario un passaggio dall’applicazione in laboratorio a quella su larga scala superando gli ostacoli dovuti al costo delle strumentazioni, al consumo energetico o all’uso di alcuni solventi. Oltre a questo si devono considerare le diverse rese in termini quali-quantitativi dei processi di estrazione, il rischio di composti indesiderati e la necessità di ricorrere ad approcci green12. NOVEL FOOD? L’utilizzo di composti ad alto valore biologico potrebbe comportare lo stato di novel food17. Recentemente EFSA18 ha espresso un parere favorevole a una richiesta di valutazione di una polvere di proteine parzialmente idrolizzate ottenute da trebbie di orzo e riso, sottoprodotti del processo di


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analizzata la percezione e la disponibilità del consumatore ad accettare alimenti “brutti” o addizionati di sottoprodotti di varia origine, gli studi sono ancora limitati. Neofobia alimentare e tecnofobia, come accade per alcuni novel food, sono le barriere da considerare nella percezione del consumatore. Età, genere, attenzione all’ambiente, all’etica delle produzioni e il reddito, sono fattori che possono condizionare l’accettazione6,22. Baby Boomer, Generazioni Y e Z percepiscono favorevolmente gli alimenti ottenuti dall’upcycling mentre la Generazione X è meno favorevole al loro utilizzo7. produzione della birra, da impiegare come ingrediente in varie preparazioni. Nel 201819 il parere positivo ha invece riguardato un mix di peptidi estratto da teste e carapaci risultanti dalla lavorazione del gamberetto boreale (Pandalus borealis), da utilizzare nella preparazione di integratori alimentari. È sempre opportuno valutare se procedere con una richiesta di consultazione per lo stato di novel food. A titolo di esempio, l’azienda Kaffe Bueno20 ha richiesto una consultazione per la commercializzazione di una farina a base di fondi di caffè sgrassati che è stata classificata come non novel food21. Anche se non trattati è necessario ricordare che nell’ottica di utilizzare alcuni composti

come additivi alimentari, è necessaria l’approvazione secondo la normativa vigente. NELLA TESTA DEL CONSUMATORE La commercializzazione di un alimento passa inevitabilmente per l’accettazione da parte del consumatore. Nel caso di upcycled food da alimenti ancora edibili l’accettazione da parte del consumatore può essere favorevole mentre nello sviluppo di alimenti che contengono ingredienti derivanti da matrici non destinati al consumo umano deve essere considerata anche la reazione del consumatore6. Conoscere la provenienza di un ingrediente potrebbe generare disgusto o preoccupazioni sulla sua salubrità. Benché negli anni sia stata

CONCLUSIONI Identificare diverse strategie per ridurre la produzione di rifiuti e diversificare l’uso dei sottoprodotti è di vitale importanza anche nel settore alimentare. Con un approccio multidisciplinare, in collaborazione con le aziende del settore, la ricerca deve continuare a indagare per valorizzare e permettere l’utilizzo di matrici che altrimenti andrebbero sprecate. Gli approcci dovranno sempre tenere presente la sicurezza degli alimenti, gli aspetti economici e la possibilità di essere applicati su larga scala in un’ottica green. Gli studi dovranno considerare anche la percezione del consumatore e identificare i fattori chiave per l’accettazione di un prodotto già nella fase di progettazione dello stesso.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1.

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pared from Food Industry By-Products on Quality and Biosafety Parameters of Lamb Meat. Foods, 12(7):1391. 16. Wu J., Blackshaw K., Cho J., Koolaji K., Yun J., Schindeler A., Valtchev P., Dehghani F. (2022). Chapter4 - Recovery of high-value compounds from food by-products. Editor(s): Pablo Juliano, Roman Buckow, Minh H. Nguyen, Kai Knoerzer, Jay Sellahewa, Food Engineering Innovations Across the Food Supply Chain, Academic Press, 61-88. 17. Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione. OJ L 327, 11.12.2015, p. 1–22. 18. EFSA NDA Panel (EFSA Panel on Nutrition, Novel Foods and Food Allergens), Turck, D, Aguilera-Gómez, M, Bohn, T, Castenmiller, J, De Henauw, S, Hirsch-Ernst, KI, Maciuk, A, Mangelsdorf, I, McArdle, HJ, Naska, A, Pelaez, C, Pentieva, K, Siani, A, Thies, F, Tsabouri, S, Vinceti, M, Cubadda, F, Frenzel, T, Heinonen, M, Prieto Maradona, M, Marchelli, R, Neuhäuser-Berthold, M, Poulsen, M, Siskos, A, Schlatter, JR, van Loveren, H, Zakidou, P, Mendes, V, Ververis, E and Knutsen, HK, 2023. Scientific Opinion on the safety of partially hydrolysed protein from spent barley (Hordeum vulgare) and rice (Oryza sativa) as a novel food pursuant to Regulation (EU) 2015/2283. EFSA Journal, 21(9):8064. 19. EFSA NDA Panel (EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies), Turck, D, Bresson, J-L, Burlingame, B, Dean, T, Fairweather-Tait, S, Heinonen, M, Hirsch-Ernst, KI, Mangelsdorf, I, McArdle, HJ, Naska, A, Neuhäuser-Berthold, M, Nowicka, G, Pentieva, K, Sanz, Y, Siani, A, Sjödin, A, Stern, M, Tomé, D, Vinceti, M, Willatts, P, Engel, K-H, Marchelli, R, Pöting, A, Poulsen, M, Schlatter, JR, Matijević, L and van Loveren, H, 2018. Scientific Opinion on the safety of shrimp peptide concentrate as a novel food pursuant to Regulation (EU) 2015/2283. EFSA Journal, 16(5):5267. 20. Kaffebueno (2818). Introducing Kaffe Bueno Coffee Flour. https://www.kaffebueno.com/post/introducing-kaffe-bueno-coffee-flour (accesso Settembre 2023) 21. Danish Veterinary and Food Administration (2o21). Consultation request to determine the status of spent coffee grounds, defatted spent coffee grounds and defatted unused coffee grounds pursuant to Article 4(2) of Regulation (EU) 2015/2283 of the European Parliament and of the Council of 25 November 2015 on novel foods. https://food.ec.europa.eu/system/ files/2021-03/novel-food_consult-status_coffee-grounds.pdf 22. Coderoni S., Perito M.A. (2020). Sustainable consumption in the circular economy. An analysis of consumers’ purchase intentions for waste-to-value food. J. Clean. Prod., 252, 119870.

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Alimenti di ORIGINE ANIMALE e salute

Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Servizio Igiene Alimenti di O. A. Aniello Laurito, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Servizio IAPZ Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

Gli alimenti di origine animale sono stati sempre considerati idonei per l’uomo. Oggi, sorprende molto che gli alimenti di origine animale vengano presentati da alcuni come non sani, non sostenibili e non etici, in particolare nell’Occidente urbanizzato (Barnard & Leroy, 2020; Deckers, 2013).

I

benefici del consumo di alimenti di origine animale sono considerevoli, poiché offrono un ampio spettro di nutrienti necessari per lo sviluppo, la funzione e la sopravvivenza delle cellule e dei tessuti. Gioca un ruolo nel corretto sviluppo fisico e cognitivo di neonati, bambini e adolescenti e aiuta a promuovere il mantenimento della funzione fisica durante l’invecchiamento (Leroy et al, 2020a; Provenza et al., 2021). Mentre il consumo elevato di carne rossa in Occidente è associato a diverse forme di patologie croniche, queste associazioni rimangono poco chiare in altri contesti culturali o quando il consumo di carne fa parte di diete sane. Oltre alle preoccupazioni per la salute, è presente anche una preoccupazione diffusa sull’impatto ambientale degli alimenti di origine animale. Sebbene diversi metodi di produzione siano dannosi (coltivazioni intensive per la produzione di alimenti, sfruttamento eccessivo dei pascoli, deforestazione, inquinamento delle acque, ecc.) e sia necessaria una loro sostanziale riduzione, gli effetti dannosi non sono intrinseci all’allevamento animale. Se ben gestito, l’allevamento contribuisce alla gestione dell’ecosistema e alla salute del suolo, fornendo al contempo alimenti di elevata qualità attraverso il riciclaggio di risor-

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se che altrimenti non sarebbero adatte alla produzione di tali alimenti, utilizzando terreni marginali e prodotti non commestibili (foraggio, sottoprodotti, ecc.). Inoltre, l’integrazione dell’allevamento e di colture per la produzione di mangimi, ha il potenziale di favorire la produzione di vegetali per l’alimentazione attraverso un maggiore riciclaggio dei nutrienti, riducendo al minimo l’esigenza di input esterni come ferti-

Se ben gestito, l’allevamento contribuisce alla gestione dell’ecosistema e alla salute del suolo, fornendo al contempo alimenti di elevata qualità attraverso il riciclaggio di risorse che altrimenti non sarebbero adatte alla produzione di tali alimenti, utilizzando terreni marginali e prodotti non commestibili

lizzanti e pesticidi. Ancora, gli impatti sull’utilizzo dei terreni, sullo spreco di acqua e sulle emissioni di gas serra sono strettamente le-


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Tutti gli eccessi fanno ingrassare e comunque molte carni sono relativamente magre, specie dopo cottura, o presentano un grasso facilmente visibile e separabile, a differenza dei vegetali

gati al contesto e la loro stima è spesso errata a causa di un impiego riduttivo dei parametri. Analogamente, se l’allevamento animale può essere definito etico o meno, dipende dalle specifiche pratiche adottate, non dal fatto che siano coinvolti gli animali. Queste discussioni devono anche tener conto del fatto che la zootecnia gioca un ruolo importante nella cultura e nel benessere della società, nella sicurezza degli alimenti e nella fornitura di mezzi di sussistenza. Una recensione pubblicata nel marzo 2022 sulla rivista Animal (vol. 16, n.3, Frèdèric Leroy et al.) ha quindi deciso di discutere e affrontare una serie di ipotesi preconcette sui presunti effetti degli alimenti di origine animale sulla salute del pianeta, degli esseri umani e degli animali coinvolti, e di una previsione della pianificazione top-down basata su parametri isolati o prospettive tecnocratiche (occidentali) a supporto di approcci più olistici e circostanziali verso il sistema alimentare.

Se l’allevamento animale può essere definito etico o meno, dipende dalle specifiche pratiche adottate, non dal fatto che siano coinvolti gli animali

Molti ricorderanno che negli anni ’80 del XX° secolo furono addotte ragioni di tipo salutistico; infatti, il colesterolo “cattivo”, accresciuto nel sangue dal consumo di grassi saturi, era sembrato essere la principale causa di malattie cardio-vascolari (MCV). Essendo i grassi saturi (e il colesterolo) apportati principalmente dai prodotti animali, fu scatenata la battaglia per ridurre il consumo di tali alimenti: burro, uova e grasso delle carni. Oggi si aggiunge la preoccupazione per la sostenibilità nei riguardi del pianeta, poiché sarebbero causa di perdita di efficienza e dei cambiamenti climatici. L’ultimo contributo su entrambi i piani è il report EAT-Lancet che suggerisce di convertire la dieta del genere umano in vegetariana, o quasi, attribuendo agli animali e ai loro prodotti, importanti effetti negativi – oltre che sulla salute umana – sul piano della produzione dei gas clima-alteranti (i famige-

rati gas serra: anidride carbonica, metano e ossido nitrico). Prima di esprimere un nostro parere su tale documento, è opportuno soffermarsi brevemente su questi due presunti risvolti negativi degli animali. In primo luogo ponendo attenzione alle nuove acquisizioni circa gli effetti degli “animali” sulla salute umana: • il 24 giugno 2014 la nota rivista americana TIME ha dedicato per la terza volta una copertina ad Ancel Keys (a riprova della Sua fama, soprattutto legata alla Dieta Mediterranea), ugualmente “padre” della teoria sulla correlazione fra colesterolo e MCV; in questo caso, tuttavia, lo ha fatto con la fotografia di un ricciolo di burro e la scritta “Eat butter”, esattamente il contrario delle 2 precedenti (uscite nel 1961 e nel 1984). Il ribaltamento del paradigma precedente era giustificato dalle ricerche più recenti

che evidenziano come i maggiori problemi di salute per l’uomo siano da imputare agli eccessi di zuccheri e carboidrati amidacei “raffinati” (di origine vegetale), non soltanto di grassi saturi; • nel 2018 è uscito il 3° Report del World Cancer Research Fund che fra le 10 regole per prevenire il cancro, non ha per nulla accentuato – rispetto al suo precedente Report del 2007 – i limiti posti al consumo di prodotti animali. Infatti, in tale report si eleva da 70 a 85 g/die la quantità massima di carni rosse per un consumo senza rischi e si continua a non porre limiti per latte o uova. Vi si richiama invece l’attenzione sulle cause di sovrappeso e obesità che – oltre all’insufficiente attività fisica – sono da ricercare negli alimenti troppo ricchi di grassi (animali e vegetali), unitamente ad amidi raffinati e zuccheri. Dunque, da evitare,

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sono gli eccessi di amidi e zuccheri, oltre che di grassi, ma per questi non si fa alcuna distinzione per l’origine; infatti, tutti gli eccessi fanno ingrassare e comunque molte carni sono relativamente magre, specie dopo cottura, o presentano un grasso facilmente visibile e separabile, a differenza dei vegetali. Dunque, esiste più di un dubbio sui reali effetti negativi – per la salute – degli alimenti “animali”, fatti salvi gli eccessi; al contrario non ve ne sono per gli effetti positivi ad essi connessi. È infatti certo che, al di sotto di taluni livelli di carni, latte e uova ecc. consumati (per il pesce non vi sono mai state controindicazioni, sul piano nutrizionale almeno), insorgono fenomeni di malnutrizione. Premesso che la circostanza è sempre stata accezione comune fra le nostre popolazioni, lo stesso Report EAT-Lancet evidenzia in un box che le raccomandazioni alimentari in esso suggerite vanno applicate con molta cautela nei Paesi dove l’agricoltura è di sussistenza. Tale riconoscimento è a dir poco curioso, poiché in tali Paesi la dieta è prettamente vegetariana, come Eat-Lancet raccomanda, e peraltro la principale causa della malnutrizione, le cui gravissime conseguenze in termini non solo di mortalità, ma anche di ritardato sviluppo fisico e cognitivo, sono ben note. Premesso che non stiamo parlando di pochi milioni di persone, ma di poco meno del 50% dell’intera umanità, ribadiamo che in tali Paesi la dieta è prevalentemente vegetale (cereali, manioca, patate, ecc., quindi in massima parte prodotti amidacei) con poche frutta e verdure non amidacee, pochissimi alimenti di origine animale, ma pochi anche i legumi, per cui modesto è pure l’apporto di proteine vegetali. Questo sbilancio nutritivo, e in particolare la carenza proteica e di micronutrienti vari, spiega i problemi di questa dieta vegetariana; circostanza che, nei Paesi “occidentali”, appare poco comprensibile, giacché molti praticano diete “analoghe” senza gravi problemi. Vale allora la pena ricordare che nei Paesi “poveri” non esiste – per ragioni logistiche e finanzia-

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È certo che, al di sotto di taluni livelli di carni, latte e uova ecc. consumati, insorgono fenomeni di malnutrizione

rie - la nostra varietà di cereali, di legumi, di ortaggi, di frutta ecc., senza trascurare la disponibilità di alcuni alimenti “animali”, oltre che degli integratori alimentari. Per questo, sarebbe a maggior ragione “risolutiva”, in questi Paesi, la logica degli alimenti di origine animale che, con modeste quantità, sono un perfetto complemento nutrizionale per la base puramente vegetariana. Venendo ora alla sostenibilità, in particolare ambientale, ma senza dimenticare quelle economica e sociale, è opportuno richiamare che: • il reale impatto ambientale degli animali allevati è di gran lunga minore di quel 18% di gas serra – spesso citato – frutto di una erronea elaborazione FAO del 2006, oltre che male interpretato per aver trascurato che trattasi di dati riferibili ai PVS, nei quali com-

plessivamente esigui sono altri apporti di GHG: riscaldare le case, trasporti, industria, elettricità, ecc. Per contro, si parla oggi di un contributo di gran lunga inferiore: solo un 4% circa, almeno nei Paesi sviluppati come gli USA dove maggiormente si potrebbe ridurre il consumo di questi alimenti (secondo l’EPA, Environmental Protection Agency, l’intero sistema agricolo USA emetterebbe l’8-9% dei gas serra totali, proprio perché enormi sono le emissioni non agricole sopra citate); • le enormi superfici naturali a pascoli, praterie, steppe, ecc. (circa ¼ dell’intera superficie emersa del pianeta), sarebbe comunque pascolata da animali selvatici le cui emissioni di gas clima-alteranti sarebbero comunque enormi (a puro titolo di esempio, si è calcolato che le emissioni dei bisonti del nord-America fossero nel 1860 il doppio del gas metano prodotto nel 2007 da tutte le bovine da latte allevate negli USA); • fra l’altro, gli animali sono in grado di chiudere “la circolarità” del sistema primario con l’utilizzo di vari sottoprodotti (paglie, crusche, scarti di cucina ecc.) o di risorse naturali (erbe spontanee), altrimenti inutilizzabili per l’uomo. Secondo stime della FAO tali alimenti rappresenterebbero l’86% di quanto utilizzato dagli animali; con buona pace di quanti attribuiscono al settore una concorrenza inefficiente per il diretto uso dei vegetali nella dieta umana. • proprio nei PVS una delle funzioni essenziali degli animali è la produzione dei fertilizzanti naturali, la sola via che possa a



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breve garantire il necessario aumento della produttività dei “cereali” in questi Paesi. Si pensi che nel XVI° secolo, alla Repubblica Serenissima di Venezia, giunse la richiesta di “brevettare” una pratica analoga: aumentare la produzione dei cereali riducendo la superficie ad essi dedicata; paradosso? No, ma convertendo a prato la superficie risparmiata, allevando così più animali e ottenendo più letame per concimare i cereali!

Una quantità ottimale prescritta di alimenti di origine animale nella dieta di qualsiasi popolazione dipenderà da numerosi fattori sanitari, ambientali e sociali, nonché dai metodi di produzione che variano notevolmente in base al contesto e che sono probabilmente difficili da inserire in parametri semplificati, date le priorità concorrenti, i valori e gli inevitabili compromessi Alla luce di queste osservazioni, eventuali interventi nel riorientare la dieta umana per tener conto della sostenibilità ambientale riducendo al minimo indispensabile i prodotti animali, richiederebbero prima la definizione di tale minimo per garantire la salute ed il benessere umano in ogni condizione. Tuttavia, questo non può essere uguale in tutte le aree del mondo, poiché le diete differiscono per varietà complessiva degli alimenti, costanza della loro disponibilità, qualità dei vegetali e in particolare delle loro proteine, oltre che per la digeribilità. In buona sostanza, ciò significa che il consumo di prodotti di origine animale si può (e si deve?) ridurre nei Paesi sviluppati, ma al contrario deve aumentare in quelli “poveri” se veramente si ha a cuore il bene

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dell’essere umano (e di tutti gli esseri umani). Appare allora logico chiedersi se – venendo ora all’aspetto ambientale – abbia un senso porre a rischio la salute dell’umanità – garantita da un uso corretto (senza eccessi, ma anche senza carenze) di prodotti di origine animale – per aver al più una riduzione risibile dell’impatto ambientale. Oppure, al contrario, se non ci si debba sforzare – proprio perché consapevoli che anche piccoli miglioramenti sono utili – sia per ottimizzare le diete dell’uomo in modo da contenere a livelli prudenziali tale consumo e, al tempo stesso, per ottimizzare le tecniche di allevamento animale onde massimizzarne l’efficienza e quindi ridurre l’impatto ambientale, almeno per unità di prodotto. Cosa che si sta facendo da anni; infatti, per produrre 1 litro di latte si rilasciavano 1,35 kg di CO2 nel 2007, contro i 3,66 kg del 1944. Così stando le cose, possiamo tornare al documento EAT-Lancet, sopra citato, per tentare una qualche considerazione; in particolare partiremo dalla composizione della Commissione e dalla introduzione del testo, per orientare il lettore circa le prospettive in esso delineate: • nessun componente della Commissione proviene realmente dalla produzione primaria (agricola), infatti vi sono solo due-tre ricercatori di Facoltà d’Agraria o similari, ma comunque sono appartenenti a dipartimenti di tipo socio-economico-ambientale; • nell’introduzione si riconosce l’effetto positivo, nell’ultimo mezzo secolo, dell’aumento produttivo (anche animale ovviamente) nel ridurre fame e malnutrizione, per poi enfatizzare una deriva dietetica perversa: in quanto causa di obesità (madre di tutte le malattie non comunicabili). Nel far ciò si trascura (volutamente?) il fatto che – come detto sopra - la causa principale risiede negli eccessi di zuccheri, amidi raffinati e grassi in genere (non certo di alimenti di

origine animale che semmai sono insufficienti, specie nei Paesi poveri e in transizione, dove l’aumento di obesità è il più elevato del globo); • il 30% dei gas serra è di origine agricola (metà vegetali e metà animali) e che il 70% dell’acqua è utilizzata per la produzione di cibo, ma non si aggiunge che si tratta di stime estreme (per i gas serra si include la deforestazione che – oltre a talune forme irrazionali di agricoltura (i.e. agricoltura itinerante) – annovera cause ben diverse dalla produzione di cibo: uso del legno come combustibile o da opera) ed è maggiore nei Paesi meno efficienti (in quelli sviluppati le foreste aumentano). Così per l’acqua non si dice che il 70% di acqua è sì usata per l’irrigazione, ma questa pratica esiste solo in talune aree (ove spesso di diffondono tecniche atte al risparmio), trascurando il fatto che il 65% del cibo mondiale è prodotto senza irrigazione, utilizzando l’acqua piovana che non avrebbe altro utilizzo (G. Bertoni, 2019).

CONCLUSIONI

Sebbene esista un notevole margine di correzione e di miglioramento in grado di portare ad una sostanziale diminuzione del carico ambientale e a progressi nel benessere degli animali, noi sosteniamo che gli alimenti di origine animale siano compatibili con il concetto di diete sane, sostenibili ed etiche, contribuendo ai paesaggi alimentari e ai paesaggi geografici. Potrebbe esserci la necessità di ridurre gli alimenti di origine animale in alcuni contesti e di aumentarli in altri, ma contrariamente a quanto suggerito da alcune analisi globali di alto profilo, non esiste una quantità universale di alimenti di origine animale basata su prove solide che ogni popolazione dovrebbe adottare (Nordhagen et al., 2020; Ridoutt et al., 2017). Una quantità ot-


sicurezza alimentare

timale prescritta di alimenti di origine animale nella dieta di qualsiasi popolazione dipenderà da numerosi fattori sanitari, ambientali e sociali, nonché dai metodi di produzione che variano notevolmente in base al contesto e che sono probabilmente difficili da inserire in parametri semplificati, date le priorità concorrenti, i valori e gli inevitabili compromessi. Naturalmente, c’è un urgente bisogno di metodi di produzione più efficienti e sensibili verso l’ambiente, specialmente nell’ottica di fornire al Sud del mondo un migliore accesso ai benefici nutrizionali provenienti dagli alimenti di origine animale. In linea generale, la pianificazione topdown del sistema e la quantificazione dei confini planetari e degli spazi operativi sicuri a partire dai dati empirici sono altamente inaffidabili, a causa della complessità e dell’incertezza generale (cfr. Hillebrand et al., 2020). Invece, sosteniamo che le politiche future dovrebbero partire da premesse solide: • tracciare linee rosse dove necessario (per esempio, deforestazione, inquinamento dell’acqua e dell’aria, scarso benessere degli animali, ecc) • incentivare quelle procedure in grado di apportare un beneficio netto, al fine di amplificare gli approcci bottom-up guidate da pratiche agro-ecologiche e dai benefici sociali (Leroy et al., 2020b).

(Leroy et al., 2020b). Piuttosto che continuare lungo una traiettoria che descrive gli alimenti di origine animale come dannosi e quelli di origine vegetale come benefici, il dibattito futuro trarrebbe beneficio da una rinnovata attenzione su basi solide come il nutrimento e il concetto di commensalità. A livello politico, i concetti di potere, partecipazione e responsabilità devono essere affrontati con urgenza per prevenire un futuro dove l’agricoltura e il modo in cui sperimentiamo il cibo

vengano direttamente modellati da interessi acquisiti come le partnership pubblico-privato incentrate su investitori e corporazioni (agroalimentari) (Canfield et al. 2021; Fakhri et al. 2021). In ambito scientifico, questo può significare che dovremmo affrontare anche il white-hat bias (Cope & Allison, 2010) e i conflitti d’interesse, sia finanziari che ideologici (Ioannidis & Trepanowski, 2018).  Bibliografia disponibile presso la redazione e gli autori

In conclusione, l’allevamento animale, quando è fatto bene e allineato con gli ecosistemi locali e i contesti sociali, dovrebbe rientrare a far parte delle soluzioni utili a migliorare la salute pubblica e la resilienza ambientale. Rappresentarlo come un “problema” è controproducente e rafforzerà la divisione Natura/Cultura, rischiando di lanciare un esperimento di massa dagli esiti imprevedibili e con tutta una nuova serie di preoccupazioni etiche. Ingrandirebbe anche la discrepanza interna e lo squilibrio tra i già problematici paesaggi alimentari e i paesaggi onirici

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il confezionamento automatizzati di carni e derivati. In particolare all’interno dello stand saranno posizionate una linea dedicata alla produzione di macinato-hamburger con porzionatura, invaschettamento e confezionamento automatici e una linea ConPro Link per la produzione completamente automatica di salsicce con budello a base di alginato (grazie alla partnership con Vaess). Sarà inoltre presentata la nuova linea per produrre in maniera automatica arrosticini, kebab e spiedini di carne. “La partecipazione a Cibus Tec rappresenta per noi l’opportunità di far conoscere ancora me-

glio Handtmann Italia al mercato. – spiega il CEO Stefano Colori – Il nostro stand è progettato per guidare il cliente alla scoperta delle soluzioni complete che siamo in grado di progettare per la produzione alimentare. Ciò è reso possibile dalla stretta sinergia con i nostri partner in tutta la filiera: siamo fieri di partecipare a CibusTec con Vaess e di portare linee composte da macchinari Inotec (tritatura, legatura ed emulsionatura), Fessman (cottura), Handtmann e Italian Pack (confezionamento sottovuoto).” Non solo. Oltre a mostrare concretamente alcuni esempi di soluzioni di processo complete, l’azienda proporrà un percorso virtuale alla scoperta di una linea di produzione tramite un’apparecchiatura con tecnologia di realtà aumentata.

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Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 36 - DICEMBRE 2010

relazione scientifica DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

A partire dal numero di marzo 2022 di Ingegneria Alimentare abbiamo creato questa rubrica per rendere omaggio a una persona che ha dato lustro al mondo della ricerca scientifica nel settore delle carni e dei salumi e che ha onorato la nostra rivista della sua collaborazione per molti anni. Abbiamo raccolto, dietro ripetute richieste dei lettori, un campionario dei suoi scritti e gli articoli più rappresentativi dell’opera del Prof. Carlo Cantoni, ancora attuali e di enorme importanza scientifica; saranno pertanto ripubblicati sulle pagine di Ingegneria Alimentare per dare modo a coloro che non hanno potuto goderne in passato di attingere dall’immensa esperienza del Professore e approfondire le proprie conoscenze. Speriamo che l’iniziativa sia gradita a quanti hanno avuto modo di conoscere il Prof. Carlo Cantoni e, soprattutto, ai più giovani che non ne hanno avuto la possibilità dalla sua scomparsa. Il valore degli studi – potrete constatare – resta straordinariamente attuale. Buona lettura, l’Editore e la redazione

Bioaerosols negli ambienti di produzione degli alimenti Carlo Cantoni, Serena Milesi L’obiettivo di questa rassegna è stato quello di illustrare i contaminanti presenti nell’aria (fisici,chimici e batterici) con particolare riguardo a quelli presenti nell’aria dei locali dove si preparano alimenti. Bioaresols in food industry The objective of this review has been to describe the airborne contaminants (physicals,chemicals and biologicals) of foods environments. The molds and bacteria concentrations which have been identified in food environments have been reported.

INTRODUZIONE La capacità dell’aria di contenere e trasportare liquidi, solidi, elementi viventi, come microbi, è frequentemente sottostimata o dimenticata. Tipicamente agenti biologici come cellule vegetali, polline, alghe, protozoi, batteri, lieviti, spore di muffe e virus provenienti da habitats naturali possono trovarsi nell’aria (Parrett e coll., 2000). Esistono varie vie con le quali materiali biologici o microbiologici possono venire trasportati dall’aria, ad esempio tramite il vento, spruzzi e rilasci dai corpi animali. Quasi tutte le attività umane e animali provocano la formazione di bioaerosols. Per esempio starnuti e tosse disseminano batteri nell’aria. Gli esseri umani disseminano cellule epiteliali e batteri nell’aria. Un aerosol può quindi essere definito come una sospensione di particelle microscopiche solide o liquide presenti nell’aria, o gas, come il fumo, nebbia o la bruma. Le dimensioni delle particelle dell’aerosol sono generalmente comprese tra 0,5 e 50 µm-. Definizioni più esplicative sono quelle della American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGH) e di Fabian e coll. (2005). La prima definisce i bioaerosols come un insieme di particelle, grosse molecole e composti organici volatili sia viventi o rilasciati da organismi viventi (ACGH) (Griffiths e coll., 1997). Secondo Fabian e coll. (2005) i contaminanti dell’aria e le particelle corpuscolate sono

di solito associate con composti di origine biologica e sono spesso denominati “bioaerosols”. Questa definizione comprende tutti i microrganismi presenti nell’aria indipendentemente dalla vitalità, cioè l’insieme di organismi vitali, particelle biopolimeri e sostanze provenienti da tutte le varietà degli esseri viventi presenti negli ambienti confinati e in quelli esterni ( Jensen e coll., 1992). La contaminazione degli alimenti dai microrganismi presenti nell’aria ambientale dei locali ove si preparano alimenti è ben nota dove si producono prodotti del latte, di carni suine, di pollame e di carni bovine. Tuttavia, gli studi sui microrganismi presenti nell’aria ambientale sono stati limitati: 1) dall’insufficienza dei sistemi di campionamento;

2) dall’uso comune di metodi inattendibili (come la sedimentazione) per valutare la qualità dell’aria; 3) dal relativamente elevato costo degli strumenti analitici; 4) dalla mancanza di criteri approvati per valutare l’esposizione a fattori biologici e 5) dalle poche istituzioni interessate al monitoraggio dei bioaerosols (Gorny e coll., 2002; Douwes e coll., 2003). FONTI DI BIOAEROSOLS Come prima accennato i bioaerosols possono originarsi da sorgenti naturali come laghi, suoli, animali, così come da attività lavorative umane quali quelle agricole, dai trattamenti di liquami, dai sottoprodotti animali, dalla lavorazione degli alimenti e dalle fermentazioni. S E T- O T T 2 0 2 3

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relazione scientifica

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 36 - DICEMBRE 2010

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

La loro presenza è responsabile della contaminazione (inquinamento) dell’aria che è classificata come gassosa, particolata o causata da materiale inerte (Radmore, 1986; Mancinelli e coll., 1978; Turiel, 1985). Durante i procedimenti di lavorazione degli alimenti, il cibo può essere contaminato dal bioaerosol inquinato. I bioaerosols possono esistere come: a) trasportati perché localizzati su particelle solide di polvere, sulla pelle, sui capelli, sul vestiario, sulle scarpe o sospesi nell’aria durante le attività fisiche faticose quali la macellazione, lo scuoiamento delle carcasse e il disossamento; b) entro le gocce formatesi durante i lavaggi effettuati nelle lavorazioni o nella sanificazione o c) come singoli organismi o come micro colonie in sospensione in seguito a dispersione o all’evaporazione (Shale e coll., 2007). La contaminazione degli alimenti da bioaerosol può provocare serie conseguenze sulla loro vita commerciale e sulla qualità e può anche essere la causa di pericolo per i consumatori per la presenza di germi patogeni (Radmore, 1986). La contaminazione dell’aria ambientale nelle industrie della carne può manifestarsi come risultato di insoddisfacenti condizioni di trasporto degli animali, cattive condizioni igieniche nelle zone di ricevimento degli animali (stalle di sosta), o provenire dalle carcasse e dalle attrezzature durante l’eviscerazione, la scuoiatura, il sezionamento (Ellerbroek, 1997). Le pratiche igieniche dei lavoratori sono cruciali poiché i microbi possono essere distribuiti nell’ambiente tramite la conservazione, la respirazione e il movimento (Shale e coll., 2007). Diversi agenti infettivi possono venir distribuiti nell’aria con il mancato o raro lavaggio delle mani, perché la diffusione dei germi dalle mani sporche è prevenuta solo per un limitato periodo di tempo dopo il lavaggio delle mani (Sherertz e coll., 2001). La polvere è un altro contaminante nelle industrie alimentari e può consistere di una va-

Tabella 1 - Fonti di diffusione di agenti biologici e patologie infettive, tossinfettive, tossigene e/o allergiche correlate Focolai di contaminazione Industrie alimentari Esercizi di vendita

Agente biologico

Miceti: - Penicillium - Aspergillus - Alternaria - Attinomiceti. Termoactinomyces sacchari, T. vulgaris, Micropolyspora faeni, Thermospora alba, Saccaromonospora viridis, T. fusca, T. sacchari Uomo (bioaerosol: tos- Batteri, virus se, starnuti, fonazione) Impianti di condiziona- Batteri mento Endotossine Umidificatori

Materiali da costruzione, arredamento (carta da parati, tappeti, moquette) Suolo, ambienti umidi ricchi di materiale organico

Batteri L. pneumophila Pseudomonas spp. Miceti T. vulgaris Miceti Aspergillus Cladosporium Penicillium Stachybotris atra Batteri Miceti Micotossine

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Reazioni di ipersensibilità, asma bronchiale, alveoliti allergiche, rinite allergica, alterazioni cutanee Pneumopatia del contadino, Alveoliti allergiche, ODTS (*) Bagassosi Stati influenzali, pertosse, malattie esantematiche Irritazione delle vie respiratorie Tosse, cefalea, malessere, nausea, sintomi respiratori Polmoniti Reazioni allergiche Asma bronchiale Reazioni di ipersensibilità, asma bronchiale, alveoliti allergiche, rinite allergica, alterazioni cutanee

Tossicosi, mal di testa, disordini neurologici, sintomi respiratori, malattie degenerative, problemi muscolari

(*) sindromi da polveri organiche

rietà di sostanze quali squame umane, scorie animali, batteri, virus, muffe, spore, particelle di cibo, parti di insetti, fibre, zecche e altri detriti. La polvere può depositarsi sul cibo per impropria ventilazione e trasportare composti chimici e microrganismi che possono riuscire dannosi alla salute umana oltre che contaminare gli alimenti (Takai e coll., 1998; Dorham e coll., 2000; Takai e coll., 2002). I sistemi di ventilazione non ben controllati o mal costruiti diventano una fonte primaria di contaminazione e di dispersione dei bioaerosols, perché la maggior parte delle polveri proviene dall’esterno. Altre fonti di contaminazioni possono essere le canaline di scolo dei pavimenti. Quando queste vengono pulite i microbi presenti possono venire aerosolizzati e distribuiti nell’aria. Infatti, i microrganismi si moltiplicano bene negli ambienti umidi e sono poi diffusi durante la pulizia dei pavimenti (Radmore, 1986). TIPI DI MICRORGANISMI PRESENTI NEGLI AEROSOLS I microrganismi presenti nei bioaerosols possono riuscire patogeni, alteranti o causare allergie. Alcuni microrganismi identificati negli ambienti chiusi sono Legionella, Mycobacterium, Staphylococcus, Kocuria, Micrococcus, Pseudomonas, Corynebacterium, Cladosporium, Cythophaga, Penicillium, Histeoplasma. Oltre a questi, le endotossine e le micotossine e alcuni protozoi possono provocare ipersensibilità e malattie polmonari quando sono presenti in elevate concentrazioni (Morey e coll., 1990; Shelton e coll., 2002).

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Patologie ridotte

BATTERI GRAM POSITIVI PRESENTI NELL’ARIA Batteri Gram positivi sono comunemente isolati dai locali di lavorazione carni di pollame, bovini, suini. Le specie prevalenti sono state quelle appartenenti ai generi Micrococcus, Corynebacterium, Arthrobacter e Staphylococcus. Nonostante il frequente isolamento di questi batteri, il loro status patogeno nei bioaerosols non è stato determinato con sicurezza. Comunque, il Bacillus anthracys è il germe considerato il più pericoloso per la sua patogenicità e per la formazione di spore (Morey e coll., 1990), mentre Listeria monocytogenes è un comune contaminante presente, talvolta, nell’aria dei locali di lavorazione delle carni (Shale e coll., 2007). Ceppi appartenenti al genere Staphylococcus sono stati controllati sovente per il loro frequente isolamento dai vari ambienti compreso quelli degli ospedali; ceppi sono stati isolati da alimenti di origine animale, da mastiti bovine ed ovine, da ambienti ospedalieri e da campionamenti dell’aria (Shale e coll., 2007). Stafilococchi coagulasi negativi sono stati isolati da acque contaminate, da impianti di depurazione delle acque costituendo un pericolo per lavoratori con problemi di immunodeficienza (De Luca e coll., 2001). La maggior parte delle specie identificate sono state: S. aureus, Str. haemolyticus, S. xilosus, S. cohnii, S. epidermidis, S. sciuri, S. saprophyticus, S . capitis e S. hyicus. Un’altra proprietà degli stafilococchi è costituita dalla capacità di sopravvivere in ambienti sfavorevoli per gli altri batteri, in quanto tolleranti le elevate


relazione scientifica

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 36 - DICEMBRE 2010

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

possono così essere propagati dall’aria ambientale. I funghi sono fonti ben note di allergeni e il loro contatto è associato con febbre da fieno, asma e pneumonite ipersensibilitiva (Douwes e coll., 2003). Gli allergeni comprendono un’ampia varietà di macromolecole proteiche di basso od elevato peso molecolare.

temperature, la radiazione solare e la bassa umidità ambientale (De Luca e coll., 2001). Lo S. aureus è presente nella maggior parte degli ambienti perché più del 20% degli esseri umani sani sono portatori di questi microrganismi nelle loro cavità nasali, e questi microrganismi sono dispersi dalle attività delle persone nel loro posto di lavoro, ciò che aumenta i loro livelli nei bioaerosols. Altri microrganismi reperibili nell’aria sono lattobacilli e Kocuria spp. BATTERI GRAM NEGATIVI PRESENTI NELL’ARIA Molti batteri Gram negativi sopravvivono e crescono bene in ambienti acquatici, permettendo la loro sopravvivenza negli umidificatori, formando accumuli di acqua ove si aerosolizzano. I batteri Gram negativi posseggono endotossine che fanno parte dei liposaccaridi (LPS) della loro parete cellulare (Morey e coll., 1990). Specie di Salmonelle, note per la loro resistenza in ambienti ostili e per la virulenza, sono state diffuse tramite le particelle di polvere o da aerosols specialmente nei macelli di pollame (Gast e coll., 1998). Alcuni ricercatori (Leach e coll., 1999) hanno dimostrato che la Salmonella enteritidis P14 si è resa responsabile di infezione dei vitelli perché trasmessa da aerosols provenienti da volatili (uccelli) contaminati. Tramite gli aerosols sono trasmesse anche altre Enterobacteriaceae (Byrne e coll., 2008). ENDOTOSSINE E GLUCANI Le endotossine sono lipopolisaccaridi (LPS) presenti nella superficie esterna dei batteri Gram negativi. Le endotossine presenti nell’aria sono ubiquitarie in natura e possono risultare distribuite in ogni prodotto alimentare. I più elevati livelli di endotossine presenti nell’aria (2-7 µgm-3) sono stati riscontrati negli ambienti di lavorazione dei vegetali, nel materiale fecale in agricoltura, nei liquami, negli umidificatori ambientali e nelle acque industriali. L’esposizione ad alti livelli di endotossine può causare febbre e malessere, variazioni del numero di leucociti, stress respiratori, shock. Tosse, dolori diffusi, nausea, difficoltà respiratorie sono alcuni sinto-

mi causati dalla esposizione ad endotossine. Tuttavia è doveroso segnalare che le endotossine possiedono capacità antitumorali e le persone a contatto con alte concentrazioni sembrano subire meno tumori personali. I glucani sono carboidrati polimerici e sono localizzati principalmente nella parete cellulare di batteri, lieviti, piante e di molti funghi (Douwes e coll., 2003). (1-3)-B-D glucani sono stati segnalati quale causa di reazioni infiammatorie non specifiche e sono responsabili di sintomi respiratori. I glucani si sono resi responsabili di irritazioni degli occhi e della gola, di tosse secca e di irritazioni cutanee. AEROSOLS FUNGINI Numerose specie di lieviti e di miceti possono trovarsi negli ambienti di lavorazione degli alimenti (muffe, lieviti, ruggini, funghi). Quando sono presenti negli ambienti di lavorazione (tranne che nelle stanze di stagionatura nelle quali devono essere presenti solo certi tipi di muffe), i funghi (micro o macromiceti) sono considerati dei contaminanti indesiderati ed è essenziale conoscere i fattori che possono influenzare la loro dispersione. Molte spore fungine sono adatte a venire diffuse per via aerea e sono unità di riproduzione. Le spore sono rilasciate nell’aria per emissioni attive o passive e dipendono dalla velocità dell’aria, dalla turbolenza e dall’umidità ambientale. I miceti possono svilupparsi nei diversi luoghi di produzione (soffitti, apparecchiature, fessure, fogli di carta, imballaggi e in altre zone umide). La disponibilità di acqua è il fattore critico da controllare per evitare o ridurre la contaminazione fungina e la moltiplicazione dei miceti. Le micotossine sono elaborate dai miceti e sono trasportate dalla polvere nell’aria, mentre i conidi contenenti i metaboliti tossici

AEROSOLS VIRALI I virus sono spesso diffusi da goccioline aerosolizzate mediante starnuti, tossi e conversazioni. Dopo loro inalazione possono causare raffreddori, diarrea e malesseri di varia gravità (Morey e coll., 1990). La normale respirazione produce numerose goccioline sospese nell’aria e le loro dimensioni sono inferiori a 1 µm. La capacità delle gocce esalate (di una data dimensione) di trasportare patogeni varia a seconda delle varie dimensioni di batteri e di virus (25 nm – 5 µm). Bioaerosols contenenti virus possono formarsi con il transito dell’aria (durante l’inspirazione e l’espirazione) sullo strato di muco presente sulle superfici dei bronchioli. Sebbene siano stati eseguiti studi epidemiologici sulla possibile insorgenza di malattie polmonari (anche cancerose) per l’ingestione di aerosols di ambienti di lavorazione di vari tipi di carne (con riguardo soprattutto alla SARS – severe acute respiratory sindrome – e i virus influenzali) vi sono ancora informazioni limitate riguardo l’impatto dei virus presenti nell’aria dei locali di lavorazione delle carni. Riassumendo: i contaminanti biologici dell’aria degli ambienti indoor possono essere suddivisi teoricamente sulla base dell’effetto che essi producono sulla salute in agenti allergenici, infettivi e tossinfettivi, tossigeni. Tuttavia una stessa sorgente di contaminazione può diffondere simultaneamente contaminanti ascrivibili a tutte e tre le categorie elencate, come anche uno stesso agente biologico può provocare effetti riferibili a più di una delle tre classi. ACIDI VOLATILI ORGANICI COME AEROSOLS Nelle aree industrializzate ed urbanizzate, i composti organici costituiscono una certa frazione degli aerosols atmosferici. Composti organici, come gli acidi organici volatili (VOCs) sono comunemente emessi da fonti esterne e dai motori dei veicoli, così come dalle pratiche delle varie tecniche di preparazione degli alimenti (cottura, fermentazione, lavaggi, disinfezioni e altro). Questi VOCs sono spesso coinvolti in problemi di tossici-

Tabella 2 Locali di lavorazione del latte Stoccaggio latte Area di lavorazione del latte Area di confezionamento latte

CBT log ufc/100 l Aria 2,0 2,3 2,4

locale di miscelazione area di preparazione

CBT log ufc/100 l Aria 2,3 2,1

area di confezionamento

2,3

Locali di lavorazione gelati

S E T- O T T 2 0 2 3

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relazione scientifica

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 36 - DICEMBRE 2010

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

Tabella 3 - Valori medi di conte di batteri mesofili presenti nell’aria (ufc/m3) di lavorazioni carni suine Tempo di lavorazione ore 0 2 5 2,09 3,07 3,47

Zona

Operazione

- locale umido 1

dissanguamento

- locale umido 2

scottatura

2,49

3,27

- locale umido 3

depilazione

2,49

- locale umido 4

lavaggio

- locale pulito 5

8 3,35

11 3,61

3,44

3,62

3,44

3,27

3,44

3,62

3,44

1,58

3,02

3,16

3,49

3,56

apertura carcassa

2,24

2,59

2,71

3,13

3,31

- locale pulito 6

eviscerazione

2,33

2,73

2,28

3,04

3,36

- cella frigorifera

refrigerazione

1,98

2,34

1,93

2,17

2,74

tà, di odori e di contaminazione di ambienti chiusi e aperti in aggiunta, gli acidi grassi volatili e l’ammoniaca sono i principali componenti di sostanze emesse da bestiame bovino, suino, pollame e da fattorie e stalle. Le stalle di bovini e di pollame liberano ammoniaca, mentre quelle dei suini sono particolarmente conosciute per la elevata emissione di acidi grassi volatili. Le operazioni di cottura della carne sono una delle principali fonti di emissione di aerosol organici nell’atmosfera. Acidi dicarbossilici si formano in seguito alle ossidazioni delle dialdeidi, mentre alcanoli e alchenoli si formano tramite la via di ossidazione degli acidi n-alkenoici. I chetoni si formano per la pirolisi dei trigliceridi, mentre alcanoli e furano sono prodotti quando i carboidrati reagiscono con gli aminoacidi e quando alcanoli e lattoni sono formati durante il frazionamento dei lipidi. Altri composti organici emessi sono pesticidi, idrocarburi, idrocarburi aromatici policiclici, colesterolo e nitrili (Rogge, 1991). [...] FATTORI INFLUENZANTI I BIOAEROSOLS Sistemi appropriati per il controllo dei particolati dell’aria ambientale e degli odori minimizzano la presenza di patogeni e di alteranti (per es. lieviti, muffe, Pseudomonas e batteri lattici). Oltre al controllo dei contaminanti dell’aria, è importante il controllo delle seguenti variabili: - Temperatura: temperature inferiori a 13°C dovrebbero essere usate solo quando temperature più elevate potrebbero pregiudicare la salubrità degli alimenti. - Distribuzione dell’aria: per rimuovere il calore proveniente da certi tipi di lavorazione e dalle persone, è necessario provvedere aria fresca in sufficienza, prevenendo l’ingresso di contaminanti presenti nell’aria ed evitando la formazione di zone di aria stagnante. I fattori condizionanti la scelta dei cambiamenti dell’aria ambientale sono: - il volume dello spazio; - la capacità di rinfrescare l’ambiente (rimozione del calore);

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S E T- O T T 2 0 2 3

- il numero delle persone presenti negli spazi lavorativi; - le differenze di temperatura tra le aree di lavorazione; - il controllo dell’umidità e dell’odore; - la sovrapressione; - la qualità richiesta dell’aria. I BIOAEROSOLS NEI LOCALI DI LAVORAZIONE DEGLI ALIMENTI LOCALI DI LAVORAZIONE DI PRODOTTI LATTIERO CASEARI I prodotti lattiero caseari sono particolarmente suscettibili alla contaminazione da microbi presenti nell’aria e le fonti di aerosols in questi ambienti comprendono le canalette dei pavimenti, la ventilazione e l’acqua usata nelle operazioni di lavaggio e di sanificazione (Salustiano e coll., 2003). Radmore (1986) ha condotto uno studio negli ambienti lattiero caseari riscontrando in vari punti conte totali comprese tra 120 e 300.000 ufc/m3 e miceti tra 1 e 43.000 ufc/m3 rispettivamente. I microrganismi identificati sono stati S. aureus, Streptomycetes, Bacillus e miceti quali Penicillium, Cladosporium e Alternaria. Altri risultati eseguiti in latterie e in locali di lavorazione di gelati hanno fornito i risultati seguenti (Tab. n. 2). Secondo Hedrick e coll. (1969) hanno stabilito che, se l’aria nei locali di lavorazione del latte contiene più di 2,15 log ufc/100 l, la qualità è scadente. Radmore e coll. hanno proposto che la buona qualità dell’aria si ha quando la conta batterica totale è inferiore a 1,3 log ufc/100 l di aria. LOCALI DI LAVORAZIONE DI VEGETALI Con uno studio effettuato in un impianto di lavorazione delle patate sono state trovate conte moderatamente elevate (>104 ufc/m3) ed è stata isolata una notevole varietà di microrganismi come Corynebacterium, Arthrobacter, Mycobacterium, Agromyces ramosus, Alcaligenes faecalis, Pseudomonas, Acinetobacter calcoaceticus, Bacillus, Aspergillus niger e Candida. Nell’aria di fabbriche di birra sono state registrate conte batteriche medie totali (usando il SAS) di 3,6 log ufc/m3, oltre a batteri lattici (LAB), Pectinatus e Megasphraera (Henriksson e coll., 1991).

PANIFICI Nei panifici, l’aria agisce come vettore efficace di polveri di microbi contaminanti la superficie di lavorazione e dei prodotti. I tipi più comuni di contaminanti sono miceti e batteri sporigeni. Il numero e le specie di miceti fluttuano a seconda della stagione. I miceti predominanti sono Aspergillus, Cladosporium, Fusarium, Penicillium e Rhizopus. Il conteggio più elevato è stato di 3,4 log ufc/ m3 e quello degli sporigeni di 3,3 log ufc/m3 ( Jain, 2000). MACELLI DI POLLAME Le fonti di contaminazione nei locali di macellazione e di sezionamento dei polli sono numerose e la contaminazione può originare dalle superfici di lavorazione e dal pollame stesso. Possono verificarsi anche contaminazioni crociate durante il raffreddamento ad aria, col quale l’umidità è elevata così come la velocità dell’aria. La spermatura e la sprimatura formano aerosols acquosi di batteri e di altri solidi con possibile contaminazione di altre carcasse e di attrezzature (Allen e coll., 2003). I microrganismi presenti negli aerosols degli ambienti sono soprattutto batteri come Salmonella, Enterococcus, Proteus, Enterobacter, Flavobacterium, Staphylococcus, Corynebacterium, Micrococcus, Vibrio, Klebsiella, Moraxella, Xantomonas, Alcaligenes, Leuconostoc, Aeromonas, Pseudomonas, Brochotrix e miceti come Aspergillus, Penicillium e Botryotichum. I polli possono essere contaminati da batteri patogeni come Salmonella e Campylobacter di difficile eliminazione dalle carcasse. L’aria dei macelli di polli è spesso responsabile di irritazioni oculari, di malattie respiratorie come tossi, flemma, dispnea, fatica, congestione nasale, affanno respiratorio, starnuti, scarichi nasali, mal di testa, irritazione di gola e febbre (Takai e coll., 2002). Venter e coll., (2004) hanno trovato un elevato numero di lieviti (6,7 × 101 ufc/m3), muffe (7,0 × 102 ufc/m3), E. coli (3,6 × 101 ufc/m3) e di Salmonella (6,6 × 101 ufc/m3), in bioaerosols di ambienti di lavorazione. Anche Rasephei (2005) ha individuato in bioaerosols di macelli di polli E. coli, S. aureus, L. monocytogenes, B. cereus, Pseudomonas, Salmonella e diverse specie di miceti. MACELLI DI BOVINI I dati in proposito sono scarsissimi ed incompleti. Dall’aria dei mattatoi sono stati isolati enterococchi, stafilococchi, bacilli sporigeni, Listerie. Dati più completi sono disponibili per impianti di lavorazione delle carni suine. In questi ambienti Byrne e coll. (2008) hanno registrato le seguenti conte totali: - area di lavorazione 5±1 ufc/m3 - area di cottura 17±6 ufc/m3 – 46±23 ufc/m3 Anche Al Dagal e coll. (1992) hanno registrato basse conte nelle stesse aree con concentrazioni di 52-296 ufc/m3.


relazione scientifica

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 36 - DICEMBRE 2010

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

0,1-1,5 ufc/m3) e l’assenza di L. monocytogenes. MICRORGANISMI NELL’ARIA AMBIENTALE DI AMBIENTI DI PRODUZIONE MANGIMI E DI PORCILAIE Lugauskas e coll. (2004) hanno determinato i miceti presenti nelle arie ambientali di locali di lavorazione di mangimi per animali di allevamento e di porcilaie, individuando diversi miceti quali: Geotrichum candidum, Cladosporium cladosporoides, C. herbarum, Penicillium viridicatum, P. fellutanum, P. expansum, Staphylotrichum coccosporum, Aspergillus oryzae, Paeoamuyces puntonii, Rhizopus nodosus e R. stoloniferum.

Quanto ai coliformi le loro concentrazioni sono variate da 1 ufc/m3 a 8 ufc/m3. Altri germi ritrovati sono stati gli S. aureus (1-8 ufc/m3). Pearce e coll. (2006) hanno analizzato l’aria di locali di lavorazioni di carni suine durante le giornate lavorative determinando la conta totale, gli E. coli e le Salmonelle. Dopo 2 ore di lavorazione (dissanguamento, scottatura, depilazione), la CBT era di 3,14 log10 ufc/ m3 e più elevata rispetto a quella dell’aria di zone pulite (2,66 log10 ufc/m3) e di quella dei frigoriferi (2,34 ufc/m3). Nel pomeriggio le concentrazioni nelle zone cosiddette sporche registravano gli stessi valori precedenti mentre nelle zone pulite le conte erano più elevate (come si desume dalla seguente tabella). Le concentrazioni di E. coli erano basse (log 0,17-0,76 ufc/m3 rispettivamente al tempo 0 e

dopo 11 ore di lavorazione) ed è stata accertata la presenza di salmonelle (S. enterica typhimurium PT 104b e PT 208). MICROBIOLOGIA DEGLI AEROSOLS DI FRIGORIFERI Evans e coll. (2006) hanno ricercato i batteri presenti nelle atmosfere di celle frigorifere di impianti di lavorazione di carni, carni lavorate, isolate e simili, prodotti pronti cinesi, prodotti lattiero caseari, reparti di affettamento, imballaggio e di cottura di alimenti vari constatando la presenza di batteri sia nell’ambiente che negli evaporatori. La quantità di batteri è risultata assai ridotta e gli autori hanno individuato la presenza saltuaria di coliformi (0,1-1,1 ufc/ m2), di enterococchi (log 0,1-0,5 ufc/m3), di S. aureus (log 0,1-1,7 ufc/m3), di B. cereus (log

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CONCLUSIONI Sebbene lo stato microbiologico degli ambienti di lavorazione non sia stato affrontato sistematicamente, dalle informazioni prodotte emerge la necessità che questa indagine debba diventare sistematica per ridurre o evitare la presenza di polvere e di batteri contaminanti nei prodotti alimentari. Comunque un organismo può sopravvivere per breve tempo, poiché la sua vitalità è influenzata dall’RH, dalla temperatura, dalle concentrazioni di ossigeno, dalle radiazioni solari e ultraviolette e da fattori chimici. La fase di crescita influenza la sopravvivenza dei microbi presenti nell’aerosol. Le spore batteriche e quelle dei miceti sopravvivono meglio delle cellule vegetative e, in genere, i germi in fase stazionaria sopravvivono meglio rispetto a quando si trovano in fase logaritmica (cioè in moltiplicazione). I lieviti sono organismi eucarioti e sono influenzati in modo assai diverso di quanto avviene per i batteri. L’ossigeno uccide lentamente la maggior parte dei microrganismi presenti nell’aria ossidandoli e così la ridotta umidità che, disidratandoli, provoca stress osmotici alle loro cellule .

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fiere ed eventi

dell’export è così suddivisa: • Cina +22% • Germania +16% • Italia +21% Gli altri Paesi esportatori sono i Paesi Bassi (market share 8%), Stati Uniti (6%) e Francia, Svizzera, Spagna, Giappone e Danimarca a pari merito con un 3%. L’analisi di Nomisma, inoltre, conferma la dinamicità del comparto e l’Italia si posiziona come top mkt mondiale: leader in Germania e Francia, secondo fornitore in USA, Cina, UK e Spagna.

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ecologica, packaging alternativi e sicurezza alimentare. La sicurezza alimentare è infatti uno dei temi cocenti nella LabWorld Arena, un’area permanete per incontri e convegni: tema portante, come combattere le contaminazioni alimentari.

L’ANALISI DI NOMISMA

L’analisi di Nomisma dedicata al settore italiano del machinery per l’industria F&B si pone come obiettivo di identificare dimensioni, performance, mercati e competitività di questo comparto Made in Italy e si focalizza sull’analisi del posizionamento dei macchinari italiani sui mercati internazionali alla luce della forte propensione all’export del settore. Dimensioni e tendenze: grazie a un export di 8 miliardi di euro nel 2022, la meccanica rappresenta uno dei settori più vocati ai mercati internazionali. La performance è positiva: +20,6% nei primi 3 mesi del 2023 rispetto al 1 trimestre 2022. Le tipologie di macchine più esportate riguardano: • per la metà i macchinari e apparecchi dedicati al packaging per un valore di 4 miliardi di euro nel 2022 • le tecnologie dedicate al food processing con 2,5 miliardi di export e peso del 31% • le macchine per l’imbottigliamento con 1,5 miliardi di export e incidenza del 19%. I macchinari per il confezionamento e quelli per la produzione di alimenti e bevande trainano il mercato export: +27% e +17% rispettivamente nel primo trimestre 2023.

rappresentano il 38% dell’export mondiale di settore. È la Cina, però, il Paese che domina la scena. Ha raddoppiato la sua quota in un decennio ed è il terzo exporter mondiale con un valore delle vendite oltreconfine di 5,2 miliardi di euro. Nel 2023 la crescita – nel primo trimestre –

L’Unione Europea è la destinazione primaria dell’export italiano, che intercetta il 39% dell’export di settore. Al secondo posto Gli Stati Uniti con un’incidenza del 16%. Seguono: l’America latina e l’Europa non UE e l’estremo oriente. Negli ultimi 10 anni, infine, l’export è significativamente cresciuto, oltre che nel Nord America con un +106% tra 2012 e 2022, anche in Oceania (+106%) e Africa Sub-Sahariana (+58%).

L’ITALIA E IL RESTO DEL MONDO

La Germania è il primo esportatore mondiale con 8,9 miliardi di euro ma l’Italia segue a poca distanza con una quota di mercato sul totale dell’export globale di ben il 18%, incidenza che sale al 26% se si considera il peso sull’export europeo. Le due nazioni insieme

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nità per ottimizzare e semplificare i processi complessi, e porre le basi verso la smart food factory.

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in mano, che contiene già le best practice di settore. Si implementa rapidamente e può essere comodamente utilizzato anche in Cloud. CSB Factory ERP, invece, è tagliato su misura per l’ottimizzazione dei processi produttivi ed è quindi perfetto per la gestione degli stabilimenti produttivi di multinazionali e gruppi aziendali che impiegano già un ERP di gruppo. Infine, CSB Industry ERP è consigliato alle aziende alla ricerca di una soluzione completa, che contempli quindi anche Controllo Qualità, Contabilità generale e industriale, Cespiti, Archiviazione documentale, Rilevazione presenze, Business Intelligence e molto altro. In ogni caso, grazie alla struttura modulare del software, i clienti CSB possono introdurre nuove funzionalità in modo flessibile, nel momento in cui lo desiderano.

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aziende e informatica

capacità dell’ERP CSB-System di raccogliere ed elaborare i dati a disposizione.

SMART FACTORY - GARANTIRE LA REDDITIVITÀ CON PROCESSI SMART NELLA LOGISTICA E NELLA PRODUZIONE

Oltre agli innovativi sistemi sorter per rendere più efficiente la pesoprezzatura e l’evasione ordini, c’è anche il quadro di controllo CSB Linecontrol, grazie al quale possono essere meglio monitorate le macchine per la produzione e il confezionamento, aumentando di conseguenza l’efficienza complessiva degli impianti (OEE).

Gestione dei processi tramite applicazioni CSB-System

DIGITAL GROWTH SFRUTTARE LA DIGITALIZZAZIONE COME MOTORE DI CRESCITA

Grazie alla gestione integrata del flusso di informazioni e materiali, l’ERP CSB-System consente la comunicazione “da macchina a macchina” (M2M), il reporting OEE o anche l’integrazione del negozio online. L’ERP CSB-System raccoglie i dati lungo l’intera supply chain e li gestisce in una base dati unitaria. Questo rende un’azienda più efficiente, innescando un’ulteriore crescita.

BUSINESS RESILIENCE GESTIRE MEGLIO I RISCHI E RAFFORZARE LA RESILIENZA

Coloro che desiderano automatizzare la loro produzione tenderanno a concentrarsi sulla connessione di ERP, MES e CIM, così come fa già da anni l’ERP CSB-System. La manutenzione predittiva e i robot rendono il tutto ancora più intelligente. Grazie all’impiego efficiente delle tecnologie, infatti, emergono per le aziende nuove possibilità di riduzione dei costi, accelerazione e automazione dei processi di produzione e apertura di nuovi canali digitali di vendita.

Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni. Prendere le decisioni giuste – questa è la cosa più importante per ogni azienda. Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, andamento degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto. Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.

Referente CSB-System: Andrè Muehlberger, Direttore CSBSystem S.r.l. - www.csb.com

Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore Carne: www.csb.com www.csb.com

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