Ingegneria Alimentare marzo-aprile 2023

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Bimestrale di aggiornamento su tecnologie e processi di trasformazione e di commercializzazione delle carni Anno 20 - numero 110 MARZO-APRILE 2023 Ecod Srl UnipersonaleVia Don Riva, 3820028 San Vittore Olona MIPoste italiane spasped. in A. P.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Varese In caso di mancato recapito si prega di inviare al CPO Varese per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto MERCATI E CONSUMI Produzione e consumo di cibo locale SICUREZZA ALIMENTARE Carne sì o carne no? LA PAROLA ALL’ESPERTO

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in ogni piatto.

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6 NEWS

10 ATTUALITÀ E SICUREZZA: Il controllo delle popolazioni di cinghiali

Ecod Srl Unipersonale

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ASSOCIATO A:

14 MARKETING, DISTRIBUZIONE E CONSUMATORI: A cosa serve il banco assistito

16 SICUREZZA ALIMENTARE: Nitrati e nitriti aggiunti agli alimenti e nitrosammine

19 MERCATI E CONSUMI: Produzione e consumo di cibo locale

26 TREND CARNI&SALUMI

32 LA PAROLA ALL’ESPERTO: Carne sì o carne no?

38 SICUREZZA VETERINARIA: Tracciabilità nella filiera della carne suina - Terza parte: il prosciuttificio 40

SOMMARIO
MONDO AZIENDE
AZIENDE E INFORMATICA
DIRITTO E LEGISLAZIONE: Piccole produzioni locali
CHIEDETELO A...
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AGROALIMENTARE, PERFORMANCE STABILI

Stabile la performance economica anche nel IV trimestre 2022, con una lieve flessione del PIL nei confronti del trimestre precedente (-0,1%) e un aumento nei confronti del quarto trimestre del 2021 (+1,4%), con una flessione del valore aggiunto agricolo in tutti i principali comparti (-0,7% in agricoltura, -0,2% nell’industria e -0,1% nei servizi). In diminuzione i consumi nazionali (-1,1%), mentre crescono gli investimenti fissi lordi (+2% rispetto al trimestre precedente). È quanto emerge dalla fotografia scattata nel quarto trimestre del 2022 da CREAgritrend, il bollettino trimestrale messo a punto dal CREA, con il suo Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia.

Rispetto allo stesso periodo del 2021, fra ottobre e dicembre 2022, si è verificata una contrazione dell’indice della produzione sia per l’industria alimentare (-5%) che per l’industria delle bevande (-6,4%), mentre quello del fatturato cresce sia sul mercato estero, sia su quello interno: rispettivamente +25% nel complesso e +31% sui mercati esteri per l’industria alimentare, +15% e +13% per l’industria delle bevande.

Le esportazioni agroalimentari nel IV trimestre 2022 superano i 15,7 miliardi di euro (+12,6% rispetto al IV trimestre 2021), confermando l’ottimo andamento rilevato nei trimestri precedenti, verso tutti i principali mercati esteri (Polonia e Paesi Bassi gli incrementi superano i venti punti percentuali, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). In netto aumento anche le importazioni che raggiungono i 17 miliardi (+22,4% rispetto al medesimo trimestre 2021), e riguardano tutti i principali fornitori dell’Italia (in particolare il Brasile registra oltre il 70%).

I prodotti maggiormente esportati sono stati i vini (+2,7%), ortaggi trasformati (+24%) e la frutta fresca. Sul fronte delle importazioni si segnala la crescita di cereali, di caffè, greggio, mais frumento duro e legno.

SICCITÀ E CONFLITTI

I ricercatori del Politecnico di Milano e dell’Università della California a Berkeley hanno esaminato il complesso legame tra siccità e conflitti in America Centrale in uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Water.

I ricercatori hanno esplorato, per i decenni dal 1996 al 2016, come la disponibilità di acqua abbia influito sulla produzione agricola e sulla sicurezza alimentare e hanno studiato il nesso tra l’insicurezza alimentare indotta dalla siccità e l’emergere di conflitti nella regione. Le città dell’America Centrale sono note per i loro alti tassi di omicidi e violenze urbane legate alla proliferazione di giovani bande di strada conosciute come maras. Inoltre, le comunità rurali sono minacciate dalla canícula, una stagione secca che si verifica in luglio e agosto, e dai suoi gravi impatti sull’agricoltura, che costituisce la principale fonte di approvvigionamento alimentare e reddito in questa regione del mondo.

Lo studio offre informazioni su come il clima e la disponibilità di acqua possono interagire con il benessere umano e i disordini sociali attraverso la sicurezza alimentare. La ricerca evidenzia anche l’importanza di rafforzare la resilienza delle comunità rurali nei paesi in via di sviluppo per prevenire l’aumento della tensione sociale.

AGNELLO

DI SARDEGNA IGP, BUONO, SANO, GARANTITO

DIRETTIVA UE SUI NITRATI

La Commissione europea ha inviato un parere motivato all’Italia (INFR 20182249), secondo passo nelle procedure di infrazione, per non aver rispettato pienamente la Direttiva sui nitrati (Direttiva 91/676/CEE) e non aver protetto meglio le sue acque dall’inquinamento causato dai nitrati provenienti da fonti agricole. I fertilizzanti chimici azotati ed i liquami zootecnici smaltiti nei terreni agricoli sono la principale causa dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee da nitrati che mette a rischio la salute delle persone e dei nostri ecosistemi. In base alla Direttiva UE Nitrati, gli Stati membri sono tenuti a monitorare le proprie acque e a individuare quelle interessate o potenzialmente interessate dall’inquinamento causato dai nitrati di origine agricola e dall’eutrofizzazione. Sono inoltre tenuti a designare le aree di terreno che drenano queste acque come zone vulnerabili ai nitrati e a istituire programmi d’azione appropriati per prevenire e ridurre tale inquinamento.

Un concorso a premi, con risposta ad alcune domande sull’Agnello di Sardegna Igp, e la possibilità di vincere degli utili utensili che arricchiranno la cucina con gli strumenti necessari alla preparazione di una delle carni più prelibate del bacino del Mediterraneo.

È l’niziativa promossa dal Consorzio di Tutela Agnello IGP di Sardegna, che nasce all’interno del progetto “Agnello di Sardegna IGP: buono, sano, garantito” finanziato nell’ambito delle politiche europee di promozione dei prodotti agroalimentari dentro e fuori i confini europei. Progetto che mira non solo a una promozione del prodotto, ma anche a rafforzare nei consumatori italiani la consapevolezza e il riconoscimento dei regimi di qualità dell’Unione, in particolare delle Indicazioni Geografiche Protette (IGP) e del simbolo grafico che le rappresenta e a comunicare ai consumatori le proprietà dei prodotti IGP e in particolare dell’IGP Agnello di Sardegna.

6 MAR-APR 2023 news

D-ICER & D-BREAKER

OTTIMIZANDO IL PROCESSO DI SCONGELAMENTO

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TORNA MEAT-TECH

NEL 2024

Il mondo delle proteine in pole position dal 28 al 30 maggio. Innovazione è la parola d’ordine della nuova edizione. Le industrie del processing & packaging esporranno nell’unica fiera italiana dedicata al mondo delle proteine tradizionali e innovative.

Processing, packaging, aromi e additivi ma anche automazione, robotica e intralogistica.

Tantissime le novità per la nuova edizione ma una su tutte: il nuovo salone tematico PRO-TECH, la sezione speciale dedicata alle soluzioni per le nuove proteine.

Innovazione sarà l’unica parola d’ordine che guiderà l’appuntamento organizzato da Ipack Ima per un evento che lascerà il segno.

NUOVA STRATEGIA PER SALUMIFICIO BORDONI

Un nuovo percorso comunicativo che è un viaggio tra convivialità, ricordi di famiglia e abitudini del consumatore del futuro. Questa la nuova strategia che punta sul racconto della storia di famiglia di Salumificio Bordoni, raccontata e valorizzata intercettando il meglio dal passato e guardando verso il futuro con lucida consapevolezza, con l’obiettivo di offrire un prodotto che non è solo un cibo ma è passione, famiglia e convivialità.

La storia di Salumificio Bordoni comincia nel 1964 ai piedi delle Alpi con una piccola macelleria di famiglia. Oggi, quella macelleria si è trasformata in un complesso industriale all’avanguardia, che si avvale di tecnologie di ultima generazione per unire l’amore per il passato e le tradizioni di una volta all’innovazione e alla sicurezza alimentare. La seconda e la terza generazione della famiglia portano avanti i valori che hanno caratterizzato la storia dell’azienda e che rappresentano la Bordoni del futuro: tradizione, qualità e arte del gusto.

MERCOLEDÌ C’È IL MERCATO

Mercoledì c’è il Mercato è il fortunato progetto patrocinato dal Comune di Milano che prevede una serie di giornate formative rivolte agli studenti per avvicinarli al funzionamento di un grande mercato all’ingrosso come quello di Milano e per permettere loro di affacciarsi consapevolmente al mondo del lavoro. Durante questa attività viene data l’opportunità di entrare in contatto con la materia prima, gli operatori e i gestori tecnici e operativi del Mercato attraverso una lezione frontalelaboratoriale.

A loro volta gli operatori mostrano alle future generazioni una prospettiva di salvaguardia dei sistemi integrati che permettono il corretto funzionamento della filiera.

L’obiettivo del progetto è quello di valorizzare il fresco e la sostenibilità partendo dall’educazione scolastica sul territorio. Mercoledì c’è il Mercato mira a insegnare agli studenti i vantaggi di una filiera sicura, garan-

ARIA DI FESTA A SAN DANIELE

Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele e la Città di San Daniele del Friuli annunciano la 37esima edizione di Aria di Festa. La kermesse enogastronomica, dopo lo stop del 2020 e del 2021 a causa della pandemia e dopo la formula Aria di Friuli Venezia Giulia svoltasi lo scorso anno eccezionalmente in agosto, ritorna nella sua collocazione tradizionale dal 30 giugno al 3 luglio 2023.

La quattro giorni, la cui prima edizione risale al 1985, animerà con eventi e appuntamenti le strade della città per celebrare il profondo legame che unisce il Prosciutto di San Daniele al suo territorio di origine. Aria di Festa si presenta come una manifestazione trasversale dove l’enogastronomia incontra le eccellenze regionali, la cultura, il buon vivere e la musica di qualità, attirando turisti provenienti dall’Italia e dall’estero.

L’edizione 2023 sarà valorizzata da numerose attività dedicate alla promozione del Prosciutto di San Daniele. Si terranno, infatti, live cooking show, talk tematici con ospiti di spicco, masterclass e laboratori sensoriali dedicati al Prosciutto di San Daniele. I prosciuttifici apriranno le porte degli stabilimenti di produzione proponendo visite guidate alla scoperta della lavorazione del San Daniele DOP, oltre ad un programma di intrattenimento e a proposte gastronomiche volti ad arricchire l’offerta durante i quattro giorni di festa. Il centro storico della cittadina sarà popolato da stand enogastronomici per offrire agli avventori degustazioni di Prosciutto di San Daniele in abbinamento a formaggi, panificati e frutta, oltre numerose pietanze con protagonista il prosciutto friulano.

tita e l’etica del lavoro. Offrendo l’occasione di accrescere la consapevolezza sull’essenzialità del mercato, i giovani possono acquisire una preparazione più accurata per la loro professione futura, hanno modo di apprendere modelli di approvvigionamento e di conoscere e riconoscere i fornitori più attenti alla qualità e alla difesa del patrimonio alimentare.

Ogni mercoledì, il mercato accoglie un gruppo di studenti provenienti dalle scuole secondarie di secondo grado, dalle università oppure dalle scuole di formazione del territorio lombardo, accompagnandoli nella visita del Mercato Ittico, Carne, Ortofrutticolo e Fiori. Il programma non è rivolto solo gli studenti degli istituti alberghieri, ma anche quelli delle università, dei master e delle scuole di formazione gastronomica. La visita, inizialmente destinata solo al Mercato Ittico e Ortofrutticolo, è stata estesa anche al Mercato Carni e Fiori, per permettere di avere una più ampia visione possibile sulla realtà di Foody.

8 MAR-APR 2023 news

Legatrice FRT400 per salumi

Possibilità di imbragare salumi fino ad una lunghezza di 450 mm. Lega prosciutti cotti e crudi, tronchetti, mortadelle

Legatrice FRT - MF - 400 - G MKIII

Tecno Brianza presenta la legatrice per salumi, carni, arrosti FRT-MF-400-G MKIII in sostituzione alla ben conosciuta “Mosca” presente nel mercato da venticinque anni con oltre 400 macchine presso i nostri clienti. La nuova legatrice presenta varie opzioni di lavoro, in modo tale da poter legare qualsiasi tipologia di prodotto alimentare.

• Il piano di lavoro permette di imbragare e imbrigliare prodotti fino ad una lunghezza di 45 cm

• Sistema di legatura a croce: con un solo nodo è in grado di effettuare una croce. Ideale per salumi di piccolo taglio, cotechini e arrosti

• Sistema di legatura a spirale: costruisce una spirale su salumi, carni di medio taglio con nodo finale.

Dimensioni: 880x565x1495

Peso: kg.165

Potenza: 230 Volt; 50/60 Hz; 1,6 kW

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Distributori Ufficiali per l’Italia 440 mm. R 240 mm. 340 mm.

Il controllo delle popolazioni di cinghiali

Come strumento di prevenzione e controllo della peste suina africana

Nel numero precedente di Ingegneria Alimentare abbiamo esaminato in maniera approfondita le caratteristiche e le problematiche legate alla PSA (Peste Suina Africana). In questo numero vogliamo puntare l’attenzione sulla necessità di effettuare un controllo accurato su un aspetto cruciale della diffusione della malattia che comporterebbe, come già spiegato, rischi preoccupanti per l’industria alimentare italiana, suinicola e salumiera in particolare: la diffusione dei cinghiali sui nostri territori. L’esempio dell’Emilia Romagna può

Prima di esaminare il problema è doveroso fare il punto sulla situazione storica della presenza di cinghiali sul territorio nazionale e regionale in particolare. Il cinghiale è presente nei nostri boschi fin da epoche storiche, finché nel tardo medioevo il disboscamento dei territori collinari e montani per fini agricoli e le attività di caccia indispensabili per il sostentamento delle popolazioni non causarono la completa scomparsa del cinghiale. Dopo l’ultimo conflitto bellico assistiamo a un fenomeno opposto dovuto ai cambiamenti della società: l’industrializzazione porta la popolazione lontano dai campi più impervi e il bosco recupera gli spazi persi. È a questo punto che torna il cinghiale: negli anni ’80 si hanno i primi avvistamenti poi, complici anche i ripopolamenti con esemplari provenienti dai Paesi dell’est (di maggiori dimensioni e più prolifici), si registra un carniere della stagione venatoria 1986 pari a

1860 cinghiali prelevati. Da quel momento è un crescendo, fino a che, nel 2021, il carniere della stagione venatoria registra 30.189 cinghiali prelevati.

FATTORE DI RISCHIO

Uno dei fattori di rischio per la diffusione della PSA (Peste Suina Africana) è rappresentato dalla densità delle popolazioni di cinghiali. Purtroppo le stime di popolazione basate su censimenti non sono disponibili: applicare tecniche affidabili su vaste aree e ottenere risultati precisi ai fini gestionali è estremamente complesso e oneroso.

La stima della popolazione viene effettuata basandosi sulle statistiche venatorie, fattore che può aiutare soltanto a definire gli andamenti delle presenze quindi non una quantificazione ma un trend.

Cosa dicono queste statistiche? Le statistiche rivelano che il numero di cacciatori che svolgono attività venatoria è in costante diminuzione mentre l’incremento annuo delle popolazioni di cinghiali è pari al 90-180%. Questo incremento è dovuto al fatto che le nuove specie sono molto più prolifiche di

attualità e sicurezza 10 MAR-APR 2023
cura della redazione
A
Tratto da una relazione di Maria Luisa Zanni (Settore attività faunistico-venatorie e sviluppo della pesca Regione Emilia Romagna) essere chiarificatore.

quelle di un tempo:

Numero di nati per femmina da 4 a 6

Parti l’anno 2

Le femmine si riproducono al raggiungimento del peso di 28 –30 chilogrammi Fattori determinanti: disponibilità alimentare, clima.

PIANO DI CONTRASTO

Appurato che la presenza di una popolazione di cinghiali così vasta rappresenta un pericolo per la diffusione della PSA, è evidente la necessità di prendere misure efficaci per contrastarla. A questo scopo la Regione Emilia Romagna ha ideato un piano di intervento per la gestione del cinghiale.

Il Piano di gestione del cinghiale, oltre a perseguire l’obiettivo di vigilare sull’eventuale introduzione della malattia sul territorio regionale proseguendo le azioni di monitoraggio delle carcasse dei cinghiali e le azioni per la ricerca di carcasse o resti di cinghiali, prevede principalmente azioni volte a prevenire l’eventuale passaggio della malattia dal selvatico al domestico.

Poiché si considera non attuabile né tantomeno utile nel contrasto alla PSA prevedere un’azione di riduzione generalizzata della popolazione su vasta scala, obiettivo peraltro già indicato da anni negli strumenti di pianificazione regionale, si ritiene invece opportuna l’identificazione di aree ben definite (distretti) nelle quali effettuare azioni di contenimento della specie, ma soprattutto si ritiene di fondamentale importanza l’abbattimento sistematico dei cinghiali che stazionano nell’intorno degli allevamenti di suini domestici con particolare riferimento a quelli all’aperto, senza tuttavia escludere nessun’altra tipologia di allevamento.

A tal fine, l’attività prioritaria è demandata ai proprietari o conduttori dei terreni destinati all’allevamento e autorizzati dalle Polizie provinciali, che, così come consente il “Piano regionale di controllo del cin-

Innovative food solutions

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ghiale” approvato con deliberazione n.1973 del 22/11/2021, possono attuare il controllo tutto l’anno, senza limitazione di orario sia tramite cattura che in selezione, in prima persona se in possesso del titolo abilitativo oppure coadiuvati da familiari o dipendenti in possesso del titolo di coadiutore o da due coadiutori di propria scelta.

Nei distretti in cui è prevista una riduzione numerica della popolazione del cinghiale l’obiettivo è un aumento consistente dei capi abbattuti rispetto al prelievo medio annuale realizzato nel triennio 2019-2021.

AREE DI PRELIEVO

E CLASSI DI RISCHIO

I distretti di gestione del cinghiale, al fine della prevenzione dell’eventuale passaggio della PSA dal selvatico al domestico, sono stati ripartiti in tre categorie:

• Classe di rischio 1 - distretti con presenza di allevamenti suini industriali all’aperto e densità cinghiali cacciati >1

• Classe di rischio 2 – distretti con presenza di allevamenti suini industriali all’aperto e densità cinghiali cacciati <1

• Classe di rischio 3 – distretti senza allevamenti suini industriali all’aperto e densità cinghiali cacciati >1.

In Emilia Romagna sono stati stimati 43 distretti con classe di rischio 1; in queste aree, oltre all’azione diretta dei proprietari o conduttori degli allevamenti, i soggetti gestori delle attività venatorie, le Polizie provinciali e i gestori delle aree protette sono sollecitati a

incrementare, rispetto ai quattro anni precedenti, il prelievo dei cinghiali con tutte le modalità consentite dalle disposizioni vigenti al fine di ridurre la popolazione.

Nei distretti di rischio 2 – ben 74 – fermo restando il prelievo in controllo in prossimità dell’allevamento o in selezione, la gestione del cinghiale non deve subire modifiche rispetto alla gestione pregressa.

Sono, infine, 56 i distretti di classe 3 nei quali l’attività di prelievo in caccia e controllo, con particolare riferimento ai primi 16 distretti ma anche in quelli al confine con distretti nei quali sono presenti allevamenti, deve essere significativamente incrementata rispetto ai quattro anni passati.

REGOLAMENTAZIONE DELL’ATTIVITÀ VENATORIA

• Nelle aree a ovest del Fiume Trebbia: prelievo selettivo (sia in caccia che in controllo).

• Nelle aree a est del Trebbia l’attività venatoria potrà essere condotta esclusivamente con metodi selettivi, mentre l’attività di controllo potrà essere condotta con cattura, con metodi selettivi e con metodi collettivi (girata).

Ogni Istituto Faunistico che intende praticare abbattimenti del cinghiale nelle zone di restrizione I, deve sviluppare un piano di gestione della biosicurezza soggetto ad autorizzazione da parte del servizio veterinario della Azienda USL competente per territorio.

I capi abbattuti possono essere destinati all’autoconsumo esclusivamente all’interno della stessa zona di restrizione e solo se risultati negativi ai test di laboratorio per ricerca del virus PSA.

attualità e sicurezza 12 MAR-APR 2023

A cosa serve il banco assistito

Pensando alla situazione attuale della distribuzione moderna il titolo di questo articolo po trebbe essere più una doman da che un’affermazione: serve ancora il banco assistito? Se dovessimo rifarci a quanto si vede nei punti vendita la risposta è più “no” che “sì”, se invece ci schierassimo dalla parte dei consumatori la risposta sarebbe sicuramente “sì”. In mezzo c’è la crisi d’identità della grande distribuzio ne stessa che oggi fa fatica a interpretare i nuovi significati di consumo, si appiattisce sulla logica delle promozioni (che non fun zionano più) e del taglio dei costi (che toglie qualità al consumatore), mentre il mondo dei freschi vola in termine di gradimento del le persone e di ricerca di qualità. Il banco macelleria-gastronomia non nasce certo nei supermercati-ipermercati, al con trario è la grande distribuzione che nello sviluppo dei suoi format integra al suo interno competenze, assortimento e canoni di comunicazione dell’artigiano, macellaio o pescheria che sia. La macelleria, così come la salumeria, è per i consumatori, almeno per quelli che hanno più di 40 anni, primariamente un banco con il prodotto a vista, un professionista competente dietro il banco stesso, una cassa dove pagare. Un luogo di relazione del quartiere. Il mondo del food si nutre di certezze e di riti che si possono evolvere ma non scomparire: un bar può trasformarsi in una caffetteria specializzata ma avrà sempre una macchina a vista del caffè, pena la sua credibilità. Nelle pizzerie il forno è a vista (a legna, elettrico o a gas) e il pizzaiolo prepara la pizza di fronte al cliente, una gelateria è un luogo dove un addetto compone un gelato per il cliente rispetto alla richieste di gusti del cliente stesso.

Macelleria, quindi, uguale banco assistito, almeno nella memoria collettiva. Poi nella modernità il cliente evolve i suoi bisogni e quindi la porzione singola (hamburger o petto di pollo) o la confezione famiglia (le fettine di maiale) non hanno bisogno del macellaio ma di una confezione e di un banco selfservice. Ma il banco non scompare, prima nella mente dei consumatori, quindi nei punti vendita.

Certo che se i banchi assistiti son pieni di prodotti che non meritano assistenza, scusate il gioco di parole, la carne arriva sottovuoto e il macellaio è per certe ore macellaio ma poi diventa magazziniere o anche, alla bisogna, pescivendolo… il banco non funzionerà mai. Nel raccontare questa storia, carenza di personale e di professionalità, vedo un certo autocompiacimento nella grande distribuzione

che porta direttamente al risparmio di costi (uguale chiusura del banco assistito). Un po’ come per il pane dove ormai, indipendentemente da posizionamento di insegna e formato, la formula imperante è il mobile self service, la morte del pane e della fidelizzazione del cliente.

Un altro vizio recente della grande distribuzione è, dopo anni di anarchia sui punti vendita, il ricorso, ormai in ritardo sui tempi, alla cosiddetta standardizzazione dei cluster assortimentali, ovvero si applicano per la stessa insegna, a seconda delle dimensioni del punto vendita e del format prescelto, gli stessi assortimenti. Detto che il nostro mondo è fatto di sfumature e di qualità più che di quantità, capita per esempio, seguendo questa logica, che un Conad alto performante nel centro di Milano dove il direttore di ne -

marketing, distribuzione e consumatori 14 MAR-APR 2023
sociologo dei consumi ed esperto di comportamenti e strategie di acquisto e vendita, fondatore di Marketing&Trade Serve ancora il banco assistito? La grande distribuzione oggi fa fatica a interpretare i nuovi significati di consumo e la risposta è né si né no: facciamo chiarezza.

gozio aveva strutturato un assortimento dedicato alla qualità della clientela, si trasformi da un giorno all’altro in un Tu-day, un format applicato per la prima volta a Pistoia. Così ragionando, oggi è impossibile, a parte per alcune catene regionali, trovare banchi assistiti, di qualunque tipo, nelle piccole superfici, il cluster non lo prevede… Scritto questo, vediamo oggi come dovrebbe essere strutturato un banco macelleria, a che significati di consumo deve rispondere e che assortimenti avere.

Il banco assistito diventa all’interno di un negozio una “destination”, un luogo dove vado

marketing,

perché cerco il prodotto corretto per realizzare una ricetta, farmi sorprendere, mettere in tavola un piatto della tradizione. Per me e per altri. Cerco un’esperienza, ho tempo (cioè ho voglia di cucinare) e voglio il prodotto “giusto” per le mie esigenze.

L’assortimento di un banco assistito oggi deve essere declinato in:

• Le preparazioni moderne che piacciono a tutti dalla tartare, alle marinature, ai ripieni e quelle che fanno riferimento al territorio (dalle polpette alle bombette)

• Le carni pregiate, oggi bistecche, nella ver-

sione tradizionale o dry aged

• I tagli della tradizione, quelli per fare il vitello tonnato, lo spezzatino, il bollito, ecc..

• I prodotti stagionali ma anche le novità, e come è sempre stato nel mondo carne, i tagli/pezzi del giorno, quelli che danno un’idea di essere ancora più freschi

• I volatili, che vanno oltre i polli tutto l’anno e i capponi a Natale, e che comunque nel banco assistito fanno riferimento a prodotti con un’origine e uno story telling legato alla qualità.

E infine si apre anche un tema di innovazione che lega banco gastronomia e salumi come potenziali partner del banco macelleria. Il banco gastronomia gode di pessima salute nella gdo - insalata russa e cannelloni non sono proprio un assortimento contemporaneo - mentre polli arrosti, spiedini, costine, verdure cotte e crude, lasagne e melanzane alla parmigiana funzionano sempre: la gastronomia si trasforma in un banco moderno di soluzioni di pasto, molte a base carne. Il banco salumeria oramai si è ridotto a tagliare il prodotto per il takeaway e i formaggi stagionati si vendono poco al contrario di quelli freschi (mozzarella e simili), che però sono ormai tutti a self service. A livello internazionale macelleria-salumeria e gastronomia, uso terminologie del passato, diventano un laboratorio di idee per creare un unico banco, sempre più orientato a fornire ai clienti soluzioni di qualità (come materia prima) e di risparmio di tempo (pronto da cuocere o da mangiare). 

15 MAR-APR 2023
distribuzione e consumatori marketing

NITRATI e NITRITI aggiunti agli alimenti e nitrosammine

Initrati e i nitriti, normalmente presenti in natura, sono sostanze chimiche composte da azoto e ossigeno. Si trovano ad alte concentrazioni in alcune verdure a foglia come gli spinaci, le bietole, la lattuga, le rape e il sedano. I sali di nitriti (E249, E250) e nitrati (E251, E252) invece, che derivano dall’unione di nitriti e nitrati con sodio e potassio, sono additivi alimentari comunemente utilizzati per la conservazione di alcuni prodotti deperibili. Vengono aggiunti a prodotti a base di carne, pesce e a volte anche a prodotti caseari per controllare la crescita microbica, soprattutto del Clostridium botulinum (batterio responsabile del pericolosissimo botulismo). Inoltre, in sinergia con gli antiossidanti come l’acido ascorbico, mantengono il colore rosso della carne e il colore caratteristico dei salumi, contribuendo anche a definirne l’aroma in quanto agiscono selettivamente nei confronti dei microrganismi che determinano la stagionatura dei salumi.

I nitrati, naturalmente presenti in molti vegetali oppure aggiunti come additivi, vengono assorbiti rapidamente dall’organismo. Di per sé, i nitrati non sono tossici. Possono però essere convertiti in nitriti dalla flora batterica presente nella saliva e agire da precursori

di composti considerati tossici. I nitriti negli alimenti (e i nitrati convertiti in nitrito dall’organismo) possono ossidare l’emoglobina trasformandola in metaemoglobina 1 , riducendo quindi la capacità dei globuli rossi

di legare e trasportare l’ossigeno ai tessuti. La fascia d’età più a rischio di metaemoglobinemia è quella dei lattanti. Come per tutti gli additivi alimentari autorizzati nell’Unione europea prima del 2009, nel quadro del  Regolamento UE 257/2010, anche i nitrati e i nitriti sono stati sottoposti a una nuova valutazione del rischio da parte dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).  Nell’ultimo rapporto, il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sugli additivi alimentari e le fonti di nutrienti aggiunti agli alimenti (ANS) ha stimato che l’esposizione dei consumatori al nitrato proveniente esclusivamente da additivi alimentari è inferiore al 5% dell’esposizione complessiva al nitrato negli alimenti. Anche per i nitriti

1 Composto derivato dell’emoglobina, da cui si forma per ossidazione dell’atomo di ferro contenuto nell’eme, a opera di sostanze fortemente ossidanti. Il ferro, dal normale stato ferroso o ridotto Fe (II) passa allo stato ferrico Fe (III). Questo passaggio rende la metaemoglobina incapace di legare l’ossigeno e trasportarlo ai tessuti.

sicurezza alimentare
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

assunti come additivi, l’esposizione rientra nei livelli di sicurezza per tutte le fasce della popolazione, fatta eccezione per un lieve superamento nei bambini. Quest’ultimi sono spesso più esposti a certe sostanze a causa dei loro livelli di consumo più elevati in rapporto al peso corporeo.

L’attuale dose giornaliera ammissibile (DGA) per i nitrati è di 3,7 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno e di 0,07 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno per i nitriti. Gli esperti hanno confermato che i limiti di nitrati e nitriti aggiunti agli alimenti sono sicuri. Tuttavia, si rendono necessari ulteriori studi in quanto permangono alcune lacune nelle conoscenze, specialmente sulla conversione dei nitrati in nitriti e sull’esposizione a nitriti/nitrati da fonti alimentari diverse dagli additivi. Nonostante quantità eccessive di queste sostanze possano comportare effetti tossici per l’uomo, gli alimenti che le contengono possono essere consumati in sicurezza, rispettando i limiti raccomandati dalle Linee Guida per una sana alimentazione.

I nitriti, inoltre, possono contribuire alla formazione di un gruppo di sostanze note come nitrosammine.

Le N-nitrosammine, comunemente chiamate nitrosammine, sono composti a cui siamo esposti quotidianamente attraverso diverse fonti.

Gli esseri umani sono esposti alle nitrosammine da fonti ambientali, nonché dalla sintesi endogena. Le nitrosammine e/o i loro precursori possono essere presenti in diversi prodotti di consumo come il fumo di tabacco, le carni lavorate, le verdure, le bevande alcoliche, i cosmetici e i medicinali. Le nitrosammine possono anche formarsi nel tratto gastrointestinale superiore se il cibo contiene precursori della nitrosammina, come nitrati o nitriti. Nell’ambiente fortemente acido dello stomaco, i nitriti aggiunti al cibo o presenti in natura (o quelli che derivano dalla conversione dei nitrati) possono essere convertiti in acido nitroso (HNO2), che a sua volta è in grado di dissociarsi e legarsi alle ammine (presenti in alimenti ricchi di proteine) dando origine alle nitrosammine.

Dal punto di vista chimico, le nitrosammine sono composti organici caratterizzati dalla presenza del gruppo N=O legato all’atomo di azoto di un’ammina generalmente secondaria o terziaria.

Recentemente, la presenza di impurità di nitrosammine in alcuni medicinali è stato motivo di particolare preoccupazione. Questo ha portato a un richiamo di numerosi prodotti e a una revisione dell’UE, che stabiliva nuovi rigorosi requisiti di produzione per

questi medicinali. L’attenzione verso queste sostanze è dovuta al fatto che alcune nitrosammine sono cancerogene. La loro cancerogenicità è stata descritta per la prima volta nel 1956, quando John Barnes and Peter Magee, due scienziati inglesi, dimostrarono che una di queste sostanze, la dimetilnitrosammina (NDMA), provocava tumori del fegato nei ratti. Della cancerogenicità delle nitrosammine si è discusso anche al 16° Congresso Internazionale di Tossicologia, tenutosi a Maastricht dal 18 al 21 settembre 2022, attraverso il poster “Integrated Hazard Assessment of the Carcinogenic Potency of N-Nitroso Compounds”. Il poster presentava i risultati di un progetto di tesi di laurea in SAXBI (Safety Assessment of Xenobiotics and Biotechnological Products” dell’Università Statale di Milano) sulla valutazione della potenza cancerogena di 5 nitrosammine in relazione alle due nitrosammine più studiate, dietilnitrosammina (NDEA) e dimetilnitrosammina (NDMA). Quest’ultime vengono prese come punto di riferimento dalle Agenzie regolatorie per stabilire il livello massimo di assunzione tollerabile per diverse impurità di nitrosammine, alcune delle quali con differenze importanti di potenza cancerogena. In quest’ottica, si è provato a calcolare il limite di assunzione tollerabile delle nitrosammine in esame. Inoltre, valutando la potenza relativa e analizzando i dati di mutagenicità e cancerogenicità, si è cercato di valutare quanto

SITOGRAFIA

NDMA e NDEA possano effettivamente essere un valido termine di riferimento per la maggior parte delle nitrosammine. Dopo una prima ricerca e analisi dei dati di mutagenicità e cancerogenicità di decine di nitrosammine in PubChem, PubMed, CPDB e nelle pubblicazioni ivi contenute sono stati selezionati cinque composti:

- difenilnitrosammina (NDPhA),

- 2,2,2–trifluorodietilnitrosoammina (3F-NDEA),

- dietanolnitrosoammine (NDELA),

- nitrosoefedrina (NEP), - e nitrosoazetidina (NAZ).

Le nitrosammine sono composti che per esercitare i loro effetti mutageni e cancerogeni richiedono attivazione metabolica. Soprattutto per le nitrosammine altamente mutagene e cancerogene questo avviene via alfa idrossilazione con formazione degli ioni diazonio che successivamente reagiscono con il DNA dei tessuti bersaglio. Durante l’analisi dei dati sono stati studiati i meccanismi di attivazione metabolica per la mutagenicità di ciascuna nitrosammina e le caratteristiche strutturali che influenzano la potenza.

In conclusione, considerando l’analisi dei dati di mutagenicità, cancerogenicità e potenza cancerogena, si è dedotto che NDEA e NDMA potrebbero non essere un valido termine di riferimento per la maggior parte delle N-nitrosammine. 

• https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2017.4786

• https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2017.4787

• https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32010R0257&from=IT

• https://www.crea.gov.it/documents/59764/0/LINEE-GUIDA+DEFINITIVO.pdf/28670db4154c-0ecc-d187-1ee9db3b1c65?t=1576850671654

sicurezza alimentare 17 MAR-APR 2023

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Produzione e consumo di CIBO LOCALE

I legislatori tendono ad agire, oltre che con normative di esenzione e con lo strumento della deroga, anche con interventi promozionali malgrado la difficoltà degli interpreti nel collocare la dimensione locale nello spazio giuridico europeo

SIGNIFICATO E DEFINIZIONE DI CIBO LOCALE

Il cibo «locale»¹ è legato alla affermazione, in Europa e al di là di essa², di una delle tendenze del consumo di alimenti.

Gli impatti del modello industriale di produzione e consumo alimentare e la consapevolezza delle necessità nutrizionali di una popolazione mondiale in continua crescita spingono alla ricerca di modelli alternativi e «sostenibili» fra i quali si colloca anche quello della preferenza per i prodotti alimentari ottenuti nello stesso luogo o territorio del consumo³. Ragioni particolari di questa tendenza vengono individuate con riferimento sia ad esigenze di maggiore sicurezza sanitaria⁴, nutrizionale e di gusto (cibi meno manipolati, più freschi quindi con maggiore quantità/ qualità di nutrienti, più gustosi) sia a istanze di protezione dell’ambiente⁵ (ridotta quantità di emissioni da trasporto) sia a motivi di supporto dei sistemi economici territoriali e delle piccole imprese contadine e a ragioni di «riconoscimento» culturale e valorizzazione dei legami sociali, ma il fenomeno ha assunto, se misurato in termini di innovazione delle pratiche sociali e delle forme organizzative di produttori e consumatori⁶, e valutato tenendo conto delle dinamiche del mercato globale⁷ e delle politiche adottate dai governi⁸, un rilievo che ha meritato un’indagine, soprattutto storico-sociologica ma ormai anche giuridica, che conta su più voci. Nel contesto del mercato nazionale ed europeo e come oggetto delle politiche agricole e dell’alimentazione, si individueranno i principali contesti normativi nei quali il cibo loca-

le, chi lo produce e chi lo consuma vengono presi in considerazione a fini regolativi e promozionali evidenziando alcune implicazioni dell’attuazione di singoli provvedimenti nell’attuale contesto giuridico caratterizzato dalla pluralità dei centri di produzione normativa.

Quanto al significato in senso stretto - l’attributo «locale» è sempre servito a designare tutto ciò che è legato ad un luogo inteso in senso fisico-spaziale e in ambito agricolo e alimentare - ha a lungo rappresentato la dimensione prevalente della produzione e dello scambio.

Gli impatti del modello industriale di produzione e consumo alimentare e la consapevolezza delle necessità nutrizionali di una popolazione mondiale in continua crescita spingono alla ricerca di modelli alternativi e «sostenibili»

Al cibo come prodotto e territorio si riferiscono gli interventi normativi che, a partire dagli anni ’90 in Europa, e ancor prima in alcuni Stati europei fra i quali l’Italia, hanno disciplinato le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche protette come segni distintivi e strumenti della comunicazione volti preva-

lentemente a differenziare e valorizzare i prodotti in un mercato che si estendeva e si faceva più competitivo, in ragione, più che della mera «provenienza» da un luogo, della sua «origine»: termine il cui significato si è venuto precisando, nella lettera delle disposizioni e nel pensiero degli interpreti⁹, come indicativo delle caratteristiche conferite ai prodotti agroalimentari da una terra, da un clima, da alcune pratiche tradizionali.

Questi segni distintivi hanno a lungo rappresentato la principale, se non esclusiva, possibilità di emersione legittima del luogo di produzione come elemento caratterizzante il prodotto agricolo e alimentare in una Comunità europea «costituzionalmente» sospettosa verso tutte le forme di caratterizzazione qualitativa con riferimento al luogo di produzione delle merci siccome idonee, nella loro natura intimamente protezionista, a minare la costruzione del mercato unico. Tale atteggiamento, espresso in modo emblematico dalla nota vicenda dei marchi regionali e dei marchi collettivi territoriali, appare (non da oggi) in via di parziale superamento in virtù:

• dell’affermazione di una tendenza normati-

mercati e consumi 19 MAR-APR 2023
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

va di apertura alla considerazione del luogo di provenienza delle materie prime10 con riferimento a talune produzioni (carne, olio d’oliva, latte, pesce);

sulla scorta del maggiore rilievo attribuito alla informazione del consumatore intesa anche come strumento di partecipazione politica – significativa appare a questo proposito, al netto delle ambivalenze che continuano a caratterizzare questo tema11, la regolazione del tema dell’«origine» nel reg.1169/2011/UE relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (in part. Artt. 2.2 lett. g) e 26)12 –; • ad esito di un confronto «costruttivo» fra Commissione e Stati con riferimento ai marchi collettivi «di qualità di origine» a norma dell’art. 32 (par. 1 lettera b) del reg.1698/2005/CE sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)13 relativo ai sistemi di qualità alimentare riconosciuti dagli Stati membri14 (vedi infra).

La più recente diffusione del qualificativo «locale» per i prodotti agroalimentari si presenta con caratteri specifici rispetto alle esperienze indicate sia perché esso appare espressione, al pari del più generico e ampio concetto di «prossimità» geografica15, piuttosto che di una qualità derivante da un luogo, di una relazione spaziale fra soggetti economici –produttore e consumatore –, sia in ragione della densità di significato che il luogo e gli aggettivi derivati appaiono idonei ad evocare, al punto che si può oggi riconoscere all’attributo «locale» per i prodotti agricoli alimentari il ruolo di catalizzatore di istanze disparate che chiamano in causa, accanto alle esigenze di tutela dei redditi e dei territori, ragioni di rilevanza generale e direi globale, come la tutela dell’ambiente e la sovranità alimentare, ed anche la capacità di tradurre nuove consapevolezze sul ruolo delle comunità e dei legami sociali: questioni che richiedono ai soggetti economici – produttori e consumatori – una assunzione di responsabilità verso

i beni comuni. In questo senso il riferimento al «locale» non si limiterebbe ad un qualificativo idoneo a differenziare un prodotto sul mercato nella società dell’iperconsumo ma rappresenterebbe uno degli elementi per la costruzione di un «altro modo di consumare» oltre che di produrre. Nel contesto indicato il qualificativo locale per gli alimenti si carica quindi di un valore simbolico al di là del riferimento alla provenienza fisica, e concorre con altri qualificativi a segnalare al consumatore di alimenti circuiti alternativi di produzione e vendita. Quanto al primo profilo, ciò che è locale, e nello specifico l’alimento, viene inevitabilmente considerato in relazione a ciò che appare il suo opposto nella visione sociologica applicata alla produzione e al consumo di alimenti, ovvero il «globale» con il corredo di immagini che esso si porta dietro:

• l’indifferenziato e l’uniforme

mente, e anche una maggiore possibilità di gestione dei rischi sanitari derivanti dagli alimenti rispetto alla grande industria alla quale sono associate, soprattutto in alcuni settori come quello zootecnico, le più recenti pandemie alimentari16

Alla dimensione locale vengono anche collegati modi di produzione sostenibili per l’ambiente e connotati eticamente

• la strumentalità alle esigenze della grande industria da cui proviene

• l’etero-imposizione dei gusti

• la comunicazione attraverso i grandi media con il ricorso agli strumenti della persuasione.

Il locale offre un immaginario diverso e che si autoqualifica, appunto, come all’opposto di ciò che è globale:

• caratteristico;

• prodotto dalla piccola impresa agricola o meglio da un soggetto-persona individuabile;

• scelto da un consumatore consapevole delle esigenze proprie – di sicurezza e affidabilità –, di quelle della comunità prossima e dell’intera umanità, sulla base di un dialogo diretto con il produttore e/o di una condivisione di esperienze nella comunità reale.

Alla dimensione locale vengono anche collegati – nella percezione dei consumatori e nella comunicazione – modi di produzione sostenibili per l’ambiente e connotati etica-

Quanto al secondo profilo si deve osservare che, insieme alla diffusione dell’interesse per il cibo locale – una diffusione che, come già detto, non si ferma alla realtà nazionale come dimostrato dalla presenza del movimento buy local in molti Paesi, europei ed extraeuropei – si assiste all’affermazione di altri qualificativi, espressioni di esigenze non dissimili e accomunati dalla critica al modello alimentare e di sviluppo prevalente, fra i quali il «chilometro zero»17 e la «filiera corta», e di forme alternative di produzione e consumo come l’agricoltura sostenuta dalla comunità locale (CSA)18, anche urbana19, e i Gruppi di acquisto solidale (GAS) (vedi infra). Schemi e sistemi che si relazionano a loro volta e tutti insieme con i più strutturati segni della qualità come l’agricoltura biologica e/o integrata e che devono coesistere con qualificativi ingombranti come quelli che richiamano la «tradizione»20. Per taluni di questi fenomeni si è manifestato l’interesse del legislatore ai vari livelli ordinamentali pur mancando, a tutt’oggi, uno sforzo complessivo di sistematizzazione al fine di evitare sovrapposizioni e di scongiurare il pericolo di un disorientamento del consumatore21

È utile ricordare, che Locale è attributo in primo luogo dagli enti cui la Costituzione attribuisce la competenza su una parte importante delle questioni che riguardano la produzione e il consumo di alimenti, e locali sono le comunità che, al di là dei recinti amministrativi, coltivano «l’anima del luogo» e preservano le culture locali, e che dovrebbero essere le vere protagoniste della democrazia partecipativa che si esprime anche in ambito agroalimentare: enti locali e comunità possono essere considerati gli attori più significativi

mercati e consumi 20 MAR-APR 2023
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della nuova governance locale. Locali sono le varietà vegetali tutelate nell’ottica prevalente della tutela della agrobiodiversità e della promozione della sovranità alimentare e anche con riferimento alla tutela dei redditi degli agricoltori nelle zone non vocate alle coltivazioni intensive al livello europeo e regionale: in una visione di «deep localism» dovrebbero rappresentare una componente essenziale e qualificante del cibo locale.

DEFINIZIONE GIURIDICA DEL CIBO LOCALE E IL PUBLIC PROCUREMENT

Il cibo locale non gode di uno statuto giuridico. Ad impedirlo è l’assenza di una definizione in corrispondenza con i pur rari riferimenti normativi diretti ed espliciti, ma anche la associazione e la concorrenza con altri qualificativi del prodotto che in taluni casi condividono, in altri suggeriscono, oppure presuppongono, lo stesso insieme di immagini e principi che, come si è detto, sostanziano oggi il ricorso al qualificativo locale per i prodotti alimentari22. Il risultato è un’impossibilità di messa a fuoco che potrebbe danneggiare gli interessi da tutelare, legati a un rafforzamento della relazione fra produzione e consumo in ambito locale.

Locali sono le varietà vegetali tutelate nell’ottica prevalente della tutela della agrobiodiversità e della promozione della sovranità alimentare e anche con riferimento alla tutela dei redditi degli agricoltori nelle zone non vocate alle coltivazioni intensive al livello europeo e regionale

A sottolineare un’esigenza di chiarimento è stato, in modo inequivoco, il Comitato delle Regioni (2011/C 104/01) che – nel promuovere i «sistemi agroalimentari locali» dei quali ha sottolineato i benefici economici, sociali e ambientali – ha chiesto alla Commissione l’elaborazione di una definizione comune di «prodotto agroalimentare locale» suggerendo una serie di elementi distintivi, difficilmente traducibili in una definizione legale ma rappresentativi del contenuto che oggi si riconosce a questo termine, fra i quali:

• la produzione al livello locale/regionale;

• una relazione con la strategia di sviluppo rurale locale/regionale;

• la vendita al consumatore «attraverso una «filiera più corta possibile» oltre che ragionevole ed efficiente, che non comporti nessun altro passaggio;

• la vendita nel «negozio al dettaglio o in un mercato all’aperto locale sulla base di un contratto locale», ma non a una centrale d’acquisto delle imprese di distribuzione al minuto se accompagnato da una etichetta di prodotto locale;

• la presentazione ai consumatori «con uno o più argomenti di vendita specifici (specific

selling points), quali il gusto, la freschezza, l’alta qualità, motivazioni culturali, tradizione locale, specialità locale, garanzia del benessere animale, valore ambientale, aspetti relativi alla salute o a condizioni di produzione sostenibile»; la vendita «quanto più vicino possibile, nei limiti della ragionevolezza e dell’efficienza», con la precisazione che le variabili della distanza possono essere diverse in base al prodotto, alla regione e alle circostanze; il collegamento a un sistema agroalimentare locale che a sua volta si caratterizzerebbe per «una combinazione di quattro fattori: una filiera breve; una distanza fisica limitata tra il luogo di produzione e il luogo di consumo; un processo di lavorazione che tenga conto anche di elementi quali il trasporto, la distribuzione, il trattamento dei rifiuti, le energie rinnovabili, il marketing, la promozione e il controllo della qualità”; un processo di lavorazione che venga gestito a livello locale e regionale. Che una definizione sia necessaria allo svolgimento della funzione propria della regola giuridica, emerge con tutta evidenza con riferimento alla disciplina del public procurement dei prodotti alimentari che riguarda il vasto e articolato settore della ristorazione collettiva22 che coinvolge diversi soggetti pubblici. L’assenza di definizioni legali e la presenza, in modo non costante ovvero con attribuzioni di significato non uniformi, di riferimenti ai prodotti «locali», a quelli da «filiera corta», o ancora «a chilometro zero» o «tradizionali», nelle leggi regionali e in alcuni episodici interventi del legislatore nazionale, rappresenta un evidente ostacolo alla possibilità per le

Amministrazioni pubbliche di procedere alla selezione dei fornitori di cibo locale.

CIBO LOCALE ED EDUCAZIONE ALIMENTARE

A fronte di una considerazione assai limitata del cibo locale nella normativa generale relativa ai contratti pubblici di approvvigionamento di alimenti, emerge una diversa e più importante attenzione nell’ambito dell’azione articolata condotta dall’amministrazione centrale e da quelle locali nell’ambito della comunicazione e della educazione alimentare: ad esempio nel programma «Cultura che nutre», finalizzato a diffondere nelle scuole l’educazione alimentare e i principi di una alimentazione sana, corretta e consapevole, l’introduzione di criteri di selezione a favore dei fornitori locali è legata alla trasmissione di conoscenze relative alla provenienza degli alimenti, ai significati culturali del cibo, alle tradizioni locali.

IL CIBO «REGIONALE»

La dimensione regionale appare sotto più profili, e comprensibilmente in ragione dell’assetto istituzionale degli interessi del territorio, quella nella quale ha trovato maggiore spazio una considerazione – nella forma più nota del «chilometro zero»23 ma anche in altre forme che fanno riferimento alla prossimità, alla stagionalità, all’impatto ambientale, e ad altro ancora24 – delle produzioni locali, con differenze linguistiche e di disciplina, però, non indifferenti sul piano della legittimità. Da questo punto di vista si deve difatti ricordare il costante pericolo che i provvedimenti di favore per determinate produzioni caratterizzate esclusivamente per la provenienza da un luogo25, e non per le caratteristiche qualitative, siano considerati in contrasto con le regole del libero mercato.

I casi della Regione Veneto – che ha dovuto

mercati e consumi 21 MAR-APR 2023

emendare la proposta intitolata «Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale» sostituendo il riferimento ai prodotti regionali con quello ai prodotti «a chilometro zero», a sua volta corrispondente a prodotti caratterizzati dalla stagionalità, tradizionali e sostenibili dal punto di vista del ridotto apporto di gas serra26 è emblematico – come del resto quello della Regione Puglia e quello di molte altre Regioni – dell’atteggiamento della Commissione europea nei confronti di questi interventi normativi.

A questo confronto con le istituzioni europee si è aggiunto quello con le autorità nazionali – forse «più realiste del re»27 – come dimostra la decisione del Consiglio dei Ministri di impugnare la legge della Regione Basilicata n. 12 del 13 luglio 2012, recante «Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero», «in quanto varie disposizioni, volte a favorire la commercializzazione dei prodotti regionali, sono suscettibili, per un verso, di ostacolare gli scambi intracomunitari, ponendosi in contrasto con le disposizioni del TFUE, e, per altro verso, di falsare la concorrenza, risultando discriminatorie nel privilegiare alcuni prodotti solo in base alla loro provenienza territoriale. Ne consegue la violazione dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, che impone il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario».

Stessa sorte è stata riservata alla legge della regione Puglia, già ricordata, n. 43 del dicembre 2012 recante «Norme per il sostegno dei Gruppi di acquisto solidale (GAS) e per la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità» che è stata oggetto di ricorso alla Corte costituzionale per la supposta contrarietà degli artt. 6 comma 1, lettera c e 4 comma 5 agli artt.117 primo comma e 120 primo comma Cost.

L’esito dell’accoglimento da parte della Corte costituzionale di ambedue le richieste di pronuncia di illegittimità28 ha aperto un’evidente spaccatura e introduce nuovi motivi per rimandare interventi di tutela delle filiere locali che pure apparivano maturi alla luce degli orientamenti della PAC e non solo.

GLI AMBITI NORMATIVI

FRA DEROGHE E PROMOZIONE:

DALLA SICUREZZA IGIENICO-

SANITARIA ALLE VARIETÀ LOCALI

Atteso che le questioni giuridiche fondamentali, ovvero di base, che la questione del cibo locale pone sono, oltre all’individuazione dell’ambito di applicazione (ovvero, come già detto, la definizione della nozione di cibo locale), la tutela dei consumatori con riferimen-

to sia alla sicurezza (safety) sia all’informazione e la tutela dei produttori dai comportamenti sleali dei concorrenti, e in considerazione della pluralità di istanze che convergono nella regolazione della produzione e del consumo di cibo locale, a me pare che si possano identificare alcuni contesti tematici specifici nei quali gli interessi legati al cibo locale possono trovare tutela. Si tratta di contesti «fluidi», tra i quali è facile scorgere ripetizioni e che certamente possono rendere l’applicazione della norma, nei casi specifici, problematica segnalando un ambito bisognevole di un intervento organico del legislatore.

L’individuazione di regole specifiche e alternative rispetto a quelle previste nella disciplina generale passa attraverso la qualificazione dei prodotti agroalimentari locali

1) Il primo degli ambiti nei quali appaiono le produzioni locali, sia pur attraverso il riferimento a situazioni solo parzialmente corrispondenti alla nozione di prodotto agroalimentare locale individuata dal Comitato delle Regioni (2011/C 104/01), e al solo fine di individuare una regola di sottrazione alla disciplina generale, è quello della sicurezza igienico sanitaria. Nel definire il suo ambito di applicazione (art. 1), il reg. 852/2004/CE sull’igiene dei prodotti alimentari, com’è noto, esclude la «fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari, da parte dell’operatore del settore alimentare che li produce, al consumatore finale o a dettaglianti locali», indicandone la ragione nella «stretta relazione fra il produttore e il consumatore» (cons. 10)

individuando nella legge nazionale la fonte privilegiata della disciplina. La stessa scelta si rinviene nel reg. 853/2004/CE (cons. 11 e art. 1 commi 3-6) sui prodotti di origine animale ed anche nel reg.183/2005 sull’igiene dei mangimi (cons. 9 e art. 2, commi 2-3). Senonchè il riferimento esclusivamente ai prodotti primari – come da definizione ex art. 2 c.1, lett. b) del reg.852/2004/CE: «i prodotti della produzione primaria29 compresi i prodotti della terra, dell’allevamento, della caccia e della pesca» – esclude che possano essere oggetto della medesima regola di esclusione i prodotti alimentari che siano frutto di elaborazione. L’individuazione di regole specifiche e alternative rispetto a quelle previste nella disciplina generale passa allora attraverso la qualificazione dei prodotti agroalimentari locali come quelli che, essendo caratterizzati dall’utilizzazione di metodi tradizionali, possono essere oggetto di deroghe ai sensi dell’art. 13 commi 3-7 e dell’art. 7 del reg. della Commissione 2074/2005/CE30. La creazione della categoria dei prodotti agroalimentari tradizionali al livello nazionale, con l’art. 8 del d.lgs. 173 del 1998 («Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449) e l’introduzione di un registro costantemente aggiornato (la quattordicesima revisione è del giugno del 2014)

mercati e consumi 22 MAR-APR 2023

traduce a sua volta solo in parte, com’è noto, l’istanza di una diversa disciplina dell’igiene e corrisponde piuttosto ad una finalità di valorizzazione del patrimonio gastronomico, ovvero allo scopo di «promuovere e diffondere le produzioni agroalimentari italiane tipiche e di qualità e per accrescere le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare nazionale».

Una regola più confacente alle produzioni locali sembrerebbe essere piuttosto quella individuata dalla legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Legge comunitaria 1999)31secondo la quale, ex art. 10, commi 7 e 8, possono essere commercializzati «i prodotti alimentari che richiedono metodi di lavorazione e locali, particolari e tradizionali, nonché recipienti di lavorazione e tecniche di conservazione essenziali per le caratteristiche organolettiche del prodotto, non conformi alle prescrizioni «delle regole d’igiene dei prodotti alimentari come dettate al livello europeo se si tratta di «vendita diretta dal produttore e da consorzio fra produttori ovvero da organismi e associazioni di promozione degli alimenti tipici al consumatore finale, nell’ambito della provincia della zona tipica di produzione».

2) L’ambito «naturale» per una considerazione del prodotto alimentare locale è certamente quello del mercato. L’istanza di difesa dei redditi degli agricoltori che si incontra con la crescente richiesta di alimenti legati al territorio è alla base degli interventi normativi in materia di vendita diretta e di farmer’s market, nonché di Gruppi di acquisto solidale (GAS).

La vendita diretta rappresenta il classico sbocco per i prodotti agricoli ed è stata nel tempo oggetto di regolazione specifica nell’ottica del tradizionale favor riservato dall’ordinamento all’imprenditore agricolo32. Le principali indicazioni normative consistono oggi da un lato nell’esclusione delle attività di vendita di prodotti agricoli da parte di produttori agricoli, singoli e associati – sempre che siano svolte nei «limiti» di cui all’art. 2135 cc. – dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 114 del 1998 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Dall’altro lato, l’art. 4 del d.lgs. n. 228 del 200133 e le successive modificazioni introdotte dal d.lgs n. 99 del 200434 e dalla l. n. 81 del 200635, abrogando implicitamente la l. n. 59 del 196336, ha disciplinato l’esercizio dell’attività di vendita degli

L’istanza di difesa dei redditi degli agricoltori si incontra con la crescente richiesta di alimenti legati al territorio ed è alla base degli interventi normativi in materia di vendita diretta e di farmer’s market, nonché di Gruppi di acquisto solidale (GAS)

imprenditori agricoli, a cui sono equiparati enti e associazioni, svolta in forma itinerante e non, su superfici all’aperto nell’ambito dell’impresa agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità, o ancora su aree pubbliche o aperte al pubblico. A questa disciplina sono soggette anche le materie prime trasformate, quindi buona parte degli alimenti. Si dispone anche in merito alle caratteristiche della produzione che può essere venduta con queste regole in quanto proveniente dall’azienda dell’imprenditore agricolo, essendo ammesse anche, in certa misura (non prevalente), vendite di prodotti di altre aziende che tuttavia l’articolo non specifica come ubicate nel territorio37 La cifra dell’intervento è – come al solito – quella della semplificazione, come dimostrano, fra l’altro, la sostituzione dell’autorizzazione del sindaco con la comunicazione di inizio attività, le esclusioni in merito alle condanne e le mancate indicazioni per quanto riguarda la professionalità, ed è stata estesa, in modo che è stato giudicato inappropriato38, anche ad alcuni requisiti soggettivi che opportunamente avrebbero potuto individuare un imprenditore responsabile e professionalmente adeguato come quello che la vendita di prodotti agricoli e alimentari richiederebbe.

L’idea che accomuna forme diverse di commercializzazione dei prodotti «locali» è quella

della diminuzione del numero dei passaggi all’interno della filiera con l’intento primario di aumentare la quota di valore percepita dai produttori: le forme e le espressioni della filiera corta (o circuito breve)39 sono molteplici anche in ragione, come ha rilevato il (citato) studio dell’INEA, della convergenza nell’elemento spaziale sia dei profili del risparmio energetico e della protezione dell’ambiente, sia dell’aspetto della ricostituzione della relazione di fiducia con il consumatore attraverso il riavvicinamento al produttore in senso fisico (nel mercato) sia, in relazione alla filiera, della minore distanza fra prodotto finito e materia prima in ragione di un minore numero di «passaggi», con conseguenze anche sulla sicurezza del prodotto. La tendenza allo sviluppo di forme di filiera corta in corrispondenza con la realtà dei mercati locali non esclude che ad essa corrispondano forme di vendita in rete (che le distanze tende ad annullare così come gli intermediari) e su catalogo40 e, più in generale, il fatto che il riferimento alla brevità del circuito si arricchisca spesso di elementi qualificativi relativi ad alcuni profili nell’ambito della qualità ed anche a concetti, come quello di KM 0, che intendono mettere al centro dell’attenzione l’aspetto della distanza, in Km appunto, fra la produzione e il consumo41 I GAS (Gruppi di acquisto solidale)42, la cui diffusione in Italia è iniziata nella prima metà degli anni ’90, sono stati presi in considerazione dalla l. n. 244 del 2007 (Finanziaria 2008)43 che, nel definirli – come soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun

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ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e con esclusione di attività di somministrazione e di vendita – dispone la sottrazione al regime di imposta delle attività commerciali. Il collegamento con la produzione locale è stabilita in alcune leggi regionali come quella della Regione Puglia44 che condiziona il sostegno dei Gruppi di acquisto, fra l’altro, alla vendita di prodotti agroalimentari a filiera corta45, prodotti agroalimentari a chilometro zero46 o di «prodotti di qualità»47

Con riferimento ai Farmer’s market48, tradotti come «mercati degli imprenditori agricoli a vendita diretta», la considerazione normativa da parte della legge finanziaria del 200749 contenente la delega al Ministero delle politiche agricole all’emanazione di un decreto non regolamentare che stabilisse «i requisiti uniformi e gli standard per la realizzazione di detti mercati, anche in riferimento alla partecipazione degli imprenditori agricoli, alle modalità di vendita e alla trasparenza dei prezzi, nonché le condizioni per poter beneficiare degli interventi previsti dalla legislazione in materia» ha dato luogo all’intervento del d.m. 20 novembre 2007. A norma di tale provvedimento possono esercitare la vendita diretta nei mercati istituiti o autorizzati dal Comune gli imprenditori agricoli come individuati dallo stesso decreto che rispettino alcune condizioni fra le quali riveste particolare rilevanza quella secondo la quale oggetto della vendita diretta sono i prodotti agricoli provenienti dalla propria azienda o dall’azienda dei soci imprenditori agricoli, anche ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione, ovvero anche di prodotti agricoli ottenuti nell’ambito territoriale amministrativo della regione o negli ambiti definiti dalle singole amministrazioni competenti, nel rispetto del limite della prevalenza di cui all’art. 2135 del codice civile. Il provvedimento, come segnalato, integra le previsioni di favore per gli imprenditori agricoli contenute nelle leggi del 2001 e del 2004 nell’ambito di un’ottica territoriale e trasforma questi mercati in luoghi nei quali la relazione fra produttori e consumatori

attraverso il prodotto agricolo alimentare riesce a tradurre nel contempo le istanze di valorizzazione del territorio, di tutela dei produttori e del loro reddito e dei consumatori nella loro preferenza per prodotti locali, e infine anche dell’ambiente per il ridotto dispendio di energia50

Una valorizzazione che tanto più potrebbe diventare concreta se i Comuni cogliessero l’opportunità offerta dal Decreto con la previsione, nell’art. 4 comma 3, di un disciplinare di mercato51 che, regolando le attività di vendita, può incidere sulla caratterizzazione e quindi valorizzazione dei prodotti in termini di modalità di produzione, provenienza, regole di igiene, etc.

L’ambito della qualità è un contesto «classico» nella misura in cui da tempo la territorialità è diventata una delle dimensioni della qualità (DOP, IGP, STG, TRAD)

3) L’ambito della qualità è nel contempo un contesto «classico» nella misura in cui da tempo la territorialità è diventata una delle dimensioni della qualità (DOP, IGP, STG, TRAD), e un ambito fertile per l’individuazione di nuovi strumenti come ha dimostrato il dibattito intorno al Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli (COM (2008) 641 def.). Nella elaborazione della disciplina della qualità la natura locale del prodotto è stata presa in considerazione in primo luogo per valutare come i regimi più noti di caratterizzazione degli alimenti in relazione al luogo di produzione abbiano fatto emergere l’incapacità di stimolare la partecipazione dei produttori molto piccoli: in particolare la Relazione alla proposta di regolamento della Commissione relativa ai regimi di qualità dei prodotti agricoli (COM (2010)733 def.) ha evidenziato come, malgrado il fatto che siano per lo più i piccoli produttori ad essere associati alla produzione artigianale, a metodi tradizionali e alla commercializzazione in ambito locale, i regimi dell’Unione europea siano gravosi da applicare, richiedano controlli costosi e vincolino al rispetto di un disciplinare assai rigido. Ad esito della lunga discussione che ha preceduto l’emanazione del c.d. pacchetto qualità – reg.1151/2012/ UE – è stato inserito, nel Titolo VI, un Capo I in-

titolato «Agricoltura locale e vendita diretta» che, nell’unico art. 55, prevede che: «Entro il 4 gennaio 2014 la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’opportunità di istituire un nuovo regime di etichettatura relativo all’agricoltura locale e alla vendita diretta al fine di assistere i produttori nella commercializzazione dei loro prodotti a livello locale. Tale relazione si concentra sulla capacità degli agricoltori di conferire valore aggiunto ai loro prodotti grazie alla nuova etichetta e dovrebbe tenere conto di altri criteri, tra cui le possibilità di ridurre le emissioni di carbonio e i rifiuti grazie a catene di produzione e distribuzione brevi. La relazione è corredata, se necessario, di proposte legislative appropriate intese ad istituire un regime di etichettatura per l’agricoltura locale e la vendita diretta». Su quest’ultimo profilo si è soffermata la Relazione (COM (2013) 866 final)52 che, richiamando l’esigenza di una definizione di «prodotto agroalimentare locale» (vedi ante), da un lato prende atto della sostanziale impossibilità di definire al livello europeo il concetto di «zona locale», e ne attribuisce al consumatore la valutazione, dall’altro inserisce a pieno titolo i sistemi di produzione locale fra gli oggetti delle politiche europee, come uno dei modi di produzione e consumo di alimenti da supportare grazie un’insieme coerente di interventi fra i quali l’«adattamento» delle norme UE in materia di appalti pubblici, di igiene, di accesso ai mercati, di etichettatura53. Quanto ai loghi e alle etichette, l’osservazione secondo la quale il rapporto diretto fra produttore e consumatore, e comunque la riconoscibilità in ambito locale, li rende per lo più superflui viene confrontata da una parte con l’esigenza del consumatore di informazioni minime – come data di scadenza, peso, prezzo – dall’altra con i costi dell’etichettatura54, con la conclusione che un regime specifico di etichettatura – che potrebbe agevolare i produttori nella partecipazione ai bandi per la ristorazione collettiva – dovrebbe essere facoltativo, evitare procedure di certificazione e accreditamento, fornire chiari criteri di ammissibilità ed essere collegato a canali di vendita alternativi55

4) L’intervento del reg. 1169/2011/UE che ha riscritto la disciplina generale delle informazioni al consumatore offre qualche spunto in materia di cibo locale, ancora una volta per il tramite di norme di esenzione: con riferimento dall’obbligo di Etichettatura nutrizionale, a cui sfuggono «gli alimenti, anche confezionati

mercati e consumi

in maniera artigianale, forniti direttamente dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consumatore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono direttamente al consumatore finale» (Allegato 5, n. 19), e con riferimento alle regole generali sull’etichettatura alle quali sono sottratte le realtà squisitamente locali e prive di una caratterizzazione imprenditoriale fra cui quelle individuate dal considerando 15 (manipolazione e consegna di alimenti, servizio di pasti e vendita di alimenti da parte di privati, per esempio in occasione di vendite di beneficienza, fiere o riunioni locali). Più in generale, tuttavia, si può ritenere che lo spazio riservato alla normativa nazionale in materia di indicazioni volontarie e di prodotti non preimballati, associato ai limiti relativi all’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti «solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza», lasci spazio ad indicazioni relative alla distanza dal luogo di produzione ed anche a strumenti più complessi e particolarmente adatti ad un consumo consapevole, come ad esempio l’«etichetta narrante» adottata da alcuni presidi Slow food56

5) In un più stretto legame con la tutela dei redditi degli agricoltori si colloca anche la considerazione del cibo «locale» nella normativa sul turismo e l’agriturismo. I «prodotti tipici locali» sono considerati nella disciplina dell’attività di trasformazione e vendita svolta dall’imprenditore agrituristico (art. 10 legge n. 96 del 2006) e si affiancano nella stessa legge ai «prodotti agroalimentari regionali» (l’art. 4 comma 4 è però stato giudicato non legittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 339 del 2007) e alle «produzioni agricole regionali o di zone omogenee contigue di regioni limitrofe» che possono essere somministrati in determinate percentuali agli ospiti dell’azienda agrituristica57

Nelle leggi regionali che hanno dato attuazione all’intervento del legislatore nazionale del 2006, la finalità della valorizzazione dei «prodotti tipici locali», delle tradizioni enogastronomiche locali etc. si accompagna quasi sempre alla indicazione dei requisiti in presenza dei quali si può definire il prodotto come proprio indicando i criteri della provenienza della materia prima e/o della lavorazione in aziende della zona, e ad una regolazione dell’attività di somministrazione di pasti e be -

vande che indica le quote di prodotti aziendali e prodotti regionali e/o della zona, o di quelli agroalimentari tradizionali. In alcune leggi, come nella legge della regione Toscana – n. 30 del 2003 come modificata dalla l. n. 80 del 2009 e relativo regolamento di attuazione n. 46/R del 2004 come modificato nel 2010 – compare anche l’indicazione del rispetto della filiera corta come caratteristica che qualifica i prodotti da somministrare agli ospiti e in molte leggi si affiancano alla qualificazione «locale» le caratteristiche della provenienza dall’agricoltura biologica e la caratterizzazione in ragione di marchi di qualità DOP, IGP, a conferma della natura ellittica del concetto di prodotto locale.

6) Una questione particolare che conferma la pluralità dei contesti nei quali può trovare collocazione una riflessione sull’intervento normativo e sulle implicazioni giuridiche in materia di cibo «locale» è quella della tutela della agrobiodiversità e della promozione delle varietà locali la cui sopravvivenza si deve alle culture delle comunità locali: un’istanza che, come è noto, ha trovato espressione anche al livello europeo e soprattutto internazionale e che le Regioni italiane hanno accolto e sviluppato58

Una considerazione del cibo locale in questo contesto normativo59 condurrebbe ad una forma di deep localism che però non ha, ancora una volta, a che fare con l’idea della relazione spaziale fra produttore e consumatore ma piuttosto è una componente del «diverso modo di consumare» o, se si vuole, di una visione olistica del cibo locale.

CONCLUSIONI

La breve trattazione del tema del cibo locale ha evidenziato, accanto alle potenzialità del qualificativo associato all’alimentazione, insite nella capacità di tradurre il bisogno diffuso di socialità e di autenticità in domanda strutturata di beni materiali e immateriali60 e di rappresentare un «modo diverso di consumare», la tendenza dei legislatori ad agire, oltre che con normative di esenzione e con lo strumento della deroga, anche con interventi promozionali e tuttavia la difficoltà degli interpreti nel collocare la dimensione locale nello spazio giuridico europeo.

Occorre quindi augurarsi che si affermi una deriva virtuosa che, valorizzando le relazioni con le culture e i saperi tradizionali e le ricadute positive in termini di preservazione dell’ambiente naturale e degli ecosistemi agrari, favorisca la condizione economica delle piccole imprese sospinte ai margini dei principali circuiti commerciali ma occorre altresì evitare l’altra deriva del restringimento «spaziale», che conduce verso la liberalizzazione estrema del commercio di alimenti senza regole di protezione dei consumatori e con seri pericoli per la salute, fino ai «cottage food»61 oggetto di una diffusione imponente negli USA, anche al traino della crisi economica, e che potrebbero approdare sui nostri mercati.

L’approvazione, nel luglio del 2014, della legge della Regione Emilia Romagna «Norme per la promozione e il sostegno dell’economia solidale»62, sembra andare nella direzione di una ricerca di coerenza nella proposta e nel sostegno di un modello alternativo di produzione e consumo nel quale i prodotti locali trovano uno spazio «giusto» tenendo adeguato conto dell’impatto su quelli che sono stati individuati come i «cinque capitali»: umano, finanziario, fisico, sociale e naturale63

In ultimo, la LEGGE 1° aprile 2022, n. 3064 “Norme per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale” ha chiarito bene la valorizzazione, la promozione e la vendita da parte degli imprenditori agricoli e ittici, di limitati quantitativi di prodotti alimentari primari e trasformati, di origine animale o vegetale, ottenuti a partire da produzioni aziendali, riconoscibili da una specifica indicazione in etichetta «PPL – piccole produzioni locali» , nel rispetto dei seguenti princìpi:

a) principio della salubrità: la sicurezza igienico-sanitaria dell’alimento prodotto, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia igienico-sanitaria e di controlli da parte delle aziende sanitarie locali;

b) principio della localizzazione: la possibilità di commercializzare, in ambito locale, i prodotti che derivano esclusivamente dalla propria produzione primaria;

c) principio della limitatezza: la possibilità di produrre e commercializzare esclusivamente ridotte quantità di alimenti in termini assoluti;

d) principio della specificità: la possibilità di produrre e commercializzare esclusivamente le tipologie di prodotti individuate dal decreto di cui al comma 1 dell’articolo 11. 

Bibliografia

mercati e consumi 25 MAR-APR 2023
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In un più stretto legame con la tutela dei redditi degli agricoltori si colloca anche la considerazione del cibo «locale» nella normativa sul turismo e l’agriturismo

TREND carni&salumi

La commissione Europea propone di allungare le date di scadenza degli alimenti per evitare inutili sprechi. Fiera di Parma e Fiera Milano siglano una partnership per gestire insieme le due fiere principali del panorama italiano e internazionale, Cibus e Tuttofood. La sostenibilità delle carni e dei salumi italiani sono un esempio e un modello da seguire per l’Europa, lo comunica ASSICA.

Il comparto alimentare è vivace e affronta le sfide del terzo millennio post pandemia con proposte innovative e determinate a superare le difficoltà per giungere alla transizione sostenibile del traguardo 2030 con le carte in regola.

Prosciutto di San Daniele DOP

Il Prosciutto di San Daniele DOP si conferma uno dei prodotti enogastronomici italiani di eccellenza più acquistati e consumati in Italia e all’estero.

Nel 2022 appena concluso la produzione del Prosciutto di San Daniele DOP ha contato 2.670.000 prosciutti prodotti (+1,5% sul 2021). Le cosce di suino avviate alla lavorazione e provenienti dai 3.579 allevamenti situati nel Centro-nord Italia sono state conferite dai 41 macelli ai 31 stabilimenti produttivi aderenti al Consorzio, localizzati esclusivamente nel comune di San Daniele del Friuli.

Stabile la quota export che rappresenta il 17% della produzione totale di Prosciutto di San Daniele, mentre il restante 83% ha raggiunto il mercato nazionale.

Delle quote indirizzate al mercato estero, il 57% è stato destinato al mercato europeo, mentre il 43% ha raggiunto altri Paesi terzi.

Altrettanto positivi sono gli indici relativi alla produzione di vaschette di pre-affettato. Con più di 21,7 milioni di confezioni certificate, corrispondenti a 405.000 prosciutti e a oltre 1,90 milioni di chilogrammi, la vendita di pre-affettato in vaschetta si è riconfermata un trend di vendita molto performante per il Prosciutto di San Daniele DOP, in linea con i nuovi stili di vita della clientela e le nuove modalità di consumo.

AIA, rinnovo dell’accordo integrativo

Il Gruppo Veronesi ha sottoscritto con il coordinamento avicolo rappresentato dalle segreterie sindacali Veneto FLAI-CGIL FAI-CSIL e UILA-UIL il rinnovo del contratto integrativo di secondo livello per il triennio 2023-2025, destinato a circa 5.500 persone che lavorano ogni giorno nei siti del comparto avicolo AIA. Tre le aree principali di intervento: premio di risultato dal valore di 6.750 euro per il prossimo triennio, percorsi strutturati di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato e valorizzazione delle Pari Opportunità. L’accordo mette al centro l’impegno delle persone e affronta in particolare 3 aree: la definizione del Premio di Risultato grazie a forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori, lo studio di percorsi strutturati e condivisi di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato, la valorizzazione delle Pari Opportunità. Il Gruppo Veronesi è il primo gruppo italiano con filiera completa e integrata che parte dalla produzione dei mangimi sino alla trasformazione e distribuzione delle carni e dei salumi della tradizione gastronomica italiana. AIA è dal 1968 il marchio del Gruppo dedicato alla commercializzazione di carni e prodotti a base di carne, di uova e ovoprodotti.

TREND CARNI & SALUMI 26 MAR-APR 2023

Vitellone Bianco

dell’Appennino

Centrale IGP, numeri in crescita

I 3.218 allevamenti iscritti ai controlli segnano una leggera crescita che conferma la sostanziale stabilità degli ultimi dieci anni. Rispetto alla distribuzione regionale degli allevamenti, in vetta troviamo l’Umbria, con 600 allevamenti, seguita da Lazio (544), Toscana (503), Marche (494), Campania (385), Abruzzo (364), Emilia Romagna (257) e Molise (71). L’andamento delle adesioni dei punti vendita ai controlli subisce una lieve flessione rispetto al 2021, ma si mantiene a livelli importanti con 997 macellerie aderenti. Una certificazione in salute, dunque, che cresce e dimostra di avere ancora grandi prospettive di sviluppo. È questo il giudizio che emerge da una prima analisi dei numeri del

2022 della filiera del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, la prima IGP europea della carne fresca che quest’anno compie 25 anni. Uno dei dati più significativi è quello legato al numero di capi certificati che, con 18.311 bovini, è il più alto degli ultimi sei anni e segna un sensibile balzo in avanti rispetto ai 17.980 del 2021. In crescita anche il numero degli allevamenti, che passano da 3.204 a 3.218, a cui si uniscono 997 macellerie, 77 mattatoi e 123 laboratori di sezionamento che compongono la filiera.

Il prodotto trasformato va sempre più forte e questo trend positivo del prodotto si traduce, dal punto di vista dei canali di vendita, in un consolidamento della quota destinata ai prodotti trasformati. È questa, infatti, la tendenza più performante che conferma, in linea con il 2021, un costante aumento delle aziende di prodotti trasformati che prevedono, tra gli ingredienti, carne certificata di Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP (hamburger, ragù, bresaola, tartare, pasta ripiena) e che, pertanto, necessitano dell’autorizzazione del Consorzio di Tutela per l’utilizzo della denominazione protetta e del marchio.

dei salumi raccontato dagli esperti

Nasce Trust Your Taste, l’Academy per salumieri che ne certifica le competenze. Un’iniziativa formativa a cura di ASSICA nell’ambito del progetto europeo dedicato ai salumi e volta a diffondere la conoscenza delle buone pratiche di produzione e consumo.

Temi principali del percorso online ideato da ASSICA sono la sostenibilità, gli aspetti nutrizionali e la sicurezza. L’academy si rivolge a salumieri, banconisti e macellai ma diventa uno strumento utile anche per i consumatori, per aiutarli a fare scelte consapevoli di acquisto e di alimentazione.

ASSICA, l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria, ha ideato un articolato percorso di formazione online, con docenti d’eccezione e nove tematiche di approfondimento. I professionisti che la frequenteranno, dopo un test di valutazione, otterranno un attestato come professionista

“Trust Your Taste Certified”.

Le nove tematiche sono introdotte da Luca Cesari, Giornalista Gastronomico e appro-

Culatello di Zibello DOP, uno su 4 va all’estero

Il comparto del Culatello di Zibello DOP, che riunisce 23 produttori, si conferma in ottima salute: secondo i dati diffusi dal Consorzio di Tutela nel 2022 i Culatelli di Zibello avviati alla produzione tutelata che certifica la DOP sono stati 102.591, con un incremento del 5,87% rispetto al precedente anno. Ammonta a 25,2 milioni di euro, il fatturato al consumo.

fondite di volta in volta da rappresentanti di ASSICA ed esperti del settore: Davide Calderone, Direttore ASSICA, Gianluigi Ligasacchi, Direttore Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT), Massimo Malnerich, agente vigilatore ISIT, Fabrizio Nonis, macellaio gastronomo, volto e produttore tv, Livia Galletti, biologa nutrizionista e Monica Malavasi, Direttore Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI).

Tra i docenti, Fabrizio Nonis, macellaio gastronomo, volto e produttore tv, grande estimatore ma soprattutto divulgatore della carne si occuperà di dare consigli pratici su come allestire il banco e proporre i vari tagli, con l’obiettivo di ridurre il più possibile lo spreco, sapendo proporre e valorizzare tutte le parti dell’animale per le loro caratteristiche peculiari.

Nove le lezioni in programma: la storia dei salumi, i salumi oggi, i marchi di qualità DOP e IGP, i controlli e la normativa relativi, i tagli di carne, i prodotti da banco, i consigli antispreco, la carne suina nella dieta, la sostenibilità.

I dati diffusi dal Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello DOP certificano che, nel 2022, i Culatelli destinati all’affettamento sono stati 40.171, pari al 41,5% della produzione annuale. Soltanto dieci anni fa, nel 2013, questa percentuale era ferma al 5,6%. Al consumo, nel 2022, il segmento del pre-affettato incide per un valore di 10,8 milioni di euro. Lo scorso anno, le vaschette di Culatello di Zibello DOP immesse sul mercato sono state 1,27 milioni.

Il canale di commercializzazione principale del Culatello di Zibello DOP si conferma quello del normal trade, con una quota pari al 60% del comparto. La grande distribuzione organizzata rappresenta il restante 40%. La quota export si attesta su un 25% del totale del mercato. I Paesi dell’area UE (in primis Francia e Germania), insieme con la Svizzera, rappresentano l’88% dell’export del Culatello di Zibello DOP. Seguono Nord America, con Canada e Stati Uniti, il Giappone, l’Oriente e il Regno Unito.

TREND CARNI & SALUMI 27 MAR-APR 2023
Il mondo

Coppa di Parma IGP, numeri stabili

I numeri del 2022 si confermano stabili per la Coppa di Parma IGP con un fatturato al consumo che registra quota 70 milioni di euro, mantenendo i livelli positivi raggiunti nel 2021, per un comparto che conta 550 occupati, tra addetti diretti e lavoratori legati all’indotto, e 21 aziende associate al Consorzio di Tutela.

Nel 2022 i numeri rimangono pressoché invariati anche per i volumi di produzione: secondo i dati ECEPA - Ente di Certificazione Prodotti AgroAlimentari, nel 2022 i Kg di carne suina lavorata sono stati 4,21 milioni. La produzione etichettata registra una lieve crescita (+1%) a volume passando da 1,85 milioni di Kg nel 2021 a 1,87 milioni di Kg nel 2022. Il pre-affettato registra un incremento del 2,7%, con 452.000 Kg di carne suina impiegati, in linea con lo scorso anno. In crescita nel canale GDO, la Coppa di Parma IGP pre-affettata passa nel 2022 a circa il 33% di incidenza sul totale delle vendite (30% nel 2021). La grande distribuzione si conferma il canale di commercializzazione principale, mantenendo una quota pari al 70% del turnover del comparto. Guardando invece al segmento ho.re.ca. la situazione rimane invariata rispetto al 2021. Rispetto all’export, l’incidenza delle esportazioni della Coppa di Parma IGP mantiene quota 8% sul turnover del comparto. Se i Paesi UE continuano a rappresentare la principale area di destinazione, con una quota del 52,9% e Germania, Francia e Benelux in testa come principali partner commerciali europei, è il Canada a crescere di importanza con una quota export che sale al 41,3% (38,6% nel 2021), mantenendo così il suo primato di singolo maggior importatore di Coppa di Parma IGP in assoluto.

Citterio, bacon e colazione salata

Secondo una ricerca condotta da Citterio, storica azienda di salumi dal 1878, circa il 7% dei consumatori (fonte: CFI 06/2021 ricerca su 1000 individui) dei prodotti dell’azienda con sede a Rho (MI), utilizza e consuma i salumi la mattina a colazione.

Per questo motivo Citterio, in collaborazione con la home economist Chiara Pallotti, ha realizzato tre ricette semplici e gustose con un ingrediente imprescindibile della colazione salata: il Bacon, prodotto utilizzato nella colazione degli americani, ma ormai sdoganato anche in Italia grazie alla sua particolare croccantezza e al suo gusto deciso.

Utilizzando il Bacon Citterio, prodotto 100% italiano, affumicato naturalmente con legno di faggio, Citterio ha realizzato un avocado toast, ricetta giramondo, di origini australiane e statunitensi, che ha spopolato negli ultimi anni in quanto l’avocado è apprezzato per il suo sapore ricco e cremoso

che in questa ricetta si unisce perfettamente alla croccantezza del bacon. La seconda proposta prevede invece un gustoso eggbacon muffin che contempla l’utilizzo di uova, pane morbido e formaggio cheddar abbinati al bacon croccante, mentre la terza ricetta vede dei classici pancakes salati realizzati con bacon, uova, robiola e zucchine affettate, il giusto mix di nutrienti da gustare anche in un brunch domenicale.

La colazione salata è sicuramente una valida alternativa a una colazione dolce perché se all’interno dello stesso pasto sono presenti carboidrati, grassi e proteine si dilatano inevitabilmente i tempi di digestione. Il Bacon Citterio si presta a un utilizzo consapevole in quanto realizzato in un formato da 80 grammi per 8 fette inserite in due scomparti apribili separatamente che permette a famiglie, anche mono e bicomponenti, di evitare sprechi.

28 MAR-APR 2023
TREND CARNI & SALUMI

Aumento di produzione per lo Speck Alto Adige

Continua a crescere lo Speck Alto Adige IGP, che nel 2022registra un lieve eppure significativo aumento della produzione, soprattutto rispetto agli anni precedenti e, in particolare, alla situazione post pandemia. Ma non è questo il vero fulcro della crescita del salume più famoso dell’Alto Adige. Ad aumentare considerevolmente, infatti, sono altri dati interessanti: la quota IGP, per esempio, che ha registrato l’incremento più alto di sempre, di ben 3 punti percentuali; la qualità, grazie ai numerosi e rigidi controlli, che hanno reso – e continuano a rendere –lo Speck Alto Adige IGP sinonimo di bontà e allo stesso tempo sicurezza; e, infine, la notorietà del marchio, ormai conosciutissimo in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. È l’Italia a riconfermarsi consumatrice numero uno di Speck Alto Adige IGP, con un dato di vendita del 68,8% e una preponderanza in Alto Adige e nel settentrione in generale. Tuttavia, da qualche anno, la richiesta sta aumentando costantemente anche nelle regioni centrali e meridionali. Il dato di esportazione è significativo, dimostrando che ancora una volta lo Speck Alto Adige IGP è uno dei salumi più amati fuori dall’Italia. È il 31,2% di tutta la produzione a essere soggetto a export, in particolare in Germania(24,7%), principale acquirente, e poi negli Stati Uniti (2,7%), in Francia (1,7%), in Austria (0,6%) e in Svizzera (0,7%). Crescono le attività di export anche in mercati

Accordo di collaborazione

Gruppo VéGé e METRO Italia rinnovano l’accordo di collaborazione. Il nuovo accordo si focalizzerà su settori ampiamente strategici come il beverage e i prodotti disposable che, a partire dal periodo pandemico, hanno conosciuto un inarrestabile trend di crescita, mostrandosi determinanti per rispondere alla domanda dei consumatori con una strategia di vendita all’insegna dell’omnicanalità, e con la fine della pandemia sono tornati ad essere fondamentali per il comparto Ho.Re.Ca. VéGé, infatti, si occuperà di condurre la negoziazione per conto di METRO Italia con un centinaio di fornitori di prodotti, al fine di ottenere le migliori condizioni di fornitura possibili.

finora debolmente esplorati, come la Polonia, la Svezia e il Canada.

La GDO si conferma il canale di vendita preferenziale (67%), seguita da discount (21,5%), punti vendita al dettaglio (1,7%) e grossisti (3,2%). Menzione d’onore alla ri-

storazione che, con un 5,4%, dimostra una ripresa significativa dopo due anni difficili. Conferma anche per la modalità prediletta degli italiani nell’acquisto e consumo: la confezione preaffettata da 100g resta anche nel 2022 la più venduta.

Carrefour Italia, Top Employer 2023

Negli ultimi anni, per far fronte alle nuove sfide della grande distribuzione organizzata, Carrefour Italia ha rinnovato la propria strategia di people management che le ha permesso di confermarsi come realtà di eccellenza per le politiche HR e per un ambiente di lavoro positivo e inclusivo, rinforzando la propria attrattività sul mercato del lavoro.

In risposta alle esigenze di flessibilità dei collaboratori, l’azienda rivolge una particolare attenzione allo smart working, fruibile - grazie ad un recente accordo sindacale e individuale - da casa o altro luogo chiuso, fino a 4 giorni a settimana.

Altro pilastro molto importante della strategia Carrefour è la formazione, svolta in modo continuativo e rivolta a tutti i 13 mila collaboratori diretti dell’azienda in Italia, ma anche agli imprenditori e collaboratori dei punti vendita in franchising su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo è permettere una crescita continua delle competenze, sviluppando anche i “transferable talents” che permettono di valutare nuove opportunità e favorire le carriere trasversali. Nel corso dell’ultimo anno è stata lanciata anche la Digital Retail Academy, un percorso formativo che coinvolge tutti i collaboratori di Carrefour a livello di Gruppo e che ha come fine l’evoluzione delle competenze per raggiungere l’obiettivo di essere una Digital Retail Company, facendo crescere l’e-commerce, diventando un’azienda 100% cloud, basando i processi operativi e decisionali sui dati e sviluppando nuovi modelli di business grazie al digitale. L’obiettivo è formare sul digitale tutti i collaboratori del Gruppo Carrefour entro il 2026.

TREND CARNI & SALUMI 30 MAR-APR 2023

CULTURE MICROBICHE “MADE IN ITALY”

CULTURE MICROBICHE “MADE IN ITALY”

PER LA VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ

PER LA VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ

Bioagro offre una vasta gamma di starter per le produzioni dei salumi

Bioagro offre una vasta gamma di starter per le produzioni dei salumi

UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE

UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE

IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE

IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE

E DI SICUREZZA SANITARIA

E DI SICUREZZA SANITARIA

2 5 ANNI DI I N NOVAZION I E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTAR I
NI DI I N NOVAZION I CN LIMENTAR I

CARNE sì o carne no?

All’annuncio di ogni nuova fonte proteica o alimento alternativo alla carne si alimenta il dibattito e le polemiche che la vogliono messa all’angolo o prossima a essere sostituita. Ma le alternative non sfondano, anzi spesso fanno flop o rimangono nel novero di un prodotto di nicchia. E nonostante tutto i consumatori preferiscono la carne

Sebbene si amplino le possibilità d’uso di prodotti alternativi alla carne, che si parli di prodotti a base vegetale che richiamano nel nome la carne o delle nuove categorie di alimenti annoverati come novel food (come alcuni insetti già autorizzati o la carne coltivata), di proteine da funghi o microalghe, la carne continuerà ad essere il primo alimento proteico di facile assimilazione. Anzi, a detta della FAO (in un rapporto già redatto nel 2011 [1]), nel 2050 - quando si stima che gli abitanti del pianeta saranno 10 miliardi - per sfamare la massa della popolazione umana il suo consumo aumenterà del 73% a livello mondiale, in funzione di una maggiore richiesta dei Paesi in via di sviluppo (ad eccezione di quelli in cui prevalgono motivazioni religiose). Secondo i tecnici dell’Organizzazione, infatti, la carne aiuta la salute: piccole quantità di alimenti d’origine animale possono quindi migliorare lo stato nutrizionale delle famiglie a basso reddito. Carne, latte e uova forniscono proteine con una vasta gamma di amminoacidi e di micronutrienti come il ferro, lo zinco, la

Sono già diversi anni ormai che quando si parla di carne, l’aspetto nutrizionale è messo in secondo piano mentre l’argomento principale di discussione è prevalentemente focalizzato sull’impatto ambientale degli allevamenti

vitamina A, la vitamina B12 e il calcio, di cui le persone malnutrite sono carenti. Nonostante ciò, diversi istituti e ricercatori si sono spinti a fare previsioni diverse. Gli scienziati svedesi dello Stockholm International Water Institute, hanno fatto nel 2012 una previsione shock: “Nel 2050 saremo tutti vegetariani”, non tanto per una scelta etica ma per la necessità di preservare il consumo delle risorse usate nella produzione di alimenti di origine animale. Questa sentenza potrebbe essere valida per lo più nei Paesi ricchi e occidentali. Si riferisce a un mercato che si evolve e cambia in funzione dei consumi e delle scelte della popolazione, anche se per quella data difficilmente la previsione degli studiosi svedesi si potrà avverare.

Non sono state da meno le previsioni entusiastiche dei fondatori di Beyond Meat (start

up fondata da Ethan Brown nel 2009) e di Impossible Foods (fondata nel 2011 da Pat Brown – stesso cognome ma nessuna parentela), nell’affermare che i prodotti cosiddetti plant-based meat, cioè quelli a formulazione vegetale che richiamano analoghi prodotti di carne (come hamburger, meat ball e polpette, nugget, cotolette panate e affettati di matrice vegetale, che in questi anni hanno beneficiato di una crescita importante), avrebbero raggiunto un livello di vendita a due cifre entro il 2025 e soppiantato completamente le vendite di carne entro il 2035. Non ci stupisce affatto però, che per la messa a punto di questi prodotti e per il lancio di queste start up, specie in America, si siano finora richiesti investimenti miliardari sostenuti da personaggi come Bill Gates e la sua Fondazione o da eco investitori come Leonardo Di Caprio, cui si sono affiancate istituzioni private e lobby vegane, che avevano tutto l’interesse a dimostrare, a scapito dell’industria della carne, quanto i loro prodotti fossero più salutari e incidessero meno sul clima. Sono già diversi anni ormai che quando si parla di carne, l’aspetto nutrizionale è messo in secondo piano mentre l’argomento principale di discussione è prevalentemente focalizzato sull’impatto ambientale degli allevamenti. Questo corrisponde al vero, è inutile negarlo, tuttavia la narrazione che vuole imputare all’agricoltura e agli allevamenti le maggiori responsabilità per le emissioni di gas climalteranti, piuttosto che l’industria e i trasporti messi insieme, ha spinto per orientare l’opinione pubblica verso prodotti alternativi alla carne da allevamento come fonti proteiche parimenti equivalenti (anche se ciò non corrisponde completamente al vero).

Questo presupposto che si fonda altresì su una crescente attenzione verso la salute, la sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale, è spinto agli estremi (almeno nei Paesi occidentali) da quelle organizzazioni che si richiamano ai principi del veganesimo, verso una dieta strettamente senza carni, spingen-

la parola all’esperto 32 MAR-APR 2023

do soprattutto quelli che si dichiarano onnivori verso scelte alimentari più flessibili.

LE PRINCIPALI ALTERNATIVE ALLA CARNE E I LORO LIMITI A) PRODOTTI “PLANT-BASED MEAT”

Una parte importante di queste proposte alternative è rappresentata dall’impiego di proteine vegetali che hanno dato luogo a prodotti di finta carne.

Tale fenomeno, conosciuto come meat sounding, è rappresentato bene dal successo di start up come Beyond Meat e Impossible Foods, che hanno incrementato percentuali di vendita e volumi. Queste proposte però sono frutto, sovente, di produzioni molto industriali e di ricette ultra-processate con una lunga lista di ingredienti. Hanno una base di fibra di pisello o soia variamente additivati e – basandosi sui principi del veganesimo – si vogliono rivolgere a una platea di consumatori più ampia di coloro che vogliono rinunciare parzialmente o totalmente alla carne riducendone i consumi, mantenendone gli aspetti di praticità nella preparazione culinaria.

Tuttavia, già oggi in America, stiamo assistendo a quello che potrebbe essere il più grande fallimento nella storia dell’industria alimentare. L’idea della Silicon Valley secondo cui puoi “aumentare le vendite e i profitti seguiranno” si è scontrata con la realtà del settore alimentare. I produttori di sostituti della carne a base vegetale hanno commesso ogni errore di strategia senza tenere conto delle possibilità di fallimento. Le vendite in America sono in calo (e l’America fa sempre tendenza molto prima di noi); la maggior parte dei produttori di sostituti della carne sta perdendo soldi e i prodotti non sono riusciti a soddisfare le aspettative di gusto dei consumatori, tanto

che anche le principali catene di fast food li hanno ritirati dai loro menù.

Inoltre, non hanno potuto nemmeno dimostrare di essere “più sostenibili”. Tutta una miriade di eco investitori, filantropi, consulenti e media partner (giornali finanziati dai porta-

I consumatori vedono i sostituti della carne come novità costose e preferiscono carne di manzo e maiale

tori di interesse come l’inglese The Guardian) che per anni hanno sostenuto le istanze di un’alimentazione esclusivamente basata sul consumo dei vegetali, ha spinto l’idea che i sostituti con una lista di almeno 20 ingredienti ultra-processati ci avrebbero fatto abbandonare tutti la carne e che le aziende di finta carne vegetale avrebbero potuto valere miliardi (di dollari). Ma la realtà si è rivelata l’opposto di ciò che gli investitori miliardari pensavano sarebbe successo: di poter

“chiudere” l’allevamento del bestiame, continuando a guadagnare. Ora, stanno andando incontro a uno shock rispetto alla realtà. I consumatori vedono i sostituti della carne come novità costose e preferiscono carne di manzo e maiale. Beyond Meat, il produttore di sostituti vegetali con sede in California che ha raccolto un miliardo di dollari per finanziare la sua ambizione di convincere i consumatori ad abbandonare la carne, ha riportato un calo delle vendite al dettaglio nel mercato chiave degli Stati Uniti con crollo del suo margine lordo e perdite aumentate del 240% [2].

E questa non è solo la storia del fallimento di un marchio: la tanto pubblicizzata categoria alternativa alla carne e a prodotti lattiero-caseari a base vegetale negli Stati Uniti ha iniziato a diminuire nel 2021, ritrovandosi come attività di nicchia.

Anche Impossible Foods prevede di licenziare circa il 20% dei lavoratori (fonte Blomberg. com) [3].

La scienza stessa mette in discussione il fatto che i prodotti a base vegetale siano perfettamente sostituibili per l’aspetto nutrizionale con quelli di carne vera. Alcuni studi mettono in rilievo che l’assorbimento a livello intestinale di alcuni nutrienti contenuti nella carne non è uguale a quello presente nei prodotti a base vegetale. Gli alti livelli di fitati contenuti nei vegetali (che sono antinutrienti) inibiscono l’assorbimento dei minerali nel corpo umano, rendendo impossibile l’assorbimento dell’elevato contenuto di ferro dei prodotti. Ciò significa che i minerali passano attraverso il tratto gastrointestinale senza essere assorbiti [4]. Un altro studio ha messo in evidenza come in questi prodotti la percentuale di carboidrati è superiore a quella delle proteine (ad eccezione dei sostituti del pollo). I sostituti della carne hanno un contenuto di grassi totali e saturi simile a quello delle controparti di origine animale; mentre

la parola all’esperto

per garantire una certa sapidità tutti i sostituti presentano elevate concentrazioni di sodio [5].

B) PRODOTTI DERIVATI DA CELLULE ANIMALI COLTIVATE

Rientrano nel campo dei prodotti elaborati anche le carni cosiddette coltivate, ottenute da cellule staminali adulte fatte crescere in bioreattori, dalla quale poi si ricavano hamburger e altri preparati di carne. Numerose start up sono sorte in tutto il mondo dopo che è stato presentato nel 2013 il primo hamburger derivato da cellule animali coltivate prodotto dal professor Mark Post nei laboratori dell’Università di Maastricht [6]. Tuttavia il problema legato a questo tipo di produzione è che, sebbene la coltivazione derivi da vere cellule di tessuto animale, la tecnica di coltivazione è ancora ben lontana dall’essere efficiente e vantaggiosa da un punto di vista ambientale ed economico. Le tecnologie per il funzionamento dei reattori hanno un’elevata richiesta energetica, per questo non possono essere definite più sostenibili e alternative rispetto agli allevamenti tradizionali. Anche i fattori di crescita, per quanto carne da laboratorio, devono essere forniti in abbondanza: occorre somministrare carboidrati e lipidi per garantire alle cellule l’energia di cui hanno bisogno per moltiplicarsi, oltre ad amminoacidi per permettere alle cellule di sintetizzare proteine e altre macromolecole. Inoltre la coltura va protetta con antimicrobici dall’azione di funghi, batteri e altre forme che la possono inquinare. Sebbene il costo di produzione non è più quello di migliaia di dollari al chilo del primo hamburger coltivato in vitro, non si è ancora in grado di realizzare hamburger artificiali a basso costo. Nonostante questo, e la necessità di avere come sponsor investitori miliardari (che vorranno rientrare dei loro investimenti), la coltivazione in vitro ha trovato sostenitori anche nelle istituzioni, convinti che la produzione di carne coltivata potrà sostituire completamente quella di allevamento. Si tratta di una visione distorta finta ambientalista di chi vorrebbe un’agricoltura non più legata agli allevamenti. Tuttavia si dimentica che senza allevamenti si dovrà ricorrere in agricoltura ad un uso maggiore

Sebbene la coltivazione derivi da vere cellule di tessuto animale, la tecnica di coltivazione è ancora ben lontana dall’essere efficiente e vantaggiosa da un punto di vista ambientale ed economico

di fertilizzanti chimici, che molti dei pascoli abbandonati non potranno essere convertiti ad altre produzioni agricole e che proprio dove l’agricoltura non è possibile praticarla gli allevamenti sono l’unica fonte di reddito di talune popolazioni.

Oltretutto, se si pensa che per fare un hamburger biologicamente identico a un hamburger di vera carne occorrono fino a 20.000 fibre muscolari tagliate e pressate, di quanti bioreattori si avrà necessità? E soprattutto, sebbene la carne prodotta sia tecnicamente di origine animale e non richieda la crescita o la macellazione di animali vivi, che tipo di informazione si aspettano di trovare i consumatori sulle etichette dei prodotti alimentari ottenuti con le carni coltivate?

In America stanno già discutendo di come regolamentare i prodotti a base di carne, pollo o pesce coltivati. Le due agenzie governative, USDA e FDA, si muovono insieme per regolamentare i prodotti a base di colture cellulari. Tuttavia in assenza di linee guida pare che i produttori dovranno conformarsi sia alle normative della FDA che a quelle

Senza allevamenti si dovrà ricorrere in agricoltura ad un uso maggiore di fertilizzanti chimici

dell’USDA, che prevedono ispezioni e controlli da parte di entrambe le agenzie in varie fasi del processo di coltura. Cruciale sarà la questione sull’uso ammissibile (o inammissibile) dei nomi e dei descrittori tradizionali di carne e pollame per prodotti che, in realtà, sono composti da cellule animali coltivate.

Al momento, in mancanza di uno standard normativo federale, molti Stati hanno implementato leggi che regolano l’etichettatura o la denominazione delle carni coltivate, impedendo in generale che vengano presentate come carne o prodotto a base di carne; addirittura taluni Stati rimettono in discussione che i prodotti “plant-based” possano avere nomi che richiamano un prodotto tipico di carne, da qui la necessità che USDA e FDA adottino un’unica serie di regolamenti federali sull’etichettatura.

In Europa il problema ancora non si pone ma le carni coltivate per essere approvate dovranno sottostare all’autorizzazione come Novel Foods1 [7].

C) PROTEINE DA FUNGHI (MICOPROTEINE)

Un’altra alternativa per sostituire i prodotti carnei è costituita dai funghi, o meglio dalla

loro componente proteica contenuta nel citoplasma che è detta micoproteina.

Non si parla dei funghi commestibili presenti attualmente sul mercato di cui consumiamo la parte aerea, ma del micelio di funghi appositamente selezionati e con una buona fonte di proteine (e tutti gli amminoacidi presenti nella carne, compresa la lisina che nei vegetali non c’è), oltre a fibre, vitamine, minerali e zero grassi, che vengono presentati come la nuova frontiera alternativa alla carne [8]. Secondo gli investitori che credono in questo nuovo business, il micelio presenta il vantaggio di essere meno processato rispetto ai surrogati vegetali, cresce in poco tempo e una volta raggiunta una massa densa, tridimensionale, morbida e fibrosa simile alla carne, può assumere le sembianze di manzo, pollo, maiale e anche di pesce. L’allevamento del micelio può avvenire in speciali sylos, sia sviluppandolo in condizioni som-

1 Come “Novel Foods” la UE ha inteso identificare quei cibi e quegli ingredienti ottenuti da nuove matrici o con nuove modalità e tecnologie e che non risultano essere stati consumati in modo rilevante prima del 15 maggio 1997 ovvero antecedentemente all’entrata in vigore del primo regolamento sui nuovi alimenti.

I Novel Foods includono varie categorie di alimenti e ingredienti derivanti da piante, animali, insetti, microrganismi, colture cellulari, che apportano nuovi elementi nutrizionali.

Se un nuovo alimento è aggiunto all’elenco dell’Unione, automaticamente è autorizzato e può essere immesso sul mercato dell’Unione Europea, garantendo al produttore che ha richiesto la sua autorizzazione, un monopolio di 5 anni, salvo nel caso in cui un richiedente successivo ottenga un’autorizzazione per tale nuovo alimento senza riferimento ai dati scientifici protetti a norma dell’articolo 3 o con il consenso del produttore autorizzato.

la parola all’esperto 34 MAR-APR 2023

Sebbene la carne prodotta sia tecnicamente di origine animale e non richieda la crescita o la macellazione di animali vivi, che tipo di informazione si aspettano di trovare i consumatori sulle etichette?

merse in un substrato liquido, sia in modalità aerea su speciali terreni con tutti gli elementi di crescita. Ovviamente non si tratta di consumare il micelio tal quale ma di processarlo una volta raggiunta una massa densa, per aggregarlo e utilizzarlo come ingrediente in formulazioni complesse e variamente additivate per renderle simili alla carne vera. Ci credono alcuni investitori e start up in tutto il mondo, pronte a vendere questi novel foods, in attesa di un chiarimento normativo e del via libera delle autorità alimentari, secondo cui non esistono problemi di sicurezza. Tuttavia secondo molti ricercatori le preoccupazioni sono fondate, soprattutto perché il mondo fungino è uno di quelli con maggiori rischi di mutazione, con pericolo di tossicità acuta e cronica.

Ad oggi l’unico prodotto in Europa che utilizza micoproteine è il Quorn, un marchio registrato nel Regno Unito dal 1985. Le micoproteine si ottengono dal microfungo del ceppo Fusarium venenatum, le cui ife sono simili in lunghezza e larghezza alle fibre muscolari animali. Grazie alla loro consistenza vengono impiegate per la realizzazione di piatti vegetariani e vegani che assomigliano alla carne, poveri di grassi e ricchi di proteine. Tuttavia sebbene presente in molti mercati europei e americani, e da qualche anno anche in Italia, il prodotto vende a livello di nicchia.

Le micoproteine hanno trovato un posto nel mercato, ma le questioni relative all’esperienza del consumatore sugli aspetti sensoriali e salutistici sono ancora in fase di studio [9].

D) INSETTI COME PRODOTTI O INGREDIENTI ALIMENTARI

L’ultima frontiera in termini di fonti proteiche alternative alla carne è costituita dagli insetti. Sono già diversi anni che si parla di insetti commestibili e utilizzabili nell’industria alimentare come ingredienti, in attesa di autorizzazione europea come novel food.

Il primo autorizzato nel 2021 è stato la larva della farina gialla (Tenebrio molitor) ammessa come nuovo alimento e ingrediente [10] (ulteriormente autorizzata nel 2022 in altra forma d’impiego su domanda documentata di un altro richiedente [11]), seguito dalla Locusta migratoria [12]. Quest’anno si è dato il via libera alla polvere sgrassata di Grillo domestico (Acheta domesticus) [13] e alle larve di Alphitobius diaperinus (verme della farina minore) [14], mentre molte altre richieste stanno per essere presentate o sono in attesa di essere valutate da EFSA e autorizzate dalla Commissione UE.

Rispetto alle alternative analizzate finora, sembrerebbe una buona notizia quella di ampliare le fonti alimentari con un nuovo

alimento che ha dalla sua una forte componente proteica e con vitamine e minerali molto simili a quella della carne, considerando l’urgenza di ripensare i sistemi agroalimentari per il minor impatto ambientale della produzione (sempre a discapito di quelli zootecnici). Tra gli argomenti a favore si porta il fatto che gli insetti sono parte integrante dell’alimentazione di molte popolazioni (secondo la FAO sono almeno 1.900 le specie commestibili consumate nel mondo).

È evidente che la produzione di insetti e loro derivati autorizzati dovrà essere conforme a quanto stabilito dai Regolamenti UE, soprattutto in termini di sicurezza e di rispondenza ai requisiti di etichettatura del Reg. (UE) n. 1169/2011 e nutrizionale e sulla salute del Reg. (CE) n. 1924/2006, essere esenti da pericoli chimici e/o microbiologici.

I regolamenti esecutivi che autorizzano la commercializzazione dei nuovi alimenti impongono una specifica etichettatura per ciascuno, in funzione della specie e del tipo di impiego, oltre a riportare una nota che tali ingredienti possono provocare reazioni allergiche nei consumatori con allergie note ai crostacei e agli acari della polvere, per via della chitina (presente anche nei crostacei)

Perché il mondo fungino è uno di quelli con maggiori rischi di mutazione, con pericolo di tossicità acuta e cronica I regolamenti esecutivi che autorizzano la commercializzazione dei nuovi alimenti impongono una specifica etichettatura per ciascuno, in funzione della specie e del tipo di impiego

la parola all’esperto 35 MAR-APR 2023

Questi nuovi prodotti avranno un costo piuttosto elevato e saranno da considerare anch’essi come alimenti di nicchia (prima che di massa), perciò riservati a consumatori già consapevoli e piuttosto abbienti

che ne costituisce l’esoscheletro (si rimanda ai regolamenti citati per ulteriori dettagli).

Con tutte le autorizzazioni per specie si porrà il problema dei controlli per assicurare la veridicità e la corrispondenza delle diciture legali. Non solo, come ci si dovrà comportare se in un controllo routinario di un normale alimento, effettuando un filth test si trovassero riscontri di frammenti di insetti commestibili delle specie autorizzate?

In ogni caso, lasciato il problema dei controlli ai tecnici, considerando che tutte le società che hanno investito e investiranno in questo business vorranno rientrare dei loro costi per preparazione dossier e brevetti, questi nuovi prodotti avranno un costo piuttosto elevato e saranno da considerare anch’essi come alimenti di nicchia (prima che di massa), perciò riservati a consumatori già consapevoli e piuttosto abbienti.

Tuttavia, almeno per il consumatore italiano, rimarrà il naturale rifiuto verso un prodotto che non viene considerato un alimento e che è lontano dalla nostra cultura alimentare (che vanta una tradizione secolare in particolare nei salumi) e dalla realtà culinaria nazionale.

LA CARNE IN ITALIA SCELTA

DALLA MAGGIOR PARTE

DEGLI ITALIANI

La profezia che vuole la carne e i prodotti a base di carne sostituiti nel giro di qualche lustro è destinata a non avverarsi in un lasso di tempo così breve e forse mai. E questo per una serie di semplici ragioni che vanno al di là della qualità nutrizionali delle singole matrici proteiche alternative alla carne, non legate all’impatto climatico degli allevamenti.

La principale è che la percentuale di vegani e vegetariani nel mondo (dati 2019) è pari al 8,1%: i primi sono il 3,4%, i secondi il 4,7% (in Italia - sul totale della popolazione - i vegani strettamente osservanti sono il 2,2% mentre i vegetariani sono pari al 3%), numeri che non incrementano e sono ancora poco significativi anche solo per orientare i consumi dei prodotti alternativi a base vegetale in una dieta flessibile a scapito dei prodotti della carne. Il secondo motivo è che sebbene i sostituiti di finta carne a base vegetale abbiano avuto un incremento nelle vendite

nel corso del decennio passato, ora pare che la tendenza – a partire dall’America – sia di una forte contrazione dei volumi, relegando i prodotti plant-based meat a volumi di nicchia, al pari delle altre alternative dalle cellule animali coltivate, alle micoproteine e alle proteine derivate dagli insetti edibili. Queste ulteriori alternative, essendo proposte in Europa come novel foods, scontano anche il fatto – nonostante una raccolta fondi impressionante che soggiace a notevoli interessi – che la loro introduzione su larga scala e sul mercato sarà graduale, considerando che hanno un costo ancora elevato. La questione di fondo però è che nonostante le campagne volte a contrastare gli allevamenti, i consumatori iniziano a rendersi conto loro stessi che le alternative non sono più salutari e meno dispendiose di energia della carne stessa; presentano un lungo elenco di ingredienti e il tenore di sale è spesso elevato, non soddisfano le esigenze nutrizionali di una dieta sana e nemmeno il gusto. All’inizio hamburger e salsicce di finta carne parevano una potenziale soluzione al fatto che le carni rosse e trasformate (che sono state collegate al cancro e ad altre malattie croniche), potessero essere sostituite da analoghi vegetali. Tuttavia nel corso degli anni è cresciuto lo scetticismo verso la loro salubrità, dato che i prodotti di finta carne a base vegetale sono stati messi in evidenza per quello che sono: cibi altamente trasformati e processati, relativamente economici, che per loro natura non sono affatto più salutari [15]. In effetti più che la carne in sé, alcune delle malattie croniche strettamente legate al sovrappeso dipendono più da una dieta disordinata, indotta da un eccessivo consumo di carboidrati.

In Italia le carni e i prodotti da loro derivati rimangono un alimento importante. I consumatori non sono affatto convinti che debbano essere esclusi da una dieta sana, nonostante le reiterate campagne di comunicazione che, in nome di una maggiore sostenibilità ambientale o di una maggiore efficacia nella tutela della salute, promuovono la riduzione drastica del suo consumo. La

quasi totalità degli italiani (il 96,5%) dichiara di mangiare carne, poco meno della metà regolarmente e gli altri di tanto in tanto; sono soprattutto i giovani a consumarla con regolarità (62,8%), più di anziani e adulti, come osserva il rapporto del Censis “Per il buon uso del Recovery Fund nel rilancio delle filiere della carne” [16]. L’82,5% della popolazione afferma di essere informata che un consumo moderato settimanale di carne bianca, rossa e dei salumi, è una componente fondamentale di una sana alimentazione che è parte integrante della Dieta Mediterranea. Per quanto riguarda le alternative alla carne, gli Italiani che ritengono che la finta carne fatta con i vegetali non può essere considerata carne sono il 79,9%; i prodotti a base di insetti non convincono l’83,9%, che non è disposto a mangiarli; l’85,6% dichiara di non volere cibi fatti in laboratorio ma carne vera da agricoltura e allevamenti tradizionali.

I consumatori iniziano a rendersi conto loro stessi che le alternative non sono più salutari e meno dispendiose di energia della carne stessa; presentano un lungo elenco di ingredienti e il tenore di sale è spesso elevato, non soddisfano le esigenze nutrizionali di una dieta sana e nemmeno il gusto

CONCLUSIONI

La produzione e il consumo di carne sono argomenti frequenti di dibattito sociale, e per una buona ragione. In quanto fonte fondamentale di nutrimento e svolgendo un ruolo importante nei sistemi ecologici ed economici, la produzione di carne deve evolversi continuamente con le migliori tecnologie disponibili al fine di massimizzare i suoi benefici e ridurre al minimo gli impatti indesiderati. Ecco quindi che la risposta alla domanda iniziale, carne sì o carne no, non può che essere carne sì.

L’accettazione di matrici alternative alla carne è potenzialmente limitata dal profondo

la parola all’esperto 36 MAR-APR 2023

desiderio di naturalezza che dimostrano avere i consumatori. E per evidenziare il ruolo della carne nella dieta e nella salute, occorre indirizzare la comunicazione su diversi livelli, perché è possibile trovare soluzioni per nutrire l’umanità in modo sostenibile, riducendo le emissioni e soddisfacendo le aspettative sociali dei consumatori stessi.

Per chiarire le prove scientifiche oggettive sul ruolo sociale della carne, lo scorso ottobre 2022 si è svolto a Dublino un convegno internazionale, che ha presentato una revisione scientifica degli ultimi sviluppi e ricerche sull’allevamento del bestiame e sul consumo di carne. Numerosi scienziati hanno discusso vari argomenti, come l’insieme delle prove sul ruolo della carne nell’evoluzione umana, le diete ottimali in tutte le fasi della vita, la biodiversità e la salute del suolo, l’impatto ambientale e le emissioni di gas serra, la crescita economica e i mezzi di sussistenza e le diverse culture. È stato sottoscritto un manifesto, la Dichiarazione di Dublino [17], firmato da oltre 700 scienziati di fama internazionale di tutto il mondo (e aperto per la firma di altri accademici), che sostiene l’importanza dell’allevamento del bestiame e

BIBLIOGRAFIA

dei suoi derivati (carne, latticini, uova). Secondo il gruppo di scienziati:

La carne ha un ruolo importante sia per l’alimentazione umana, che per l’ambiente, l’economia e il sostentamento.

Gli alimenti di origine animale forniscono nutrienti essenziali e sono una parte vitale di una dieta ben bilanciata.

Gli animali possono essere allevati su terreni inadatti alla produzione agricola. Sono insostituibili per realizzare un’agricoltura circolare, in quanto convertono la biomassa non commestibile in un alimento di alta qualità e ricco di nutrienti. L’allevamento del bestiame fornisce a milioni di persone cibo, vestiti, energia, letame, occupazione e reddito.

• Gli alimenti derivati dal bestiame offrono una varietà di nutrienti essenziali e altri composti che promuovono la salute, molti dei quali mancano nelle diete a livello globale, anche tra le popolazioni con redditi più elevati.

• Gli individui con risorse adeguate possono anche essere in grado di raggiungere diete adeguate usando fonti alternative, tuttavia questo approccio non dovrebbe essere

1. FAO (2011) - World Livestock 2011: Livestock in food security

2. Deena Shanker (2023). Fake Meat Was Supposed to Save the World. It Became Just Another Fad. https://www.bloomberg.com/news/features/2023-01-19/beyond-meat-bynd-impossible-foods-burgersare-just-another-food-fad (testo consultato il 6 febbraio 2023)

3. Deena Shanker (2023). Impossible Foods Plans to Lay Off About 20% of Workers. https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-01-30/impossible-foods-plans-to-lay-off-about-20-ofemployees#xj4y7vzkg (fonte consultata il 6 febbraio 2023)

4. Mayer Labba I. C., Steinhausen H., Almius L., Bach Knudsen K. E., Sandberg A. S. (2022). Nutritional Composition and Estimated Iron and Zinc Bioavailability of Meat Substitutes Available on the Swedish Market. Nutrients, 14, 3903. https://doi.org/10.3390/nu14193903

5. Romão B., Botelho R.B.A., Torres M. L., Maynard D.d.C., de Holanda M.E.M., Borges V.R.P., Raposo A., Zandonadi, R.P. (2023). Nutritional Profile of Commercialized Plant-Based Meat: An Integrative Review with a Systematic Approach. Foods, 12, 448. https://doi.org/10.3390/ foods12030448

6. Post M. J. (2012). Cultured meat from stem cells: Challenges and prospects. Meat Science, 92, 297–301

7. Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione. GU L 327 dell’11.12.2015 pagg. 1–22

8. Codignola A. (2022). L’alternativa alla carne? Sono i funghi la nuova frontiera sostenibile. https://argomenti.ilsole24ore.com/tag/ agnese-codignola (fonte consultata il 6 febbraio 2023)

9. Souza Filho P.F., Andersson D., Ferreira J.A., Taherzadeh. M.J. (2019). Mycoprotein: environmental impact and health aspects. World J Microbiol Biotechnol., 35(10):147. doi: 10.1007/s11274-019-2723-9

10. Regolamento di esecuzione (UE) 2021/882 della Commissione del 10 giugno 2021 che autorizza l’immissione sul mercato della larva di Tenebrio molitor essiccata quale nuovo alimento a norma del regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio e che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2017/2470 della Commissione. GU L 194 del 2.6.2021, pagg. 16–20

raccomandato per la popolazione generale, in particolare non per quelle che hanno elevate esigenze nutrizionali, come bambini e adolescenti, donne in gravidanza e in allattamento, donne in età riproduttiva, adulti più anziani e malati cronici.

I più alti standard di prove bioevolutive, antropologiche, fisiologiche ed epidemiologiche sottolineano che il consumo regolare di carne, latticini e uova, come parte di una dieta ben bilanciata, è vantaggioso per gli esseri umani [18].

L’agricoltura è già stata in grado diverse volte di rispondere all’aumento della domanda di cibo, merito anche delle innovazioni tecnologiche e del costante aggiornamento dei metodi di coltivazione e allevamento.

• I progressi nelle scienze animali e nelle tecnologie correlate stanno attualmente migliorando le prestazioni del bestiame lungo tutte le dimensioni di salute, ambiente e socio-economici, per aumentare la disponibilità di alimenti di origine animale per aiutare a soddisfare i bisogni nutrizionali insoddisfatti di alcuni miliardi di persone nel mondo. 

11. Regolamento di esecuzione (UE) 2022/169 della Commissione dell’8 febbraio 2022 che autorizza l’immissione sul mercato della larva gialla della farina (larva di Tenebrio molitor) congelata, essiccata e in polvere quale nuovo alimento a norma del regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio e che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2017/2470. GU L 28 del 9.2.2022, pagg. 10–16

12. Regolamento di esecuzione (UE) 2021/1975 della Commissione del 12 novembre 2021 che autorizza l’immissione sul mercato della Locusta migratoria congelata, essiccata e in polvere quale nuovo alimento a norma del regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio e che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2017/2470. GU L 402 del 15.11.2021, pagg. 10–16

13. Regolamento di esecuzione (UE) 2023/5 della Commissione del 3 gennaio 2023 che autorizza l’immissione sul mercato della polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus (grillo domestico) quale nuovo alimento e che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2017/2470. GU L 2 del 4.1.2023, pagg. 9–14

14. Regolamento di esecuzione (UE) 2023/58 della Commissione del 5 gennaio 2023 che autorizza l’immissione sul mercato delle larve di Alphitobius diaperinus (verme della farina minore) congelate, in pasta, essiccate e in polvere quale nuovo alimento e che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2017/2470. GU L 5 del 6.1.2023, pagg. 10–15

15. Chang K., Millett C., Rauber F, Levy R.B., Huybrechts I., Kliemann N., Gunter M.J., Vamos E.P. (2022). Ultra-processed food consumption, cancer risk, and cancer mortality: a prospective cohort study of the UK Biobank. The Lancet, Vol. 400, Supplement 1, Page S31

16. Censis (2022). Per il buon uso del Recovery Fund nel rilancio delle filiere della carne. https://www.carnisostenibili.it/wp-content/ uploads/2022/04/Per-il-buon-uso-del-recovery-fund-nel-rilanciodelle-filiere-della-carne.pdf (consultato online il 9 febbraio 2023)

17. Dichiarazione di Dublino. https://www.dublin-declaration.org/ (consultato online il 9 febbraio 2023)

18. Cordain L., Miller J.B., Boyd Eaton S., Mann N., Holt S.H.A., Speth J.D. (2000). Plant-animal subsistence ratios and macronutrient energy estimations in worldwide hunter-gatherer diets. Am J Clin Nutr, 71: 682-92. https://doi.org/10.1093/ajcn/71.3.682

la parola all’esperto 37 MAR-APR 2023
articoli e delle relative bibliografie
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli

TRACCIABILITÀ nella filiera della carne suina

Il prosciuttificio

Terza ed ultima parte dell’approfondimento sulle fasi di processo della filiera suinicola. Abbiamo esaminato i primi due step: l’allevamento e il macello, ora siamo giunti alla fase finale, l’arrivo al prosciuttificio e la trasformazione

Terza parte: il prosciuttificio

Dal macello giungono le cosce fresche per le lavorazioni successive in partite accompagnate da un documento informatico trasmesso in via telematica anche agli istituti di controllo, che permette in tempo reale di conoscere i lotti di introduzione con i relativi tag delle singole cosce, relativi pesi e classificazione. Di seguito verranno riassunte le numerose fasi di lavorazione effettuate presso un prosciuttificio, decisamente semplificate mediante l’utilizzo del tag. Oltre a tutti gli adempimenti che abbiamo già citato per gli allevamenti e i macelli, i prosciuttifici devono acquisire il timbro di identificazione di riconoscimento che deve comprendere

• la ragione sociale

• indirizzo della sede legale

• indirizzo dell’insediamento produttivo

• codice di identificazione

• categoria funzionale.

I controlli presso i prosciuttifici sono generalmente finalizzati ad accertare l’origine e la provenienza delle cosce certificate e la conformità delle procedure della relativa certificazione poste in essere dai macellatori e dalla verifica del corretto adempimento degli obblighi del macello ai fini della Dop.

I suini arrivano dal macello accompagnati dai moduli originali delle CUC (certificazione unica di conformità) prodotto dall’allevamento, nonché tutti i riferimenti dedotti dal registro di macellazione in dotazione obbligatoria al macello. Il certificatore verifica la completezza della CUC, la compilazione completa, l’esistenza di un solo documento

sche, riscontrando i requisiti tecnico qualitativi indicati dalla DOP nel manuale numero 1 e nell’allegato numero 14 (vedi https://www. politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB. php/L/IT/IDPagina/3339).

di accompagnamento per ogni singola CUC. Il peso medio della partita viene desunto dal rapporto tra il peso complessivo indicato sui documenti di accompagnamento e il numero dei suini certificati; l’età dei suini che viene desunta dalla lettura identificativa del mese di nascita riportata sulla CUC rapportandola alla tabella di conversione dell’allegato numero 8 del disciplinare (vedi https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/ IT/IDPagina/3339).

La verifica delle operazioni di apposizione del timbro indelebile ai fini della DOP viene effettuata direttamente sulle cosce suine fre -

Il tipo di ispezione diretta sul prodotto, utilizzando idonei strumenti di misurazione effettuando campionamenti a fini analitici come previsto dall’ allegato numero 15 (vedi https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3339).

La presenza di microchip nelle cosce dei suini che dall’allevamento, nelle fasi di svezzamento e ingrasso, vengono inviati al macello permettono di effettuare una raccolta sistematica di dati che portano alla omologazione al fine di rilasciare la DCM (dichiarazione cumulativa del macello) che viene inviata in formato elettronico direttamente sia all’organismo certificatore che al macello. La singola coscia che supera la certificazione

38 MAR-APR 2023 sicurezza veterinaria
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

d’idoneità all’invio al prosciuttificio ai sensi della DOP subisce un raffreddamento a 4 °C per poi essere sottoposta a una toelettatura di presentazione al controllo qualità.

La DO (documento di omologazione) per l’invio al prosciuttificio e all’organismo di controllo in formato elettronico conterrà una serie di dati a cui nelle fasi precedenti abbiamo descritto. Le macrofasi presso il prosciuttificio possono essere riassunte come segue.

UTILIZZO RFID DA PARTE DEL PROSCIUTTIFICIO

FASE UNO: ENTRATA DELLA MERCE

• Insieme al DDT della merce dovrà essere presente una tabella informatizzata con l’elenco del Microchip in arrivo.

• Sulla timbratrice in entrata sarà inserita un’antenna in grado di identificare i Microchip nelle cosce.

• Questo permetterà di abbinare al lotto d’entrata del prosciuttificio i dati in gestione utilizzando un collegamento con la timbratrice.

• Tutte queste registrazioni avverranno in automatico senza imporre nuove operazioni agli operatori.

• I dati possono essere archiviati su un data base locale in modo che l’Ente Certficatore possa facilmente controllare la corrispondenza dei chip introdotti con quelli inviati dal macello.

FASE DUE: STOCCAGGIO DELLA MERCE

• Durante la procedura d’entrata di controllo del prodotto DOP, se viene individuata una non conformità (NC) in automatico sarà esclusa dalla gestione inserendo il pezzo in una procedura apposita NON DOP che prevede un trattamento apposito.

• Nella gestione DOP è previsto il riempimento di bilancelle con pezzi a peso uniforme per i trattamenti di salatura.

• Le bilancelle saranno dotate di un sistema di identificazione automatico, basato su Microchip RFID (applicato alla bilancella) o su codice a barre che ne identifica il numero e permette di abbinare tutti i pezzi caricati in un’unica informazione.

Con le bilancelle codificate, sarà possibile

avere:

• Tracciabilità interna del singolo pezzo

• Controllo puntuale del carico cella (N.Pz/ cella)

• Controllo puntuale degli scadenziari produttivi

• Efficienza linee produttive (Pz/h)

• Stato della disponibilità delle attrezzature (bilancelle/telai liberi).

Tutti i dati possono essere archiviati su data base locale.

FASE TRE: ATTIVITÀ IN PROSCIUTTIFICIO

Prevedendo di aver tracciato la posizione nei vari locali, è possibile registrare in automatico varie informazioni:

• Tempering

• 1 sale

• 2 sale

• Fuori sale

• PRV

• Riposo

• Toelettatura

• Pre Lavaggio

• Lavaggio-asciugatoio

• Prestagionatura

• Stuccatura

• Stagionatura

• Marchiatura.

FASE QUATTRO: CONTROLLO QUALITÀ

• A fine stagionatura, prima della marchiatura, l’Ente Certificatore potrà verificare “senza errore” la corrispondenza dei microchip proposti con quelli registrati all’introduzione, togliendo dal circuito i non conformi (NC). Il controllo qualità potrà inserire note sulla qualità abbinandole al Microchip.

• Per la preparazione alla disossatura sarà realizzato un elenco informatico che verrà consegnato insieme al materiale per la lavorazione.

• Attraverso un dispositivo di lettura multiplo sarà possibile leggere tutti i pezzi su una rastrelliera.

• I dati possono essere infine archiviati su un data base locale e inviati all’Ente Certificatore per eventuali controlli presso il disossatore.

Come si può vedere, l’utilizzo dei tag/microchip permette di agevolare tutta la movimentazione presso il prosciuttificio avendo sotto controllo tutte le fasi senza possibilità di errori con notevole risparmio di ore/uomo

SALA RICEVIMENTO COSCE

ACCETTAZIONE SELEZIONE COSCE

TEMPERING

1 SALE

2 SALE

LINEA DI FUORI SALE REPARTO PRE-RIPOSO

LAVAGGIO-ASCIUGATURA PRE-STAGIONATURA

DISOSSATURA-SPEDIZIONE

Diagramma di flusso

per i controlli calcolate in migliaia di euro/ anno.

Attualmente tutta la tracciabilità dei prosciutti si basa sul tatuaggio che viene eseguito dall’allevatore con dei punzoni che riportano il mese di nascita la sigla della provincia e il codice dell’allevamento (Fig. 1). 

39 MAR-APR 2023 sicurezza veterinaria
RIPOSO TOELETTATURA PRE-LAVAGGIO
STUCCATURA STAGIONATURA MARCHIATURA
SELEZIONE CONTROLLO QUALITÀ
Fig. 1

TECNOLOGIA PER LA LAVORAZIONE DELLE CARNI

Metalquimia presenta l’inteneritrice Rollerpress, la tecnologia Cut & Press, che include un doppio set di rulli attivi che interagiscono con la carne provocando un effetto di intenerimento/pressione simultaneo sulle fibre muscolari della carne. Questo effetto aumenta in modo significativo la superficie di estrazione delle proteine miofibrillari, producendo dapprima una moltitudine di tagli nel muscolo della carne (doppio rullo inteneritore con punte o coltelli), per proseguire con un’azione di pressione (rullo di pressione contro il nastro) che provoca lo stiramento della carne e un aumento significativo degli spazi interfibrillari. Ciò consente una rapida e migliore ritenzione della salamoia in tali spazi durante le prime fasi del massaggio. L’azione della Rollerpress si traduce in una significativa riduzione dei tempi di lavorazione, in un aumento della tenerezza della carne, in un incremento della resa di cottura e in una maggiore resa di legatura e affettatura.

Allo stesso tempo, l’inteneritore Rollerpress offre la possibilità di regolare automaticamente la profondità di taglio (da -20 mm a 50 mm) e la pressione di pressatura, permettendo così di adattare l’effetto di intenerimento a ogni specifico prodotto. L’inteneritrice Rollerpress ha un sistema ergonomico, unico nella sua categoria, per l’estrazione di rulli, il lavaggio e la manutenzione.

Come novità, inoltre, Metalquimia presenta il nuovo caricatore automatico per wurstel Evoloader DS. Il nuovo caricatore automatico progettato da Metalquimia raddoppia la produttività con un massimo di 4 corsie di carico, incrementa la velocità con una testa di carico migliorata, offre una precisione superiore nel posizionamento dei wurstel nella confezione e massimizza la capacità della termoformatrice, migliorando la sicurezza alimentare e massimizzando la flessibilità con molteplici configurazioni di imballaggio.

TECNOLOGIA E SOSTENIBILITÀ PER PROTEGGERSI DAI RODITORI

Un nuovo e innovativo sistema wireless che funziona in maniera indipendente e protegge il business senza continue interruzioni dovute alla presenza di topi o ratti. Per tutte le aziende che vogliono garantire la massima sicurezza e godere del vantaggio di un monitoraggio continuo, ma anche per tutte quelle che devono garantire la conformità alle normative e agli standard di audit, Rentokil ha lanciato PestConnect, un sistema innovativo formato da diverse tipologie di postazioni per la cattura di roditori. Un servizio chiave per chi deve adottare un approccio a tolleranza zero per la gestione degli infestanti, con soluzioni che proteggono il loro sito, e per chi vuole restare costantemente aggiornato, così da non dover pensare più a nulla: Radar Connect, postazione dotata di due ingressi alle sue estremità che sfrutta la tecnologia ad infrarossi per catturare e contenere i roditori, facendo chiudere gli ingressi al loro passaggio; Dual AutoGate (DAG) Connect, soluzione intelligente per la derattizzazione in area esterna, che utilizza un meccanismo di sportello automatico per consentire l’accesso all’esca tossica solo in caso di reale necessità; Rat Riddance Connect, postazione a scatto connessa, ad azione immediata, sviluppata e rigorosamente testata per le aziende alimentari, sanitarie e farmaceutiche che devono soddisfare stringenti standard con soluzioni non tossiche per proteggere le loro zone ad alto rischio. PestConnect è un sistema che permette di mitigare l’impatto sull’ambiente.

mondo aziende 40 MAR-APR 2023

SOLUZIONI A PROVA DI FUTURO

É tempo di countdown per gli F-Gas. Quando si parla di sistemi di refrigerazione, la scelta del prodotto giusto e l’utilizzo di refrigeranti naturali possono davvero fare la differenza, in termini di efficienza ed ecocompatibilità. Con i suoi prodotti per refrigeranti naturali, Bitzer offre soluzioni a prova di futuro. Tra le soluzioni adatte per l’impiego di refrigeranti naturali, di cui Bitzer è il massimo produttore a livello mondiale, vi sono prodotti progettati e realizzati con l’utilizzo delle tecnologie più innovative. Il compressore per CO₂ a 8 cilindri CKHE7, ad esempio, rappresenta uno dei fiori all’occhiello dell’ampia e variegata produzione aziendale, progettato per le elevate capacità di raffreddamento con CO₂. Con spostamenti volumetrici compresi tra 69,4 e 99,2 m3/h, è dotato di varie funzioni intelligenti e di una versione ulteriormente sviluppata del controllo elettromeccanico della capacità VARISTEP. Sono adatti a numerose applicazioni e refrigeranti anche i compressori a vite aperti della serie OS, come i modelli OS.A85 e OS.A95, idonei per il funzionamento a velocità variabile e il cui controllo di capacità integrato è utilizzabile a step, oppure in modalità stepless. Questa serie, appositamente progettata per applicazioni con ammoniaca in campo industriale,

combina un’alta potenza frigorifera con la comprovata affidabilità e la straordinaria efficienza a carico pieno e parziale, oltre a vantare una facilità di configurazione in parallelo per una maggiore potenza dell’impianto.

SISTEMA DI SUPPORTO DECISIONALE PER LA SOSTENIBILITÀ NEGLI ALLEVAMENTI SUINICOLI

È nato il progetto SSD_SUINI - Sistema di supporto decisionale per la sostenibilità negli allevamenti suinicoli, che consiste in un articolato protocollo di analisi e controllo degli allevamenti suini basato sull’applicazione del disciplinare tecnico messo a punto dalla Regio-

ne Emilia-Romagna nel 2021: tale disciplinare rappresenta, per questo comparto zootecnico, un completo sistema di buone pratiche e corretta gestione degli allevamenti suinicoli per la sostenibilità delle produzioni.

Il progetto mira a creare un innovativo sistema

di supporto decisionale in allevamento che consente:

• il miglioramento del benessere animale, della biosicurezza e della salute animale; la riduzione del consumo di farmaci e l’uso razionale degli antibiotici;

• la riduzione dell’impatto ambientale, con misure di contenimento delle emissioni quali ammoniaca e gas serra;

• la riduzione dei consumi idrici;

• il miglioramento della qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, nonché l’utilizzo di materie prime;

• la riduzione del consumo di energia, l’adozione di fonti rinnovabili; la gestione ottimale dei reflui e sottoprodotti aziendali.

Il progetto, finanziato dal PSR dell’Emilia-Romagna (operazione 16.2.01), vede la partecipazione di Fiorani & C. impresa agro-industriale in veste di promotore/capofila, che utilizza, trasforma e immette sul mercato con proprio marchio le carni ottenute da allevamenti appartenenti alla filiera suina della controllante INALCA S.p.A., e CRPA SCPA - Centro Ricerche Produzioni Animali di Reggio Emilia, ente di ricerca, partner scientifico del progetto.

mondo aziende 41 MAR-APR 2023

Le tecnologie mobili dell’ERP CSB-System offrono soluzioni al passo con i tempi

Il Covid-19 ha causato una crisi senza precedenti in termini sanitari, economici e sociali che ha messo a dura prova la resistenza di tutti. Tra i tanti interventi a sottolineare la capacità di riemergere, le aziende alimentari stanno ampliando l’utilizzo di Web App e Webshop, anche perché, indipendentemente da tutto, la vendita online di prodotti alimentari ha comunque un grande potenziale.

CSB STORE PORTAL PER GESTIRE

MEGLIO GLI ORDINI DI FILIALI

E NEGOZI

Disponibile su smartphone, tablet o PC, il CSB Store Portal comunica con l’ERP CSB-System senza interfacce! Ciò assicura che non vi sia interruzione del supporto tra acquisizione ed elaborazione delle informazioni: i dati dell’ordine inserito dalla filiale sono immediatamente disponibili per l’elaborazione nell’impianto di produzione. Si può dire finalmente addio a soluzioni ad isola, doppi inserimenti, problemi di interfaccia e sincronizzazioni manuali. Il design per la visualizzazione sul web di

Il CSB Webshop comunica con l’ERP CSB-System senza interfacce

anagrafiche, fotografie, prezzi & condizioni, disponibilità di magazzino, informazioni varie, schede tecniche e cataloghi è liberamente personalizzabile partendo da un modello standard. Inserire o modificare utenti e loro autorizzazioni per filiale e/o per intervalli di tempo è facile e intuitivo. Nel complesso, l’elevato livello di integrazione dei dati tra l’ERP CSBSystem e il portale, consente alla direzione aziendale la supervisione e il confronto in tempo reale sugli acquisti e sulle vendite delle filiali o negozi, grazie a statistiche di facile elaborazione; allo stesso tempo il personale lavora in maniera più efficiente perché i processi si semplificano. Quando si è in presenza di un’ampia rete di filiali o negozi, un ulteriore vantaggio è dato dalla gestione integrata dei reclami e dei resi. Questi possono essere elaborati direttamente nel portale, ma sono anche immediatamente disponibili, con tutte le informazioni, nel gestionale CSB per ulteriori elaborazioni.

IL CSB-B2B WEBSHOP PER CLIENTI

E RAPPRESENTANTI

Il design del CSB Webshop è ovviamente flessibile e consente il posizionamento ottimale dei prodotti. Ancora una volta va sottolineata l’interazione senza interfaccia tra il CSB Webshop e il CSB ERP: informazioni sugli articoli relativamente a disponibilità, formati, prezzi, condizioni e promozioni in corso, variabili per indirizzo e/o per cliente, sono visualizzati nel webshop senza duplicazioni. Filtri per ingredienti e valori nutrizionali facilitano lo shopping personalizzato. La possibilità di inserire liste ordini con filtri semplifica l’esecuzione di ordini ricorrenti. Il risultato è un catalogo prodotti intuitivo e semplice da utilizzare. Il CSB-B2B Webshop offre alle aziende alimentari una soluzione tagliata su misura per trasferire in rete il processo degli ordini in entrata e quindi minimizzare le spese per personale e infrastrutture.

IL CSB-B2C WEBSHOP: GROSSE

POTENZIALITÀ SE L’ERP E IL

WEBSHOP SONO INTERCONNESSI

Anche il B2C-Webshop offre tanto poten-

aziende e informatica 42 MAR-APR 2023
Il software integrato crea una base dati uniforme senza la necessità di dover gestire interfacce

ziale di vendita non sfruttato. Sebbene i consumatori preferiscano ancora acquistare direttamente nel negozio, alcuni dei loro acquisti di generi alimentari si stanno spostando su internet: un po’ per comodità, un po’ perché l’acquisto riguarda prodotti di nicchia. Ma è necessario che l’azienda operi correttamente e in modo trasparente. Se si vuole davvero aprire un negozio online, è vivamente consigliato l’utilizzo di un sistema ERP, come piattaforma base “alle spalle” del carrello digitale. Se i due mondi sono perfettamente integrati, come nel CSB-System, il potenziale è effettivamente grande. Oltre alla gestione integrata e allineata dei prezzi, l’integrazione tiene conto di tutti gli aspetti legati all’alimentazione, quali informazioni sul peso, date di scadenza, dimensioni dei lotti e, soprattutto, tracciabilità. La comunicazione diretta dei moduli CSB con il CSB Webshop assicura che la disponibilità degli articoli sia automaticamente garantita al momento dell’ordine e che picking e spedizione possano essere attivati immediatamente dopo la ricezione di quest’ultimo.

CSB WEB APPS PER SNELLIRE ED OTTIMIZZARE I PROCESSI

Tutti i moduli e tutti i processi dell’ERP CSB-System possono essere disponibili come Web App su qualsiasi dispositivo mobile: dalla gestione delle anagrafiche clienti alla gestione di processi interni (per es. archiviazione documenti, time management dei dipendenti, autorizzazioni utenti, etc.), e persino la gestione degli scripts M-ERP. Il CSB Data Collect consente agli utenti di raccogliere informazioni in vari formati (testo, immagine, audio, etc.) su dispositivi mobili e di renderle disponibili in un secondo momento nel sistema host. Affinché queste soluzioni

digitali possano funzionare con successo, la tecnologia scelta è un fattore determinante. L’approccio lungimirante del gruppo CSB-System consente ai suoi clienti di avvalersi di soluzioni all’avanguardia per proiettarsi verso l’Industria 4.0.

Referente CSB-System: Andrè Muehlberger, Direttore CSB-System S.r.l. www.csb.com

Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni.

Prendere le decisioni giuste – questa è la cosa più importante per ogni azienda. Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, andamento degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto.

Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.

Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore Carne: www.csb.com

43 MAR-APR 2023
www.csb.com
Tutti i moduli dell’ERP CSB-System sono disponibili come Web App su qualsiasi dispositivo mobile

Piccole PRODUZIONI locali

Norme di valorizzazione e identificazione in attesa di attuazione

Nella scorsa legislatura sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra, la Legge n. 30/2022 per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale e la Legge n. 61/2022 per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera corta.

I due provvedimenti mirano a valorizzare e promuovere la domanda e l’offerta delle produzioni sopra descritte, favorendone il consumo e la commercializzazione e garantendo ai consumatori un’adeguata informazione sulla loro origine e sulle loro specificità.

In questa sede si intende fornire un quadro generale, evidenziando in particolare le difficoltà applicative sorte anche in seguito al cambio di legislatura che, come spesso accade, non ha aiutato in termini di continuità e fluidità nell’adozione dei provvedimenti attuativi, della normativa sulle PPL.

Prima di passare a una analisi delle nuove disposizioni introdotte nell’ordinamento giuridico italiano, è opportuno premettere che, per “piccole produzioni locali” (PPL) s’intendono i prodotti agricoli di origine animale o vegetale,  primari o ottenuti dalla trasformazione di materie prime,  derivanti  da  coltivazione  o allevamento  svolti esclusivamente sui terreni di pertinenza dell’azienda, destinati all’alimentazione umana, ottenuti presso un’azienda agricola o ittica, destinati, in  limitate  quantità in termini assoluti, al consumo immediato e alla vendita diretta al consumatore finale nell’ambito della provincia in  cui  si  trova  la sede di produzione e delle province contermini.

Le PPL devono rispettare quattro principi fondamentali.

1) Principio della salubrità: la sicurezza igienico-sanitaria dell’alimento prodotto, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia igienico-sanitaria e di controlli da parte delle aziende sanitarie locali;

2) principio della localizzazione: la possibilità di commercializzare, in ambito locale, i prodotti che derivano esclusivamente dalla propria produzione primaria;

3) principio della limitatezza: la possibilità di produrre e commercializzare esclusivamente ridotte quantità di alimenti in termini assoluti;

4) principio della specificità: la possibilità di produrre e commercializzare esclusivamente le tipologie di prodotti individuate dal decreto di cui al comma 1 dell’articolo 11.

Fatta salva la facoltà  per  gli  imprenditori  agricoli  di svolgere la vendita diretta come previsto dalle norme di orientamento e modernizzazione  del settore agricolo, la  legge  in commento è volta a promuovere la produzione, trasformazione e vendita,  da parte degli imprenditori agricoli e ittici, di PPL  riconoscibili da una specifica indicazione in etichetta, nel rispetto dei  principi di salubrità, localizzazione, limitatezza così come sopra specificati.

I prodotti oggetto del provvedimento in esame devono, come ovvio, essere posti in commercio nel rispetto di tutte le vigenti disposizioni europee e nazionali in materia di informazioni obbligatorie e volontarie sugli alimenti ai consumatori (in particolare Reg. 1169/2011 e D.lvo 231/2017), ma possono altresì indicare nell’etichetta, in maniera chiara e leggibile, affinché sia comprensibile  al  consumatore,  la dicitura

« PPL - piccole produzioni locali »  seguita  dal  nome  del comune o della provincia di produzione e dal numero di  registrazione dell’attività, rilasciato dall’autorità sanitaria locale a  seguito di sopralluogo preventivo svolto in  azienda, se -

condo le modalità da individuare con un decreto Ministeriale di cui - ad oggi - siamo ancora in attesa di adozione. Lo stesso decreto dovrebbe altresì istituire il logo «PPL - piccole produzioni locali».

Tale logo può essere esposto nei luoghi di vendita diretta, nei mercati, negli esercizi commerciali o di ristorazione ovvero negli spazi espositivi appositamente dedicati o è comunque posto in evidenza all’interno dei locali, anche degli esercizi della grande distribuzione, ed è pubblicato nelle piattaforme informatiche di acquisto o distribuzione che forniscono i prodotti oggetto della norma in esame.

Nell’ambito della provincia in cui ha sede l’azienda  e  delle province  contermini, entro il territorio  regionale,  il  consumo immediato e la vendita diretta al consumatore finale dei prodotti PPL possono avvenire:

a) presso la propria azienda e presso esercizi di vendita a questa funzionalmente connessi compresa la malga, purché gestiti dal medesimo imprenditore agricolo o ittico;

b) nell’ambito di mercati, fiere e altri eventi o manifestazioni, da parte del medesimo imprenditore agricolo o ittico;

c) negli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione in ambito locale che riforniscono direttamente il consumatore finale. I comuni, nel caso di apertura di mercati alimentari locali di vendita diretta in aree pubbliche, possono riservare agli imprenditori agricoli o ittici esercenti la vendita diretta dei prodotti PPL spazi adeguati nell’area destinata al mercato, qualora disponibili, mentre gli esercizi commerciali possono dedicare ai prodotti PPL appositi spazi di vendita in modo da renderli immediatamente visibili.

Nell’ambito del sito internet istituzionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e

44 MAR-APR 2023
Avv. Cristina La Corte, Avvocato Studio Gaetano Forte Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

forestali, è istituita un’apposita sezione per la raccolta di tutte le informazioni utili ai fini della valorizzazione dei prodotti PPL.

Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono istituire corsi di formazione  per  il  personale addetto alla lavorazione, alla preparazione, alla trasformazione, al confezionamento, al trasporto e alla vendita dei prodotti PPL allo scopo di far acquisire nozioni relativamente alle corrette prassi operative e buone prassi di igiene nella lavorazione, trasformazione e vendita dei prodotti PPL nonché, ove necessario, a elementi di microbiologia, valutazione del  rischio e procedure di autocontrollo secondo la metodologia HACCP.

Il corso, ove istituito, deve essere frequentato entro quindici mesi dalla registrazione dell’attività e in ogni caso prima dell’avvio delle lavorazioni, a meno che l’operatore interessato, o il personale che lo coadiuva, non abbia ricevuto un addestramento o una formazione in materia di igiene alimentare giudicati adeguati da parte dell’autorità competente rispetto alla tipologia di prodotti PPL di interesse.

Sul versante sanzionatorio è previsto che, salvo che il fatto costituisca reato, l’operatore che immetta sul mercato  prodotti  agricoli  o  ali-

mentari  qualificandoli  come prodotti PPL, in violazione delle disposizioni sopra riportate o utilizzi l’etichettatura o  il  logo  in assenza dei requisiti  richiesti dalla legge è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 1.600 euro a 9.500 euro. Si osserva che, clausola di riserva penale non esclude la possibile contestazione del reato di frode nell’esercizio del commercio prevista e punita dall’art. 515 del C.P..

In caso di violazioni concernenti l’uso del Logo l’autorità amministrativa dispone altresì la sanzione accessoria della sospensione della licenza d’uso dello stesso per un periodo da  uno  a  tre  mesi e, in caso di reiterazione della violazione, dispone  la revoca della licenza d’uso del logo.

Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari è designato quale autorità competente all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo. Sebbene la Legge sia entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U. (ossia dal 23 aprile 2022), per la sua applicazione ed effettività occorre attendere decreti e regolamenti di esecuzione dell’allora Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali,

oggi Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste nonché Accordi da siglare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento.

A tal proposito si osserva che, ancor prima dell’adozione della esaminata disciplina nazionale, alcune Regioni si erano già attivate autonomamente come, ad esempio, la Regione Veneto che, con Deliberazione della Giunta Regionale n. 1173 del 24 agosto 2021, ha provveduto al riordino della disciplina relativa al progetto “Piccole Produzioni Locali” a supporto della produzione e della vendita da parte degli imprenditori agricoli e ittici.

E, in effetti, la Conferenza Stato-regioni, aveva già avanzato critiche alla proposta di legge sulle PPL ritenuta una inutile ingerenza statale in una materie di competenza regionale e che, come sopra segnalato, alcune Regioni avevano già ampiamento regolamentato. Non esente da osservazioni anche l’istituzione di un nuovo ed ulteriore logo che andrebbe ad aggiungersi ad altri già previsti dalla normativa comunitaria per quel che concerne, ad esempio, i prodotti DOP e IGP, da agricoltura biologica, o i prodotti di Montagna. 

diritto e legislazione

La rubrica “Chiedetelo a…” è uno spazio attraverso il quale i nostri lettori (ma anche la redazione stessa) possono avere risposte ad argomenti di diversa natura. Le domande devono essere inviate all’indirizzo email redazione@ecod.it I quesiti proposti saranno evasi da persone competenti negli specifici settori.

Cosa si intende per campo visivo di una etichetta e quali sono le componenti obbligatorie che devono essere riportate?

L’etichettatura alimentare deve soddisfare i requisiti della normativa europea e nello specifico quelli del Regolamento (UE) n. 1169/2011 (in vigore in Italia dal 13 dicembre 2014 che aggiorna e semplifica le norme precedenti sull’etichettatura degli alimenti).

Il suo scopo è quello di consentire ai consumatori di effettuare scelte alimentari consapevoli e informate sul prodotto che intendono acquistare.

L’operatore è responsabile della veridicità delle informazioni riportate.

Sugli alimenti preimballati, le informazioni obbligatorie devono comparire sul preimballaggio o su un’etichetta apposta su di esso. Se gli alimenti non sono preimballati, le informazioni devono essere trasmesse a chi riceve tali alimenti affinché quest’ultimo le possa fornire al consumatore finale.

Le informazioni di tipo obbligatorio devono contenere:

• il nome commerciale del prodotto, ripor-

tato in modo chiaro e facilmente leggibile

• l’elenco di tutti gli ingredienti e delle sostanze che costituiscono il prodotto, elencate in ordine decrescente di peso

• l’elenco degli allergeni presenti nel prodotto, in qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico, da indicare in grassetto o in altro tipo di carattere ben evidente

• le informazioni nutrizionali chiave (grassi, carboidrati, proteine, sodio, zucchero, ecc.), da riportare in forma standardizzata e facilmente comprensibile

• la quantità netta del prodotto, espressa in peso, volume o in numero di unità

• il termine minimo di conservazione o la data di scadenza

• le informazioni sull’origine del prodotto, come il paese di origine o di produzione

• le condizioni di conservazione e/o le condizioni d’impiego

• il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare.

Le informazioni obbligatorie devono essere facilmente individuate in quello che è definito campo visivo che è da intendersi come tutte le superfici di un imballaggio che possono essere lette da un unico angolo visuale. È uno degli elementi più importanti di cui tenere conto nella progettazione dell’etichetta, poiché deve essere pensato in modo tale da attirare l’attenzione dei consumatori e comunicare con successo le informazioni necessarie.

Mentre con il termine di campo visivo principale si fa riferimento al campo visivo di un imballaggio più probabilmente esposto al primo sguardo del consumatore al momento dell’acquisto (rappresentato dalla parte frontale dell’etichetta) e che permette all’acquirente di identificare immediatamente il carattere e la natura del prodotto ed, eventualmente, il suo marchio di fabbrica. Il campo visivo principale è destinato a essere visto da una distanza di almeno 30 cm. Tuttavia, la dimensione e la posizione del campo visivo principale possono variare in base alla dimensione dell’etichetta o al contenuto.

Le aziende produttrici e/o l’operatore sono responsabili delle caratteristiche richieste dalla legge e soprattutto che le etichette siano chiare; indelebili, che non si cancellino o scoloriscano nel tempo; leggibili, cioè che rispettino gli standard minimi imposti per il carattere di testo.

Nel campo dell’etichetta possono essere fornite anche informazioni su base volontaria che però devono soddisfare determinati requisiti: non devono indurre in errore il consumatore né essere ambigue o confuse, devono basarsi – se del caso – su dati scientifici pertinenti e non devono occupare lo spazio disponibile in etichetta per le informazioni obbligatorie.

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