dialoghi 222

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222 dialoghi Locarno – Anno 44 – Giugno 2012

di riflessione cristiana

BIMESTRALE

Diaconia: l’esemplare servizio per tutti

Foto «Giornale del Popolo»

Per superare l’impasse ecumenica

Ci ricordiamo con nostalgia di quella sera (dei lontani anni Sessanta) in cui l’arciprete di Lugano don Corrado Cortella esclamò, nella chiesa evangelica di Viale Cattaneo: «I muri che ci separano non si levano fino al Cielo». Molti cattolici mettevano piede per la prima volta in una chiesa protestante. A noi ragazzi della Parrocchia, non molti anni prima, dicevano: «Loro hanno la Bibbia, noi il Vangelo», e: «I protestanti non adorano la Madonna». Poi vennero i corsi di Sacra Scrittura di don Pio Jörg e leggemmo il Commento al «Magnificat» di Martin Lutero. Sono passati cinquant’anni ma l’impressione è che i muri siano sempre là. Certo, non ci odiamo più, ci capiamo meglio, abbiamo riletto la nostra storia comune in modo nuovo. C’è un grande rispetto tra noi. E non lamentiamoci troppo: in altri Paesi del mondo si uccide ancora in nome della religione. Ma è pur vero che quella primavera è finita, è venuto l’autunno e poi l’inverno, e pare che non finiscano mai. Cresce l’impressione che gli incontri della Settimana di preghiera siano, tutto sommato, un innocuo balletto. «Quando il Signore vorrà», si dice. Philippe de Vargas, un protestante romando cui oggi «Dialoghi» dà la parola, la pensa in un altro modo. E soprattutto riflette a come dare un’accelerata al movimento, per superare l’irrigidirsi delle gerarchie e l’indifferenza della base, ma soprattutto rispettare l’invito del Signore: essere uniti perché il mondo creda. E.M. «Uscire dall’inerzia e dalle false sicurezze», di Philippe de Vargas, pp. 11 - 14

I diaconi, e specialmente le diaconesse, erano incaricati nella comunità cristiana primitiva di assistere poveri e malati. Il tema della diaconia è strettamente collegato a quello, sviluppato nel precedente numero di «Dialoghi» (n. 221, aprile 2012), della Cena del Signore. Secondo alcuni studiosi del Vangelo, le parole di Cristo: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo», «Prendete e bevete, questo è il mio sangue» sarebbero meglio tradotte, secondo la cultura ebraica dell’epoca, come: «questo sono io», «questa è la mia vita», espresse col gesto della divisione del pane e della distribuzione di pane e vino tra i presenti. E «Fate questo in mia memoria» è il comando di ripetere il gesto di Gesù della distribuzione, per cui la più verace «memoria» è attuare ciò che fece Gesù nella sua vita. Sempre secondo il Vangelo, ai discepoli incontrati ad Emmaus, Gesù si rivelò nello spezzare il pane. Ancora più significativo è il gesto ricordato da Giovanni, il quale ignora (o presuppone) il gesto della distribuzione e propone la lavanda dei piedi come esempio del servizio da rendere ai fratelli. La proposta del Signore è ancora ripetuta, nel segno del servizio, quando dice: «Da questo vi riconosceranno, se vi amate gli uni gli altri». Perciò, «fare memoria di Gesù» vuol dire (specialmente e concretamente) ripetere nella vita il suo modo di comportarsi, specialmente verso i poveri, i rifiutati, i piccoli. In un’altra famosa pagina del Vangelo – la parabola del Giudizio – Gesù esemplifica i comportamenti sui quali tutti saremo giudicati: «Mi avete dato da mangiare, dato da bene, rivestito, visitato», eccetera. Oggi la Chiesa sollecita una «nuova evangelizzazione» per i nostri Paesi già cristianizzati, e l’annuncio della Buona Novella deve consistere nel servizio ai meno fortunati, come già fu per i primi secoli (prima di Costantino!) e (Continua a pagina 2)


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