221 dialoghi Locarno – Anno 44 – Aprile 2012
di riflessione cristiana
BIMESTRALE
Il Cenacolo di Ponte Capriasca, copia da Leonardo da Vinci, XVI secolo.
EUCARESTIA E COMUNITÀ
Gli studi sociologici documentano un’erosione continua del rapporto tra appartenenza religiosa e partecipazione ai culti cristiani. Nella Vecchia Europa questa tende a scendere addirittura sotto il dieci per cento, soprattutto tra i giovani. Occasioni straordinarie di raduno, come le Giornate mondiali della gioventù, le Visite del Papa, o quelle della «Madonna pellegrina» – capaci di attirare folle di giovani o di anziani – convivono con l’abbandono delle forme «ordinarie» di partecipazione, come la messa domenicale. Il fenomeno deve preoccupare, non tanto perché segna la fine di un certo cattolicesimo sociologico, quanto perché tende a svuotare di senso una modalità essenziale del cristianesimo: la comunità che celebra l’Eucarestia nel «giorno del Signore». La celebrazione domenicale come la conosciamo noi discende da una tradizione ramificatasi nei secoli. La «messa di sempre» – vantata dai tradizionalisti in opposizione alla riforma liturgica decisa dal Concilio Va-
ticano II – non è mai esistita: tutti i riti, però, anche in quelli in apparenza più lontani da un modello comune riconoscibile, conservano un nucleo che risale all’insegnamento di Gesù («Fate questo in memoria di me», 1Cor, 11,23-26) o alla testimonianza degli apostoli, di cui si ascoltava l’insegnamento, poi si rendevano grazie (onde il termine: Eucarestia), si spezzava il pane e lo si distribuiva (Atti 2, 41-47). Le prime comunità scelsero per queste riunioni la domenica, ricordando la Risurrezione del Signore («Ci riuniamo tutti insieme nel giorno del Sole», Apologia di Giustino 1, 67). Se anche la tradizione millenaria non bastasse a sostenere la buona abitudine della messa domenicale, ragioni pastorali escluderebbero di accettarne a cuor leggero la decadenza. Perché, se è vero che ci si salva individualmente, l’appartenere a una comunità di salvati è costituivo dell’essere cristiani, come l’agape è la regola di vita e la fraternità il modo di governo («Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli»,
Mt 23, 8). Una riflessione è dunque urgente e deve investire ogni aspetto del «precetto festivo» com’è praticato oggi. Paradossalmente, è la passata ricchezza (per numero di preti) delle nostre comunità di cattolici dell’Europa continentale che ci ha giocato un brutto tiro. I Paesi di missione non conoscono il problema della frammentazione, indotta dalla disponibilità di messe a tutte le ore del sabato e della domenica, come la conosciamo noi. Introdotta con le migliori intenzioni, questa pratica, innestandosi su una concezione «giuridica» del precetto domenicale (la messa «che vale»), ha indotto una individualizzazione del rapporto delle persone con la liturgia. Come può essere allora considerata culmine e fonte della vita della Chiesa (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla liturgia, 10) una pratica che somiglia ormai moltissimo alla frequenza del negozio scelto per fare la spesa, dove le persone non si coE:M.
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