259 dialoghi Locarno – Anno 51 – Dicembre 2019
Dov’è il popolo? Le elezioni federali, svoltesi nei mesi scorsi, meritano un commento anche da parte di «Dialoghi», da sempre interessato alla politica, quella locale e quella mondiale, evitando per quanto possibile scelte partigiane. Doveroso riteniamo un commento
di riflessione cristiana BIMESTRALE
ai recenti risultati, rilevando alcune tendenze che ci appaiono importanti e/o preoccupanti. L’aumento della rappresentanza femminile nel Parlamento federale e l’aumento notevole dei «deputati verdi» sono progressi significativi, sia per quanto riguarda la maggiore presenza dell’«altra metà del cielo» sia per la maggiore attenzione al
«Matrimonio per tutti» Matrimonio: «istituto giuridico – lo definisce il Vocabolario online Treccani – mediante cui si dà forma legale all’unione fisica e spirituale dell’uomo (marito) e della donna
(moglie) che stabiliscono di vivere in comunità di vita al fine di fondare la famiglia». Ovvio? Niente affatto. Un dibattito politico si profila a li vello federale attorno alla questione.
tema fondamentale della tutela del creato, da cui dipende la nostra stessa sopravvivenza. Anche il risultato ticinese si presta a un commento positivo, con un rinnovamento giovanile, senza esprimere con questo alcun giudizio negativo su chi ha lasciato (o dovuto lasciare) il seggio fin qui occupato. Sui commenti immediati, (Continua a pagina 2)
Si parla di «matrimonio per tutti»: che significa? «Dialoghi» ha inca ricato Alberto Bondolfi, esperto di etica sociale, di chiarire la storia e il significato del termine.
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ovviamente spesso anche influenzati da interessi di parte, non intendiamo soffermarci, limitandoci a rilevare una vistosa conferma dell’astensionismo da parte di oltre metà degli aventi diritto, scesi a un modesto 47,1% in occasione della votazione di ballottaggio per l’elezione dei due rappresentanti ticinesi al Consiglio degli Stati a metà novembre. Due considerazioni praticamente dimenticate dalla maggior parte dei commentatori vogliamo qui esprimere: la strutturale carenza di rappresentanza della popolazione ticinese da parte di un corpo elettorale più che dimezzato e la crescente polarizzazione e personalizzazione delle scelte politiche della «minoranza» che almeno si esprime. La deficiente rappresentanza del «popolo ticinese» è facilmente rilevabile (e sistematicamente ignorata…) considerando che il totale dei votanti (sono i numeri del 17 novembre) è stato di poco superiore a 100.000, men-
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tre la popolazione che vive e lavora e soffre in Ticino supera largamente le 350.000 unità. Ovviamente esclusi i minori, non altrettanto ovviamente ne sono esclusi gli stranieri, domiciliati o residenti stabili nel Cantone, per non parlare degli oltre 60.000 frontalieri, non stabilmente presenti ma che tuttavia hanno legittime aspettative dalla politica. La polarizzazione è purtroppo aumentata in questa tornata elettorale, sia a livello federale con la conferma dei tre blocchi (destra, centro, sinistra) che rendono difficile, persino impossibile, la soluzione, sia a livello federale su alcuni problemi fondamentali (il sistema pensionistico e sanitario, l’ecologia) sia in Ticino, dove i due eletti alla Camera alta confermano il «tripartitismo» svizzero. Particolarmente evidente la polarizzazione se si esamina il comportamento dei cittadini ticinesi nella distribuzione dei voti personali, con clamorose dif-
ferenze regionali e comunali (indicativo lo specchietto riassuntivo apparso sul «Corriere del Ticino» del 19 novembre); evidente anche nel risultato globale, constatando che i poco più di 100.000 votanti, che disponevano ciascuno di due voti, hanno distribuito tra i quattro candidati circa 150.000 suffragi, per cui risulta evidente che oltre 64.000 cittadini si sono limitati a votare il loro candidato, per nulla preoccupandosi di assicurare alla popolazione ticinese una rappresentanza che tenga in considerazione anche le minoranze, quando è proprio il rispetto delle minoranze la misura della democrazia (cioè della cultura democratica) di un Paese. Augurando a tutti gli eletti buon lavoro al servizio del bene comune «Dialoghi» cercherà di contribuire, come nel passato, a migliorare la cultura e l’impegno politico dei suoi trecento lettori… Dialoghi
I risultati dei quattro candidati al Consiglio degli Stati nei principali centri del Cantone Lugano Marco Chiesa
2° turno. Partecipazione 47,1%
Bellinzona Marina Carobbio
Locarno Marina Carobbio 1.648 1.313
Mendrisio Marco Chiesa 1.946 1.608
Marina Carobbio
Filippo Lombardi
Giovanni Merlini 1.364 1.326
Filippo Lombardi 1.880 1.987
Filippo Lombardi 4.445 4.203
Giovanni Merlini
Marco Chiesa 1.266 897
Giovanni Merlini 1.764 1.561
Giovanni Merlini 4.115 3.864
Marco Chiesa
Filippo Lombardi 1.130 1.125
Marina Carobbio 1.673 1.428
7.183 5.652 5.077 4.120
5.145 4.240 4.657 4.348
4.624 4.098
Decida il popolo. Sono bastati sei mesi all’alleanza contro le esportazioni di armi nei Paesi in guerra civile a trovare le necessarie firme per la cosiddetta «Iniziativa correttiva», ufficialmente denominata «Contro l’esportazione di armi in Paesi teatro di guerre civi li». Il testo, munito di oltre 134.000 sottoscrizioni, è stato depositato alla Cancelleria federale. L’iniziativa vuo le fissare nella Costituzione il diritto per Parlamento e popolo di avere voce in capitolo nella vendita all’estero di materiale bellico. Attualmente tale competenza spetta esclusivamente al Governo. «Con le norme attuali non si può impedire che armi elvetiche siano usate in conflitti interni», ha affermato la consigliera nazionale Priska Seiler
4.375 3.006
Graf (PS/ZH), copresidente della coa lizione. Martin Landolt (PBD/GL), suo collega alla Camera del popolo e anch’egli copresidente dell’alleanza, ha aggiunto: «È nell’interesse dell’in dustria riguadagnarsi la fiducia». Vogliamo la felicità. Un gruppo gine vrino diretto dall’economista Olivier Rigott ha lanciato l’idea di iscrivere nella Costituzione del Cantone l’o biettivo di misurare la felicità genera le della popolazione, in opposizione alla misura della ricchezza economi ca indicata dal prodotto interno lordo (PIL). L’idea viene dal Bhoutan, dove il re nel 1972 ha deciso di impegnar si per la felicità del suo popolo e di misurarla con l’aiuto di un gruppo di
Fonte: Cantone Ticino
1° turno. Partecipazione 49,1%
esperti messi a disposizione dalle Na zioni Unite. I bhoutanesi guadagnano in media 2.415 dollari all’anno, gli svizzeri 78.000 franchi. Ancora primi. Gli svizzeri rimango no i più benestanti al mondo. Lo rivela la decima edizione del «Global Wealth Report». La ricchezza media per adul to nella Confederazione si attesta a metà 2019 a 564.650 dollari (quasi la stessa somma in franchi). Rispetto allo scorso anno il patrimonio medio di ogni svizzero è aumentato di 17.790 dollari, segnando la progressione più marcata sul piano internazionale, in questa speciale classifica gli elvetici superano statunitensi, giapponesi e olandesi.
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«Matrimonio per tutti» una sfida esigente La Svizzera non ha potuto sottrarsi a un movimento di idee che ha portato anche a nuove regolamentazioni giu ridiche in vari Paesi europei sotto l’e tichetta «matrimonio per tutti». Rico struire i dibattiti e le iniziative legate a questa problematica durante l’ultimo decennio, anche limitandoci solo alla Svizzera, sarebbe impresa quanto mai complessa e non può essere proposta in queste pagine di «Dialoghi». Qui si intende solo aprire un esame di alcu ni problemi sottostanti al dibattito in corso, per dare a chi legge alcune coor dinate «di riflessione cristiana», come recita il sottotitolo della nostra rivista. Da alcune settimane è aperta una pro cedura di consultazione in cui si espri mono una serie di istituzioni operanti in Svizzera, chiamate a esprimersi su un progetto formulato dalla commis sione giuridica del Parlamento. L’As semblea dei delegati della Federazio ne delle Chiese protestanti svizzere ha preso posizione a larga maggioranza in termini positivi nei confronti della procedura in corso. La Conferenza dei vescovi svizzeri aveva pubblica to alcune settimane prima uno scarno comunicato stampa in cui non si entra va esplicitamente in materia ritenendo che la regolamentazione del matrimo nio civile non fosse di sua diretta com petenza e che il matrimonio canonico non sperimentasse alcun cambiamen to a causa di questo movimento tutto interno allo Stato. La medesima Con ferenza manifestava comunque una chiara preoccupazione per i diritti dei bambini che nascessero sotto le nuo ve condizioni e regolamentazioni in consultazione. Come vanno interpretate queste due diverse voci da parte delle principa li Chiese cristiane del nostro Paese? Possono dare un contributo alla di scussione pubblica intrapresa dagli or gani legislativi svizzeri? Penso che per dare una risposta articolata a questo interrogativo sia necessario rivolgere innanzitutto uno sguardo al passato, in modo da capire per quali motivi le due principali tradizioni confessiona li abbiano manifestato preoccupazioni e motivazioni diverse nei confronti di un cambiamento radicale della legisla zione matrimoniale civile.
Pur vivendo infatti nella prima parte del secolo ventunesimo, siamo tutti più o meno coscientemente debitori di due grandi rivolgimenti avvenuti all’i nizio del sedicesimo, rispettivamente del diciannovesimo secolo. di Alberto Bondolfi
Il primo corrisponde allo sviluppo della Riforma protestante nel primo Cinquecento. I Riformatori, pur con accenti diversi, intendono non tanto sminuire il senso teologico del matri monio né abolire ogni regolamenta zione pubblica di questa istituzione, ma piuttosto sottrarlo al monopolio del diritto canonico e dei tribunali ec clesiastici. In tale contesto va vista la negazione del carattere sacramentale del matrimonio stesso e l’afferma zione secondo cui esso sarebbe una «realtà mondana e secolare» («ein weltlich Ding»). Così sorgono subito, ad esempio in vari cantoni della Sviz zera tedesca, tribunali che gestiscono conflitti matrimoniali, amministrati da personale laico. La Chiesa cattolica reagisce a questa tendenza con un riordino dottrinale e organizzativo, in seno al Concilio di Trento. Si conferma non solo il carat tere sacramentale del matrimonio per ogni persona battezzata ma si fa ordine anche negli aspetti organizzativi affer mando la piena e unica competenza dell’autorità ecclesiastica in materia matrimoniale. Gli Stati cattolici in Europa si riconoscono in questa si tuazione di monopolio e perciò non legiferano in materia matrimoniale, lasciando la competenza alle autorità ecclesiastiche. Là dove l’unità confes sionale dei territori di una casa rea le cattolica è perseguita in maniera decisa, come ad esempio in Francia, l’unica forma di matrimonio rimane quello canonico, gestito direttamen te dal clero cattolico. I protestanti e gli ebrei, che pure vivono nel Paese, devono cercare forme illegali di con cubinato e non possono avere figli o figlie «legittimi». Il mariage civil, introdotto da Napo leone, è preso come esempio da molte altre nazioni europee. La Chiesa cat tolica reagisce negativamente e tollera
a malapena che si faccia precedere il matrimonio civile a quello canoni co. È ancora vivo in me un ricordo d’infanzia, quando come chierichetto osservavo il prevosto del mio paese preoccupato della presenza del «foglio rosa», testimone scritto dell’avvenuto matrimonio civile, e ciò prima di ini ziare la cerimonia religiosa. I due rivolgimenti sommariamente ac cennati hanno marcato profondamente le mentalità delle nostre popolazioni nei confronti del matrimonio. Neppure i cosiddetti «matrimoni misti» (che in Svizzera sono i due terzi di quelli ce lebrati in una chiesa cristiana) hanno cancellato le mentalità diverse legate alle due diverse tradizioni confessio nali in materia. Nessuno comunque mette più in discussione la competen za statale in materia matrimoniale. Le istanze cattoliche ufficiali, cioè i ve scovi, i tribunali ecclesiastici e il clero, accettano l’attuale regime «duplice», ben sapendo che in caso di conflitto, come nel caso di divorzio, le regole e le procedure sono diverse. Ora stiamo assistendo ad un terzo cambiamento di paradigma nella comprensione e nella gestione del matrimonio: un possibile accesso anche a coppie del medesimo sesso. Per capire questo terzo rivolgimento bisognerebbe anche esaminare, sia pur sommariamente, i cambiamenti avve nuti recentemente nella comprensione e valutazione del fenomeno dell’omo sessualità. Qui i cambiamenti sembra no essere ancora maggiormente radi cali, poiché si è passati dalla crimina lizzazione delle condotte sessuali tra persone del medesimo sesso a una loro accettazione parziale anche se sempre molto nascosta dalla sfera pubblica. La Confederazione aveva intrapreso durante gli anni Novanta del secolo scorso una revisione del Codice pe nale in materia sessuale proteggendo i minori in maniera uguale e non più distinguendo tra comportamenti etero e omosessuali. La maggior parte dei Paesi europei ha cercato di rendere visibile e legale la realtà delle coppie del medesimo sesso dando a queste uno statuto vicino (ma non uguale) a quello matrimoniale.
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Tre dei paesi che ci circondano geo graficamente: la Francia, la Germania e l’Austria, hanno legiferato in ambito matrimoniale aprendo questa istitu zione a coppie del medesimo sesso. La Svizzera segue, non tanto per ora accompagnando l’impresa legislativa con un dibattito di fondo quanto piut tosto trattandone in maniera pragmati ca. Le coppie omosessuali che vivono da noi infatti, qualora volessero veder riconosciuto il loro legame legalmen te, potrebbero facilmente accedere al matrimonio nei Paesi che ho citato e poi farlo trascrivere nei nostri registri di stato civile. Sarebbe difficile per le nostre istanze impedire una simile condotta. Si apre qui un quesito ulteriore legato al dibattito in corso: la comunità omo sessuale in Svizzera vuole veramente
il «matrimonio per tutti»? La mia ri sposta non può esser evidentemente documentata da una ricerca empirica seria, si limita a una semplice impres sione soggettiva. Mi sembra che si possa parlare di una unanimità delle associazioni a favore di un accesso delle coppie LGBT (lesbiche, gay, e al tre minoranze sessuali) all’istituzione matrimoniale. Non tutte le coppie del medesimo sesso intendono comunque voler accedervi necessariamente. Che cosa si nasconde dietro questa dupli cità di atteggiamento? Al di là del dibattito politico che ci attende attorno al «matrimonio per tutti», rimane aperta la necessità di una riflessione di carattere etico, sia filosoficamente che teologicamente connotata, attorno al riconoscimento del fenomeno omosessuale. Pur rima
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nendo un fenomeno minoritario da un punto di vista quantitativo, esso merita un riconoscimento in termini di uguale dignità morale e quindi di poter essere istituzionalizzato secondo i medesimi criteri da un punto di vista giuridico. Le persone omosessuali vogliono es sere riconosciute come ugualmente degne di volersi amare, ma al contem po una parte di esse vuole anche che venga onorata la loro diversità, rispet to alla maggioranza della popolazione. Questa duplice esigenza non potrà fa cilmente diventare oggetto di paragrafi di legge, ma resterà una necessità mo rale cui nessuno di noi potrà sottrarsi. Segnaliamo, di Alberto Bondolfi, un contributo pubblicato il 7 novembre dal servizio in lingua tedesca kath.ch, dal titolo: «Warum die Bischöfe bei der Ehe für alle zurückhalten». (red.)
Un anno cruciale delle donne Ma la parità non c’è ancora A quasi 40 anni dall’introduzione nel la Costituzione svizzera del principio della parità tra donna e uomo (1981) e a più di 20 dall’entrata in vigore della legge sulla parità dei sessi, la condizione femminile in Svizzera e in Ticino è senz’altro migliorata, ma in molti ambiti non ha ancora raggiunto gli standard che ci si dovrebbe atten dere da un paese ricco e a vocazione democratica come è il nostro. Un dato su tutti quello della disparità salariale, che ammonta in media a 657 franchi al mese, ma che nel settore finanzia rio arriva a 1.300. Complessivamente alle donne sono sottratti ogni anno 7,7, miliardi di franchi così che le loro pen sioni sono il 63% di quelle maschili. Ma ci sono altri punti dolenti: le don ne sono sempre sotto rappresentate in politica con il 25,3% negli esecutivi e il 29,2% nei legislativi cantonali e con il 27,4% negli esecutivi e 31,9% nei legislativi comunali. La violenza strutturale e quella do mestica non sono state debellate: nel 2016, il 74% delle vittime di omici di erano donne e ragazze, così come il 95% di quelli accaduti tra le mura domestiche. L’assicurazione maternità è ancora considerata un lusso: migliaia di don ne non possono tornare al lavoro dopo una pausa dedicata alla maternità, vuoi perché sono state licenziate (una mam
ma su 10), vuoi perché non riescono a conciliare famiglia e lavoro. Le donne si fanno carico della maggioranza dei lavori domestici, il lavoro di cura di famigliari malati, anziani, con andicap è svolto soprattutto da donne e non è né socialmente sufficientemente rico di Daria Lepori
nosciuto né retribuito (è stimato a 4 miliardi all’anno il salario non corri sposto alle donne per attività in questi ambiti). Inoltre, le scelte professionali delle ragazze sono canalizzate ancora troppo verso professioni «tipicamente femminili», di solito meno retribuite. Occorrono pertanto ulteriori sforzi della politica e dell’economia per realizzare quanto scritto nella Costi tuzione e stabilito per legge. Ma anche nella testa di ogni cittadina e cittadino ci sono molte barriere e preconcetti che è ora di superare. Cronaca di un anno Nel mese di ottobre del 2018, la Fe derazione Associazioni Femminili Ticino Plus (FAFTPlus) ha dato il via alla Campagna «Io voto donna!» in vista delle elezioni cantonali. Nel 2019 ricorre infatti il 50° anniversa rio del voto alle donne in Ticino e l’appuntamento quadriennale ha as
sunto maggiore importanza rispetto alle tornate elettorali del passato. La Campagna, che intendeva accorciare le distanze tra le cittadine e la poli tica attiva e soprattutto far riflettere i partiti e l’elettorato sui benefici per le istituzioni democratiche nel promuo vere i talenti femminili, si è articolata in due momenti. Durante una prima fase, sono state interpellate le donne in modo trasversale ai partiti invitandole a proporsi per le liste. Il risultato più appariscente è stata la presentazione della lista «Più donne» con 90 can didate. La seconda fase della Cam pagna «Io voto donna!» ha cercato di convincere l’elettorato (femminile al 54%) a votare candidate donne dando loro visibilità nei media tradizionali e sui social. Un’ulteriore iniziativa, già iniziata nel quadriennio precedente, è l’«Agenda politica per la parità». Si tratta di un processo partecipativo che si rivolge a candidati e candidate di tutti gli schieramenti partitici con l’o biettivo di aprire un confronto dialet tico e costruttivo con il Parlamento e i decisori politici. L’Agenda ha definito una decina di obiettivi per realizzare le pari opportunità che sono a disposizio ne degli eletti, affinché le realizzino. Parallelamente sono iniziati i prepa rativi per lo sciopero nazionale delle donne, indetto da sindacati, partiti di sinistra, movimenti e associazioni atti
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vi nell’ambito della migrazione, della prevenzione alla violenza per protesta re per la lentezza nella realizzazione delle pari opportunità. Centinaia di comitati in tutto il paese si sono dati da fare per organizzare regionalmente la giornata di venerdì 14 giugno e per mobilitare donne e uomini a una mas siccia partecipazione alla giornata di protesta, di festa e di rivendicazione: più tempo, più salario, più rispetto! Il 7 aprile le cittadine e i cittadini tici nesi hanno dato nuova forma al parla mento cantonale scegliendo 31 donne. Finalmente, dopo 50 anni, i 30 seggi che nel 1969 erano stati aggiunti per accogliere le donne sono stati occu pati! In occasione della giornata dello scio pero delle donne, a Bellinzona sono confluite nel pomeriggio quasi 10.000 persone, che in mattinata avevano par tecipato, nei centri maggiori, a vari eventi. Anche a livello nazionale la partecipazione è stata massiccia e ha superato il mezzo milione di persone. Il 13 ottobre, anche le votazioni per il rinnovo delle due camere del parla mento hanno subìto l’influsso positivo dello sciopero delle donne: la presen za femminile al Consiglio Nazionale è arrivata con 84 donne al 42%, mentre al Consiglio degli Stati ne conta 12 rappresentanti (26%). Anche il Canton Ticino, per la prima volta, è rappresen tato alla Camera alta da una donna: Marina Carobbio. Per il momento, il Consiglio federale è composto da 3 donne e 4 uomini. Cronaca di mezzo secolo 3 marzo 1957: votazione femminile di protesta – In occasione della votazione federale sull’introduzione di un ser vizio civile obbligatorio per uomini e donne, le associazioni femminili sviz zere lanciano l’idea di una votazione di protesta affinché le donne possano esprimersi su un tema che le riguarda direttamente. L’idea è ripresa a Luga no, dove 2.675 donne si recano alle urne allestite in una palestra: sono più numerose dei votanti maschi recatisi alle urne per la vera votazione e 1.972 di loro – utilizzando una scheda bianca – protestano per il fatto di non essere in possesso dei diritti civici. 1° febbraio 1959: sì al suffragio fem minile nel Canton Vaud – In occasione della prima votazione federale sul voto e l’eleggibilità delle donne, il Canton Vaud pone la medesima questione per il livello cantonale. Mentre sul piano federale la sconfitta è netta (66,9% di no), gli elettori maschi vodesi (52,6,%)
accettano di misura di condividere i loro diritti civici. Neuchâtel dirà sì alle donne nel corso dello stesso anno, se guito da Ginevra nel 1960. 19 ottobre 1969: sì al suffragio fem minile in Ticino – I seggi in Gran Con siglio passano da 60 a 90 per far posto alle donne. 7 febbraio 1971: sì al suffragio fem minile in Svizzera – Gli uomini aventi diritto di voto approvano in votazione popolare il diritto di voto e di eleggi bilità delle donne a livello federale. Nell’ottobre dello stesso anno, alle prime elezioni federali a partecipazio ne femminile, le donne conquistano 10 dei 200 seggi del Consiglio nazionale e 1 dei 44 seggi di quello degli Stati. 14 aprile 1971: elezione delle prime donne nel Gran Consiglio ticinese. Ri sultano elette 14 candidate su 88; sono Linda Brenni, Dionigia Duchini, Ersi lia Fossati, Elsa Franconi-Poretti, Ro sita Genardini, Elda Marazzi, Rosita Mattei, Alice Moretti, Dina PaltenghiGardosi, Ilda Rossi, Marili TerribiliniFluck. 28 gennaio 1976: istituzione della Commissione federale per le questio ni femminili – La commissione extra parlamentare è incaricata di analizzare la situazione delle donne in Svizzera, di consigliare le autorità e la politica, di collaborare con la società civile e di indicare le misura necessarie per eli minare la discriminazione delle donne. 14 giugno 1981: introduzione nella Costituzione della parità tra donna e uomo – Popolo e Cantoni accolgono l’iscrizione di tale principio. (art. 8 cpv. 3). 12 febbraio 1982: parità di genere nell’istruzione – Il Tribunale federale stabilisce che la disparità di trattamen to nell’amissione alla scuola superiore è illecita. Questa sentenza dà ragione ai genitori di alcune allieve vodesi che avevano adito le vie legali contro l’ap plicazione di criteri di ammissione più severe per le ragazze. 22 settembre 1985: nuovo diritto ma trimoniale – Il popolo lo accoglie in votazione referendaria: è basato sul partenariato tra pari nonché sulla re sponsabilità congiunta di donna e uomo per la cura e l’educazione dei figli e per il mantenimento della fa miglia. 1° settembre 1988: istituzione dell’Uf ficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo – Negli anni successivi anche diversi cantoni e comuni si do tano di un proprio ufficio per le pari opportunità. 27 novembre 1990: Appenzello Inter no costretto a introdurre il suffragio
femminile – Il Tribunale federale in terpreta la Costituzione di Appenzello Interno a favore delle donne e obbliga l’ultimo cantone della Svizzera che ancora non lo prevede a introdurre immediatamente il diritto di voto e di eleggibilità delle donne. 14 giugno 1991: sciopero nazionale delle donne – Intitolato «Se le donne vogliono, tutto si ferma» è organiz zato in occasione del 10° anniversa rio dell’iscrizione nella Costituzione dell’articolo sulla parità. Vi partecipa no mezzo milione di donne. 1. luglio 1996: entra in vigore la legge federale sulla parità dei sessi – San cisce il divieto generale di discrimi nazione nella vita professionale in materia di assunzione, attribuzione dei compiti, condizioni di lavoro, retri buzione, formazione, licenziamento e promozione. Sono considerate discri minazione anche le molestie sessuali. 27 marzo 1997: adesione alla Conven zione ONU sui diritti delle donne – La Svizzera è uno degli ultimi paesi ad allinearsi. La Convenzione contempla un divieto generale di discriminazio ne, disposizioni dettagliate contro la discriminazione nella politica, nella vita pubblica, nell’economia e nella cultura, nella vita sociale e nel diritto civile, nonché l’obbligo di ogni Sta to membro a presentare regolarmente un rapporto sulla propria situazione in materia di parità. 26 settembre 2004: sì all’indennità di perdita di guadagno (IPG) in caso di maternità – Il popolo accoglie in vo tazione la revisione delle IPG in base alla quale le donne che svolgono attivi tà lucrativa dipendente o indipendente hanno diritto a un’indennità di perdita di guadagno in caso di maternità, ver sata per 14 settimane e corrispondente all’80% del reddito conseguito prima del parto. 1° gennaio 2013: entra in vigore il nuo vo diritto dei cognomi – Al momento del matrimonio donna e uomo posso no scegliere se mantenere ciascuno il proprio cognome o se eleggere uno dei due a cognome coniugale comune. 22 ottobre 2014: parità salariale – Il Consiglio federale annuncia ulteriori misure statali contro la discriminazio ne salariale delle donne. Le datrici e i datori di lavoro sono obbligati per leg ge a effettuare analisi dei salari e saran no oggetto di controlli indipendenti. 18 ottobre 2015: elezioni federali 2015 – Nel Consiglio Nazionale le donne superano per la prima volta la soglia del 30% (33% contro il 29% del 2011). Agli Stati invece si arriva solo al 15,2%.
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Nodi sciolti, inestricati (inestricabili?) Bilancio del Sinodo pan-amazzonico Ardimento nella denuncia dello sfrut tamento dissennato del vastissimo ter ritorio amazzonico e difesa corale dei diritti dei popoli indigeni, dopo aver ascoltato la loro voce dolente; apertura all’ordinazione sacerdotale di diaconi già sposati; rassegnata impotenza per il diaconato femminile. Riassumendo con tre slogan un lavoro complesso, poi tradottosi nel documento finale, queste mi sembrano le conclusioni più significative dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la regio ne panamazzonica (sul tema: «Nuovi cammini per la Chiesa e per una eco logia integrale»), che dal 6 al 27 otto bre ha dominato a Roma la vita della Chiesa cattolica romana. Evento che non esaurisce, ovviamente, quanto ac caduto, in quel mese, in Vaticano e nel le Chiese locali sparse nel mondo; ma che pur tuttavia è particolarmente im portante perché esso, sotto vari aspetti, riguarda anche la Chiesa universale, il suo futuro e la necessaria riforma di alcune sue strutture, anche prezio se, formatesi nei secoli, ma che oggi andrebbero in parte profondamente rinnovate e in parte abbandonate. Storia del Sinodo: composizione, aperture, strettoie, contraddizioni Fu Paolo VI, sul finire del Vaticano II, a istituire – nel settembre del 1965 – il Sinodo dei vescovi. Fu, quello, il modo con cui papa Montini cercò di inverare l’affermazione della collegia lità episcopale proclamata dal Conci lio l’anno precedente con la costitu zione dogmatica Lumen gentium. Ma tanto era ancora forte, in certi settori della Curia romana e dell’episcopato mondiale, e forse nello stesso pon tefice, il timore che con il Sinodo la proclamata «collegialità» mettesse in ombra i dogmi del primato pontificio e dell’infallibità papale, proclamati dal Vaticano I nel 1870, che il motu proprio istitutivo dell’organismo – Apostolica sollicitudo – non cita mai quel testo. Con la Costituzione apostolica Episcopalis communio (15 settembre 2018), Francesco ha apportato modifiche all’organismo, inserendolo nella cor nice della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, e insistendo
in particolare sulla fase preparatoria di ogni Assemblea, che dovrebbe impli care la consultazione del «Popolo di Dio». In concreto, il Sinodo prevede ancora questi tre tipi di Assemblee: di Luigi Sandri
1/ Generale, composta in massima parte da rappresentanti eletti da ogni Conferenza episcopale, in questa pro porzione: uno, se essa (come la elve tica) ha meno di venticinque membri; due, se ne ha meno di cinquanta; tre se ne ha meno di cento; quattro (come la brasiliana, la statunitense e l’italiana) se più; inoltre ad essa partecipano i capi dicastero della Curia romana; e dieci religiosi, eletti dalla Unione dei superiori generali; 2/ Straordinaria: ogni Conferenza ge nerale invia il suo presidente; la Cu ria… come sopra; i religiosi, solo tre. 3/ Speciale: ad essa prendono parte ve scovi eletti da ogni Conferenza della regione, zona, nazione o continente per cui è convocato il Sinodo (i Pae si Bassi, l’Europa…); Curia: i capidicasteri legati alla problematica di cui si occuperà l’Assemblea. Per ogni tipo di Assemblea il papa può nominare un ulteriore 15% di «padri». I Sinodi – di norma “«consultivi» – con le loro proposte «aiutano» il pon tefice a governare la Chiesa; ove il papa lo decidesse, potrebbero essere «deliberativi» (ipotesi mai avvenuta, finora). Nell’insieme, finora si sono celebrate – compresa l’amazzonica – ventinove Assemblee, di vario tipo. Il pontefice, tenendo conto, a sua discre zione, delle propositiones dei «padri», qualche mese dopo la conclusione di un’Assemblea emana una «Esortazio ne apostolica post-sinodale» sul tema discusso. «Padri», abbiamo detto: perciò queste Assemblee «patriarcali» un poco alla volta hanno sollevato critiche perché, per principio, escludono programma ticamente «madri» come partecipanti a pieno diritto. A questa «esclusione» si è cercato di rimediare includendo anche donne – 20 religiose e 15 lai
che – tra le persone che, a vario titolo, danno una mano alla Segreteria del Si nodo e alla singola Assemblea. E così nel variegato gruppo di persone che aiutano i «padri», insieme ai colleghi maschi si sono aggiunte «esperte», «teologhe», «uditrici»: tutte persone che, in senso stretto, non sono membri del Sinodo; dunque non hanno voce né attiva né passiva. Il Sinodo ha «padri», ma non «madri». Di questo gruppo di aiutanti nel 2019 hanno fatto parte an che donne e uomini indigeni, fieri dei loro costumi piumati. La prassi maschilista di escludere le «madri» stride sempre più con l’affer mazione della donna in campo sociale, culturale e politico; e contraddice le affermazioni dei papi post-conciliari sul «genio femminile» e sul riconosci mento dell’immenso lavoro che fanno le donne – religiose, madri di famiglie, ragazze – per educare alla fede figli e alunni e «tenere in piedi», nel mondo intero, parrocchie e istituzioni. Ma se, per precedenti Sinodi, le proteste pubbliche erano state rare, e contenu te, in vista di quello amazzonico sono stati firmati vari appelli per chiedere il voto alle donne; e vi è stato anche un evento, a modo suo, davvero inedito. Voices of faith è un cartello che pro muove i diritti delle donne nella Chiesa romana, denuncia le violenze (anche sessuali) che esse spesso subiscono, promuove studi e incontri per aprire la teologia alla voce femminile, soli darizza con le suore che denunciano il maschilismo ecclesiastico. Ebbene, VoF il 3 ottobre scorso – a tre giorni dall’inizio del Sinodo! – ha organizza to a Roma un incontro, dove sono con venute un centinaio di suore da tutto il mondo, per alzare la voce e chiedere che almeno le superiore generali pre senti nell’Assemblea potessero votare. Che risposta avrebbero ottenuto? L’a vrebbero saputo a fine-Sinodo. Il grido della terra, a fianco degli indigeni Lo svolgimento del Sinodo pana mazzonico ha seguito, grosso modo, quello delle precedenti Assemblee: in troduzione del relatore generale (nel caso, l’ex arcivescovo di São Paulo,
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ed ex prefetto della Congregazione del clero, l’ottantacinquenne cardinale Claudio Hummes) al dibattito in aula – massimo quattro minuti ad oratore; dibattito che partiva dall’Instrumentum laboris, il testo-base reso noto nel giugno precedente; poi discussione nei «circuli minores», i dodici rag gruppamenti linguistici: cinque ispa nofoni, quattro lusitani, due italiani e uno franco-inglese. Il frutto di questi «circuli» – ai quali hanno partecipato anche gli «assistenti», donne e uomini appena citati – ha costituito la materia con la quale, dopo un nuovo dibattito in aula, un’apposita commissione ha redatto il documento finale, di cento venti paragrafi, votati uno ad uno, tutti quasi all’unanimità, salvo due punti di cui diremo.
assassinio dei leader e dei difensori del territorio, migrazioni forzate». E definisce «peccato ecologico» la de vastazione dell’Amazzonia.
Su un problema-chiave della realtà esaminata, e cioè sulla difesa della terra abitata da millenni dagli indigeni, il testo finale afferma: «L’Amazzonia ha una popolazione di circa trentatré milioni di abitanti, tra i quali quasi due milioni e mezzo sono indigeni. Essa [7,8 milioni di kmq] si estende su nove paesi: Bolivia, Perù, Ecuador, Colom bia, Venezuela, Brasile, Guyana, Suri name e Guayana Francese. La regione è essenziale per la distribuzione delle piogge nell’America del Sud e contri buisce ai grandi movimenti dell’aria attorno al pianeta… L’acqua e la ter ra di questa regione nutrono e sosten gono la natura, la vita e le culture di centinaia di comunità indigene, con tadine, afro-discendenti, meticce…».
Diaconi sposati ordinati preti, sì; donne-diacono… chissà
E ancora: «La ricerca che fanno i po poli indigeni amazzonici della vita in abbondanza, si concretizza in quello che essi chiamano il ben vivere, che si realizza pienamente nelle Beatitu dini. Si tratta di vivere in armonia con se stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’Essere supremo, dato che vi è intercomunicazione con tutto il cosmo, dove non vi sono né escludenti né esclusi… Oggi però l’Amazzonia è una bellezza ferita e deformata, un luogo di dolore e di violenza. Gli atten tati contro la natura [miniere, spesso illegali, a cielo aperto; inquinamento dei fiumi dai quali gli indigeni prendo no l’acqua potabile; incendi dolosi che bruciano migliaia di ettari di foresta per permettere alle multinazionali di piantare erba per nutrire allevamenti di bestiame] hanno conseguenze contro la vita dei popoli: malattie dovute alla contaminazione, narcotraffico, grup pi armati illegali, alcolismo, violen za contro la donna, turismo sessuale,
In tale drammatica situazione, che deve fare la Chiesa? Essa, afferma il testo, deve essere samaritana: «L’a scolto del clamore della terra e il grido dei poveri e dei popoli dell’Amazzonia con i quali camminiamo ci chiamano ad una vera conversione integrale, con una vita semplice e sobria, alimentata da una spiritualità mistica nello stile di san Francesco di Assisi, esempio di conversione integrale vissuta con gioia. Una lettura orante della Parola di Dio ci aiuterà a scoprire i gemiti del lo Spirito e ci animerà nell’impegno per la custodia della casa comune».
Da tale amore solidale per i popoli indigeni dell’Amazzonia, il testo del Sinodo trae delle conseguenze: la Chiesa deve farsi «india», cioè deve inculturarsi nella Weltanschauung dei popoli indigeni di quel «continente», cercando con attenzione i «semi del Verbo» che anche là sono sparsi, in modo che il Vangelo diventi per quei popoli vita. Ha deciso, dunque, che si creino «riti amazzonici», cioè delle liturgie nelle quali si assumano sim bologie della cosmogonia indigena. Questo è il contesto nel quale il Sinodo ha affrontato «preti sposati» e «donne diacono». Il primo punto è stato mol to discusso nei «circuli»; e se alcuni di loro sono stati assai positivi, in al tri sono emerse forti divergenze. Ad esempio, il «circulus» italiano A, dove erano presenti vari cardinali di Curia, notoriamente contrari a qualsiasi ipo tesi che incrinasse la legge del celibato sacerdotale nella Chiesa latina, ha af fermato nella sua relazione: «Alcuni padri sinodali chiedono che in comunità cristiane con un cammino di fede consolidato siano ordinate perso ne mature, rispettate e riconosciute, di preferenza indigene, celibi o con una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che garanti scono la vita cristiana. Il Diritto cano nico permette che si richieda alla San ta Sede la dispensa dall’impedimento al Sacramento dell’Ordine di un uomo legittimamente e validamente coniu gato (CIC 1047 § 2,3). Il Diaconato permanente, ristabilito dal Vaticano II, mostra che è possibile assumere con
efficacia un impegno pastorale, sa cramentale e familiare nella Chiesa. La maggior parte delle Chiese di rito orientale che sono parte della Chiesa Cattolica conservano il clero sposato. Questa proposta si fonda sulla Sacra Scrittura, nelle lettere apostoliche (1 Tim 3:2-3,12; Tt 1:5-6)». Tuttavia, «altri padri sinodali conside rano che la proposta concerne tutti i continenti, e potrebbe ridurre il valore del celibato, o far perdere lo slancio missionario a servizio delle comunità più distanti. Ritengono che, in virtù del principio teologico di sinodalità, il tema dovrebbe essere sottoposto all’o pinione di tutta la Chiesa e suggeri scono, pertanto, un Sinodo universale [=generale] a riguardo». Da parte sua, il testo finale, votato il 26 ottobre, al paragrafo 111 afferma: «Molte comunità del territorio amaz zonico hanno enormi difficoltà per accedere all’Eucaristia. A volte pas sano mesi, se non anni, prima che un sacerdote possa tornare per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della riconciliazione o ungere gli infermi. Apprezziamo il celibato come un dono di Dio… Ma sappiamo che tale disciplina “non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio” (Presbyterorum ordinis, 16). Paolo VI, nel 1967, con l’enciclica Sacerdotalis Caelibatus confermò, tuttavia, quella legge; e così san Giovanni Paolo II nell’esortazione postsinodale del 1992 Pastores dabo vobis (n. 29). Considerando, però, che la legittima diversità culturale non reca danno alla comunione e all’unità della Chiesa ma, al contrario, testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esi stenti, proponiamo che l’autorità com petente stabilisca criteri e disposizioni, nel quadro della Lumen gentium (n. 26), al fine di ordinare sacerdoti uomi ni idonei e riconosciuti dalla comunità, che già abbiano un diaconato perma nente fecondo e ricevano una forma zione adeguata per il presbiterato, avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana mediante la predicazione della Parola e la celebra zione dei Sacramenti in zone remote della regione amazzonica. Ma, a que sto proposito, alcuni si sono espressi a favore di una trattazione del tema a livello universale». I «padri» sinodali erano 185 ma, per varie ragioni, 16 non hanno parte cipato allo scrutinio. Perciò, su 169 presenti, i «sì» sono stati 128, i «no»
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41; dunque la propositio 111 è stata approvata, avendo ottenuto almeno i due terzi dei voti, come prevede il regolamento. Il risultato è stato una sconfitta per quella parte della Cu ria – come i cardinali prefetti di varie Congregazioni: Marc Ouellet (vesco vi), Beniamino Stella (clero), Robert Sarah (culto divino) – contrarissima, o assai scettica, su quella riforma. Il fondamento teologico della proposta è che una comunità cristiana ha diritto all’Eucaristia; se è così, è forse saggio – quando mancano preti celibi – met tere al primo posto non quel diritto, ma una legge ecclesiastica, quella del celi bato sacerdotale per la Chiesa latina? I preti sposati sono stati previsti solo per «zone remote» dell’Amazzonia. Ma, adesso, anche in altre zone del mondo qualche vescovo invocherà la soluzione amazzonica, e non solo in «zone remote» – tipo certe aree del Sudafrica (dove da anni prospetta questa scelta monsignor Fritz Lobin ger, già vescovo di Aliwal) – ma an che nelle valli alpine, quelle ticinesi incluse!, o nelle città europee dove diminuisce inesorabilmente il clero, per cronica mancanza di «vocazioni». Perciò, se la proposta del Sinodo sarà accolta dal papa, le «eccezioni» alla legge del celibato diverranno valanga. Dunque, i timori dei «conservatori» sono fondati. Ma quale ipotesi alter nativa, realistica, essi propongono? E se il «sacerdozio», così come finora ufficialmente pensato, fosse lontano dal pensiero di Gesù che, per la sua comuità, prevedeva discepoli e disce pole, a prescindere dal loro «status», e non gerarchie sacrali? Comunque, per evitare strappi nella Curia e opposizioni virulente, Fran cesco potrebbe, forse, affidare ad un Sinodo generale la questione. E là sarà battaglia grande. È però anche possi bile che il papa, nella sua esortazione post-sinodale (che spera di pubblicare entro poco tempo) già accolga la pro posta, affidandone l’attuazione con creta alla REPAM, la Rete panamaz zonica che raccoglie diocesi, vicariati e prelature dell’immenso territorio, ed i cui titolari erano tutti al Sinodo.
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Se la proposta dei diaconi sposati ordinati preti è arrivata, in linea di principio, in porto, si è persa invece per strada quella delle donne-diaco no. Diversi circuli minores l’avevano sponsorizzata; ma, altri, no. Infine, il documento finale – dopo ripetute lodi al lavoro delle donne, e al loro impegno pastorale (sono esse, per lo più, che nei lunghi mesi senza preti gestiscono le comunità cristiane nei villaggi) – invoca per esse alcuni mi nisteri riconosciuti. Poi, senza nem meno sfiorare l’ipotesi della donnaprete, limitandosi alla donna-diacono, afferma, al paragrafo 103: «Nelle molte consultazioni realizzate nello spazio amazzonico, si è rico nosciuto il ruolo fondamentale delle donne religiose e laiche nella Chiesa dell’Amazzonia e nelle sue comuni tà, dati i molteplici servizi che esse svolgono. In un gran numero di queste consultazioni si è proposto il diacona to permanente per la donna. Perciò il tema è stato molto presente nel Sino do. Già nel 2016 il papa aveva creato una “Commissione di studio sul dia conato delle donne” che, come tale, è giunta ad un risultato parziale su come fosse la realtà del loro diaconato nei primi secoli della Chiesa, e poi sulle sue implicazioni oggi. Pertanto ame remmo condividere le nostre esperien ze e riflessioni con la Commissione, e speriamo nei suoi risultati» [voto: 137 «sì», e 30 «no»]. Hanno potuto votare solo i «padri». La richiesta di Voices of Faith è dunque caduta nel nulla. È davvero sconcer tante che in un Sinodo «consultivo» le donne, nel terzo millennio, non possa no votare, mentre il papa esalta il loro ruolo nella Chiesa; e inesplicabile la sua decisione. A proposito dell’auspicio espresso nell’ultima riga del paragrafo, occorre ricordare che Francesco, nel maggio 2016, durante un’udienza all’Unione delle Superiore generali, era stato invi tato da una di esse ad affrontare il pro blema della donna-diacono. Egli aveva acconsentito, e nell’agosto successivo aveva creato la desiderata commissio
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ne. Nel maggio scorso, tornando dalla Macedonia, a una domanda in merito aveva risposto che la Commissione si era come arenata, perché al suo interno erano emerse opinioni contrapposte su un nodo di fondo, che qui riassumia mo così: nei primi secoli della Chiesa le donne ricevevano il diaconato con un’ordinazione analoga a quella per i maschi, o per loro vi era solo una ceri monia non sacramentale? Il pontefice aveva aggiunto: «Se la Rivelazione proibisce la prima ipotesi, la questio ne è chiusa». Ma, proprio il 26 ottobre, dopo l’esito delle votazioni sul documento finale, il papa si è detto ben disponibile a ri avviare i lavori della Commissione, e ad allargarla: un modo per dire che, in essa, vi saranno anche rappresentanti degli indigeni amazzonici. Dunque tutto è rinviato ad un indefinito futuro: ove, infatti, quel board dicesse «sì», potrebbe il papa ammettere le donnediacono, se una parte dell’episcopato si opponesse? O ci vorrebbe un nuovo e diverso Sinodo per decidere? A me pare che anche questa vicenda dimo stri che la questione femminile, con tutti i suoi addentellati, ivi compresa la possibilità dell’ammissione del la donna a tutti i ministeri, sia tema che – per le sue implicazioni bibli che, teologiche, storiche e pastorali – supera l’autorità e l’autorevolezza di un Sinodo. Esso esige(rebbe) un nuovo Concilio generale della Chiesa romana, composto però da «padri» e da «madri». D’altronde, nel 2020 inizieranno in concreto i lavori del Sinodo tedesco, e poi quelli del Concilio australiano. Se queste Assemblee – dove le donne votano! – decidessero per la donnadiacono (e, magari, perfino per la don na-prete), o per il celibato opzionale del clero, potrebbe Roma ardire di ri spondere «no», come ha già anticipato Ouellet? Forse, ma a patto che il papa avviasse la convocazione del Conci lio generale – e non più solo clericale – della Chiesa romana. Altrimenti la tensione ecclesiale tra papa e Germa nia, e tra papa e Australia, diverrebbe lacerante.
Auguri di Buone Feste a tutti i nostri lettori
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Per una Chiesa dal volto amazzonico Rinnovato il «Patto delle Catacombe» Alcuni dei padri sinodali presenti a Roma per il sinodo sull’Amazzonia hanno ripreso e riproposto il «segno» del Patto delle Catacombe, firmato il 16 novembre 1965 da una quarantina di Padri conciliari presso le Catacombe di Domitilla. Un testo in cui si impegnavano per una Chiesa povera per i poveri. Domenica 20 ottobre 2019, sempre alle Catacombe di santa Domitilla, alcuni padri sinodali si sono ritrovati per sottoscrivere, durante la celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Claudio Hummes, relatore generale al Sinodo per l’Amazzonia, il testo che pubblichiamo nel quale vengono assunti i contenuti del dibattito dell’aula sinodale e li trasformano in un impegno personale. Non si tratta di un documento del Sinodo: è comunque un segnale rilevante della conversione che il confronto ecclesiale richiede. «Dialoghi» ringrazia I Viandanti per la messa a disposizione di questo documento. Noi, partecipanti al Sinodo pan-amaz zonico, condividiamo la gioia di vive re in mezzo a numerose popolazioni indigene, quilombolas, di abitanti delle rive dei fiumi, di migranti e a comunità delle periferie delle città di questo immenso territorio del piane ta. Con loro abbiamo sperimentato la forza del Vangelo che opera nei più piccoli. L’incontro con questi popoli ci in terpella e ci invita ad una vita più semplice di condivisione e gratuità. Segnati dall’ascolto delle loro grida e delle loro lacrime, accogliamo caloro samente le parole di papa Francesco: «Molti fratelli e sorelle in Amazzonia portano pesanti croci e attendono la consolazione liberatrice del Vangelo, la carezza dell’amore della Chiesa. Per loro, con loro, camminiamo insieme»1. Ricordiamo con gratitudine quei ve scovi che, nelle Catacombe di santa Domitilla, al termine del Concilio Va ticano II, firmarono il Patto per una Chiesa serva e povera2. Ricordiamo con venerazione tutti i martiri mem bri delle comunità ecclesiali di base, degli organismi pastorali e dei movi menti popolari, i leader indigeni, le missionarie e i missionari, le laiche e i laici, i presbiteri e i vescovi, che hanno versato il loro sangue a motivo di que sta opzione per i poveri, della difesa della vita e della lotta per proteggere la nostra Casa comune3. Alla grati tudine per il loro eroismo uniamo la
nostra decisione di continuare la loro lotta con fermezza e coraggio. È un sentimento di urgenza che si impone di fronte alle aggressioni che oggi de vastano il territorio amazzonico, mi nacciato dalla violenza di un sistema economico predatorio e consumistico. Davanti alla Santissima Trinità, alle nostre Chiese particolari, alle Chiese dell’America Latina e dei Caraibi e a quelle solidali con noi in Africa, Asia, Oceania, Europa e nel Nord del conti nente americano, ai piedi degli aposto li Pietro e Paolo e della moltitudine di martiri di Roma, dell’America Latina e soprattutto della nostra Amazzonia, in profonda comunione con il succes sore di Pietro, invochiamo lo Spirito Santo, e ci impegniamo personalmen te e comunitariamente a: 1) assumere, di fronte all’estrema minaccia del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse naturali, l’impegno di difendere nei nostri terri tori e con i nostri atteggiamenti la fo resta amazzonica. Da essa provengono i doni dell’acqua per gran parte del Sud America, il contributo al ciclo del carbonio e alla regolazione del clima globale, una biodiversità incalcolabile e una ricca diversità sociale per l’uma nità e per l’intera terra. 2) riconoscere che non siamo i pro prietari della madre terra, ma i suoi fi gli e figlie, formati dalla polvere della terra (Gen 2,7-8)4, ospiti e pellegrini (1 Pt 1,17b e 1 Pt 2,11)5, chiamati a
1. Omelia di papa Francesco nella Messa di apertura del Sinodo, Roma 6 ottobre 2019. 2. Patto per una Chiesa serva e povera. Cata combe di Santa Domitilla, Roma, 16 novem bre 1965. Al Patto, sottoscritto da 42 conce lebranti, in seguito aderirono circa 500 padri conciliari. 3. DAp 98, 140, 275, 383, 396.
4. «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vi vente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato». 5. «…comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio» (1 Pt 1, 17b); e «caris
essere sue e suoi zelanti custodi (Gen 1, 26)6. A tal fine, ci impegniamo a un’ecologia integrale, in cui tutto è in terconnesso, il genere umano e l’intera creazione, perché tutti gli esseri sono figlie e figli della terra e su di essa aleggia lo Spirito di Dio (Gen 1, 2). 3) accogliere e rinnovare ogni giorno l’alleanza di Dio con tutta la creazio ne: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere viven te che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca» (Gen 9,9-10 e Gen 9,12-177). 4) rinnovare nelle nostre Chiese l’opzione preferenziale per i poveri, specialmente per i popoli originari, e insieme a loro garantire il diritto di es sere protagonisti nella società e nella Chiesa. Aiutarli a preservare le loro terre, culture, lingue, storie, identità e spiritualità. Crescere nella consape volezza che queste devono essere ri spettate a livello locale e globale e, di conseguenza, incoraggiare, con tutti i mezzi a nostra disposizione, ad acco glierli su un piano di parità nel concer to mondiale dei popoli e delle culture. 5) abbandonare, di conseguenza, nel le nostre parrocchie, diocesi e gruppi ogni tipo di mentalità e di atteggia mento coloniale, accogliendo e valo rizzando la diversità culturale, etnica e linguistica in un dialogo rispettoso con tutte le tradizioni spirituali. simi, io vi esorto, come stranieri e pellegri ni…» (1 Pt 2, 11). 6.«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tut ti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». 7.«Dio disse: “Ecco il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. Il mio arco pongo sulle nubi es esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando radu nerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eter na tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terrà”. Dio disse a Noè: “Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra”».
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6) denunciare ogni forma di violenza e aggressione all’autonomia e ai diritti dei popoli originari, alla loro identità, ai loro territori e ai loro modi di vita. 7) annunciare la novità liberatrice del Vangelo di Gesù Cristo, nell’accoglie re l’altro e il diverso, come avvenne a Pietro nella casa di Cornelio: «Voi sapete come non sia lecito a un giu deo avere relazioni con uno straniero o entrare in casa sua. Ma Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve es sere ritenuto impuro e contaminato» (At 10,28)8. 8) camminare ecumenicamente con altre comunità cristiane nell’annuncio inculturato e liberatore del Vangelo, e con le altre religioni e persone di buona volontà, nella solidarietà con i popoli originari, con i poveri e i pic coli, nella difesa dei loro diritti e nella conservazione della Casa comune. 9) instaurare nelle nostre Chiese par ticolari uno stile di vita sinodale, in cui rappresentanti dei popoli originari, missionarie e missionari, laiche e laici, in virtù del loro battesimo e in comu nione con i loro pastori, abbiano voce e voto nelle assemblee diocesane, nei consigli pastorali e parrocchiali, in somma in tutto ciò che li riguarda nel governo delle comunità. 10) impegnarci a riconoscere con ur genza i ministeri ecclesiali già esisten ti nelle comunità, esercitati da agenti pastorali, catechisti indigeni, ministre e ministri della Parola, valorizzando in particolare la loro attenzione ai più vulnerabili ed esclusi. 11) rendere effettiva nelle comunità a noi affidate il passaggio da una pasto rale della visita a una pastorale della presenza, assicurando che il diritto 8. «Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali, ma che in qualunque na zioni chi lo teme e opera giustamente gli è gradito» (At 10, 34-35).
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alla mensa della Parola e alla mensa dell’eucaristia diventi effettivo in tutte le comunità. 12) riconoscere i servizi e la vera e propria diaconia del gran numero di donne che oggi guidano comunità in Amazzonia e cercare di consolidarli con un adeguato ministero di leader femminili di comunità. 13) cercare nuovi percorsi di azione pastorale nelle città in cui operiamo, con protagonismo dei laici e dei gio vani, con attenzione alle loro periferie e ai migranti, ai lavoratori e ai disoc cupati, agli studenti, agli educatori, ai ricercatori e al mondo della cultura e della comunicazione9. 14) assumere davanti all’ondata del consumismo uno stile di vita gioiosa mente sobrio, semplice e solidale con chi ha poco o nulla; ridurre la produ zione di rifiuti e l’uso della plastica, favorire la produzione e la commercia lizzazione di prodotti agro-ecologici, utilizzare il trasporto pubblico quando possibile. 15) metterci al fianco di coloro che sono perseguitati a causa del loro ser vizio profetico di denunciare e riparare le ingiustizie, di difendere la terra e i diritti dei più piccoli, di accogliere e sostenere migranti e rifugiati. Coltiva re vere amicizie con i poveri, visitare le persone più semplici e gli ammalati, esercitando il ministero dell’ascolto, della consolazione e del sostegno che danno sollievo e rinnovano la speranza. Consapevoli delle nostre fragilità, del la nostra povertà e piccolezza di fronte a sfide così grandi e gravi, ci affidiamo alla preghiera della Chiesa. Che so prattutto le nostre comunità ecclesiali ci aiutino con la loro intercessione, l’affetto nel Signore e, quando neces sario, con la carità della correzione fraterna. 9. Cf. DSD 302, 1.3.
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Accogliamo con cuore aperto l’invi to del cardinale Hummes a lasciarci guidare dallo Spirito Santo in questi giorni del Sinodo e nel ritorno nelle nostre Chiese: «Lasciatevi avvolgere dal mantello della Madre di Dio, Re gina dell’Amazzonia. Non lasciamoci sopraffare dall’autoreferenzialità, ma dalla misericordia davanti al grido dei poveri e della terra. Sarà necessario pregare molto, meditare e discernere una pratica concreta di comunione ec clesiale e di spirito sinodale. Questo Sinodo è come una mensa che Dio ha imbandito per i suoi poveri e ci chiede di servire a quella mensa»10. Celebriamo questa eucaristia del Pat to come «un atto di amore cosmico»: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo». L’eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è pro tesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso». Perciò l’eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’am biente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato»11. Alcuni padri del Sinodo sull’Amazzonia Testo pubblicato nel sito: www.settimananews.it
10. Claudio Hummes, Prima Congregazione generale del Sinodo amazzonico. Relazione introduttiva del Relatore generale, Roma, 7 ottobre 2019 (BO 792). 11. Laudato si’, n. 236.
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Escatologia e climatologia
Fine del mondo e Fridays for future Un anno fa, in occasione della Confe renza sul clima (COP 24) a Katowice in Polonia, faceva la sua prima com parsa sui media globali l’allora quin dicenne svedese Greta Thunberg. In un intervento della durata di soli tre mi nuti, usando il «noi» a esprimere che stava parlando a nome dell’intera sua generazione di adolescenti, accusava i potenti del mondo e anche in generale tutti gli adulti complici o indifferenti: «Ci rubate il futuro», per salvaguarda re gli interessi di pochi ricchi, incuranti della miseria che colpisce grandissima parte dell’umanità. E concludeva con un monito inequivocabile: «Il cam biamento verrà, che vi piaccia o no. Il potere appartiene alla gente». Venuti a sapere di Greta, suoi coetanei in varie parti del mondo hanno seguito l’esem pio. Greta era un modello da imitare. Si è scritto: «un’icona», il suo imper meabile giallo è diventato «iconico». A gennaio Greta è andata al World Economic Forum di Davos. L’ha defi nito un posto dove si vuole parlare solo di successi e ha respinto l’invito dei grandi alla speranza. «Non voglio la vostra speranza. Voglio che siate pre si dal panico. Tutti devono provare la paura che provo io tutti i giorni. La nostra casa è in fiamme». Il 15 marzo, centinaia di migliaia di giovani in tutto il mondo hanno par tecipato al primo «sciopero globale» per il clima. Per prepararsi, hanno in cominciato a incontrarsi regolarmen te, tutti i venerdì, come Greta, per i Fridays For Future. Ormai è come un movimento spontaneo globale di innumerevoli gruppi di giovani e gio vanissimi, siglato FFF. Lo sciopero si è ripetuto a maggio e poi a settembre in contemporanea con il Vertice ONU sul clima. Tra il 20 e il 27 di novem bre si conta che più di sette milioni di giovani in tutto il mondo abbiano partecipato alle manifestazioni. Il panico provato da Greta è condivi so dai suoi coetanei sparsi sul piane ta. A Milano, a settembre, in Piazza Duomo, davanti a 150.000 giovani un grande mappamondo di carta è stato dato alle fiamme. I ragazzi sono mol to impegnati e creativi nel produrre cartelli, striscioni, flash mob, perfi no carri con grandi istallazioni. Non
manca l’elemento ludico, ironico, e il messaggio che non c’è un Pianeta «B» e che «la casa brucia ma non ci dite dov’è l’uscita di sicurezza». «Siamo terrorizzati». È anche molto ragionevole essere terrorizzati. Come ha incominciato a dire Greta e ora tutti pensano con chiarezza: se adulti e anziani nei loro Vertici affermano che bisogna interve nire entro il 2020, …30, o …50, cioè quando loro avranno forse settanta, ottant’anni, ma non lo fanno, che ne sarà di noi? di Marina Sartorio
Un esperto divenuto popolare in area linguistica italiana, il climatologo Luca Mercalli, da anni ci dice come sta il pianeta e che cosa si può fare, che cosa ognuno, anche semplice cittadi no, può fare per salvarsi. Un suo libro del 2011 si intitola: «Prepariamoci. Un piano per salvarci». Salvare noi, non il pianeta. Il pianeta non è in pericolo, continuerà a esserci, per quanti disastri noi umani possiamo fare. Ma forse noi non ci salveremo. La fine possibile riguarda noi, la fine del nostro tempo. La «fine dei tem pi». I segni di questa possibile fine del tempo, i «segni dei tempi», sotto questo aspetto non mancano e il loro susseguirsi e moltiplicarsi nei media potrebbero (dovrebbero?) metterci in allerta: incendi, uragani, siccità, allu vioni, frane, ghiacciai che si sciolgono e oceani che si alzano. L’enciclica «Laudato si’», quattro anni fa, ha scosso molte coscienze, anche laiche, anche lontane dalla Chiesa cat tolica e da ogni tipo di appartenenza religiosa. Ha sollecitato e sollecita vari ambienti progressisti, ecologisti. Ha anche mosso nelle chiese, nelle par rocchie, gruppi di discussione e anche di azione, che producono cambiamenti concreti negli stili di vita, nelle prati che, come il risparmio energetico de gli edifici, riciclo, ricupero, riduzione degli sprechi, sobrietà, ecc. Un’ecologia «integrale» è al centro della «Laudato si’», che comporta giustizia sociale e anche una giusti
zia «tra le generazioni»: che pianeta lasciamo alle generazioni che ci se guiranno? Proprio quello che ci stanno chiedendo i giovani, i bambini (ricor diamo che la Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia, del 20 novem bre 1989, definisce come «fanciullo» «ogni essere umano avente un’età in feriore a diciott’anni») di FFF. Cosi come per la povertà, lo sfruttamento, la violenza di genere, è importante e giusto che siano le vittime a prendere la parola e a dire di che cosa hanno bisogno, che cosa vogliono e come vogliono agire, e che siano messe in condizione di agire, le generazioni che più sono messe in pericolo dal cam biamento climatico provocato dalle generazioni precedenti devono poter prendere la parola e agire. Come la Teologia della liberazio ne e tutta la teologia postconciliare più progressista ci hanno insegnato, possiamo, dobbiamo dare ascolto ai profeti che leggono i segni dei tem pi, denunciano le ingiustizie e anche i colpevoli di ingiustizia, e indicano quali possono essere le vie concrete di «conversione». Termini che possono sembrare vetusti e fuori luogo posso no tornare in uso, declinati secondo la situazione e la sensibilità di oggi. Il panico, la rabbia e le accuse delle migliaia, milioni di ragazzi e bambini come Greta sono voci profetiche an che fresche di spontaneità e creatività. La prossima Giornata Globale era in programma alla fine di novembre, poco prima della COP 25 da tenersi a Madrid dal 2 al 13 dicembre. Si con cluderà così l’anno che ha segnato una svolta nel protagonismo delle giovani generazioni per il clima. OFFRITE «DIALOGHI» A UN GIOVANE LETTORE! Ai suoi lettori più giovani, «Dialoghi» propone un abbonamento a prezzo scontato. Per 30 franchi, invece di 60! I trenta franchi che mancano li versa il comitato di «Dialoghi» al momento di saldare la fattura della stampa. Perché non ci date una mano, lettori più anziani, a trovare lettori giovani alla rivista? Raccoglie le vostre segnalazioni la Redazione-Amministrazione di «Dialoghi», c/o Rita Ballabio, via Girora 26, 6982 Agno, rita.ballabio@bluewin.ch.
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TESTIMONI Newman, santo e pensatore libero “La coscienza è l’originario vicario di Cristo” Henry card. Newman Può parere un fatto insignificante (e difatti la grande stampa ne ha par lato pochissimo) la canonizzazione, avvenuta il 13 ottobre, di un vecchio cardinale inglese appartenuto a un’e poca della Chiesa che tutti pensiamo di esserci lasciata alle spalle, autore di scritti sempre un po’ dentro un po’ fuori da quella che veniva considerata la retta dottrina… Eppure, se c’è un santo vicino alle crisi di coscienza e alle revisioni laceranti cui si espongo no i credenti che non hanno rinunciato a pensare, questo è Henry Newman (1801-1890): presbitero anglicano (1825), predicatore nel più tradizio nale dei college di Oxford: il Balliol,
«Conducimi tu, luce gentile…» Conducimi tu, luce gentile, conducimi nel buio che mi stringe. La notte è buia, la casa lontana, conducimi tu, luce gentile. Tu guida i miei passi, luce gentile, non chiedo di vedere assai lontano: mi basta un passo, solo il primo passo, conducimi avanti, luce gentile. Io volli certezze, dimentica quei giorni, purché l’amore tuo non m’abbandoni; sinché la notte passi, tu mi guiderai sicuramente a te, luce gentile. NOTA. Questa versione italiana, cantata anche nelle nostre chiese, è di Crispino Valenziano ed è una parafrasi del testo originale. Quello di Newman è più elabo rato, anche la musica (da A. Ortolano) è stata semplificata. Risulta solo accenna ta, per esempio, l’umile retrospettiva dei suoi anni giovanili: I was not ever thus, nor prayed that thou shouldst lead me on: I loved to choose and see my path; but now lead me on! I loved the garish days, and, spite of fears, pride ruled my will: remember not past years! (Non sono sempre stato così, né pregavo che tu mi guidassi: mi piaceva scegliere da me e vedere dove andare: ora però guidami tu. Io li amai quegli splendidi giorni in cui, senza paura, era l’orgoglio che guidava il mio volere: dimentica quegli anni passati! Per l’originale sia del testo sia della musica: www.lead.kindly.light.
convertito al cattolicesimo nel 1845, ordinato prete due anni dopo, strenuo fautore della libertà del cristiano e per questo in continua tensione e dialo go con le istituzioni ecclesiastiche… Davvero si realizzerebbe una trilogia perfetta se la Chiesa di papa France sco offrisse l’identico riconoscimento a due… finora solo «beati» che, come lui e nel suo stesso tempo, in Italia e in Francia, accettarono di dialogare da cattolici con il mondo moderno: Antonio Rosmini e Federico Ozanam. Giovanni Paolo II disse, una volta: «È proprio a causa del Concilio che sentiamo in Newman un nostro au tentico contemporaneo spirituale». Con il Vaticano II la Chiesa crede di aver girato definitivamente una pagina di storia quasi due volte centenaria. Il Settecento libertino e anticlericale aveva messo con le spalle al muro il cattolicesimo della Controriforma, ma dopo la caduta di Napoleone era sem brato ai papi e ai governi cattolici che tutto potesse/dovesse tornare come prima. Solo pochi spiriti eletti com presero che nell’affermazione del pri mato della coscienza e nella lotta per la separazione della Chiesa dallo Stato non vi era solo una pretesa libertaria e anticlericale ma anche il germe di una nuova comprensione della Chiesa e dello stare nel mondo come cristiani. Chi osò parteggiare per il nuovo, anche i più miti e meno desiderosi di rottu ra con l’autentica tradizione cattolica (come Alessandro Manzoni) fu osteg giato dagli implacabili gesuiti in nome dei «diritti della Chiesa». Newman stesso finì all’Indice: e non per nulla l’abolizione dello sciagurato elenco fu una delle prime decisioni di papa Paolo VI dopo il Concilio. Ma anche Mastai Ferretti (il papa del «Sillabo», Pio X, 1792-1878) sarebbe passato a miglior vita, e il suo successore: Leo ne XIII (il papa della «Rerum nova rum», 1810-1903) non attese neppure un anno per fare del mite e coraggioso inglese il primo dei cardinali da lui eletti. Newman morì nel 1890. Leggere Newman? Certo, è tutto tra dotto, salvo credo i molti volumi dei suoi sermoni domenicali nella chiesa degli studenti di Oxford. Un’ottima sintesi, con puntuali rimandi ai fatti salienti della sua biografia e dei suoi scritti, si trova in: John Henry New man, Lettera al Duca di Norfolk. Coscienza e libertà, Paoline 1999, pp. 450, con una ricca Introduzione di Va
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lentino Gambi, molte note, biografia e bibliografia: quanto potrebbe bastare per dei non-specialisti quali sono, in generale, i lettori di «Dialoghi» Come, poi, si possa pregare tra il dubbio e la speranza, lo suggerisce il bellissimo inno di Newman: Lead, kindly light, tradotto: Conducimi tu, luce gentile, che riproduciamo in que sta pagina. E.M.
Ribelle per amore Teresio Olivelli (1916-1945) è stato beatificato il 3 febbraio del 2018, ri conosciuto come «martire per odio della fede». Una motivazione che va interpretata con attenzione. Olivelli morì nel campo di concentramento na zista di Hersbruck, dopo il pestaggio subito per avere difeso un compagno di prigionia dalle angherie di un kapò. Possiamo affermare che fu ucciso in quanto cristiano, come la dicitura «in odium fidei» suggerisce? La risposta è sì e il libro di Anselmo Palini (Teresio Olivelli. Ribelle per amore, Roma, AVE, 2018) ci porta a capire per quale motivo. L’autore inquadra la storia di Olivelli in quella di una generazione cresciuta in una pedagogia totalitaria, avendo nel fascismo gli unici riferi menti per leggere la realtà. Anche Oli velli, membro dell’Azione cattolica dalla sua giovinezza, per lunghi anni credette alla compatibilità fra i valori cristiani e quelli proposti dal regime, fino a ricoprire la carica di segretario del locale Istituto di cultura fascista e scegliendo di partire volontario per la campagna di Russia. Fu l’esperienza della guerra a rompere questa illusio ne, facendo emergere che le esigenze evangeliche della fraternità e della solidarietà si scontravano spontanea mente con la visione fascista del mon do. A partire da questo punto, la vita di Olivelli procedette nel senso dell’ap profondimento progressivo di una im pegnativa sequela di Cristo, prima con la scelta di aderire alle formazioni par tigiane cattoliche nel Bresciano, poi, in seguito alla cattura e alla deportazio ne in Germania, con la testimonianza quotidiana del servizio ai compagni di prigionia. Un atteggiamento che era denuncia implicita del sistema concen trazionario, che non poteva ammettere quei gesti di solidarietà, che afferma vano un mondo di valori diverso dal proprio. L’uccisione di Olivelli fu per tanto il manifestarsi definitivo dell’in compatibilità fra Vangelo e fascismo. (da un testo di Enrico Scuri su «Aggiornamenti sociali», ottobre 2019)
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La democrazia è in crisi: constatazioni e rimedi Alla crisi della democrazia di cui parlano e scrivono ormai molti, è dedicato l’articolo di apertura della rivista milanese «Aggiornamenti sociali», ottobre 2019, per la penna del suo direttore, il gesuita Giacomo Costa: «Una profonda disaffezione nei con fronti della democrazia è ormai certi ficata anche da statistiche internazio nali. Secondo un sondaggio svolto in 27 Paesi da Pew Research e pubbli cato nello scorso aprile, in media il 51% degli intervistati è insoddisfatto di come la democrazia sta funzio nando nel proprio Paese, con un mi nimo del 30% in Svezia e un massi mo dell’85% in Messico. In Italia la percentuale di insoddisfatti risulta nel 2018 del 70%. Il malcontento affon da le radici nelle preoccupazioni per l’economia, per la tutela dei diritti individuali e i privilegi delle élite, ed è alla base dell’affermazione di leader e movimenti che si definiscono antisistema. Questo affaticamento della democrazia è confermato dalla sensazione che essa abbia perduto la propria capacità propulsiva del cam biamento sociale. In molti Paesi, e in particolare tra i più giovani, le forze democratiche sono spesso percepite impegnate nella difesa dello status quo, mentre le proposte più radicali di cambiamento sociale, che catturano l’immaginazione e accendono l’entu siasmo, paiono provenire da forze di diversa matrice» (p. 622). L’autore cita tra le varie cause di questa disaffezione le seguenti principali: «Il primo elemento istintivo del nostro tempo è il primato della concretezza rispetto alle teorie, i principi e i valori. È il portato della fine delle ideologie, con il corollario di una sostanziale indifferenza a quelle che un tempo sarebbero state percepite come con traddizioni. Senza problemi oggi si afferma una cosa e poco dopo il suo contrario, i nemici giurati diventano alleati e gli alleati nemici giurati. La parola, sempre portata all’eccesso per motivi di campagna elettorale, non è espressione di convinzioni profonde e non impegna: l’importante è ciò che si fa, o meglio ciò che si annuncia di fare. Da qui passaggi che ad alcuni paiono
surreali, ma che ad altri non pongono assolutamente problema». «Un secondo elemento è la perdita di valore dei fatti come ancoraggio argomentativo e della verità, sempre più frammentata e “personalizzata”, ridotta a una delle tante opinioni tra cui ciascuno sceglie sulla base di una consonanza emotiva e non della soli dità di un’argomentazione. È il feno meno per cui è stato coniato il termine post-verità e che riguarda l’incapacità di avere a che fare con un mondo che appare come troppo complesso, tra l’altro senza disporre di tutte le infor mazioni rilevanti. La semplificazione risulta così allettante e chi è capace di proporla (o di “venderla”) ne risulta avvantaggiato. «Cambia così radicalmente il tenore del discorso politico: l’argomentazio ne razionale, arma ormai spuntata, è sostituita dalle tecniche comunicative di gestione del consenso, che obbliga no però i leader politici a essere anche follower, a inseguire gli umori dell’o pinione pubblica, fornendo ai soste nitori da compiacere una trattazione senza tentennamenti o compromessi, a prescindere dal suo grado di realtà. Complici anche gli strumenti tecno logici utilizzati, questa modalità co municativa produce circuiti chiusi al cui interno circola una sola opinione, quella gradita a chi ascolta e per que sto veicolata da chi parla, svuotando lo spazio pubblico come luogo di con fronto fra posizioni diverse» (p. 624). Pierluigi Castagneti, già parlamentare italiano, in «Appunti di cultura e politica» (2019,4) a pagina 12, circa la crisi della democrazia, osserva: «[Si è spezzata] la convenzione non scritta ma sempre realizzata nella vita repubblicana, secondo cui il popolo ri conosce alle élite il ruolo del governo dei vari sottosistemi del potere: quel lo politico, quello religioso, quello professionale, quello finanziario. Gli effetti della globalizzazione non go vernata, da un lato, e della rivoluzione digitale dall’altro, avrebbero contribu ito a revocare tale delega. È lì che è stato in parte liquidato il metodo della mediazione come valore portante di ogni modello democratico. Però, se compito della politica non è più quel
lo di costruire la coesione sociale, per consentire, favorire e irrobustire la convivenza, coniugando aspettati ve e compatibilità, meriti e giustizia, sicurezza e rispetto reciproco, allora non si capisce quale altro possa esse re. Se ogni obiettivo programmatico si sottrae alla fatica e all’intelligenza della mediazione, perché – come dice Bauman nella società liquida – ciò che conta è unicamente il principio di inte resse, allora tutto si complica». Tra le conseguenze più facilmente verificabili (e con grave danno della democrazia perché scoraggia chi vuole parteciparvi) vi è la degenerazione del linguaggio, denunciato efficacemente dagli amici de «Il gallo» di Genova nel loro editoriale del marzo 2019: «Il linguaggio diffuso assume spesso un carattere volgare e di rottura, non solo liberatorio ma aggressivo e diffa mante che dà a chi usa una presunzione di superiorità. Questo atteggiamento è contagioso: chiunque si sente libero e forte nel parlare senza rispetto e si fa passare come moderno un linguaggio razzista e xenofobo. Un imbarbari mento che porta all’esaltazione della violenza, della rabbia e della cattive ria, conquistando le menti e i cuori. Sociologi e linguisti spiegheranno le cause e lo sviluppo di un certo tipo di linguaggio, noi cerchiamo di cogliere il significato culturale di questo feno meno». «Osserviamo come attraverso i social il modo di esprimersi quotidiano interpersonale si estende all’ambito pubblico, diffondendo parole e modi di dire che ci si sente quasi costret ti a usare per non farsi giudicare, o sentirsi, passatisti. Per un verso l’uso del linguaggio di tutti i giorni, spe cialmente nel suo aspetto più volgare e triviale da parte dei politici, mentre offende una parte della popolazione, si propone come popolare, prossimo al sentire e al parlare della gente di cui si cerca la fiducia; per un altro fa riconoscere nel politico l’uomo forte capace di decisioni immaginate effi caci e positive: così trovano successo elettorale, e non solo in Italia, uomini privi di cultura, senza chiarezza negli obiettivi, senza proposte motivate né analisi problematiche, di cui, invece,
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la politica dovrebbe nutrirsi. E i risul tati sono deprimenti e pericolosi». «Sembra passato il tempo del politi camente corretto che, fatta la tara sul rischio di ipocrisia del termine, signi ficava anche rispetto e considerazione per un modo di comunicare proprio di una cultura dei rapporti pubblici fatta di rispetto, di gusto al confron to, di capacità di argomentare. Sarà possibile un’inversione di tendenza? Se ci sarà, sarà un segno positivo, ma sembra poco probabile attendersela a breve termine: non possiamo tutta via lasciar cadere la speranza di una reazione diffusa, che nel quotidiano riscopra il valore non solamente esteti co di un modo di comunicare corretto, civile e bello. Il primo passo potrebbe essere non compiacersi delle espres sioni volgari, non plaudire e non pre miare elettoralmente chi se ne vale, per riportare il piano del dialogo sui contenuti, attraverso il garbo, la stima e il rispetto anche nel parlare quoti diano». Il giornalista Gianni Borsa, dal suo osservatorio di Bruxelles, condivide molti dei giudizi citati ed elenca una serie di impegnative proposte per salvare la democrazia parlamentare («Corriere degli italiani», ottobre 2019): «Se i fenomeni targati come popu listi e/o sovranisti diffusisi in tutti i Paesi occidentali, fra cui Stati Uniti e Russia, saranno o passeggeri o meno, lo diranno sul piano istituzionale le urne, e il successivo giudizio della storia. Possibili risposte e auspicabili inversioni di tendenza, imposte dagli stessi populismi potrebbero derivare da una seria riforma della politica che, fra altro, richiede anzitutto il rispetto della democrazia sostanziale e delle sue regole costituzionali; in secondo luogo la necessità di ridare centralità ai processi istituzionali (il voto me diante la “piattaforma Rousseau” ne è una lampante negazione); terzo il rilancio della forma partito, trait d’union tra cittadini e istituzioni; quarto punto, un “palazzo” che si ponga in ascolto dei cittadini e dei corpi socia li, per guidare il Paese secondo le più profonde esigenze espresse dal popolo sovrano; quinto, la capacità di definire un programma di riforme e di azioni per aiutare ciascun paese a rinnovarsi stando al passo coi tempi che cam biano; sesto, la paziente costruzione di una classe politica all’altezza delle sfide imposte ad ogni nazione. Settimo ingrediente, un uso prudente dei me
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dia, e, soprattutto, dei social da parte degli stessi esponenti politici (…). Ottavo la definizione di una politica estera volta alla costruzione di una co munità internazionale pacificata, aper ta a reciproche collaborazioni, pronta a sostenere i Paesi più poveri, perché possano anch’essi sperimentare pace e sviluppo, tutto ciò anche in chiave di prevenzione delle migrazioni for zare». Circa il compito dei cattolici nella nuova situazione, vale la pena di dare ancora la parola al gesuita Giacomo Costa: «Il cambiamento dello scenario non fa venire meno la responsabilità dei cattolici, che al loro interno conti nuano a essere chiamati a giocare il loro ruolo, anzi meglio, i loro ruoli. All’interno della base popolare strut turata della democrazia del XX secolo aveva probabilmente senso parlarne al singolare: i cattolici potevano ben rappresentare una componente della società, legati da un intreccio di rap porti con tutte le altre. Lo dice bene l’immagine ormai proverbiale di don Camillo e Peppone: l’uno non può fare a meno dell’altro, e il paese di Brescello perderebbe la propria iden tità se mancasse uno dei due. Oggi, di fronte alla “evaporazione” del po polo e al rischio di vederlo assorbi to in riposte identitarie di parte, oc corre valorizzare la pluralità di ruoli che i cattolici ricoprono, non solo in riferimento allo schieramento poli tico, ma soprattutto rispetto ai pro cessi sociali in cui il Paese esprime la propria vitalità. Questa pluralità di ruoli spazia dalle voci profetiche che esprimono una critica radicale in nome di un primato della carità che non può chiudere gli occhi di fronte a limiti e contraddizioni, e per questo risulta inevitabilmente scomoda, allo sforzo di chi si impegna per costruire legami e ponti, favorendo il dialogo e la coesione, anche a costo di essere bersagliato dalle critiche degli intran sigenti, alla tenacia di chi con lo stile di vita e il modo di essere cittadino, imprenditore o lavoratore continua a praticare la ricerca del bene comune anche in un contesto di frammentazio ne e di individualismo che ha smarrito il significato di questo termine. Anzi, proprio nello scenario dell’insoddisfa zione per la democrazia, il bene co mune può rivelarsi un concetto assai più radicale e profetico di quanto si potesse sospettare qualche decennio fa, a condizione di saperne rendere
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accessibili la ricchezza e la profondi tà agli uomini e alle donne del nostro tempo» (p. 626). Il vescovo di Modena, mons. Erio Castellucci, al recente convegno italiano dei cattolici democratici del 21 settembre («Adista» n. 34, 8 ottobre) precisa dove deve agire un cristiano in politica. «Il politicante guarda ai prossimi son daggi, ha una visione puramente tatti ca della realtà; il politico guarda alle prossime elezioni; lo statista guarda alle prossime generazioni. Sappiamo cosa succede a volte al politicante che guarda solo ai sondaggi: rimane vittima della tattica, perché la tattica ha sempre bisogno di un nemico da battere. Questo non è il metodo di chi ha a cuore il bene comune. Ma anche chi vive di troppa strategia rischia di perdere di vista il centro del proprio agire politico ed ecclesiale: tattica e strategia devono perciò essere inseriti in un progetto, che è la vera dimensio ne di chi ha a cuore il bene». Più esplicito, nelle sue conclusioni, il politico Castagnetti: «Ancora oggi il cattolicesimo demo cratico potrà avere rilevanza se saprà rinunciare a nostalgie di un passato che non può tornare (basti guardare i risultati elettorali alle recenti elezioni europee, dove le liste cosiddette a ispi razione sono state tutte sotto lo 0,5%) per affrontare i problemi del presente, a partire da quelli della crisi della rap presentanza e, dunque, della democra zia così come l’abbiamo conosciuta, a quelli di un’economia eco-compatibi le, a quelli dei grandi flussi migratori che inevitabilmente si rimetteranno in marcia, a quelli del futuro del lavoro nella stagione dell’intelligenza artifi ciale. Ciò comporta necessariamente investire molto nel pre-politico e nella formazione, spirituale, culturale e po litica, con uno sguardo proiettato al futuro che si sta avvicinando a passi da gigante. E rinunciare nell’immediato a un ruolo politico? No, dalla respon sabilità politica non si esce mai, oc corre anzi essere sempre presenti, con l’originalità della propria tradizione e di un pensiero che, anche quando si declina con le parole di tutti, esprime qualcosa di ulteriore che serve – ec come se serve! – a tutti i cittadini di questo presente intristito e smarrito più di quanto non si mostri». (testi raccolti da a.l.)
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Un’informazione rifiutata (o solo negata?) La radio, i giornali e le notizie sulla guerra Il giudice Gastone Luvini era un ga lantuomo. Quando uscì il «Rapporto Bergier» – sulle relazioni della Sviz zera con le potenze belligeranti duran te la seconda guerra mondiale – egli mi ricordava di essere stato ufficiale dell’Esercito di stanza, in quegli anni, sul confine con l’Ossola. Diceva: «Noi di quelle cose non sapevamo niente». Alludeva alle relazioni economiche della Svizzera con le potenze in guer ra, in particolare con la Germania, tema rimasto nell’ombra fino agli anni Ottanta quando esplose il «caso» degli averi ebraici in giacenza presso le ban che elvetiche. Ma anche su altri punti vi fu reticenza: in particolare circa lo sterminio degli Ebrei – ciò almeno fino a metà del conflitto, quando l’avanzata delle truppe del Reich tedesco rima se bloccata nella sacca di Stalingra do e uscì la prima denuncia esplicita dell’eccidio da parte dei Governi Al leati. A Werner Rings, un giornalista tedesco stabilitosi a Brissago durante la guerra, si devono i primi tentativi di documentare il coraggio dimostrato da alcuni coraggiosi direttori di giornale1. Da allora gli studi si sono moltiplicati e si può dire che l’essenziale sia stato detto e scritto, pur rimanendo spazio per approfondimenti settoriali2.
1. Rings, W., La Svizzera in guerra, 19331945, Mondadori Ex Libris, Milano, 1974. Rings era nato nel 1910 a Offenbach, in Ger mania, e aveva studiato a Berlino, Friburgo e Heidelberg. Per sfuggire al regime nazista lasciò la Germania nel 1933 e dopo aver sog giornato in Francia si stabilì definitivamente in Svizzera nel 1942. Divenuto cittadino di Brissago, realizzò per la Società Svizzera di Radiotelevisione una prima serie di pro grammi televisivi: Advokaten des Feindes sui servizi diplomatici della Confederazione durante la guerra, e poi soprattutto, nel 1973, una serie televisiva in 13 puntate: La Svizzera in guerra, 1933-1945, dalla quale è tratto il libro. 2. Una buona sintesi è offerta dal testo di Adriano Bazzocco Censura e autocensura in Ticino durante la seconda guerra mondiale: un lavoro di ricerca effettuato presso l’Accademia di Mendrisio, non pubblica to a stampa ma reperibile nel Catalogo del Sistema bibliotecario ticinese (Percorsi di ricerca – 02.2010, p. 5-12. Ticinensia 3.3.7, 000648068).
I media infedeli Premetto un accenno più generale alle responsabilità che la stampa si dovette addossare più volte, non tanto (o non solo) per aver dato notizie false – le fake news oggi di moda – ma per aver taciuto quelle vere. Ho avuto la possi bilità di indagare l’atteggiamento dei media in situazioni meno angoscianti di Enrico Morresi
di quelle vissute durante la seconda guerra mondiale, anche se pure molto compromettenti. Ricordo la relazione che presentai agli allievi del corso di formazione interna del «Corriere della Sera» dopo il crollo della Parmalat – l’ottavo gruppo industriale d’Italia, 7,6 miliardi di fatturato, 260 società, 139 stabilimenti in 30 Paesi e oltre 36mila dipendenti – fallito senza che nessuno sui giornali l’avesse in qualche modo annunciato. Il dovere di dire la verità «potrebbe o no saldarsi alla respon sabilità nostra, di giornalisti?»3. Mi occupai pure dello spettacolare esame di coscienza operato dal giornalismo americano dopo la guerra scatenata dal presidente Bush all’Iraq come rea zione all’attacco alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 20014. A chi avanzi (non senza ragione) l’obie zione che dall’esperienza non si impa ra mai rispondo che la retrospettiva si giustifica sempre: oggi soprattutto, in un’epoca di manipolazioni globali… grazie alla rete, il coraggio di ammet tere gli errori e di trarne la lezione è un imperativo assoluto. È un’esigenza di verità quella che ha motivato i whistleblowers, del cui dramma morale è esempio la recentissima autobiografia di Edward Snowden5.
3. E. Morresi, Etica del giornalismo economico. Fenomenologia di un oggetto sconosciuto, in «Problemi dell’informazione», il Mulino, Anno XXIX, n. 3, settembre 2004, pp. 301-320. 4. E. Morresi, Habermas a confronto con le guerre del Golfo, in «Rivista di teologia», Anno XLIV, n. 3, maggio-giugno 2003, pp. 417-427. 5. E. Snowden, Errore di sistema, Longanesi, Milano, 2019, pp. 350.
Per avvicinarmi al tema di questo mio articolo, segnalo il volume del giorna lista francese Daniel Schneidermann, pure uscito da poco, sulle responsabi lità della stampa internazionale nella mancata tempestiva denuncia della diabolicità del regime nazista6. Le re sponsabilità si ripartirono a più livelli, perché l’informazione passa necessa riamente attraverso successivi colli di bottiglia: il primo relativo alla qualità e disponibilità delle informazioni in provenienza dai corrispondenti sul po sto, il secondo dalla selezione operata dal desk redazionale soggetto al con trollo della proprietà. Schneidermann descrive come addirittura il proprie tario del «New York Times» – un Ro senberg di evidente etnia ebraica – fu reticente a denunciare il nazismo e le persecuzioni in atto. Ma poi ammette che capire non era facile. Sui grandi avvenimenti della storia, quando il giudizio è per forza complesso (fu davvero grande Alessandro il Mace done? E Napoleone?), bisogna forse accontentarsi di accertare le respon sabilità specifiche, anche se parziali – della politica, dell’economica, della cultura, dei media – senza illudersi che una chiave utile per un singolo caso possa valere per tutti. Un esempio perfetto di tale difficoltà è offerto dai risultati dell’imponen te ricerca conosciuta con il nome di «Rapporto Bergier». «Oggi la Sviz zera è alle prese con un passato che nell’immagine dominante della storia non aveva mai trovato accesso» si leg ge all’inizio della sintesi, pubblicata in italiano nel 2002, dei 25 volumi pro dotti dalla Commissione indipendente di esperti «Svizzera-Seconda guerra mondiale»7. Gli autori di quel rapporto si concentrarono su due aspetti: le re lazioni economiche tra il nostro Paese e la Germania di Hitler e l’accoglienza o il respingimento dei profughi. Il pro 6. D. Schneidermann, Berlin 1933. La presse internationale face à Hitler, Seuil, Paris, 2019. 7. La Svizzera, il nazionalsocialismo e la seconda guerra mondiale, Rapporto finale della Commissione Indipendente d’esperti Svizzera-Seconda Guerra Mondiale, Pendo Verlag, Zurigo/Armando Dadò editore, Lo carno, pp. 587.
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blema della stampa fu solo accennato. Meritano perciò attenzione i contributi che Silvana Calvo – una studiosa ita liana che abita in Ticino, non tuttavia storica di professione – dedica da vari anni alla questione ebraica come fu trattata dalle autorità e dalla stampa. Il suo ultimo libro, uscito all’inizio del 20188, completa le informazio ni e le osservazioni contenute in un primo volume (la stampa ticinese sul fascismo durante il 1938, l’anno delle leggi razziali e della «notte dei cristal li», uscito nel 20059) e in un secondo (il respingimento dei profughi ebrei, uscito nel 201010), tutti e tre pubblicati da editori italiani. Non solo la radio Al tempo della seconda guerra mon diale la televisione non esisteva. C’e ra la radio. Sarebbe un errore di pro spettiva pensare che il controllo delle notizie l’avessero i giornalisti, come avviene oggi. Agli inizi la radio era intesa soprattutto come strumento di intrattenimento e di cultura: alle noti zie provvedevano (anche perché i me dia scritti temevano la concorrenza) soltanto due e più tardi quattro noti ziari, quelli che l’Agenzia Telegrafica Svizzera (ATS) mandava da Berna e che venivano ascoltati a ore fisse. Per numero e consistenza le notizie della radio erano molto meno numerose di quelle che pubblicava la stampa scrit ta; mancavano del tutto anche i com menti. Eppure un tale regime, pur pe santemente condizionato, ebbe come contropartita un fatto straordinario: in Italia, in Germania, in Francia la gente ascoltava di nascosto, correndo talvol ta pericolo di vita, la voce neutrale e attendibile dell’ATS11.
8. S. Calvo, L’informazione rifiutata. La Svizzera dal 1938 al 1945 di fronte al nazismo e alle notizie del genocidio degli ebrei, Silvio Zamorani editore, Torino, 2017, pp. 359 (in seguito: Calvo 1) 9. S. Calvo, 1938 Anno Infame. Antisemitismo e profughi nella stampa ticinese, Edi zioni dell’Arco, Bologna, 2005, pp. 525 (in seguito: Calvo 2) 10. S. Calvo, A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945, Silvio Zamorani editore, Torino, 2010, pp. 289 (in seguito: Calvo 3). 11. M. Piattini, La Radio Svizzera Italiana quale invenzione politica, sociale e culturale (1930-1948), saggio contenuto in: Mäusli (a cura di) Voce e specchio. Storia della radiotelevisione svizzera di lingua italiana, Dadò, Locarno, 2009.
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Ribadisco il giudizio positivo sul ruolo svolto dall’ATS in quel periodo, con tenuto nella mia storia del giornali smo ticinese12, e constato che Silvana Calvo giunge alla stessa conclusione dopo averli riletti tutti quei notiziari (i testi sono conservati dalla Biblioteca nazionale13). L’autrice però quel giu dizio lo relativizza: «Era il verbo “at tutire” la parola chiave del notiziario. Per smorzare i toni e salvaguardare la rispettabilità delle parti in conflitto venivano usati tutti i mezzi a disposi zione. Questo comportava notizie cor rette ma scarne, toni bassi e nessuna critica». Il fatto di dare solo notizie di stretta attualità «permetteva di tra lasciare gli eventi anche molto gravi che si estendevano su un arco di tem po prolungato [come la persecuzione degli Ebrei], in quanto difficili da in quadrare in una informazione impar ziale». I responsabili di quel servizio sapevano che «la neutralità assoluta applicata alle notizie era concepita per orecchie straniere. Non si voleva dare la possibilità a nessuno dei bel ligeranti – ma in particolare alla Ger mania e all’Italia, che erano più vicine e tenevano sott’occhio l’informazione della Confederazione – la possibilità di accusare la Svizzera di parzialità»14. «Considerando lo scarsissimo numero di notizie e che la maggioranza di esse (23 su 34) provenivano dalla DNB (l’agenzia ufficiale del Terzo Reich, ndr.) o comunque da fonti dell’Asse, si è costretti a concludere che non vi sia stata informazione sulla Shoah, e che anzi fosse prevalso un deliberato occultamento (…). Il silenzio venne mantenuto fino alla fine, tanto che nes sun campo della morte fu mai citato, neppure a partire dall’estate del 1944 quando ormai in Svizzera erano arri vati rapporti dettagliati su Auschwitz e dappertutto si parlava delle camere a gas»15. Questa la realtà, ma non tutta la realtà. Ribadito che «nel notiziario [radiofo nico] non passarono in alcun modo no tizie di cui, si sa per certo, l’ATS era in possesso», l’Autrice aggiunge: «lo sappiamo dai dispacci che viceversa
12. E. Morresi, Giornalismo nella Svizzera italiana 1950-2000; vol. I, 1950-1980, Dadò Editore, Locarno, 2014, p. 29. 13. Notiziario dell’Agenzia Telegrafica Svizzera: raccolte dei testi dei notiziari 19391945 in italiano, BNB Dok.53.it. 14. Calvo 1, p. 46. 15. Calvo 1, p. 124.
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la stessa agenzia distribuì ai giornali: un patrimonio di informazioni di tutto rispetto»16. Ai giornali svizzeri l’ATS aveva pur mandato, anche durante la guerra, notizie attinte alle grandi agen zie internazionali che i giornali erano liberi di pubblicare indicando la fonte (non esisteva una censura preventiva, vi furono solo tre sospensioni della pubblicazione: due volte vi incappò «Libera Stampa»17). Le veline dell’ATS Che molti giornali non approfittassero della maggiore libertà loro assegnata è provato da un esempio che si potrebbe definire (sia pure con la coscienza di poi) clamoroso. Quando, nel dicembre 1943, gli Alleati denunciarono final mente in modo esplicito lo sterminio in atto degli Ebrei d’Europa, i notiziari radiofonici quella notizia non la diede ro. Di chi la responsabilità? «Questa è una di quelle cose che forse non si po tranno mai appurare», scrive Silvana Calvo18. I notiziari dell’ATS, lo sap piamo, erano «sterilizzati». Ma come mai solo alcuni giornali pubblicarono una notizia che pure era stata mandata a tutti? Talmente importante era quel comunicato19 che l’Autrice dedica la copertina del volume a «Libera Stam pa» che gli diede risalto, in prima pa gina, il 19 dicembre 1942. Il coraggio del quotidiano socialista meritava di essere messo in rilievo20: ma gli altri? Nella simpatia o l’antipatia di cui era segno soprattutto l’Italia in guerra dovette avere una parte la coscienza dell’italianità culturale della Svizzera italiana come un valore indissociabi le dalle sorti della comune madre lin guistica. Manca per esempio ancora ancora uno studio sull’influenza che tali contrastanti pressioni ebbero sul «Corriere del Ticino», sul quale più volte Francesco Chiesa espresse in ter mini non equivocabili la sua simpatia per l’Italia. Ma esiste pur sempre una deontologia professionale: e allora non è senza importanza sapere che il «Corriere», dieci mesi prima, di quel 16. Calvo 1, ibidem. 17. Su questo episodio: G. Kreis, Problemi della stampa in un paese neutrale: esempi di conflitto fra la stampa ticinese e la censura durante la seconda guerra mondiale, in Ar chivio Storico Ticinese 48 (1971) pp. 327342. 18. Calvo 1, p. 125. 19. Testo integrale in Calvo 1, p. 124. 20. «Libera Stampa e la Shoah», in Calvo 1, pp. 275-291.
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comunicato degli Alleati sullo stermi nio pianificato degli Ebrei non aveva dato notizia. Molti pregi, alcuni difetti Poiché anche le recensioni devono avere proporzioni ragionevoli, ac cennerò soltanto a due altri contenuti interessanti del volume di Silvana Cal vo. Il primo riguarda «Esercito e fo colare», l’organizzazione dipendente dall’Esercito creata per iniziativa del Generale Guisan con lo scopo di so stenere il morale dei mobilitati e delle loro famiglie. L’Autrice sottolinea il ruolo coraggioso e tenace assunto da Ruggero Dollfus (1876-1948): ticine se, uomo politico, allora colonnello di visionario e responsabile del servizio, al quale si deve (addirittura in una let tera al Generale Guisan, suo superiore diretto) la definizione della persecu zione degli ebrei come «una questione etica, non un argomento politico»21. Il 21. Calvo 1, p. 136.
secondo è la descrizione dell’attività d’informazione svolta dalle istituzioni degli Ebrei svizzeri durante la guerra, contrastata dalle autorità e ignorata dalla stampa non solo per ragioni di prudenza verso l’incombente Terzo Reich ma anche per l’antisemitismo latente che la storia aveva depositato in una parte non piccola dell’opinione pubblica. Dirò infine anche di alcuni difetti di questo terzo libro, che a mio avviso si sarebbero potuti evitare affidando la rilettura a un ticinese, non neces sariamente uno storico. Le impreci sioni e gli errori (non solo di stampa) sono veramente troppi per un lavoro che ha pretese di serietà, come di mostrano la cura delle note a piè di pagina, l’ampia bibliografia, l’Indice dei nomi. Imprecisioni che riguarda no persone: chi si ritrova «avvocato» come il collega Amedeo Boffa, chi porta gradi militari fantasiosi: Guisan nel ’32 «capitano di corpo d’armata» (pag. 39), Ruggero Dollfus «colon nello maggiore» (p. 56) e «maggiore
divisionario» (a p. 139); Gustav Däni ker, mai stato «capo di Stato mag giore…», probabilmente era Hptm. i. Gst.; il «maggiore di divisione» Pfyffer von Altishofen…, il «tenente maggiore» Huber amico e consigliere del «maggiore divisionario» Bircher), l’Associazione della Stampa Svizze ra che diventa «Commissione della Stampa svizzera»; il colonnello Von Stauffenberg – l’autore dell’attentato a Hitler – promosso generale. Il titolo stesso del volume è equivoco: «Infor mazione rifiutata»? Il tema suggeri rebbe invece: «Informazione negata», a meno di imputare al pubblico una volontà di «non sapere» che non mi pare nelle intenzioni dell’autrice. Al lavoro, tutt’altro che un opuscolo (359 pagine) sembra mancato quello che dai giornalisti si definisce l’editing, cioè un’attenta revisione, da non lasciare all’autore ma a una seconda persona: l’editor appunto. E che tuttavia meritava la lettura.
Cara Signorina Maestra
20 anni di Gran Consiglio
Il 2 settembre 1918 mons. Bacciarini fondò a Locarno la sezione ticinese della Verein katholischen Lehrerinnen der Schweiz, con lo scopo di responsabilizzare la figura della maestra in ottica cristiana, elevandola ad «un vero araldo di Dio, una missionaria permanente in mezzo al popolo» e ponendo nelle sue mani un’educazione dei fanciulli che fosse autenticamente cristiana. L’associazione svolse questo gravoso incarico con dedizione e serietà per esattamente un secolo, attraverso un Canton Ticino in costante evoluzione.
L’autore ripercorre la sua esperienza in Gran Consiglio spiegandone il funzionamento, come pure il significato di alcune definizioni che ai «non addetti ai lavori» possono apparire di difficile comprensione. Si è soffermato sui temi discussi nel Legislativo, per poi allargare lo sguardo ad altri avvenimenti che hanno caratterizzato le cronache cantonali dello stesso periodo. Il libro intende illustrare i meccanismi che reggono il lavoro parlamentare e, qua e là, la personalità di coloro che hanno avuto un ruolo di primo piano nella politica cantonale di questo primo scorcio di secolo.
di Pietro Lepori, prefazione di mons. Valerio Lazzeri, note introduttive di Alberto Gandolla, collana «Il Laboratorio», 160 pagine, 12,5 x 21 cm, Fr. 20.–
di Franco Celio prefazione di Christian Vitta 216 pagine, 12,5 x 21 cm, Fr. 20.–
Armando Dadò editore Via Orelli 29 - 6601 Locarno - Tel. 091 756 01 20 - Fax 091 752 10 26 - shop@editore.ch - www.editore.ch
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cronaca svizzera
CRONACA SVIZZERA a cura di Alberto Lepori
Vescovi in ascolto. La 325 assemblea ordinaria della Conferenza dei vescovi svizzeri si è svolta dal 16 al 18 set tembre 2019 nell’abbazia di Saint Maurice. Il tema principale è stato lo scambio di opinioni sul seguito da dare al dossier Rinnovamento della Chiesa. I membri della CVS hanno confermato un desiderio ricorrente di papa Francesco, cioè che il «carisma dell’ascolto» deve essere al cuore dell’attenzione nel processo da com piere. Per questo motivo desiderano condurre questo processo nel modo più aperto possibile, affinché anche i sussurri al di fuori delle strutture ecclesiali possano farsi sentire. Essi sperano di poter coinvolgere giovani e anziani, donne e uomini, laici e or dinati, migranti e svizzeri. La CVS è convinta che la crisi attuale di credibi lità può essere superata. Il dialogo con queste voci diverse è necessario per una Chiesa viva e attrezzata per un fu turo che irradi fede, speranza e amore. «In cammino insieme per rinnovare la Chiesa» è il titolo di questo progetto di lavoro. Un gruppo di coordinamento esterno sarà incaricato di organizzarne il processo. Su delega della CVS, avrà il compito di chiarire in particolare i seguenti punti: obiettivi, organizza zione della partecipazione, scelta dei temi, definizione delle priorità, rispet to delle regioni linguistiche, compo sizione dei gruppi di lavoro, anima zione e comunicazione del progresso nei lavori. Le diverse tematiche iden tificate dalla CVS in occasione della sua 324a assemblea ordinaria (p. es. trasmissione della fede, ruolo delle donne, celibato e viri probati, abusi sessuali e di potere) sono solo delle proposte. Esse possono anche essere modificate o completate. Non c’è an cora un calendario per «In cammino insieme per rinnovare la Chiesa» (dal comunicato stampa della CVS, Rivi sta della Diocesi di Lugano, ottobre 2019). La conferenza ha rinunciato invece all’idea di un sinodo che sareb be una procedura con regole precise, mentre vuole permettere un dibattito più ampio possibile. Inoltre i vescovi svizzeri sostengono l’iniziativa parla mentare per la quale aiutare chi è nel bisogno non è un reato, anche se le persone in questione si trovano ille galmente in Svizzera; essi ritengono che l’assistenza al prossimo sia uno dei compiti fondamentali delle Chie
se. L’iniziativa parlamentare «Basta con il reato di solidarietà» è stata presentata dalla consigliera nazionale Lisa Mazzone (Verdi/GE). Anche la Federazione delle Chiese protestanti ha chiesto, in un comunicato di fine ottobre, di non criminalizzare la so lidarietà umana, constatando come molte parrocchie sostengono persone in difficoltà, indipendentemente dal loro statuto legale. Anniversario. In occasione dei 50 anni di «Giustizia e Pace», la CVS ha invitato una delegazione della com missione per uno scambio di opinioni, seguito da un momento di preghiera. La delegazione ha presentato le sfide attuali (come la crescente e la dimen sione globale delle evoluzioni tecno logiche, la responsabilità di fronte al creato nell’ambito del cambiamento climatico, l’individualizzazione e l’esilio e la migrazione). «Giustizia e Pace» ha festeggiato il giubileo il 19 novembre a Berna, con una mani festazione pubblica intitolata «Pace e giustizia non esistono invano!». Animatori pastorali. Nella chiesa di Notre-Dame de la Paix a la Chauxde-Fonds, sono stati accolti 10 nuovi animatori pastorali formati dopo 3 anni di studio al centro cattolico ro mando di Friburgo. Il vescovo More rod di Losanna, Ginevra e Friburgo ha proceduto a una serie di nomine all’inizio di luglio, incaricando 13 pre ti e 14 laici, di cui 11 donne. Il primo di settembre ha nominato ancora 14 collaboratori, di cui 6 preti e 8 donne. Il centro di formazione per la Chiesa è stato creato per le diocesi romande nel 2014 e cura la preparazione degli agenti pastorali sia preti sia laici; at tualmente sono in formazione 25 stu denti di cui la maggior parte hanno lasciato la loro professione per mette re le loro competenze al servizio della Chiesa. «Il Corriere del Ticino» del 10 settembre, in relazione alla visita pastorale del vescovo Lazzeri in Val lemaggia, riferiva l’opinione di Fausto Rotanzi, presidente dell’associazione delle parrocchie della valle, per cui in mancanza di preti sarebbe necessario coinvolgere di più i laici nell’ammi nistrazione delle parrocchie, piuttosto che raggruppare le parrocchie o affi darne diverse a un solo prete. La Ri vista della diocesi di Lugano del mese
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di settembre, riferisce le nomine fatte in diocesi lo scorso agosto, dalle quali risulta che diversi preti sono responsa bili (?) di numerose parrocchie. Animatori e zone diocesane. Da «Ca tholica» del 9 novembre: «La riorga nizzazione pastorale della diocesi, ini ziata alcuni anni fa da mons. Valerio, e portata avanti insieme ad un gruppo di lavoro […] sta procedendo in maniera spedita, mettendo alla luce tutto il suo potenziale di novità. Ad oggi sono tate individuate 24 zone o reti pastorali e sono stati scelti, su segnalazione dei parroci, altrettanti animatori pastorali: 24 preti, uno per zona. A loro è stata affidata la responsabilità pastorale dei preti della propria zona e lo scorso 28 ottobre mons. vescovo li ha incontrati per la prima volta. A loro verranno ora affiancati anche due laici per zona – uomini e/o donne – con cui collabo rare secondo il duplice criterio della sinodalità e della corresponsabilità. Il che porterà la diocesi a poter contare su un nucleo forte di una cinquantina di persone formate e motivate, che si troveranno a lavorare insieme per la Chiesa-comunione, come la costitu zione conciliare “Lumen Gentium” ha definito questo modo di sentire ed essere Chiesa che riprende la più antica tradizione apostolica e preve de una più intensa corresponsabilità e unità tra i battezzati». Secondo il co ordinatore don Sergio Carettoni, «ci troviamo ora nel bel mezzo di un cam mino avviato, che nel settembre del 2020 avrà la sua prossima scadenza. Ora di allora, tutti e 24 gli animatori si ritroveranno al Tavolo 24 per con dividere quanto accade all’interno del proprio territorio e presentare concreti criteri per il coinvolgimento dei laici». «Catholica» titola su quattro colonne «Sognare una Chiesa sinodale con il progetto delle reti». Richieste al papa. Una petizione con tro il celibato obbligatorio dei preti è stata consegnata a Papa Francesco dalla religiosa grigionese Florentina Camartin, che ha raccolto più di 5.000 firme. Le Benedettine del convento di Fahr del Canton Argovia hanno par tecipato a una conferenza a Roma a favore del diritto di voto delle donne nei sinodi dei vescovi. Aiutare l’Africa. La Caritas svizze ra ritiene che è arrivato il momento perché la Svizzera si impegni con un nuovo partenariato con i paesi afri cani. L’attuale atteggiamento della Confederazione rispetto all’Africa è
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giudicato unilaterale e presenta gra vi mancanze. Mentre la Svizzera ha paura degli arrivi migratori dall’A frica, continua a sfruttare quei paesi, e l’aiuto all’Africa ha l’unico scopo di impedire le partenze, giudicate solo come una minaccia e non come un’opportunità, considerando il calo demografico della Svizzera. Indennità per abusi. Nel 2018 la Chiesa svizzera ha versato 675.500 franchi in risposta a 47 domande di indennizzo alle vittime di abusi ses suali anche se dal punto di vista del diritto era intervenuta la prescrizione. Un fondo di 1,5 milioni di franchi è stato messo a disposizione per questa indennità, 900.000 franchi da parte del CES, 450.000 da parte della com missione Centrale Romana (RKZ) e 150.000 franchi dalle comunità reli giose. Il risarcimento finanziario alle vittime degli abusi sessuali sta suben do un inaccettabile ritardo per una di vergenza tra la Commissione indipen dente a ciò incaricata e la Conferenza centrale cattolica. La Commissione propone un indennizzo forfetario di fr. 15.000 per ogni caso, quale riconosci mento del torto subìto, mentre la RKZ vuole sia fatta una distinzione e calco lato un importo a seconda della gravità del caso; ciò, tuttavia, richiederebbe una indagine penosa per le vittime, mentre ogni indennizzo, di qualunque importo, non sarà mai adeguato alla sofferenza causata alle vittime e alle loro famiglie. Internamenti amministrativi. Se condo il rapporto finale della commis sione indipendente di esperti (CIE) circa gli internamenti amministrati vi, presentato il 2 settembre 2019 a Berna, questi sono stati 60.000 nel periodo che va dalla fine del 19esimo secolo al 1981. Si è dovuto attendere gli anni duemila perché questi fatti fossero resi pubblici e il Consiglio federale nel 2014 ha incaricato la CIE di analizzare scientificamente il tema degli internamenti amministrativi in Svizzera, cioè le misure coercitive che hanno condotto al collocamento in istituti chiusi prima del 1981 senza che ci fosse una regolare procedura a tutela dei diritti dei genitori o dei minori. Conti delle Chiese. La Federazio ne ecclesiastica cattolica bernese ha chiuso i conti del 2018 con un attivo di oltre 115.000 franchi, per un’entrata di 28,07 milioni e spese di esercizio (in particolare la retribuzione del perso
nale) per quasi 28 milioni. I conti della Corporazione ecclesiastica cantonale di Friburgo sono stati chiusi lo scor so anno con un passivo di soli franchi 4.969, su un totale di spesa di 11, 6 mi lioni. La Federazione cattolica romana di Neuchâtel denuncia una situazione finanziaria difficile: anche se il nume ro dei cattolici aumenta, le entrate re stano stabili passando da 2.256.000 a 2.228.000, mentre le spese accusano un aumento di più di 500.000 franchi rispetto all’anno precedente. Per le comunità religiose. Il Partito Evangelico Svizzero (PEV) ha pre sentato a Berna lo scorso agosto una «carta delle comunità religiose», per rispondere all’aumento della diversità delle comunità religiose in Svizzera e promuovere il dialogo e la conviven za pacifica: le diverse comunità sono invitate a firmare questa carta per di mostrare la propria volontà di integra zione. Diverse Chiese evangeliche del Cantone di Vaud hanno invece rinun ciato al riconoscimento di interesse pubblico, in applicazione dell’articolo relativo della Costituzione, in quan to veniva richiesta la rinuncia a ogni discriminazione, in particolare quelle fondate sull’orientamento sessuale. Per il riconoscimento. Nel Can ton Vaud è all’esame la domanda dell’Unione vodese delle associa zioni musulmane (UVAM) di essere riconosciuta come un’istituzione di interesse pubblico; la procedura di ri conoscimento è affidata al dipartimen to delle istituzioni. Per essere accolta l’associazione dovrà soddisfare diver si requisiti: impegnarsi a rispettare il diritto cantonale e federale, essere fi nanziariamente trasparente, rispettare la pace confessionale, disporre di un numero sufficiente di fedeli, parteci pare al dialogo interreligioso ed esi stere nel cantone da almeno 30 anni. Monastero ortodosso. Lo scorso 28 settembre è stata consacrata una cap pella per l’unico monastero ortodosso rumeno in Svizzera da parte del me tropolita Joseph della Chiesa ortodos sa rumena dell’Europa occidentale e meridionale, residente a Parigi. Han no partecipato alla cerimonia altri 3 vescovi; la cappella serve ai bisogni pastorali di circa 150mila ortodossi. Cimitero musulmano. Il primo ci mitero musulmano nel Cantone di Friburgo sarà istituito nel comune di Wünnewill-Flamatt, nel distretto della Singine. Ciò avviene in applicazione
di un nuovo regolamento adottato nel luglio 2019: si tratta del primo cimitero di questo genere nel Canton Friburgo e dovrebbe servire per 2030 tombe. La decisione è frutto di un accordo che tiene conto delle usanze islamiche e del rispetto delle norme svizzere. Spazio interreligioso. Negli ospe dali universitari di Ginevra è stato inaugurato il 18 settembre scorso uno spazio di ristoro interreligioso desti nato ai pazienti, ai loro parenti e ai collaboratori. Questo spazio, unico in Svizzera, è diviso in 4 parti: cristiano, israelita, musulmano e umanista; l’en trata è tuttavia comune. Questo luogo è stato creato su proposta del diret tore generale e con la collaborazione dei 6 assistenti spirituali; avrà anche l’effetto di aumentare gli scambi tra i 6 rappresentanti delle comunità catto lica, cristiana, protestante, ortodossa, israelita e musulmana. Decisioni evangeliche. Il Consiglio della Federazione delle Chiese prote stanti della Svizzera ha deciso di so stenere l’iniziativa per le multinazio nali responsabili, in quanto secondo le Chiese protestanti e le loro opere di aiuto non bastano gli accordi volontari a tutelare i diritti umani e l’ambiente nei paesi in cui le multinazionali re sidenti in Svizzera sono operanti. La Federazione delle Chiese evangeliche si è dichiarata favorevole al matrimo nio fra persone dello stesso sesso: il consenso alle nozze omosessuali in ambito civile è giunto dall’Assemblea dei delegati; in gioco non c’è tuttavia il matrimonio con rito ecclesiastico. La competenza su cosa succede davanti all’altare rimane delle 24 Chiese ri formate cantonali. L’assemblea ha rinunciato a raccomandare di trattare allo stesso modo (iscrizione nei regi stri e liturgia) le nozze di coppie gay e quelle eterosessuali. A favore del sistema duale. Secon do la Conferenza Centrale Cattolica Romana della Svizzera (RKZ) il «si stema duale» vigente in Svizzera (cioè un’organizzazione garantita dallo Sta to e quella prevista dal diritto canoni co) è da mantenere e occorre raggiun gere una migliore collaborazione tra la RKZ e i vescovi svizzeri. Questo si stema di collaborazione a livello sviz zero viene specialmente indicata nella distribuzione dei contributi finanziari alle attività cattoliche sociali a livello svizzero e anche a favore di particolari attività a livello delle diocesi.
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cronaca internazionale
CRONACA INTERNAZIONALE a cura di Alberto Lepori
Una domenica per la parola. Con un motu proprio Aperuit illis («Aprì loro» la mente, ecc.) del 30 settembre, papa Francesco ha istituito la «Dome nica della Parola di Dio», da celebrarsi la terza Domenica del Tempo Ordina rio. Questa Domenica si colloca tra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e l’annuale Giornata per l’ap profondimento e lo sviluppo del dialo go tra Cattolici ed Ebrei (17 gennaio), quindi con una valenza ecumenica. La proposta papale vuole contribuire alla riscoperta della Parola di Dio indicata dalla Costituzione del Vaticano II Dei Verbum, percorso iniziato con l’enci clica Providentissimus, di Leone XIII, per superare il divieto fatto ai fedeli cristiani da un decreto del Concilio di Trento che nel 1564 inserì nell’indice dei libri proibiti la Bibbia, vietata ai laici in traduzioni moderne. In questa Domenica, il Papa suggerisce di cele brare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile ad alcuni fedeli (non si fa differenza fra uomini e donne) ad essere annunciatori della Parola con una preparazione adeguata. Essere di più. Papa Francesco, rice vendo l’11 novembre il Consiglio per un capitalismo inclusivo, ha insegnato «che coloro che si impegnano nella vita economica e commerciale sono chiamati a servire il bene comune, cercando di aumentare i beni di que sto mondo e renderli più accessibili a tutti»: ma «non si tratta di avere di più, ma di essere di più». Pastore ecumenico. Il 10 ottobre è scomparso a Milano Gioachino Pi stone; membro della Chiesa valdese (era stato anche presidente del Con cistoro), conosciuto nella città per il suo decennale lavoro alla libre ria Claudiana, e per l’impegno che mise in ambito ecumenico. Era stato presidente del Consiglio delle Chie se cristiane di Milano, membro del Comitato nazionale del Segretariato Attività Ecumeniche, appassionato al dialogo ebraico-cristiano, passione che si tradusse anche nel lavoro con l’associazione Biblia. Un suo ricordo a firma del presidente nazionale del Sae Piero Stefani è stato pubblicato su «Riforma», settimanale dove Gio achino Pistone ha pubblicato molti ar ticoli sull’ecumenismo e sulla cultura e letteratura ebraica.
Vent’anni dalla dichiarazione congiunta. Vent’anni fa, il 31 ottobre 1999, veniva firmata ad Augusta, in Germania, la Dichiarazione congiun ta sulla dottrina della giustificazione tra cattolici e luterani. Un documento ecumenico la cui intenzione era quella di ricomporre la maggiore controver sia teologica che per secoli ha diviso i protestanti dai cattolici: siamo salvati per le nostre opere buone, oppure sia mo giustificati (dichiarati giusti, in somma) per la grazia di Dio mediante la fede, come afferma l’apostolo Paolo nelle sue lettere e come ha sostenuto la Riforma protestante, in polemica con il cattolicesimo, specie con il Conci lio di Trento? Dopo anni di dialogo, vent’anni fa cattolici e luterani han no concluso che questa controversia non ha più senso, e che – almeno su questo punto – c’è stato un grande equivoco. All’epoca il teologo valde se Paolo Ricca scriveva: «Soltanto il futuro dei rapporti tra cattolici e lute rani (e la loro inevitabile ricaduta sui rapporti con gli anglicani, i riformati e le altre confessioni e denominazioni protestanti) potrà rivelare che cosa è veramente accaduto il 31 ottobre 1999 ad Augusta». Da documento bilaterale tra cattolici e luterani, è diventato un testo multilaterale, sottoscritto anche da metodisti, riformati e anglicani. Senza di esso – ha detto il Segretario mondiale dei luterani – «non sarem mo mai giunti alla Commemorazione congiunta del Cinquecentenario della Riforma protestante» a Lund (Svezia) nel 2016. Anniversari a Taizé. A Pasqua, sulla collina di Taizé, sono stati ricordati due giubilei: la domenica di Pasqua di 70 anni fa, il 17 aprile 1949, i primi sette fratelli emisero i voti per un im pegno di tutta la vita. E 20 anni dopo, il 6 aprile 1969, sempre nella dome nica di Pasqua, fu accolto per la pri ma volta un cattolico. La vicenda di Taizé inizia quando il giovane teologo svizzero Roger Schutz cerca un luogo dove vivere in comunità con persone che hanno i suoi stessi sentimenti e dove poter, nello stesso tempo, aiu tare i profughi di guerra. Nell’estate del 1940 trova nelle vicinanze dell’ex abbazia di Cluny il villaggio viticolo di Taizé. Con denaro preso a presti to, compera una delle case in pietra del luogo. Vicino passa la linea di
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demarcazione tra la Francia occupa ta dai nazisti e la cosiddetta Libera Francia di Vichy, e Roger nasconde profughi ebrei e politici che vogliono passare in Svizzera. Nel 1942 Roger viene denunciato e deve per il mo mento tornare in Svizzera. A Ginevra vive in comunione fraterna con due compagni protestanti, Max Thurian e Pierre Souvairain. Nell’ottobre del 1944 Roger torna con i due compa gni a Taizé per rimanervi per sempre. Dopo poco tempo, si aggiunge un quarto fratello, Daniel, oggi novan tasettenne. I fratelli si prendono cura dei prigionieri di guerra tedeschi della zona; per gli orfani di guerra francesi i fratelli affittano due case. Il ruolo materno è assunto dalla sorella più giovane, Genevieve Schutz Marsau che (1912-2007), che oggi è sepolta davanti alla chiesa romanica del vil laggio. I fratelli protestanti avrebbe ro volentieri desiderato pregare nella chiesa cattolica da lungo abbandona ta, ma il vescovo di Autun si oppose. Nel 1948 la soluzione giunge ina spettatamente: il legato pontificio in Francia, Angelo Giuseppe Roncalli, rimane impressionato dalla spirituali tà dei fratelli protestanti e dichiara la chiesa parrocchiale cattolica «chiesa simultanea», permettendo ai fratelli protestanti di usarla. La domenica di Pasqua 1949, il 17 aprile, i primi set te fratelli emettono il voto di povertà, celibato e obbedienza nella chiesa del villaggio, assumendo un impegno per tutta la vita, che per i candidati che provengono da Chiese della Riforma è una singolarità. La dichiarata apertura ecumenica suscita critiche in ambienti conservatori; papa Giovanni XXIIl in vita i fratelli Roger e Max a prendere parte in qualità di osservatori al con cilio Vaticano Il (1962-1965). Poi nel 1969, il giovane medico cattolico bel ga Jean Paul insiste per essere accolto come fratello a Taizé, e rifiuta ogni altro modello; Taizé, infine, compie il grande passo, con l’autorizzazione canonicamente piuttosto indefinita dell’arcivescovo di Parigi François Marty, e Jean Paul entra nella comu nità di Taizé e nel 1972 emette i voti come frate Ghislain. La fraternità di Taizé, da comunità evangelica, diven ta la prima comunità religiosa ecume nica nella storia della Chiesa. Discorsi a tavola. A fine novembre è iniziato il ciclo di incontri «Discorsi a tavola», organizzato dalla Chiesa val dese e dalla Diocesi cattolica di Pine rolo. Si tratta di una serie di momenti conviviali, in vari ristoranti e trattorie
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del Pinerolese, in cui cogliere l’occa sione per approfondire tematiche di attualità: le serate saranno condotte dal pastore di Pinerolo Gianni Genre e da don Paolo Scquizzato, della dio cesi di Pinerolo. Il titolo dell’iniziati va, inoltre, vuol essere un ricordo dei «discorsi a tavola» che il riformatore Martin Lutero era solito tenere con amici, simpatizzanti, studenti, per sone bisognose o influenti. L’inizia tiva risponde al desiderio di ricevere sollecitazioni dagli altri, di lasciarsi interrogare e provare a dialogare, uscendo dalle chiese e attorno a piatti della tradizione locale, che rendono lo scambio più naturale e spontaneo. A tutela dei diritti. Sono trascorsi 70 anni da quando sono state firmate le quattro Convenzioni di Ginevra che costituiscono la base del diritto inter nazionale umanitario (DIU) e uno dei pochi accordi internazionali ratificati universalmente. Dalla loro adozione nel 1949, queste convenzioni hanno permesso di salvare numerose vite e proteggere popolazione e istituzioni civili (come le scuole e gli ospedali), nonché i prigionieri in caso di guerra e conflitti armati. Oggi non riguarda no solo scontri sulla terraferma, via mare o aerea ma, spesso, si tratta di guerre cibernetiche. 196 Stati hanno sottoscritto le convenzioni, la cui at tuazione è disciplinata dal Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), e lo Stato depositario di esse è la Svizzera, scelta per la sua tradi zione umanitaria. Corridoi umanitari. All’inizio di ottobre, quaranta rappresentanti di Chiese protestanti giunti da 15 Paesi si sono incontrati a Roma per la Con ferenza internazionale dedicata ai cor ridoi umanitari europei. La proposta è venuta della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), con l’o biettivo di avviare un canale di acces so legale condiviso da più Stati mem bri, per trasferire nell’Unione europea 50.000 persone vulnerabili, proprio sulla base dell’esperienza ecumenica consolidata nel 2015 dalla Fcei, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavo la valdese, che la sostiene attraverso i fondi otto per mille dello Stato italia no. Grazie al progetto pilota italiano, in questi anni è stata garantita una via sicura e legale di accesso a decine di migliaia di profughi intrappolati in Libia e nei paesi limitrofi. La propo sta della Fcei alle Chiese protestanti d’Europa è di aprire urgentemente nuovi corridoi umanitari europei, ed
è stata rivolta al governo italiano, es sendo l’Italia tra i paesi dell’Unione europea più esposti ai flussi migratori, ed è comprensibile che, anche a livello politico, assuma una leadership nella ricerca di soluzioni che garantiscano sicurezza, sostenibilità e tutela dei di ritti umani. Realtà italiana. A fine ottobre, nelle principali città italiane è stata presen tata la ventinovesima edizione del Dossier statistico immigrazione, rea lizzato dal Centro studi Idos in parte nariato con il Centro studi Confronti e il finanziamento dell’otto per mille dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi. Il Dossier, incentrato sul tema del lavoro, ha evidenziato una realtà diversa da quella che spesso viene raccontata sui media, che trattano gli immigrati come problema di sicurezza o, nel migliore dei casi, come vittime. Il corposo volume (480 pagine) docu menta che cosa è realmente l’immi grazione oggi in Italia. Gli stranieri in Italia sono circa 5 milioni, più del 50% provenienti da paesi europei (soprat tutto Romania e Albania); i rifugiati e richiedenti asilo sono una percentuale molto bassa (lo 0,3%, a livello euro peo l’8,8%). Il 52,2% sono cristiani (29,3% ortodossi, 17,7% cattolici e 4,4% protestanti) e il 33% musulma ni, i restanti seguono religioni orien tali o animiste o si dichiarano atei. Nell’ultimo anno, il 6% dei permessi di soggiorno è stato concesso per mo tivi di lavoro (soprattutto subordinato e stagionale), con un calo di quasi il 30% negli ultimi 7 anni, mentre più della metà dei visti è stata rilasciata per motivi familiari. Sono in crescita le imprese con un titolare straniero, quasi il 10% del totale. Informazioni e materiali sul sito www. dossierim migrazione.it. Cristiani o battezzati? Una sentenza della Corte costituzionale italiana (n. 239 del 1984) ha stabilito che «l’ade sione a una qualsiasi comunità religio sa debba essere basata sulla volontà della persona» e tuttavia, in Italia circa il 90 per cento della popolazione con tinua ad essere battezzato pochi giorni dopo la nascita, quindi senza il richie sto consenso. Secondo l’ultima inda gine Eurispes sul rapporto degli italia ni con la religione cattolica, il 71,1% degli italiani si dichiara cattolico e di questi, il 25,4% cattolico praticante; il dato è visibilmente in calo ad esempio rispetto al 2006, quando i cattolici cre denti erano l’87,8% della popolazione e quelli praticanti il 36,8%. L’impo
sizione del battesimo ai neonati resta inspiegabilmente tradizionale per tut ti: molto credenti, abbastanza creden ti e no. Secondo due saggi di recente pubblicazione, crescono i giovani non credenti: il primo, del sociologo Franco Garelli (Piccoli atei crescono, Bologna, Il Mulino 2016), si basa su una ricerca condotta su un campione di 1450 ragazzi (maschi e femmine) di età compresa tra i 18 e i 29 anni; il secondo, del teologo Armando Mat teo, che, a circa dieci anni di distanza da La prima generazione incredula, ha pubblicato Tutti giovani, nessun giovane (Piemme, Milano 2018), sot tolinea come dal quadro complessivo emerga che il numero dei non credenti è in continuo aumento (in questa ca tegoria gli atei, gli agnostici, gli in differenti nei confronti della fede). Ad accomunare i due saggi è una duplice convinzione: l’impossibilità di fare oggetto di conoscenza ciò che trascende l’esperienza umana e l’idea che si può condurre una vita sensata anche senza Dio. Nel 2007 la percen tuale dei giovani non credenti era del 23%, otto anni dopo, nel 2015, era già salita al 28%, con punte del 37% nel Nord Italia. Nello stesso di tempo, il gruppo dei credenti convinti scendeva dal 12,4% al 10,5%, mentre quello dei credenti convinti ma non sempre prati canti passava dal 29% al 19,1%. Alla luce di questi dati, Armando Matteo può dunque affermare che «la fetta “più giovane” dei giovani – quelli che qualcuno ha già ribattezzato come Ge nerazione Z, oppure “generazione del la rete”, riferendosi così ai nati dopo il 1995, accelera tutti i segnali di disaffe zione alla fede già presenti e marcati nell’attuale quota dei Millennials, or mai alle soglie dell’età adulta. A de finire, però, ancora più chiaramente il rapporto dei giovani con l’esperienza della fede contribuiscono anche alcu ni dati relativi alla frequenza ai riti, escludendo dal computo matrimoni e funerali, e alla preghiera individuale. A partecipare settimanalmente ai riti religiosi è solamente il 13,2%. La per centuale di coloro che entrano in un luogo di culto una o due volte al mese è di 11,5%, quella di chi prende parte ai culti comunitari alcune volte all’anno è, invece, del 41,9%. Infine, abbiamo il 33,4% costituito da chi non mette mai piede in chiesa. Analogamente, dichiarano di pregare quotidianamen te soltanto il 15,3% dei giovani inter vistati, alcune volte alla settimana il 12,1%, alcune volte al mese il 12,2%, alcune volte all’anno il 26,4%, mai il 34%».
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notiziario (in)sostenibile
NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILE a cura di Daria Lepori
Acque vive. Se sostanze non adatte arrivano in laghetti e stagni, possono disturbare l’equilibrio naturale e favo rire la proliferazione di alghe. In casi gravi ciò mette in pericolo la soprav vivenza della flora e della fauna preesistenti. Phoster, una start-up di Wil lisau, ha studiato e testato un metodo semplice per purificare e mantenere questi ecosistemi. Si tratta di piccole piattaforme galleggianti fatte di ma teriali innocui per l’ambiente che, se condo il principio “Cradle-to-cradle” (dalla culla alla bara), al termine del loro periodo di funzionamento (che varia dai 5 ai 10 anni) possono essere completamente compostati. Le piat taforme ospitano delle vasche in cui sono messe a dimora diverse specie vegetali le cui radici, che si trovano a nuotare nell’acqua, legano i metalli pesanti, purificano l’acqua e l’arric chiscono con ossigeno.
Ed è in questo modo che si vuole ar rivare a ridurre il numero di sposta menti con emissioni di CO2, perché i budget delle facoltà sono fissi. La tas sa corrisponde circa al 5% del prezzo del biglietto ed è stata definita in base a una stima monetaria delle emissioni generate dai voli. Con il denaro pre levato l’università intende alimentare un fondo che finanzierà progetti in centrati sullo sviluppo sostenibile, in particolari quelli che contribuiscono alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Annualmente questo fondo renderà pubblici i conti e i pro getti finanziati.
I dati che divorano l’energia. Goo gle sta mettendo a punto, in una loca lità tra Baden e Aarau, un suo primo server per il salvataggio di dati infor matici (cloud). Il suo nome è «Zürich West 3». La cosa non stupisce perché la Svizzera è già una destinazione interessante per i grandi server di stoccaggio di dati informatici: tra il 20 e il 25 per cento del volume di dati europei è gestito nel nostro pae se. Come in una fattoria normale le mucche devono essere foraggiate, nelle Data Farms, i grandi calcolato ri devono essere approvvigionati con energia, tanta energia. A pieno regime Zürich West 3 avrà bisogno di tanta energia quanto l’intero quartiere di Spreitenbach. I server attualmente in servizio in Svizzera coprono una superficie di 150.000 metri quadrati e consumano 1.600 gigawatt/h ogni anno, tanto quanto la nostra produ zione di energia solare. Ed è solo una questione di mesi prima che anche Microsoft, Amazon e Alibaba segua no l’esempio.
I conti tornano. Lunedì 9 settembre, di mattino presto, 30 tra donne e uo mini braccianti si sono riuniti di fron te alla porta di una serra in plastica a Alméria (Spagna). Ma quel giorno non sono andati a lavorare, come non ci sono andati negli ultimi 10 giorni. Sono in sciopero, ma i padroni fanno finta di niente. Si tratta della ditta Go doy Hortalizas che esporta verso 25 paesi europei ed è specializzata nei peperoni. Già nel 2018 alcune lavo ratrici e lavoratori avevano contattato il Sindacato Andaluz de Trabajadores (SAT) per prendere misure contro differenti violazioni dei diritti di chi lavora e in gennaio erano entrati in sciopero. Essi esigevano il rispetto del salario minimo che era all’epoca di 5,7 euro all’ora, ma ne venivano loro corrisposti solo 4,10. Denuncia vano il mancato rispetto dei tempi di pausa, l’inesistenza di contratti di la voro fissi e il fatto che il tragitto fino al luogo di lavoro non fosse rimbor sato. Inoltre, non c’è un luogo adatto dove consumare i pasti, non esistono bagni e le persone sono trattate come animali. Con la nuova stagione lavo rativa, il proprietario non ha più con vocato 5 persone che avevano aderito al sindacato e non è entrato in materia sull’adeguamento del nuovo salario minimo, fissato ora a 6,90 all’ora. Come unica risposta sono state fatte intervenire guardie armate e recluta
Contributo per l’ambiente. L’u niversità di Neuchâtel ha deciso di prelevare un contributo obbligato rio, definita tassa di sostenibilità, su tutti i biglietti d’aereo per i viaggi di studenti e insegnanti. Non saranno le persone stesse a pagare, ma l’importo sarà attinto dai budget delle facoltà.
Pane e acqua. Più di 5 vasche da ba gno riempite d’acqua, ossia 783 litri. Questo è il quantitativo di pioggia che deve cadere per poter produrre il grano necessario per chilogrammo di pane.
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to nuovo personale. Per far cambiare qualche cosa di una situazione, dove il governo locale vede le attività agri cole come positive per lo sviluppo dell’economia, dove per un operaio che decide di scioperare ce ne sono dieci pronti a prendere il suo posto, dove l’unico valore è il denaro, è ora che noi che stiamo all’altra estremità della filiera apriamo gli occhi quan do leggiamo la parola «sottocosto» sui cartelloni pubblicitari. Quello che non spendiamo noi, altre persone lo hanno pagato salato. Buona notte. Venti anni fa le località raggiungibili con treni di notte con cuccette e vagoni letto erano parec chie. Ci si poteva quindi risvegliare a Napoli, Barcellona, Bruxelles o Venezia. Con l’introduzione dei treni ad alta velocità, alcune mete si sono avvicinate, ma è stato l’arrivo delle società aeree low cost a decretare la fine di quasi tutti i collegamenti not turni. Così le FFS si sono ritirate da questo settore nel 2009 per questioni economiche e la flotta è stata venduta. Nel 2016 la Deutsche Bahn, che ge stiva ancora le tratte con destinazione svizzera, ha fatto lo stesso, malgrado che una petizione al Consiglio federa le e alle FFS lanciata per far annullare la decisione avesse raccolto in poco tempo più di 11.000 firme. Nessuno si degnò di darvi una risposta. Per fortuna, a inizio 2017, le ferrovie sta tali austriache (ÖBB) hanno deciso di riprendere lo sfruttamento delle tratte abbandonate dalla compagnia tedesca. La compagnia sembra aver trovato soddisfazione in questa offer ta e non smette di investire nelle infra strutture necessarie. Non sarebbe al lora il caso che le FFS ritornino sulla loro decisione? La Confederazione, in quanto proprietaria delle FFS, ha il diritto di imporre all’azienda un man dato di prestazione che forse uscirà da questo nuovo parlamento e dalla nuova direttrice o dal nuovo direttore delle ferrovie svizzere. Inadeguati. A inizio settembre, nel centro di Berlino un suv ha causato un incidente in cui sono morte quattro persone, dei pedoni. Non si è tratta to di un atto di terrorismo. A seguito della tragedia, alcuni politici hanno chiesto un divieto di circolazione nei centri urbani per questi veicoli con caratteristiche che li rendono ingom branti e pericolosi. Sarebbe neces saria una legge nazionale che dia la possibilità ai comuni di emettere dei limiti di accesso.
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Notizie belle e buone Seconda santa svizzera. Lo scorse 13 ottobre, papa Fran cesco ha proclamato santa la friburghese Marguerite Bays, una semplice sarta del 19.mo secolo, che si aggiunge ai due precedenti santi svizzeri, Maria Bernarda Bütler (procla mata nel 2008) e Nicolao della Flue (santificato nel 1947). A Roma, erano in Piazza San Pietro, con migliaia di pelle grini svizzeri, la consigliera federale Karin Keller-Suter, il presidente del governo friburghese Jean-Pierre Siggen e la giovane Virginia Baudois, miracolata nel 1998, salvata per intercessione della Santa dall’essere schiacciata dal trattore del nonno. Successo rosa. Le deputate alle Camere federali per il pros simo quadriennio saranno 84 (più 20), cioè il 42%, mentre per la prima volta una donna ticinese entra alla Camera alta. Dopo le elezioni la vita per i lobbisti a Palazzo federale si è fatta più difficile. A causa di varie mancate rielezioni di personalità di spicco, i rappresentanti del mondo economi co, dei sindacati e delle casse malattia perderanno un po’ dell’influenza avuta finora. Successi femminili. Con l’elezione di Rebecca Ruiz, il Governo vodese conta, da questa primavera, cinque donne su sette membri, un primato in Svizzera, con una propor zione mai vista in un esecutivo cantonale. La percentuale di donne nei Governi cantonali di tutta Svizzera è del 24%. Il Ticino resta in coda alla classifica, con nessuna donna in Governo. In autunno il Vallese ha festeggiato, dopo la consigliera federale, anche la prima donna alla Camera alta con la democristiana Marianne Marel, e nel cantone Friburgo, una donna, la liberale Johanna Gapany, conquista il seggio del Consiglio agli Stati, nello storico feudo del partito democristiano. Il Réseau evangelico svizzero, con un comunicato del 10 settembre, aveva invitato a pregare in vista delle elezioni federali: e c’è chi afferma che non c’è più fede… Vita lunga ai cartacei. Il settimanale cristiano delle fa miglie «Echo magazine», di area cattolica, ha un nuovo responsabile, anzi UNA responsabile, Aude Pidoux, che non solo è donna, ma è anche di estrazione protestante vodese. Ha firmato il primo editoriale sul numero 24 del 13 giugno 2019, scrivendo: «Poter scrivere e coordinare un periodico di carta […] è una bella responsabilità, perché quello che si pubblica segna più a lungo lo spirito dei lettori che non ciò che possono leggere sui loro schermi». Compli menti e auguri, da un cartaceo che pensa la stessa cosa. Il trimestrale «Choisir» dei gesuiti di Ginevra ha festeggiato lo scorso novembre i sessant’anni di pubblicazione: nato col Vaticano II, continua la buona battaglia e «Dialoghi» gli augura di… tener duro. Ricevuti a palazzo. In occasione della giornata mondiale contro la povertà, un gruppo di ragazzi, accompagnati dai genitori, è stato ricevuto a Palazzo federale dalla presidente del Consiglio nazionale Marina Carobbio, per ricordare che in Svizzera (paese tra i più ricchi del mondo) più di 100.000 minori vivono al disotto della soglia di povertà, mentre 670.000 persone vivono nell’indigenza, e, nel 2017, la loro percentuale, per rapporto alla popolazione, è passata dal 7,5 all’8 per cento. Aderendo all’Agenda mondiale 2030 dell’ONU per lo sviluppo, la Svizzera si è impegnata a ridurre della metà la povertà nei prossimi dieci anni.
Peccati ecologici. Secondo monsignor Pedro Brito Gui maraes, arcivescovo di Palmas (Brasile), tenuto conto della situazione drammatica odierna, i «peccati ecologici» sono da confessare. È infatti necessaria una presa di coscienza ecologica, considerando l’importanza della salvaguardia dell’ambiente e delle offese che sono compiute «contro il Creatore del cielo e della terra». Premio meritato. Il Parlamento europeo ha conferito il premio Sakharov 2019 dei diritti umani a IlhamTohti, in tellettuale uiguro, condannato all’ergastolo dalle autorità di Pechino per la sua lotta a difesa dei diritti della minoranza musulmana che abita nella regione nordoccidentale dello Xinjiang. Le sue prese di posizione gli sono valse nel 2014 la condanna alla prigione a vita con l’accusa di fomentare il separatismo. Nel conferirgli l’onorificenza a sostegno del suo impegno, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha chiesto sia l’immediato rilascio di Tothi, sia il rispetto dei diritti delle minoranze in Cina. Nobel alla povertà. Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Mi chael Kremer sono i tre vincitori del Premio Nobel per l’Economia del 2019, attribuito per i risultati delle loro ricerche, che hanno migliorato enormemente la capacità di lottare contro la povertà. Uno dei loro studi ha permes so a più di 5 milioni di ragazzi indiani di beneficiare di programmi scolastici di tutoraggio correttivo. La francese Esther Duflo, 47 anni, è la seconda donna a vincere un premio Nobel per l’economia; in gioventù ha fatto parte degli scout protestanti, dei quali è stata anche responsabile del gruppo locale di Bois-Colombes, alle porte di Parigi. Premio Nansen. I «Corridoi umanitari», un’esperienza e un progetto promossi dalla Federazione delle Chiese evangeliche italiane, con la Comunità di sant’Egidio e l’appoggio dei vescovi che hanno assicurato a migliaia di rifugiati e persone con esigenze specifiche un canale sicuro per ricevere protezione e la possibilità di ricostruirsi un futuro in Italia, sono il vincitore regionale per l’Europa dell’edizione 2019 del Premio Nansen per i Rifugiati. Isti tuito nel 1954, esso viene conferito ogni anno a una persona o a un’organizzazione che si sono dedicate ad assistere le persone costrette a fuggire dalle loro case. Il Premio prende il nome da Fridtjof Nansen, esploratore polare e umanitario norvegese, che ha ricoperto per primo l’incarico di Alto Commissario per i Rifugiati per la Società delle Nazioni, dal 1920 al 1930. Bollino pro famiglia. La Chiesa evangelica in Germania, con il suo braccio sociale, la Diaconia, ha sviluppato la Evangelische Gütesiegel Familienorientierung, un «bollino di qualità» in tema di politiche familiari. Il sigillo di ap provazione incoraggia e supporta i fornitori, le istituzioni e in generale i datori di lavoro a sviluppare ulteriormente la propria politica nei riguardi del personale, in modo orien tato alla coesistenza fra necessità lavorative e familiari. In una recente cerimonia a Berlino con la partecipazione del ministro federale della famiglia Franziska Giffey, dodici aziende hanno ottenuto la certificazione. È un tema deci sivo del futuro, come donne e uomini possano entrambi svolgere un’attività professionale e avere abbastanza tem po e flessibilità per essere in grado di prendersi cura di bambini e parenti. Il mondo del lavoro deve affrontare la sfida di adattarsi a condizioni fondamentalmente mutate; le imprese e le istituzioni devono cogliere questa sfida che è anche un’opportunità.
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parole di francesco
PAROLE DI FRANCESCO
«Non si tratta solo di migranti» La causa dei migranti è nel cuore di papa Francesco: in occasione della 105ma giornata mondiale dedicata al tema, il 29 settembre, ha scelto il tema «Non si tratta solo di migranti» per mostrarci i nostri punti deboli e assicurarci che nessuno rimanga escluso dalla società, che sia un cittadino residente da molto tempo o un nuovo arrivato Riportiamo qui alcuni stralci significativi del messaggio (da www.vaticanvan; i sottotitoli sono della redazione). Prima gli ultimi «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole esse re il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43-44). Non si tratta solo di migranti: si tratta di mettere gli ultimi al primo posto. Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è «prima gli ultimi!». «Uno spirito individualista è terreno fertile per il maturare di quel senso di indif ferenza verso il prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di com pravendita, che spinge a disinteressar si dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone pavide e ciniche. Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società? E quanti ultimi abbiamo nelle nostre Società! Tra questi, penso soprattutto ai migranti, con il loro carico di diffi coltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta dispera ta, di un luogo ove vivere in pace e con dignità» (cfr. Discorso al Corpo Diplomatico,11 gennaio 2016). Nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima, e noi dobbiamo metterei a loro servizio. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Non si tratta solo di migranti: si tratta di tutta la persona, di tutte le persone. In questa affermazione di Gesù troviamo il cuore della sua missione: far sì che tutti ricevano il dono della vita in pienezza, secondo la volontà del Padre. In ogni attività politica, in ogni programma, in ogni
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In questo numero Editoriale G DOV’È IL POPOLO?
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azione pastorale dobbiamo sempre mettere al centro la persona, nelle sue molteplici dimensioni, compresa quel la spirituale. E questo vale per tutte le persone, alle quali va riconosciuta la fondamentale uguaglianza.
Articoli G «MATRIMONIO PER TUTTI» UNA SFIDA ESIGENTE (Alberto Bondolfi)
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G UN ANNO CRUCIALE DELLE DONNE (Daria Lepori)
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Per una società più giusta
G SINODO PANAMAZZONICO (Luigi Sandri)
6
G PER UNA CHIESA DAL VOLTO AMAZZONICO RINNOVATO IL «PATTO DELLE CATACOMBE»
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«Così dunque voi non siete più stranie ri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2, 19). Non si tratta solo di migranti: si tratta di costruire la città di Dio e dell’uomo. In questa nostra epoca, chiamata an che l’era delle migrazioni, sono molte le persone innocenti che cadono vitti me del «grande inganno» dello svilup po tecnologico e consumistico senza limiti (cfr enc. Laudato si’; 34). E così si mettono in viaggio verso un «para diso» che inesorabilmente tradisce le loro aspettative. La loro presenza, a volte scomoda, contribuisce a sfata re i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti. «Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, ri spettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiu ta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo» (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014). Cari fratelli e sorelle, la risposta alla sfida posta dalle migrazioni contem poranee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devo no essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se mettiamo in pratica questi verbi, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo, promuoviamo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone e aiutiamo anche la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile che si è data e che, altrimenti, saranno difficilmente raggiunti.
G ESCATOLOGIA E CLIMATOLOGIA (Marina Sartorio) 11 G TESTIMONI
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G LA DEMOCRAZIA È IN CRISI: CONSTATAZIONI E RIMEDI
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G UN’INFORMAZIONE RIFIUTATA (O SOLO NEGATA?) LA RADIO, I GIORNALI E LE NOTIZIE SULLA GUERRA (Enrico Morresi)
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G CRONACA SVIZZERA
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G CRONACA INTERNAZIONALE
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G NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILE
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G NOTIZIE BELLE E BUONE
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G PAROLE DI FRANCESCO
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dialoghi di riflessione cristiana www.dialoghi.ch Comitato: Alberto Bondolfi, Ernesto Borghi, Alberto Lepori, Daria Lepori, Enrico Morresi, Margherita Noseda Snider, Marina Sartorio, Carlo Silini Redattori responsabili: Alberto Bondolfi e Margherita Noseda Snider Redazione: Margherita Noseda Snider, margherita.noseda@edu.ti.ch, Alberto Bondolfi, alberto.bondolfi@unige.ch Amministratrice: Rita Ballabio, via Girora 26, 6982 Agno, rita.ballabio@bluewin.ch Stampa: Tipografia Stazione SA, Locarno Con il contributo dell’Aiuto federale per la lingua e la cultura italiana. I collaboratori occasionali o regolari non si ritengono necessariamente consenzienti con la linea della rivista. L’abbonamento ordinario annuale (cinque numeri) costa fr. 60.–, sostenitori da fr. 100.– Un numero separato costa fr. 12.– Conto corr. post. 65-7205-4, Bellinzona.