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224 dialoghi Locarno – Anno 44 – Dicembre 2012

di riflessione cristiana BIMESTRALE

Il Natale dev’essere proprio solo così? Il Natale è ormai il simbolo della nostra società dei consumi e l’apoteosi di un elemento che la caratterizza: lo spreco. Spreco di luci e di energia per paesaggi notturni che lampeggiano nervosamente, ma non danno conforto; spreco di cibi che fanno traboccare le pattumiere di quel che stomaci sopraffatti non hanno voluto; spreco di imballaggi a formare montagne di carta lucida, brillante, colorata; spreco di «regali», merci ricevute ma non necessarie e spesso nemmeno desiderate. Come siamo arrivati sin qui? Qual era il significato originario del dono a Natale? Ci sono alternative? «Dialoghi» affronta in questo numero, prendendo spunto dal carattere che ha assunto il Natale, il tema del consumismo, dei consumi, dell’economia capitalistica di mercato e delle alternative a quello che appare essere – ma non è – l’unico modello economico possibile. Le alternative ci sono e mettono in questione un atteggiamento secondo cui di tutto si può fare mercato, cioè trarre profitto: uteri in affitto, speculazione sulle derrate alimentari, brevetti di specie viventi, sfruttamento sconsiderato della natura, sperimentazione sugli animali, traffico di organi, droga, armi, strumenti di tortura, esseri umani. Esprimono una critica al mercato globale in cui tutto diventa merce, in cui un essere umano ha o non ha valore a dipendenza da dove vive o dal colore della sua pelle. Le alternative mostrano anche come fare. Invece di aspettare la fine del mondo, invitano a mettersi in gioco e a rinnovare quello in cui viviamo. (dossier a cura di Daria Lepori e Marina Sartorio)

Lo shopping compulsivo, febbre da acquisto La pubblicità ha lo scopo di convincere ad acquistare un prodotto, in pochi secondi. Deve essere facile da comprendere, convincente e fondarsi su elementi familiari della vita quotidiana. Vivere oggi tra noi significa esporsi continuamente a messaggi pubblicitari (ne captiamo in media 2500 al giorno). I maggiori grandi magazzini editano e ci recapitano settimanalmente gazzette che pubblicizzano merci «in azione» e le «ultime novità» messe in vendita. Perfino nella relazione con le persone siamo sollecitati dall’ammiccare dei nomi e dei «loghi» delle marche, da abiti e accessori. In una realtà che si svuota di significati e in cui le relazioni umane perdono autenticità, la pubblicità si insinua facilmente e ci fa desiderare cose di cui non abbiamo alcun bisogno. Vi siete mai chiesti quanto è disposta a spendere l’industria per convincerci a comperare? Un blogger ha fatto il calcolo seguente: nei primi sei mesi del 2011 in Italia le case

automobilistiche hanno investito in pubblicità 501 milioni di euro (fonte: Nielsen Media Research). Se si divide questa cifra per 1.012.849, pari alle auto immatricolate nello stesso periodo, si scopre che tra gennaio e giugno 2011, per ogni vettura targata, i costruttori hanno speso in pubblicità 495 euro. Un aspetto problematico della pubblicità è l’immagine della donna che veicola. Come sottolinea una risoluzione del Parlamento europeo del 2008, «la pubblicità, veicolando gli stereotipi del genere, racchiude le donne e gli uomini nei ruoli predefiniti, artificiali e spesso degradanti, umilianti e invalidanti per i due sessi». Le donne nella pubblicità sono molto visibili, ma in una maniera stereotipata che non corrisponde al loro posto reale nella società. Sono utilizzate per sostenere il trasferimento del desiderio dal corpo al prodotto, perché divenga desiderabile a sua volta. È una strategia di (Continua a pagina 7)

Aiutiamo il Nunzio a trovare il nuovo Vescovo di Lugano (pp. 23 e 24)


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