Lettera al popolo della Vita di Marina Casini Bandini, Presidente Nazionale Movimento per la VIta italiano
Non vi è dubbio che una delle riflessioni più importanti da fare in modo nuovo, serio e approfondito, riguarda il tema della maternità, ma anche della paternità. Che significa essere genitori, mamma e babbo, insomma. Lo esige la cultura della vita; lo esige il nostro tempo. L’epoca che stiamo vivendo ci mette davanti un’antropologia che fagocita tutto in nome dei c.d. “nuovi diritti civili” che sono camuffamenti di pretese individuali: rendono l’umano manipolabile a piacimento in base ai propri desideri assolutizzati. In pratica tutto ciò che tecnicamente è fattibile diventa anche lecito eticamente e legittimo giuridicamente. Queste considerazioni investono anche il tema dell’utero in affitto, chiamato “maternità surrogata”. Stiamo parlando del noto sistema per cui donne che vivono in condizioni di miseria vengono pagate per portare avanti una gravidanza su commissione di “aspiranti genitori” (detti anche “genitori intenzionali”) ai quali il bambino appena partorito viene poi consegnato. Uno sfruttamento mercantile, un grande giro di soldi i cui beneficiari sono soprattutto le cliniche, le agenzie di intermediazione, i consulenti 4
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SÌ alla VITA
legali. Una logica produttivistica che riduce a oggetti le donne e i bambini. Contratti che prevedono l’aborto in caso di malformazioni o gravidanze gemellari. Per neutralizzare il carico di negatività di questa pratica – l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vieta di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro – sono invalse espressioni che l'ammantano di “altruismo”: “gestazione per altri”, “gestazione solidale”, “gestazione di sostegno”. Ma è risaputo che dietro i “rimborsi spese” ci sono lauti compensi. In ogni caso resta, appunto, la distorsione della maternità, della paternità e della filiazione, perché i figli non sono “diritti” da pretendere, ma titolari di diritti da rispettare. Per questo, giustamente, a livello parlamentare si è fatta largo la proposta di legge – in linea con quanto richiesto nella scorsa legislatura da settanta associazioni facenti capo al Network “Ditelo sui tetti” – che vuole rendere l’utero in affitto reato universale, perseguibile anche se commesso all’estero da cittadini italiani. È vero che la legge n. 40 del 2004 vieta la maternità surrogata, ma si è reso tuttavia
necessario mettere mano al progetto di legge in questione per disincentivare il turismo procreativo di coloro che per aggirare l’ostacolo si recano all’estero. La proposta è supportata da autorevoli documenti giuridici, come ho ricordato nel recente articolo scritto per Famiglia Cristiana e anche da un’ampia rappresentanza di associazioni abolizioniste anche di stampo femminista che guardano con speranza al voto del parlamento italiano «opportunità storica contro la nuova tratta». Ma l’auspicabile legge che mette universalmente al bando l’affitto d’utero, non può che essere il primo passo per quella complessiva riflessione, nuova, seria e profonda, che riguarda la maternità e la paternità e che quindi non può escludere il tema di quei figli cui viene impedito di nascere e di quei figli generati in provetta ed esposti a molteplici attività distruttive. Non possono esserci maternità e paternità se non vi sono figli, e si è figli sin dal concepimento.