MASTERX MAGGIO 2023

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Incompresi, forse incomprensibili, anche da sé stessi.

I giovani sono pieni di dubbi e domande. Spesso, è il confronto a dare risposte.

IO CONTRO

ME

In copertina (dall’alto verso il basso):

Chiara di Cintio

Mario Castorina Garcia

Valeria Somaschini

Tre studenti Iulm ci hanno raccontato i sentimenti che più li caratterizzano.

Noi li abbiamo descritti con i colori.

SERENITÀ INCERTEZZA

PREOCCUPAZIONE ALLEGRIA

FELICITÀ PAURA

Intervista Davide Baventore, vice presidente Ordine Psicologi della Lombardia _ p.12

I numeri parlano chiaro. Per i giovani: più formazione, competenza e nuova politica retributiva _ p.8

«In che senso?» La guida definitiva per capire il linguaggio dei giovani _ p.24

Intervista

Umberto Galimberti contro tutti: scuola, famiglie e persino contro la psicologia _ p.7

MasterX

Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione Anno XXI | Numero 2 | Maggio 2023 | www.masterx.iulm.it

Diretto da:

DANIELE MANCA (responsabile)

Progetto grafico: ADRIANO ATTUS

In redazione:

Carlotta Bocchi, Francesca Daria Boldo, Valeria Boraldi, Elisa Campisi, Andrea Achille Dell’Oro, Eleonora di Nonno, Pasquale Febbraro, Claudia

Maria Franchini, Stefano Gigliotti, Gabriele Lussu, Oscar Maresca, Valeriano Musiu, Leonardo Rossetti, Gabriella Siciliano, Giulia Zamponi, Elena Capilupi, Valentina Cappelli, Andrea

Carrabino, Umberto Cascone, Filippo Riccardo di Chio, Andrea Pietro Di Tullio, Christian Leo Dufour, Thomas Fox, Sara Leombruno, Andrea Muzzolon, Alessandra Pellegrino, Matteo Pelliccia, Ivan

Torneo, Letizia Triglione, Erica Vailati

Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002

Stampa: RS Print Time S.r.l

Master in Giornalismo Iulm

Direttore: Daniele Manca

Responsabile didattico: Marta Zanichelli

Caporedattore: Ugo Savoia

Responsabile laboratorio redazione digitale:

Paolo Liguori

Tutor: Sara Foglieni

Docenti:

Anthony Adornato (Mobile Journalism)

Adriano Attus (Art director e grafica digitale)

Federico Badaloni (Architettura dell’informazione)

Luca Barnabè (Giornalismo, cinema e spettacolo)

Simone Bemporad (Comunicazione istituzionale)

Ivan Berni (Storia del giornalismo)

Silvia Brasca (Fact checking and Fake news)

Federico Calamante (Giornalismo e narrazione)

Marco Capovilla (Fotogiornalismo)

Marco Castelnuovo (Social Media curation)

Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico)

Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico)

Giovanni Delbecchi (Critica giornalismo Tv)

Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale)

Luca De Vito (Videoediting)

Stefano Draghi (Statistica e demoscopia)

Guido Formigoni (Storia contemporanea)

Alessandro Galimberti (Diritto d’autore)

Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico II)

Alessio Lasta (Reportage televisivo)

Nino Luca (Videogiornalismo)

Bruno Luverà (Giornalismo Tv)

Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo)

Matteo Marani (Giornalismo sportivo)

Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico)

Alberto Mingardi (Giornalismo e politica)

Micaela Nasca (Laboratorio di pratica televisiva)

Elisa Pasino (Tecniche dell’ufficio stampa)

Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II)

Davide Preti (Tecniche di montaggio)

Roberto Rho (Giornalismo economicoGiornalismo quotidiano)

Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)

Federica Seneghini (Prodotti editoriali)

Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)

Marta Zanichelli (Publishing digitale)

Editoriale

Perché siamo il più grande ostacolo di noi stessi di Francesca Daria Boldo e Leonardo Rossetti

Confiltti generazionali di Andrea Achille Dell’Oro

Intervista al filoso ed editorialista U.Galimberti di Valeria Boraldi

I numeri di una generazione perduta?

Focus NEET: il fascino del divano di Andrea Carrabino e Thomas Fox

Il mito dell’estero di Claudia Franchini e Christian Leo Dufour

Intervista a Davide Baventore Vice presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

Posto dunque sono di Giulia Zamponi e Oscar Maresca

MAPPA Dove i social hanno fatto la differenza

Farmaci & Co: rimedi vecchi, problemi nuovi di Gabriella Siciliano, Valeriano Musiu e Elisa Campisi

Baby gang: com’è la violenza oggi di Pasquale Febbraro, Stefano Gigliotti e Gabriele Lussu

La lingua dei giovani non invecchia di Carlotta Bocchi e Eleonora di Nonno

Sempre più E-sports.

Giugno, Olimpiadi a Singapore di Francesca Daria Boldo

IULM NEWS E SERVIZI

Critica, l’arte fuori dall’arte di Sara Leombruno

COLOPHON 2 | MASTERX | MAGGIO 2023
SOMMARIO
MasterX MAGGIO 2023 - N° II - ANN0 XXI 3 4 25 24 22 18 16 14 12 10 8

PERCHÉ SIAMO IL PIÙ GRANDE OSTACOLO DI NOI STESSI

Io contro me. Noi contro noi stessi.

Avete mai provato la sensazione di sentirvi intrappolati nella vostra testa? Di combattere contro pensieri prepotenti che entrano senza chiedere il permesso e più cerchi di zittirli, più diventano grandi? Il mondo che abbiamo dentro spesso ci porta a distorcere la realtà in cui viviamo, e di fronte a problemi e opportunità siamo proprio noi stessi, molte volte, il nostro più grande ostacolo.

In questo numero di MasterX abbiamo voluto interrogarci su questa lotta, continua e condivisa, che ognuno di noi, a modo suo, intraprende contro sé stesso. Abbiamo cercato di farlo tenendo ben presente alcuni punti cardine: non siamo soli (anche quando pensiamo di esserlo); abbiamo a nostra disposizione mezzi tecnologici che nessuno prima ha mai avuto la possibilità di utilizzare; prevenire è meglio che curare, non solo quando si parla di salute. Da questi punti di partenza, abbiamo analizzato la realtà che ci circonda, circoscrivendo i problemi che si presentano e provando a fornire delle soluzioni pratiche, concrete e (si spera) efficaci.

Come affrontare la pressione che sentiamo incombere su di noi senza esserne schiacciati. A chi rivolgersi quando ci si affaccia al mondo del lavoro. Come usare i social in maniera efficace. Quali vie possiamo percorrere quando vorremo solamente rompere tutto, alzare bandiera bianca o cerca-

re la risposta nel fondo di una bottiglia. A volte, crediamo di farcela, di non aver bisogno di parlarne perché prima o poi passerà, invece è così che ne restiamo intrappolati e ci autoinganniamo. Possiamo posticipare il problema ma, presto o tardi, si ripresenterà davanti, senza mezzi termini.

Per questo, è fondamentale imparare a conoscersi, arrivare a dare un nome al proprio malessere, a curarlo o cominciare a conviverci. Perché nessuno di noi sceglie le sue difficoltà, fanno semplicemente parte del nostro essere, e prima o poi, chi più e chi meno, tutti i giovani d’oggi dovranno iniziare a fare i conti con i disagi interiori e perché no, magari iniziare anche a accettarli e a trasformarli in forza.

«Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio» scriveva don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa nel 1967. Una constatazione che non è invecchiata di un giorno. «Sortirne tutti insieme - continuava - è politica. Sortirne da soli è avarizia». E aggiungeremmo noi: sortirne tutti insieme è più facile e piacevole, mentre sortirne da soli è tremendamente difficile (se non impossibile).

Speriamo che i prossimi articoli vi possano far compagnia non solo per il tempo di una lettura, ma anche nel vostro futuro, perché, come voi, anche noi abbiamo un sacco di interrogativi in testa e, una volta girata questa pagina, troverete alcune delle risposte che ci siamo dati.

EDITORIALE MAGGIO 2023 | MASTERX | 3

CONFLITTI GENERAZIONALI

Tra falsi miti, verità nascoste e quelle che non si vogliono vedere. Il divario d’età è spesso barriera per il dialogo, ma le nuove generazioni vogliono andare oltre.

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MASTERX

Mentre i genitori rimproverano i figli perché hanno la testa tra le nuvole, questi rispondono accusandoli di aver rovinato il pianeta. Non sappiamo chi abbia ragione. Quel che è certo è che lo scontro tra padri e figli pare non fermarsi mai. Il mondo sembra essersi spaccato in due: chi parla dei “giovani d’oggi” e chi risponde con un secco “Ok boomer”. La previsione che aveva fatto nel 1862 Ivan Turgenev nel romanzo Padri e figli si è avverata: le relazioni amichevoli fra genitori e prole sono finite. Lo dimostra il libro Senza età. Come generazioni diverse coesistono e insieme creano valore di Diego Martone, esperto di ricerche demoscopiche e di marketing, dove il conflitto generazionale non soltanto esiste, ma avviene anche su molti campi: dalla tecnologia alle speranze per il futuro, passando per il lavoro, l’ambiente e la salute mentale.

Tuttavia non si può fare un discorso generale che possa valere per tutti, giovani e meno giovani. Al loro interno, infatti, queste categorie sono variegate e spesso anche pochi anni di differenza possono portare a differenze radicali nel modo di pensare e di esprimesi. Per parlare di quelli che oggi consideriamo “grandi”, dobbiamo fare una distinzione tra Boomer e generazione X. La parola “boomer” è nata durante il baby boom, ossia durante l’esplosione demografica che si è verificata dopo la seconda guerra mondiale e che in Italia ha preso il nome di “miracolo economico”. Con il termine “boomer” si intendono tutte le persone nate tra il 1946 e il 1964: nel nostro Paese sono circa 14 milioni. Si tratta di una generazione cresciuta nell’epoca dell’ottimismo del dopoguerra, ma anche della guerra fredda (e del Vietnam), delle lotte per i diritti civili, della rivoluzione sessuale, del pacifismo, del femminismo e del rock. Vissuti nel benessere economico, i Boomer hanno cresciuto i figli con il mito del “se vuoi, puoi”, senza rendersi conto dei cambiamenti mondiali che, negli anni, hanno trasformato le certezze in precarietà. Ottimisti, fiduciosi, ambiziosi e idealisti, credono nel sistema e nelle opportunità.

Tutti quelli nati tra il 1965 e il 1980, invece, appartengono alla Generazione X, termine coniato dallo scrittore canadese Douglas Coupland nel romanzo Generation X: Tales for an Accelerated Culture (“Generazione X: Storie per una cultura accelerata”). Il libro, di fatto, ha dato il nome all’intera fascia generazionale vissuta tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta. Cresciuti sull’esempio della generazione precedente, si sono trovati nel mezzo di un passaggio epocale, ossia il fenomeno della globalizzazione. Non ancora cosmopoliti come lo saranno le generazioni successive, hanno dovuto affrontare sfide a cui non erano del tutto preparati. Tra queste, la recessione, la caduta del muro di Berlino, il collasso dell’Unione Sovietica, la consacrazione degli Stati Uniti d’America come unica superpotenza mondiale, e, soprattutto,

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A cura di Andrea Achille Dell’OroMASTERX

l’avvento di Internet. Sono caratterizzati in parte da scetticismo e disillusione, in parte da pragmatismo e predisposizione al cambiamento. Dimostrano un’apertura mentale maggiore verso le differenze di genere, razza e sesso. La diminuzione demografica e l’incertezza dovuta alla situazione economica che queste persone hanno vissuto sulla propria pelle fanno della Gen X una generazione un po’ fantasma (da qui la lettera dell’alfabeto che li definisce). Studio, lavoro, matrimonio e figli hanno iniziato a subire dei ritardi, per la difficoltà nel trovare un’occupazione e per l’incertezza sul futuro. Per questo, i nati tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Ottanta spesso escono dalla propria famiglia o si sposano dopo i 30 anni.

Entrambi, Boomer e Generazione X, secondo Martone, non riescono a mettersi davvero nei panni dei figli e li guardano con occhio critico, in particolare per il modo totalizzante con cui si interfacciano con il mondo digitale. Li reputano, pertanto, incapaci di realizzarsi, materialistici, superficiali, pigri, egocentrici e con pochi ideali, nonostante abbiano meno ostacoli da affrontare. A ciò si aggiunga, inoltre, l’incapacità dei boomer di partecipare a temi che, invece, sono di primaria importanza per i più giovani, tra cui la cura dell’ambiente, la crisi climatica, la precarietà sul lavoro e la salute mentale.

Guai però a pensare che i giovani siano tutti uguali e collocabili in un unico gruppo. Anche in questo caso, si possono distinguere due categorie, ossia Millennials e Generazione

Z. I primi, chiamati anche “Generazione Y”, sono nati tra il 1981 e il 1995. Fin dall’infanzia sono stati esposti alle moderne tecnologie e per questo motivo sono considerati la generazione dei social media. Proprio la familiarità con smartphone, tablet e pc ha dato loro l’appellativo di “nativi digitali”: sono persone che si sono interfacciate sin da piccole con le tecnologie dell’informazione e cresciute con Internet. Per questo motivo si ritiene che la Generazione Y abbia particolare dimestichezza con la tecnologia. Inoltre, non hanno mai fatto esperienza di un mondo non interconnesso dal web. I Millennials, cresciuti in tempi in cui temi come il cambiamento climatico, la globalizzazione e il terrorismo sono diventati una priorità, cercano un buon equilibrio tra lavoro e vita privata. Viene

considerata una generazione che apprezza in modo particolare l’individualità, dando però al contempo molta importanza alla comunità.

La Generazione Z (conosciuta anche come “GenZ”), invece, comprende tutte le persone nate tra la fine degli anni ’90 e il 2012. È stata definita anche “iGeneration” dalla professoressa di psicologia Jean Twinge, per sottolineare il rapporto con il mondo della tecnologia e la tendenza all’iperconnessione e alle ultime novità tech. Sono i figli della Generazione X e degli ultimi Boomer. Nata in un mondo minacciato dal cambiamento climatico, dal precariato, dalla mancanza di lavoro e di prospettive, la Generazione Z ha una resilienza sconosciuta alle generazioni precedenti. Definiti “multi-tasking”, cercano di conciliare lavoro, studio e intrattenimento. Non senza difficoltà, perché costretti a muoversi in un mondo che avanza a ritmi veloci e, a tratti, frenetici. Sono cittadini e consumatori più attenti, consapevoli ed esigenti, e rispetto alle generazioni precedenti hanno maggiormente a cuore questioni sociali. Si pensi, ad esempio, all’azzeramento delle diseguaglianze, ai diritti umani e al benessere degli animali.

Millennials e Generazione Z, per quanto provino complessivamente simpatia verso nonni e bisnonni (anche se li considerano appartenenti a un mondo lontanissimo nel tempo e ormai in via di estinzione), assumono un atteggiamento ben diverso (e a tratti ambivalente) nei confronti dei boomer. Da un lato, grazie alla mediazione tecnologica che entrambe le generazioni conoscono, ma che padroneggiano con livelli anche molto differenti di capacità di utilizzo, condividono le stesse modalità di comunicazione. Dall’altro i giovani osservano i più grandi con una certa invidia. Questi hanno potuto vivere l’adolescenza negli anni ’80 e ‘90, le cui tendenze sono oggi tornate in voga grazie soprattutto alla musica, che riprende sonorità di quel periodo, e alla moda, con i suoi colori e i suoi indumenti (si pensi a molti dei trend di TikTok che riattualizzano l’estetica di quel tempo). Diverso è il giudizio della GenZ su fratelli e sorelle maggiori, il più delle volte Millennials, ai quali si rimprovera di essere meno pragmatici, meno cool rispetto a loro e privi di senso dell’umorismo.

FOCUS BOX

A cura di Francesca Daria Boldo

sai vivere senZa QUeL TeLeFono in Mano?

Molti adulti pensano che i ragazzi non riescano più a fare alcuna azione senza l’aiuto di una ricerca e che abbiano una soglia di attenzione quasi inesistente a causa della pigrizia dovuta all’uso prolungato del cellulare. Questo non è del tutto falso: in media, gli utenti trascorrono su Internet 7 ore giornaliere. C’è da dire, però, che il tempo speso in rete non è del tutto perso. Molti ragazzi lo sfruttano per imparare nozioni nuove, da applicare nel mondo “reale”, o per trovare risposte ad argomenti considerati spesso “tabù”.

pUoi resisTere Un giorno senZa pUBBLicare sTorie ? dov’È La privacY?

Se si pensa alla Gen Z, si pensa ai ragazzi Instagram-dipendenti. Secondo molti, la loro vita è diventata una vetrina e non riescono ad andare a mangiare senza pubblicare una story del loro piatto. I dati, invece, dicono che solo il 49% dei ragazzi pensa che i social siano una parte importante della propria vita contro il 61% dei millennial (fonte Il Sole 24 ORE). In realtà, dopo alcuni episodi di cyber-bullismo o stalking, la Gen Z ha una vita più privata e i ragazzi sono più selettivi: non pubblicano a caso e tengono i profili privati. Altro che vetrina!

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Alcuni falsi miti sulla GenZ, che è ora di smentire
Dialogo con se stessi. Ti sei mai chiesto\a se sei felice della tua vita o se te ne andresti nella direzione opposta?

non gira TUTTo inTorno a Te

La Gen Z è molto più aperta e inclusiva rispetto alle generazioni precedenti. I fatti mostrano come sta attenta ai problemi sociali e disposta a protestare per far sì che tutti vivano armonicamente, anche se non si tratta di problemi riguardanti personalmente loro. Si pensi alle varie proteste razziali “Black lives matter” per George Floyd, i gay pride in giro per il mondo per tutelare i diritti lgbtq+ o i “Fridays for future” per la salvaguardia del pianeta di Greta Thunberg. Insomma, se non è questa una prova di empatia e di abnegazione…

«Si fatica a trovare uno scopo nella vita»

Ieri e oggi, giovani a confronto: nulla è più come prima e, forse, neanche meglio di prima. Intervista a Umberto Galimberti, filosofo ed editorialista de La Repubblica

A cura di Valeria Boraldi

Generazioni che si guardano, quelle di ieri e quelle di oggi. Giovani di un tempo passato che convivono con Millennials e Gen Z e tra i quali il paragone nasce spontaneo per i modi di comunicare, di rapportarsi al mondo e di vedere il proprio futuro.

Ne abbiamo parlato con il Prof. Umberto Galimberti, psicanalista e giornalista di Repubblica, che ci ha spiegato perché il sacrificio è ancora la chiave di svolta.

proF gaLiMBerTi, giovani di adesso e giovani dei TeMpi che FUrono: cosa Li disTanZia?

Una differenza abissale. I ragazzi del ‘68 erano colti, avevano studiato. Io non avevo il fisico per andare in piazza, però osservavo. Quei giovani hanno determinato una trasformazione radicale della società, in maniera forte, irruenta, esagerata, perché le rivoluzioni o sono esagerate o non sono tali. Al suono di “la famiglia è una caserma”, “la scuola non insegna”, “la fabbrica è un’alienazione”, “vietato vietare” hanno dissolto la struttura della società della disciplina. A quel punto, tutti liberi. C’era una valenza politica molto intensa, assente nei giovani di oggi. Noi eravamo spinti dal nostro futuro, pronto ad aspettarci.

chiunque riusciva a leggere e a scrivere. Ora se un bambino è troppo vivace, gli danno le medicine; se un altro è timido, si dice che ha un’ansia generalizzata. Ci sono queste definizioni psichiatriche. È giusto che esistano gli psicologi, ma non bisogna arrivare a patologizzare tutta la società.

sU QUaLe versanTe si poTreBBe inTervenire?

Quando distruggi il desiderio, distruggi la macchina della vita

UMBERTO GALIMBERTI

coMe sarà iL FUTUro dei ragaZZi di oggi? Non ce l’hanno. Non c’è futuro. Il nichilismo l’ha definito Nietzsche: nei giovani d’oggi manca lo scopo. Il futuro non è più una promessa. Manca la risposta al “Perché?”: “Perché mi devo impegnare? Perché devo stare al mondo?”. Sono tanti i giovani che si suicidano, le ragazze anoressiche, gli autolesionisti e gli hikikomori. La situazione è pesante.

che rUoLo ha La psicoLogia in TaLe conTesTo? La psicologia ha patologizzato soprattutto la scuola elementare. Oggi sono tutti disgrafici, dislessici, discalculici. Secondo me non è vero. Sì, ci sarà il disgrafico strutturale, ma alla mia epoca bastava un po’ più di esercizio e alla fine

Sugli insegnanti di sostegno: bisogna essere prudenti perché spesso non sono preparati. Dovrebbero conoscere più nozioni di uno psicologo, perché per un ragazzo con una sindrome di Asperger o per un autistico andrebbe già considerata la struttura psichiatrica. Però, dato che lo stato italiano non ha pensato la scuola per gli studenti, ma per dare lavoro ai professori, coloro che non hanno la cattedra vanno a fare gli insegnanti di sostegno senza preparazione. E se si da un insegnante di sostegno a un bambino che, forse, non ne ha bisogno, il primo messaggio che si veicola è “tu nella vita non ce la farai mai da solo”.

iL caMBiaMenTo dei Modi di coMUnicare che iMpaTTo ha avUTo?

Ai miei tempi non esistevano gli smartphone, la comunicazione era frontale. Ora è un disastro. Noi siamo nelle mani della tecnica, che adesso è il soggetto della storia, con valori come l’efficienza, la produttività, la velocizzazione del tempo. Questa istanza è tremenda.

Un FaTTore negaTivo che ha inciso sULLa ForMaZione deLLe nUove generaZioni? L’essere cresciuti in famiglie che hanno tolto loro il desiderio, dandogli tutto. Quando distruggi il desiderio, distruggi la macchina della vita, perché esso è mancanza e senza quella non ti muovi per raggiungere l’oggetto ambito. Se vuoi una cosa, devi darti da fare. Ora non è più necessario fare sacrifici. Sono crollate le ideologie e quando succede, cade tutto.

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I numeri di una generazio ne

Più inattivi e meno laureati rispetto ai dati europei. Per colmare questo gap all’Italia servirebbero una nuova politica retributiva e cambiamenti importanti nella formazione e nello sviluppo di competenze

Tra i problemi strutturali dell’Italia, uno dei più significativi è la necessità di favorire l’occupazione e l’istruzione tra i giovani. Nel nostro Paese, considerando la fascia d’età 15-34, i lavoratori sono meno rispetto a quelli che non hanno un impiego e non lo cercano. E coloro che, oltre a non essere occupati, non studiano, rappresentano il valore più alto in tutta l’Unione europea. Per non parlare poi dei giovani laureati: siamo al penultimo posto in Ue.

Per una persona che si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro o a quello universi-

tario, le prospettive nel nostro Paese non sembrano rosee. Ma precisamente, quali sono i numeri dietro questi fenomeni? Secondo i dati Istat, aggiornati al terzo trimestre del 2022, i giovani nella fascia compresa tra i 15 e i 34 anni sono circa 12 milioni (fig. 1). Tra questi, gli occupati - quelli che lavorano - sono più di 5,2 milioni (il 44% del totale). I disoccupatiquelli che non lavorano, ma lo cercano - sfiorano gli 850 mila (il 7,1% del totale). Gli inattivi - quelli che non lavorano e non lo cercanosuperano i 5,8 milioni (il 48,9% del totale). Di quest’ultima categoria fanno parte gli studenti e più di 3 milioni di Neet (fonti ministeriali).

I dati Istat possono essere analizzati sulla base di diversi parametri. Anzitutto, gli uomini sono più occupati delle donne. In termini assoluti, nella fascia d’età 15-34 si contano oltre 3,1 milioni di occupati uomini, contro poco più di 2,1 milioni di donne. Viceversa, tra gli inattivi prevalgono le donne: quelle che non lavorano e non lo cercano superano i 3,2 milioni, mentre gli uomini sono circa 2,6 milioni. Tra i disoccupati, invece, gli uomini e le donne si attestano su valori quasi equivalenti, rispettivamente 426 mila e 417 mila. Anche dall’analisi in termini percentuali, il quadro risulta ancor più chiaro. Tra gli uomini nella fascia d’età 1534 il 50,5% sono occupati, il 7% disoccupati e il 42,5% inattivi. Tra le donne prevalgono invece le inattive, con il 55,6%, mentre le occupate

sono il 37,2% e le disoccupate il 7,2%.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, disoccupazione e inattività si concentrano soprattutto nel Sud Italia. Tra tutti i disoccupati nella fascia 15-34, circa 170 mila sono nel Nordovest, 106 mila nel Nordest, 142 mila nel Centro e ben 425 mila nel Sud (fig. 2). Ciò significa che i disoccupati nel Mezzogiorno superano la somma di quelli nelle altre tre macroaree d’Italia. Anche gli inattivi si trovano soprattutto nel Meridione e superano i 2,5 milioni. Nel Nordovest sono, invece, poco più di 1,3 milioni, nel Nordest meno di 1 milione e nel Centro quasi 1,1 milioni. Gli occupati sono distribuiti con valori simili nelle quattro macroaree: quasi 1,6 milioni nel Nordovest, oltre 1,2 milioni nel Nordest, più di 1 milione nel Centro, mentre nel Sud sfiorano gli 1,4 milioni. Incrociando questi dati si vede che nel Sud, a differenza del resto d’Italia, gli inattivi nella fascia d’età 15-34 sono quasi il doppio rispetto agli occupati: più di 2,5 milioni contro i quasi 1,4 milioni. Nel Nordovest, nel Nordest e nel Centro, invece, gli inattivi e gli occupati si attestano su valori simili.

Distinguendo i giovani in due fasce d’età (1524 e 25-34), i dati suggeriscono che l’occupazione si concentra soprattutto tra i più maturi: oltre 4 milioni di occupati 25-34, a fronte dei quasi 1,2 milioni nella fascia 15-24. Anche i di-

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Di Andrea Carrabino e Thomas Fox -

Generazione Z. Potremmo riempire interi paragrafi con la retorica sui tempi difficili, ma se siamo o no una generazione perduta dobbiamo deciderlo noi. E in fretta.

perduta?

soccupati sono soprattutto tra i meno giovani: quasi 500 mila nella fascia 25-34, contro poco meno di 350 mila nella fascia 15-24. Viceversa, gli inattivi si contano soprattutto tra i più giovani: oltre 4,2 milioni contro più di 1.6 milioni. Lo stesso quadro può essere analizzato in termini percentuali. I giovani 15-24 sono in gran parte inattivi (il 73,4%). Un valore tre volte superiore a quello degli attivi (26,6%), una categoria in cui rientrano gli occupati e i disoccupati. Numeri speculari per la fascia d’età 25-34: gli attivi sono il 74%, gli inattivi il 26%.

Analizzando il titolo di studio, tra i giovani 1534 gli occupati sono soprattutto i diplomati: oltre 2,9 milioni, contro i circa 1,4 milioni di occupati laureati e i più di 900 mila con licenza media (fig. 3). Anche tra i disoccupati prevalgono i diplomati: più di 470 mila, mentre i laureati e i giovani con la terza media sono rispettivamente circa 130 mila e 240 mila. Tra gli inattivi il primo posto lo occupano invece i giovani con licenza media: oltre 2,7 milioni, a fronte dei 2,4 milioni di inattivi diplomati e i quasi 700 mila inattivi laureati.

In ogni caso, secondo il XXIV Rapporto su Profilo e Condizione occupazione dei Laureati, stilato nel 2022 da AlmaLaurea, «laurearsi conviene: il livello del titolo di studio posseduto è determinante per non restare disoccupati e per guadagnare di più». Secondo quest’inda-

gine, nel 2021 il tasso di occupazione nella fascia 20-64 anni si attesta al 79.2% tra i laureati, a fronte del 65,2% dei diplomati. I laureati che lavorano, a un anno dal conseguimento del titolo, sono il 74,5% tra quelli di primo livello e il 74,6% tra quelli di secondo livello. A cinque anni dalla laurea, il tasso di occupazione sale rispettivamente all’89,6% e all’88,5%.

Per quanto riguarda i salari, considerando la fascia d’età 20-64, nel 2020 un laureato guadagna in media il 37% in più rispetto a un diplomato. Nel 2021 la retribuzione mensile netta si attesta in media, a un anno dal titolo, a 1.340 euro per un laureato di primo livello, cifra che sale a 1.407 euro per quelli di secondo livello. Valori un po’ più alti a cinque anni dalla laurea: 1.554 euro per i laureati di primo livello, 1.635 euro per quelli di secondo livello. Se laurearsi conviene dal punto di vista occupazionale e retributivo, l’Italia è penultima in Unione europea per numero di laureati nella fascia 2534. Secondo i dati Eurostat del 2021, il nostro Paese è fermo al 28%, a fronte del 41% della media europea. L’Ue si è posta l’obiettivo di arrivare entro il 2030 al 45% dei laureati nella fascia d’età 25-34: l’Italia deve percorrere ancora molta strada. Ma è fondamentale raggiungere questo traguardo, per dare ai giovani tutte le opportunità per entrare nel mercato del lavoro nel miglior modo possibile.

NEET

IL FASCINO DEL DIVANO

Per rappresentare lo spreco delle energie e dei talenti dei giovani, l’Unione europea utilizza un acronimo: “Neet” - dall’inglese “Not in employment, education or training”. Si tratta delle persone non occupate, né inserite in un percorso di istruzione o formazione.

In Italia, nella fascia d’età 15-34, sono più di 3 milioni, su un totale di circa 12 milioni di giovani. Tra i Neet, 2 milioni sono i veri e propri inattivi, mentre 1 milione rientrano tra i disoccupati e sono quantomeno alla ricerca di un lavoro. In termini percentuali, secondo il Ministero per le politiche giovanili, quello italiano è il peggior dato nell’Ue (25,1%). Ed è il quarto più alto nel continente, dopo Turchia, Montenegro e Macedonia.

Nel nostro Paese, il fenomeno è soprattutto diffuso tra le donne. Sono circa 1,7 milioni le giovani Neet, contro gli 1,3 milioni di uomini. Anche dal punto di vista territoriale si può chiaramente riscontrare un divario. Secondo un rapporto Cgil del 2022, tra i giovani italiani il 39% dei Neet sono nel Sud Italia, il 23% nel Centro, il 20% nel Nordovest e il 18% nel Nordest.

Le analisi segnalano diversi fattori di rischio tra i giovani. Ad esempio, uno scarso rendimento scolastico, vivere in una famiglia a basso reddito o in una zona rurale, crescere con un solo genitore, avere delle disabilità. Più in generale, la transizione scuola-lavoro è diventata più complessa: oggi i giovani impiegano più tempo per trovare un’occupazione, cambiano frequentemente la propria professione, spesso lavorano come parttime o stagionalmente.

L’Unione europea si è prefissata come obiettivo la riduzione dei Neet. Entro il 2030 non dovranno superare il 9% a livello europeo nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 29 anni. Nel 2021, la media Ue era al 13,1%. Un modo per contrastare il fenomeno potrebbe essere intervenire direttamente a scuola. Ad esempio, rafforzando durante gli studi la conoscenza del mondo del lavoro e favorendo l’incontro tra le attitudini dello studente e le richieste del mercato. Ma è necessario agire su tutti i fronti - politico, sociale, economico, psicologico - per recuperare quella che nel 2016 Mario Draghi definì una vera e propria “lost generation”.

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CURIOSITÀ

Sicuri di sapere tutto sul lavoro all’estero?

L’EMIGRAZIONE RIDUCE IL LAVORO?

L’idea che con l’emigrazione di tanti italiani si “liberino” posti di lavoro non è supportata dell’evidenza empirica. Con la perdita di tanti potenziali imprenditori, l’emigrazione riduce le opportunità di lavoro per chi rimane. Per ogni mille italiani emigrati, tra il 2008 e il 2015, ogni anno sono state registrate circa 36 imprese in meno, soprattutto tra quelle create da persone di età inferiore ai 45 anni e tra le startup innovative.

BENEFICIO FISCALE PER IL RIENTRO DEI CERVELLI

La durata del beneficio fiscale per il rientro dei cervelli è di 5 anni, per il quale opera un abbattimento dell’imponibile del 70%, cosicché le imposte che restano dovute sono sul 30% dei redditi percepiti. In alcuni casi, il beneficio fiscale viene esteso per ulteriori 5 anni. Questo avviene se il lavoratore rientrato diventa proprietario di almeno un immobile di tipo residenziale in Italia, o se ha almeno un minore a carico o in affido preadottivo.

Il mito dell’estero

Stipendi bassi, carriere precarie, condizioni lavorative per niente incentivanti. Se questa è la situazione in Italia, cosa dovrebbe fare un giovane se non andarsene?

è vera». Inizia così il rapporto italiani nel Mondo 2022, promosso dalla Fondazione Migrantes, che conferma come il numero degli Italiani residenti all’estero (oltre 5,8 milioni) abbia superato quello degli stranieri residenti in tutta Italia (quasi 5,2 milioni). I cervelli in fuga, infatti, sono aumentati dell’82% dal 2006 al 2021. E se prima facevano le valigie soprattutto gli uomini, ora se ne vanno anche le donne, cresciute dell’89,4%.

I LAVORI PIÙ RICHIESTI

Il profilo più richiesto è il magazziniere, per cui Randstad ha oggi oltre 1200 posizioni aperte. Un ruolo in grande crescita per l’espansione della logistica come effetto della crescita produttiva e del boom dell’e-Commerce. Al secondo posto, c’è l’operaio metalmeccanico, che con quasi 900 posizioni aperte dimostra la grande vitalità del settore manifatturiero italiano. Al terzo posto l’infermiere (oltre 800 posizioni aperte).

Addio Italia, biglietto di sola andata. La dolce vita, una buona carbonara e il calore della famiglia non sono più abbastanza, o forse è troppo quello che manca ai giovani. A lasciare il Paese sono per lo più ragazzi laureati che non sentono valorizzata la propria formazione, provocando un esodo che porta ogni anno alla perdita dell’1% del Pil (Anagrafe italiani residenti all’estero - Aire). Per gli under 35 andare all’estero si presenta spesso come unica scelta da adottare per trovare indipendenza economica e serenità, e così ci si trova davanti ad un’Italia demograficamente in caduta libera.

Secondo Eurostat, nel 2021, la disoccupazione giovanile in Italia ha toccato il 23,3 %, mentre in Germania è al 10,1 %, in Francia al 9,9% e in Spagna registra il 28,8%. Il nostro è tra i pochi Paesi dell’UE a non avere un salario minimo, che per altro dal 2010 al 2021 è cresciuto in tutti gli Stati membri tranne che in Grecia. In Italia, al contrario, gli stipendi medi sono diminuiti: un italiano su due guadagna meno di 1.100 euro al mese e il 58% lavora senza turni, giorni di riposo e orari adeguati. In più bisogna fare i conti col Fisco, dato che l’Italia è uno dei paesi europei con la pressione fiscale più alta.

«Si era soliti affermare che l’Italia da paese di emigrazione si è trasformato negli anni in paese di immigrazione: questa frase non

Chi parte, lo fa con la tristezza e con la certezza di non avere altra alternativa. Lo fa con gli occhi pieni di nostalgia ancora prima di imbarcarsi, chiedendosi quando e se ci sarà un momento per tornare e avere una carriera paragonabile a quella che potrebbe avere all’estero. Se ne deduce che le leve motivazionali, che spingono le nuove generazioni a partire, debbano essere così forti da vincere la resistenza esercitata dall’amore per il nostro Paese. Molti italiani danno la colpa al sistema educativo che, perennemente sotto finanziato, privilegia la teoria rispetto alla pratica, portando a una transizione scuola-lavoro molto lenta e a uno scollamento

tra le materie in cui i giovani si laureano e le competenze necessarie per trovare lavoro. Laurearsi in Scienze, Tecnologia, Ingegneria o Matematica (le cosiddette materie STEM) porta a migliori prospettive di lavoro, ma ancora prevalgono gli studi nelle facoltà umanistiche. Ma non tutte le cause risiedono nel processo educativo. Eccesso di burocrazia, uno dei processi di giustizia civile più lenti d’Europa, alti livelli di evasione fiscale, alti livelli di corruzione, una divisione economica paralizzante tra Nord e Sud e uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo, sono solo alcuni degli altri ostacoli da superare.

A lungo termine, un’elevata disoccupazione giovanile può portare alla perdita di competenze e di capitale umano. Nel breve termine, invece, incide sulla vita dei giovani italiani in modo drammatico. Le persone tendono a vivere più a lungo con i genitori: nel 2018 il 66,1% delle persone di età compresa tra i 18 e i 34 anni viveva ancora con i genitori, mentre negli Stati Uniti la percentuale è di circa il 30%. Uno stage a 500-600 euro è quello che viene proposto nella maggior parte dei casi.

NEWS | SOCIETÀ 10 | MASTERX | MAGGIO 2023
Di Claudia Franchini Flay away. Regno Unito, Germania, Francia, Spagna: le quattro mete preferite dagli italiani che vanno a vivere altrove

METE E TENDENZE

Regno Unito, Germania, Francia, Spagna. Le quattro mete preferite dagli italiani che vanno a vivere altrove raccolgono più della metà dei 21.000 emigrati partiti nel 2020. Tolti gli anni del Covid, dal 2011, quando erano 50mila, gli italiani all’estero sono sempre aumentati. Non a caso, proprio negli anni immediatamente successivi all’arrivo della crisi dei mutui subprime in Europa, la fuga ha visto gli incrementi più consistenti: +36% nel 2012, +20% l’anno dopo.

PSICOLOGIA D’ESPATRIO

Progettare un futuro all’estero e ritrovare punti di riferimento in una situazione nuova non è sempre una passeggiata. Nel 2017, Anna Pisterzi, dottoressa specializzata in psicologia d’espatrio, ha fondato “Transiti”. La cooperativa sociale ha sviluppato diverse direttive di lavoro: offre supporto psicologico online agli expat italiani, si impegna nella promozione del benessere psicologico attraverso progetti con scuole e istituzioni e nella ricerca in questo ambito.

E LA PENSIONE?

L’INPS, nel 2021, ha pagato la pensione a 326.830 italiani all’estero. Il 56% si trova in Europa, in particolare in Germania. I restanti vivono per la maggior parte in America settentrionale (quasi 23%), meridionale (8%) e in Oceania (11% circa). In queste ultime due parti del mondo, in passato mete di forte migrazione, le pensioni erogate sono molto diminuite dal 2017. Trend in aumento nella penisola iberica, nell’est Europa (Romania, Moldavia) e in nord Africa (Tunisia).

UK, nuova frontiera

Mentre su Germania e Francia le retribuzioni di partenza sono nel range di 30.000- 40.000 euro annuali, raggiungendo in alcuni casi già i 45.000 di retribuzione lorda al primo impiego sulla Germania.

Bisogna poi considerare che il mondo del lavoro sta cambiando velocemente. Dire che “i giovani non hanno voglia di fare nulla” è riduttivo. I ragazzi sono stanchi di essere sottopagati in un mondo dove ancora troppo spesso il concetto di gavetta coincide con quello di sfruttamento. I Millennials e la Gen Z, hanno delle priorità e delle motivazioni differenti anche rispetto a dove e come lavorare. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Inps, più di un milione di candidati italiani ha spontaneamente dato le loro dimissioni. Nella scelta del lavoro diventano attrattive le aziende che investono in politiche di work life balance, ossia l’equilibrio tra la qualità della vita lavorativa e personale dei propri dipendenti, o ancora aziende che tengono in considerazione la diversity e inclusion e quelle impegnate nella sostenibilità e che sappiano supportare la genitorialità. A questo proposito, il congedo obbligatorio di maternità e paternità in Italia presenta ancora molte differenze: se le madri hanno diritto ad astenersi dal lavoro per cinque mesi, i padri possono solo astenersi per dieci giorni, rendendo impari la gestione parentale.

Nonostante il panorama poco confortante, non mancano discussioni sul salario minimo o sulla settimana corta, già sperimentata in alcune aziende. Insomma, se si cambia mentalità, sia dal punto di vista d’impresa che di gestione delle risorse umane, il futuro del mondo del lavoro non sarà solo grigio ma anche a colori e si riuscirà a evitare che “Giovani e lavoro” diventi un ossimoro.

Quello dell’emigrazione è un fenomeno sempre più diffuso nel nostro Paese. Altrove i giovani trovano futuro, che ne sarà dunque dell’Italia? Siamo già a un punto di non ritorno o le cose potrebbero cambiare?

Spesso in Italia l’immigrazione è vista come un problema. Negli ultimi anni, il tema ha tenuto banco in molti dibatti politici sia di destra che di sinistra. Il nostro popolo, però, è storicamente uno dei più migratori al mondo. Alla fine dell’Ottocento i nostri connazionali furono protagonisti del più grande esodo della storia moderna: ben 5,3 milioni di persone lasciarono il Bel Paese in cerca di fortuna all’estero. L’emigrazione proseguì anche a inizio Novecento toccando il picco tra il 1945 e il 1970 quando partirono in 7 milioni.

La sToria ci insegna che siaMo sTaTi Un popoLo MigraTorio, Ma Lo siaMo ancora oggi? Secondo il rapporto dell’AIRE, l’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, gli italiani all’estero al 31 dicembre 2021 sono 5,8 milioni, un dato che, rispetto al 2019, è incrementato del 6%. L’Argentina è il Paese con il maggior numero di italiani residenti: 903 mila. A seguire ci sono Germania (814 mila), Svizzera (648), Brasile (528) e Francia (457). Stando a dati ISTAT, dal 2011 l’emigrazione è aumentata, dando avvio a quella che viene definita “Nuova Emigrazione”. Essa è ancora in corso, anche se nel 2020, causa pandemia, c’è stato un rallentamento. In quell’anno, sono state 160mila le partenze, il 10,9% in meno rispetto al 2019. Di queste, un cittadino su tre ha un’età compresa tra 25 e 34 anni. Inoltre, 121mila di essi avevano cittadinanza italiana, mentre i restanti 39mila

di lavoratori italiani costa allo Stato circa 14 miliardi all’anno

erano cittadini stranieri residenti in Italia. Ad aumentare sono stati anche i rientri, saliti del 83% nel 2020.

Le caraTTerisTiche deLL’eMigraZione

Le regioni con il tasso di emigrazione più alto sono la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige e il Molise, con oltre 3 emigrati ogni 1.000 abitanti. Seguono Marche, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il 20% ha meno di 20 anni. L’età media è di 32 anni per gli uomini e 30 per le donne. A spostarsi sono prevalentemente gli uomini, il 54% del totale. Se si osserva il decennio 2011-2020, sono 980 mila gli italiani ad aver lasciato l’Italia, di cui circa 250 mila con titolo di studio uguale o superiore alla laurea. Per quanto riguarda le destinazioni, il Regno Unito è la meta preferita. Anche se negli ultimi anni la Brexit ha prodotto un effetto inverso, tanto che circa 10mila italiani sono rimpatriati. Nonostante ciò, la Gran Bretagna resta il Paese dove gli italiani vanno più volentieri, davanti a Germania, Francia, Svizzera e Spagna. I numeri citati probabilmente sono sottostimati, in quanto non tutti gli espatriati effettuano immediatamente la cancellazione anagrafica e la registrazione nel Paese d’arrivo. Malgrado ciò, il fenomeno migratorio italiano è ancora fortissimo. L’Italia per molti non è il luogo ideale dove vivere. Un dato senz’altro preoccupante che accende un campanello d’allarme per il futuro del nostro Paese.

SOCIETÀ | NEWS MAGGIO 2023 | MASTERX | 11
Fuga di cervelli. L’emigrazione

A cura di Francesca Daria Boldo e Leonardo Rossetti

iL Mondo che oggi i giovani si Trovavano a vivere presenTa più opporTUniTà o più criTiciTà rispeTTo aL Mondo dei Loro geniTori?

In generale, direi che ci sono sia opportunità che difficoltà differenti rispetto ai decenni passati. Vedo una più grande facilità di accesso alla formazione e una maggiore libertà di movimento. Dall’altra parte, mi sembra che ci sia un clima meno sicuro e sereno per i giovani oggi nelle prospettive che si presentano loro. Uno dei problemi sta nel grado di incertezza con il quale le persone giovani oggi affrontano il loro percorso evolutivo e poi l’approdo al mondo del lavoro. In passato era in molti casi collegato e propedeutico alla creazione di una famiglia e quindi alla “fase di stabilità”, in questo momento, un progetto di vita del genere risulta più complesso. L’evoluzione del mondo del lavoro ha generato una richiesta di profili più complessi rispetto a quelli di un tempo e non esiste più una corrispondenza lineare, diretta e puntuale tra un percorso formativo e un percorso professionale. Questo significa che in alcuni casi non bastano le competenze conseguite durante il percorso formativo, ma ne sono necessarie altre acquisite in percorsi paralleli. Poi c’è anche una maggiore difficoltà di ingresso in generale nel mondo del lavoro.

coMe si pUò convivere, e possiBiLMenTe gesTire, L’incerTeZZa di cUi ha parLaTo?

L’incertezza richiede un maggiore livello di autoefficacia, cioè la percezione che noi abbiamo e possiamo avere un ruolo attivo nella gestione delle complessità della vita e che ciò può generare una differenza, nel senso che può effettivamente incidere. La percezione di autoefficacia ci rende capaci di andare nella direzione che noi cerchiamo di raggiungere. Questo però è una strumentazione che si costruisce in maniera progressiva, nel corso dello sviluppo della persona, e anche grazie all’apporto della famiglia, alle esperienze che la persona fa.

aUToeFFicacia e incerTeZZa sUL FUTUro: coMe poTenZiare La priMa per aFFronTare MegLio La seconda?

Come dicevo prima, la famiglia è un luogo di confronto. Naturalmente dipende anche molto dal rapporto che si ha e dal tipo di affidamento che sulla famiglia si può fare. Non tutte hanno gli strumenti per avere uno sguardo informato sul contesto lavorativo. L’orientamento pre e post laurea, in questo senso, è un momento nel quale è intelligente intervenire per evitare che le persone finiscano in una condizione di sfiducia rispetto alla loro possibilità di trovare lavoro. Tirocini e stage, poi, sono passaggi importanti per dare ai giovani un’idea più concreta sul futuro. Inoltre, a mio parere, sarebbe interessante strutturare il più possibile questi percorsi di inserimento lavorativo in un’ottica non solo formativa, ma anche di strutturazione di percorsi di sviluppo. Quindi, fare in modo che sempre più giovani possano avere a disposizione dei “consulenti”, delle figure di riferimento che possano costruire insieme a loro un percorso professionalizzante per facilitare l’accesso al mondo del lavoro. Se si riduce il tempo necessario a trovare lavoro, ne guadagna anche il senso di autoefficacia: questo aumenta la consapevolezza delle proprie capacità di raggiungere dei risultati. Al contrario, bisogna evitare che le persone finiscano in una condizione di sfiducia. Sappiamo che questa produce una maggiore inattività e può poi portare alla creazione di circoli viziosi, ad esempio: non trovo lavoro, mi scoraggio, cerco meno e con meno voglia.

QUaLi sono aLTre diFFerenZe Tra i giovani d’oggi e QUeLLi di ieri?

Sempre parlando in senso generale, i giovani di oggi hanno dovuto probabilmente confrontarsi meno con la rottura delle regole, perché hanno vissuto dei climi familiari molto

INTERVISTA 12 | MASTERX | MAGGIO 2023
Davide Baventore Vicepresidente Ordine degli Psicologi Lombardia
«È IL DIVARIO TRA CHI SIAMO E CHI PENSIAMO DI ESSERE A DIVORARCI»

più accoglienti, molto più valorizzanti. Hanno un rapporto con le regole probabilmente meno conflittuale di quello che c’era un tempo e una sensibilità aumentata rispetto al passato alle dinamiche di esposizione e di popolarità. In questo gioca sicuramente un ruolo importante l’utilizzo dei social network. Non tanto perché producano da sé qualcosa, ma perché quella che è sempre stata una ricerca di essere guardati dagli altri, di misurarsi con lo sguardo degli altri, oggi incontra un tipo di comunicazione che mostra e valorizza tantissimo i momenti di gioia, di festeggiamento, di affermazione personale. Un tipo di comunicazione che dà uno spaccato delle vite degli altri estremamente parziale, dove non compare tutto ciò che non è bello (nemmeno lo sforzo che c’è nel dare una rappresentazione positiva di sé e di quello che si sta facendo). Tutto questo, se visto con gli occhi di qualcuno che cerca il confronto per misurarsi, aumenta enormemente il divario tra come ci si sente e come si pensa che ci si dovrebbe sentire, come si è e come si pensa che si dovrebbe essere.

QUaLche consigLio per rapporTarsi in Maniera cosTrUTTiva con i sociaL neTwork?

La parte bella dei social secondo me è il loro utilizzo attivo. Cosa che naturalmente, sempre a mio modo di vedere, non significa postare per far vedere che sei vestito bene, ma significa cercare di utilizzarli in modo creativo. Inoltre, bisogna essere anche un po’ attivi nel provare a sfruttare tutte le opportunità che offrono. Si possono fare delle cose anche molto interessanti. Penso per esempio ai progetti divulgativi: ci sono alcune pagine, alcuni profili Instagram che fanno informazione, parlano di attualità ma ce ne sono anche altre che fanno divulgazione con un taglio specifico: scientifico, economico o di altro tipo. L’ordine degli psicologi della Lombardia, per esempio, ha una pagina Instagram che si rivolge non solo a professionisti, ma anche a tutti quelli che sono interessati a questioni di tipo psicologico. Attraverso questo canale, cerchiamo di fare un’informazione corretta, basata su dati scientifici, ma allo stesso tempo non noiosa, sui temi di attualità più disparati: dalle grandi dimissioni alle famiglie omogenitoriali e così via.

di FronTe a Un Mondo seMpre più esigenTe, i giovani, per senTirsi perForManTi e aLL’aLTeZZa, ricorrono spesso aLL’Uso di neUroFarMaci, psicoFarMaci e a piLLoLe per La concenTraZione cosa pensa di soLUZioni coMe QUesTe?

Gli psicofarmaci, di qualunque tipo, vanno presi esclusivamente dietro prescrizione e anche monitoraggio di un medico competente, anche perché sono medicinali che agiscono su aspetti molto delicati del nostro funzionamento cerebrale. Prenderli senza controllo è pericoloso, sconsiglierei a chiunque di procedere con il fai da te. Inoltre, secondo me, al di là del funzionamento che possono avere, se una persona ricorre a queste soluzioni, evidentemente è in uno stato di preoccupazione o ansia rispetto a quello che vive. Allora sarebbe opportuno rendere queste emozioni oggetto di un interesse di un qualche professionista, perché non è detto che siano giuste e appropriate. Quando bisogna “prendere una scorciatoia” per raggiungere un risultato, una domanda sarebbe il caso di farsela.

per QUeLLo che ha poTUTo speriMenTare, ai giovani È chiesTo Troppo in TerMini di iMpegno e di perForMance?

In generale, non so se si chiede troppo. Facendo un confronto con il passato, anche allora i giovani affrontavano il percorso universitario e non è detto che fosse meno impegnativo. Anzi, a sentire alcuni docenti, sembrerebbe in realtà che una volta i criteri fossero più stringenti. Per cui mi sembra più un problema di rapporto con l’impegno, con

la riuscita, con la gestione della fatica e degli errori. Quindi un problema di discrepanza tra aspettative e realtà? Credo di sì. A volte sento parlare di competizione. Anche se ci fosse, non ho ben capito con chi. Mi sembra un rapporto con la propria fatica che ha un’aspettativa, magari di grande facilità, di grande naturalezza, che poi invece quando ci si confronta con quello che si deve fare non necessariamente c’è. Forse è una questione che non dipende necessariamente dalle richieste ambientali. Dopodiché, può darsi che alcune famiglie si aspettino performance brillanti dai propri dai propri figli ed esercitino dunque su di loro una sorta di pressione. In questi casi credo ci sia un contesto relazionale da approfondire per capire cosa non va.

Forse in QUesTo caso c’È anche Un proBLeMa di ascoLTo gLi adULTi non ascoLTano i giovani e i giovani non ascoLTano gLi adULTi. QUesTo pUò avere risvoLTi psicoLogici sULLa siTUaZione che ha descriTTo Finora?

Bisognerebbe capire magari caso per caso. Io credo che, in generale, essere più concentrati su noi stessi, magari ci impedisce di ricevere buoni feedback dagli altri e allo stesso tempo ci potrebbe rendere anche un pochino più fragili. Se siamo molto chiusi in noi stessi e sulle cose che dobbiamo fare, quando poi queste non vanno come avremmo voluto, ci sentiamo più in difficoltà. Una maggiore dimensione di confronto e ascolto ci permette anche di capire le difficoltà degli altri e magari di ridimensionare le nostre. Senza contare poi dell’arricchimento che ci dà dal punto di vista personale, perché gli altri a volte ci dicono delle cose interessanti su noi stessi e su come loro ci vedono. Magari quindi una maggiore propensione all’ascolto ci espone un po’ meno alla frustrazione.

invece, Tornando aLLa QUesTione dei FarMaci presi in aUTonoMia, secondo Lei, L’aUTodiagnosi FUnZiona?

L’autodiagnosi ha delle luci e delle ombre. Un altro tema che caratterizza le giovani generazioni: la disponibilità incredibile di informazioni. Una ricchezza enorme, che però, in alcuni casi, è difficile da gestire, perché vuol dire riuscire a capire cosa va bene per noi e cosa no. Un esercizio del genere è molto arduo, perché un po’ tutte le difficoltà psicologiche nascono dal fatto che ci sono degli aspetti del nostro funzionamento che noi non conosciamo, che sono, per così dire, inconsci. Quindi, l’autoanalisi è un esercizio pericoloso, va benissimo che uno cerchi di capire di più di sé stesso, però ci sono degli aspetti che rimangono oscuri. Cercare di farsi da soli la diagnosi, la terapia o capire esattamente cosa sta succedendo è un tentativo che crea più confusione rispetto a prima.

a chi si possono rivoLgere i giovani che si senTono Un po’ in diFFicoLTà?

Ci si può rivolgere ai servizi di counseling psicologico dell’università o cercare di rivolgersi ai servizi pubblici, cioè provare a fare l’accesso in un’unità operativa di psicologia ospedaliera, che però probabilmente è un contesto non facile per un giovane. Potrebbero essere più accessibili i consultori pubblici o del privato accreditato. Ci sono poi dei servizi particolari: a Lecco per esempio, per i giovani dai 15 ai 24 anni, c’è il 1524. Il personale è quello della dell’Unità Operativa di Psicologia Clinica, però tutto si svolge all’interno di un Informagiovani, proprio per evitare contesti percepiti come distanti o poco accessibili. Aggiungerei anche che esistono tante realtà del terzo settore, a Milano, ma sicuramente anche fuori, che lavorano con un’ottica sociale, quindi con prezzi calmierati. C’è anche il cosiddetto bonus psicologo, che risulta sempre una possibilità per avere un contributo per la spesa.

QR code del profilo Instagram dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Il posto dove psicologia e attualirà si incontrano in un’informazione corretta

INTERVISTA MAGGIO 2023 | MASTERX | 13
Prendere una scorciatoria per sentirsi migliori non è mai la scelta giusta DAVIDE BAVENTORE

Posto dunque sono

Un post qui, un hashtag là, innumerevoli foto, video, storie e reazioni sotto forma di commenti, cuori o pollici. I social media sono diventati parte integrante della vita dei giovani. Una spiegazione del perché le piattaforme social attraggono i giovani in fase di sviluppo

I social network sono entrati in modo pervasivo nella vita di tutti i giorni, trasformando questo periodo storico in un’era digitale. Sono 41 milioni gli iscritti: i giovanissimi trascorrono sempre più tempo davanti allo schermo del proprio cellulare, aggiornando il feed, condividendo storie, twittando notizie, esibendosi in balletti su Tik Tok. In media un’ora e 52 minuti sulle piattaforme digitali e più di 6 ore al giorno su Internet. Negli ultimi anni, a causa della pandemia da Covid-19, l’utilizzo dei social è aumentato dell’80%. I Millennials e la Generazione Z rappresentano i bacini d’utenza più importanti: per loro i social non sono solo per un mezzo per comunicare, sono soprattutto uno strumento di trasmissione di informazioni. Il social che attrae maggiormente le nuove generazioni è Instagram con 9 giovani su 10 registrati. Subito dopo troviamo Tik Tok, che ultimamente ha visto una crescita senza precedenti: sono iscritti 8 ragazzi su 10. Al terzo posto troviamo Youtube.

Il lockdown iniziato a marzo 2020 ha segnato un arresto in tutte le attività quotidiane, portando notevoli conseguenze anche sul piano virtuale. Le persone erano costrette a rimanere a casa e non potevano esibire la loro vita mondana, ormai pressoché inesistente, tramite i social network. Hanno iniziato a mostrare cosa succedeva tra le quattro mura della loro abitazione, modificando la dialettica e il linguaggio delle piattaforme digitali, e creando nuove abitudini. La società odierna è plasmata sull’apparenza molto più che sull’essenza. Soprattutto i più giovani costruiscono in continuazione maschere per modificare la propria immagine e la propria identità, facendo vedere gli aspetti positivi, dando al contempo un’immagine distorta della realtà. Quello che vediamo nei profili altrui è sempre migliore di ciò che facciamo vedere di noi: questa è la nostra percezione. Siamo sicuri che l’erba del vicino sia sempre più verde? Lo psicologo spagnolo José Elias ha definito il concetto di “postare” come «l’adozione di determinate abitudini che

hanno lo scopo di proiettare un’immagine positiva (ovvero una che riceva feedback favorevoli), per dimostrare agli altri che siamo felici, sebbene non sia davvero così o non ne siamo davvero convinti».

Postare è la versione aggiornata del cogito ergo sum, non più penso dunque sono, ma per essere devo pubblicare contenuti online. I giovani mostrano le loro vite che sui social sembrano perfette, i loro corpi scolpiti, dando un’immagine unilaterale, ma questo affanno di apparire e non raggiungere mai quell’idea “perfetta” che si sono creati e che non esiste nella realtà, li porta a una sempre crescente frustrazione. Decidono di utilizzare i filtri, che sono legati alla propria insicurezza, alla bassa autostima e portano alla non accettazione di sé, rendendo sempre più labile quella linea che separa la realtà dalla fantasia.Da un lato i social ci rendono individualisti, chiusi nei nostri pensieri e opinioni che non necessitano del confronto con gli altri. Dall’altro lato i bisogni di condivisione e di esibizionismo ci rendono propensi all’uso delle piattaforme digitali anche per essere accettati socialmente. L’approvazione data dai likes e dai commenti positivi aumenta la nostra autostima, infatti coloro che ricevono più “mi piace” sono più incentivati a condividere contenuti online, dando molta importanza a quanto un semplice tasto pigiato migliori la percezione che abbiamo di noi stessi. Grazie

ai social, i giovani possono avvicinarsi tra loro condividendo le stesse passioni, gli stessi hobby, le stesse visioni e così entrare a far parte di comunità. Ma come per ogni cosa, l’abuso crea dipendenza. In alcune occasioni, si è registrato un blackout di varie piattaforme social: l’impossibilità di accedere e di commentare la realtà ha creato nelle persone uno stato d’ansia, arrivando a farle sentire perse.

È enorme l’impatto che hanno le reti sociali sulla salute fisica e mentale: portano a dipendenza, depressione, privazione del sonno, problemi alla vista, oltre ai problemi riscontrati nella vita di ogni giorno quali ossessione al perfezionismo, paura del giudizio altrui, invidia.I più colpiti sono naturalmente i giovani: tra i 14 e i 21 anni l’uso problematico di Internet è aumentato in quest’ultimo anno del 25%. Il terrore di essere esclusi e perdersi qualcosa, che genera dipendenza dall’essere sempre connessi si chiama FOMO (Fear Of Missing Out): stando sui social si ha la percezione che le opportunità di interazioni siano più divertenti di quello che si sta facendo in quel determinato momento, provocando così un continuo e profondo stress. Da qui, l’ossessione di controllare continuamente e compulsivamente lo smartphone, a causa della costante paura di assentarsi dal flusso incessante di informazioni e di perdersi alcune esperienze gratificanti che gli altri potrebbero star vivendo.

NEWS | SOCIETÀ 14 | MASTERX | MAGGIO 2023
In rete. Il 50% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni passa dalle due alle tre ore al giorno sui social e chattando

I pro e i contro che i social network portano con sé

sviLUppare capaciTà coMUnicaTive

I social media fanno parte della vita di tutti noi: è importante che i giovani imparino a comunicare online. Le nostre identità digitali sono un tassello importante nella ricerca del lavoro. Tutte le informazioni che ci riguardano sono online: studi, esperienze professionali, interessi. I social network rimuovono ogni confine.

verso iL sociaLe

Le piattaforme social consentono ai giovani di essere consapevoli. Avvicinarli a un progetto, a un’idea, a una causa. Il sentirsi parte di una community, quasi come fosse una famiglia online, permette a ragazze e ragazzi di sentirsi meno soli.

Nel caos delle parole saper ascoltare

Oggi, l’ascolto è quasi totalmente assente: per la voglia che tutti hanno di dire la loro, per la mancanza di tempo e di attenzione. Eppure, saper ascoltare porterebbe un grande beneficio alla società

tiva è riuscire a rendere partecipi gli utenti in un contesto, quello dei social network, dove sono loro stessi a definire l’agenda del giorno. Ognugno di noi ha bisogno di essere ascoltato, nella vita reale e pure in quella online.

aUMenTo deL cYBerBULLisMo

Il cyberbullismo è un fenomeno in costante aumento che può portare anche gravi conseguenze. Azioni intimidatorie, minacce e molestie che il bullo esercita sulla vittima, vengono praticate mediante gli strumenti della rete. Una delle caratteristiche principali è l’invio in maniera ripetuta e ossessiva di messaggi offensivi per denigrare un individuo e la sua reputazione.

perForMance Tossiche

Mostrando solo i lati positivi della vita, i social incitano gli utenti a fare sempre meglio, in una continua sfida a primeggiare in ogni ambito. Si trasformano così da strumenti utili a trappole tossiche che richiedono agli individui di essere sempre performanti. Questo causa un enorme accumulo di stress e ansia, in una corsa senza fine verso una meta irraggiungibile e fittizia.

Nella vita quotidiana siamo abituati a intrattenere conversazioni con amici, parenti, colleghi di lavoro. Tuttavia occorre sapersela cavare con le parole, non basta rispondere a semplici domande. Un discorso per essere tale deve decollare, avere uno svolgimento e anche una conclusione. Ci si esprime, si passa al confronto e in alcuni casi anche allo “scontro”. Ma l’ascolto attivo è fondamentale. Chi non dà attenzioni alla persona con cui parla, come farà a comprenderla per davvero? È così difficile trovare persone che ammettano di non sapere ascoltare? L’ascolto è l’atto in cui si ricevono, accumulano e valutano le informazioni degli altri soggetti coinvolti nel processo di comunicazione.

Non è un atto passivo, anzi, il contrario: è un’azione intenzionale. Per ascoltare veramente, si deve voler ascoltare. Il termine engagement, nell’ambito specifico dei social media, è riferito al grado di coinvolgimento che un determinato contenuto suscita negli utenti. È raro trovare persone che non abbiano un’opinione sui temi che troviamo in rete. La sfida forma-

Brand e sociaL: La coMUnicaZione con i giovani Considerato che ogni brand non può fare a meno dei social per relazionarsi con clienti e potenziali clienti, ecco che diventa scontato dover cambiare prospettiva e dare più spazio alle opinioni, ai commenti, alle recensioni. Il social media listening non è altro che questo: ascolto, analisi delle informazioni e, sulla base dei dati rilevati, formulare un piano d’azione, un’adeguata strategia di comunicazione. Attraverso l’ascolto della rete, un’azienda dovrebbe essere in grado di cogliere gli spunti che gli utenti naturalmente offrono allo scopo di ottimizzare le strategie di marketing. Le risposte non vanno cercate altrove, sono già presenti, in bella vista sui social. Già, perché raccogliere dei dati e analizzarli, implica non soltanto avere delle risposte in merito alla web reputation del brand, a quali sono i punti di forza, i problemi del prodotto offerto e le aspettative del potenziale cliente, ma anche la possibilità di individuare in modo chiaro il target a cui si intende rivolgersi, per proporre in seguito dei contenuti ad hoc che rispondano alle effettive richieste espresse dagli utenti sulle piattaforme social. Facebook, Instagram, Twitter, non sono solo contenitori di «momenti di vita», ma una mole importante di dati al fine di focalizzare le proprie energie e risorse sulle persone che potrebbero essere interessate al prodotto.

SOCIETÀ | NEWS MAGGIO 2023 | MASTERX | 15
VANTAGGI E SVANTAGGI
Era digitale. Testa china e smartphone in mano: una fotografia della generazione di oggi

DOVE I SOCIAL HANNO FATTO LA DIFFERENZA

WASHINGTON, USA

Avi Schiffman, studente di 17 anni che vive in Mercer Island nello stato di Washington, nel 2020 ha creato un sito Web di monitoraggio del COVID-19 ampiamente apprezzato all’inizio della pandemia. Da allora, ha aggiunto un tracker per i vaccini e ha aiutato migliaia di persone a ottenere dati e informazioni vitali aggiornatissime. Il sito ha registrato oltre 700 milioni di utenti complessivi e ha un valore stimato di 8 milioni di dollari.

ZiMBawe

Angeline Makore è stata coinvolta sin da giovane nel salvataggio di vittime di matrimoni precoci e ragazze abusate sessualmente, offrendo sostegno psicologico alle madri adolescenti. Questo l’ha spronata a lavorare su problemi nella salute riproduttiva, materna, neonatale, infantile e adole-

scenziale con l’associazione di volontari della Girl Child Network Zimbabwe. Entro i prossimi 10 anni, Angeline spera di diventare un’esperta professionista della salute pubblica e una rinomata attivista per i diritti delle donne. Ritiene che i giovani debbano essere il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

washingTon, Usa

Param Jaggi ha cambiato il mondo con la passione per l’ambientalismo. A soli 16 anni ha creato Algae Mobile, un dispositivo che converte l’anidride carbonica dei veicoli in ossigeno. È stato riconosciuto nell’elenco Forbes

2012 dei 30 giovani Under 30, per il contributo alla creazione di energia pulita e sostenibile. In un discorso di INKTalks ha dichia-

rato: «A 19 anni, penso di poter cambiare il mondo».

rio de Janeiro

Tra il degrado e la povertà delle baraccopoli di Rio de Janeiro è cresciuto Rene Silva, ragazzo che ha iniziato a leggere i giornali da bambino insieme al nonno. I notiziari «avrebbero parlato a malapena delle favelas o si sarebbero concentrati soltanto su gang, droghe e armi» racconta Rene, che ha sempre voluto descrivere la realtà che lo circonda attraverso gli occhi di chi la vive in prima persona. A 11 anni ha fondato Voz das Comunidades, la prima testata a condividere informazioni e testimonianze sulle favelas. Con un team di 16 giornalisti, Rene punta a contrastare gli stereotipi sociali e culturali diffusi dai me-

dia mainstream. Storie di disuguaglianza, razzismo e resilienza per mostrare «il bello e il brutto» delle favelas, dando dignità e visibilità a un’intera comunità.

iran

L’attivista iraniana Atena Daemi si è a lungo battuta con coraggio per porre fine alla pena di morte nel suo paese, auspicando un maggiore rispetto dei diritti umani. Nei suoi post su Facebook e Twitter criticava il continuo ricorso alla pena capitale, nella quotidianità scendeva in piazza lottando per le sue idee. Proprio per questo, lo stato iraniano ha considerato le sue azioni “attività criminali” e nel 2015 è stata condannata a 14 anni di carcere, poi ridotti a 7 nel processo d’appello. In prigione è stata picchiata e costretta a trascorrere lunghi periodi di isolamento. È tornata finalmente in libertà la sera del 24 gennaio 2022.

new JerseY, Usa

Marley Dias a 11 anni si è accorta che i libri per bambini avevano solo protagonisti con la pelle bianca. Per questo, ha deciso di lanciare la campagna Twitter #1000BlackGirlBooks, per raccogliere e donare libri che aiutassero le ragazze nere a sentirsi incluse. Marley ha donato più di 9.000 libri attraverso il programma. «Sto lavorando per creare uno spazio in cui sia facile includere e immaginare ragazze nere, e rendere le ragazze nere come me le vere protagoniste delle nostre vite».

cUBa

Emma Gonzaléz è un’attivista di origini cubane nonché tra i sopravvissuti alla strage del liceo Parkland in Florida, nel 2018. Da allora è diventata l’anima del movimento americano contro le armi, radunando ragazzi da tutto il mondo tramite i social. La giovane ha portato avanti la sua battaglia sul piccolo schermo visitando lo studio di Ellen Degeneres, ed è apparsa sulla prima

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pagina della rivista Time. Emma ha quasi un milione e mezzo di follower su Twitter, e nel 2018 ha convocato la March For Our Lives, decidendo anche di riunirsi con i politici americani per trasformare l’hashtag #NeverAgain in fatti concreti. Grazie al suo attivismo, numerose aziende hanno abbandonato l’NRA (National Rifle Association, un’organizzazione che rappresenta i detentori di armi da fuoco negli Usa) e diversi brand di lusso hanno deciso di donare 500.000 dollari alla sua campagna.

hoUsTon, TeXas

Marcel McClinton, 21enne di Houston, Texas, collabora con la PeaceJam Foundation a Denver, Colorado, che si occupa di diffondere l’educazione civica e promuovere l’impegno sociale tra i giovani. McClinton sta sviluppando una app per incrementare la partecipazione alla politica e al voto dei giovani della Gen Z. Sette anni fa è sopravvissuto ad una sparatoria in una scuola, e ha deciso di diventare attivista politico contro il porto d’armi previsto dalla legge americana. Era un modo per «connettersi alla gente comune e amplificare la loro storia». A diciassette anni, durante l’ultimo anno di high school, si è candidato al consiglio cittadino.

TUnisia

Mohamed Bouazizi era un ragaz-

zo tunisino che vendeva frutta nel suo paese. Il 17 dicembre 2010 si è dato fuoco di fronte al municipio della sua città, Ben Arous, per protestare contro la corruzione locale e gli abusi che aveva subito dalla polizia. Le conseguenze furono enormi: l’indignazione si riversò sui social media e il giorno seguente un centinaio di persone si radunò davanti al municipio. Il video della manifestazione diventò virale su Facebook. L’immolazione di Bouazizi fu la proverbiale palla di neve che nei giorni e nelle settimane successive diventò una valanga, causando la caduta di regimi decennali e guerre civili. Fatti che vengono riuniti sotto all’etichetta di “primavera araba”.

siria

Occhi azzurri e capelli biondi, più scandinavi che mediorientali. Il volto di Muhammad Najem è diventato il simbolo dei bombardamenti in Siria sin dal 2018. All’epoca aveva 15 anni, di cui sette vissuti in un paese in guerra. Con lui solo uno smartphone, i social e la voglia di raccontare la sofferenza sua e del suo popolo. Con semplici video e foto, dall’inconfondibile formato selfie e lo sguardo serio, Muhammad si è fatto conoscere in tutto il mondo, accendendo i riflettori su una guerra tra le più sanguinose del nuovo millennio.

Lo Zuckerberg italiano

Matteo Achilli, classe ’92, è un noto imprenditore, influencer e attivista italiano. Nel 2012 ha fondato Egomnia, una start-up che opera nel settore delle tecnologie avanzate, con particolare riguardo al comparto dell’informatica e delle telecomunicazioni. La società è proprietaria del portale egomnia.com, un social network finalizzato a trovare lavoro. È una sorta di versione italiana di Linkedin, con la missione di favorire la meritocrazia nel mercato occupazionale. Da sempre attivo sui social, Matteo promuove la crescita individuale e delle eccellenze italiane. Achilli è stato in grado di utilizzare le piattaforme social per portare avanti la sua missione: sensibilizzare il pubblico sulla sicurezza digitale e della privacy, sfruttando la popolarità delle reti sociali e diffondere così messaggi sulla protezione dei dati personali. Sulla vita di Matteo Achilli è stato girato il film “The Startup”, prodotto da Rai Cinema nel 2017 e diretto da Alessandro D’Alatri. La pellicola racconta di un ventenne della periferia di Roma che, con una parte dei soldi della liquidazione del padre, ha messo in piedi un intero social network. Egomnia ha lo scopo di mettere in contatto chi cerca lavoro con chi lo offre, attraverso un algoritmo basato sulla meritocrazia. Così, appena ventenne, si è conquistato l’ultima storica copertina del settimanale Panorama Economy, che lo ha battezzato come lo “Zuckerberg italiano”.

MILANO

La più green tra le influencer

Camilla Mendini è un’influencer italiana che utilizza i canali social per parlare di sostenibilità e ambiente. Ha iniziato a trattare le tematiche di slow fashion, economia circolare e zero waste nel 2016, diventando la prima Green Influencer italiana su Instagram e Youtube. Nel 2018, ha lanciato il suo marchio di abbigliamento “Amorilla”.

Il brand si rivolge a chi cerca un’alternativa alla moda fast fashion, che spesso produce un impatto ambientale negativo. Le collezioni sono realizzate con tessuti sostenibili, tinture biologiche e processi produttivi a basse emissioni inquinanti. Inoltre, ha fondato “Carotilla”, uno shop online di prodotti sostenibili: dalla moda, al beauty, ai libri. L’obiettivo è ridurre gli effetti ambientali dei cosmetici e promuovere una beauty routine più green. I prodotti sono realizzati con ingredienti naturali e sono confezionati senza plastica, utilizzando materiali come carta riciclata e materiali biodegradabili. Camilla sensibilizza il suo pubblico verso un consumo consapevole e responsabile. Lo fa attraverso l’utilizzo di format specifici, ideati con originalità e passione. Come il suo “glossario della sostenibilità” su Instagram: in video di 60 secondi spiega ai suoi 102mila followers un termine sostenibile diverso di volta in volta.

Vogue l’ha inserita nella lista di attiviste da seguire su Instagram, tra le quali c’è anche Greta Thunberg.

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ROMA Di Valentina Cappelli
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Farmaci & Co: rimedi vecchi, problemi nuovi

Sempre più giovani assumono sostanze psicoattive, droghe, alcol e farmaci per sentirsi meno soli, più forti, più prestanti. Eppure, si tratta di un benessere momentaneo e illusorio che nasconde, in realtà, il grande disagio che attraversa la generazione di oggi

Nel 2021 quasi il 40% degli studenti italiani, prevalentemente di genere maschile, ha riferito di aver utilizzato almeno una volta nel corso della propria vita una sostanza illegale. Lo riporta l’ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze, redatta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche Antidroga. In primis c’è la cannabis, la più consumata (da 458 mila 15-19enni solo nel corso dell’ultimo anno), ma anche cocaina, stimolanti, allucinogeni e oppiacei.

A prendere sempre più spazio nel panorama delle dipendenze sono poi le NPS (Nuove Sostanze Psicoattive), fatte da principi attivi considerati legali solo perché non ancora “schedati”. Nel 2021 se ne contano 32 nuove e tra queste quelle appartenenti al gruppo dei cannabinoidi sintetici sono state consumate da quasi 65 mila adolescenti. Un altro dato preoccupante riguarda il GHB o acido gamma-idrossibutirrato, comunemente conosciuto come ecstasy liquida o “droga dello stupro”. Essendo quasi inodore e insapore può essere facilmente aggiunta alle bevande, per questo viene consumata soprattutto in discoteca tra i giovani adulti. «Anche la nuova ecstasy è molto diffusa, si chiama MDMA ed è potenziata di 3-4 volte rispetto a quella che già circolava in Europa da decenni», ha spiegato a Repubblica Simona Pichini, prima ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità. Molto diffusi sono anche i “catinoni sintetici”, polveri che mimano gli effetti della cocaina o amfetamina, prodotti in laboratori casalinghi e poco costosi da fabbricare. Si trovano in forma di polvere bianca o marrone e in pasticche, possono essere sia sniffati che iniettati e sono potenti stimolanti del sistema nervoso. Tra i vari effetti collaterali ci sono difficoltà respiratorie,

allucinazioni e spasmi. La combinazione di droghe e alcol è una delle tendenze che desta più allarme, ma anche il consumo di bevande assolutamente legali non è meno pericoloso e sta assumendo delle dimensioni preoccupanti. Le chiamano “abbuffate alcoliche” e sono un altro trend sempre più diffuso anche tra i giovanissimi. Bere fino a vomitare, bere fino a non capire più niente, soprattutto nei fine settimana. “Sballarsi” con gli amici, testare i propri limiti. Se va bene ci si risveglia con un forte mal di testa, ma i numeri degli incidenti in auto per guida in stato di ebbrezza e di ricoveri per coma etilico raccontano che invece spesso va male.

Un milione di ragazzini tra 10 e 14 anni si è già ubriacato almeno una volta. Lo rivelano i dati dello studio Espad, condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Ancora inedito, ma anticipato in parte dai ricercatori, il report mostra come l’età media di chi inizia a bere sia diminuita drasticamente. Il 46,1% degli studenti dichiara di aver assunto per la prima volta bevande alcoliche tra i 12 e i 14 anni. Di conseguenza, si è abbassata anche l’età media di chi si rivolge agli alcolisti anonimi. Il 66% degli studenti sottoposti all’indagine si è preso la prima sbronza tra i 15 e i 17 anni, quando la somministrazione di alcolici sarebbe ancora vietata. Oltre le sbronze, preoccupa la percentuale di chi fa abuso di alcol più volte al mese. Un fenomeno che riguarda il 6,1% dei ragazzi, «la percentuale più alta mai registrata in Italia», spiega la dottoressa Sabrina Molinaro, ricercatrice del CNR e responsabile dello studio. Nel 2022 la percentuale di ragazze che tra i 15 e i 19 anni ha fatto uso di bevande alcoliche avrebbe superato quella dei ragazzi (il 78,6% contro il 76,7% dei maschi). A bere di più sono soprattutto le giovanissime di 15-16 anni, «tra le quali – aggiunge la ricercatrice – è anche diffuso il fenomeno del bere e non mangiare per evitare di ingrassare. Pratica che ovviamente aumenta gli effetti deleteri

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Di Elisa Campisi, Valeriano Musiu e Gabriella Siciliano
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Non avrebbe visto l’ostacolo perché “offuscato” da un cocktail di benzidiazepine e cannabis. Nella notte tra il 17 e il 18 febbraio, un 39enne ha preso in pieno con la sua auto un’altra vettura ferma al casello della barriera autostradale A4 TorinoMilano (Ghisolfa). Le due donne a bordo, Laura Amato e Claudia Turconi, sono morte sul colpo.

A Monza un parco pubblico del centro città è diventato piazza di spaccio. A dimostrarlo le 13 misure cautelari eseguite dalla Questura nell’ambito dell’indagine “Icaro”. I nigeriani vendevano il fumo, riforniti dai marocchini che piazzavano anche dosi di cocaina. Gli investigatori hanno accertato circa 2.500 vendite, per un valore stimato di mezzo milione di euro.

Sembra che ci fossero degli psicofarmaci, forse antidepressivi, tra le sostanze usate a una festa da una ragazza di 18 anni, morta lunedì 6 marzo all’ospedale San Gerardo di Monza dopo essere stata trovata in arresto cardiocircolatorio a casa di un’amica, dove aveva trascorso la notte. Anche la coetanea, dopo la festa, ha avuto un malore, ma è stata salvata in tempo dai medici. Dalle indagini è emerso che nella stanza da letto erano presenti anche bottiglie di whisky e gin.

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I CASI
Il finale tragico dell’uso di stupefacenti

Smart drugs: le “droghe furbe”

Migliorare le proprie prestazioni di studio, superare facilmente le verifiche e gli esami, portare la memoria e l’attenzione a livelli mai visti prima. Ecco cosa promettono di fare le nuove sostanze psicoattive o smart drug (NPS).

Da una parte il languishing, cioè una progressiva perdita di motivazione, dall’altra la paura di non essere all’altezza delle attese e la competizione portano tanti giovani a usare farmaci per ottenere migliori risultati scolastici. Le nuove sostanze psicoattivi si sono diffuse in modo preoccupante anche tra gli studenti che hanno un’età compresa tra 15 e 16 anni. Il 5% dei ragazzi italiani sottoposti al questionario Espad del CNR riferisce di averle provate almeno una volta nell’ultimo anno. Un triste record, che vede il nostro Paese al sesto posto per consumo di NPS al mondo.

Non a caso, secondo un report dell’Istituto Superiore di Sanità, le smart drug più diffuse sono i farmaci colinergici, che agiscono sull’acetilcolina, cioè un neurotrasmettitore coinvolto nella concentrazione, nella memoria, nel calcolo e nella creatività. Poi si trovano quelli dopaminergici, che agiscono sulla dopamina e i serotoninergici, che agiscono sulla serotonina, seguiti dal Ritalin, che viene usato per curare la sindrome da deficit di attenzione e iperattività; ci sono inoltre sostanze più comuni, come la caffeina, la nicotina e la norvalina, che hanno un impatto sulla capacità di concentrazione, sull’attenzione e sulla resistenza.

Si tratta di composti di origine sia sintetica che vegetale, contenenti alcuni principi attivi tipici di questi estratti, come taurina ed efedrina, ma anche sostanze con proprietà allucinogene. Alcune tipologie riescono a riprodurre gli effetti indotti dall’ecstasy, pur non essendo illegali (da qui il nome “smart” ovvero furbe). Gli effetti dannosi non mancano. In caso di avvelenamento e tossicità dovuti al consumo eccessivo di sostanze, infatti, possono manifestarsi danni epatici, incremento della glicemia, ansia mista a euforia, sonnolenza, difficoltà a coordinare movimenti e a mantenersi in equilibrio, allucinazioni, nausea, vertigini, tachicardia, tremori e perdita dei riflessi.

dell’alcol». Negli ultimi mesi diverse Asl hanno provato a lanciare l’allarme. Il servizio 118 della Asl di Lecce, per esempio, ha raccolto i numeri del fenomeno nella propria area di competenza. Almeno un terzo degli ubriachi, finiti in coma etilico negli ospedali salentini, è formato da giovani e giovanissimi. L’alcol è diventato, dunque, una vera e propria piaga sociale.

A crescere è anche il numero di italiani sorpresi a guidare in stato di ebbrezza. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno sulla base dei controlli effettuati nelle notti dei fine settimana, tra il 2017 e il 2021 la percentuale di persone ubriache al volante è aumentata in modo preoccupante. Diverse indagini mostrano che la crescita maggiore è nella fascia più giovane, dai 18 ai 22 anni, cioè tra i neo patentati. I decessi da incidente stradale rappresentano la causa più frequente di morte in tenera età. Secondo le statistiche

dell’Istituto Superiore di Sanità, le persone che rischiano maggiormente di causare o subire un incidente sono quelle che hanno tra i 18 e i 24 anni. In questa fascia d’età, oltre il 25% dei decessi dovuti a incidenti stradali sono attribuibili all’alcol. A essere sempre più diffuso è anche il fenomeno dei giovani che assumono psicofarmaci senza prescrizione medica, per uso ricreativo e non solo. A dirlo è la Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf), che parla di un fenomeno cresciuto tra il 15 e il 20% negli ultimi cinque anni, anche grazie alla facilità di reperimento di queste sostanze, che molto spesso gli adolescenti sottraggono dall’armadietto dei medicinali dei genitori. A confermare lo studio della Sinpf sono anche i dati elaborati dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc), oltre a quelli già citati di Espad Italia: nel corso del 2022 circa 300mila studenti delle scuole medie superiori (pari al 10,8% dei giovani nella fascia tra i 15 e i 19 anni) hanno assunto psicofarmaci senza prescrizione.

Un dato quasi raddoppiato rispetto al 6,6% registrato nel 2021, così come è raddoppiata la percentuale di studenti che riferiscono un uso frequente di queste sostanze: dall’1,1% riportato nel 2021 sono passati all’1,9% nel 2022. Lo studio, condotto ogni anno, si basa su un campione rappresentativo di studenti delle scuole superiori del nostro Paese. Ma c’è di più, perché gli psicofarmaci senza prescrizione risultano una delle sostanze più usate, subito dopo alcol e cannabis. Per quanto riguarda le tipologie di psicofarmaci più diffusi tra i giovani, a spiccare è quella dei farmaci per dormire, usati molto di più dalle ragazze (10,8%) rispetto ai ragazzi (4,9%). Seguono i farmaci per l’attenzione/iperattività (circa il 3%) e quelli per l’umore e per le diete (poco sotto il 3% ciascuno), che ancora una volta risultano più usati dalle ragazze (4%) rispetto ai loro coetanei maschi (1%).

A colpire è, inoltre, l’alta percentuale di giovani che fa un uso “competente” di queste sostanze, cioè che non cerca solo di evadere ma ha una certa consapevolezza degli effetti e delle destinazioni d’uso dei farmaci. Secondo quanto emerge dal report, infatti, quasi la metà dei giovani (49%) dichiara di usare farmaci per l’attenzione senza controllo medico con l’obiettivo di migliorare le prestazioni scolastiche, mentre il 64% di quelli che usano farmaci per le diete dichiara di farlo per migliorare il proprio aspetto fisico. Una dinamica ben presente a Matteo Balestrieri, ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della Sinpf, secondo cui gli psicofarmaci «rappresentano per molti un’ancora di rassicurazione per aumentare le performance scolastiche e i livelli di attenzione, per migliorare l’aspetto fisico quando combinati a farmaci dietetici, per potenziare i livelli di autostima, per sentirsi in forma, migliorando sonno e umore, e molti giovani sono dunque spinti ad assumerli sfuggendo al controllo in famiglia».

SCIENZA | MEDICINA 20 | MASTERX | MAGGIO 2023
Di Elisa Campisi, Valeriano Musiu e Gabriella Siciliano
FOCUS BOX
Psicofarmaci. In molti casi, alcuni farmaci, soprattutto ansiolitici e barbiturici, vengono assunti per divertirsi, spesso in associazione a alcol e cannabis.

INTERVISTA

«Farmaci come sedativi per stare meglio con noi stessi»

Sabrina Molinaro, ricercatrice del CNR, spiega come la pandemia ha influito sul consumo di sostanze tra i giovani e il perchè

QUaL È La sosTanZa più UTiLiZZaTa Tra i giovani deL caMpione che aveTe anaLiZZaTo?

Nella fascia dai 15 ai 19 anni è l’alcol. Nel 2022 c’è stato un sorpasso delle ragazze rispetto ai ragazzi per numero di intossicazioni alcoliche.

A seguire, la cannabis e gli psicofarmaci senza prescrizione medica, che sono più diffusi tra le ragazze anziché tra i ragazzi.

che rUoLo ha giocaTo La pandeMia neL caMBiare Le aBiTUdini di consUMo di QUesTe sosTanZe?

La pandemia ha soprattutto limitato la disponibilità delle sostanze e fatto registrare una riduzione nei consumi, visto che i ragazzi non avevano la possibilità di uscire. Al contrario, in quel periodo è cresciuto l’utilizzo di psicofarmaci, anche senza prescrizione. Al tempo stesso, si è visto che consumi eccessivi di bevande inebranti (parliamo anche di dieci o più unità alcoliche al giorno) sono rimasti stabili, mentre è calato il numero di chi usava gli stupefacenti solo occasionalmente. Un’altra tendenza evidente è stata quella dell’iperconsumo

di energy drink, che si trovavano in casa o venivano acquistati dalla famiglia.

a che eTà coMincia iL consUMo di sosTanZe?

Si inizia di solito tra i 15 e i 16 anni, con la maggioranza dei ragazzi che a quell’età ha già sperimentato un qualche tipo di sostanza. Nel nostro studio, registriamo una preoccupante crescita della percentuale dei ragazzi che sperimentano certe sostanze anche prima dei 14 anni.

QUaLi sono i FaTTori che spingono i più giovani ad assUMerLe?

Dipende dal tipo di sostanza, anche se le ragioni di fondo sono coerenti con gli effetti ricercati. Gli psicofarmaci, ad esempio, non sono usati per sballarsi, ma sono scelti in modo competente a seconda dell’effetto che si vuole ottenere: alcuni usano i sedativi per stare meglio con se stessi, altri usano i farmaci per l’attenzione perché vogliono migliorare il rendimento scolastico: sanno cosa vogliono usare e come usarlo.

ci sono dei FaTTori predisponenTi?

che frequentano chi ha già familiarità con queste sostanze. ci parLa deL FenoMeno deL Binge drinking? Con questa espressione si indica il consumo di alcol con cinque o più bevute di fila nella stessa occasione. È una modalità di consumo più maschile (anche se la percentuale di ragazze è in forte crescita) e aumenta con l’aumentare dell’età: riguarda il 15% dei quindicenni, ma ben il 48% dei ragazzi di 19 anni. Se durante la pandemia il consumo di alcol è diminuito, nel 2022 ha riguardato circa il 30% dei ragazzi, a livelli prepandemici.

Alcol e cannabis sono le sostanze più utilizzate dai giovanissimi

ci sono diFFerenZe Tra Maschi e FeMMine?

Le ragazze usano meno sostanze dei ragazzi in generale, ma ci sono delle eccezioni per quanto riguarda alcol, psicofarmaci e alcune sostanze illegali psicoattive. Queste ultime vedono una parità di consumo tra ragazze e ragazzi.

QUaLi sono Le soLUZioni che si possono MeTTere in caMpo?

I principali fattori associati al consumo sono insoddisfazione che insicurezza personale. La famiglia ha un ruolo determinante nella protezione dei più giovani dall’abuso di sostanze. Serve genitori siano presenti e controllino in che modo i figli spendono i loro soldi e quali compagnie frequentano.

Infatti, sono più a rischio tutti quei giovani

La prima necessità è quella di aumentare la conoscenza su queste tematiche, puntando soprattutto sulla peer education, che è molto efficace per le fasce d’età più giovani: un conto è sentirsi dire qualcosa da un adulto, un altro è sentirselo dire da un coetaneo che ha un linguaggio più simile e familiare. Attualmente ci sono già dei programmi di prevenzione, ma si sta pensando anche di svilupparne altri su TikTok e gli altri social media più giovani.

Di Elisa Campisi, Valeriano Musiu e Gabriella Siciliano -
| SCIENZA
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Baby gang: com’è la viole nza

I giovani sono da sempre la generazione contro: contro le regole, contro i genitori, contro le convenzioni. Ora, però, la violenza è un fenomeno isolato, non inquadrabile in una narrazione più ampia

New York, 1918, quartiere di Dumbo, Brooklyn, incrocio tra Washington Street e Water Street, cinque ragazzi attraversano la strada. Sullo sfondo il famoso ponte, avvolto dalla nebbia e dal classico fumo che fuoriesce dai tombini newyorkesi.

A pochi metri da loro è seduto sulla sedia Sergio Leone. C’era una volta in America ha raccontato la vita degli immigrati italiani negli

Stati Uniti a molte generazioni fino a diventare un cult. Ma il film di Leone è anche uno dei primi esempi su pellicola in cui si narra la storia di una “baby gang”.

Noodle, protagonista del film interpretato da Robert De Niro, e i suoi compagni sono dei ragazzi provenienti da famiglie e contesti difficili che non hanno altro al di fuori della strada. Polverosa, dura e severa, questa fa crescere in fretta chi la vive ogni giorno rischiando però di portare chi la calpesta sui binari sbagliati della vita. Quello delle baby gang è un fenomeno che ha trovato il modo di evolversi e cambiare forma. Si tratta di gruppi, composti in genere da una decina di ragazzi, di età compresa tra i 15 e i 17 anni.Questo fenomeno di microcriminalità si sviluppa in contesti cittadini e “di quartiere”. In Italia i gruppi sono diffusi in tutte le regioni, con una leggera prevalenza nel centro-nord. Le vittime di aggressioni, lesioni, atti di bullismo sono spesso coetanei, ma si parla anche di atti di vandalismo e disturbo della quiete pubblica, fino a reati come traffico di stupefacenti e rapine. Ma che cosa spinge i ragazzi a compiere questo tipo di azioni? Nonostante non esista una risposta univoca, dovuta alla complessità di un fenomeno che comprende storie e contesti diversi tra loro, è

possibile individuare alcuni fattori di carattere generale. Innanzitutto bisogna considerare che «l’adolescenza è da sempre un periodo di rottura, in cui ci sente esclusi dalla società». A dirlo è Marco Dugato, ricercatore del centro Transcrime e Docente a Contratto di Metodi e Tecniche per la ricerca Criminologica presso l’Università Cattolica di Milano. Questo senso di esclusione può essere esacerbato da fattori socio-economici e difficoltà di tipo relazionale: «La pandemia in questo senso non ha aiutato. Stando chiusi in casa si è persa la socialità e si è accumulata rabbia repressa».

Oltre a questo disagio psicologico, dovuto in alcuni casi a situazioni familiari difficili, esiste una componente legata al mondo dei social. «La riconoscibilità sociale deriva spesso dalla visibilità su internet» spiega Dugato. Compiere azioni violente e condividerle in rete diventa un modo per farsi notare, per “vendere” un prodotto quando non si ha la possibilità di farlo in un altro modo. Oltre a questo, i social propongono modelli da seguire e imitare: «I ragazzini faticano a distinguere cosa è reale, e la possibilità di fruire ogni tipo di contenuto senza filtri porta un desiderio di emulazione che può essere molto dannoso». Perciò, è fondamentale insegnare ai giovani a usare

NEWS | SOCIETÀ 22 | MASTERX | MAGGIO 2023
Di Pasquale Febbraro, Stefano Gigliotti e Gabriele Lussu
CRONACA | CRIMINALITÀ

nza oggi

internet in modo consapevole. Partendo dalla scuola, è necessario investire nelle agenzie educative, offrendo alternative a ragazzi che «spesso non hanno un background criminale alle spalle».

Storicamente, la tendenza ad aggregarsi in gruppo serve per farsi coraggio e aiuta i singoli a deresponsabilizzare le proprie azioni. Le bande di strada hanno origine negli Stati Uniti tra gli anni ‘50 e ‘70, in particolare negli slums, i quartieri più poveri e degradati delle grandi città americane. Le gangs, negli USA, sono cresciute esponenzialmente a partire dagli anni ‘20 e ad oggi se ne contano circa 23.000. Tale fenomeno si è diffuso anche in Europa. In Italia, ha avuto inizio a partire dagli anni ‘50 ed è concentrato maggiormente nelle metropoli. Con il passare del tempo il termine “baby gang” si è legato alla nuova ondata di musica trap e rap. Vari rapper, come si può notare dai video delle loro canzoni, si riuniscono in gruppo simulando i comportamenti e il vestiario delle baby gang. Un giovane rapper italo-marocchino condannato a quattro anni di carcere per una rissa in Corso Como a Milano, Zaccaria Mouhib, utilizza come nome d’arte proprio il termine “baby gang”. Dimostrazione di come la microcriminalità giovanile sia antica

tanto quanto la musica e il cinema, forme d’arte in cui spesso trova sfogo.

Nel secondo dopoguerra la spaccatura generazionale era evidente. Da un lato gli adulti, che avevano vissuto il dramma della guerra e trovato pieno agio nella tranquilla società dei consumi. Dall’altro i giovani, i cosiddetti figli del boom (baby boomer) nati e cresciuti tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta. Una generazione alla ricerca di stimoli nuovi che sente stretta la gabbia del benessere economico e del focolaio domestico. «Vorrei che ci fosse un solo giorno in cui io non debba sentirmi così confuso e non debba provare la sensazione di vergognarmi di tutto», è il grido di dolore di James Dean nel film Gioventù bruciata del 1955. La società moderna come un’auto in corsa dalla quale conviene lanciarsi prima di finire in uno strapiombo (la chicken run che impegna i protagonisti della pellicola). Fino ad incrociare il bivio decisivo: la guerra del Vietnam, vista come lontana da chi la guerra l’aveva vista realmente da vicino, occasione per i giovani per affermare la loro visione del mondo contraria a quella dei loro genitori. Il movimento di protesta, partito nelle università di San Francisco, si espande anche in Europa, fino ad esplodere con il Maggio francese e il conseguente Sessantotto in Italia. Negli Stati Uniti, le istanze degli studenti si saldano con la battaglia per i diritti civili degli afroamericani. Erano gli anni dell’attivismo di Martin Luther King e Malcom X. In Italia, mancando grandi minoranze etniche discriminate, le proteste

CRIMINALITÀ | CRONACA

Il trapper Baby Gang, è stato condannato a 4 anni e 10 mesi di carcere per l’accusa di rapina a mano armata. Il fatto è avvenuto il 12 luglio 2021 a Vignate, in provincia di Milano. Un ragazzo di 21 anni aveva denunciato di essere stato avvicinato da due giovani, mentre era a bordo della sua Clio, minacciato di morte e rapinato. In tribunale, Baby Gang si è sempre dichiarato innocente.

Nella notte del 29 gennaio, un gruppo di cinque ragazzi ha colpito in due punti differenti di Napoli. La prima aggressione è avvenuta in Piazza Dante contro un ragazzino di 14 anni, circondato dal branco e colpito con dei manganelli. Un’ora dopo, stesse identiche modalità contro un suo coetaneo, questa volta in Piazza Carlo III. Due casi simili che tracciano un chiaro presidio di una parte del centro citt partenopeo.

In rete, è diventato virale un video che mostra una rissa tra minorenni avvenuta nel parcheggio del centro commerciale Palladio di Vicenza. Un gruppo di ragazzini si aggrediscono in modo violento mentre vengono incitati e ripresi con lo smartphone dai loro coetanei. Alla fine, viene acclamato un “vincitore”. L’episodio è l’ennesima dimostrazione di come i social possano essere veicolo di atti di violenza tra i giovani.

dei giovani incontrano quelle del movimento operaio. Anziché le Pantere Nere, nascono le formazioni extraparlamentari come Potere Operaio e Lotta Continua. “Vietato vietare” diventa lo slogan di una generazione che non accetta di essere ingabbiata negli schemi precostituiti di quella società. Ma la lotta politica si tramuta presto in violenza. Durante gli anni di piombo tafferugli tra estremisti di destra e sinistra sono all’ordine del giorno per le strade del nostro Paese. L’escalation è talmente brutale da generare un riflusso nel privato all’alba del decennio successivo. Gli autonomi e i collettivi vengono sostituiti dai paninari, che abbracciano quello stesso individualismo ferocemente combattuto dalla generazione che li aveva preceduti. Un breve ritorno di fiamma è la nascita di un movimento studentesco chiamato, non a caso, la Pantera, che occupa alcune università italiane nel 1990. Dura poco. La stagione delle lotte politiche era ormai crollata assieme al Muro di Berlino e tutte le ideologie del novecento.

La rabbia dei giovani comincia a incanalarsi in forme diverse. «Tutte le azioni hanno una motivazione», ribadisce Dugato, «rispetto al passato è cambiato il mondo, non ci sono più le grandi narrazioni. Mon si aderisce più a un’ideologia di massa. Gli stessi comportamenti prima venivano inquadrati in senso più ampio, adesso come fenomeni isolati». Tenendo però a precisare che «un atto violento resta sempre un atto violento, indipendentemente dall’ideologia o dalla motivazione che c’è alle spalle».

SOCIETÀ | NEWS MAGGIO 2023 | MASTERX | 23 viole

La lingua dei giovani non invecchia mai

Neologismi, abbrevviazioni, presititi, adattamenti dall’inglese e non solo.

Il linguaggio dei ragazzi di oggi è in continua evoluzione e corre veloce.

Impossibile per gli adulti stargli dietro e comprenderlo

(almeno senza una guida)

«Pov: hai una crush per un tipo ma è pieno di red flags, forse siamo in una situation-ship».

Se pensate che questa frase sia piena di parole senza senso, forse siete dei boomer. C’è un solo modo per capire i linguaggi giovanili: imparare a riconoscerli, abbandonando i pregiudizi, ma soprattutto sapere che si evolvono, proprio come ogni lingua. Le parole non sono mai solo parole: sono ponti verso mondi mutevoli e porzioni diverse di realtà. Proprio per questo, mettono in contatto l’identità di ciascuno con quella degli altri. Con la pandemia è emersa, con forza sempre maggiore, la necessità da parte dei giovani di essere rappresentati e riconosciuti, ciascuno nelle proprie differenze, anche attraverso il linguaggio. Nel saggio

“Le ragioni del dubbio”, la sociolinguista Vera Gheno spiega che esistono dei termini che abi-

CURIOSITÀ

Il dizionario della Gen Z secondo l’Accademia della Crusca

A cura di Carlotta Bocchi e Eleonora di Nonno

Alcune delle parole più usate dalla Generazione Z, sicuramente sconosciute alla maggior parte dei Boomers. Scopriamone il significato.

tano ai margini della lingua ufficiale ed «è lì che le persone si mostrano nella loro interezza, abbandonando le ingessature della regola». Proprio la Generazione Z, i nati tra il 1997 e il 2012, detta le regole con l’invenzione di nuove parole, ovvero i neologismi. Perché nascono? Il motivo è semplice: servono per descrivere un concetto, un oggetto, qualcosa che prima non c’era ma che ora ha bisogno di un nome perché esiste. Termini che aprono la porta sul mondo che verrà.

Come fai a spiegare a tuo zio che mandare un’immagine con scritto «Buongiornissimo Kaffè» su Whatsapp è «cringe»? In poche parole, ti stai vergognando per lui. Stai provando un imbarazzo così insostenibile da voler fuggire via o da desiderare il mantello invisibile di Harry Potter. Come fai a spiegare a tua madre che non esci più con quel ragazzo perché ti ha «ghostata»? Una parola perfetta rubata dall’inglese, la radice «ghost» (fantasma) racchiude l’idea della spaventosa sparizione di quella persona che non risponde più ai messaggi o alle chiamate. Una dinamica non certo nuova, quella in cui qualcuno ignora qualcun altro, ma a cui mancava il termine giusto per definirla. I ragazzi usano termini in codice per capirsi tra loro senza troppi giri di parole. Le espressioni giovanili, infatti, servono per autodefinirsi, costruendo il sé, e per rompere con le generazioni precedenti. Sempre Vera Gheno spiega che nella comunicazione tra giovani è implicita una «funzione tribale», una sorta di codice per riconoscersi fra simili ed escludere gli altri dalla comunicazione del gruppo. Allo stesso tempo, però, proprio la nuova generazione sottolinea la necessità di un lin-

Una “red flag”, cioè bandiera rossa, è una metafora utilizzata per segnalare un pericolo a cui fare attenzione.

Una sorta di campanello d’allarme. Specialmente sui social, il termine viene utilizzato per indicare un atteggiamento negativo del partner all’interno di una relazione amorosa. Le “bandiere rosse” sono il segnale della presenza di una situazione potenzialmente pericolosa o comportamenti manipolatori, tossici o dannosi.

guaggio inclusivo, che abbracci le diverse sfere del vivere sociale, a partire dal genere. Il dizionario Oxford Languages definisce l’inclusività come «la tendenza a estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto o la partecipazione a un sistema o a un’attività». Un linguaggio libero da parole, frasi o toni che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie verso determinati gruppi di persone. Nella lingua italiana abbiamo a disposizione un linguaggio che grammaticalmente si declina in due modi: al femminile e al maschile. Per definire moltitudini di persone questo binarismo secco è insufficiente, ma non abbiamo un genere neutro. Secondo il linguaggio inclusivo, l’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi di chi lo ascolta.

Il rischio, però, è quello di cadere nel politicamente corretto. Un esempio è quello sulla censura a Roald Dahl. L’editore Puffin ha deciso, in accordo con gli eredi dello scrittore, di riscriverne i libri eliminando parole come «brutto» e «grasso». L’obiettivo è quello di cancellare il riferimento al genere, alla razza e al peso. Classico caso in cui gli adulti scelgono quali parole siano giuste o sbagliate, dimenticando che il linguaggio (e la lettura) è esperienza. Buona iniziativa quella di guidare le future generazioni, ma senza questa sfiducia nelle loro capacità di scelta e di rielaborazione a secondo del proprio vissuto. Si sa che quando si vieta qualcosa la sfida è proprio violare le regole. Dire a un bambino “questa parola sì e questa no” è proprio una boomerata.

Hype per quando si è in trepidante attesa di un evento o di incontrare una persona. Un termine usato soprattutto nel mondo dello spettacolo, della musica o del web: «Sto in hype», «Hype a mille» si urla agli amici prima del lancio di una serie tv, di un videogioco o di un album. È usato molto anche nel marketing per entusiasmare il pubblico e attirare l’attenzione degli utenti su ciò che si vuole promuovere prima che esca il prodotto o che accada il fatto.

Crush indica la persona per cui si prova attrazione. In inglese, il verbo to crush significa schiacciare, distruggere, frantumare, ma usato come nome permette di riferirsi alla propria «cotta» senza indicarne il nome e il genere, così da non dover esplicitare le proprie preferenze sessuali. Spesso, la propria crush è impossibile da concretizzare, come può essere quella per una star del cinema o dello spettacolo, una «celebrity crush». Ergo, una persona che non riesci a toglierti dalla mente.

CULTURA | LINGUAGGIO 24 | MASTERX | GENNAIO 2016
Di Carlotta Bocchi e Eleonora di Nonno

Ghostare significa sparire, soprattutto dai radar dei social network. Ignorare i messaggi, non visualizzarli, non leggerli, non rispondere, fino a non considerare più, volontariamente e improvvisamente, una persona con la quale magari si era appena avviata una conoscenza, un’amicizia o una relazione. Dire addio a una persona sparendo nel nulla, spesso senza una valida motivazione. Come ci si sente a essere un fantasma?

Parlare in corsivo, la tendenza social della Gen Z

Cörsivœ, così viene traslitterato il nome del nuovo modo di parlare della Generazione Z. Lanciato su TikTok da una giovane content creator, Elisa Esposito, indica un modo originale di pronunciare le parole: i finali delle frasi vengono allungati e le tonalità delle sillabe cambiano per ottenere un tono di voce acuto. Il segreto? Esagerare i tratti tipici della cadenza milanese marcata. Questo nuovo trend, infatti, vuole prendere in giro la parlata milanese, infarcita da atteggiamenti snob e chic, che tendono all’esagerazione. La parola rappresentativa del corsivo è amïo, ossia amore, usato spesso come appellativo tra amiche nelle generazioni più giovani.

A giugno del 2022, la 22enne tiktoker ha cominciato a dare delle vere e proprie lezioni di corsivo, mostrando ogni volta la pronuncia di termini sempre diversi. Proprio per questo motivo, è conosciuta anche come «la prof del corsivo», con i suoi video che hanno accumulato oltre due milioni di visualizzazioni. Ovviamente, su Facebook, «il social degli over», sono molti coloro che si lamentano di questo nuovo gergo diffuso tra i ragazzi, accusandoli di essere una generazione di analfabeti.

Pov, sigla di point-of-view, indica un video girato secondo una prospettiva soggettiva, che fa vedere la scena attraverso gli occhi di uno dei protagonisti. Così, chi guarda il video può immedesimarsi nella scena con il proprio stato d’animo o il proprio pensiero riguardo a un argomento. In un video Pov di un’insegnante si vedrà la classe inquadrata dalla cattedra, quello di un avvocato sarà dentro un tribunale, quello di un taxista riguarderà il rapporto con i clienti e così via.

La cadenza cantilenata ha iniziato a influenzare anche il mondo della musica. Per esempio, il rappere Tha Supreme e il cantante pop Sangiovanni sono indicati come esponenti del «canto in corsivo». Questo processo si basa sul fenomeno fonetico della dittongazione, per il quale una vocale si divide in due parti di diversa apertura, ovvero in due vocali diverse che formano un dittongo. Anche Madame e Blanco usano questo trucco per accentuare i virtuosismi del proprio cantato. Il successo del corsivo ricorda quello di altre tendenze oltreoceano, ad esempio l’accento «Valley Girl». La caratteristica fonetica presa di mira è quella delle ragazze ricche della California, in voga a partire dagli Anni 90 grazie a film e serie tv come Beverly Hills 90210. Il corsivo parlato è molto simile anche ad altri usi ludici della lingua. Un esempio sono gli alfabeti segreti usati dai bambini, come quello farfallino che raddoppiava ogni vocale interponendo una «f».

Attraverso le letture con voce in corsivo, come quelle di Tik Tok, il video ha piegato ai suoi dettami le regole della scrittura. La comunicazione, adattandosi al protagonismo che caratterizza il nostro tempo, si fa sempre più personalizzata ed è espressione prima di tutto della propria identità. È un modo di fare che non aggiunge nulla ai contenuti, ma risulta spiazzante e allo stesso tempo ironico. Un fenomeno sociolinguistico, che è la moda del momento: sbocciato velocemente, forse potrebbe appassirsi o resistere nel flusso infinito dei modi di parlare.

LINGUAGGIO | CULTURA MAGGIO 2023 | MASTERX | 25
Di Carlotta Bocchi e Eleonora di Nonno
FOCUS BOX Il segreto? Esagerare i tratti tipici della cadenza milanese
Lessico Gen Z. Un nuovo modo di comunicare, non solo sui social.

Sempre più E-sports. Giugno, Olimpiadi a Singapore

Sono aperte le qualificazioni per le Olympic E-sports 2023, la competizione dedicata agli sport elettronici.

Ecco quali giochi saranno presenti

A causa delle diverse restrizioni subite durante la pandemia, abbiamo assistito all’esplosione di numerosi nuovi trend, in parte per le richieste esplicite dei governi e in parte per uno spontaneo adattamento delle persone che in poco tempo hanno dovuto reinventare molte delle loro abitudini quotidiane. Ed ecco che, finita l’emergenza, alcune di queste tendenze si sono ridotte o scomparse, altre si sono consolidate nella nostra realtà post-covid. Tra i principali trend in ascesa, ricordiamo lo smart working, il turismo sostenibile e distante dagli affollati centri urbani e gli E-sports, ovvero il gaming competitivo elettronico. Ma se di smart working e turismo si sente molto spesso parlare in Tv, degli E-sports se ne parla ancora poco.

Una nUova caTegoria di inFLUencer

Il gaming online, grazie all’opportunità di poter sfidare persone reali ma lontane fisicamente, ha fornito un chiaro esempio pratico della capacità degli uomini di sapersi auto-organizzare con successo se mossi da una passione e da una necessità condivisa. Ecco che negli E-sports sono nate e si sono diffuse numerose leghe private che raccolgono giocatori da ogni parte d’Italia o addirittura da tutto il mondo. Con la diffusione delle leghe e la crescita degli sponsor interessati ad ottenere maggiore visibilità online soprattutto tra i teenagers, è nata una nuova categoria di lavoratori, quella dei pro gamer, ovvero videogiocatori professionisti acquistati da squadre ufficiali o team privati. D’altronde, i ricavi arrivano sia dagli sponsor che dai ricchi montepremi messi in palio nelle varie competizioni, ma esistono anche casi di giocatori che vengono regolarmente assunti con un vero e proprio contratto da dipendenti. I migliori gamer in circolazione rappresentano l’ultima frontiera degli influencer, in quanto riescono a creare delle community molto forti e soprattutto molto numerose, il tutto grazie alle

dirette delle proprie sessioni di gaming e ai video tutorial in cui condividono le proprie skill e i propri consigli pratici. Tra i più famosi ricordiamo sicuramente Naska.

oLYMpic e-sporTs series 2023

Per tutti gli appassionati degli E-sports l’attesa è finita. Sono state ufficialmente annunciate le Olimpiadi dedicate a tutti gli sport elettronici, realizzate dal Comitato Olimpico Internazionale con la collaborazione delle Federazioni Internazionali e dei game publisher. Ai giochi parteciperanno i player amatoriali e professionisti di 9 sport, tra mobile game, console game, physical game e giochi al pc, di cui 4 già presenti nelle Virtual Series del 2021, ovvero baseball con Wbsc eBaseball: Power Pros (su PlayStation 5 e 4 o Nintendo Switch) e la World Baseball Softball Confederation, ciclismo con Uci e Zwift, motorsport con Gran Turismo 7 (su PlayStation 4 o 5) e la Fédération Internationale de l’Automobile, e canottaggio con Virtual Regatta e World Sailing. A questi se ne aggiungeranno altri cinque, ovvero danza con Just Dance, scacchi con Chess.com (con dispositivo mobile o computer), taekwondo con World Taekwondo e Virtual Taekwondo, tennis con Tennis Clash e l’International Tennis Federation, e tiro con l’arco con World Archery Federation e Tic Tac Bow. Il pubblico potrà assistere ai giochi durante tutta la competizione sulla piattaforma ufficiale olimpica e e sul profilo Instagram @Olympics. I player che riusciranno ad accedere alle finali, infatti, si incontreranno nella Olympic E-sports Week 2023, la settimana dal 22 al 25 giugno, sul palco del Suntec Center di Singapore. Le finali saranno anche un’occasione di entrare in contatto con altri sport e competizioni che non sono ancora nel programma olimpico, e con le nuove tecnologie. La manifestazione è un riconoscimento importante per gli esport, un settore in crescita in tutto il mondo e che si sta prendendo sempre maggiore spazio. «La scelta di Singapore per noi è legata all’innovazione e alla storia dell’Olympic Movement - spiega Vincent Pereira, head of virtual sport & gaming del Comitato olimpico internazionale -. Singapore è stato della prima organizzazione della competizione di esport del 2010. C’è un legame molto forte, ed è per questo che è lo abbiamo considerato un partner a cui affidarsi nell’organizzazione per l’Olympic E-sports Week».

NEWS | SOCIETÀ 26 | MASTERX | MAGGIO 2023 SPORT | INNOVAZIONE
Di Francesca Daria Boldo
Il modo più democratico di accedere al mondo dello sport
E-sports. Il gaming online approda alle Olimpiadi: un settore in crescita in tutto il mondo.

CRITICA, L’ARTE FUORI DALL’ARTE

Come colmare il gap di conoscenze nel campo degli studi della critica d’arte? Al convegno “Armi Improprie”, si è cercato di decifrare quella sorta di canone della critica che esiste nel nostro Paese

All’ateneo IULM, docenti e ricercatori del Dottorato in Visual and Media Studies e del Center for Visual Studies (CVS) hanno ripercorso le diverse sfaccettature del modo di fare critica. Concentrandosi in particolare su quella dei quotidiani e delle riviste di settore, hanno riportato esempi di storie di esperti d’arte che si differenziano in modo originale per le metodologie usate. Come quello di Marcello Venturoli nel “Paese Sera”, di cui ha parlato Cristiana Antonelli, docente dell’Università degli Studi di Firenze. L’indipendenza di giudizio è uno degli aspetti cardine del giusto modo di fare critica: Venturoli, infatti, non accettò di screditare a priori le correnti non figurative e gli artisti che non risultavano idonei secondo la commissione culturale del Partito Comunista. Il modus operandi della critica italiana, però, ha spesso riscosso pareri contrastanti da parte degli esperti nel settore. Lea Vergine, ad

UNIVERSITÀ Carlo Verdone

A cura di Francesca D.Boldo

Tutti noi conosciamo Carlo Verdone come attore e regista, eppure è anche un uomo che per tutta la vita ha dedicato grande passione al tema della salute. Per questo, assieme al rettore dello IULM, Gianni Canova, e a Marco Montorsi, rettore dell’Humanitas University, durante l’evento Infodemia? No Grazie, Verdone ha discusso sull’importanza di comunicare il benessere, la scienza e la medicina. Da qui, Verdone ha accompagnato l’ascoltatore nella sua grande esperienza di vita: una straordinaria galleria dove incontriamo tutte le declinazioni dell’umano, sano e insano, da lui ideate.

esempio, come riportato nel corso della conferenza da Valentina Bartalesi (IULM), ha spesso denunciato le piaghe della critica, la sua inadeguatezza dei mezzi, e la promissività fatale con la trasposizione letteraria. Dall’inizio degli anni ‘70 su “Il Manifesto” ha contestato i suoi colleghi, affermando che la rassegna contemporanea fosse basata principalmente su un criterio snobistico.

La criTica d’arTe Tra pedagogia e ricerca

TecnoLogica

Altro carattere rilevante del modo di fare critica nel panorama italiano riguarda il dialogo tra ricerca artistica e pedagogia nazionale. Marisa Volpi, laureata in filosofia e specializzata in storia dell’arte, ne fu piena sostenitrice durante il suo periodo di collaborazione con “L’Avanti”. Come illustrato da Sonia Chianchiano (Ca’ Foscari), l’esperta era solita adottare l’inchiesta come modo per avvicinare il pubblico all’arte contemporanea. Infine, l’uso della tecnologia come forma simbolica nel processo di critica. Attraverso l’esperienza di Renato Barilli de “L’Espresso”, Anna Luigia De Simone afferma che l’arte non imita i caratteri delle tecnologie coeve, ma è la nuova tecnologia che si eleva a forma simbolica nell’ottica di una convergenza creativa. Barilli rilegge il tradizionale corso delle arti visive in relazione ai due grandi cicli tecnologici: il meccanomorfismo della modernità e l’elettromorfismo della contemporaneità.

UNIVERSITÀ Alessandro Borghi

A cura di Erica Vailati

«Dovete sfuggire il più possibile dalle zone di comfort, perché sono la cosa meno interessante che potrà accadervi. Spingetevi dove pensate di non poter arrivare, perché è lì che c’è la crescita vera.» L’attore Alessandro Borghi ha tenuto una masterclass a marzo all’Università IULM per svelare alcuni dei segreti del suo mestiere. Camaleontico e magnetico, ha raccontato diversi momenti della sua carriera, in un incontro che si è rivelato una lezione di vita.

SOCIETÀ | NEWS MAGGIO 2023 | MASTERX | 27
Università IULM. Due giorni di convegno sul panorama della critica d’arte italiana.
EVENTI | IULM

Selfie, selfie delle mie brame

Il progetto Selfiecity è basato sulle immagini caricate su Instagram nelle città di New York, Berlino, Bangkok, Mosca e San Paolo del Brasile. Con la direzione scientifica del Professor Lev Manovich, docente di Computer Science e direttore del Cultural Analytics Lab, il suo gruppo della City University of New York ha collaborato per la realizzazione della ricerca con studiosi di varie discipline i quali, dopo aver visionato e selezionato decine di migliaia di selfie, li hanno analizzati e catalogati. Il progetto, visivamente molto innovativo, si

trova online al link selfiecity.net e rimane, nonostante risalga a qualche anno fa, lo studio più vasto e completo sull’argomento, fruibile anche da un pubblico non specializzato. L’interfaccia grafica, molto intuitiva, permette di selezionare e visualizzare i selfie filtrandoli in base a determinati parametri: genere ed età del soggetto, punto di ripresa, direzione dello sguardo, stato d’animo apparente, e altre proprietà. L’età media degli autori dei selfie varia a seconda della città e del genere, spaziando dai 20,3 anni delle ragazze di Bangkok ai 26,7 anni dei giovani di New York. In tutte e cinque

le città considerate, gli autoritratti più numerosi sono quelli realizzati da donne, con un picco nella città di Mosca, dove i selfie delle ragazze rappresentano addirittura l’82% del campione. I saggi scientifici ospitati nella sezione “Theory” forniscono ulteriori spunti di riflessione che permettono di inquadrare meglio il fenomeno, diffuso principalmente, anche se non in maniera esclusiva, tra la popolazione giovanile. Nel frattempo, più recentemente rispetto al progetto Selfiecity, l’età media degli utenti dei social si è ulteriormente abbassata. Studi recentissimi mettono in luce i problemi sollevati dalla

loro diffusione capillare e dalla onnipresente pratica dei selfie tra adolescenti e preadolescenti. I problemi evidenziati dagli studiosi – psichiatri e psicologi dell’età evolutiva – sono la “preoccupazione dei giovani per la propria immagine online”, la “insoddisfazione del proprio corpo” e infine, come diretta conseguenza della continua competizione e comparazione con modelli spesso irraggiungibili, il crescente insorgere di disturbi dell’alimentazione.

Marco Capovilla – docente Master in Giornalismo IULM

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