Sedes journal n.8

Data

N°

8

Dicembre 2021

Direttore Sanitario Dott. Paolo Marforio

SEDES JOURNAL

2020 - Panorama di Torino dal belvedere del monte dei Cappuccini ph @Gerry_Di_Fonzo

I tuoi figli sono nati nella Clinica Sedes?

Ti piacerebbe raccontarlo?

Indice Editoriale

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Iperplasia prostatica benigna

pp.4

“Una ladra silenziosa di ossa”

pp.5

Focus Medicina e Scienza

pp.6/13

Le infiltrazioni con guida ecografiche

pp.14

La cura del dolore

pp.15

I nostri ambulatori

pp.16

I nostri medici

pp.18

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Editoriale

Nel mese di settembre dell’anno 1906 si inaugurava a Torino la Clinica di via Bidone, gestita dall’ Ordine religioso francese “Figlie della Sapienza” Negli anni settanta del novecento, di fronte al primitivo nucleo, è stata costruita la nuova ed attuale Clinica nella quale, fin da subito, accanto a specialità mediche e chirurgiche di prestigio si è distinto il reparto di ostetricia dove, a memoria di tante Famiglie, un drappello di Medici valorosi e di Suore amorevoli ed attente aiutava a venire alla luce una folta schiera di Torinesi … e non solo …

Editoriale

E dal momento che la cosa più importante della vita è il “Nascere”, il ricordo dei luoghi, delle esperienze, dei visi amici che accompagnano quei momenti unici ed irripetibili, rimane stabilmente nel patrimonio di ricordi delle nostre Famiglie.

Poi le Suore se ne sono andate, poiché erano rimaste in numero troppo esiguo a causa della riduzione delle vocazioni religiose e la Clinica, molto nota anche per questa sua missione, ha trovato nella nuova Proprietà , subentrata negli anni 2000, una sensibilità congruente con le intenzioni fondative ed ha continuato a portare avanti sul territorio questo servizio, particolarmente impegnativo, dato che si deve occupare contemporaneamente della salute e della sicurezza di due vite affidate alla sua responsabilità.

Siamo molto soddisfatti di questa scelta e visto che incontriamo spesso persone che rivendicano orgogliosamente di essere “nate alla Bidone”, abbiamo coltivato l’ambizione di costituire una sorta di Club che faccia conoscere tra loro i nati “Qui“ e colleghi le esperienze e gli affetti di quanti sono legati a questa Struttura.

Ora nelle nostre esistenze sono entrati prepotentemente i “Social”, che si sono affiancati alla condivisione verbale delle esperienze con la loro potenza comunicativa.

Già da qualche tempo, approfittando di questi strumenti, sono state diffuse, con l’approvazione degli interessati, testimonianze di lieti eventi che hanno riguardato personaggi particolarmente noti; ma ora sarebbe nostra ambizione promuovere uno “Spazio“ sul nuovo Sito Web della Clinica per tutti coloro che sono “Nati in Sedes”, producendo testimonianze, fotografie, commenti, in modo che si possa formare una base comunicativa di confronto, condivisione e magari dialogo, per favorire la creazione di una Comunità di “Atleti della Vita” accomunati dalla medesima linea di partenza …

Emilio Giusta Presidente Clinica Sedes Sapientiae

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La Termoterapia per il trattamento dell’iperplasia prostatica benigna

La Termoterapia per il trattamento dell’iperplasia prostatica benigna A cura del dott. Ivano Morra, specialista in Urologia

L

’iperplasia prostatica benigna (IPB) o ipertrofia prostatica può causare fastidiosi sintomi urinari con peggioramento della qualità di vita aumentando anche il rischio di ritenzione urinaria. L’IPB clinica è una malattia molto diffusa, all’età di 60 anni, quasi il 60% della popolazione maschile presenta sintomi moderati o severi.

Ci sono diversi tipi di interventi per l’IPB; La scelta può basarsi su una serie di fattori, tra cui la dimensione e la morfologia della prostata, la gravità dei sintomi, lo stato di salute e l’età del paziente.

Presso la Clinica Sedes Sapientiae si possono trovare le modalità più innovative per il trattamento dell’IPB: sono disponibili resettori bipolari a radiofrequenza per la TURP, attualmente il “gold standard” nella terapia dell’IPB, e il laser a luce verde per la vaporizzazione prostatica.

Qualunque tipo di intervento chirurgico alla prostata può avere effetti collaterali spiacevoli sulla sfera sessuale e sulla continenza, per questo sono state sviluppate tecniche mininvasive eseguibili ambulatorialmente come la termoterapia attualmente disponibile in clinica.

La Termoterapia per

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l’IPB, approvata dalla FDA nel 2015 e nel 2018 dal NICE e contemplata anche nelle linee guida dell’Associazione Europea di Urologia, è un trattamento mini-invasivo eseguibile anche in regime ambulatoriale.

Consiste nell’iniezione di vapore acqueo nei lobi prostatici; l’energia termica diffusa nell’adenoma determina un processo di necrosi coagulativa che in circa 15-20 giorni porta a una riduzione del tessuto trattato con aumento del calibro uretrale e normalizzazione della minzione.

Il trattamento di Termoterapia con dispositivo Rezum viene eseguito in sala operatoria.

La procedura è rapida e semplice e viene eseguita in sedo-analgesia.

Utilizzando il dispositivo Rezum vengono eseguite sotto visione le iniezioni di vapore nel tessuto prostatico. A seconda delle dimensioni della prostata, la procedura prevede da due a 8 iniezioni intraprostatiche da nove secondi ciascuna: il vapore si disperde tra le cellule, rilascia calore quindi si raffredda e determinando una necrosi coagulativa del tessuto.

Inizialmente si verifica un edema (gonfiore) del tessuto trattato che può determinare un peggioramento del flusso per cui viene lasciato un piccolo catetere per 2-7 giorni.

Al termine del tratta-

mento il paziente viene valutato per le dimissioni.

In genere, dopo due settimane i sintomi iniziano progressivamente a migliorare e dopo quattro settimane si possono sospendere i farmaci per la prostata; in questa fase il paziente può notare la presenza di scorie nelle urine perché viene eliminato tessuto necrotico.

Il Rezum non ha effetti negativi sulle erezioni.

Esiste una probabilità dell’uno per cento di eiaculazione retrograda, che si verifica quando il seme entra nella vescica anziché uscire dal pene.

Questa è una percentuale significativamente inferiore rispetto ad altre procedure per il trattamento dell’ipertrofia prostatica (TURP, HOLEP, GreenLaser, TULIP).

Il Rezum non determina problemi di incontinenza.

La Termoterapia è una ottima alternativa ai farmaci per IPB (spesso non tollerati per gli effetti collaterali), determina sollievo sicuro ed efficace dei sintomi urinari, mantiene la funzione

eiaculatoria ed erettile, non presenta rischio di incontinenza permanente, il sanguinamento è ridotto ed è eseguibile in sedo-analgesia, consentendo un rapido ritorno alle normali attività.

L’efficacia della termoterapia è confermata dai dati di letteratura che parlano di un tasso di reintervento a 5 anni del 5%, inferiore a quello dopo TURP (9%).

Questa procedura mininvasiva risulta particolarmente indicata per pazienti giovani, preoccupati dall’impatto negativo degli interventi tradizionali sulla sessualità, per i pazienti anziani con multiple comorbilità a rischio anestesiologico aumentato e per i pazienti intolleranti ai farmaci usualmente utilizzati per il controllo dei sintomi da IPB. La possibilità di disporre diverse metodiche per il trattamento dell’IPB consente di offrire a ciascun paziente la terapia più indicata alla sua situazione e al momento opportuno.

“Una ladra silenziosa di ossa” L’osteoporosi che cos’è e come prevenirla.

“Una ladra silenziosa di ossa” L’osteoporosi che cos’è e come prevenirla.

A cura della dott.ssa Cristina Tamone, specialista in Medicina Interna

L

’osteoporosi è «una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata dalla compromissione della resistenza ossea che predispone il paziente ad un elevato rischio di frattura». Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che l’osteoporosi costituisce uno dei maggiori problemi di salute nei Paesi del mondo occidentale a causa delle fratture che ne conseguono.

Oltre i 50 anni una donna su tre è affetta da osteoporosi, e spesso non lo sa! Con gli anni, e in particolar modo dopo la menopausa, quando si registrano nella donna bassi livelli di estrogeni, le ossa iniziano a perdere calcio e fosforo e lentamente diventano più fragili. Talmente fragili da andare incontro ad una frattura anche in seguito ad un microtrauma.

Quando si arriva alle fratture significa che la situazione è veramente compromessa e si parla di osteoporosi severa, una condizione che, se non adeguatamente trattata, può portare ad invalidità e talora al decesso.

In molti credono erroneamente che l’osteoporosi sia, alla fine, solo “un po’ di osso in meno”, che sia una banale condizione della vecchiaia, non rendendosi però conto delle

gravi conseguenze che ne possono derivare. Spesso alle donne fa più paura il carcinoma della mammella, che oggi è possibile trattare con esito molto positivo, piuttosto che l’invalidità e mortalità da osteoporosi.

Una donna fratturata è una donna che non si può prendere cura della casa, dei figli, dei nipoti, di se stessa e quando colpisce, non infrequentemente, anche le donne giovani non può fare sport, andare al lavoro, dedicarsi alle attività che preferisce. Per non parlare del fatto che chi sopravvive alla frattura di femore, dopo il primo anno, spesso perde l’indipendenza: il 40% non riesce più a camminare autonomamente e il 60% richiede l’assistenza l’anno successivo. Nell’anno seguente una frattura di femore, il 33% delle persone è totalmente dipendente. Inoltre chi va incontro ad una prima frattura è ad altissimo rischio di altre fratture negli anni successivi. È quindi importante che la donna sin da ragazza conosca questa patologia

per arrivare alla menopausa meno “fragile”.

Ci sono dei fattori di rischio che evidentemente non si possono controllare: il sesso (le donne hanno un rischio 4 volte maggiore), l’età avanzata, una storia familiare di fratture da fragilità, l’assunzione di farmaci che danneggiano l’osso ma che a volte sono inevitabili, le malattie reumatiche, le malattie endocrine. Tutti fattori di rischio che non si possono evitare ma che si devono prendere in considerazione. E poi ci sono fattori di rischio evitabili: il fumo, la sedentarietà, la carenza da vitamina D (spesso non basta quel poco che si assume con l’alimentazione e l’esposizione al sole non è sufficiente), una dieta povera di calcio, l’eccessiva magrezza.

La prima cosa da fare è sicuramente fin da piccoli ridurre il più possibile i fattori di rischio, adottando una dieta equilibrata e dedicandosi a una corretta attività fisica.

La seconda cosa da fare è, quando necessario, misurare il “nostro

bagaglio di osso” con la densitometria osseaMOC. Questa indagine è considerata utile nelle donne oltre i 65 anni.

Nei maschi (l’osteoporosi non colpisce solo il sesso femminile!) e nelle donne di età inferiore l’indagine può essere invece indicata in presenza di determinati fattori di rischio o condizioni come menopausa precoce (<45 anni), magrezza (<57 kg), tabagismo, uso di farmaci osteopenizzanti, condizioni morbose potenzialmente in grado di provocare osteoporosi.

La terza cosa da fare: in presenza di una densitometria bassa è necessario studiare il livello di rischio fratturativo della donna, eventuali cause secondarie e quando necessario avviare adeguata terapia, affidandosi a uno specialista esperto.

Le terapie ci sono, e sono anche efficaci. Tuttavia se si osservano i dati nazionali sul consumo di farmaci per l’osteoporosi in Italia, si scopre che solo il 24 per cento delle donne fratturate o ad alto rischio segue una terapia. E non il 100 per cento come sarebbe giusto che fosse. E di questo 24 per cento circa, la metà interrompe le cure.

Questo significa che ogni 100 donne che devono prendere i farmaci perché sono ad alto rischio solo 12 lo fanno.

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Focus

Medicina e Scienza

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Medicina e Scienza A cura del Dott. Paolo Marforio, Direttore Sanitario

Mai come in questo periodo si è parlato di scienziati ed alcuni di essi ci hanno tenuto, e tengono, grande compagnia intervenendo su giornali, alla radio ed alla televisione.

Molto meno, invece, si è parlato di scienza ed in particolare di medicina scientifica.

Da Treccani: “la scienza è un sistema di conoscenze organizzato che cerca di dare una descrizione obiettiva, coerente e verificabile del mondo fisico e naturale, attraverso un sistema fondato su evidenze sperimentali. È, quindi, nello stesso tempo un insieme strutturato di conoscenze ed un processo di continua scoperta e riorganizzazione ……”.

Il processo su cui si basa la scienza è chiamato “metodo scientifico”.

Questo metodo essenzialmente si basa su di un’ipotesi di partenza che viene verificata con il ricorso ad esperimenti che possono determinarne l’abbandono, la rielaborazione o la conferma, in quest’ultimo caso l’ipotesi può trasformarsi in “teoria”.

Il processo scientifico deve sottostare ad alcune regole assolute: l’ipotesi può essere falsificabile (risultati non coerenti con l’ipotesi); deve essere sempre stimato il livello

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di affidabilità dei risultati, non esiste cioè certezza assoluta; l’analisi critica degli esperimenti deve essere rigorosa; esperimenti ed osservazioni devono essere riproducibili e replicabili.

Una buona disposizione mentale nei confronti della scienza penso possa essere mutuata da John Locke (Two Treatises of Government 1690): fare scienza è oggi un’attività che si svolge non più nella notte dei secoli bui, né alla luce chiara dei lumi, ma nel crepuscolo della probabilità. In ogni caso, inoltre, pur con tutti i suoi limiti, quello scientifico, così come inteso, è, fino all’individuazione di uno migliore, lo strumento più efficace per valutare la correttezza delle nostre convinzioni.

Questo approccio alla conoscenza è tipico delle culture che affondano le loro radici nel “pensiero greco” che, già nel settimo/sesto secolo avanti Cristo (scuola di Mileto), principia a ricercare le cause degli eventi senza considerarli sempre e solo generati volere degli Dei. Questa separazione della filosofia/scienza dalla religione è, anche, stata individuata da Bertrand Russel come l’elemento caratterizzante lo sviluppo (salvezza?) del modo di pensare occidentale e la sua differenziazione

dal pensiero orientale, con tutto quello che ha comportato per l’organizzazione sociale e la spiritualità delle popolazioni.

La prima “idea” di medicina così come la intendiamo attualmente la si può far risalire ad Ippocrate (IV secolo a.c.) con l’abbandono delle pratiche pressoché esclusivamente di magia come quella per cui in molti templi esistevano cunicoli in cui venivano conservati serpenti ed a queste fosse dei serpenti venivano condotti i malati affinché guarissero.

L’elaborazione razionale delle cause delle malattie ad opera di quei filosofi dedicatisi alla scienza della natura avvenne né all’improvviso né senza il superamento di pregiudizi e di opposizione da parte di chi si vedeva sottrarre prestigio e forsanche potere. Alcuni nomi di chi percorse quel lungo cammino sono ancora oggi ricordati con rispetto, Pitagora, Talete, Eraclito e, un poco meno noto, Alcmeone di Crotone.

Secondo Ippocrate così come l’universo è composto da quattro elementi acqua, aria, terra e fuoco in egual modo il microcosmo che è il nostro corpo è composto da quattro elementi, sangue che corrisponde all’aria, bile che corrisponde al fuoco, bile nera o atrabile alla terra

ed infine muco o flegma (in pratica tutte le nostre secrezioni acquose) all’acqua. Semplificando molto l’esposizione ippocratica si può dire che fino a quando i quattro elementi sono in equilibrio si è in salute, quando l’equilibrio tra di loro si rompe si verifica la malattia. La cura consiste nella rimozione dell’elemento/i in eccesso per ristabilire l’equilibrio.

L’equilibrio tra gli elementi od il prevalere di alcuni di essi spiegava anche il carattere delle persone.

Dal punto di vista pratico il comportamento terapeutico prescritto consisteva nella prudenza interventistica, nell’osservazione del malato per comprendere il tipo di squilibrio instauratosi, nella prescrizione di diete a base di alimenti che favorissero il recupero dell’equilibrio, nell’igiene personale e nella salubrità dell’aria. Ciò non bastando e dovendosi intervenire per eliminare la materia in eccesso le armi a disposizione erano capipurgio, clistere, salasso.

La prudenza di Ippocrate è ben rappresentata da uno degli aforismi a lui attribuiti e ripetuti e commentati nelle moderne università fino al 1770: “la vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione è fuggevole, l’esperien-

Medicina e Scienza za è fallace, il giudizio è difficile”.

Indubbiamente la concezione di salute e malattia in Ippocrate è di tipo olistico, a quel tempo di più facile accettazione di una concezione di tipo riduzionistico per la mancanza di conoscenze specifiche, più simile a quella attuale, come quella sviluppata a Cnido che si perse col tempo.

Nel terzo secolo avanti Cristo visse il più illustre scienziato dell’antichità, Aristotele. Egli non si occupò direttamente di medicina ma di scienza naturale e compì numerosi studi sulla classificazione degli animali e sulla fisiologia. Purtroppo teorizzò la generazione spontanea degli animali inferiori dalla decomposizione della materia.

Teoria che resistette fino al 1600 e funse da freno alla comprensione di alcune malattie.

Alla fine del terzo inizio del secondo secolo avanti Cristo fiorì la scuola medica di Alessandria, anzi le scuole mediche di Alessandria. Queste furono essenzialmente tre.

L’empirica che si basava sull’anamnesi, sull’ispezione del malato e sulla diagnosi; molto moderna ma non supportata dalle possibilità concrete dei tempi e quindi con sviluppo limitato. La dogmatica, di ispirazione ippocratica. La metodica, quella di maggior successo.

Per inciso, i due scienziati di maggior spicco, Erofilo ed Erasistrato, non appartennero ad alcuna di queste scuole.

Mentre la dottrina

ippocratica si rifaceva alla filosofia dei quattro elementi, finalistica come quella aristotelica, la dottrina metodica si rifaceva alla filosofia atomista di Democrito ed alla teoria del caso.

Tra i punti rilevanti di questa teoria vi era l’attenta osservazione del malato ed in particolare dello stato dei pori.

Chiusi recavano tensione, aperti provocavano rilassatezza; quindi, dovevano essere tenuti sempre aperti e ciò dipendeva in gran parte da come ci si lavava e dalla temperatura dell’acqua. Nel medio evo un’errata interpretazione di queste raccomandazioni portò a ritenere l’acqua colpevole di malattie e determinò in gran parte la scarsa igiene personale caratteristica di quel periodo.

Dopo la conquista della Grecia da parte di Roma qui si trasferirono molti uomini di scienza attratti dalle molto migliori possibilità economiche della capitale dell’impero.

Molti i nomi che meritano di essere ricordati: Asclepiade, Temisone, Dioscuride Pedanio (se ne ricorda un libro che fu la base della farmacologia fino al 1700), Sorano di Efeso (autore di un importante trattato di

ginecologia), Aulo Cornelio Celso (enciclopedico tramandatore di tutte le pratiche conosciute allora).

Si può, però, arrivare rapidamente al secondo e inizio del terzo secolo dopo Cristo per riverire il principe dei medici, stavolta non scienziati ma medici, Galeno.

Di famiglia facoltosa studiò ad Alessandria e poi si recò al cuore del mondo occidentale. Fece tra l’altro, almeno all’inizio, il medico dei gladiatori il che gli permise di accumulare buone nozioni di anatomia che implementò con la dissezione di animali come d’uso nella tradizione greca; tra questi soprattutto maiali, i più simili all’uomo, e scimmie.

Capi l’importanza degli organi e di molti anche la funzione; ricorrendo alle piante medicinali apprestò molti nuovi utili farmaci tra cui ricordiamo anche il laudano (tintura di oppio) come anestetico, ma anche di inutili come la triaca che per altro godette di molta stima e di un utilizzo prolungatissimo nel tempo.

Pur con qualche innovazione aderì alla teoria umorale e riconobbe particolare importanza al pus (bonum ac laudabile)

come materia da eliminare. Anche in questo caso, successive errate interpretazioni dei suoi insegnamenti portarono a considerare il pus come indispensabile per la guarigione e quindi ad evitare guarigione delle ferite per prima intenzione affinché si formasse il pus, pratiche in voga ancora nel 1400.

Fu innovatore nel campo della fisiologia per quanto riguarda la digestione degli alimenti nello stomaco, ipotizzò che in esso subissero una specie di cottura e la correlò al movimento del sangue. Infatti immaginò che gli alimenti venissero trasformati in sangue e come tale raggiungessero il fegato, per lui l’organo più importante. Il sangue qui si arricchiva dello spirito naturale , poi, in gran parte andava in periferia dove veniva consumato come alimento ed in minor parte al cuore.

Il cuore era la sede della fiamma vitale ed il sangue si arricchiva dello spirito vitale, dal cuore raggiungeva l’encefalo dove si arricchiva di un ulteriore spirito quello animale, dall’encefalo attraverso i nervi, considerati vasi, raggiungeva la periferia e dava la vita.

Il sangue non aveva un moto circolare, circolazione, ma un moto simile a quello delle maree e dato che veniva continuamente consumato doveva essere prodotto in gran quantità. Probabilmente per confutare questa teoria sarebbe bastato osservare un animale sgozzato e ciò infatti avvenne, solo, però, nel 1600 ad opera di Harvey.

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Medicina e Scienza Inoltre il sangue veniva filtrato e liberato di scorie nell’encefalo e, queste, a loro volta eliminate, attraverso la lamina cribrosa, con le lacrime.

Anche gli studi anatomici, condotti su animali, portarono ad alcune erronee convinzioni, quale quella che gli omeri fossero curvi, l’evidenza di scheletri umani con omeri non curvi veniva liquidata come ingannevole scherzo della natura.

Dopo Galeno iniziò un lunghissimo periodo di sopore della medicina occidentale che si adagiò nella continua e acritica ripetizione dei suoi insegnamenti.. Nel vicino oriente, invece, si trasferì e si diffuse la cultura, non solo medica, dell’impero d’occidente prima tra i bizantini e poi nel mondo arabo.

Qui sorsero luoghi di cura e la medicina ebbe anche un ruolo sociale.

Grande merito degli arabi fu quello di salvare e tramandare gli scritti greci antichi.

Come accadde in occidente, anche nel mondo arabo la ricerca laica doveva misurarsi con la religione; non era permessa la dissezione perché l’uscita del sangue avrebbe comportato anche l’uscita dell’anima e le teorie profane della medicina greca erano da alcuni religiosi avversate perché non sarebbe stato lecito per i credenti opporsi ad un evento voluto da Dio. Furono, anche, sul finire del VIII ed inizio del IX secolo prodotti testi e trattati di “medicina del Profeta” che rappresentavano gli usi medici ai tempi

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del Profeta e con molte raccomandazioni e rimedi di ordine spirituale.

Vi è da ricordare, però, che se per evitare la fuoriuscita di sangue, e quindi dell’anima, da un lato si proscrisse nei morti l’uso della dissezione dei cadaveri, dall’altro, nei vivi si introdusse la pratica della cauterizzazione nel caso di sanguinamenti esposti.

Nonostante il condizionamento religioso non pochi sono i grandi medici arabi come ad esempio Maimonides, Albucasis, Giuannizzius, Averroè che operarono in Andalusia, e che ci arricchirono di conoscenze anche se, purtroppo, alcune si persero e non vennero utilizzate al tempo come la descrizione della circolazione polmonare effettuata nel 1200 da Ibn-Al-Nafis e venuta casualmente alla luce nel 1924.

In occidente il sopore scientifico permise l’affermarsi di un vivace oscurantismo ed un prevalere della componente spirituale/sacerdotale nella cura dei malati. Vero è che i rimedi a disposizione non sempre garantivano cure efficaci, non essendovi stati progressi dai tempi di Galeno, ma fu per lungo tempo abbandonata la curiosità scientifica e si ripiegò su di una sudditanza del medico nei confronti del religioso che come mediatore del volere divino poteva guarire anche la carne oltre che l’anima, guarigione questa molto più importante dato che avrebbe condizionato la vita eterna. In alcuni luoghi, nel medioevo,

la sudditanza del medico fu particolarmente importante a causa di una spiritualità religiosa di matrice cristiana che permeava il pensiero popolare e addirittura il medico poteva essere impedito di prestare cure a chi avesse già ricevuto l’estrema unzione.

Grande, ovviamente, il ricorso alle reliquie dei santi per ottenere guarigioni. Organi e malattie avevano i loro santi di riferimento: Santa Lucia per gli occhi, Santa Apollonia per i denti, San Biagio per la gola, San Fiacre per le emorroidi, San Antonio per la lebbra, San Rocco per la peste, Sant’Anna vigilava sul parto e Sant’Agata sulle mammelle.

L’inerzia, tuttavia, non è mai stata completa ed intorno all’anno mille venne fondata a Salerno una Scuola Medica, si dice da un greco, un latino, un arabo ed un ebreo. La base culturale era rappresentata dai manoscritti greci ed arabi e la medicina era di ispirazione ippocratica.

Grande rilievo avevano le prescrizioni di tipo igienico con invito alla moderazione nelle varie attività e svaghi umani, quelle relative alla dieta in rapporto agli umori ed al temperamento e quelle relative all’ispezione del malato e delle urine.

Da notare che la scuola era aperta a tutti senza limitazioni di religione o sesso.

Vale la pena di ricordare quali erano le caratteristiche dell’istruzione superiore. Fino alla metà dell’XI secolo erano

essenzialmente le abbazie a fornire la gran parte dell’istruzione superiore, anche se, in generale, la speculazione scientifica e l’iniziativa individuale non erano tra le attività più confacenti agli ideali di benedettini ed agostiniani. Con la riforma degli ordini monastici si giunse a chiudere le scholae externae, per gli studenti che non intendessero abbracciare la vita monastica, e limitare alle sole materie religiose l’insegnamento delle scholae internae.

La regola canonicorum dell’816 rese obbligatoria per ogni capitolo cattedrale l’apertura di scuole per i giovani che volessero dedicarsi alla vita religiosa, e presso queste scuole vi fu una fioritura scientifica soprattutto nei secoli XI e XII, successivamente con lo sviluppo ed il prevalere delle scuole universitarie le scuole capitolari si riposizionarono su di un insegnamento pre-universitario.

Le università iniziarono a costituirsi all’inizio del secondo millennio. Bologna, 1088, Parigi, 1180, Padova, 1222, e poi via Oxford, Cambridge, Tolosa, Salamanca, Lisbona, Coimbra e molte altre.

Esse avevano all’inizio una forte caratterizzazione religiosa; in ogni università la facoltà più importante era quella di teologia, alcune, addirittura, furono volute da papi per combattere l’eresia (Tolosa contro i catari) o per favorire la cacciata dei musulmani (quelle della penisola Iberica). È in ogni caso evidente il controllo della Chiesa sull’istruzione che

Medicina e Scienza

doveva essere finalizzata alla sua prevalenza nella società. L’università, però, creò una nuova professione, quella del docente universitario.

Persone che formavano le nuove classi dirigenti, che leggevano, scrivevano dando origine ad una nuova conoscenza caratterizzata dall’essere transnazionale così come lo erano le università i cui studenti provenivano da tutta Europa e compivano i loro studi spesso in differenti luoghi ed i cui professori si spostavano nel loro insegnamento da un’università all’altra.

Si formò, così, una cultura, riservata alle elites, diffusa e simile su tutto l’ambito europeo. Le Goff disse che nelle università nacquero i “madrini cristiani”.

Ricordiamoci, anche, che la lingua dei colti era ovunque una sola, il latino.

Le università erano strutturate in quattro facoltà: teologia, come detto, la più importante, diritto, medicina ed arti.

L’insegnamento era orale e si basava sulla lettura dei testi delle “autorità”

e sulla loro discussione.

Per quanto riguarda la facoltà di medicina i testi erano essenzialmente quelli di Ippocrate, Galeno, Avicenna e Averroè; nelle università italiane si ricorreva anche al testo di medicina della Scuola di Salerno, l’”Articella”.

Meno rilevante rispetto a quella che oggi chiameremmo lezione frontale era la parte di pratica clinica e solo intorno al mille e trecento venne introdotta nelle università la pratica delle dissezioni cadaveriche.

Nel 1347 arrivò, passando per Messina, la peste in Europa. Ovviamente fu affrontata ricorrendo alle teorie sull’origine, diffusione e trattamento delle malattie proprie della medicina di Ippocrate e Galeno (teoria miasmatica); però mi pare valga la pena di ricordare due conseguenze derivate dall’affrontare questo flagello. La prima è rappresentata dal contrastare per la prima volta una malattia attribuendole un interesse pubblico e, quindi, individuando interventi che riguardavano la collettività. Esempio ne è l’istituzione a

Venezia di due lazzaretti, il vecchio ed il nuovo, su due isole in cui venivano obbligati, con la forza, a soggiornare, per quaranta giorni, coloro che arrivavano via mare. Questa è l’origine della “quarantena”; il termine di quaranta giorni fu scelto su basi non rigorosamente scientifiche pensando che dovessero bastare dato che quaranta giorni era la durata certificata di: diluvio universale, permanenza di Mosè sul monte Sinai prima di ricevere i 10 comandamenti, giorni della tentazione di Cristo nel deserto, giorni che Cristo passò con i discepoli dopo la resurrezione, quaresima.

Non erano strettamente corrette le teorie sulla malattia ma la prescrizione si dimostrò valida e fu imitata successivamente in altre città che ricorsero anche ai cordoni sanitari.

Questi erano impedimenti fisici all’accesso o alla fuoriuscita, a seconda delle circostanze, dalle città di persone sospette di recare il morbo. Il più impressionante di tutti i cordoni sanitari fu quello attuato dall’Impero Asburgico, lungo tutta la frontiera con l’Impero Ottomano, ininterrottamente dal 1710 al 1871.

La seconda conseguenza, forse meno appariscente ma di notevole importanza per le sue conseguenze, fu la contrapposizione tra clero ed autorità mediche che si sviluppò all’università di Parigi. La malattia, infatti, non si poteva debellare né con le medicine né con le preghiere ma l’Università di Parigi nel 1348 pubblicò un “Compendium de

Epidemia” in cui, anche se senza innovazioni scientifiche, dichiarò l’indipendenza della medicina dalla religione.

Nel frattempo si sviluppava la rivoluzione nel pensiero europeo determinata dall’umanesimo e questo portò la Chiesa ad una visione meno oppressiva nei confronti della scienza in generale e della medicina in particolare anche grazie ad una serie di papi che si alternarono sul trono di San Pietro tra il 1447 ed il 1555; questi, infatti, favorirono lo sviluppo della medicina, alcuni anche per necessità personali dovute al bisogno di medici per porre rimedio ai malanni provocati da vite non propriamente sante.

Dopo questo periodo però subentrarono papi più dedicati alla teologia per contrastare il dilagare della Riforma. Riforma che, invece, negando il ruolo dei religiosi come intermediari unici tra Dio e gli uomini e nel caso della malattia, quindi, come propiziatori di guarigione e vedendo, inoltre, nei medici un aiuto al contrasto delle credenze sui santi guaritori favorì l’indipendenza dei medici. Ovviamente la Controriforma con il concilio di Trento ribadì l’assoluta superiorità del sacerdozio su tutte le altre attività umane.

Nel nostro rapido racconto del percorso della medicina verso la scienza, almeno come

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Medicina e Scienza oggi la intendiamo, siamo arrivati al 1500 quando ancora impera il rispetto, anzi la sudditanza, nei confronti delle antiche autorità, sono passati quasi 1200 anni e Galeno non può ancora essere messo in discussione.

Cominciano, però, a farsi strada personaggi innovatori. Primo da ricordare è Paracelso (1493-1541), medico ed alchimista svizzero, che respinse l’autorità degli antichi testi e si rivolse soprattutto ai barbierichirurghi. Questa era ancora allora una categoria composta prevalentemente da illetterati, non conoscevano il latino, che non potevano accedere all’insegnamento universitario, non diventavano medici ma erano praticanti che spesso apprendevano il mestiere dai loro padri.

La loro posizione inferiore era ben rappresentata anche nell’iconografia, nelle illustrazioni si vede, infatti, quando insieme, il medico vestito con lunga tunica e scarpe intento nel leggere un testo antico ed il chirurgo con una corta veste che lascia scoperte le gambe

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a fungere da inserviente.

Paracelso contestava ai medici i metodi puramente materialistici e riteneva si dovesse includere tra le cause delle malattie oltre a quelle “immediate” presenti nel microcosmo del corpo e nelle sue interazioni con la natura anche le cause “prime” situate negli ambiti divino e spirituale del macrocosmo. Da questo punto di vista non sembrerebbe particolarmente moderno ma contrasto la teoria ippocraticogalenica introducendo nella pratica terapeutica distillati chimici al posto del salasso e delle erbe medicinali.

La teoria da lui elaborata individuava i componenti del corpo in tre elementi infusi di spiritualità e che le malattie derivassero non da uno squilibrio tra i componenti del corpo ma da un attacco esterno che andava affrontato con sostanze minerali la cui distillazione ne evidenziava le caratteristiche spirituali. Insegnava, inoltre, che “similia similibus curantur” in contrasto con la teoria galenica degli opposti.

Le sue teorie ed inse-

gnamenti ebbero vasta diffusione e dell’importanza attribuita alla sua critica medico religiosa vi è rilevante testimonianza nella commedia “Tutto è bene quel che finisce bene” di Shakespeare.

In quest’opera la teoria paracelsiana permette di guarire il re di Francia condannato a morte dalla malattia (una fistola) secondo i suoi illustri medici tradizionalisti ma salvato dalla figlia di un medico paracelsiano con i suoi rimedi a cui il Re accorda, infine, anche di sovvertire le gerarchie sociali concedendole di sposare un nobile.

Anche nella medicina accademica germogliava, però, in quel periodo un approccio basato sull’osservazione diretta e sul rifiuto dell’accettazione acritica delle teorie di Galeno. Fondamentale è l’opera di Andrea Vesalio (1514-1564), fiammingo, professore a Padova, che pubblicò nel 1534 il trattato di anatomia “De humanis corporis fabrica”. Egli pur senza contrastare apertamente Galeno ne corresse il lavoro in più di duecento punti. La sua azione fu continuata da una serie di allievi anatomisti come il Falloppio ed il Fabrizio che determinarono una rottura radicale con gli insegnamenti della tradizione e con le antiche autorità sempre senza un ‘aperta contestazione.

La resistenza all’innovazione è tuttavia sempre stata aspra e lo fu anche nei periodi successivi tanto che nel 1628 quando William Harvey pubblicò il “De Motu Cordis (Exercitatio anatomica de

motu cordis et sanguinis in animalibus)” con cui dimostrava errate le teorie galeniche sul moto e sull’origine del sangue all’interno del corpo umano le autorità mediche inglesi respinsero la sua teoria e così accadde in Francia, Italia e Spagna, solo in Olanda questa teoria venne accettata.

L’opposizione era essenzialmente dovuta alla metodologia utilizzata; basarsi su osservazione, misurazione matematica e sperimentazione equivaleva ad un ribaltamento dell’epistemologia medica e ad un sovvertimento delle regole della professione.

La discussione su questa teoria travalicò, tuttavia, l’ambito medico ed accademico fino a divenire oggetto di interesse anche nelle riunioni salottiere ed esemplare è la pubblicazione nel 1674 da parte di Nicolas Boileau di “Sentenza burlesca, emanata dalla Gran Camera del Parnaso, a favore dei Maestri delle Arti, medici e professori dell’Università di Stagira, nel Paese delle Chimere: per il mantenimento della dottrina di Aristotele”. Un titolo satirico eloquente manifestazione di insofferenza nei confronti della difesa a tutti i costi di un’ortodossia sempre meno giustificabile che, in realtà, era la difesa del prestigio e del “potere” delle autorità mediche.

Ma nessuna branca della scienza può progredire da sola o per solo merito dei suoi maestri.

Con minimo anticipo su Vesalio, Copernico pubblicò il risultato delle sue ricerche; nel 1600

Medicina e Scienza Galileo Galilei (15631642) inventò il microscopio ed il termoscopio, nel 1617 Biancani il termometro; più tardi Lavoisier, Priestley, Berzelius realizzarono una rivoluzione chimica che dimostrò superata l’intuizione di Aristotele dei quattro elementi (terra, acqua, aria fuoco) quali costituenti della natura.

Nel 1789 Lavoisier aveva dimostrato l’esistenza di 33 elementi, base della futura tavola degli elementi.

Per quanto riguarda l’invenzione del microscopio alcuni ritengono che questo, od almeno il suo precursore, sia stato inventato da Antonie van Leeuwenohek. Egli era un commerciante di tessuti con una passata esperienza nella lavorazione delle lenti ed avrebbe messo a punto questo strumento per valutare la qualità dei fili delle stoffe. Nelle sue osservazioni individuò anche la presenza di microorganismi e ne riferì costantemente alla Royal Society, che però non prestò particolari attenzioni alle comunicazioni provenienti da un soggetto non appartenente alla comunità dei dotti.

Leeuwenohek è però posteriore a Galileo dato che se ne conosce la data di morte: 1723, inoltre lo strumento di Galileo è ricordato anche in scritti di suoi allievi.

Il progresso delle idee si realizza anche quando si devono affrontare delle grandi avversità ed in ambito medico nulla poteva essere più devastante delle epidemie.

Queste contribuirono grandemente alla detronizzazione della teoria umorale che spiegava l’insorgere della malattia con uno squilibrio degli umori nel corpo.

Se questo poteva essere funzionale alla malattia del singolo non era applicabile nel caso delle epidemie che si susseguirono (peste, vaiolo, colera) quando la malattia si manifestava in moltissimi individui contemporaneamente; come mai così tanti squilibri umorali simultaneamente in così tanti corpi? Forse bisognava cercare un fattore esterno al malato.

Alla fine del 1700 i tempi sono maturi per un radicale cambiamento concettuale e metodologico nello studio delle malattie. Questo mutamento si realizzò alla Scuola di Medicina di Parigi, che resterà fino alla metà del 1800 il punto di riferimento per ogni studioso in medicina, e si attuò in gran parte negli ospedali parigini, in particolare Hotel-Dieu, Charitè, Pitiè, e fu possibile grazie

anche a quel fermento di idee che in quel periodo investì la Francia promuovendo abilità e merito a discapito di privilegio, nascita e clientelismo e che in campo medico si tradusse in progresso, riforme, osservazione e precisione. Dal punto di vista amministrativo avvenne un altro cambiamento importante perché influì anche sull’idea di assistenza ai malati vale a dire la definitiva espulsione della Chiesa dal controllo degli ospedali che passarono sotto quello dello Stato.

I malati venivano selezionati in base ai lori sintomi ed in base a questi ricoverati in specifici reparti.

Un’innovazione che deriva dalla concezione che le malattie sono entità distinte con origini differenti il che comportò il definitivo affossamento della teoria umorale alla base della medicina ippocratico-galenica. In questi ospedali fondamentale era l’esame fisico del corpo con lo sviluppo della semeiotica (nel 1816 Laennec inventò lo

stetoscopio monoaurale) associando la valutazione dei sintomi e dei reperti semeiotici con quella delle lesioni evidenziate, in caso di morte, all’autopsia.

Il gran numero di pazienti permise a Laennec e colleghi di giungere alla convinzione che ogni malattia fosse distinta ed immutabile e che potesse essere classificata con principi analoghi a quelli utilizzati in botanica da Linneo.

Purtroppo ai progressi diagnostici non si associarono altrettanti progressi in ambito terapeutico e quindi la pratica derivò più verso un lato scientifico che assistenziale nei confronti dei moltissimi malati che ricorrevano agli ospedali; si valuta che Laennec valutasse circa 5000 pazienti ogni anno e molti di questi anche al tavolo autoptico.

Questo tipo di medicina venne chiamata “medicina ospedaliera” in contrapposizione con quella di Ippocrate “medicina del capezzale” e quella di Galeno “bibliomedicina”. Il motto della Scuola di Pari-

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Medicina e Scienza gi era “peu lire, beaucoup voir” e divenne il centro di insegnamento e di apprendimento più ricercato da studenti e studiosi di tutto il mondo che ritornando nei loro paesi ne diffusero non solo la fama ma soprattutto il metodo e la cultura.

Verso la metà del 1800 la Scuola di Parigi perse però di attrattiva perché, come detto, al grande sviluppo diagnostico non si associò un miglioramento terapeutico ingenerando in alcuni frustrazione e soprattutto perché trascurò, al contrario di altri centri, le possibilità di ricerca offerte dalla microscopia che invece aprì una nuova via nello studio delle malattie.

In questo periodo la questione sanitaria venne affrontata non solo sul piano clinico ma anche come problema di sanità pubblica grazie all’aumentato interesse per la raccolta dei dati dei pazienti che permise di confrontare le malattie anche con le appartenenze sociali ed i luoghi di provenienza. Villermè (1782-1863) misurò i tassi di mortalità in dodici distretti di Parigi evidenziandone una correlazione con la densità abitativa ed il reddito e dimostrando il rapporto tra mortalità e salubrità abitativa insistendo sulla necessità di eliminare anche nei luoghi pubblici la sporcizia che ammorbava l’aria di Parigi.

Anche in Gran Bretagna venne sviluppato questo indirizzo anche se l’approccio non fu all’inizio sanitario ma economicistico e mirato all’intro-

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duzione di una legge per ridurre la povertà considerata un costo inutile per la società. I lavori preparatori della legge evidenziarono e resero cosciente il suo ispiratore, Edwin Chadwick che aveva studiato le opere di Villermè, del legame tra povertà e malattia convincendolo che fosse la malattia a causare la povertà e non la povertà le malattie. In questo fu supportato da Thomas Southwood Smith, medico presso il Fever Hospital del East End che aveva esperienza delle tremende condizioni di vita degli operai tessili della zona.

Tralasciando tutte le motivazioni ed implicazioni politiche e religiose dell’attività di Chadwik e di Southwood dal punto di vista sanitario questa si concretizzò nell’approvazione nel 1848 del Public Health Act che

impose la realizzazione di un importante risanamento urbano con la creazione di reti idriche per una capillare distribuzione dell’acqua alle abitazioni e di associati sistemi fognari di smaltimento dei liquami, con risistemazione delle reti stradali cittadine tramite lastricazione per impedire l’infiltrazione di acque luride nel sottosuolo e prescrizione di raccolta dei rifiuti abbandonati e lavaggio delle strade.

Veniva anche, con questa legge, sollecitata l’imbiancatura a calce delle case, la pavimentazione dei piani terreni, l’impermeabilizzazione all’aria delle pareti ed anche la diffusione tra la popolazione di nuovi concetti di pulizia personale e domestica. Il limite di questa impostazione fu il non riconoscere la correlazione tra malattie e condizioni di sfrutta-

mento lavorativo tipiche di quel tempo.

Per ritornare alla clinica ed alla critica alla Scuola di Parigi si deve rilevare che questa fu iniziata proprio da un francese, Claude Bernard che nel 1865 nella sua opera “Introduzione alla studio della Medicina sperimentale” affermò che le malattie erano non solo specifiche ma anche dinamiche, cioè evolvevano e che l’ospedale come punto di osservazione era ingannevole perché i malati che vi ricorrevano erano in una fase molto avanzata se non terminale. Da questa considerazione egli derivò che il luogo ideale per osservare e studiare le malattie era il laboratorio.

Spostando l’attenzione dagli ospedali ai laboratori emerse come patria dei più interessanti centri di ricerca la Germania, che si era prodigata a dotarli

Medicina e Scienza di laboratori all’avanguardia e dove si era sviluppata nel frattempo la figura del medico scienziato a tempo pieno.

Non fu però Claude Bernard il primo ad ipotizzare un origine non miasmatica delle malattie ma l’esistenza di “semi guasti” o di organismi non individuabili fu sostenuta in particolare da Pierre-Fidele Bretonneau, Ignaz Philipp Semmelweiss, John Snow, Jacob Henle. Anche se lottare contro la tradizione fu, probabilmente, per tutti difficoltoso il meno fortunato fu senza dubbio Semmelweiss che nonostante la dimostrazione dell’importanza dell’asepsi, non potendo provare l’esistenza di microorganismi, non vide le sue teorie accettate dalla comunità medica di Vienna e, tacciato di ciarlataneria, dovette tornare ad esercitare a Budapest ove morì in seguito alle percosse degli inservienti di un manicomio in cui era stato ricoverato per esaurimento.

Dopo Claude Bernard si avviò dirompente il periodo della teoria dei germi come cause di malattie. Basti citare Louis Pasteur, Robert Koch e Joseph Lister.

A Questi aggiungerei anche Rudolph Virchow che merita di essere ricordato, oltre che per i suoi studi sulla tubercolosi, anche per il ruolo sociale che attribuiva alla medicina ed al riconoscimento dell’influenza sulla salute non solo degli agenti patogeni ma pure di altri fattori sociali quali l’alimentazione, la retribuzione, le condizio-

ni lavorative. Si può dire che completò le considerazioni e le azioni promosse da Public Health Act di Chadwick.

A questo punto della storia la medicina ha completato il suo percorso di affrancamento dalla magia, superstizione e credenze religiose ed è entrata nel periodo della scienza moderna, o perlomeno attuale, e riporterei una frase pronunciata da Pasteur, probabilmente non solo in questa occasione ma anche molte altre volte, all’Università di Lilla nel 1854 a scienziati colà riuniti: “Dove è coinvolta l’osservazione, la sorte favorisce solo le menti preparate”.

Oggi lo sviluppo scientifico, la ricerca, si attua con tecniche molto differenti, con gruppi molto più multidisciplinari, con la possibilità e capacità di raccogliere ed analizzare quantità di dati immense, con investimenti che solo poche istituzioni possono garantire ed il medico non ne è più l’Autorità, ma la strada è quella tracciata nel tempo.

Da sempre l’evoluzione della medicina è stata condizionata ed intrecciata con quella di tutte le altre branche del sapere umano e quelle teorie che oggi possono sembrare strane ed anche infantili lo sono perché non si avevano strumenti per proporne di migliori e quando li si hanno avuti sono state confutate e sostituite con altre teorie più vicine al vero e questo processo non è arrivato alla fine ma continua e continuerà.

Non avessimo la memo-

ria e la sua trasmissione attraverso il linguaggio e la scrittura pochissimi di noi riuscirebbe ad elevarsi a livello di quei filosofi che sono alla base della nostra “civiltà” e lì si fermerebbero.

Per tornare alla cronaca corrente ritengo che si sia mancato di rispetto nei confronti della scienza in generale e di quella medica in particolare che è stata da alcuni utilizzata trattando ipotesi come fossero verità acclarate, per giustificare decisioni che comunque non potevano essere diverse, anche ricorrendo a “scienziati” “volitivi” che non manifestavano dubbi.

Purtroppo questo può aver alimentato l’indecisione di chi, pur non essendo contrario in linea di principio ai vaccini, sentendo pareri a volte contrastanti si alla fine deciso per una condotta attendista, a mio parere non corretta.

Non ritengo, invece, che abbia grandemente influito su quel gruppo di persone, alcune delle quali senza dubbio anche con capacità intellettive adeguate, contrastano una pratica come quella vaccinale propalando informazioni spesso fantasiose per occultare l’assenza di conoscenza. È vero, come alcuni sostengono, che i responsabili della Sanità Pubblica talora si comportano come quei generali che conoscono solo un tipo di guerra e combattano in quella maniera qualunque siano le circostanze ma in occasione dell’epidemia attuale oltre alle armi antiche, per inten-

derci quelle alla “veneziana” contro la peste, sono state dispiegate capacità, conoscenze e tecnologie che hanno portato in un tempo incredibilmente breve ad avere la possibilità di contrastarla. È vero che deve essere rispettato il libero arbitrio, si può decidere di non vaccinarsi e di non assumere alcuna precauzione, ma non è giusto rispettare la mancanza di conoscenza, l’addurre a motivo di tale decisione affermazioni non dimostrabili fantasiose ed irrazionali. Io aggiungerei all’elenco di Virchow dei fattori favorenti le patologie anche la mancanza di istruzione, che non è l’equivalente di mancanza di titolo di studio.

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Le Infiltrazioni con guida ecografica per le patologie muscolo-scheletriche

Le Infiltrazioni con guida ecografica per le patologie muscolo-scheletriche A cura del dott. Marco Gastaldo, specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa

N

ella diagnosi e cura delle patologie in ambito muscolo – scheletrico l’ecografia è ormai uno strumento consolidato e di alto valore, un vero e proprio “stetoscopio aggiunto” per il medico.

L’ecografia è un esame facilmente accessibile e privo di radiazioni ionizzanti che permette di studiare nel dettaglio e di monitorare nel tempo muscoli, tendini e alcune caratteristiche delle principali articolazioni del corpo. In questi distretti, oltre all’esecuzione di esami diagnostici, l’ecografo permette al medico di guidare con precisione le procedure terapeutiche interventistiche, iniezioni di sostanze (farmaci o preparati biologici) mirate alle strutture interessate da patologia.

Le infiltrazioni con guida ecografica (infiltrazioni ecoguidate) sono procedure mini-invasive, mirate alle articolazioni, alle strutture peri-articolari e ai muscoli, indicate in particolare nelle patologie traumatiche, infiammatorie e degenerative (es. artrosi, tendinopatie, borsiti, lesioni tendinee).

Le infiltrazioni ecoguidate devono essere precedute da un accurato inquadramento clinico e diagnostico e possono essere pianificate solo dopo prescrizione medica.

Esse rappresentano

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infatti una tappa importante del processo di cura e sono inserite in un più ampio progetto riabilitativo gestito dal medico Fisiatra, in sinergia con gli altri medici specialisti, e mirato al raggiungimento del massimo recupero funzionale per il paziente attraverso l’esercizio e il movimento.

La terapia infiltrativa ecoguidata si svolge in un ambulatorio dedicato, con ecografo, lettino e materiali per la disinfezione e la corretta conduzione della procedura dall’inizio al termine.

mano e del piede.

Le infiltrazioni con acido ialuronico sono mirate all’interno delle articolazioni e sono finalizzate soprattutto alla riduzione del dolore e al miglioramento della mobilità articolare. Alcune condizioni nelle quali trova impiego l’acido ialuronico sono l’artrosi dell’anca e l’artrosi del ginocchio.

Nello specifico, l’anca è un’articolazione profonda che necessita della guida ecografica per condurre l’ago in sicurezza nel suo tragitto verso la capsula articolare, dove verrà iniettato l’acido ialuronico.

Le infiltrazioni con cortisone, farmaco utilizzato in modo mirato e in dosi limitate, hanno scopo antinfiammatorio e antidolorifico (talvolta si associa un anestetico locale).

Attraverso la guida ecografica possono raggiungere anche strutture di dimensione molto ridotta (pochi millimetri), come ad esempio le borse sierose della spalla, le guaine dei tendini del polso o le piccole articolazioni della

Le infiltrazioni ecoguidate con plasma ricco di piastrine (o PRP) vengono utilizzate nel campo della medicina rigenerativa ortopedica e riabilitativa . A partire da un semplice prelievo di sangue permettono l’azione terapeutica di un preparato centrifugato ricco di piastrine (circa 5 mL) iniettato nel sito patologico. Sono indicate principalmente per patologie articolari degenerative

(es. artrosi di anca, ginocchio, caviglia), tendinopatie e lesioni tendinee (es. tendinopatia del tendine d’Achille, tendinopatia rotulea, fascite plantare, tendinopatia della cuffia dei rotatori, epicondilite). Queste procedure, associate alle corrette terapie riabilitative “attive”, basate sull’esercizio, possono ridurre nettamente l’infiammazione e promuovere i processi di riparazione dei tessuti nelle settimane successive all’iniezione.

In definitiva, come confermato con solidità dalla letteratura scientifica degli ultimi anni, la guida ecografica per le procedure interventistiche permette di massimizzarne l’efficacia, aumentando la tolleranza del paziente e riducendo rischio di complicanze e tempi di recupero. In genere il paziente non necessita di accompagnamento e dopo la procedura può rientrare al domicilio in autonomia, osservando un paio di giorni di relativo riposo del distretto trattato.

La Cura del dolore attraverso la neurostimolazione

La Cura del dolore attraverso la neurostimolazione

A cura del dott. Rodolfo Bucci, specialista in Anestesiologia e Rianimazione, terapia e cura del dolore

N

essuna definizione del dolore è mai riuscita ad essere completa e soddisfacente. Aristotele la definì un’emozione opposta al piacere, la IASP (International Association of Study on Pain) la definisce come una esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad un danno tissutale potenziale o in atto o descritta nei termini di tale danno.

Il dolore, ad ogni modo, è un fenomeno che riconosce una causa fisica e psichica. Questo semplice fatto può innescare una catena di eventi che si fanno via via più complessi fino a generare, in modo neurobiologico, in parte ancora sconosciuto, la percezione del dolore.

Questa coscienza percettiva non è un oggetto, ma rappresenta bensì un processo. Un processo di comunicazione fra immense aree del nostro cervello, che oggi sappiamo essere emotive e cognitive, composto da almeno cento miliardi di neuroni, collegati fra loro da un milione di miliardi di sinapsi. È proprio da questo gigantesco processo di comunicazione che si genera il dolore.

La neurostimolazione o neuromodulazione ,codificata a livello interna-

zionale come spinal cord stimulation (SCS) è una procedura attraverso la quale si cerca di annullare o di ridurre a livelli quantomeno sopportabili il dolore cronico di tipo neuropatico, cioè quello derivato da criticità che interessano le strutture nervose.

Spesso si tratta di un dolore ingravescente, atroce, che coinvolge nel tempo non solo il fisico ma anche la psiche, alterando in modo drammatico la qualità di vita.

Solitamente si giunge alla neurostimolazione quando tutti gli espedienti farmacologici e di terapie fisiche utilizzati per mesi, hanno fallito o non hanno permesso di ottenere un risultato soddisfacente. Si parla, quindi, di dolori intrattabili, cioè non altrimenti risolvibili.

La continua ricerca scientifica ,ha invero permesso di sviluppare negli ultimi tempi, diverse metodiche di neurostimolazione, sia dal punto di vista della” ratio “che dal punto di vista prettamente tecnico.

Oltre alla classica neurostimolazione degli assoni dei cordoni posteriori (la cosiddetta neurostimolazione midollare) abbiamo la possibilità di agire anche attraverso la stimolazione dei gangli delle radici dorsali, quando ad esempio,

si rende necessario un controllo maggiormente selettivo nella zona da trattare, oppure in quei pazienti che non hanno ottenuto beneficio dalla neurostimolazione convenzionale. Altra opzione terapeutica è rappresentata dalla neurostimolazione sottocutanea o perinervosa, tecnica ideata e messa a punto dal dr. Barolat, torinese di nascita, direttore del Neuroscienze Institute di Denver in Colorado ,centro di riferimento mondiale per le patologie di carattere neuropatico e di cui mi onoro di essere un suo responsabile per l’area Europea.

Le recenti metodiche di stimolazione ,quindi, che siano ad alta densità (HDS),oppure ad alta frequenza “HF” come anche quelle dette in “Burst” ci consentono di adattare ,secondo necessità, la procedura più idonea per il paziente.

La tecnica, in estrema sintesi, consiste nel posizionare per via percutanea uno o più elettrodi, là dove si palesa la necessità di controllare un dolore cronico legato ad una sofferenza di una struttura nervosa. Il funzionamento è gestito da un piccolo generatore di impulsi che può agire anche in modalità wireless. La funzionalità

di questi due elementi permette di sostituire la percezione di un segnale doloroso in uno stimolo assolutamente innocuo. Il ventaglio di applicazioni di questa metodologia è davvero ampio.

Dolori cronici della colonna post-chirurgici e da stenosi del canale vertebrale, disturbi agli arti, sia superiori che inferiori, cefalea criogenica, esiti di zooster, dolore pelvico, sindromi complesse di dolore regionale, nevralgia trigeminale, sindrome dell’arto fantasma, disfunzioni vescicali e urinarie, coccigodinia e dolori sacrali, dolori delle grandi articolazioni, neuropatia diabetica e dolore da lesione di plesso nervoso sono solo alcuni esempi.

A livello cerebrale trova altresì applicazione nel trattamento dell’epilessia e nel morbo di Parkinson.

Lo studio e la ricerca nel campo della neuro stimolazione ,oggigiorno molto sviluppata a livello internazionale ,fanno prevedere, nel prossimo futuro, applicazioni anche per problemi di obesità, depressione, difficoltà visive e aiuto a pazienti con paralisi agli arti.

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