Umbria in fermento

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Luana Meola e Luca Maestrini alla Fabbrica della Birra Perugia

UMBRIA IN FERMENTO Viaggio nel boom della birra artigianale, tra nuove realtà e aziende leader del settore

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di

NICOLÒ CANONICO

@nikcanonico

CHIARA SIVORI

@aravi25

n boccale di birra è un pasto da re» scriveva William Shakespeare nella tragicommedia “Il racconto d’inverno”. La prima bevanda alcolica della storia dell’uomo sta vivendo una seconda giovinezza. Gli appassionati che provano a produrla artigianalmente si sono moltiplicati: se nel 1995 erano solo pochi pionieri, a partire dal 2007 si è avuta un’impennata nell’apertura di piccoli birrifici, favorita dalla moda dei prodotti alimentari a chilometri zero. Il boom è arrivato nel 2014, quando in un solo anno ci sono state più di cento aperture. Un fenomeno che ha riguardato tutta Italia, compresa l’ Umbria, che ha visto nascere birrifici artigianali di grande successo. Nel 2013 è ricominciata l’attività della Fabbrica della Birra Perugia: un’azienda storica, nata nel 1875 e chiusa nel 1927, quando la Peroni l’ha rilevata dalla famiglia Sanvico e ha smantellato lo stabilimento di via Bartolo, a ridosso del duomo. Il marchio della Birra Perugia, in disuso da decenni, è stato Quattrocolonne

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rilevato da due giovani imprenditori, Antonio Boco e Matteo Natalini. A loro si è unita Luana Meola, salernitana e maestra birraia: «Siamo partiti da zero, per pura passione. Avevo intrapreso una strada completamente diversa: pensate che sono laureata in statistica...». Eppure, dopo la qualifica da sommelier, Luana decide di avvicinarsi a questa nuova realtà: «Ho frequentato il Master in Tecnologie birrarie dell’Università di Perugia, sono venuta in Umbria appositamente per questo». Il corso si tiene al Cerb (Centro di eccellenza per la ricerca sulla birra) di Casalina, frazione nel comune di Deruta, un unico nel suo genere in Italia. L’avventura ha portato subito i suoi frutti: nel 2016 la Birra Perugia è stata nominata “Miglior birra dell’anno” a Beer Attraction, la fiera più prestigiosa in Italia, organizzata da Unionbirrai, l’associazione che rappresenta la categoria. È un movimento in crescita: in Umbria i birrifici artigianali sono decuplicati in un decennio. A dirlo è Davide Bertinotti, che dal 2007 gestisce


Varie tipologie di malto, uno degli ingredienti fondamentali per la produzione della birra

Micorbirrifici.org, un sito che raccoglie informazioni e dati sul mondo della birra artigianale in Italia. Davide è un appassionato di malti e luppoli da sempre: ha iniziato negli anni ‘90 come homebrewer (produceva la birra in casa, come hobby), poi è stato per anni nell’associazione Unionbirrai. «Nel 2007 – dice – c’erano solo quattro realtà di questo genere in Umbria, mentre ora siamo arrivati a una quarantina di aziende». A suo parere, nonostante il boom di aperture degli ultimi anni, il mercato non è ancora saturo, e ci sono ancora margini di crescita. In Italia l’interesse per la craft beer sta aumentando: sono circa 400mila gli ettolitri prodotti nel nostro paese, il 3,5% di tutta la birra made in Italy, ma le stime dicono che entro quattro anni si potrebbe arrivare al 6%. Vista l’offerta sempre più ampia di birre di ogni colore, gusto, provenienza, distinguere quelle artigianali dalle industriali può essere un problema. Per questo nel 2016 è stato approvato un disegno di legge che descrive le caratteristiche che un birrificio deve avere per potersi definire “artigianale”: deve essere indipendente dal controllo delle industrie birrarie più grandi, produrre al massimo 200mila ettolitri all’anno e avere

degli impianti propri. Inoltre, la birra non deve essere sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Questo l’identikit della birra; ma qual è il ritratto del mastro birraio italiano? «Negli anni ‘90 era un hobby per pochi appassionati – spiega Davide Bertinotti – poi sono arrivati diversi imprenditori provenienti da altri settori, come l’olio e il vino, che si sono lanciati nella produzione di birra. Negli ultimi anni c’è maggiore consapevolezza, sia dal punto di vista tecnico sia per la distribuzione e la vendita. Se un tempo ci si poteva improvvisare con piccole quantità, adesso la tendenza è iniziare come “beer firm”, cioè ci si appoggia all’impianto produttivo di un’altra azienda e si comincia a costruire una rete distributiva. Poi quando l’attività è ben avviata si inizia a produrre in proprio». Questa trasformazione è ben evidente nel caso di Marco Ottavio e Alessandro Di Stefano, fratelli che hanno fondato il Birrificio Amerino. Fino a tre anni fa producevano la birra a casa, poi la decisione di fare della propria passione un’attività a tempo pieno: «Nel 2015 abbiamo creato le prime birre utilizzando le nostre ricette Quattrocolonne

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e facendole produrre da un altro birrificio. Da luglio 2017, invece, ci siamo messi in proprio e abbiamo aperto un laboratorio tutto nostro». I costi per avviare un’attività di questo tipo vanno da 150 a 200mila euro: «Abbiamo usato i nostri risparmi per comprare i macchinari. Fin da subito abbiamo calcolato costi e benefici, contiamo di rientrare presto delle spese». Spesso il luppolo e il malto, ingredienti fondamentali della birra, vengono comprati all’estero, soprattutto in America, in Germania e nel Regno Unito. Il clima italiano non è molto adatto alla crescita del malto e la coltivazione dei luppoli adatti alla produzione di birra è ancora poco diffusa. Preparare grandi quantità di birra con elementi totalmente italiani, o addirittura a chilometro zero, è quasi impossibile. Marco Ottavio e Alessandro ci hanno provato, e dal grano antico coltivato a Narni hanno ottenuto una birra blanche. La sperimentazione di nuovi ingredienti e la ricerca continua di ispirazione sono delle costanti nel mondo della birra artigianale in Italia. Anche se nel nostro paese la cultura della birra non è diffusa come in Germania, Bel-

Il 3,5% della birra italiana è artigianale: un fenomeno di nicchia, ma in forte crescita

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gio e Gran Bretagna, i birrai nostrani in pochi anni sono già riusciti a creare un nuovo genere: la “grape beer”, prodotta con il mosto d’uva, che sta piacendo molto anche all’estero. «Siamo mossi dalla passione – sostiene Luana. Per decidere che birra produrre ci basiamo più su quello che ci piace che su ciò che potremmo vendere meglio, facciamo tanti viaggi all’estero per trovare ispirazione per le nostre ricette, e ci confrontiamo spesso con i nostri colleghi». Luana racconta di un ambiente molto rilassato, dove nella maggior parte dei casi si collabora e ci si aiuta a vicenda: «Passando dal mestiere di sommelier a quello di maestra birraia ho notato un clima completamente diverso: non c’è competizione, a differenza del settore vinicolo. Nelle fiere dedicate alla birra artigianale, se ti manca la spillatrice, o hai bisogno di aiuto per smontare il tuo stand, i colleghi ti danno sempre una mano». Ma, con tutti questi birrifici artigianali che stanno aprendo, non c’è il pericolo che la concorrenza aumenti? «Se aumentano i birrifici di qualità, io non posso che essere contenta, perché tutto il settore guadagna credibilità». Q


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