A livello di guardia

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Il canneto tipico del lago Trasimeno; sullo sfondo, l’isola Polvese

A LIVELLO DI GUARDIA La salute del Trasimeno è abbastanza buona, ma tra siccità, incuria e scelte sbagliate, il suo delicato ecosistema è costantemente a rischio

C di

NICOLÒ CANONICO

@nikcanonico

CHIARA SIVORI

@aravi25

’è un rapporto millenario tra il Trasimeno e la gente che abita lungo le sue rive: sul fondale sono stati ritrovati reperti risalenti al medioevo, all’antica Roma, e addirittura delle palafitte dell’Età del Bronzo. Ma sul lago, oggi, l’equilibrio tra uomo e natura è molto fragile. La scorsa estate si è parlato a lungo degli effetti che il riscaldamento climatico, con annesso calo delle piogge e aumento delle temperature, ha avuto sulle sue acque: tra maggio e ottobre 2017 il Trasimeno ha perso quasi settanta centimetri, sfiorando il metro sotto lo zero idrometrico. Le variazioni, anche significative, del livello del lago non sono una novità, ma negli ultimi cinquant’anni il segno meno è stato quasi sempre una costante. È una condizione potenzialmente molto pericolosa: il Trasimeno è quello che gli studiosi chiamano “lago laminare”, un insieme di stagni e paludi che nel corso dei millenni si Quattrocolonne

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sono uniti tra loro, fino a formare uno specchio d’acqua unico, molto esteso (è il quarto lago più grande d’Italia) ma anche poco profondo. «Il volume d’acqua è molto ridotto rispetto a quello degli altri grandi laghi italiani, e questa caratteristica lo rende particolarmente esposto agli sbalzi di temperatura e alla scarsità di piogge», spiega Ermanno Gambini, un geografo dell’Università di Perugia che ha studiato per anni l’evoluzione del lago. «Considerato che nei suoi punti più profondi raggiunge al massimo sei metri, basta una variazione minima per mettere a rischio l’ecosistema». E l’intervento dell’uomo ha fatto il resto. «Alla fine dell’Ottocento il problema era opposto a quello che abbiamo oggi, tanto che si era addirittura pensato di prosciugarlo del tutto», racconta Gambini. «Il Trasimeno esondava spesso, quindi i proprietari dei terreni intorno al lago decisero di deviare tutti i ruscelli che sfociavano nel bacino e di costruire dei canali artificiali


Le barche dei pescatori del Trasimeno ormeggiate nel porticciolo di San Feliciano

per far calare il livello dell’acqua». Così facendo, il Trasimeno ha perso tutti i suoi immissari naturali, e oggi la sua profondità dipende unicamente dalle piogge. Il Trasimeno è sotto osservazione anche per la qualità delle sue acque. L’ultimo rapporto di Goletta dei Laghi, l’iniziativa di Legambiente che analizza il tasso di inquinamento degli specchi d’acqua dolce italiani, traccia un profilo in chiaroscuro. «Rispetto ai laghi del Nord Italia, il Trasimeno ha una presenza di microplastiche molto inferiore», dice Lucia Coscia, biologa che si è occupata dello stato di salute del Trasimeno. È senza dubbio un dato positivo, ma ci sono comunque delle criticità. «Ci preoccupa la presenza di batteri fecali vicino ai centri abitati: vuol dire che gli impianti di depurazione non funzionano sempre come dovrebbero, e che probabilmente ci sono degli scarichi abusivi». UN RAPPORTO COMPLICATO La tutela dell’ecosistema non è solo una questione di rispetto dell’ambiente, ma anche di protezione delle attività economiche che dipendono da esso. Negli ultimi anni il lago è diventato una meta molto richiesta, soprattutto dagli stranieri: d’estate campeggi, ristoranti e alberghi

si riempiono di turisti belgi, tedeschi e olandesi affascinati dalla bellezza del paesaggio. Prendersi cura del lago è fondamentale per continuare ad attirare i visitatori e permettere all’economia dei centri che si affacciano sulle sue rive di crescere. Ma la salute delle acque del Trasimeno è cruciale anche per un altro genere di attività, molto più antica del turismo e simbolo del legame profondo tra il lago e l’uomo: la pesca. Per secoli, le acque del Trasimeno hanno ospitato un numero ridotto di specie, come il luccio, la tinca e l’anguilla; poche, ma di grande valore commerciale. Anche in questo caso, tuttavia, l’intervento dell’uomo ha messo in pericolo la loro sopravvivenza. L’inserimento nel lago di “pesci alieni”, fatto in modo incontrollato, allo scopo di aumentare il pescato, ha finito per danneggiare l’attività dei pescatori. A creare problemi è specialmente il carassio, un pesce originario dell’Est Europa che da qualche anno si è moltiplicato in modo esponenziale, spodestando la più delicata – e più pregiata – tinca. «Ormai le nostre reti si riempiono di carassi, i pesci di una volta sono sempre più rari», racconta Valter Sembolini, amministratore della Cooperativa Pescatori del Trasimeno. «Il problema è che questo pesce non è molto buono da mangiare, Quattrocolonne

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quindi non ci si guadagna quasi niente a venderlo». Secondo Valter, oltra alla competizione con specie più aggressive, i pesci autoctoni devono vedersela con i cambiamenti climatici: «Un lago con il livello basso è meno pescoso, e nel 2017 i pesci pregiati sono calati del 70%. Se quest’anno non piove, sarà un disastro». A mettere a rischio la sopravvivenza dei pesci tipici c’è anche l’incuria delle sponde del lago. «Ormai molti terreni sono abbandonati, nessuno si occupa più di pulire le rive», fa notare Valter. A subire le conseguenze dell’incuria dei terreni agricoli è soprattutto il canneto, che un tempo circondava quasi completamente il bacino del lago e che faceva da rifugio e da “culla” per i piccoli pesci. Come se non bastassero cambiamenti climatici, siccità, pesci alloctoni e mancanza di manutenzione delle sponde, i pescatori devono affrontare anche una piccola “calamità piumata”. «Tra

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ottobre e marzo vengono a svernare sul lago circa seimila cormorani», spiega Mauro Natali, ittiologo del Centro Ittiogenico del Trasimeno, una struttura che si occupa di ripopolare il lago di pesci autoctoni. «Questi uccelli sono una specie protetta a livello europeo e ciò ha causato un boom demografico». In un anno, i cormorani fanno “sparire” quasi 25 quintali di pesce, riducendo ulteriormente il pescato. Nonostante le mille difficoltà, c’è però chi continua a credere in una vita sulle rive del lago. «I giovani si stanno riavvicinando alla pesca: prima nella cooperativa c’erano solo persone anziane, mentre oggi l’età media è di circa quarant’anni. È dura, ma si riesce comunque a guadagnarsi il pane, nonostante i cambiamenti del Trasimeno negli ultimi anni. Dopotutto, non è il lago che si deve adeguare alle nostre esigenze, ma siamo noi a doverci adeguare al lago». Q

Il Centro Ittiogenico di S. Arcangelo In difesa della fauna locale

’arrivo nel Trasimeno di pesci “alieni” ha rivoluzionato l’equilibrio della fauna locale, mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle specie autoctone. Nel lago sono presenti diciotto tipi diversi di pesce, di cui solo cinque sono locali (la tinca, l’anguilla, il luccio, il cavedano e la scardola). Per tutelare le caratteristiche uniche degli animali acquatici, a Sant’Arcangelo nel 1985 è nato il Centro Ittiogenico del Trasimeno. Il Centro si occupa di ripopolare il lago con i pesci che fino a qualche decennio fa “dominavano” le sue acque, come la tinca e il luccio. È stata proprio l’esigenza di reintrodurre quest’ultima specie a dare il via al progetto: il luccio, che alla fine degli anni ‘80 era quasi scomparso, è un predatore fondamentale per tenere sotto controllo il numero degli altri pe-

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sci, dato che si nutre degli esemplari più deboli. «Facciamo nascere i piccoli lucci in vasche protette, poi li liberiamo nel lago», racconta il dottor Mauro Natali, che da anni lavora al Centro Ittiogenico. Oltre al luccio, il Centro immette nel lago anche la tinca e l’anguilla. «Ormai l’anguilla non è più in grado di raggiungere il Trasimeno in modo naturale», spiega il dottor Natali. «Si riproduce in mare, poi risale verso i laghi e i fiumi: dato che ormai non ci sono più emissari o immissari, l’unico modo per non farla scomparire è allevarla nelle nostre vasche». Il Centro Ittiogenico alleva anche delle specie che non sono originarie del lago ma che non sono dannose e sono considerate ottime per la pesca: in particolare la carpa, introdotta nel 1710 dal lago di Bracciano per volontà del barone Ancajani.


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