La guerra dei biscotti

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lA GUERRA DEI BISCOTTI L’Umbria e la Colussi: un rapporto decennale in crisi E adesso gli operai temono per il loro futuro

«A

ngelo, licenzia i dirigenti». L’invocazione risuona per tutta la mattinata sul viottolo di fronte alla sede della Confindustria a Perugia. È il 17 ottobre: oltre un centinaio di operai, magazzinieri e impiegati della Colussi di Petrignano di Assisi stanno manifestando contro la decisione dell’azienda di avviare la procedura di licenziamento collettivo di 125 dipendenti della fabbrica. La notizia ha letteralmente spiazzato i lavoratori: in uno stabilimento in cui sono impiegate circa 450 persone, il taglio sarebbe pari a oltre un quarto del personale. Sono in sciopero, chiedono rassicurazioni per il loro futuro. «Non siamo teste, siamo famiglie», è il grido che ripeteranno durante le oltre quattro ore trascorse ad attendere qualche novità dai loro rappresentanti sindacali.

L’ “Angelo” a cui si riferiscono altri non è che Angelo Colussi, attuale presidente del gruppo industriale famoso per la produzione di biscotti. Vorrebbero un suo intervento diretto sulla vertenza, anche per correggere la direzione che l’azienda ha preso negli ultimi anni. «Nel 2008, quando la crisi economica era alle porte, hanno deciso di assumere», racconta Emanuele, magazziniere. «Poi le vendite sono calate, e hanno dovuto ridurre la produzione. Ci siamo ritrovati in tanti, troppi, e come hanno pensato di risolvere la situazione? Ovviamente con gli esuberi». A differenza di altri due simboli industriali dell’Umbria come la Perugina di San Sisto e le Acciaierie di Terni, è ancora in mano a un imprenditore italiano; una peculiarità che in questi anni è stata motivo di vanto per il marchio e per i dipendenti Quattrocolonne

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15 ottobre 2017

di

NICOLÒ CANONICO

@nikcanonico

CHIARA SIVORI

@aravi25


A sinistra: un gruppo di lavoratori al presidio del 17 ottobre davanti a Confindustria

A destra: alcuni cartelli di protesta contro gli esuberi appesi dagli operai durante lo sciopero

La storia umbra della Colussi è iniziata dopo la seconda guerra mondiale, quando l’imprenditore veneto Giacomo Colussi (padre di Angelo), già attivo nel campo dei prodotti da forno, decise di trasferire parte della produzione a Perugia, nella zona della stazione di Fontivegge. La scelta dell’Umbria non fu casuale: la sua posizione centrale permetteva collegamenti più facili con il sud Italia e si è rivelata strategica per l’espansione della Colussi su tutto il territorio nazionale. Nel 1962, accompagnata da qualche polemica per la scelta di spostarsi da Perugia, la produzione si è trasferita nello stabilimento di Petrignano, in modo da approfittare delle agevolazioni fiscali concesse dallo Stato per lo sviluppo industriale dell’area di Assisi. L’azienda mantiene ancora oggi un profondo legame con il territorio, e chi ci lavora ha un forte attaccamento al marchio. Ma le ultime scelte industriali hanno incrinato questo rapporto: i lavoratori e sindacati di Petrignano criticano soprattutto la decisione di trasferire gli uffici centrali a Milano. «Tra il 2007 e il 2008, subito prima della crisi economica – spiega Daniele Marcaccioli, sindacalista della Uil – i manager hanno voluto trasferire gli uffici amministrativi a Milano. L’idea era quella di essere più vicini al cuore della finanza italiana, anche nell’ottica di Quattrocolonne

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espandersi all’estero. Il momento però era molto delicato, e la mossa si è rivelata sbagliata ed economicamente disastrosa». Da allora, la Colussi ha dovuto ripensare completamente la sua organizzazione, cercando di razionalizzare la produzione e le spese; e questo, per i dipendenti, è sinonimo di “esuberi”. «Le vendite – dichiara una lavoratrice – sono calate, ma non in modo tragico. Appena c’è un problema di soldi, però, la prima cosa che fanno è licenziare gli operai». La partita per il futuro della Colussi in Umbria è ancora tutta da giocare: dopo l’incontro del 17 ottobre si sono aperti degli spiragli di speranza per la gestione della vertenza. L’azienda ha dichiarato che farà il possibile per limitare i licenziamenti, organizzando piani di prepensionamento ed incentivi all’esodo. I sindacati rimangono scettici, ma sono aperti al dialogo: la trattativa, seppur in salita, sembra ancora possibile. Tra i lavoratori il sentimento più diffuso è il timore per il futuro. Letizia, che lavora a Petrignano da quattordici anni, nel reparto confezionamento biscotti, è molto preoccupata per il suo impiego: «La mia famiglia – spiega – si regge soltanto sui soldi che porto a casa io. Ho due figli, e uno di loro è ancora a mio carico. Mio marito aveva un’attività, ma è stato costretto a chiuderla per colpa della cri-


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