La casa editrice e gli autori con questa opera intendono assolvere a una funzione di informazione. A tal riguardo ogni illustrazione originale assolve al compito di omaggio all’importanza del giocatore, della squadra, del personaggio o dell’oggetto ritratti.
GRANDE LIBRO DEI
MONDIALI DI CALCIO IL
I CAMPIONI, LE PARTITE E I RACCONTI
DEL PIÙ GRANDE SPETTACOLO DEL MONDO
ILLUSTRAZIONI DI GUIDO ASTOLFI
INTRODUZIONE
IL CUORE DEI MONDIALI, IL BATTITO DELL’UMANITÀ...
Ogni quattro anni, il mondo si ferma. Gli occhi di miliardi di persone si concentrano su un campo verde, dove ventidue uomini inseguono un pallone. È in quei momenti che il calcio diventa qualcosa di più di uno sport e si trasforma in un linguaggio universale che parla di emozioni, di storie di vita straordinarie, di riscatto e speranza. È la celebrazione del talento, della fatica e della passione. E soprattutto, i Mondiali di calcio rappresentano l’unico evento capace di abbattere barriere e confini , unendo il pianeta in un unico, straordinario sogno collettivo.
Questo libro nasce dalla passione per il calcio, certo, ma soprattutto dal desiderio di raccontare le storie che i Mondiali hanno saputo regalare nel corso della loro lunga e affascinante storia . Ogni edizione del torneo non è stata solo un evento sportivo, ma una finestra aperta su un’epoca, su un mondo in cambiamento. Dai primi pionieristici anni Trenta , quando il sogno visionario di Jules Rimet prese forma, fino ai Mondiali iper-tecnologici dei nostri giorni , ogni torneo ha rappresentato lo specchio del suo tempo. Guerre, crisi economiche, rivoluzioni sociali, innovazioni tecnologiche: tutto è passato attraverso quel rettangolo verde, rendendo il calcio una metafora della vita stessa .
Non ci sono solo i gol e i trofei in questa storia. Ci sono le imprese dei campioni che hanno fatto innamorare il mondo: le acrobazie di Pelé , la genialità controversa di Maradona , il carisma di Zidane , la freddezza di Beckenbauer , l’innovazione di Cruijff , il sorriso di Cannavaro . Ma ci sono anche le storie che si nascondono dietro le quinte: le sfide di chi ha lottato per arrivare al successo, i momenti di gloria sfumati in un istante, gli episodi curiosi e i personaggi indimenticabili che hanno fatto di questo evento qualcosa di unico .
Questo libro, però, non si ferma solo ai racconti. Ogni capitolo è accompagnato da illustrazion uniche create per catturare non solo i fatti ma soprattutto le emozioni. Un’immagine può racchiudere la magia di un gesto tecnico, l’espressione di un campione dopo un gol, o la tensione di un momento decisivo. Le immagini sono un viaggio visivo attraverso la storia dei Mondiali, un modo per rivivere le emozioni che ci hanno fatto battere il cuore e trattenere il fiato. Sono pensate per farci ricordare, con forza e nitidezza, quei momenti che hanno definito non solo il calcio, ma anche il nostro modo di vivere il gioco e la passione che lo accompagna.
Perché il calcio, quello vero, non si riduce a denaro, classifiche o trofei. Il calcio è fatica, sacrificio, speranza. È il sogno di un bambino che tira il suo primo pallone in un campo di periferia, il sacrificio di un atleta che lotta per diventare un campione, e la gioia di una nazione intera che si stringe intorno a un successo. I Mondiali sono un inno alla fratellanza sportiva , l’occasione in cui, per un mese, differenze politiche, culturali e sociali si dissolvono e il mondo sogna insieme, unito dalla stessa passione.
I Mondiali sono memoria. Un filo che lega generazioni, ricordi personali e collettivi che restano scolpiti nel tempo. Chiunque, anche chi non segue abitualmente il calcio, conserva un ricordo indelebile legato a un Mondiale: tutti sappiamo dove eravamo quando Roberto Baggio calciò quel rigore a Pasadena, o quando Fabio Cannavaro sollevò il trofeo al cielo di Berlino. Quei momenti ci uniscono, ci definiscono come spettatori e come esseri umani. Ci insegnano che la vita, come il calcio, è fatta di istanti.
Questo libro è un omaggio a tutto ciò che i Mondiali rappresentano : alle tante imprese dei campioni, alle storie dimenticate, ai fatti curiosi che ci fanno sorridere, alle emozioni che ci fanno vivere. È dedicato a chi ha vissuto ogni edizione con il cuore in gola, a chi si è lasciato trasportare dalla magia del gioco anche solo per un attimo, e a chi ha capito, davanti a uno schermo o sugli spalti, che il calcio non è mai stato solo un pallone. I Mondiali sono un sogno, un’avventura che appartiene a tutti noi. Un viaggio che ci accompagna, edizione dopo edizione, come una memoria collettiva che non smette mai di crescere.
Buona lettura, fino al prossimo grande Mondiale!
LA NASCITA DI UN SOGNO
LA COPPA DEL MONDO DI CALCIO NACQUE COME UN SOGNO DI JULES RIMET, UN AVVOCATO FRANCESE CHE CREDEVA FERMAMENTE NEL POTERE DELLO
SPORT COME STRUMENTO DI UNIONE TRA I POPOLI.
Presidente della FIFA dal 1921, Rimet aveva una visione audace: creare un torneo globale che coinvolgesse squadre nazionali di tutto il mondo , abbattendo le barriere politiche e culturali. Il calcio, che già negli anni Venti si era affermato come uno degli sport più popolari in Europa e in Sud America, offriva un’occasione unica per dare vita a un evento capace di unire le nazioni sotto un’unica bandiera, quella della competizione sportiva.
L’idea di Rimet trovava radici in un contesto storico segnato da profonde tensioni. La Prima guerra mondiale aveva lasciato cicatrici ancora visibili , e negli anni tra le due guerre il mondo viveva un periodo di grande fragilità politica ed economica. In questa atmosfera instabile, l’idea di utilizzare il calcio per costruire ponti tra i popoli appariva non solo visionaria, ma anche necessaria. Lo sport, per Rimet, non era solo un gioco: era un linguaggio universale capace di ispirare speranza e cooperazione.
A supportare questa visione, c’era il successo crescente del calcio alle Olimpiadi, in particolare nelle edizioni di Parigi nel 1924
e di Amsterdam nel 1928. Le competizioni olimpiche avevano dimostrato che il calcio poteva attirare l’entusiasmo delle folle Tuttavia, i tornei olimpici erano riservati ai dilettanti, escludendo i giocatori professionisti che iniziavano a dominare la scena calcisti ca. Rimet intuì che un torneo autonomo, aperto ai migliori talenti, avrebbe potuto portare il calcio a un livello mai visto prima.
L’idea di una competizione mondiale rifletteva anche le ambi zioni della FIFA, che negli anni Venti cercava di consolidarsi come organo di governo del calcio su scala globale. Fondata nel 1904, la FIFA aveva fino ad allora operato principalmente in Europa, ma l’espansione del calcio in Sud America e in altre regioni del mon do suggeriva che fosse il momento di creare un evento davvero universale. Era quella un’epoca che offriva anche nuove oppor tunità tecniche e logistiche che rendevano possibile un progetto così ambizioso. Gli anni Venti e Trenta furono infatti caratterizzati da un’espansione delle infrastrutture di trasporto e comunicazione: navi sempre più veloci, reti ferroviarie più efficienti e una crescen te connessione globale aprivano la strada a eventi che coinvolges sero paesi distanti. Il calcio, già amatissimo nei suoi epicentri stori ci, aveva ora gli strumenti per superare i confini geografici.
In questo connubio di idealismo, innovazione e pragmatismo, la Coppa del Mondo prese forma. Il sogno era di creare non solo una competizione sportiva, ma una manifestazione in grando di unire il mondo attraverso un pallone, in un periodo in cui l’unità sembrava più un’utopia che una realtà. Jules Rimet non stava solo dando vita a un torneo sportivo, stava ponendo le basi per una celebrazione che, decennio dopo decennio, sarebbe diventa ta il simbolo stesso del calcio globale .
URUGUAY 1930
LA LOCANDINA UFFICIALE
FISCHIO D’INIZIO!
IL 13 LUGLIO DEL 1930
COMINCIA IN URUGUAY LA
PRIMA COPPA DEL MONDO
FIFA E CAMBIA PER SEMPRE
IL CALCIO. CIÒ CHE INIZIÒ
COME UN TORNEO SU INVITO
CON SOLO 13 SQUADRE, SI
SVILUPPÒ NEL GIGANTE
CHE È LA COPPA DEL MONDO
CHE CONOSCIAMO OGGI:
IL PIÙ IMPORTANTE TORNEO
CALCISTICO DI SEMPRE E
UNO DEGLI EVENTI SPORTIVI
PIÙ SEGUITI AL MONDO.
LE SQUADRE PARTECIPANTI
•ARGENTINA
•BELGIO
•BOLIVIA
•BRASILE
•CILE
•FRANCIA
•JUGOSLAVIA
•MESSICO
•PARAGUAY
•PERÙ
•ROMANIA
•STATI UNITI
•URUGUAY
EDIZIONE: I
PERIODO: 13 – 30 luglio 1930
CITTÀ OSPITANTI: Montevideo con 3 stadi
CLASSIFICA FINALE:
Uruguay 1°, Argentina 2°, Stati Uniti 3°, Jugoslavia 4°
SPETTATORI TOTALI: 434.500
PARTITE GIOCATE: 18
MARCATORI: 37
GOL REALIZZATI: 70
GOL A PARTITA: 3,88
RIGORI CONCESSI: 3
GIOCATORI SCHIERATI: 190
IL PIÙ GIOVANE: Carvalho Leita (Brasile), 18 anni
IL VETERANO: Rafael Gutierrez (Messico), 34 anni
CAPOCANNONIERE: Guillermo Stabile (Argentina), 8 gol
IL VIAGGIO DELLA SPERANZA
Nel 1930, per attraversare l’Atlantico non si poteva far certo uso dei moderni aerei, quindi una nave battente bandiera italiana, la Conte Verde, portò le squadre in Sud America.
Partita da Genova il 19 giugno del 1930, a bordo presero posto i calciatori rumeni; due giorni dopo, nel porto di Villefranche-surMer, si aggiunsero i francesi, e la Coppa, che fu conservata nella cassaforte della nave. Infine, nel porto di Barcellona, salirono a bordo i belgi. Sulla nave, le nazionali si allenavano sul ponte, facendo cadere in mare più di un pallone. Arrivati a Rio de Janeiro, salirono a bordo anche i Brasiliani, le nazionali arrivarono in Uruguay il 4 luglio.
ALL’EPOCA DEL PRIMO MONDIALE DI CALCIO, L’EUROPA AFFRONTAVA UNA GRAVE CRISI ECONOMICA. I COSTI DI VIAGGIO RAPPRESENTAVANO UN OSTACOLO PER MOLTE SQUADRE, MENTRE MOLTI GIOCATORI EUROPEI ESITAVANO A LASCIARE I PROPRI PAESI PER LUNGHI SPOSTAMENTI, TEMENDO DI PERDERE IL LAVORO: POCHI DEI GIOCATORI COINVOLTI NEL MONDIALE INFATTI ERANO CALCIATORI PROFESSIONISTI.
L’idea di ammettere i professionisti nelle grandi competizioni suscitava sempre molte polemiche. Danimarca e Germania si rifiutarono di partecipare, mentre l’Inghilterra si astenne per motivi di prestigio. Per un certo periodo sembrò che nessuna squadra europea avrebbe fatto quel viaggio in Uruguay e la prima Coppa del Mondo rischiava di essere compromessa.
Alla fine, solo quattro nazioni europee decisero di mandare le proprie squadre in Uruguay – furono anche aiutate economicamente dal governo uruguayano –, Romania, Jugoslavia, Francia e Belgio, anche se sfortunatamente sol una alla fine si collocò tra le migliori classificate. Mancavano molte delle squadre europee più competitive, come l’Austria, l’Inghilterra, l’Ungheria, l’Italia e la Spagna.
La squadra di casa era considerata la favorita per la vittoria . Aveva vinto le Olimpiadi di Parigi nel 1924 e quelle di Amsterdam nel 1928. Tuttavia, la loro più stretta rivale, l’Argentina, aveva trionfato nel Campionato Sudamericano nel 1929. Il Brasile, al contrario, non era ancora diventato la potenza calcistica che avrebbe poi fatto la storia del Mondiali negli Anni Sessanta e si presentava al primo Mondiale impreparato a causa di disaccordi interni, con una squadra che vedeva tra le sue fila giocatori originari della sola Rio de Janeiro.
L’antica rivalità tra Uruguay e l’Argentina si manifestò durante la partita inaugurale contro la Francia, con la maggior parte del pubblico (uruguayano) che fischiò in maniera tanto veemente gli argentini da costringerli ad abbandonare il campo. Persino l’allora presidente dell’Uruguay intervenne per calmare gli animi. La situazione degenerò nell’ultimo match tra Argentina e Cile, con una rissa che coinvolse la maggior parte dei giocatori di entrambe le squadre a seguito di uno scontro tra due atleti. Dopo una breve interruzione, la partita riprese e l’Argentina ottenne la vittoria sia del match, sia del suo girone .
Jugoslavia e Stati Uniti sorpresero , vincendo i rispettivi gironi e avanzando alle semifinali. Ma la corsa degli Stati Uniti finì presto. Due anni prima erano già stati umiliati dagli argentini con un 11-2 alle Olimpiadi del 1928, ed eccoli di nuovo sconfitti di misura nella semifinale, con un sonoro 6-1. Le regole del tempo non aiutarono gli statunitensi: due giocatori americani si infortunarono e, secondo il regolamento dell’epoca, non potevano essere sostituiti .
L’Uruguay, come ci si aspettava, dominò il proprio girone sconfiggendo Romania e Perù, per poi superare la Jugoslavia con un ampio margine in semifinale. In finale, l’Uruguay affrontò l’arcinemico Argentina, già avversario nella finale olimpica del 1928.
Con oltre 80.000 spettatori all’Estadio Centenario di Montevideo, l’Uruguay conquistò la prima storica vittoria del primo ancor più storico Mondiale. A rendere indimenticabile la partita, non solo la sua storicità, ma anche una fantastica rimonta, con un risultato finale di 4-2, dopo essere stato in svantaggio per 2-1. L’orgoglio nazionale dei popolo uruguayano era ai massimi storici.
DUE TERZI POSTI
La partita per il terzo posto fu ufficialmente istituita nel 1934, ma ci sono molte incertezze riguardo all'edizione del 1930. Si dice infatti che una finale per il terzo posto fosse programmata, ma non venne mai giocata perché la Jugoslavia si rifiutò di scendere in campo, protestando contro l'arbitraggio della semifinale, che ritenevano fosse palesemente favorevole ai padroni di casa. Al termine della competizione, sia il capitano della Jugoslavia, Milutin Ivković, sia quello degli Stati Uniti, Tom Florie, ricevettero una medaglia di bronzo, rendendo così ufficialmente terze entrambe le squadre nazionali.
IL PRIMO GOL
UN OPERAIO DELLA PEUGEOT GONFIA
LA PRIMA RETE DELLA COPPA DEL MONDO.
MA LA GLORIA DURA POCO: VERRÀ CATTURATO
COME PRIGIONIERO DI GUERRA E, UNA VOLTA LIBERATO, APRIRÀ UNA BIRRERIA.
OGNUNO IL SUO PALLONE
La FIFA non aveva stabilito quale squadra dovesse fornire il pallone per la finale, quindi entrambe le nazionali si presentarono con il proprio pallone, insistendo per giocare con quello a cui erano più abituate. L'arbitro Langenus, utilizzando una monetina, decise che il primo tempo si sarebbe giocato con il pallone dell'Argentina e il secondo con quello dell'Uruguay.
IMOMENTI
INAUGURALI DEL PRIMO MONDIALE SONO INCISI NELLA STORIA: QUANDO IL 13 LUGLIO 1930, NELLA VIVACE MONTEVIDEO, CAPITALE DELL’URUGUAY, IL MONDIALE VIDE LA LUCE, FU LUCIEN LAURENT, GIOVANE TALENTO FRANCESE, A INCIDERNE IL PRIMO SOLCO.
In un epico duello contro il Messico, Laurent fece prima il suo ingresso in campo e poi nei libri dei record con un gol che inaugurò una nuova era. La Francia era arrivata in Sudamerica, come le altre nazioni europee coinvolte, dopo un lungo viaggio in nave e inaugurò il torneo giocando la prima partita nello stadio Pocitos, con inizio alle ore 15 locali. Qualche minuto dopo iniziava anche la prima partita del gruppo 3, tra Stati Uniti e Belgio, giocata davanti a 20 mila persone nello stadio Gran Parque Central. Il Pocitos era stato costruito appositamente per l’occasione.
«Quando ho segnato il mio gol, al minuto 19 del match – ricordò Laurent durante una cena di gala organizzata in occasione della Coppa del Mondo del 1990 – il primo del torneo e il mio primo con la Francia, ci siamo solo congratulati, senza esagerare con esultanze chiassose come succede oggi». Durante quella sera Laurent si aprì a lungo, rivangando molti ricordi: «La federazione francese ebbe grandi difficoltà a radunare una squadra degna di questo nome, perché molti dei giocatori selezionati avevano impegni lavorativi – continuò Laurent – i datori di lavoro non permettevano ai giocatori di prendersi due mesi di ferie. Io stesso lavoravo per la Peugeot, così come tre dei miei compagni di squadra: mio fratello Jean, André Maschinot ed Etienne Mattler».
Il regolamento dell’epoca prevedeva che in caso di pareggio si sarebbe andati ai supplementari e in caso di persistenza del pareg-
gio la gara sarebbe stata rigiocata. Stranamente però, per l’intera durata del primo Mondiale, lungo le 18 partite giocate, nessuna gara finì in pareggio e tutte si conclusero nei 90 minuti. Nella seconda partita contro l’Argentina, persa 1-0, Laurent subì un infortunio alla caviglia e continuò a giocare sulla fascia sinistra, poiché all’epoca non erano ammesse sostituzioni. Questo infortunio lo tenne fuori dalla terza e ultima partita contro il Cile, persa anch’essa per 1-0. Laurent giocò quindi due partite, e saltò la terza a causa dell’infortunio. Saltò anche la Coppa del Mondo del 1934 in casa sempre per via di un infortunio. Il suo unico altro gol per la Francia fu contro i vecchi rivali dell’Inghilterra.
Dopo aver rappresentato la Francia in dieci gare internazionali, Laurent concluse la sua carriera calcistica come giocatore-allenatore al Besançon, prima di cambiare completamente professione con la gestione di una birreria. Da quel momento la sua vita reale fu più dura che avventurosa. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale con l’esercito francese, ma trascorse tre anni come prigioniero di guerra fino alla sua liberazione nel 1943. Un tardo ma forse apprezzato risarcimento ci fu quando Laurent riuscì a vedere la Francia vincere finalmente la Coppa del Mondo nel 1998, (era l’unico membro sopravvissuto della squadra del 1930 a vedere la sua nazionale alzare di nuovo la coppa).
Nonostante il suo ruolo fondamentale nella storia del calcio, Lucien Laurent mantenne sempre un atteggiamento modesto per il resto della sua vita, evitando, nelle tante interviste rilasciate durante la sua vita, di menzionare il suo leggendario primato. Laurent morì l’11 aprile 2005 a Besançon, ma il suo contributo alla storia dei Mondiali è ancora oggi indelebile.
IL PRIMO BOMBER
Sebbene non fosse tra i titolari nella prima gara dell’Argentina contro la Francia, il venticinquenne Guillermo Stábile riuscì a entrare nella formazione in sostituzione dell’infortunato Roberto Cherro dalla seconda gara, guadagnandosi il posto in squadra. Realizzò una tripletta nel 6-3 contro il Messico, siglò poi una doppietta contro il Cile e trafisse altre due volte la porta degli Stati Uniti nella semifinale vinta dall’Argentina con un 6-1. L’ultimo gol nella finale lo portò a 8 reti totali in quattro partite e al primo posto nella classifica marcatori del primo Mondiale.
LA PRIMA COPPA
Il primo trofeo della Coppa del Mondo misurava 35 centimetri e pesava 4 chili. Era fatto di oro puro.
ARRESTATE QUELL’ARBITRO!
DURANTE IL MONDIALE URUGUAYANO, LA VITA DEI DIRETTORI DI GARA NON FU AFFATTO FACILE. AL BOLIVIANO ULISES SAUCEDO VENNE AFFIDATA LA CONDUZIONE DI UNA GARA E SVOLSE PER TRE VOLTE IL RUOLO DI GUARDALINEE (DUE PARTITE DEL PRIMO TURNO NEL GRUPPO 1 E LA FINALE). NULLA DI STRANO, SI DIREBBE, PECCATO CHE SAUCEDO FOSSE A MONTEVIDEO PRINCIPALMENTE NELLE VESTI DI ALLENATORE DELLA BOLIVIA.
Non fu l’unico ad avere questo doppio ruolo: anche Constantin Radulescu, allenatore della Romania, fece in due occasioni l’assistente arbitrale nel Gruppo 1. Il clima del primo mondiale era così teso che l’arbitro designato per la finale, il belga John Langenus, decise di accettare la designazione solo 2 ore prima l’inizio della gara, pretendendo dalla FIFA diverse assicurazioni: un’assicurazione sulla vita a favore dei propri familiari; una nave pronta ad attenderlo in porto che sarebbe salpata entro un’ora dalla fine della gara e una scorta armata formata da cento poliziotti.
Prima di iniziare la gara, lo stesso arbitro Langenus redasse il proprio testamento che consegnò al console belga a Montevideo. Come se non bastasse, all’arrivo allo stadio, l’arbitro fu arrestato, poiché prima di lui già tredici persone, per entrare nello stadio, si erano spacciati per il direttore di gara. Servì l’intervento del console belga e del sarto che aveva cucito l’abito per l’ufficiale di gara per convincere la polizia a rilasciarlo.
UN GOL AL RAZZISMO
LA QUESTIONE DELLA DIVERSITÀ RAZZIALE HA SEMPRE
PERMEATO IL CALCIO URUGUAIANO. Durante la prima
Coppa America, datata 1916, l’Uruguay divenne la prima squadra al mondo a schierare giocatori neri, scatenando le proteste di altre nazioni, come il Brasile, che per anni aveva escluso giocatori neri e mulatti, fino all’avvento di Pelé. Un’altra pietra miliare fu raggiunta alle Olimpiadi del 1924, quando l’Uruguay stupì non solo con il suo gioco, ma anche schierando, sempre per la prima volta un giocatore nero, il centrocampista Andrade, che i commentatori dell’epoca soprannominarono “la merveille noire”, la “meraviglia nera”.
La squadra nazionale del 1930 era un riflesso di tutto il popolo uruguayano: la maggior parte dei giocatori, come suggeriscono i loro cognomi – Héctor Pedro Scarone, Ernesto Mascheroni, Anselmo Pelegrin – era di origine iberica o italiana, con l’eccezione di Andrade. Inoltre, cosa che oggi sarebbe impensabile, la squadra includeva un giocatore privo di un braccio. Oggi si parlerebbe di inclusione, all’epoca era qualcosa di davvero unico e bellissimo. La garra charrúa, ovvero la tenacia e il coraggio come valori assoluti da adottare in campo come nella vita come rimedio alle avversità, ha un legame peculiare con la componente indigena dell’Uruguay. Questa espressione, resa celebre durante i primi Mondiali, fa riferimento alla determinazione dei giocatori uruguaiani di lottare con tenacia fino alla fine, replicando l’atteggiamento dei Charrúa, una delle ultime popolazioni indigene dell’Uruguay, che resistette contro i conquistadores.
GLI ULTIMI SUPERSTITI
L’ultimo superstite della squadra uruguaiana campione del mondo è stato Emilio Recoba, deceduto il 12 novembre 1992 all’età di 88 anni. Il 30 agosto 2010 morì invece, all’età di 100 anni, l’argentino Francisco Varallo, ultimo superstite tra tutti i calciatori del primo mondiale.
ITALIA 1934
LA LOCANDINA UFFICIALE
IN UN CLIMA TESO PER
IL PERIODO STORICO CHE
AVREBBE SPALANCATO
L’ABISSO DELLA SECONDA
GUERRA MONDIALE, SI GIOCA
IL SECONDO CAMPIONATO
MONDIALE DI CALCIO, QUELLO DELLE PRIME VOLTE
PER IL CALCIO ITALIANO: PRIMA PARTECIPAZIONE A
UN MONDIALE, DEBUTTO
COME NAZIONE OSPITANTE E, NELL’ULTIMO GRIDO DI GIOIA
DEL PAESE DI LÌ A MOLTI ANNI, IL PRIMO STORICO TRIONFO.
LE SQUADRE PARTECIPANTI
•ARGENTINA
•AUSTRIA
•BELGIO
•BRASILE
•CECOSLOVACCHIA
•EGITTO
•FRANCIA
•GERMANIA
•ITALIA
•PAESI BASSI
•ROMANIA
•SPAGNA
•STATI UNITI
•SVEZIA
•SVIZZERA
•UNGHERIA
EDIZIONE: II
PERIODO: 27 maggio – 10 giugno 1934
CITTÀ OSPITANTI: Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino, Trieste
CLASSIFICA FINALE:
Italia 1°, Cecoslovacchia 2°, Germania 3°, Austria 4°
SPETTATORI TOTALI: 395.000
PARTITE GIOCATE: 17
MARCATORI: 45
GOL REALIZZATI: 70
GOL A PARTITA: 4,11
RIGORI CONCESSI: 4
GIOCATORI SCHIERATI: 207
IL PIÙ GIOVANE: Roberto Iraneta (Argentina), 18 anni
IL VETERANO: Thomas Florie (USA), 36 anni
PALLONE DEL 1934
CAPOCANNONIERE: Edmund Conen (Germania) / Oldrich Nejedly (Cecoslovacchia) / Angelo Schiavio (Italia), 4 gol
LA VENDETTA DELL’ URUGUAY
L’Uruguay, campione in carica, si rifiutò di partecipare alla competizione come “vendetta” per la mancata partecipazione dell’Italia al primo torneo quattro anni prima.
DURANTE L’ORGANIZZAZIONE DELLA COP -
PA DEL MONDO DEL 1934, L’ITALIA, PAESE
OSPITANTE, ERA SOTTO IL
REGIME FASCISTA DI BENITO MUSSOLINI. IL DUCE, GIÀ FONDATORE
DELLA SERIE A, SFRUTTÒ L’EVENTO COME PROPA -
GANDA PER LA SUA IDEOLOGIA
POLITICA.
Nell’ottobre del 1932, durante il 21° Congresso della FIFA tenutosi a Stoccolma, l’Italia ottenne l’incarico di organizzare la seconda Coppa del Mondo. La Federazione Italiana realizzava così un desiderio già emerso per il Mondiale del 1930, spinta nei suoi ambiziosi progetti dal regime fascista, all’epoca dominante. Le infrastrutture calcistiche italiane erano allora seconde solo a quelle inglesi, con una Federazione strutturata e impianti sportivi all’avanguardia.
Alla seconda Coppa del Mondo parteciparono ben 32 nazioni, fu quindi necessario formare gironi eliminatori per selezionare le sedici squadre che avrebbero preso parte alla fase finale. Era prevedibile l’assenza dell’Uruguay, detentore del trofeo, e dell’Inghilterra, che non riconosceva l’autorità della FIFA. Delle nazioni britanniche, solo l’Irlanda partecipò alle qualificazioni, ma fu eliminata da Belgio e Olanda. L’Argentina partecipò con una squadra composta per lo più da dilettanti, poiché le società si rifiutarono di cedere i migliori giocatori alla selección. Anche il Brasile inviò una squadra minore, ma con autentici fuoriclasse come Leonidas da Silva, il “diamante nero”, e Waldemar de Brito, futuro scopritore di Pelé.
L’unica sorpresa dei turni eliminatori fu l’inaspettata esclusione della Jugoslavia da parte di Romania e Svizzera. Gli slavi, che nel precedente mondiale di Montevideo si erano classificati al terzo posto a pari merito con gli Stati Uniti, non riuscirono a superare né la
Svizzera di Minelli e Abegglen, né la Romania di Juliu Bodola, capocannoniere della nazionale rumena e, successivamente, giocatore della nazionale ungherese.
La struttura del torneo subì grandi cambiamenti rispetto alla precedente edizione, con l’abbandono della fase a gironi a favore di un torneo a eliminazione diretta (il formato a gironi sarebbe stato reintegrato solo nel 1950). In caso di parità al termine dei tempi regolamentari, si sarebbe giocato un prolungamento di 30 minuti. Se la parità persisteva, sarebbe stata organizzata una rivincita il giorno successivo (i rigori sarebbero stati introdotti solo nel 1978!).
Le partite si disputarono in otto città e in otto stadi e la finale si tenne a Roma, allo Stadio Nazionale, con una capacità di 47.300 spettatori. Lo stadio, dedicato al partito fascista, era abbreviato in PNF, che sta per Partito Nazionale Fascista. Analogamente al torneo precedente, alcuni match furono caratterizzati da episodi di violenza sul campo. Uno degli episodi più controversi avvenne durante la partita Ungheria-Austria, quando i giocatori ungheresi quasi pestarono l’arbitro, colpevolizzandolo della sconfitta.
Mentre nel 1930 tutte le squadre avevano adottato il modulo 2-3-5, questa volta ad essere maggiormente utilizzati furono il Sistema (un 3-4-3 detto anche W-M) e il Metodo. Quest’ultimo, con un modulo simile al 2-3-2-3, sviluppato dall’allenatore italiano Vittorio Pozzo, si dimostro efficace, tanto efficace da regalare all’Italia il suo primo mondiale!
GLI ARBITRI DEL DUCE
Mentre l’idea che Mussolini abbia personalmente garantito il primo titolo mondiale italiano è spesso oggetto di discussione, sembra molto più plausibile un’intesa tra funzionari sportivi per favorire il successo della squadra italiana. Il problema principale risiede nel fatto che il comitato italiano era incaricato di selezionare gli arbitri, permettendo così di escludere arbitri sgraditi e favorire quelli che avevano già lavorato a favore della squadra italiana.
ITALIA CAMPIONE!
TRIONFANDO IN CASA CON DETERMINAZIONE E SPIRITO DI SQUADRA, GLI AZZURRI CONQUISTANO IL LORO PRIMO TROFEO.
IL
“BALILLA”
Giuseppe Meazza, una delle icone del calcio italiano, fu una figura molto discussa negli anni Trenta. Soprannominato “il Balilla” per la sua giovane età al debutto in Serie A (iniziò a giocare a soli 17 anni con l’Ambrosiana-Inter), Meazza segnò due gol nel Mondiale del 1934, uno dei quali decisivo contro la Spagna nei quarti di finale. Inoltre, fornì l’assist ad Angelo Schiavio per il gol della vittoria nei tempi supplementari della finale. In totale, Meazza realizzò 33 gol in 55 partite con la Nazionale Italiana e 250 gol complessivi con le squadre di Inter, Milan, Juventus, Varese e Atalanta. Dopo la sua morte, lo stadio di San Siro a Milano, dove aveva giocato sia con l’Inter che con il Milan, fu intitolato a lui.
LA SQUADRA NAZIONALE ITALIANA, FONDATA
NEL 1910, AVEVA GIÀ DIMOSTRATO IL PRO -
PRIO VALORE CONQUISTANDO LA PRIMA EDIZIONE DELLA COPPA INTERNAZIONALE (19271930) E OTTENENDO UNA MEDAGLIA DI BRONZO ALLE OLIMPIADI DI AMSTERDAM NEL 1928.
La Cecoslovacchia, d’altra parte, era considerata una delle migliori nazionali europee del periodo, tanto che la stampa definiva i suoi giocatori “i maestri cecoslovacchi”, arrivava al Mondiale con una serie di successi, come il terzo posto nella Coppa Internazionale 1927-1930 e la finale olimpica ad Anversa nel 1920.
Prima del Mondiale, le due squadre avevano già incrociato le loro strade dieci volte: nell’ultimo incontro prima della finale mondiale, avvenuto il 7 maggio 1933 a Firenze per la Coppa Internazionale 1933-1935, l’Italia aveva vinto per 2-0. Il bilancio complessivo degli scontri diretti tra le due nazionali registrava tre vittorie per parte e quattro pareggi.
L’arbitro designato per la finale fu lo svedese Ivan Eklind, il quale aveva già arbitrato la semifinale Italia-Austria. La sua selezione provocò numerose controversie dopo la partita, con accuse di nutrire simpatie fasciste.
I calciatori cecoslovacchi si prepararono per la partita nel loro ritiro presso la località Croce, vicino a Frascati. Gli italiani invece erano alloggiati in un hotel vicino al Pincio, e trascorsero la vigilia in relax nella pineta di Castel Fusano, vicino a Ostia. Nel tardo pomeriggio del 9 giugno, si recarono al Foro Mussolini per assistere all’incontro di tennis tra Italia e Svizzera, valido per l’International Lawn Tennis Challenge 1934 (oggi Coppa Davis). Intanto dalla Cecoslovacchia arrivarono due treni speciali pieni di tifosi.
Il 10 giugno, con una temperatura di quasi 40°, la finale, finalmente, ebbe inizio. Il match fu estremamente combattuto e il risultato fu sbloccato dal cecoslovacco Puc al 71’ con un rasoterra che batté il portiere italiano Combi, ammutolendo i tifosi italiani. A nove minuti dalla fine, quando la partita sembrava compromessa, gli azzurri pareggiarono, grazie alla conclusione a rete di Orsi con un tiro ad effetto. Si passò quindi ai tempi supplementari, la prima volta che venivano adottati in un Mondiale. Qui il punteggio cambiò quasi immediatamente: al 95’, Schiavio, servito da Guaita al centro dell’area di rigore, calciò un potente tiro diagonale di destro da pochi metri, superando Plánicka e portando l’Italia in vantaggio. Dopo il gol, Schiavio, probabilmente a causa del caldo, della stanchezza o dell’emozione, svenne per qualche istante e fu risvegliato solo dagli schiaffi di Meazza e Pozzo. Circa dieci minuti prima del gol di Orsi, alla Cecoslovacchia venne annullata una rete dall’arbitro belga Louis Baert per un presunto fallo. Questa decisione scatenò polemiche e dispute, alimentando le voci di possibili influenze politiche sull’arbitraggio, considerando il contesto politico e la crescente ascesa del regime fascista in Italia.
Nonostante le controversie, la vittoria dell’Italia nel 1934 segnò un momento cruciale nella storia del calcio italiano e consolidò la Coppa del Mondo come uno degli eventi sportivi più prestigiosi a livello mondiale. Mussolini convocò gli azzurri a Palazzo Venezia ancora in tenuta di gioco e la sera stessa il generale Vaccaro consegnò ai campioni del Mondo una busta con il premio per la vittoria: ventimila lire. Una pagina indelebile della storia del calcio e d’Italia era stata scritta.
SE POTESSI AVERE 20.000 LIRA A PARTITA...
La paga dei vincitori oggi risuona ridicola, ma all’epoca era un piccolo tesoro. I calciatori della squadra azzurra ricevettero infatti un premio di 20.000 lire a testa. Dal premio fu però escluso Mario Pizziolo, generoso mediano infortunatosi ai legamenti del ginocchio nella prima partita contro la Spagna. Un (troppo) tardo riconoscimento arrivò nel 1988, quando gli venne riconosciuta la meritata medaglia d’oro.
IL “METODO” POZZO
IL BOMBER AUSTRIACO
Durante il Mondiale italiano del 1934 fece il suo esordio con la nazionale austriaca, il famoso Wunderteam, quello che diventò uno degli attaccanti più forti di sempre: Josef Bican, Considerato uno dei più grandi sportivi cechi di tutti i tempi e da molti ritenuto il miglior calciatore ceco in assoluto, con 820 gol segnati in competizioni ufficiali si posiziona al terzo posto nella classifica dei migliori marcatori della storia, preceduto soltanto da Lionel Messi e Cristiano Ronaldo.
VITTORIO POZZO, NATO NEL 1886 A TORINO, È STATO
UNA FIGURA DI SPICCO NEL CALCIO ITALIANO, SIA
COME CALCIATORE CHE COME ALLENATORE.
La sua notorietà è principalmente legata al periodo in cui ha guidato la Nazionale italiana tra il 1929 e il 1948. Durante il suo mandato, l’Italia conquistò due Coppe del Mondo consecutive, un risultato straordinario per quegli anni. Pozzo è ancora oggi ricordato per la sua innovativa tattica di gioco e per il suo rigido approccio al calcio e ancora oggi il suo nome è sinonimo di Metodo, un sistema tattico flessibile che ha rivoluzionato il calcio italiano.
Pozzo sviluppò il Metodo basandosi sulle caratteristiche dei calciatori italiani: diversamente dal Sistema, altro modulo in voga in quegli anni, che enfatizzava il gioco fisico e una fitta rete di passaggi, l’allenatore italiano puntava su una difesa robusta e rapidi contropiedi. Un elemento chiave del Metodo era il centromediano, vero fulcro della squadra. Ma il suo Metodo non si limitava solo agli aspetti tecnici, includeva infatti anche una rigorosa disciplina personale e un’abnegazione totale alla squadra da parte dei giocatori.
Oltre ai suoi trionfi a livello internazionale, Pozzo ebbe una carriera di successo anche nel calcio italiano di club, dove contribuì a forgiare una nuova generazione di talenti e a consolidare il calcio italiano come una potenza mondiale.
IL MONDIALE ALTERNATIVO
UN CAMPIONATO DEL MONDO ALTERNATIVO A QUELLO
UFFICIALE SI TENNE A PARIGI TRA MILLE POLEMICHE, SOPRATTUTTO TRA GLI OPPOSITORI POLITICI DEL REGIME FASCISTA ITALIANO.
In precedenza, la Società Sportiva dei Lavoratori Internazionali (SASI) e l’Internazionale Sportiva Rossa (RSI) erano state rivali, ma di fronte alla minaccia fascista decisero di unirsi, creando un evento calcistico alternativo a quello che si stava svolgendo nell’Italia dominata dal Fascismo.
Svoltosi nell’agosto del 1934 presso lo Stade Pershing di Parigi, il “Campionato Mondiale di Calcio dei Lavoratori” rappresentò il primo grande evento sportivo dei lavoratori in opposizione al fascismo, con la partecipazione di socialdemocratici e comunisti e un’affluenza di 10.000 spettatori.
Le nazionali che vi parteciparono furono dodici, tra cui la Spagna, la Francia (ovviamente), la Norvegia e l’Inghilterra. Le squadre nazionali dell’RSI e i calciatori norvegesi della SASI furono protagonisti del torneo, che vide trionfare l’Unione Sovietica contro la Norvegia in una combattuta finale dal risultato netto: 3 a 0 per i vincitori, che purtroppo nessuno ricorda!
IL GIRONE AFRICANO
Una vera novità caratterizzò l’edizione dei mondiali 1934: la creazione del girone AsiaticoAfricano, che per la prima volta offrì la possibilità di qualificarsi per il torneo a una squadra non appartenente alle due tradizionali culle del calcio, Europa e America. Tre squadre si iscrissero a questo girone: Turchia, Egitto e la “Palestina”, rappresentante del territorio che sarebbe diventato Israele e Palestina dopo la Seconda guerra mondiale.