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Alla mia Alfy. Alla mia Nina.
La piccola Alfy e la grande Avventura di D.D. Bastian
Illustrazioni di Blu Pieraccioli © Stefano Romanini © Blu Pieraccioli per le illustrazioni
© 2025 Burno per questa edizione Tutti i diritti riservati.
Collana Illustrati, 2
Progetto grafco, impaginazione e cover design: Sebastiano Barcaroli
Illustrazione di copertina e quarta: Blu Pieraccioli Correzione bozze: Laura Locatelli
La foto di Alfy a pag. 150 è di © Sergio Izquierdo Stampato in Cina – settembre 2025
Burno
è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA)

A chiunque abbia mai aperto il proprio cuore a un essere indifeso, a chi ha saputo vedere la bellezza oltre le rughe.
Questo libro è un invito a scoprire la gioia immensa che si cela nell’adozione di un cane anziano, un atto di amore puro che regala una seconda possibilità a chi ne ha più bisogno.
L’amore non ha età e la gratitudine di un cuore non conosce confni.
Ogni cane merita una vita felice, un caldo abbraccio e un posto sicuro dove poter sentire amore.
D.D. Bastian

TACTACTAC!

«Un
altro colpettino e… ecco qua, ci siamo quasi!».
Lo scalpello di Bastian colpiva il legno con precisione. Anche se nella vita era impaziente, quando lavorava il legno nella sua bottega si trasformava: calmo e concentrato.
Amava scolpire piano, pezzetto dopo pezzetto, fno a dare vita a fgure uniche. Non importava quanto fosse duro il legno di cedro, lui continuava a intagliare, deciso a fnire ogni dettaglio.
C’era una cosa speciale che faceva sempre: in ogni sua creazione nascondeva un bufo animaletto arancione. Nessuno sapeva che tipo di animale fosse, ma c’era sempre. Era la sua frma segreta. Poteva intagliare la Natività o la bottega di un calzolaio: quell’animaletto sarebbe apparso comunque, nascosto in qualche angolo della scena.
Bastian viveva a Cusco con la sua famiglia ed era ormai conosciuto per i suoi bellissimi retablos1, in cui venivano scolpite nel legno e poi dipinte piccole scene di vita quotidiana. Aveva scoperto quest’arte da bambino, quando suo padre lo portò ad Ayacucho, una città famosa per questa forma unica di artigianato.
Quel giorno Bastian era rimasto incantato. Le minuscole fgure dentro le scatole di legno erano vive di colori: rosso, verde, giallo, blu… un arcobaleno che girava vorticoso sotto i suoi occhi. C’erano dettagli incredibili in ogni singolo punto di quei retablos: fruttivendole con braccialetti dorati, mele perfette con il gambo marrone e una fogliolina verde. Ogni cosa era riprodotta fedelmente.
Guardando quei capolavori, Bastian aveva capito cosa volesse fare nella vita: scolpire il legno e creare mondi in miniatura. Voleva lavorare con le mani sporche di segatura e con i colori che gli ballavano negli occhi. Era il suo sogno, e sapeva che l’avrebbe realizzato.
«Ecco qua, fnalmente ci siamo», sussurrò Bastian, concentrato sull’ultimo dettaglio: un ciufo della coda del suo misterioso animaletto arancione. Il suo nuovo retablo rappresentava una scena familiare: un picnic al parco, con una tovaglia stesa sull’erba, un cesto pieno di frutta fresca e persino un panettone e un vasetto di gelato. C’era anche una famiglia che giocava a palla, mentre sullo sfondo, tra gli alberi, doveva apparire l’animaletto dalla coda pelosa. Non era chiaro se fosse una volpe o una creatura immaginaria, ma il suo musetto allungato e le orecchie a punta non cambiavano mai: quella era la frma segreta di Bastian.
Soddisfatto, Bastian chiuse le fnestrelle colorate del retablo e lo sistemò con cura sulla mensola principale della bottega, insieme alle sue altre creazioni. C’erano scene di ogni tipo su quello scafale: los muertitos2 seduti in un salotto elegante, una bottega di calzolaio con scarpe e cappelli in fla, una fattoria con mucche e cavalli e persino lo studio di un avvocato, completo di scrivania piena di carte e di un quadretto con scritto “La legge non è uguale per tutti”.


L’odore
intenso del legno e il caldo del sole di mezzogiorno riempivano la bottega. Bastian si asciugò il sudore dalla fronte e si tolse il grembiule pieno di segatura.
Era un uomo alto e magro, con due grandi occhi verdi e dall’aria un po’ stralunata. Un ciufo di capelli castani gli ricadeva sulla fronte e un nasone “importante” svettava al centro del suo volto allungato.
Proprio in quel momento, sentì la voce cavernosa del suo amico
José provenire dalla libreria dall’altro lato della strada:
«Ehilà, Giotto, che ne dici di andare a mettere qualcosa sotto i denti? La signora Ana Maria ha preparato le patate alla huancaína3!».
«Guarda che Giotto non era uno scultore! Chiamami Michelangelo, piuttosto», rispose Bastian, ridendo.
I due si incontrarono sotto il sole accecante.
José, robusto e spettinato, si grattava il suo ciufo disordinato di capelli neri come quei personaggi dei manga giapponesi che hanno appena combinato un pasticcio.
Sorridendo con aria complice, chiese a Bastian: «Che mangiamo oggi?»
«Vada per una bella zuppa di verdure», propose l’artigiano.
José rise: «Mangi sempre la stessa zuppa! Presto ti spunteranno le foglie da quel nasone!».
Camminando insieme, raggiunsero la piccola tavola calda della signora Ana Maria, immersa in un paesaggio da cartolina. Era un posto semplice, con tavoli di legno e sedie di vimini. I lavoratori del quartiere lo afollavano ogni giorno per mangiare piatti caserecci senza spendere troppo.
Ana Maria, con gli occhi grigi e la lunga treccia nera, portò i piatti fumanti al loro tavolo. «Una patata alla huancaína e uno spezzatino di carne per il nostro libraio preferito, e la solita zuppa di verdure per il maestro dei retablos. Provecho4!».
Bastian e José si scambiarono uno sguardo e trattennero una risa-
ta. Ana Maria, divertita, li osservò con curiosità.
«Lascia stare, Anita, è una faccenda personale», spiegò José con un sorriso.
«Siamo proprio scontati», commentò Bastian, afondando il cucchiaio nella sua zuppa.
«Scontati o no, l’importante è avere la pancia piena», concluse José, gustando il suo spezzatino.
E così, tra legno, libri e piatti fumanti, la loro amicizia continuava a crescere, semplice e autentica come la vita a Cusco.
José si allontanò dal piatto ormai vuoto e si stiracchiò sulla sedia.
«Allora, hai programmi per domani sera? Magari possiamo organizzare qualcosa insieme».
Bastian rimase in silenzio per un attimo, fssando il proprio volto rifesso nel cucchiaio, poi tornò a concentrarsi sulla conversazione.
«Domani è sabato…»
«Dimenticavo. L’irrinunciabile serata con i tuoi migliori amici.
Come si chiamano?»
«Diana e Cesar».
«Diana e Cesar, giusto».
Bastian riprese a giocherellare con il cucchiaio. «Non sei spiritoso.
Il sabato sera è ormai una tradizione di famiglia. Nina e Sol lo aspettano con ansia».
José si accarezzò la pancia piena. «Hai ragione, con quei due pazzi in casa è impossibile non divertirsi».
Bastian sorrise. «Infatti. Sol è sempre euforica il sabato pomeriggio. Già dalla mattina, appena sveglia, comincia a pensare a nuovi giochi da inventare per Horacio e Jonas. Si potrebbe dire che sono i suoi migliori amici».
Horacio e Jonas erano i cani di Diana e Cesar. Horacio era un enorme golden retriever dal folto pelo giallo paglia. Amava sdraiarsi sul pavimento, controllare che tutto andasse bene e segnalare eventuali pericoli con il suo abbaiare imponente. I due amici lo chiamavano “El niño dorado”, anche se ormai era ben lontano dall’aspetto di un cucciolo.
Jonas, invece, era un incrocio tra un meticcio e un pastore tedesco. Aveva due orecchie enormi e un sorriso perenne, sia quando combinava guai sia quando mangiava o correva al piano di sopra.
Si diceva che le anime dei cani si reincarnassero in base alle esperienze vissute nelle vite precedenti. Se fosse stato vero, Horacio avrebbe avuto sicuramente l’anima di un vecchio saggio che aveva visto e vissuto di tutto. Jonas, invece, sembrava un’“anima nuova”, sempre afascinato da ciò che lo circondava, come se tutto fosse una continua scoperta.
Sol, la fglia di Bastian e Nina, impazziva di gioia ogni volta che li vedeva. Voleva un cane tutto suo, e le serate del sabato con Horacio e Jonas non facevano che aumentare il suo desiderio.
«Perché non le prendete un cane? Gli afari non ti vanno male», suggerì José.
«Non è una questione di soldi, ma di spazio. Il lavoro di Nina ci ha costretti a tre traslochi in quattro anni. E la nostra casa attuale non ha né giardino né balcone. Avere un cane ora sarebbe complicato».
José sorrise. «Se può aiutarla, ho qualche libro sui cani in libreria.
Magari le piaceranno».
Bastian scosse la testa. «Non è una gran lettrice come il papà. Preferisce le vecchie serie televisive degli anni Ottanta».
I due amici pagarono il conto e uscirono nel sole del primo pomeriggio. L’aria era calda e gli odori erano più intensi. Si salutarono e tornarono ciascuno al proprio negozio, pregustando l’arrivo del fne settimana.
Quando Bastian tornò a casa, sentì subito il volume altissimo della televisione. Sol era sdraiata a terra, a pancia in giù, con il viso appoggiato sulle mani. Indossava il suo pigiama preferito, quello verde con le facce di mucche scozzesi. I capelli castani raccolti in due codine saltellavano ad ogni suo movimento, e i suoi grandi occhi color ambra brillavano mentre guardava Alf, il bufo alieno peloso della vecchia serie tv. «Ciao, piccola gremlin, com’è andata la giornata?», chiese Bastian, dandole un bufetto sulla testa.
Sol lo guardò sorridendo, senza rispondere, rapita dalla scena in

cui Alf cantava una vecchia canzone rock con occhiali da sole scuri. Cominciò a ridere, come se non avesse mai visto quell’episodio, anche se probabilmente lo conosceva a memoria.
Bastian sorrise e andò in cucina, dove trovò sua moglie Nina intenta a preparare la cena. I suoi lunghi capelli neri le ricadevano sul piumino rosa che indossava ancora, nonostante il caldo.
«Sei diventata una vampira senza sangue? Come fai ad avere ancora il piumino addosso?», scherzò Bastian.
Nina alzò gli occhi al cielo. «Quando sono uscita stamattina faceva freddo!».
Sol gridò dalla stanza accanto: «I vampiri ce l’hanno, il sangue! Forse…».
Bastian e Nina risero, poi si scambiarono un bacio veloce. Si volevano molto bene e, nonostante le difcoltà, avevano sempre trovato il modo di restare uniti.
La loro quotidianità era fatta di piccoli momenti, rispettando ognuno lo spazio dell’altro. Nel tempo libero i due amavano stendersi sul lettone, ognuno con le proprie cose da fare: Bastian, immerso con la testa nei suoi libri; Nina, invece, a guardare nuovi anime giapponesi e a provare a convincere il marito a guardarli con lei. Quei piccoli ma preziosi attimi valevano più di tante cene costose al ristorante.
«Come sta andando l’ultimo retablo a cui stavi lavorando? Come sta il mostriciattolo arancione?», domandò Nina.
«Sta venendo una meraviglia. Oggi ho cominciato a intagliare l’ultimo dettaglio, domani gli do una ripulita e poi è pronto».

Durante la cena, Sol stilò una lista dei giochi che avrebbe fatto con Horacio e Jonas. Simulava il gesto di abbracciarli, immaginando di stringerli forte quando li avrebbe rivisti.
Nina intervenne con dolcezza: «Non devi esagerare. Sono cani grandi e potrebbero infastidirsi».
Sol si irrigidì. «Non esagero! Loro mi adorano».
Bastian, prevedendo dove sarebbe andata a fnire la conversazione, mormorò: «Ora lo dice…».
Sol incrociò le braccia. «Se non volete che dia fastidio a Horacio e Jonas, perché non mi comprate un cane tutto mio?».
Nina sospirò, ormai abituata a quella richiesta. «Sol, ne abbiamo già parlato mille volte. Non possiamo prenderne uno, ora».
Sol sbufò ma non replicò. Sapeva che una protesta più decisa le sarebbe costata la serata con i cani.
«Le passerà. I bambini si stancano facilmente e saltano da una passione all’altra».
Nina si limitò a sussurrare quella frase nell’orecchio del marito. Sapeva già che una parola di troppo avrebbe riaperto scenari e discussioni senza soluzione.

