Nickname Bud Spencer

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Nickname Bud Spencer di Bud Spencer con Lorenzo De Luca

© 2025 Burno per questa edizione Tutti i diritti riservati Collana Grandi, 4

Progetto grafco e cover design: Sebastiano Barcaroli

Immagine di cover: © Alamy

Impaginazione: Ruslan Viviano

Correzione bozze: Laura Locatelli Stampato in Cina – novembre 2025 Burno

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BUD SPENCER – LORENZO DE LUCA

NICKNAME BUD SPENCER

Prologo

«C’era una volta…».

No, il “c’era una volta” non funziona, mica è una faba, sto parlando di me stesso e non in terza persona. Vediamo un po’…

«C’ero una volta…».

No, nemmeno questa va bene: ci sono anche oggi e mi auguro di esserci ancora per un po’.

«Ben trovati, cari amici».

…No, questa è anche peggio: sembro un presentatore di televendite. Uhm… Ah sì, ci sono, eccola: «Scommetto che non sapete cosa mi è capitato…».

E certo che non lo sanno, altrimenti non avrebbero comprato il libro. E poi potrebbero anche rispondermi con un proverbiale “Futtetenne!”.

In fondo, tutto ciò che ho fatto nei miei ottantacinque anni è un prologo abbastanza corposo e che forse già conoscete, perciò saltiamo direttamente al primo capitolo.

Capitolo 1:

Perché ho saltato il prologo?…

…Be’, perché, a meno che uno non scriva un romanzo o un saggio di eventi storici, un prologo su un’autobiografa o su un resoconto di cose quotidiane di Bud Spencer, anche quando l’ho messo, mi è sempre parso un po’ ridicolo, per quel senso della decenza che da sempre mi accompagna.

Parlo ovviamente solo per me, ché nei libri degli scrittori autentici, prologhi, epiloghi ecc. sono sacrosanti, ma io non mi reputo tale. Sto ancora imparando a scrivere.

Sono soltanto un uomo – e, pubblicamente parlando, un personaggio – che ha avuto la fortuna di guadagnare un numero non quantifcabile di fan sparsi un po’ per tutto il globo terrestre; il loro numero virtuale si può invece quantifcare in quasi un milione di “Mi piace” sul social network che per comodità chiamerò FaceBud, dove campeggia il mio faccione sulla pagina ufciale, da pochi mesi.

Mr. Bud, lei mi ha regalato centinaia di ore felici.

Mi sono tatuato la sua faccia sulla schiena.

Ho dipinto il suo nome sulla pancia gravida di mia moglie, al settimo mese.

Da piccolo sognavo di svegliarmi alla mattina e di guardarmi nello specchio scoprendo che ero diventato grosso e forte come te.

Nickname: Bud Spencer

Che dovrei dire davanti a questi e ad altri messaggi, alcuni accompagnati da altrettante foto, che mi arrivano ogni giorno da tutti gli angoli del mondo?

Sinceramente non so cosa pensare di tutte queste espressioni di affetto, anche se l’esperienza mi ha insegnato che la vita è proprio questo: spesso succede quello che non ti aspetti e visto che le sorprese non sono sempre positive – specialmente andando avanti con gli anni – bisogna godere con tutti i sensi di ciò che di buono ci arriva.

Quando mio nipote Alessandro mi ha detto che presto raggiungeremo un milione di “Mi piace”, un traguardo che neppure le giovani star della musica o dello sport ottengono facilmente in così pochi giorni, prima mi sono divertito pensando: A chi può interessare ancora del destino di un uomo di ottantacinque anni?; poi il mio cervello, che di anni si ostina ad averne solo ventotto, lo ha preso come un altro record da raggiungere e così mi sono concentrato di più sui miei sostenitori, cioè su tutti voi.

Un milione di “Mi piace”. Non è poco, dirà qualcuno; roba da matti, dirà qualcun altro.

Ma ciò non giustifca il montarsi la testa.

Nella sua autobiogra f a, Marlon Brando – forse il più grande attore cinematogra f co di sempre – si dichiarò molto imbarazzato nel sentirsi de f nire “artista”, poiché ciò avrebbe signi f cato essere a corto di aggettivi quando si fosse trattato di de f nire gente come Beethoven o Michelangelo, che più di tutti meritano la quali f ca di artisti. Caro Marlon, nel mio piccolissimo concordo con te, ovunque tu sia ora, magari proprio assieme a quei sommi artisti al cui confronto ti sminuivi.

E poi, nei miei libri precedenti ho rispettato la struttura classica; chi li ha letti sa già data di nascita, aneddoti e memorie narrati nei primi due volumi, nonché le farneticazioni flosofche da dieta imposta (da mia moglie!) del terzo.

Capitolo 1: Perché ho saltato il prologo?…

Ma, questa volta, la cosa che mi accingo a raccontare è così bizzarra ed eterogenea che è inutile perdere tempo con il prologo: Bud Spencer, si sa, va per le spicce e passa subito all’azione.

Del resto, quando rileggo ciò che scrivo, io lo faccio fngendomi sempre un po’ Banana Joe, il protagonista del mio omonimo flm: nel senso che antepongo a tutto la semplicità. Naturalmente so che i miei lettori sono assai più intelligenti di Banana Joe, ma per me l’immediatezza della narrazione è basilare, perché parto dal presupposto che i tempi pazzi in cui siamo immersi non ci consentano purtroppo di dedicare ore e ore alla lettura.

Anche per questo, ne sono convinto, i social network hanno tanto successo. Sono immediati, diretti e democratici, anche se purtroppo Internet e cellulari ci hanno un po’ disabituati a periodi letterari lunghi in favore di concetti sinteticamente espressi nello spazio di un “sms”, di un “post” o di un “tweet”.

Siamo nell’era dove con un “clic” si è connessi al mondo, qui si vive in velocità.

E io che veloce non lo sono più da quando vesto i panni e i chilogrammi di Bud Spencer, fatico a adeguarmi. L’unica ebbrezza della velocità l’ho provata in gioventù come nuotatore da record, ma è una storia che immagino già conosciate. Bud è entrato assieme a voi nel terzo millennio alla tenera età di settantuno anni, e oggi che ne ha “solo” ottantacinque eccolo tecnologizzato e seduto davanti al “display” del “pc”.

Ma sapete una cosa?

Inizio a prenderci gusto, perfno io che, a causa dei miei ditoni, facevo a botte con i tasti del telecomando della televisione. Figuratevi come guardo i supporti per la telefonia sempre più piccoli, digitalizzati, facilissimi da spaccare se non sto attento alla pressione di pollice e indice.

Per non parlare del computer, che per me da giovane era solo un termine udito in qualche flm di fantascienza. Mi era parso altrettanto

Nickname: Bud Spencer

fantascientifco che un dì tutti ne avremmo avuto uno in casa; non ero un’aquila di lungimiranza, bensì la riprova che gli elementi più comuni nell’universo sono l’idrogeno e la stupidità.

Dato però che Bud Spencer non è famoso per il suo qi, confdo che perdoniate questa mia stupidità perdurante in fatto di futuribilità.

Però, se tale profezia me l’avessero fatta nel 1968, all’indomani di 2001: Odissea nello spazio di quel grande genio del cinema che era Kubrick, non so se ne avrei gioito: sappiamo tutti quale sterminatore diventerà il super-calcolatore HAL 9000, quando deciderà di far fuori tutto l’equipaggio di cosmonauti, no?

Era il solito paradigma dell’uomo che escogita conquiste scientifche che poi non sa controllare, come già ci dicevano i romanzi dell’Ottocento come Il dottor Jekyll e Mr. Hyde di Stevenson, dove il probo Jekyll escogitava il siero capace di dividere ciò che c’è di buono da ciò che c’è di malvagio in un uomo, ma non calcolava le conseguenze della sua scoperta collaudata su sé stesso, con il risultato d’una discesa nello psico-incubo, nella quale Stevenson, che era scozzese, non risparmiava nulla al lettore… e poi dicono che gli scozzesi sono tirchi.

E, a proposito del primo, mi riviene in mente una cosa: quanti di voi sanno che uno dei progetti irrealizzati con me e Terence era proprio la versione comica di Jekyll?

Il bel dottore buono e bravo avrebbe dovuto essere il mio amico dagli occhi cerulei e il fsico smagliante, ma, bevuta la fatidica pozione alchemica atta a separare il bene dal male… Jekyll si trasformava in me.

Bud era Hyde, il lato oscuro della luna, l’altra metà della mela, il demone interiore di Jekyll.

Naturalmente sarebbe stato un Hyde da ridere, ma il flm non si fece anche perché né io né Terence volevamo rappresentare il male. A pensarci oggi, sarebbe bastato un semplice trucco di sceneggiatura per risolvere il nostro problema etico e morale: invece di fare di Hyde un assassino crudele, come nel romanzo, sarebbe bastato renderlo l’antitesi di Jekyll: là dove il biondo Terence era atletico, io, con tutta

Capitolo 1: Perché ho saltato il prologo?…

evidenza, non lo ero; lui era temerario, sagace, io invece pigro e un po’ tonto; lui refrattario alla violenza, io invece ben lieto di tirare cazzottoni a chi se lo meritava.

Sarebbe bastato giocare ancora di più sulla dicotomia che già ci caratterizzava nei Trinità, esasperandola, un po’ come avremmo fatto poi in Non c’è due senza quattro, ma chissà perché l’idea non ci venne o forse entrarono in gioco altre problematiche, ora non ricordo.

Si vede che era destino non si facesse.

Tornando al rapporto fra letteratura e futuribile, non posso non citare Jules Verne, che, diversamente da Stevenson, era un positivo e vedeva la conquista scientifca come foriera di cose meravigliose.

E voi che avete probabilmente un’età e una memoria più fresche delle mie, vi ricorderete Dalla Terra alla Luna, Viaggio al centro della Terra e gli altri capolavori del francese che rischiò di lasciarci a bocca asciutta se avesse seguito le orme paterne come avvocato.

Disobbedire al papà, qualche volta, porta bene non solo a chi lo fa, ma anche al mondo intero.

Il guaio è che non puoi saperlo mai PRIMA, solo dopo.

Ma io che per tecnologia intendo al massimo i motori degli aerei e delle barche – unico argomento che mi teneva sveglio anche di notte, con scarsa felicità di mia moglie che non riusciva a dormire per via dell’abat-jour accesa sul comodino – che cavolo potrei raccontare di anche lontanamente entusiasmante rispetto alle opere dei suddetti o dei più recenti scrittori del cosiddetto “cyberpunk”?

Che, per esempio, la mia casa è collegata a un computer sofsticatissimo che di colpo è impazzito imprigionandomi dentro? No, fa troppo b-movie americano, di quelli sulla paranoia-spettacolo.

Che ho instaurato un rapporto umano con il pc, diventando così un simbolo dell’alienazione dell’uomo moderno? No, sembra una di quelle trame da flm d’autore, spesso ottimi come sostituti dei sonniferi.

Non ho cose sensazionali nel senso efettistico ed efettato del termine da raccontarvi, ma, anche se può sembrare strano, un’avventura

Nickname: Bud Spencer

“internettara” è capitata anche a me, e neanche tanto piccola, poi! Nel mio caso più che di fantascienza si potrebbe parlare di “fantacoscienza”, giacché la tecnologia m’è servita unicamente per approfondire un viaggio nel cuore dell’essere umano, rispecchiando nelle mie vicissitudini quelle di alcuni amici di social network, e rifettendo le mie nelle loro.

Questo, sì, mi ha sempre interessato molto, f n dai miei studi di f loso f a.

Che sia per mezzo di epistole come facevamo nei secoli scorsi (ma ancora mi arrivano migliaia di lettere da tutto il mondo, anche dalla Cina!) oppure attraverso i fax e poi le mail e ancora i cosiddetti “social” e chissà ancora quanti e diversi modi nel futuro, l’importante è approfondire i rapporti e ricercare gli aspetti interessanti dell’animo umano. Se poi lo facciamo davanti a una bella bistecca o a un piattone di spaghetti al pomodoro e senza fltri tecnologici, allora è ancora meglio.

Giacché ogni viaggio, che sia a bordo di un’astronave o via qwerty, fnisce sempre per essere un’esplorazione di quell’universo che è lo spirito umano, che già il buon vecchio Socrate tentava di capire preferendolo all’interrogarsi sugli astri.

Nel caso mio, poi, tale viaggio è anche un modo per approfondire alcuni temi a me cari, e se è vero che nessun uomo è un’isola, ecco allora che parlando di me inevitabilmente parlerò anche un po’ di voi e, viceversa, nel parlarmi di voi tramite i messaggi sul social network o le lettere cartacee da tutto il mondo, fnite sempre per parlarmi anche un po’ di me stesso.

E visto che mentre leggerete queste pagine avrò già compiuto ottantasei primavere, è forse giusto mettervi a disposizione quelle due o tremila cose che ho imparato dalla vita.

Che poi ciò avvenga attraverso un libro o il computer, poco conta: la tecnologia è sempre un mezzo, non un fne, e vorrei che tanti giovani troppo rapiti dall’ebbrezza tecnologica se ne ricordassero, così da

Capitolo 1: Perché ho saltato il prologo?…

non caderne prigionieri e instupidirsi sui tastini: il mezzo è sempre e solo un segno dei tempi e basta, non una deità.

Ciò che oggi è sbalorditivo un giorno sarà obsoleto, così come tutto ciò che oggi è antico fu nuovissimo un tempo. Gli unici linguaggi davvero universali, se ci fate caso, sono la matematica e la musica: entrambi evolutisi nel tempo, iniziano il loro percorso sempre dagli stessi numeri o dalle sette note e ci consentono ancora di comunicare ad ogni livello.

La matematica, con la quale gli scienziati cercano di spiegare l’universo, è strettamente imparentata alla musica, lo sappiamo. Io adoro la musica, la matematica la lascio volentieri ad altri, perciò ora bando alle ciance e cominciamo… anche perché mi rendo conto or ora che questo primo capitolo è praticamente il prologo che non mi era venuto prima.

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

Ma tu sei il vero Bud Spencer?

Questa giusta domanda me l’hanno rivolta, poiché sui social qualcuno aveva aperto pagine non autorizzate da me, con link a siti Web anch’essi non autorizzati ma mostranti il mio faccione, raccogliendo una miriade di contatti senza mai dichiarare esplicitamente se si trattava di un tribute o del Bud autentico.

Qualcun altro, più furbetto, addirittura continua a ingannare i miei fan per vendere gadget con il mio nome e la mia immagine.

Un po’ per pigrizia e un po’ perché, in fondo, anche queste erano manifestazioni d’afetto, non me ne curai. In America, le star di Hollywood avrebbero subito fatto partire lettere di avvocati, ma io sono napoletano e ho già avuto la mia buona dose di fortuna nella vita. E poi per fare queste cose ci vuole la “tigna”, cioè una caparbia costanza, e io nemmeno questa ho, sennò avrei fatto l’avvocato o il commerciante.

Però, quando account e siti a mio nome iniziarono a moltiplicarsi, perfno un orso pigro come me ha dovuto rifettere su tutti questi Doppelgänger, termine tedesco che sta per “doppio viandante”: un sosia che ciascuno di noi avrebbe nel mondo e che assume un signifcato di sinistro presagio, se lo si incontra. Ma io sui presagi reagisco di solito con uno sbufo annoiato, ognuno creda a ciò che vuole; e se poi fosse vero

Nickname: Bud Spencer

che abbiamo tutti un sosia, la popolazione della Terra dovrebbe essere di oltre dodici miliardi, e questa pallina azzurra dispersa nell’universo mi pare un po’ troppo piccola per contenere tutti questi originali e le loro fotocopie genetiche, non so cosa ne pensiate voi.

I doppioni, comunque, mi hanno sempre allungato la vita.

Infatti, nel 1974, mentre giravo con il mio amico Terence Porgi l’altra guancia, e nelle sale c’erano già alcune coppie di imitatori che rifacevano il verso a me e a Terence, scopersi di avere un brutto male che metteva seriamente a repentaglio la mia vita. Destino e ottimismo lavorarono dalla mia parte, e, così come era venuto, l’intruso malefco nel mio corpicino delicato svanì.

Ma col senno di poi potrei dire che furono anche gli imitatori di Bud a portare fortuna all’originale; ipotesi raforzata dal fatto che pochi mesi fa sono incorso in un altro malanno, una forte emorragia interna che ha rischiato di mettermi knock out, e, chissà, oltre alla solerzia di mia moglie nell’allertare i soccorsi, può avermi portato nuovamente fortuna il fatto che al contempo circolassero su Internet altri Doppelgänger di Bud Spencer proprio come negli anni Settanta circolavano al cinema.

A proposito di portare fortuna: sapete quante volte hanno annunciato la mia scomparsa da questa Terra sui social network?

Certo, prima o poi dovrà accadere, è un fatto che ho messo in conto da quando con uno schiafetto un’ostetrica mi ha provocato il primo vagito in quel lontano 31 ottobre del 1929. Qualcuno disse che dalla vita non si esce vivi, e io concordo. L’importante però è che l’esistenza non si riduca a un mero susseguirsi di giorni, gli uni uguali agli altri, senza un vero contenuto. La mia famiglia direbbe che, ancora una volta, sono stato un “marziano” perché ragiono in una maniera un po’ fuori dal comune.

Pensando ai marziani, ricorderete sicuramente L’invasione degli ultracorpi, quel flm dove da dei misteriosi semi extraterrestri sbocciavano sosia capaci di replicare in ogni dettaglio i Terrestri, salvo che nella

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

capacità di provare emozioni. A parte la solita ingenuità un po’ bufa degli americani (il protagonista si insospettisce perché un bambino non vuole andare a scuola… Alla faccia! Trovatemi un bambino che sia felicissimo di andare a scuola!), ho citato questo flm perché a volte mi capita di pensare che i nostri doppi internettiani, questi “avatar” o come diavolo si chiamano, un po’ somiglino a quell’invasione.

È come se fossimo diventati gli extraterrestri di noi stessi, ma con la diferenza che, di emozioni, i nostri cloni virtuali non sono avari, anzi: liti furibonde e amori altrettanto passionali scoppiano proprio sul Web, fra persone che trovano il coraggio di dirsi cose che dal vivo non oserebbero, e quando sento di coppie che si sposano dopo essersi conosciute in rete o di querele fra gente che s’è insultata via social, mi scopro più indulgente pensando che non c’è diferenza fra chi conosce il suo futuro partner a una festa, o fra chi tira un cazzotto a un altro al bar per una discussione sullo sport.

Incredibile, mi sto davvero modernizzando. In fondo sempre piazze sono, virtuali o reali.

E la preponderante percentuale di matrimoni nati e fniti male quando il pc ancora non esisteva, tutto sommato scagiona dai pregiudizi le relazioni che nascono pigiando “Invio”.

Un po’ come le amicizie.

Certe durano una vita, cert’altre si perdono strada facendo, poco importa se l’amico o l’amica sono in carne e ossa o solo delle foto sul display, di cui mai udrai il reale suono della voce.

Io ho tutta una mia idea sull’amicizia e penso che nella vita gli amici veri si contino davvero sulle dita di una mano. La maggior parte delle amicizie nasce nei primi anni della scuola e talvolta sono quelle che non si perdono mai anche se si intraprendono cammini separati. Poi, molto raramente, può capitare di fare incontri davvero inattesi con persone che hanno destini comuni ai nostri. A me è capitato con Terence e ho più volte raccontato com’è successo, ma di questo riparleremo abbondantemente più avanti.

Nickname: Bud Spencer

La domanda che mi pongo ora è la seguente: perché una persona che non conosco, cioè un’entità più che una persona, mi chiede l’“amicizia” su Internet? Perché da un giorno all’altro, senza che io ci abbia scambiato una parola, mi chiama “amico”? E perché dovrei considerarlo tale?

L’amicizia è un valore che si costruisce condividendo esperienze, non può nascere su uno schermo asettico. Eppure sappiamo di gente che, se si vede tagliata fuori da un forum o da una community, ne fa una tragedia. Anche a livello psicologico.

È davvero diventato tutto così superfciale o sono io che sto invecchiando?

È una di quelle cose che io, per quanto mi sforzi, proprio non riesco a comprendere del tutto, il che forse dimostra, nonostante i miei proclami, quanto Bud appartenga più al xx che non al xxi secolo (ma nel xx secolo la mia famiglia diceva che non appartenevo neanche a quello, a causa del mio modo spontaneamente anomalo di afrontare le cose… Boh! Forse io non ce l’ho un secolo, e proprio per questo mi adeguo a tutti).

È stata proprio la legione di Bud Spencer dei non autorizzati che un bel giorno mi ha convinto ad aprire una “Ofcial Page” su uno dei social network più difusi e a cominciare a dialogare direttamente con chi mi vuole bene in giro per il mondo, i miei nuovi amici.

Ebbene sì.

Sono proprio io che vi leggo e cerco il più possibile di rispondervi anche se siete davvero tanti. È davvero stimolante e divertente ricevere tanti messaggi e pensieri, per fortuna sempre positivi, anche se davvero qualcuno ogni tanto esagera.

Per esempio, una “amica” brasiliana, che poi mi è venuta a trovare a Roma con il marito, mi mandava delle foto in cui era ritratta con il pancione di nove mesi mentre faceva “vedere” al nascituro i flm di Bud Spencer e Terence Hill convinta che fossero istruttivi per il piccolo. Voleva che il bambino nascesse con i nostri valori e i nostri principi.

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

Il bambino poi è nato e spero che lei non gli abbia dato subito un pugno in testa.

Siete matti ma vi voglio bene.

E poi uno che chiamano “il marziano” non può dare del matto proprio a nessuno.

Titillato e pungolato, lo ammetto, non dal mio ego, che è troppo sonnacchioso e ammalato di decenza, ma dal mio solerte fglio Giuseppe, produttore cinematografco sempre attento a cogliere le novità della società che cambia, avevo anche la necessità di spiegare chi fosse l’originale e chi il Bud Spencer fnto. Non avendo mai blufato con il mio pubblico in quasi cinquant’anni di carriera, non potevo certo lasciare che qualcun altro lo ingannasse.

Sulle prime risposi a mio fglio: «Ma con tutti i sosia miei su Internet, non è che poi rischio di passare inosservato proprio io?».

Ripensavo a quella famosa gara, indetta all’epoca del cinema muto, sui sosia di Charlot, alias Charlie Chaplin: per stare al gioco si presentò anche lui truccato con bafetti e bombetta… e non fu riconosciuto. Vinse un altro che alla giuria parve più vero dell’originale. Be’, fatte le dovute proporzioni fra me e quel genio poliedrico di Chaplin – attore, regista, sceneggiatore, musicista, acrobata e inventore dei suoi flm, non solo personaggio come me – il rischio di infazione dell’immagine però era identico.

E, nel mio caso, addirittura superiore: non per ragioni di importanza mia rispetto a Chaplin, non bestemmiamo, ma per il semplice fatto che sono più contemporaneo all’oggi di lui, meno “antico” agli occhi dei giovani.

Giuseppe, al solito insopportabilmente svizzero rispetto a me sulla precisione, sapeva che bastava aggiungere la dicitura Ofcial Page per evitare rischi.

Non solo, ma mi ricordò una costante della mia carriera che io tendo a sottovalutare: il pubblico, e questo in tutto il mondo, ha sempre saputo discernere me dai sosia, anche negli anni in cui la stampa non dava grande importanza agli attori di cinema commerciale e non riempiva paginate con notizie biografche su di loro.

Nickname: Bud Spencer

Molti dei nostri fan nemmeno sapevano che io ero napoletano e Terence italo-tedesco, e non gliene fregava giustamente nulla.

Ma seppero sempre distinguerci dai sosia, perfno quando il make-up e addirittura i doppiatori delle voci di questi cloni erano gli stessi nostri.

«È che tu, caro papà, non ti ricordi di quella volta, più di trent’anni fa, in cui sono inciampato in Paul Smith che frmava autograf spacciandosi per te, in un bar qui a Roma», mi rammenta Giuseppe.

«Ma non è quel bravissimo caratterista che faceva l’aguzzino turco in Fuga di mezzanotte?».

«Esatto, ma all’epoca girava alcuni flm clonati dai tuoi, sia quelli in coppia con Terence Hill che i Piedone… solo che i suoi si intitolavano Manone. E qualche ragazzino che lo aveva confuso con te si mise a gridare “Bud Spencer! Bud Spencer!”… Io, senza dirgli chi ero, mi sono avvicinato in mezzo agli altri e gli ho chiesto: “Bud, lo fai anche a me l’autografo?”… e lui me lo ha fatto. Firmava come se fosse te, per non deludere i bambini sorridenti che lo attorniavano, di certo non per usurparti».

Porca miseria! Per quanto detesti dargli ragione, Giuseppe stavolta l’aveva.

Ma se qualche bambino poteva confondermi con un sosia visto per strada, al cinema non accadde mai: altrimenti le pellicole-clone avrebbero frantumato gli stessi record degli originali. Invece, per fare un esempio, il sequel di Anche gli angeli mangiano fagioli, cioè Anche gli angeli tirano di destro, nel quale io non apparivo, non ebbe fortuna. I miei fan hanno sempre avuto un sesto senso per discernere le imitazioni. Okay, Giuseppe mi aveva convinto e mi sono messo su Internet.

È bastato attendere che il passaparola facesse il suo corso ed ecco che la pagina è rapidamente cresciuta a livelli esponenziali, conquistando amici da posti di cui non saprei nemmeno scrivere i nomi.

Potenza del progresso? Non solo, perché non succede a tutti quelli che si mettono a comunicare su Internet.

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

C’è qualcosa di più ma io ancora non l’ho capito, e forse è meglio così: se capissi tutto la vita sarebbe assai meno divertente.

Eppure devo dire che il meccanismo mi ha subito coinvolto e, con un pizzico d’immodestia, l’idea che migliaia di persone volessero mettersi in contatto personalmente con me ha cominciato presto a inorgoglirmi.

Ben lontani i tempi in cui le lettere che l’allora mia fdanzatina

Maria mi scriveva dall’Italia al Venezuela, dove lavoravo come operaio, impiegavano mesi per arrivare.

Oggi voi giovani – lo so che di Internet ne usufruiscono tutti, ma voi sicuramente di più e più spesso – avete questo incredibile strumento di keep in touch, con un tastino vi connette magari a un pastore della Mongolia… Anche se poi voglio vedere di che cavolo potete parlare con un pastore mongolo.

Ma, insomma, tutto il mondo è connesso, sempre, e la gara è a farlo sempre più velocemente.

Il che genera, fra i tanti efetti positivi, anche uno irritante, almeno per il sottoscritto, e cioè quell’efetto che leggevo negli occhi dei miei cinque nipoti, e che io defnirei “divertito scetticismo”. Mi spiego meglio: sto parlando del tipo di spocchia con cui il giovanissimo, capace di inviare sms e post in un nanosecondo, guarda il suo nonnetto.

I “nipotini” avevano contribuito loro stessi a creare la mia Ofcial Page, e ora a turno mi guardavano dall’alto al basso – e data la mia statura non è facile – come a dire che non basta avere una bicicletta se non sai pedalare. Potevo quasi sentire il loro pensiero: Come faresti a rispondere ai tuoi fan se, giusto per scherzo, tutti noi ti boicottassimo lasciandoti solo soletto davanti al PC?

Anch’io me li guardavo con un sogghigno, come a dire: Siete invidiosi perché nessuno di voi ha raggiunto in pochi mesi oltre settecentomila “Like”. Siccome era una di quelle giornate in cui una sfda, anche solo allusa, mi trovava pronto a raccoglierla, un po’ per smentirli e

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sorprenderli, e anche per passare il tempo, mi sono seduto davanti al computer, armato di pazienza e occhiali da vista.

E di un chilo di noccioline già sgusciate, che ogni tanto raccoglievo a manciate dalla zuppiera accanto al pc.

Se fossero stati fagioli da mangiare con il cucchiaio di legno, ancora meglio: ormai le distanze fra Bud Spencer così come il pubblico lo immagina e il vero Carlo Pedersoli si erano annullate a favore del primo.

Ho cominciato dalla cosa più semplice, postare il buongiorno mattutino in lingua sia italica che inglese… e ci ho messo solamente un quarto d’ora!

Mi sentivo un uomo realizzato, una nuova promessa dell’informatica, ero pronto a ofrirmi per smaltire la posta di Zuckerberg qualora fosse stato troppo impegnato. La difcoltà non stava tanto nell’azzeccare le lettere sulla tastiera, quanto nella già menzionata eccedenza dei miei ditoni rispetto ai tastini.

Vedere apparire in pochi minuti una miriade di risposte e saluti dai vari paesi mi ha dato nuovi stimoli: ecco che fnalmente anche Bud era connesso al mondo in tempo reale con la stessa velocità con cui si “connetteva” a una bella mangiata. Esausto dall’erculea fatica, mi sono tamponato il sudore sulla fronte, ho respirato profondamente e ho tracannato un litro d’acqua per la disidratazione.

Ironia a parte, la cosa mi è piaciuta, mi parve una piccola conquista e la riprova, come diceva il grande commediografo italiano Eduardo De Filippo, che gli esami non fniscono mai. E poi era bello scoprire che quel “coso” elettronico che prima guardavo malissimo – anche perché sono miope – ora iniziava a starmi simpatico.

Se ne sarebbe avvantaggiata la mia invisibile, per voi, ma leggendaria, per me, assistente Nelly, che si era sempre presa la briga di incollare francobolli alle lettere dei fan da tutto il mondo.

Ma ero un ingenuo a montarmi la testa per quel battesimo internettiano. La mia iniziazione virtuale attendeva ben più dure prove e si

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

sarebbe rivelata meno facile nel caso in cui avessi dovuto postare commenti e aneddoti con un numero maggiore di vocaboli.

Ero pronto ad arrendermi, delegando tutto alla compassione di fgli e nipoti, limitandomi a riferire ciò che loro avrebbero poi digitato.

Ci ho dormito su cullandomi al motto di Via col vento: “Domani è un altro giorno!”… ma mi ci vedete a fare Rossella O’Hara? Nella vita, come dico sempre, potevo fare tutto tranne due cose: il ballerino in tutù e il fantino… e anche Rossella mi era preclusa.

Quel buon adagio napoletano, quel “Futtetenne!” che mi accompagna da una vita, in questo caso si rivelava solo un palliativo perché proprio non riuscivo a fregarmene di non saper digitare i post e inserirli sulla pagina. E la colpa del mio senso di colpa (perdonate il gioco di parole) eravate proprio voi. O, per lo meno, quelli che fra voi stavano sul social a “parlare” con me.

Le foto dei fan, quei quadratini che ad ogni nome o nickname davano un volto, mi avevano intenerito, anche un pochino commosso. Pensavo e ripensavo a questa gente distante, addirittura lontanissima, alla quale mai nella vita avrei potuto stringere la mano, che si era presa il disturbo di iscriversi alla pagina per manifestarmi afetto, e mi pesava non poterlo ricambiare uno per uno.

I “supporter” che vengono a trovarmi in carne e ossa, non di rado prendendo l’aereo dall’estero, mi dimostrano un afetto che mi tocca profondamente.

Jorgo, per esempio, un ragazzo privo di vista sin dalla nascita che ama il mio personaggio e lo vede con il cuore, mi ha comunicato le sue emozioni in relazione ad alcuni dei miei f lm che gli sono piaciuti, descrivendomi cose che mi hanno sorpreso. È arrivato a Roma dalla Germania con una f sarmonica e ha suonato per me alcune canzoni tratte dalle colonne sonore dei miei f lm e le abbiamo cantate assieme.

Quando ci siamo stretti la mano mi ha trasmesso una forte energia. È proprio vero che il cuore ha una seconda vista.

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Incontri del genere quasi mi emozionano al punto che mi intimidiscono e mi fanno provare un senso di responsabilità per quanti, nei miei flm, trovano qualcosa che va oltre le risate e il semplice intrattenimento.

E non è casuale che quel qualcosa ce lo trovino perché v’era stato messo apposta, giacché sia da solo che in coppia con Terence – e anche con il compianto Giuliano Gemma nella nostra unica occasione insieme, il già citato Anche gli angeli mangiano fagioli – il criterio di scegliere e accettare i copioni è stato sempre improntato ai profondi valori positivi che li sottendevano.

Il compenso economico è sempre venuto per secondo.

Quando, per scioccare il pubblico, qualche regista o produttore mi ha proposto ruoli diversi da quello al quale il pubblico s’era afezionato, ho sempre rifutato, poco importava la cifra ofertami per abdicare al mio personaggio o quanto prestigioso fosse il regista.

All’epoca in cui tanti attori avrebbero fatto carte false per lavorare con Fellini, io gli risposi di no: il flm era Satyricon, e il grande premio Oscar che tutto il mondo giustamente ci invidiava mi voleva nel ruolo di un imperatore che fa il bagno nudo in una vasca piena di puttini. Io nudo, a parte le foto di quando avevo pochi mesi, non sono mai apparso. Non me la sentivo, quantunque l’attenzione di cui Fellini mi aveva immeritatamente degnato mi lusingava, e molto.

Lo stesso accadde quando, nel 1979, il grande produttore Dino De Laurentiis mi propose il ruolo dell’uomo-falco nella trasposizione cinematografca del fumetto Flash Gordon, accanto a nomi quali Max von Sydow, Mariangela Melato, Ornella Muti e Timothy Dalton. Mi ofrì molti soldi per dare maggior valore commerciale al flm in Europa, dove ero già famoso da tanti anni, dicendomi che avrei probabilmente avuto accesso al mercato americano, anche se i western che avevo girato con Terence agli inizi erano stati distribuiti negli States, soprattutto nei drive-in che oggi non esistono più.

Ma non lo accettai e il mio ruolo andò a Brian Blessed, un attore a me somigliante e molto apprezzato in Inghilterra, che lo fece magnifcamente.

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

Non mi sono mai pentito di averlo rifutato anche perché il flm ebbe un impatto al di sotto delle aspettative, nonostante una confezione di lusso e una colonna sonora curata addirittura dai Queen, con l’indimenticabile voce di Freddie Mercury.

Ero fatto così: mi sentivo molto meglio facendo bene il mio ruolo in flm italiani che sbagliando con personaggi a me estranei nei “kolossal” hollywoodiani o nel cinema autoriale. E sono sicuro che il pubblico ha sempre apprezzato questa mia coerenza. Ci furono anche altri rifuti, e tutti dettati non da sdegnosità – ci mancherebbe – ma proprio dal mio senso del ridicolo, del limite, del non andare oltre quello che so fare: in una parola, dal mio personale concetto di decenza.

Tanti grandi attori amano trasgredire, perché sono versatili, ma io, che mi ritengo più una maschera che non un attore, e Terence, che lo è sul serio, ci siamo sempre andati cauti nell’accettare le oferte che ci piovevano addosso, perché l’afetto degli spettatori, la loro libertà di portare al cinema i fgli senza avere brutte sorprese ci parevano un dono delicato, da preservare. E Terence, anche quando si è cimentato in flm da solo, non è mai venuto meno all’immagine dell’eroe un po’ spaccone quando vede una ragazza, ma sempre simpatico e altruista, che il pubblico già conosceva.

Io ho cercato di fare sempre altrettanto, infschiandomene se ciò portava la critica cinematografca a darmi del ripetitivo, accusa, quest’ultima, in fondo veritiera. Bud Spencer è il “gigante buono” che al cinema mena sempre cazzotti ai prepotenti, condisce qualche vocabolo in modo esilarante e lascia che lo spettatore arrivi a capire le cose prima di lui, ridendo della sua ingenuità.

Tuttavia, basta questo a spiegarne la popolarità?

Per decenni ho creduto di sì. Ho ritenuto che la gente in me vedesse il vendicatore che tira un pugno in testa come l’uomo della strada vorrebbe fare al suo principale prepotente o al politico corrotto. Si erano afezionati a me in funzione di un transfert: cioè avrebbero voluto essere come me.

Nickname: Bud Spencer

Ma oggi, grazie al dialogo diretto con i miei fan tramite Internet, comincio a rendermi conto che c’era molto di più nei nostri flm. Vi assicuro che non sempre lo abbiamo capito subito.

Se il meccanismo d’identifcazione fosse basato solo sull’infantilismo del pugno, del “vorrei ma non posso” che viene esorcizzato dallo spettatore vedendo me che al cinema “voglio e posso”, allora credo che di Bud Spencer non si sarebbe più udito parlare a mano a mano che gli spettatori crescevano e l’età dell’infanzia fniva.

C’era dell’altro, anche a livello inconscio.

Forse, sia da solo che in coppia, Bud riusciva a toccare corde profonde nello spettatore medio, per quella misteriosa alchimia che in qualche caso, non certo solo il mio, si stabilisce tra i personaggi di un flm e il pubblico. Anche attraverso un’avventura comica e infantile si può lanciare un invito a essere giusti, a rispettare gli altri, ad amare la natura, a difendere gli anziani, a corteggiare con educazione una fanciulla, a proteggere chi è più debole, a difendere i bambini e a sorridere sfogandosi delle amarezze di ogni giorno, e questo è quell’insieme di fattori che, come più sopra dicevo, c’era per scelta e non per caso nella mia flmografa. E i fan hanno recepito da subito il messaggio, ovunque, a qualsiasi età e latitudine.

Che poi tale immagine sia sopravvissuta al punto che la gente m’immagina ancora giovane come in Piedone lo sbirro, e che poi resti perplessa nel vedermi invecchiato, è un mistero, per me. È vero che i miei flm continuano a essere trasmessi in prima serata da trenta o quarant’anni, e ciò contribuisce a mantenermi giovane agli occhi delle generazioni di spettatori, ma lo stesso accade anche per molti dei miei colleghi che però non hanno la fortuna di godere di un pari afetto da parte del pubblico.

Ecco perché il fatto che oggi voi, e magari i vostri fgli e nipoti, intasiate allegramente il mio account, un po’ mi faceva sentire in colpa nella mia incapacità di sostenere un dialogo via tastiera. Insomma, se il signor Watanabe da Tokyo o la graziosa Indira dal Pakistan si

Capitolo 2: Tanti Doppelgänger, un solo Bud

pigliavano il disturbo di mostrarmi foto delle loro famiglie, narrarmi spicchi delle loro esistenze e magari invitarmi ai loro matrimoni, be’, il minimo che potevo fare era rispondere alle loro richieste di persona.

In quei primi tentativi di farlo, ci fu una lite fra due personalità diverse, ambedue residenti nel corpaccione del sottoscritto. Da una parte c’era Carlo Pedersoli, il napoletano un po’ impigrito che diceva: «Futtetenne! Tanto i tuoi fan non sapranno mai che non sei tu a digitare i post, l’importante è che sia tu a dettarli, anche se la mano che li scrive è di un altro».

Dall’altra c’era Bud, il marziano, che rispondeva: «Futtetenne un corno! Anche se loro non sanno chi è che risponde, io lo so benissimo che non sono io, e tanto basta a farmi sentire in colpa!».

E così, per porre fne alla discussione che rischiava di sfociare in una bufa parodia della dissociazione della personalità proprio alla Jekyll e Hyde, ecco che mi sono messo a navigare… anche se il mio navigare era un tempo inteso come andare in barca.

Invece, in questo nuovo mare acqua non ce n’è, però debbo ammettere che è altrettanto immenso e pieno di pesciolini d’ogni genere, e qualche volta anche di burrasche, a suo modo, il che mi ha lasciato stupefatto. E spero mi permetterete ancora di stupirmi, nonostante l’età.

Per questo ho deciso di farne un libro.

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