Campionesse dello sport

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Campionesse dello sport a cura di Sebastiano Barcaroli illustrazioni di Marta Signori © 2025 Burno per questa edizione Tutti i diritti riservati. Collana Saggistica, 13

Progetto grafco, impaginazione e cover design: Sebastiano Barcaroli Illustrazione di copertina: Marta Signori Correzione bozze: a cura della redazione Stampato in Cina – agosto 2025 Burno è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) burno.it @burnoedizioni #burno

La casa editrice e gli autori con questa opera intendono assolvere a una funzione di informazione. A tal riguardo ogni illustrazione originale assolve al compito di omaggio all’importanza del personaggio o dell’oggetto ritratti.

SPORT dello CAMPIONESSE

Storie di donne che hanno conquistato il podio

illustrazioni di Marta Signori a cura di Sebastiano Barcaroli

NIntroduzione

el corso dei secoli, le donne hanno dimostrato un’abilità straordinaria, una determinazione senza pari e un talento indiscutibile nello sport, ma troppo spesso le loro gesta sono rimaste nell’ombra, soffocate da una narrazione dominante incentrata sugli atleti maschili. Ma il vento sta cambiando. L’interesse per lo sport femminile è in costante crescita, alimentato dalle storie delle atlete che hanno sfidato gli stereotipi di genere e hanno lasciato un'impronta indelebile sulla storia, non solo quella dello sport. Le sorelle Williams nel tennis, Simone Biles nella ginnastica, Marta Vieira da Silva nel calcio, le nostre Bebe Vio, Paola Egonu e Federica Pellegrini, e tante altre, sono diventate simboli di ispirazione per milioni di persone in tutto il mondo.

Questo libro dà voce alle storie spesso trascurate delle campionesse, celebrando le loro imprese straordinarie e analizzando l’evoluzione dello sport femminile nel corso del tempo. Attraverso le sfide affrontate dalle donne nello sport, dalle discriminazioni di genere alla lotta per l’uguaglianza di opportunità, celebriamo i trionfi che hanno reso possibile il cambiamento.

Onoreremo il coraggio, la determinazione e il talento delle atlete di ieri, oggi e domani, e celebreremo il potere trasformativo dello sport nel plasmare le vite e le società. Tenetevi pronti per una lettura appassionante come il migliore dei gesti atletici, che vi porterà a conoscere legrandi protagoniste del meraviglioso mondo dello sport femminile

Buona lettura!

Federica PELLEGRINI

nuotatrice, Italia, 1988

Cinque finali olimpiche consecutive, 129 titoli assoluti, 26 ori internazionali, record mondiali che resistono al tempo.

Federica Pellegrini non è stata solo una campionessa, è stata un’eccezione. La sua carriera è una narrazione di trionfi e battaglie, di giorni in cui l’acqua sembrava una seconda pelle e di momenti in cui l’ansia la rendeva un abisso. Dai primi successi giovanili fino alla leggendaria impresa di Roma 2009, quando diventò la prima donna a nuotare i 400 metri sotto i quattro minuti, Pellegrini ha riscritto le regole dello sport italiano. Ma il talento, da solo, non basta mai.

Nel 2004, a soli 16 anni, saliva sul podio olimpico di Atene con un argento nei 200 stile libero. Nel 2008 a Pechino conquistava l’oro nella stessa gara, la prima italiana a riuscirci. Nel 2009 a Roma firmava il doppio capolavoro nei 200 e nei 400, stabilendo due record mondiali e raggiungendo una consapevolezza nuova: «Alcune volte in gara sei magica. Il tempo si dilata, esci fuori da te stessa, come se a nuotare fosse un’altra versione di te. La fatica sparisce, resta solo l’acqua e il tuo corpo che vola sopra di essa».

Questa magia, tuttavia, non è gratuita. Federica Pellegrini ha vissuto la competizione come una battaglia quotidiana, contro il cronometro, contro le aspettative, contro se stessa. Per un atleta il succesil mondo ti guarda come se fossi un dio, ma il rischio di perdersi è sempre dietro l’angolo. Londra 2012 è stato il lato oscuro della sua storia: delusioni, sconfitte, l’assenza del suo allenatore Alberto Castagnetti, scomparso poco tempo prima.

Ma come ogni vera campionessa, Pellegrini ha saputo trasformare il fallimento in energia. Nel 2016, a Rio, sfiorava di nuovo il podio olimpico. A Tokyo 2020, alla sua quinta Olimpiade, entrava nella storia: nessuna prima di lei aveva mai disputato cinque finali consecutive nella stessa gara.

La sua vita fuori dalla piscina non è stata meno intensa. L’amore per il nuoto l’ha sempre accompagnata, come anche le pagine di gossip che hanno raccontato le sue relazioni e, infine, il matrimonio con Matteo Giunta, il suo allenatore, da cui ha avuto la figlia Matilde. Dopo il ritiro Federica Pellegrini ha trovato nuovi modi per vivere lo sport, tra la televisione, la scrittura e un’attività social che la tiene in contatto con il suo pubblico. Ma per chi ha vissuto il brivido della vittoria, l’adrenalina della gara, il silenzio di una corsia che diventa universo, nulla potrà mai sostituire quell’attimo in cui il mondo si ferma e rimane solo il suono dell’acqua.

Federica Pellegrini è stata, è e sarà per sempre un simbolo dello sport italiano. La dimostrazione che la grandezza non è un dono, ma una condizione che si conquista, metro dopo metro, bracciata dopo bracciata. Fino all’ultimo tocco, fino all’ultima gara, fino all’ultima vittoria.

Serena & Venus WILLIAMS

La storia di Serena e Venus Williams non è solo un racconto di talento e successi, ma il risultato di una programmazione meticolosa, di sacrifici e di una visione chiara costruita dal padre delle due atlete, Richard Williams.

Cresciute a Compton, un quartiere di Los Angeles noto più per la criminalità che per i campi da tennis, le due sorelle hanno cambiato per sempre il volto di questo sport. Richard Williams non era un ex tennista, né un uomo con connessioni nel mondo dello sport professionistico. Ciò che aveva era una determinazione incrollabile e un piano scritto nero su bianco: dopo aver visto in televisione Virginia Ruzici vincere un torneo e incassare un premio in denaro considerevole, decise che le sue figlie sarebbero diventate campionesse di tennis.

Studiò il gioco sui libri, osservò partite, analizzò tecniche e, con un approccio non convenzionale, iniziò ad allenare Venus e Serena nei campetti pubblici di Compton. Le faceva giocare imponendo un metodo di allenamento rigoroso che non permetteva nessuna distrazione, e che sebbene fu spesso contestato, portò a risultati straordinari.

Le sorelle Williams non furono mai inserite nel classico circuito junior della USTA, la federazione americana di tennis, una scelta rischiosa ma voluta da Richard per proteggerle dalle pressioni e dal razzismo che molte giovani tenniste afroamericane dovevano affrontare. Venus fu la prima a entrare nel circuito professionistico nel 1994, mostran-

Serena & Venus Williams

do subito una potenza atletica e un gioco aggressivo che la resero un fenomeno. Serena la seguì poco dopo, e nel 1999 conquistò il suo primo titolo del Grande Slam agli US Open, battendo Martina Hingis in finale. Da quel momento, la rivalità e il sodalizio tra le due scrisse una delle pagine più importanti della storia del tennis. Venus vinse il suo primo Slam a Wimbledon nel 2000, inaugurando un’era di dominio che spesso si sviluppava all’interno della stessa famiglia. Tra il 2002 e il 2003, le due si affrontarono in quattro finali Slam consecutive, con Serena che ebbe la meglio in tutte, un periodo ribattezzato come la “Serena Slam”.

Oltre ai successi individuali, le sorelle Williams hanno formato una delle coppie di doppio più vincenti di sempre, conquistando 14 titoli del Grande Slam insieme e tre ori olimpici. Il loro impatto ha travalicato lo sport: hanno cambiato la percezione delle atlete afroamericane nel tennis, hanno ridefinito gli standard di potenza e atletismo e hanno reso il tennis più inclusivo. Venus, con il suo stile elegante e il servizio devastante, e Serena, con la sua mentalità vincente e la capacità di dominare in ogni contesto, hanno scritto una storia che va oltre le statistiche. Da Compton ai palcoscenici più prestigiosi del mondo, Venus e Serena Williams hanno dimostrato che il talento, se guidato con disciplina e visione, può riscrivere la storia.

Novella CALLIGARIS

nuotatrice, Italia, 1954

Novella Calligaris è stata la prima nuotatrice italiana a lasciare un segno indelebile in questo sport. Cresciuta con una disciplina rigorosa, aveva un talento naturale che affinava con allenamenti estenuanti. Nel 1972, alle Olimpiadi di Monaco, conquistò tre medaglie: un argento nei 400 metri stile libero e due bronzi negli 800 metri stile libero e nei 400 misti. Fino ad allora, nessun italiano aveva mai raggiunto quei risultati nel nuoto. Ma la sua gara più importante arrivò l’anno successivo, ai Mondiali di Belgrado. Negli 800 stile libero toccò la piastra prima di tutte, stabilendo anche il record del mondo. In Italia nessuno ci era mai riuscito.

La Calligaris era determinata, metodica, lontana da ogni teatralità. La vittoria non la inebriava e la sconfitta non la fermava. Nuotava per superare i propri limiti, senza concedere spazio alla distrazione. Si ritirò presto, a vent’anni, e dopo il nuoto, trovò una nuova strada nel giornalismo e nell’organizzazione sportiva, portando lo stesso rigore che aveva in vasca, ma fu una delle poche sportive capaci di cambiare la società italiana: il nuoto entrò nelle case delle famiglie, aprirono piscine ovunque, anche negli scantinati e con le sue vittorie si capì che non si poteva andare al mare senza aver imparato a nuotare!

Amanda NUNES

lottatrice di arti marziali miste, Brasile, 1988

Amanda Nunes ha cambiato il volto delle arti marziali miste. Nata nel 1988 a Pojuca, Brasile, crebbe in una famiglia modesta e iniziò a praticare sport per sognare una vita migliore. Dal karate passò al Brazilian Jiu-Jitsu e poi all’MMA, trovando in questo sport il mezzo per esprimere il suo talento e la sua determinazione.

Nel 2016 ottenne il primo grande risultato: alla UFC 200 conquistò il titolo dei pesi gallo. Sei mesi dopo, contro Ronda Rousey, impiegò meno di un minuto per chiudere l’incontro e segnare il definitivo passaggio di testimone ai vertici della divisione. Nel 2018 salì di categoria per affrontare Cris Cyborg, campionessa dei pesi piuma e imbattuta da tredici anni. Il match durò 51 secondi: Nunes vinse per KO e divenne la prima atleta nella storia della UFC a detenere contemporaneamente due cinture in due categorie di peso. Negli anni successivi difese più volte entrambi i titoli, superando tutte le avversarie.

Oltre al suo successo nel ring, Amanda Nunes è anche una figura importante per la comunità LGBTQ+, essendo apertamente lesbica. La sua visibilità e il suo successo nel mondo degli sport da combattimento hanno contribuito a promuovere l’inclusione nella comunità sportiva.

Alfonsina STRADA

Nel 1924, tra i 90 corridori schierati alla partenza del Giro d’Italia a Milano, il dorsale numero 72 attirava un’attenzione particolare. Quel nome, “Alfonsin Strada”, nascondeva un’anomalia: per la prima volta nella storia della corsa, tra gli uomini in gara c’era una donna. Alfonsina Morini Strada non era un’esordiente, ma un’atleta determinata con un passato di competizioni in Italia e all’estero. La sua partecipazione al Giro non era una sfida aperta alle convenzioni del tempo.

Nata nel 1891 a Castelfranco Emilia in una famiglia di contadini,

Alfonsina si appassionò presto alla bicicletta, un’attività considerata inadatta a una donna. Il soprannome con cui veniva chiamata nei paesi che attraversava – “il diavolo in gonnella” – rifletteva la sua audacia.

La famiglia osteggiò la sua passione, ma nel 1915 sposò Luigi Strada, un cesellatore che la sostenne e le regalò una bicicletta da corsa come dono di nozze. Con lui si trasferì a Milano, dove iniziò ad allenarsi con serietà. Alfonsina così si fece strada nel mondo del ciclismo gareg-

giando contro gli uomini in prove prestigiose come il Giro di Lombardia, che concluse al 32° posto nel 1917 e al 21° l’anno successivo.

Ma l’impresa più nota rimane la sua partecipazione al Giro d’Italia del 1924. La corsa, che quell’anno vide l’assenza di alcuni grandi nomi per dispute economiche con gli organizzatori, aprì le iscrizioni anche a corridori indipendenti. Fu così che Alfonsina riuscì a entrare in gara.

Partì da Milano e completò le prime quattro tappe, affrontando distacchi pesanti ma arrivando davanti a diversi concorrenti. Nella set-

Alfonsina Strada

tima frazione, la durissima L’Aquila-Perugia, il maltempo rese il percorso quasi impraticabile. Strada cadde più volte e, dopo aver rotto il manubrio, lo riparò con un pezzo di manico di scopa. Arrivò fuori tempo massimo e la giuria, divisa, decise di escluderla dalla classifica. Tuttavia, Emilio Colombo, direttore della «Gazzetta dello Sport», intuì il valore mediatico della sua impresa e le permise di proseguire fuori gara, coprendo le spese di vitto e alloggio. Continuò fino a Milano, rispettando regolamenti e orari degli altri ciclisti. Dei 90 partiti, solo 30 completarono la corsa. Alfonsina Strada fu tra quelli.

Negli anni successivi, Alfonsina continuò a gareggiare, ma non le fu più concesso di iscriversi ufficialmente al Giro. Nel 1938, a Longchamp, stabilì il record femminile dell’ora con 35,28 km percorsi.

Dopo la morte del marito Luigi, si risposò nel 1950 con l’ex ciclista

Carlo Messori, proseguendo l’attività sportiva e aprendo un negozio di biciclette a Milano. Rimasta vedova per la seconda volta nel 1957, gestì da sola la bottega fino alla fine dei suoi giorni.

Morì il 13 settembre 1959 all’età di 68 anni, in un incidente con la sua Moto Guzzi 500. La sua carriera e la sua tenacia restano una testimonianza unica nella storia del ciclismo, e ancora oggi, in molte tappe del Giro d’Italia, si possono trovare targhe che ricordano quel grandissimo giro corso da “Alfonsin Strada”.

Nadia COMÂNECI

ginnasta, Romania, 1961

Ci sono atleti destinati a entrare nella storia e poi c’è chi, come

Nadia Comâneci, ha riscritto le regole stesse dello sport. A soli 14 anni, ai Giochi Olimpici di Montreal 1976, la giovane ginnasta rumena ha raggiunto un traguardo che fino a quel momento era considerato impossibile: il primo 10 perfetto nella storia della ginnastica artistica. Un punteggio così straordinario che mandò in tilt i tabelloni, programmati per visualizzare solo numeri fino a 9.99. Quel giorno, il mondo intero ha trattenuto il fiato davanti alla sua grazia eterea, ma dietro quel quel talento straordinario si celava una realtà fatta di sacrifici, disciplina inflessibile e un controllo asfissiante.

Nadia Comâneci nasce il 12 novembre 1961 in Romania, sotto lo sguardo attento di un regime che ben presto vedrà in lei una risorsa da esibire al mondo. Il suo talento viene scoperto quando è ancora una bambina e a soli sei anni entra nella scuola di ginnastica di Béla e Marta Károlyi. Un luogo che per molte atlete si rivelerà un inferno: allenamenti estremi, vessazioni fisiche e psicologiche, disciplina ferrea.

Per Nadia, il sogno della perfezione si trasforma in un’ossessione. La sua carriera prende il volo e con essa crescono le pressioni. Il regime di Nicolae Ceausescu la eleva a simbolo della Romania comunista, una dimostrazione vivente della superiorità del Paese. Da quel momento la sua vita privata non le appartiene più: viene costantemente sorvegliata, ogni suo movimento controllato, ogni decisione presa per lei.

Nonostante tutto, Nadia continua a brillare. Nel 1980, alle Olimpiadi di Mosca, conquista altre due medaglie d’oro e due

d’argento. Ma dietro la facciata della campionessa perfetta si nasconde un’anima spezzata. Il peso delle aspettative, le limitazioni imposte dal regime e la mancanza di libertà la spingono in un baratro di solitudine e disperazione. La ginnasta tenta più volte di ribellarsi, anche attraverso gesti estremi come il tentativo di suicidio, ma il regime insabbia tutto:

Nadia Comâneci deve restare il fiore all’occhiello della Romania.

Nel novembre del 1989, ormai trentenne e stanca di vivere in una gabbia dorata, Nadia prende una decisione drastica: scappare. Fuggendo a piedi nella notte, attraversa il confine fino a raggiungere l’Austria e chiedere asilo politico agli Stati Uniti. Qualche settimana dopo, il regime di Ceausescu crolla. Il dittatore viene giustiziato il giorno di Natale, ponendo fine a un’epoca di terrore. Negli Stati Uniti, però, la sua vita non migliora. L’uomo che l’aveva aiutata a scappare si rivela un altro oppressore, interessato a sfruttare la sua immagine. Ma il destino le riserva una svolta inattesa: durante un’intervista televisiva, Nadia rivede Bart Conner, un ginnasta americano che aveva conosciuto a Montreal nel 1976. Tra loro nasce un legame profondo che diventa amore. Con il suo aiuto, Nadia ritrova se stessa e la libertà che le era stata negata per anni.

Oggi, Nadia Comâneci è una donna realizzata, gestisce una scuola di ginnastica e continua a ispirare giovani promesse. La sua vera vittoria non è stata quel 10 perfetto, ma la capacità di riscrivere il proprio destino.

NSteffi GRAF

tennista, Germania/Stati Uniti, 1969

el 1988, Steffi Graf fece qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima (e che nessuna ha ripetuto): vinse tutti e quattro gli Slam e l’oro olimpico nello stesso anno. Il suo Golden Slam è la misura esatta della sua grandezza, più di qualsiasi numero o record.

Nata in Germania Ovest nel 1969, Graf non si limitava a vincere, annientava le avversarie. Il suo diritto era una sentenza, il suo gioco di gambe un meccanismo perfetto. Scalò il ranking con velocità impressionante e a 18 anni si prese il suo primo Wimbledon battendo Martina Navratilova. Da lì in poi, costruì un dominio lungo oltre un decennio. In carriera ha vinto 22 titoli del Grande Slam, un record fino all’era di Serena Williams. È rimasta 377 settimane al numero uno del mondo, più di chiunque altro nel tennis, uomini inclusi. Sfidò e superò avversarie di ogni epoca: dalla potenza di Navratilova alla classe di Evert, fino alle battaglie epiche con Monica Seles.

Nel 1999, dopo aver vinto l’ultimo Roland Garros, annunciò il ritiro. Non volle trascinare oltre una carriera già perfetta. Quando le chiesero se le mancasse il tennis, Graf rispose con semplicità: «Per niente». Forse perché sapeva di aver già dato tutto, e più di chiunque altro.

Wilma RUDOLPH

velocista, Stati Uniti, 1940-1994

Wilma Rudolph si catapultò sulla scena internazionale con una velocità tale da sembrare quasi irreale. Durante le Olimpiadi di Roma nel 1960, corse verso la storia, vincendo tre medaglie d’oro nei 100 metri, 200 metri e nella staffetta 4x100. Quei trionfi, avvenuti in un’epoca ancora segnata da forti divisioni, rappresentarono un’affermazione straordinaria di determinazione e talento. La sua vittoria nei 100 metri, che la consacrò come la “regina della velocità”, la vide anche battere il record olimpico. E pensare dire che da bambina, fu paralizzata dalla polio e contrasse sia la scarlattina che la doppia polmonite. Molti medici credevano che non avrebbe mai più camminato, ma lei ha sempre creduto il contrario. Quando aveva 12 anni, aveva già recuperato la capacità di camminare e si dedicò all’atletica. Otto anni dopo, era una campionessa olimpica.

Ritiratasi definitivamente dalle competizioni a soli 22 anni, la sua figura rimase una fonte d’ispirazione per generazioni di atleti e non solo. Wilma Rudolph fu capace di trasformare ogni sua corsa in una dichiarazione di forza, mettendo in luce il suo spirito indomito e la sua straordinaria capacità di superare qualsiasi ostacolo.

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